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mercoledì 19 giugno 2019

La sfida dei cristiani di Maaloula, che provano a rinascere dopo la devastazione

di Daniele Rocchi
S.I.R.  18 giugno 2019

Un villaggio gemellato con le sue rocce rossastre, quelle del massiccio al Qalamoun, mimetizzato come se ne avesse rubato i colori. Ti si apre davanti man mano che la strada sale fino a toccare i 1500 metri di altezza. Buche e crateri disseminati ovunque ti obbligano a una sorta di gimkana con la polvere che si alza ad ogni manovra di guida. Damasco è lontana solo 60 km, il confine con il Libano anche meno. 
È Maaloula roccaforte cristiana della Siria dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù Cristo. Uno dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco, abitato da poche migliaia di cristiani che vegliano sulle sue chiese e monasteri come quello greco ortodosso di santa Tecla, discepola di san Paolo, e quello melkita del VI secolo Mar Sarkis, dei santi Sergio e Bacco. I due santuari rupestri sono uniti da una gola scavata nel corso di millenni da pioggia e vento. È qui, secondo la leggenda, che Santa Tecla avrebbe trovato rifugio dai suoi persecutori. Prima della guerra Maaloula era una meta di tanti pellegrini che da ogni parte del mondo ogni anno venivano a pregare tra queste montagne, in una delle culle del cristianesimo siriano.


Ferite ancora aperte. Oggi Maaloula è un villaggio che porta ancora addosso, chiari, i segni della guerra, ferite profonde inferte contro la comunità locale, sfregiata come le sue chiese, le sue icone, i suoi quadri, le sue statue. Qui si è combattuto per circa nove mesi, da settembre del 2013 a maggio del 2014. A ricordare quei lunghi giorni è padre Toufic Eid, parroco melkita della chiesa di san Giorgio. E lo fa dall’alto della grande roccia che sovrasta il villaggio, a ridosso del monastero dei santi Sergio e Bacco, dove non manca di pregare il Padre Nostro in aramaico:
“Maaloula era lo specchio della convivenza siriana – ricorda il sacerdote indicando il villaggio e le sue macerie -. Lo hanno voluto mandare in frantumi per dare un segnale forte. Militarmente e strategicamente Maaloula non aveva particolare importanza. Ma hanno attaccato un simbolo della cristianità, il luogo dove gli abitanti parlano ancora l’aramaico, la lingua di Gesù”.
La notizia della caduta di Maaloula in mano ai jihadisti fece il giro del mondo. Il villaggio fu conquistato e preso come base militare dai miliziani dell’allora Jabhat al Nusra (oggi Hay’at Tahrir al-Sham, ndr.), vicini ad Al Qaeda. Con loro, all’inizio, anche membri dell’opposizione armata del Free Syrian Army, che si erano accreditati come difensori dei cristiani locali. “Controllavano il villaggio dall’alto – spiega il sacerdote –. I terroristi, infatti, avevano occupato l’hotel al-Safir, divenuto il loro quartier generale arrivando a distruggere anche una statua della Vergine Maria, Signora della Pace, messa dai cristiani locali a protezione del villaggio”. L’hotel non esiste più, delle stanze nessuna traccia, solo una giostra piegata dalle bombe, piena di ruggine. Fu l’inizio della devastazione.  “Da quel momento in poi – aggiunge il parroco – furono solo distruzioni di case e di chiese, profanazioni, incendi, saccheggi, esecuzioni sommarie. Le suore di santa Tecla furono prese in ostaggio per circa 4 mesi. Lo stesso destino toccò a 6 giovani cristiani, cinque dei quali ritrovati poi morti. Del sesto, invece, non abbiamo più notizie. Non sono stati gli unici martiri di Maaloula”. 
Ma i ricordi del sacerdote non si fermano qui. Emerge anche un particolare “l’accanimento dei terroristi verso le immagini sacre: Le icone sono state tutte sfregiate, avevano paura di guardarle. Hanno sfregiato i volti dei santi, del Cristo, mandato in frantumi le statue. Hanno fatto a pezzi gli altari, le iconostasi, il fonte battesimale”. “Ma la cosa che mi ha colpito di più è stato il rogo dei registri dei battesimi. È come se avessero voluto azzerare la nostra fede, ma non ci sono riusciti, perché siamo ancora qui”, afferma con orgoglio padre Toufic.  Poco distanti i resti di una statua di san Giorgio posta nel cortile della chiesa omonima dove da poco è stata rimessa una statua di santa Rita da Cascia, “restaurata da uno dei nostri giovani purtroppo morto in guerra”. Arrivano dei bambini che sfidando una pioggia inattesa si mettono a giocare nel piazzale. Il parroco li guarda e sorride: “sono un segno di vita da preservare. Il futuro di Maaloula passa per loro”. È anche per questi piccoli che si danna l’anima per riparare i danni della guerra.  Cinque anni dopo essere stata ripresa dall’esercito regolare siriano, Maaloula oggi si presenta quasi disabitata: “la popolazione è fuggita e ancora non ha fatto ritorno. Le case hanno bisogno di essere rimesse in piedi velocemente. La comunità cristiana – dice il parroco – è composta adesso da circa 800 persone, poche rispetto alle oltre 3mila di qualche anno fa.  Abbiamo restaurato la chiesa e, grazie anche alla Chiesa cattolica italiana, rimesso in piedi 190 abitazioni. All’appello ne mancano ancora 130, per una spesa totale di un milione di dollari. Stiamo ricominciando da zero grazie all’aiuto di tanti benefattori sparsi nel mondo.  La priorità è dare un tetto a chi non ce l’ha più e trovare il modo di continuare a vivere.  Quest’anno ho celebrato solo un matrimonio, nessuno nel 2018. I battesimi si contano sulla dita di una mano. La vita qui è una grande sfida, sperare è una sfida. La ricostruzione delle abitazioni sta favorendo la ripresa del lavoro”.  Ne è un esempio “un piccolo ristorante che ha riaperto i battenti da poco”. Un buon viatico per qualche pellegrino “che timidamente si sta riaffacciando da queste zone ora pacificate. Lo scorso marzo – rivela padre Toufic – sono arrivati qui sei occidentali. Sono stati accolti da alcune famiglie che per pochi dollari hanno offerto loro un letto e del cibo. Era accaduto anche in passato ma poi la guerra ha impedito di proseguire nell’accoglienza. Ma speriamo di riprendere”.

Una speranza condivisa con l’archimandrita Matta Reza, priore della comunità delle suore ortodosse di Santa Tecla. I mesi passati nelle mani dei jihadisti che le avevano prese in ostaggio non hanno tolto il sorriso alle religiose che continuano la loro missione nel monastero “ripulito dal sangue dei combattenti, rimesso in piedi e reso di nuovo agibile”. “Si sono lasciate il passato alle spalle per avere pace nel cuore e per aiutare la gente a superare il momento. Guardano avanti nonostante tutto” afferma il priore che non esita a citare il passo evangelico di Luca, “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”. Non c’è tempo a Maaloula per guardare indietro. “Nonostante tutta la distruzione la luce del Sepolcro ci ha illuminato. Le porte degli inferi non si sono aperte. Per questo incoraggiamo le famiglie, le pietre vive di questa terra, a restare saldi nella fede”  ribadisce l’archimandrita Reza. Un attimo di pausa prima di riprendere il discorso per dire quello che non ti aspetti: "anche tra i jihadisti vi era gente buona, il bene è dappertutto":  “I nostri cristiani in fuga da Maaloula sono stati salvati dai musulmani dei villaggi confinanti. Ricostruire è possibile, lo stiamo già facendo. Siamo figli della vita e chi crede nella vita può farlo. Ogni parola buona, ogni gesto di pace contiene un germe di Dio”.  È quasi sera quando, uscendo da Maaloula in direzione Homs, sale il desiderio di lanciare un ultimo sguardo alla cima più alta, a quella roccia dove è tornata la statua di Maria, Signora della pace. A riportarla lassù sono stati cristiani e musulmani, insieme. 
Maaloula è tornata in buone mani.

martedì 18 giugno 2019

Testimonianza: "I Caschi Bianchi sono più pericolosi dei terroristi"


Scopri perché, ascoltando questa importante testimonianza dalla città di Mesyaf che è stata recentemente attaccata da Israele e dai terroristi sostenuti da Israele, nel nord di Hama e Idleb.  Ali Habib, un insegnante in pensione, eloquentemente descrive il crescente antagonismo di Europa e Stati Uniti dopo otto anni di una guerra punitiva imposta al popolo siriano dai governi occidentali e dai loro alleati regionali.
Queste sono le voci del popolo siriano che non sono mai state ascoltate in Occidente. I media di stato occidentali le hanno deliberatamente messe a tacere. Se fossero state ascoltate, questa guerra non sarebbe mai potuta accadere, per non rimarcare che è durata otto anni terribili ed ha lasciato la Siria danneggiata e sanguinante..

      Trascrizione completa:
"In primo luogo, mi chiamo Ali Habib. Vengo da un villaggio vicino a Mesyaf, ma trascorro la maggior parte del mio tempo a Mesyaf. Ho assistito a numerose aggressioni terroristiche su Mesyaf, durante una di queste ero a soli 50 metri di distanza quando hanno preso di mira l'ospedale pochi giorni fa. Quindi, questo ospedale che sta curando i residenti di questa regione, nonostante tutta la pressione e l'embargo imposti alla Siria, e che sta trattando pazienti e feriti, è stato colpito da tre missili. L'ho visto con i miei occhi. Qual è lo scopo di bombardare un posto del genere? Qual è lo scopo del bombardamento di un ospedale? Perché quella gente (l'Occidente) non scrive dei terroristi che prendono di mira l'ospedale? Perché non scrivono sull'assedio economico che ha colpito tutti noi psicologicamente, socialmente e moralmente? Il nostro stato psicologico non è più normale, il nostro stato psicologico non è più normale!
Perché tutto il mondo parla di Caschi Bianchi e armi chimiche e "useranno il CW ..." e "il governo siriano ha usato il CW ..."... Di quali armi chimiche stanno parlando? Ci prendono di mira quotidianamente usando veleni psicologici, sociali ed economici. Ci hanno appesantito in tutti i sensi e sono loro che lo hanno causato e ora sostengono che ora vogliono proteggerci e proteggere il popolo siriano. No, non è giusto. Vogliono distruggere il popolo siriano, non vogliono distruggere il Governo siriano, vogliono distruggere il Paese, distruggere la Siria come Paese.
Ieri, hanno bombardato (lì) e ho visto le persone ferite con i miei occhi, cosa hanno fatto di sbagliato questi civili innocenti? Perché al-Jazeera e al-Arabia e France 24 e i media americani non riferiscono di questi civili che sono stati uccisi? Perché non riferiscono sull'ospedale che è stato bombardato? Hanno preso di mira l'ospedale per circa sei mesi, ma non erano riusciti a colpirlo direttamente. Certo, i proiettili erano atterrati lì intorno, ma alla fine hanno colpito l'ospedale e alla fine hanno ferito persone e medici che stanno salvando la gente. Ma tutto ciò, sfortunatamente, gli occidentali non lo vedono ...
Siamo abituati... Io sono uno di quelli che erano soliti credere che i Francesi, gli Inglesi e i Tedeschi avessero un po' di moralità. Sappiamo già che gli Americani non hanno morale, ma vedere che i Francesi, i Tedeschi e gli Europei in generale sono subordinati all'immoralità americana - questa è una novità per noi e per noi è frustrante. Onestamente, si sta diffondendo un antagonismo interno (siriano) nei loro confronti e noi non eravamo così. Li amavamo. Quando vedevo uno straniero come te qui, sarei corso da te per vedere di cosa potresti aver avuto bisogno. Parlo bene il francese, userei la mia conoscenza del francese per aiutarti. È così che eravamo soliti mostrare il nostro amore agli stranieri quando venivano nel nostro Paese. Ora non vogliamo vedere nessuno di loro perché tutti loro sono bugiardi e tutti loro sono ingannatori, tutti ci stanno assediando e tutti stanno stringendo il cappio su di noi e tutti ci stanno strangolando a morte, i cittadini, noi - i civili... o io come civile, sono un civile, sono un insegnante in pensione. Che crimine ho commesso per essere colpito da un missile? O perchè la mia macchina deve essere distrutta da un ordigno o essere rubata dai miliziani? Gli Europei non vedono questo, gli Europei hanno in mente solo che vogliono rovesciare il regime di Bashar al-Assad. Noi, il popolo, siamo soddisfatti di Bashar al-Assad. Cosa c'entra questo con voi? cos'è per voi? Siamo soddisfatti di lui. Presto Bashar al-Assad farà nuove elezioni e noi forse lo eleggeremo o no. Decidiamo noi, non voi.
Io capisco così questa questione, della manipolazione delle persone e dei pensieri delle persone, che indebolisce le persone in questo modo. È assolutamente anormale! È inaccettabile! Spero che la nostra voce raggiungerà gli Europei. Li amavamo molto. Eravamo abituati a trattare con loro. Sono stato in Europa spesso. Sono stato in Europa 11 volte. Ho visitato tutti i paesi europei e sono stato contento di loro, ma ora, sinceramente, non provo buoni sentimenti nei loro confronti a causa delle loro posizioni sbagliate nei nostri confronti. Quindi spero che la nostra voce raggiungerà alla fine gli Europei e che sappiano la verità su ciò che sta accadendo in Siria.
Le persone sono come le vedi ... il livello di sicurezza in Siria era migliore di qualsiasi altro posto al mondo. Sono stati spesi miliardi per creare questo e sfortunatamente, gli Europei e gli Americani hanno partecipato alla distruzione di questo paese.
Perché? Quali reati abbiamo commesso? Quali crimini hanno commesso queste persone, che vivevano in completa sicurezza? Avrei potuto dormire in strada e nessuno si sarebbe avvicinato a me. Ho dormito per le strade di Parigi e nessuno mi ha rapinato, si poteva dormire nelle strade qui e nessuno lo avrebbe derubato. Eravamo così al sicuro qui, ma voi, Europei, siete venuti da noi e avete fatto quel che ci avete fatto! Spero che la nostra voce vi raggiunga. Spero che la nostra voce raggiunga la gente... Credo che il popolo europeo sia diverso dai suoi governanti, ma per loro essere subalterni agli Americani in questo modo, è scioccante. È increscioso. Una disgrazia. Gli Europei sono noti per la loro moralità mentre gli Americani sono noti per essere dei gangster. Sì, sto parlando di un'esperienza culturale personale. Quindi, è così che amavamo gli Europei, ma purtroppo, ora non li amiamo affatto.
Un deposito dei White Helmets a Yarmuk, un sobborgo di Damasco, nella zona allora controllata dall'ISIS. Con un uomo davanti che sventola la bandiera ISIS. E il segno dell'indice alzato.

I Caschi Bianchi poi sono molto più pericolosi dei militanti che massacrano la gente. Quello che è successo riguardo ai militanti, non te l'ho detto, esiste la pratica della decapitazione nel nome dell'Islam, in nome della religione, mentre la religione non ha nulla a che fare con tutto ciò ma i Caschi Bianchi sono più pericolosi. I militanti hanno usato coltelli e pistole esplicitamente, mentre i White Helmets stanno lavorando politicamente. Voglio dire che stanno montando messinscene per far venire più missili a bersagliarci. Siamo stufi dei razzi e siamo stanchi di uccisioni.

I Caschi Bianchi sono più pericolosi di quelli che hanno massacrato la gente, questo è un fatto innegabile. Loro (gli Elmetti Bianchi) stanno spingendo gli Americani e gli Europei a bombardarci con il falso pretesto che stiamo usando armi chimiche contro la nostra stessa gente. Noi, il popolo… Quindi, i Caschi Bianchi sono molto più pericolosi di quelli (i terroristi) che macellano la gente nelle strade. I White Helmets sono un'organizzazione terroristica, più terrorista e più sanguinaria di quelli che massacrano le persone nelle strade - e questa è probabilmente l'opinione pubblica qui. Sappiamo chi sono i Caschi Bianchi. I Caschi Bianchi sono più pericolosi di qualsiasi terrorista.
Tu sei benvenuto.."
       Fine della trascrizione.

https://www.patreon.com/posts/syria-testimony-26618665

sabato 15 giugno 2019

I mattoni della ricostruzione siriana tenuti insieme con la malta della sofferenza.


Viaggio negli ospedali cattolici di Damasco e Aleppo

di Daniele Rocchi
Sir, 13 giugno 2019

Un crocifisso insanguinato, privo di arti, coronato da proiettili e bossoli sparati durante la guerra. Che non è ancora finita. Impossibile non guardarlo mentre si passa nel lungo corridoio che dalla cappella porta ai padiglioni dell’antico (1905) ospedale cattolico di Saint Louis di Aleppo (60 posti letto), città martire siriana, gestito dalle suore di San Giuseppe dell’Apparizione. Un’immagine che meglio di ogni parola descrive quanto avviene in questo nosocomio e in altri due, quello italiano e l’altro francese – sempre dedicato a Saint Louis – di Damasco, gestiti rispettivamente dalle suore salesiane e dalle Figlie di san Paolo. Veri e propri “ospedali da campo”, per dirla con Papa Francesco, che fanno parte del progetto “Ospedali aperti”, avviato in Siria nel 2017, per iniziativa del nunzio apostolico, card. Mario Zenari, con l’apporto sul campo di Avsi. Lo scopo è uno solo: offrire cure gratuite ai più poveri e ai più vulnerabili. Bombardati, danneggiati, vessati dalle sanzioni di Usa e Ue, ma sempre aperti e pronti a curare.

Dal novembre 2017 ad oggi i tre nosocomi hanno erogato 22.779 servizi medici gratuiti con moderne attrezzature sanitarie. E adesso, per la fine del 2020 si punta a quota 50 mila. “Poche gocce nell’oceano”, verrebbe da dire, guardando la drammatica situazione sanitaria della Siria, dove a causa della guerra più della metà degli ospedali pubblici e dei centri di prima assistenza sono chiusi o parzialmente agibili e dove quasi due terzi del personale sanitario ha lasciato il Paese. Ma poi camminando nelle corsie di questi ospedali ci si accorge che non è così.
Tre gocce. Una di queste gocce è Ibrahim. Oggi balla, salta, solleva le gambe, muove la caviglia. E sorride. Il tempo di risistemarsi i capelli impomatati e poi torna a sedersi a terra sui cuscini. Quel giorno, di due anni fa, nella zona di Ghouta, alle porte di Damasco, quando un razzo gli fece crollare la casa addosso provocandogli fratture scomposte alla gamba, sembra oramai solo un brutto ricordo. “Sono stato lunghi mesi fermo, non potevo camminare e lavorare – ti racconta mentre si carezza la gamba operata piena di cicatrici – non avevo soldi nemmeno per comprare una caramella a mio figlio. Se oggi posso tornare a sognare un futuro per me e per la mia famiglia è anche grazie a chi mi ha permesso di curarmi e ai medici dell’ospedale francese di Damasco”.
Un’altra goccia è Evangelina Strambouli, anziana signora di origini greche, cristiana ortodossa. All’ospedale cattolico di Aleppo le hanno salvato la vita due volte. Non ha più nessuno, il marito è morto, ed è vegliata ogni giorno dal suo vicino di casa musulmano dal nome che è tutto un programma, Fadi, ovvero “Angelo”. E poi c’è Ahmed che dal suo letto non cessa mai di ringraziare i medici che lo hanno curato invocando su di loro la benedizione di Allah, seguito a ruota dal figlio, Imaad. Vengono da Hama, nella Siria centrale. Senza le cure nell’ospedale cattolico di Aleppo, dice “sarei già morto. Non ho parole per ringraziarvi”.
 Il primario dell’ospedale aleppino, George Theodory, risponde a tutti con un sorriso. Ma poi non nasconde le difficoltà che ci sono nel portare avanti questa missione. “Dei 141 ospedali e centri clinici attivi ad Aleppo prima della guerra ne sono rimasti funzionanti solo 44. I pazienti sono tanti e l’embargo Usa e Ue li costringe a lunghe attese per avere esami diagnostici. I nostri macchinari hanno bisogno di manutenzione e di pezzi di ricambio che non arrivano. Ma grazie al progetto del nunzio Zenari ora possiamo disporre di nuove apparecchiature, molte delle quali donate dalla Conferenza episcopale italiana. Cerchiamo di curare al meglio con ciò che abbiamo”.
Il sogno dei siriani. Ibrahim, Evangelina e Ahmed sono solo alcune delle migliaia di siriani che hanno ricevuto cure gratuite nell’ambito del progetto “Ospedali aperti”. I loro sogni sono quelli di tutti i siriani: “vedere la fine della guerra, tornare a condurre una vita serena con un lavoro e una casa”. A raccogliere questi sogni sono un team di assistenti sociali, tra loro Dhalia, Boshra, Shaza, Rama, Tala e Rima, guidate dal coordinatore del progetto, George N. e dalla capo progetto Flavia C. Sono loro per prime ad accogliere le persone che vengono a chiedere assistenza medica e ad ascoltare i drammi della guerra, della povertà. Ma anche i loro sogni, il primo su tutti: guarire e vedere il nostro Paese risorgere”.

E sono sempre loro ad accompagnarle nel percorso di cura che non è solo fisica ma anche morale e spirituale. La cosa più bella? “Vedere la persona guarita e pronta a ripartire con nuova forza e speranza”. Come il piccolo Amer, 11 anni di Deir Ezzor, rimasto ustionato dopo un bombardamento, impossibilitato a camminare e oggi sulla via della guarigione grazie anche ai sacrifici della madre che per restare con lui a Damasco si alza all’alba per vendere pagnotte di pane in strada. Non mancano i ringraziamenti che a volte assumono le sembianze di piccoli dolci o di profumi. “Il loro grazie – dichiara George – è anche per tutti quei donatori, piccoli e grandi, che da ogni parte del mondo contribuiscono al progetto. Senza di loro non potremmo fare molto”.

Tra disperazione speranza. Lo sanno bene suor Carol Tahhan, salesiana, e suor Fekria Mahfouz, vincenziana, che dirigono rispettivamente l’ospedale italiano (55 posti letto) e quello francese della capitale siriana. Quest’ultimo con i suoi 101 posti letto è il più grande dei tre nosocomi del progetto che ha da pochi giorni avviato la sua seconda fase che pone tra i suoi obiettivi anche un software gestionale per mettere in rete i tre ospedali e la formazione tecnica con corsi di aggiornamento e training per il personale sanitario. “Con il progetto del card. Zenari abbiamo aumentato le prestazioni mediche” afferma suor Fekria mentre scruta il display con le immagini delle 36 telecamere a circuito chiuso messe a protezione del nosocomio colpito da 40 colpi di mortaio (ben 4 volte nel gennaio 2018) durante gli ultimi anni. Nel suo pc mostra anche le foto dei feriti e dei morti portati in ospedale dopo un attacco, le fasi concitate nel pronto soccorso, le cure, le operazioni di urgenza, “la disperazione per una vita persa e la gioia per una salvata”.
Oggi – racconta – la situazione è molto cambiata. Non si combatte più se non nella zona di Idlib, ma c’è un’altra guerra che stiamo fronteggiando e si chiama povertà. Nel Paese il salario minimo mensile si aggira sui 50 dollari, circa 18 mila lire siriane (government salary). Una miseria”.


Anche la religiosa punta l’indice contro le sanzioni Usa e Ue che di fatto, afferma, “hanno conseguenze pesanti sulla popolazione. Elettricità, gas e benzina sono razionati. Problemi anche a livello sanitario dove il divieto di transazioni con banche internazionali impedisce a molte aziende farmaceutiche estere di commerciare con la Siria provocando mancanza di medicinali e difficoltà nel reperire forniture e macchinari sanitari. Nonostante tutto andiamo avanti, il nostro carisma è quello di accogliere i poveri. La popolazione si fida di noi, ha rispetto della nostra missione. Cerchiamo di stare al loro fianco curando e dando conforto e ascolto”.
Curare la persona significa anche curare la sua famiglia – conferma suor Carol, direttrice dell’Ospedale italiano.
La sofferenza accomuna tutti senza distinzione. Può diventare la malta per cementare la ricostruzione del nostro Paese”.
Le prime medicine che somministriamo sono la fraternità e l’accoglienza. Tutti vengono trattati con la dignità che meritano, sono malati bisognosi di cure” ribadisce il primario del nosocomio italiano, Joseph Fares, specialista in chirurgia generale e laparoscopica, mentre compie il suo giro tra le camere e i laboratori molti dotati di nuovi macchinari donati dalla Cei grazie ai fondi dell’8×1000. “La guerra lascia segni e ferite difficilmente rimarginabili. La medicina più efficace è l’umanità. Trattare le persone con umanità rispettando la loro dignità. Il bene è contagioso, si trasmette e ricostruisce corpo e anima. Nei nostri ospedali cattolici combattiamo la povertà e la guerra a colpi di bisturi, medicine e tanto amore”. Se vinceremo questa guerra? “Stiamo già vincendo. Ogni volta che un malato viene curato nel corpo e nello spirito per noi è una vittoria”.
  Come ricorda il Crocifisso insanguinato di Aleppo…

mercoledì 12 giugno 2019

Contro chi combatte l'esercito arabo siriano a Idlib ?

L'autrice di questa breve ma eloquente relazione sulle forze in campo presenti nei campi di battaglia insanguinati di Idlib è Rim ‘Arnuq, una ginecologa siriana che vive a Damasco.


Tre giornalisti legati alla [cosiddetta] ‘’opposizione’’, che si spostano in tutte le città e villaggi della provincia di Idlib, anche rischiando perchè pure per i fedeli all’opposizione vige il divieto di riprendere [luoghi sensibili], sono usciti con un film, che riassume e spiega quel che sta accadendo in quella regione, e rivela al mondo lo scandalo del ruolo sporco di Erdogan e quali siano le organizzazioni moderate.
La provincia di Idlib è controllata da varie organizzazioni terroristiche: - Jabhat al-Nusra. Gruppo armato jihadista salafita (Fronte del soccorso al popolo di Siria!), in arabo: جبهة النصرة لأهل الشام - Partito Islamico del Turkestan. Jihadisti uiguri. - Jaish al-Fatah (Esercito della Conquista), in arabo: جيش الفتح - Ahrar al-Sham al-Islamiyya. Gruppo islamista-integralista siriano che raduna varie formazioni minori. ( Movimento degli Uomini liberi della Grande Siria), in arabo: حركة أحرار الشام الإسلامية - L'Esercito Siriano Libero, ESL (in arabo: الجيش السوري الحر Queste formazioni controllano 38 checkpoint lungo le strade principali che collegano Bab al-Hawa a Jisr al-Shughur, Bab al-Hawa a Khan Shaykhun e Ma'arat al-Nu'man a Jisr al-Shughur. 21 checkpoint del Fronte al-Nusra, presente nella lista occidentale dei movimenti terroristi! Esso è sostenuto dal Qatar e dalla Turchia. 6 checkpoint sono controllati dal Partito Islamico del Turkestan alleato di al-Nusra. 10 checkpoint sono controllati da Ahrar al-Sham. All'Esercito Siriano Libero restano quindi soltanto 2 checkpoint!
Il Fronte al-Nusra braccio armato di al-Qaida in Siria, è dotato di polizia islamica, uffici di reclutamento, tribunali e prigioni. La prigione più grande è quella di al-‘Iqab, che si trova vicino a Kafr Nabl. La città di Idlib è governata congiuntamente da Jeish al- Fatah, Fronte al-Nusra, Ahrar al-Sham e da un battaglione uzbeko che era prima in lotta con al-Nusra e altre fazioni.
Mentre Jisser al-Shugur e le sue campagne sono sotto il controllo del Partito islamico del Turkestan con gli Uiguri provenienti dalla Cina e altri combattenti arrivati dall'Asia centrale, controllati da al-Nusra. In più, 10-20 mila turkmeni, con le loro famiglie, che hanno giurato fedeltà al leader del movimento dei talebani afgani.
Secondo questi giornalisti, la presenza del Turkistan è molto più importante del previsto: si tratta di circa 10.000 combattenti. Le cosiddette fazioni moderate non hanno checkpoint e controllano a malapena il loro quartier generale. Praticamente inesistenti sul terreno!
Ecco contro chi sta combattendo il nostro esercito siriano a Idlib. Mi parlavate di bambini? Osservate quanta innocenza nei loro occhi e i ‘’geni siriani’’ sui loro volti e capirete la storia dall’inizio alla fine.
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venerdì 7 giugno 2019

Sanzioni fino alla morte

Foto: Orlok / Shutterstock.com

Le sanzioni dell'UE contro la Siria hanno esacerbato una terribile situazione umanitaria.
di Karin Leukefeld
trad. Gb.P. OraproSiria
Le forze militari occidentali presumibilmente vogliono punire il presidente Assad. In effetti, incontrano un popolo malconcio che avrebbe ancora il potere mentale di alzarsi dalle rovine della guerra, se glielo consentissero. L'Unione Europea sta perseguendo una perfida duplice strategia: da un lato, le recenti sanzioni prorogate contro la Siria ne ostacolano la ricostruzione; dall'altra parte, le persone che sono sul lastrico, bisognose di tutto, devono essere alimentate con elemosine "umanitarie". Ai siriani viene impedito di ricostruire le case , mentre si continua a rifornirli di tende.
Il Consiglio europeo (1) ha esteso le sue "sanzioni economiche unilaterali" ( da ora Sanzioni) contro la Siria per un altro anno fino al 1 ° giugno 2020. La misura è presentata "contro il regime" e "in linea con la strategia UE-Siria” (2), si legge in un comunicato stampa. La violenza del "regime siriano" contro la popolazione civile sta continuando, sostiene l'UE, tuttavia l'UE si impegna a "una soluzione politica duratura e credibile al conflitto in Siria nell'ambito della risoluzione ONU N.2254 e del comunicato di Ginevra del 2012".
Le Sanzioni dell'UE, imposte per la prima volta nel 2011 e da allora sempre più severe e ampliate, includono un embargo sul petrolio, divieti di investimento e il congelamento di beni detenuti dalla banca centrale nell'UE. Includono restrizioni all'esportazione verso la Siria di attrezzature e tecnologia "che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna, tipo attrezzature e tecnologia per il monitoraggio o l'intercettazione di Internet e conversazioni telefoniche".
Di fatto, quasi tutti i tipi di tecnologia sono interessati: pezzi di ricambio e strumenti per macchine tessili o da stampa, per veicoli, per aeromobili, per la distribuzione di energia elettrica, per dispositivi medici e materie prime di ogni tipo.
Attualmente, 269 persone e 69 società sono colpite dalle Sanzioni "perché sono responsabili, o beneficiano e sostengono e/o sono associate al violento giro di vite sulla popolazione civile siriana". Cinque persone e una società presenti sull'elenco sono state cancellate. Il motivo è che le cinque persone sono morte e la compagnia è stata sciolta.
Non è noto se le critiche dell'ONU relative alle Sanzioni contro la Siria siano state prese in considerazione. Non è nemmeno chiaro chi abbia preso la decisione ed esattamente come: c'è stato un incontro in cui sono stati ascoltati consigli e opinioni diverse? È stata ripresentata una nuova domanda? È stato deciso per telefono?
Il relatore speciale delle Nazioni Unite sull'impatto delle Sanzioni, Idriss Jazairy, aveva dichiarato l'anno scorso (2018) dopo una visita in Siria che ogni singolo siriano e anche il lavoro delle agenzie di soccorso soffrono dalle sanzioni punitive. (3) La situazione in Siria causata dalla guerra è "terribile", dice Jazairy, "ma voglio sottolineare che le misure punitive peggiorano solo di molto la situazione". Particolarmente "terrificante" è che "l'eccessiva severità delle sanzioni costringe gli operatori umanitari ed economici a trovare meccanismi irregolari di pagamento". Ciò aumenta i costi, ritarda le consegne, riduce la trasparenza e rende impossibile per alcune aziende continuare il loro lavoro".
Pochi giorni dopo la sua dichiarazione del 17 maggio 2018, il Consiglio europeo ha esteso le sanzioni fino al 1 ° giugno 2019 (e ora sono state prorogate anche per il 2020 N.D.T.).
Stanislav Grosbic, presidente del gruppo dei parlamentari cechi "Amicizia con la Siria", ha dichiarato all'agenzia di stampa siriana SANA a Praga il 14 maggio 2019, che lo scopo delle sanzioni è stato (ed è) quello di ostacolare la ricostruzione in Siria e la lotta contro i terroristi ancora attivi in Siria. “L'UE si è schierata con i terroristi in Siria”, ha riferito Grosbic all'agenzia SANA. Le misure punitive gravano non solo sulla Siria ma anche sugli stati dell'UE. La Siria si sta allontanando dall'UE e sta stabilendo legami economici con la Russia, la Cina, l'India e altri stati.
Sanzioni e assistenza - le due facce della medaglia.
Uno sguardo al sito web dell'Ufficio federale degli affari esteri, digitando "Politica estera, situazione in Siria" evidenzia che l'attuale decisione di Bruxelles (sulle sanzioni N.D.T) non vale la pena di essere riportata. Invece, si trova una "Scheda informativa sulla Siria" in cui viene chiarito "Aiuto per la Siria e i suoi rifugiati". La data del rapporto è febbraio 2018, più di un anno fa (4). Di conseguenza, l'aiuto umanitario è aumentato da 52 milioni di euro nel 2012 a 720 milioni di euro nel 2017. Il 44% di questo denaro è andato in Siria nel 2018 e il resto nei paesi vicini e nella regione. Oltre agli aiuti umanitari, saranno messi a disposizione fondi per la "stabilizzazione". Mentre nel 2013, 59 milioni di euro, il totale annuo è sceso rapidamente nel 2014 e il 2015 ed era nel 2017 a 41 milioni di euro.
È interessante notare la spiegazione fornita dal Ministero degli affari esteri per il cosiddetto aiuto alla stabilizzazione:
Il Ministero per gli Affari Esteri sostiene i processi politici in situazioni di crisi per promuovere la risoluzione dei conflitti armati. Spesso sostiene un governo centrale come in Iraq, o una opposizione moderata come in Siria (come i jihadisti di Idlib N.D.T.). In Siria, ad esempio, i fondi per stabilizzare la protezione civile siriana i caschi bianchi (vedi qui chi sono N.D.T) — sono cofinanziati e le strutture amministrative sono mantenute in modo che non vi sia un vuoto completo in assenza dello stato siriano. In Iraq e in Libia, ad esempio, dopo la liberazione dal cosiddetto Stato Islamico, tra le altre cose, l'elettricità e l'approvvigionamento idrico vengono ripristinati al funzionamento, affinché gli sfollati interni possano ritornare ai loro luoghi di origine e per le persone la soddisfazione per la pace sia palpabile. "
Ingentissime somme di denaro sono andate per la "stabilizzazione" attraverso la creazione di strutture amministrative a Idlib, oggi controllata per lo più da Hayat Tahrir Al Sham (HTS), che è organicamente affiliato ad Al Qaeda come "Alleanza per la conquista della Siria", l'ex Al Nusra. E dopo la "liberazione" di Raqqa l'allora ministro degli Esteri Siegmar Gabriel, ha promesso all'allora governo locale controllato da SDF, Forze democratiche siriane, 10 milioni di euro per la produzione di energia elettrica e il ripristino delle forniture di acqua, e per rimuovere le mine.
Gli Stati Uniti hanno inviato "esperti" per aiutare i civili a ricostruire strutture amministrative. Ma non è stata offerta un'assistenza paragonabile alla parte del Paese controllata dal governo siriano e considerata dalle persone che vivono lì pure liberata da IS, in linea con la "Strategia dell'UE sulla Siria 2017" sopra menzionata.
Economia di guerra - guerra economica
In Siria si vede il legame diretto tra le sanzioni e gli "aiuti" distribuiti attraverso l'ONU e le organizzazioni internazionali nel paese e nei campi profughi intorno alla Siria. "Perché ci viene impedito di ricostruire il nostro paese dopo la guerra?", chiedono gli uomini d'affari che l'autore ha incontrato ad Aleppo in aprile. "Perché ci viene impedito di acquistare pezzi di ricambio per le nostre macchine distrutte, importando macchine, utensili, materie prime?". La Siria ha formato ingegneri che possono costruire case, aziende che possono ricostruire le linee elettriche e i cavi necessari. "Hanno volontariamente distrutto e derubato le nostre fabbriche di tutto il macchinario", ha continuato un uomo d'affari, riferendosi al saccheggio delle 17 zone industriali all'interno e intorno ad Aleppo da parte del "Free Syrian Army" nel 2012 e 2013.
"Invece di permetterci di ricostruire il Paese, stanno inviando organizzazioni di soccorso per tenere le persone in rifugi e tende, danno una mano per nutrirli, solo quanto basta per evitar loro di morire. "Potremmo ricostruire tutto: case, fabbriche, ospedali. Potremmo dare lavoro alle persone. Ma loro non lasciano che accada! "
La rabbia e l'incomprensione per le sanzioni dell'UE sono ormai diffuse in tutto il Paese. "Perché i turisti non vengono in Siria?", chiede un giovane albergatore, che durante la guerra era considerato un simpatizzante per l'opposizione religiosa. "La guerra è quasi finita, abbiamo investito: nuove lampade, rimesso i telefoni, messo i tappeti, ritinteggiate le pareti, acquistato nuove lenzuola e asciugamani, ma nessuno viene dall'Europa. Perché? ". È sorpreso di sapere che le compagnie aeree europee non possono volare in Siria e le compagnie di assicurazione non possono assicurare gruppi di viaggio a causa delle sanzioni dell'UE. "E perché lo state facendo?" chiede incredulo. "Perché a loro non piace il presidente? Ma hanno colpito noi, la classe media, le persone comuni."
Ad Aleppo, le auto stanno in fila su due a tre corsie davanti alle stazioni di servizio per rifornirsi di carburante. L'amministrazione statunitense ha ulteriormente rafforzato l'embargo sul petrolio già esistente nel marzo 2019 (5). Ciò non riguarda solo la Siria, ma anche l'Iran, che da anni fornisce petrolio e gas alla Siria perché al governo siriano viene negato l'accesso alle proprie risorse energetiche nazionali ad est dell'Eufrate. Prima erano i "ribelli moderati" dell' "Esercito Siriano Libero" che occupavano i giacimenti petroliferi. L'UE ha revocato l'embargo petrolifero imposto nel 2011 per questi gruppi, in modo che potessero persino trafficare il petrolio siriano fino alla Turchia. Per coprire i bisogni interni di petrolio e di gas necessari per cucinare, il governo di Damasco ha accettato un commercio: gli uomini d'affari hanno comprato il petrolio dai rispettivi occupanti (Esercito Siriano Libero, IS, curdi) e poi lo rivendevano al governo. Di conseguenza, l'opposizione siriana all'estero accusò Damasco di collaborare con "IS".
Poiché i giornalisti stranieri in Siria nelle stazioni di servizio sono trattati preferenzialmente, l'autrice è stata in grado di osservare la folla solo più tardi la sera. Per prevenire la corruzione e le controversie, la distribuzione di razioni di carburante per auto è di 20 litri ogni 5 giorni, per i taxi 20 litri ogni 2 giorni al prezzo/litro sovvenzionato dal governo di 0,50 centesimi di dollaro USA, monitorato dai rappresentanti del consiglio comunale di Aleppo. "Osserva attentamente e scrivi tutto con libertà", ha detto il vice governatore Mohammad Hamoush, che ha controllato personalmente la stazione di servizio quella sera. E questo "lo dobbiamo alle sanzioni degli Stati Uniti e dei governi in Europa".
Distruzione della società
Le sanzioni favoriscono il mercato nero, e fuori dalle città, lungo le strade principali, i ragazzi si siedono accanto alle lattine e vendono la benzina a un prezzo vertiginoso di quasi $ 1,50. A Damasco, la vendita di benzina a questo prezzo elevato è stata ufficialmente approvata dal governo per la prima volta, come un "caso eccezionale in una situazione eccezionale". Gli uomini d'affari hanno il permesso di comprare petrolio e gas e venderli in Siria, come riescono.
L'obiettivo delle sanzioni e degli embarghi petroliferi perseguito dall'Occidente è l'indebolimento e la divisione della Siria. Per attutire la sofferenza - perché altrimenti altri rifugiati potrebbero venire in Europa - l'aiuto è distribuito ai bisognosi, in Siria e nei campi profughi in Turchia, Giordania e Libano. Il sostegno per il ritorno è - sebbene il governo federale lo incoraggi - politicamente boicottato.
"Espellono le persone fuori dalle loro case e le mettono nelle tende", così riassume un critico dell'impegno umanitario delle Nazioni Unite e degli attori privati internazionali. "Trasformano le persone in mendicanti" ci dice il politico dell'opposizione Mouna Ghanem che aveva criticato già nel 2012 il collocamento nei campi profughi. "Le persone non hanno lavoro e si abituano solo a ricevere aiuti umanitari".
Nelle zone rurali, nei villaggi remoti, c'è sempre stata un'organizzazione ordinata, dice una donna d'affari a Damasco che aveva impiegato donne nelle zone rurali di Idlib, Raqqa e la campagna di Aleppo per decenni per il lavoro tessile. "Quando c'è stata una disputa tra i residenti, è stato chiamato il Mukhtar (sindaco), eletto e rispettato da tutti”. "La gente era povera, ma aveva dignità", ricorda. Il lavoro dava alle donne la fiducia in se stesse. "Ora le persone siedono nelle tendopoli, nei rifugi e sono trascurate". Le strutture tradizionali sono state distrutte: coloro che avevano trovato lavoro con le organizzazioni internazionali hanno sostituito i Mukhtar.
Fonti e commenti
(1) Il Consiglio europeo è l'organo della UE, che definisce gli orientamenti politici generali e le priorità dell'Unione europea. Esso è composto dai capi di Stato e di governo degli Stati membri e al Presidente del Consiglio europeo e il presidente della Commissione.
articolo tratto da: https://www.rubikon.news/artikel/sanktionen-bis-zum-tod

lunedì 3 giugno 2019

Pompieri e Incendiari


 Michel Raimbaud, 26 maggio 2019
L’autore francese di questo articolo, nato nel 1941 - saggista politico, scrittore, insegnante, una lunga e proficua carriera con incarichi diplomatici di rilievo, più volte ambasciatore, lunghi soggiorni in numerosi Paesi: Brasile, Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Mauritania, Sudan…, dal giugno 2000 al febbraio 2003 direttore in Francia dell’Ufficio per la protezione di immigrati e apolidi (OFPRA), poi all'amministrazione centrale del Quai d'Orsay, poi ancora ambasciatore, nello Zimbabwe – osserva il mondo con spirito libero e racconta le vicende della geopolitica con grande passione e maestria anche nello stile, vivace e coinvolgente. Dopo il pensionamento nel 2006, intraprende l’attività di conferenziere e insegna presso il Centre d’Études Diplomatiques et Stratégiques (CEDS). Tra le sue numerose opere, ‘’Tempête sur le Grand Moyen-Orient’’ (Tempesta sul Grande Medio Oriente), del 2015. Continua a dedicare molti articoli alla drammatica e iniqua guerra contro la Siria con i suoi risvolti regionali e mondiali. Merita di essere letto.
Maria Antonietta Carta
Dicembre 1991. Ieri. E in due soli anni il mondo mutò. L'ordine bipolare est-ovest crollava in seguito alla scomparsa dell'URSS e l'Occidente usciva vittorioso da una competizione che, in effetti, non era durata più di 45 anni: un tempo piuttosto corto sulla scala della Storia. Prima di tutto, gli Stati Uniti, inebriati da un trionfo inaspettato, si pavoneggiarono senza sapere cosa fare. Nel 1992, uno dei loro politologi, Francis Fukuyama, dichiarò la fine della Storia per mancanza di protagonisti all’altezza dell’unica superpotenza superstite.
Sbigottito, il coro occidentale si bevette con piacere questa idiozia: secondo quel profeta troppo frettoloso, il mondo si sarebbe paralizzato, senz’altra scelta che schierarsi con il nuovo padrone. Per i potenziali refuznik, si trattava di sottomettersi o rassegnarsi e, adottando l’eredità del "mondo civilizzato" dell'era coloniale e del "mondo libero" della guerra fredda, ecco che la "Comunità internazionale" is born, come si dice nella lingua franca contemporanea. I Paesi che osarono rifiutare la nuova regola del gioco USA finirono nella gehenna degli Stati fuorilegge: in bancarotta, canaglie, emarginati, “preoccupanti", come diremo presto. Mentre i Paesi “liberati’’ dal comunismo dovettero intraprendere una riconversione incondizionata e senza fronzoli ... Bisognava sbarazzarsi di falci, martelli, dell'Internazionale proletaria e, per molte delle loro élite, di tutto un trascorso diventato ingombrante.

Non lo chiamavano ancora in questo modo, ma il “Momento unipolare americano" era già in marcia e non amava quelli che trascinavano i piedi. Tuttavia, l'eternità prevista implicitamente nel libro di Fukuyama (La fine della Storia e l'ultimo uomo) sarebbe terminata troppo presto per apparire lunga. Non avrebbe superato il ventesimo anno. Infatti, nel marzo 2011, dopo vent'anni di misfatti il momento unipolare iniziava ad andare a rotoli e la Storia riprendeva la sua marcia verso un ordine mondiale più equilibrato quando Russia e Cina si fecero forzare la mano e si unirono per l’ultima volta alla "Comunità internazionale" per lasciare "implicitamente” il campo libero all'intervento della NATO in Libia, ma nel mese di ottobre dello stesso anno un doppio veto di Russia e Cina metteva fine all’onnipotenza di Washington e dei suoi suppletivi vietando ogni intervento di regime change a Damasco.
Nel 2019, l'ordine imposto dagli Stati Uniti, ingiusto, tirannico e caotico, sta morendo, ma l'Occidente, riluttante ad ammetterlo, continua a credere fermamente nella loro leadership ‘’naturale’’, in nome di un'universalità proclamata e rivendicata. Preferisce non vedere che la loro pretesa è sfidata dall'immensa coorte di popoli. Nel terzo millennio, non è più possibile accettare questa prerogativa di stampo feudale data per scontata dai Signori del pianeta. In pochi anni, la geografia politica e la mappa di un ‘’Paese immaginario’’ di sicuro sono molto cambiate nel mondo arabo-musulmano, ma anche altrove.

Due “campi" polarizzano questa nuova realtà partorita nel dolore. Il primo scommette sulla legalità e il diritto internazionale per arrivare a tutti i costi a un mondo multipolare equilibrato in grado di vivere in pace. Il secondo, successore del "mondo libero" di un tempo, non ha trovato niente di meglio che inventarsi il caos "costruttivo" o "innovativo" per garantire la sostenibilità di un'egemonia contestata. Da entrambi i lati, gli uomini al potere mostrano uno stile in accordo con queste scelte di fondo.
Senza trascurare la concorrenza quotidiana più combattuta tra Stati Uniti e Cina e l'ineluttabile scontro tra gli obiettivi di Trump, promotore spontaneo del "caos creativo" e di XI-Jinping, adepto metodico della "distensione costruttiva", è il duo russo-americano che rimane per il momento al centro del confronto. I leader di entrambe le parti – Eurasia e Occidente - che hanno preso il posto dei protagonisti del conflitto Est/Ovest, Putin e Trump, sono attori importanti della vita internazionale e devono coesistere, che lo vogliano o no ...

Non è necessario essere un osservatore molto acuto per indovinare che tra i due uomini non esiste molta sintonia. Non si tratta di una semplice questione di stile, ma di universi mentali e intellettuali opposti. Se il caso, per sua natura spesso capriccioso, decidesse di rendere il mondo invivibile, non agirebbe diversamente, consentendo che in questo preciso e decisivo momento della Storia due personalità così diverse siano deputate a rappresentare e " gestire" una riunione al Vertice tra Stati Uniti e Russia nel modo conflittuale che conosciamo.
Vladimir Putin è un capo di Stato popolare nel suo Paese e rispettato all’estero perché è l'architetto indiscusso della rinascita della Russia. Questo invidiabile prestigio non si deve a un qualche populismo di bassa lega o a un atteggiamento demagogico, ma al suo lavoro. L'inquilino del Cremlino comunica volentieri. Dai suoi discorsi senza enfasi si può intuire un uomo sicuro del suo potere, ma assolutamente poco incline ai toni confidenziali. Eppure, dietro un volto placido si nasconde un umorismo caustico che di tanto in tanto può sorprendere con uno scherzo inaspettato, deliziando i suoi sostenitori e permettendo ai neo-kremlinologi di arricchire il loro armamentario di pregiudizi "occidentali".

Ecco perché la breve frase del presidente russo a Sochi lo scorso 15 maggio, dopo l'incontro con l’omologo austriaco Alexander Van der Bellen, non sarà rimasta inascoltata. Interrogato durante una conferenza stampa su ciò che il suo Paese potrebbe fare per "salvare" l'accordo nucleare iraniano, Putin ha spiegato tra il serio e il faceto: "La Russia non è una squadra di pompieri, non possiamo salvare tutto". Non avrei potuto scegliere parole migliori per dire che molti incendiari si insinuano tra gli "interlocutori’’ a cui Mosca ama riferirsi con instancabile ottimismo. Senza dubbio, Trump è considerato il più pericoloso.
Al fuoco, pompieri! C’è una casa in fiamme! La tiritera è all'ordine del giorno. "Fuoco e incendiario"? Si direbbe il gioco per una serata in famiglia, uno di quelli che si amavano un tempo: un po’ noiosi e polverosi, ma efficaci per distrarre i bambini quando piove, tra nano giallo e piccoli cavalli. Tuttavia, si sarà capito, gli incendiari a cui pensa Putin si collocano su un altro registro. Non si tratta di delinquenti che bruciano bidoni della spazzatura, auto e negozi nelle "strade" occidentali, per conto di una "militanza" deviata ... Il presidente russo sicuramente pensa a una classe di criminali che sfugge totalmente alle imputazioni, alle azioni giudiziarie e alle punizioni: quella dei piromani di Stato in giacca e cravatta, arroccati ai vertici del potere nelle grandi democrazie autoproclamate che rientrano nell’ "asse del bene’’ o nella sua orbita. Negli "Stati di diritto", si ritiene legittimo incendiare il pianeta per annientare ogni resistenza all'egemonia dell'Impero Atlantico.

In questi stessi Paesi, i professionisti del pensiero, della scrittura, dell'analisi, della diplomazia o della politica adoperano con compiacimento una roboante retorica sul “Grande disegno", sulla "Strategia planetaria”, sulle "Ambizioni geopolitiche" o altre frottole. È chiaro che non scorgono l'ombra di un’ingiustizia e non li sfiora il sospetto di un’arbitrarietà nelle campagne finalizzate a devastare Paesi, popoli, spesso intere regioni, e restano indifferenti quando si menziona il tremendo bilancio delle guerre funeste scatenate dai loro governanti mafiosi.
I nostri moderni piromani sono insaziabili: non contenti di non provare vergogna o rimorso per i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità, i genocidi o i politicidi già commessi, minacciano e sanzionano a destra e a manca annunciando apertamente le loro intenzioni aggressive: Siria, Libia, Ucraina, Iran, Venezuela, Russia, Cina… Insomma, tutti i Paesi che osano ignorare i loro diktat.

Addio al diritto internazionale, buonanotte agli accordi internazionali, all'inferno la Carta delle Nazioni Unite, alle fanfare della diplomazia, del suo linguaggio desueto e delle sue prassi astruse. Infatti, con quasi 700 basi documentate dal Pentagono un po’ ovunque e soprattutto in Europa, Asia-Pacifico, Medio Oriente e Africa e con oltre 200.000 militari di stanza all'estero (50.000 in Germania, decine di migliaia nel resto del Continente europeo, 40.000 in Giappone e 28.000 in Corea del Sud), gli Stati Uniti e i loro scagnozzi sono soli contro il mondo.
Sotto la copertura di scelte imprevedibili, di ordini, contro-ordini e di dissensi nella sua amministrazione, Trump e la sua bella squadra - il sinistro John Bolton, il mellifluo Mike Pompeo, l'elegante Mike Pence, per non parlare del genero damerino Jared Kushner - seminano il caos e provocano incendi in tutti i continenti: esattamente ciò che è al centro del grande disegno ideato dagli USA per imporre al mondo la loro legge.

Negli anni di Reagan, Washington era riuscita a trascinare l'Unione Sovietica nella corsa agli armamenti e poi a impantanarla in una guerra inutile in Afghanistan, che avrebbe causato il suo declino. Probabilmente, il team di Trump cerca di ripetere l'esperienza, moltiplicando ovunque gli incendi nella speranza che la Russia di Putin si lasci indurre a svolgere il ruolo del pompiere universale. In Venezuela, l'impegno di Mosca ricorda quello dell'Unione Sovietica a Cuba, lo sforzo per incendiare gli Stati baltici e l'ex baluardo dell'Europa orientale, la Georgia, poi l'Ucraina, sono altrettante provocazioni alle porte della Russia.

Rimane il Grande Medio Oriente di Debeliou, al centro del nuovo conflitto Est/Ovest: dal suo nucleo (Siria, Libano, Palestina, Giordania, Iraq) all’Iran e Turchia, Yemen e Penisola Arabica fino all’Africa (Nord, Sahel, Corno, Golfo di Guinea...). Infine, c'è “l’Accordo del secolo" inventato da Trump con l’intento di "eliminare" il popolo palestinese per compiacere Israele: i miliardi versati e il ghigno compiaciuto degli autocrati potrebbe infiammare la polveriera...
Questa moltiplicazione di focolai - in un mondo dove le fondamenta della legge e della vita internazionale sono violate senza scrupoli, e dove alle parole è stato sistematicamente sottratto il vero senso - mira a scoraggiare potenziali vigili del fuoco: che si lascino intrappolare e non sapranno più dove sbattere la testa nell’estenuante tentativo di smentire notizie false (fake news), o false accuse per denunciare operazioni sotto falsa bandiera, per mantenere una parvenza di ragione in un mondo sempre più caotico, e per rispettare unilateralmente i principi che i piromani deridono.

Due esempi illustreranno l'ipocrisia della situazione:
Nonostante numerosi esperti e osservatori la considerino terminata e vinta da Damasco, la guerra in Siria continua in un contesto confuso e con un rimescolamento delle carte impressionante, scoraggiando qualsiasi analisi attendibile.
Il Dr. Wafik Ibrahim, specialista di affari regionali, osserva che per la sola liberazione, simbolica e peculiare, di Idlib in questo nono anno di guerra, “l’esercito siriano affronta dieci avversari" che unificano i loro sforzi per ostacolare il ritorno alla pace.  Le maschere sono cadute.

Erdogan è incastrato in manovre acrobatiche tra Stati Uniti e Russia e in una strategia aggrovigliata tra Mosca, Teheran, i gruppi terroristici che sponsorizza e le milizie curde che combatte, mentre cerca un ipotetico "cammino” di Damasco. La Turchia è impegnata militarmente e senza riserve con l'invio diretto di rinforzi e armamenti pesanti alle organizzazioni terroristiche, in primo luogo Jabhat al-Nusra (marchio siriano di al-Qaida), ribattezzato Hay'at Tahrir al-Sham (in Arabo: هيئة تحرير الشام, transliterazione: Hayʼat Taḥrīr al-Shām, "Organizzazione per la liberazione del Levante").
Per gli Stati Uniti, si tratta, se non di impedire, di ritardare il ritorno dello Stato siriano nel nord del Paese - governatorato di Idlib e/o la sponda orientale dell'Eufrate - mantenendo alcuni elementi sul terreno come deterrenti, con il pretesto di combattere Daesh che è una creazione de facto del nostro zio Sam – e aggiungiamo i loro “supporti automatici”: Nazioni Unite e Lega Araba, nel ruolo di paraventi legali e utili ausiliari di Washington; Gran Bretagna e Francia, gli associati; L'Arabia Saudita, che continua a finanziare il terrorismo a est dell'Eufrate contro i Turchi, ma si unisce a loro nel governatorato di Idlib; gli Emirati, l'asso nella manica USA specialmente in Siria. Tutti questi protagonisti sostengono le forze resistenti del terrorismo (tuttora 30.000 jihadisti di tutte le nazionalità).

Allo stesso tempo, il capestro delle sanzioni - armi di distruzione di massa il cui uso è un vero crimine di guerra - mira a prevenire la ricostruzione del Paese e a provocare una rivolta contro "il regime ".
In questa congiuntura, il lancio alla fine di maggio di un ennesimo "caso’’ di attacco chimico debitamente attribuito al "regime di Bashar al Assad " (da Latakia) sarebbe quasi una buona notizia, in quanto significherebbe che l'esercito siriano sostenuto dalle forze aeree russe, nonostante le manovre del nuovo Grande Turco, ha finalmente iniziato la liberazione di Idlib, congelata dal settembre 2018 (in seguito alla creazione di una zona di de-escalation sotto l'egida di Russia e Turchia). Lo scenario è ben noto e vi ritroviamo Hayʼat Taḥrīr al-Shām (ex-Jabhat al-Nusra). Le intimidazioni volano, senza dubbio invano, e storie di comodo hanno sempre meno successo.

L'offensiva degli USA contro l'Iran, in seguito al loro ritiro dal “Trattato sul nucleare" del 2015, ha creato profonde tensioni in Medio Oriente. Lo scambio di minacce attiene per lo più alla gesticolazione diplomatica, ma la saggezza è una qualità rara nell'entourage del Paperon de Paperoni alla Casa Bianca. I pompieri si affaccendano per spegnere l'incendio sempre pronto a riaccendersi nei giacimenti di gas e petrolio della regione: tra la Svizzera, l'Oman e la Russia, a chi toccherà di gettare il suo secchio d'acqua sulle scintille? Il Cremlino veglia per non lasciarsi sopraffare: ha sostenuto l'accordo sul nucleare e ha incoraggiato Teheran a rimanervi fedele, ma "gli Americani sono i primi a dare la colpa", "L'Iran è oggi il Paese più controllato e più trasparente al mondo sul nucleare", "La Russia è pronta a continuare a svolgere un ruolo positivo", ma il futuro del trattato "dipende da tutti i partner: Stati Uniti, Europa e Iran ...".

Aiutati che la Russia ti aiuterà... Il discorso è così ragionevole che a volte ci si chiede se la diplomazia russa, tanto "insopportabilmente paziente" non si sia sbagliata d’epoca davanti al fenomeno Trump, al suo Puffo, agli Europei rassegnati e ai pazzi loro alleati ... C’è ancora tempo per le chiacchiere?
       Michel Raimbaud
      Traduzione di: Maria Antonietta Carta
https://www.iveris.eu/list/tribunes_libres/429-pompiers_et_incendiaires_