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sabato 15 giugno 2019

I mattoni della ricostruzione siriana tenuti insieme con la malta della sofferenza.


Viaggio negli ospedali cattolici di Damasco e Aleppo

di Daniele Rocchi
Sir, 13 giugno 2019

Un crocifisso insanguinato, privo di arti, coronato da proiettili e bossoli sparati durante la guerra. Che non è ancora finita. Impossibile non guardarlo mentre si passa nel lungo corridoio che dalla cappella porta ai padiglioni dell’antico (1905) ospedale cattolico di Saint Louis di Aleppo (60 posti letto), città martire siriana, gestito dalle suore di San Giuseppe dell’Apparizione. Un’immagine che meglio di ogni parola descrive quanto avviene in questo nosocomio e in altri due, quello italiano e l’altro francese – sempre dedicato a Saint Louis – di Damasco, gestiti rispettivamente dalle suore salesiane e dalle Figlie di san Paolo. Veri e propri “ospedali da campo”, per dirla con Papa Francesco, che fanno parte del progetto “Ospedali aperti”, avviato in Siria nel 2017, per iniziativa del nunzio apostolico, card. Mario Zenari, con l’apporto sul campo di Avsi. Lo scopo è uno solo: offrire cure gratuite ai più poveri e ai più vulnerabili. Bombardati, danneggiati, vessati dalle sanzioni di Usa e Ue, ma sempre aperti e pronti a curare.

Dal novembre 2017 ad oggi i tre nosocomi hanno erogato 22.779 servizi medici gratuiti con moderne attrezzature sanitarie. E adesso, per la fine del 2020 si punta a quota 50 mila. “Poche gocce nell’oceano”, verrebbe da dire, guardando la drammatica situazione sanitaria della Siria, dove a causa della guerra più della metà degli ospedali pubblici e dei centri di prima assistenza sono chiusi o parzialmente agibili e dove quasi due terzi del personale sanitario ha lasciato il Paese. Ma poi camminando nelle corsie di questi ospedali ci si accorge che non è così.
Tre gocce. Una di queste gocce è Ibrahim. Oggi balla, salta, solleva le gambe, muove la caviglia. E sorride. Il tempo di risistemarsi i capelli impomatati e poi torna a sedersi a terra sui cuscini. Quel giorno, di due anni fa, nella zona di Ghouta, alle porte di Damasco, quando un razzo gli fece crollare la casa addosso provocandogli fratture scomposte alla gamba, sembra oramai solo un brutto ricordo. “Sono stato lunghi mesi fermo, non potevo camminare e lavorare – ti racconta mentre si carezza la gamba operata piena di cicatrici – non avevo soldi nemmeno per comprare una caramella a mio figlio. Se oggi posso tornare a sognare un futuro per me e per la mia famiglia è anche grazie a chi mi ha permesso di curarmi e ai medici dell’ospedale francese di Damasco”.
Un’altra goccia è Evangelina Strambouli, anziana signora di origini greche, cristiana ortodossa. All’ospedale cattolico di Aleppo le hanno salvato la vita due volte. Non ha più nessuno, il marito è morto, ed è vegliata ogni giorno dal suo vicino di casa musulmano dal nome che è tutto un programma, Fadi, ovvero “Angelo”. E poi c’è Ahmed che dal suo letto non cessa mai di ringraziare i medici che lo hanno curato invocando su di loro la benedizione di Allah, seguito a ruota dal figlio, Imaad. Vengono da Hama, nella Siria centrale. Senza le cure nell’ospedale cattolico di Aleppo, dice “sarei già morto. Non ho parole per ringraziarvi”.
 Il primario dell’ospedale aleppino, George Theodory, risponde a tutti con un sorriso. Ma poi non nasconde le difficoltà che ci sono nel portare avanti questa missione. “Dei 141 ospedali e centri clinici attivi ad Aleppo prima della guerra ne sono rimasti funzionanti solo 44. I pazienti sono tanti e l’embargo Usa e Ue li costringe a lunghe attese per avere esami diagnostici. I nostri macchinari hanno bisogno di manutenzione e di pezzi di ricambio che non arrivano. Ma grazie al progetto del nunzio Zenari ora possiamo disporre di nuove apparecchiature, molte delle quali donate dalla Conferenza episcopale italiana. Cerchiamo di curare al meglio con ciò che abbiamo”.
Il sogno dei siriani. Ibrahim, Evangelina e Ahmed sono solo alcune delle migliaia di siriani che hanno ricevuto cure gratuite nell’ambito del progetto “Ospedali aperti”. I loro sogni sono quelli di tutti i siriani: “vedere la fine della guerra, tornare a condurre una vita serena con un lavoro e una casa”. A raccogliere questi sogni sono un team di assistenti sociali, tra loro Dhalia, Boshra, Shaza, Rama, Tala e Rima, guidate dal coordinatore del progetto, George N. e dalla capo progetto Flavia C. Sono loro per prime ad accogliere le persone che vengono a chiedere assistenza medica e ad ascoltare i drammi della guerra, della povertà. Ma anche i loro sogni, il primo su tutti: guarire e vedere il nostro Paese risorgere”.

E sono sempre loro ad accompagnarle nel percorso di cura che non è solo fisica ma anche morale e spirituale. La cosa più bella? “Vedere la persona guarita e pronta a ripartire con nuova forza e speranza”. Come il piccolo Amer, 11 anni di Deir Ezzor, rimasto ustionato dopo un bombardamento, impossibilitato a camminare e oggi sulla via della guarigione grazie anche ai sacrifici della madre che per restare con lui a Damasco si alza all’alba per vendere pagnotte di pane in strada. Non mancano i ringraziamenti che a volte assumono le sembianze di piccoli dolci o di profumi. “Il loro grazie – dichiara George – è anche per tutti quei donatori, piccoli e grandi, che da ogni parte del mondo contribuiscono al progetto. Senza di loro non potremmo fare molto”.

Tra disperazione speranza. Lo sanno bene suor Carol Tahhan, salesiana, e suor Fekria Mahfouz, vincenziana, che dirigono rispettivamente l’ospedale italiano (55 posti letto) e quello francese della capitale siriana. Quest’ultimo con i suoi 101 posti letto è il più grande dei tre nosocomi del progetto che ha da pochi giorni avviato la sua seconda fase che pone tra i suoi obiettivi anche un software gestionale per mettere in rete i tre ospedali e la formazione tecnica con corsi di aggiornamento e training per il personale sanitario. “Con il progetto del card. Zenari abbiamo aumentato le prestazioni mediche” afferma suor Fekria mentre scruta il display con le immagini delle 36 telecamere a circuito chiuso messe a protezione del nosocomio colpito da 40 colpi di mortaio (ben 4 volte nel gennaio 2018) durante gli ultimi anni. Nel suo pc mostra anche le foto dei feriti e dei morti portati in ospedale dopo un attacco, le fasi concitate nel pronto soccorso, le cure, le operazioni di urgenza, “la disperazione per una vita persa e la gioia per una salvata”.
Oggi – racconta – la situazione è molto cambiata. Non si combatte più se non nella zona di Idlib, ma c’è un’altra guerra che stiamo fronteggiando e si chiama povertà. Nel Paese il salario minimo mensile si aggira sui 50 dollari, circa 18 mila lire siriane (government salary). Una miseria”.


Anche la religiosa punta l’indice contro le sanzioni Usa e Ue che di fatto, afferma, “hanno conseguenze pesanti sulla popolazione. Elettricità, gas e benzina sono razionati. Problemi anche a livello sanitario dove il divieto di transazioni con banche internazionali impedisce a molte aziende farmaceutiche estere di commerciare con la Siria provocando mancanza di medicinali e difficoltà nel reperire forniture e macchinari sanitari. Nonostante tutto andiamo avanti, il nostro carisma è quello di accogliere i poveri. La popolazione si fida di noi, ha rispetto della nostra missione. Cerchiamo di stare al loro fianco curando e dando conforto e ascolto”.
Curare la persona significa anche curare la sua famiglia – conferma suor Carol, direttrice dell’Ospedale italiano.
La sofferenza accomuna tutti senza distinzione. Può diventare la malta per cementare la ricostruzione del nostro Paese”.
Le prime medicine che somministriamo sono la fraternità e l’accoglienza. Tutti vengono trattati con la dignità che meritano, sono malati bisognosi di cure” ribadisce il primario del nosocomio italiano, Joseph Fares, specialista in chirurgia generale e laparoscopica, mentre compie il suo giro tra le camere e i laboratori molti dotati di nuovi macchinari donati dalla Cei grazie ai fondi dell’8×1000. “La guerra lascia segni e ferite difficilmente rimarginabili. La medicina più efficace è l’umanità. Trattare le persone con umanità rispettando la loro dignità. Il bene è contagioso, si trasmette e ricostruisce corpo e anima. Nei nostri ospedali cattolici combattiamo la povertà e la guerra a colpi di bisturi, medicine e tanto amore”. Se vinceremo questa guerra? “Stiamo già vincendo. Ogni volta che un malato viene curato nel corpo e nello spirito per noi è una vittoria”.
  Come ricorda il Crocifisso insanguinato di Aleppo…

mercoledì 12 giugno 2019

Contro chi combatte l'esercito arabo siriano a Idlib ?

L'autrice di questa breve ma eloquente relazione sulle forze in campo presenti nei campi di battaglia insanguinati di Idlib è Rim ‘Arnuq, una ginecologa siriana che vive a Damasco.


Tre giornalisti legati alla [cosiddetta] ‘’opposizione’’, che si spostano in tutte le città e villaggi della provincia di Idlib, anche rischiando perchè pure per i fedeli all’opposizione vige il divieto di riprendere [luoghi sensibili], sono usciti con un film, che riassume e spiega quel che sta accadendo in quella regione, e rivela al mondo lo scandalo del ruolo sporco di Erdogan e quali siano le organizzazioni moderate.
La provincia di Idlib è controllata da varie organizzazioni terroristiche: - Jabhat al-Nusra. Gruppo armato jihadista salafita (Fronte del soccorso al popolo di Siria!), in arabo: جبهة النصرة لأهل الشام - Partito Islamico del Turkestan. Jihadisti uiguri. - Jaish al-Fatah (Esercito della Conquista), in arabo: جيش الفتح - Ahrar al-Sham al-Islamiyya. Gruppo islamista-integralista siriano che raduna varie formazioni minori. ( Movimento degli Uomini liberi della Grande Siria), in arabo: حركة أحرار الشام الإسلامية - L'Esercito Siriano Libero, ESL (in arabo: الجيش السوري الحر Queste formazioni controllano 38 checkpoint lungo le strade principali che collegano Bab al-Hawa a Jisr al-Shughur, Bab al-Hawa a Khan Shaykhun e Ma'arat al-Nu'man a Jisr al-Shughur. 21 checkpoint del Fronte al-Nusra, presente nella lista occidentale dei movimenti terroristi! Esso è sostenuto dal Qatar e dalla Turchia. 6 checkpoint sono controllati dal Partito Islamico del Turkestan alleato di al-Nusra. 10 checkpoint sono controllati da Ahrar al-Sham. All'Esercito Siriano Libero restano quindi soltanto 2 checkpoint!
Il Fronte al-Nusra braccio armato di al-Qaida in Siria, è dotato di polizia islamica, uffici di reclutamento, tribunali e prigioni. La prigione più grande è quella di al-‘Iqab, che si trova vicino a Kafr Nabl. La città di Idlib è governata congiuntamente da Jeish al- Fatah, Fronte al-Nusra, Ahrar al-Sham e da un battaglione uzbeko che era prima in lotta con al-Nusra e altre fazioni.
Mentre Jisser al-Shugur e le sue campagne sono sotto il controllo del Partito islamico del Turkestan con gli Uiguri provenienti dalla Cina e altri combattenti arrivati dall'Asia centrale, controllati da al-Nusra. In più, 10-20 mila turkmeni, con le loro famiglie, che hanno giurato fedeltà al leader del movimento dei talebani afgani.
Secondo questi giornalisti, la presenza del Turkistan è molto più importante del previsto: si tratta di circa 10.000 combattenti. Le cosiddette fazioni moderate non hanno checkpoint e controllano a malapena il loro quartier generale. Praticamente inesistenti sul terreno!
Ecco contro chi sta combattendo il nostro esercito siriano a Idlib. Mi parlavate di bambini? Osservate quanta innocenza nei loro occhi e i ‘’geni siriani’’ sui loro volti e capirete la storia dall’inizio alla fine.
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venerdì 7 giugno 2019

Sanzioni fino alla morte

Foto: Orlok / Shutterstock.com

Le sanzioni dell'UE contro la Siria hanno esacerbato una terribile situazione umanitaria.
di Karin Leukefeld
trad. Gb.P. OraproSiria
Le forze militari occidentali presumibilmente vogliono punire il presidente Assad. In effetti, incontrano un popolo malconcio che avrebbe ancora il potere mentale di alzarsi dalle rovine della guerra, se glielo consentissero. L'Unione Europea sta perseguendo una perfida duplice strategia: da un lato, le recenti sanzioni prorogate contro la Siria ne ostacolano la ricostruzione; dall'altra parte, le persone che sono sul lastrico, bisognose di tutto, devono essere alimentate con elemosine "umanitarie". Ai siriani viene impedito di ricostruire le case , mentre si continua a rifornirli di tende.
Il Consiglio europeo (1) ha esteso le sue "sanzioni economiche unilaterali" ( da ora Sanzioni) contro la Siria per un altro anno fino al 1 ° giugno 2020. La misura è presentata "contro il regime" e "in linea con la strategia UE-Siria” (2), si legge in un comunicato stampa. La violenza del "regime siriano" contro la popolazione civile sta continuando, sostiene l'UE, tuttavia l'UE si impegna a "una soluzione politica duratura e credibile al conflitto in Siria nell'ambito della risoluzione ONU N.2254 e del comunicato di Ginevra del 2012".
Le Sanzioni dell'UE, imposte per la prima volta nel 2011 e da allora sempre più severe e ampliate, includono un embargo sul petrolio, divieti di investimento e il congelamento di beni detenuti dalla banca centrale nell'UE. Includono restrizioni all'esportazione verso la Siria di attrezzature e tecnologia "che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna, tipo attrezzature e tecnologia per il monitoraggio o l'intercettazione di Internet e conversazioni telefoniche".
Di fatto, quasi tutti i tipi di tecnologia sono interessati: pezzi di ricambio e strumenti per macchine tessili o da stampa, per veicoli, per aeromobili, per la distribuzione di energia elettrica, per dispositivi medici e materie prime di ogni tipo.
Attualmente, 269 persone e 69 società sono colpite dalle Sanzioni "perché sono responsabili, o beneficiano e sostengono e/o sono associate al violento giro di vite sulla popolazione civile siriana". Cinque persone e una società presenti sull'elenco sono state cancellate. Il motivo è che le cinque persone sono morte e la compagnia è stata sciolta.
Non è noto se le critiche dell'ONU relative alle Sanzioni contro la Siria siano state prese in considerazione. Non è nemmeno chiaro chi abbia preso la decisione ed esattamente come: c'è stato un incontro in cui sono stati ascoltati consigli e opinioni diverse? È stata ripresentata una nuova domanda? È stato deciso per telefono?
Il relatore speciale delle Nazioni Unite sull'impatto delle Sanzioni, Idriss Jazairy, aveva dichiarato l'anno scorso (2018) dopo una visita in Siria che ogni singolo siriano e anche il lavoro delle agenzie di soccorso soffrono dalle sanzioni punitive. (3) La situazione in Siria causata dalla guerra è "terribile", dice Jazairy, "ma voglio sottolineare che le misure punitive peggiorano solo di molto la situazione". Particolarmente "terrificante" è che "l'eccessiva severità delle sanzioni costringe gli operatori umanitari ed economici a trovare meccanismi irregolari di pagamento". Ciò aumenta i costi, ritarda le consegne, riduce la trasparenza e rende impossibile per alcune aziende continuare il loro lavoro".
Pochi giorni dopo la sua dichiarazione del 17 maggio 2018, il Consiglio europeo ha esteso le sanzioni fino al 1 ° giugno 2019 (e ora sono state prorogate anche per il 2020 N.D.T.).
Stanislav Grosbic, presidente del gruppo dei parlamentari cechi "Amicizia con la Siria", ha dichiarato all'agenzia di stampa siriana SANA a Praga il 14 maggio 2019, che lo scopo delle sanzioni è stato (ed è) quello di ostacolare la ricostruzione in Siria e la lotta contro i terroristi ancora attivi in Siria. “L'UE si è schierata con i terroristi in Siria”, ha riferito Grosbic all'agenzia SANA. Le misure punitive gravano non solo sulla Siria ma anche sugli stati dell'UE. La Siria si sta allontanando dall'UE e sta stabilendo legami economici con la Russia, la Cina, l'India e altri stati.
Sanzioni e assistenza - le due facce della medaglia.
Uno sguardo al sito web dell'Ufficio federale degli affari esteri, digitando "Politica estera, situazione in Siria" evidenzia che l'attuale decisione di Bruxelles (sulle sanzioni N.D.T) non vale la pena di essere riportata. Invece, si trova una "Scheda informativa sulla Siria" in cui viene chiarito "Aiuto per la Siria e i suoi rifugiati". La data del rapporto è febbraio 2018, più di un anno fa (4). Di conseguenza, l'aiuto umanitario è aumentato da 52 milioni di euro nel 2012 a 720 milioni di euro nel 2017. Il 44% di questo denaro è andato in Siria nel 2018 e il resto nei paesi vicini e nella regione. Oltre agli aiuti umanitari, saranno messi a disposizione fondi per la "stabilizzazione". Mentre nel 2013, 59 milioni di euro, il totale annuo è sceso rapidamente nel 2014 e il 2015 ed era nel 2017 a 41 milioni di euro.
È interessante notare la spiegazione fornita dal Ministero degli affari esteri per il cosiddetto aiuto alla stabilizzazione:
Il Ministero per gli Affari Esteri sostiene i processi politici in situazioni di crisi per promuovere la risoluzione dei conflitti armati. Spesso sostiene un governo centrale come in Iraq, o una opposizione moderata come in Siria (come i jihadisti di Idlib N.D.T.). In Siria, ad esempio, i fondi per stabilizzare la protezione civile siriana i caschi bianchi (vedi qui chi sono N.D.T) — sono cofinanziati e le strutture amministrative sono mantenute in modo che non vi sia un vuoto completo in assenza dello stato siriano. In Iraq e in Libia, ad esempio, dopo la liberazione dal cosiddetto Stato Islamico, tra le altre cose, l'elettricità e l'approvvigionamento idrico vengono ripristinati al funzionamento, affinché gli sfollati interni possano ritornare ai loro luoghi di origine e per le persone la soddisfazione per la pace sia palpabile. "
Ingentissime somme di denaro sono andate per la "stabilizzazione" attraverso la creazione di strutture amministrative a Idlib, oggi controllata per lo più da Hayat Tahrir Al Sham (HTS), che è organicamente affiliato ad Al Qaeda come "Alleanza per la conquista della Siria", l'ex Al Nusra. E dopo la "liberazione" di Raqqa l'allora ministro degli Esteri Siegmar Gabriel, ha promesso all'allora governo locale controllato da SDF, Forze democratiche siriane, 10 milioni di euro per la produzione di energia elettrica e il ripristino delle forniture di acqua, e per rimuovere le mine.
Gli Stati Uniti hanno inviato "esperti" per aiutare i civili a ricostruire strutture amministrative. Ma non è stata offerta un'assistenza paragonabile alla parte del Paese controllata dal governo siriano e considerata dalle persone che vivono lì pure liberata da IS, in linea con la "Strategia dell'UE sulla Siria 2017" sopra menzionata.
Economia di guerra - guerra economica
In Siria si vede il legame diretto tra le sanzioni e gli "aiuti" distribuiti attraverso l'ONU e le organizzazioni internazionali nel paese e nei campi profughi intorno alla Siria. "Perché ci viene impedito di ricostruire il nostro paese dopo la guerra?", chiedono gli uomini d'affari che l'autore ha incontrato ad Aleppo in aprile. "Perché ci viene impedito di acquistare pezzi di ricambio per le nostre macchine distrutte, importando macchine, utensili, materie prime?". La Siria ha formato ingegneri che possono costruire case, aziende che possono ricostruire le linee elettriche e i cavi necessari. "Hanno volontariamente distrutto e derubato le nostre fabbriche di tutto il macchinario", ha continuato un uomo d'affari, riferendosi al saccheggio delle 17 zone industriali all'interno e intorno ad Aleppo da parte del "Free Syrian Army" nel 2012 e 2013.
"Invece di permetterci di ricostruire il Paese, stanno inviando organizzazioni di soccorso per tenere le persone in rifugi e tende, danno una mano per nutrirli, solo quanto basta per evitar loro di morire. "Potremmo ricostruire tutto: case, fabbriche, ospedali. Potremmo dare lavoro alle persone. Ma loro non lasciano che accada! "
La rabbia e l'incomprensione per le sanzioni dell'UE sono ormai diffuse in tutto il Paese. "Perché i turisti non vengono in Siria?", chiede un giovane albergatore, che durante la guerra era considerato un simpatizzante per l'opposizione religiosa. "La guerra è quasi finita, abbiamo investito: nuove lampade, rimesso i telefoni, messo i tappeti, ritinteggiate le pareti, acquistato nuove lenzuola e asciugamani, ma nessuno viene dall'Europa. Perché? ". È sorpreso di sapere che le compagnie aeree europee non possono volare in Siria e le compagnie di assicurazione non possono assicurare gruppi di viaggio a causa delle sanzioni dell'UE. "E perché lo state facendo?" chiede incredulo. "Perché a loro non piace il presidente? Ma hanno colpito noi, la classe media, le persone comuni."
Ad Aleppo, le auto stanno in fila su due a tre corsie davanti alle stazioni di servizio per rifornirsi di carburante. L'amministrazione statunitense ha ulteriormente rafforzato l'embargo sul petrolio già esistente nel marzo 2019 (5). Ciò non riguarda solo la Siria, ma anche l'Iran, che da anni fornisce petrolio e gas alla Siria perché al governo siriano viene negato l'accesso alle proprie risorse energetiche nazionali ad est dell'Eufrate. Prima erano i "ribelli moderati" dell' "Esercito Siriano Libero" che occupavano i giacimenti petroliferi. L'UE ha revocato l'embargo petrolifero imposto nel 2011 per questi gruppi, in modo che potessero persino trafficare il petrolio siriano fino alla Turchia. Per coprire i bisogni interni di petrolio e di gas necessari per cucinare, il governo di Damasco ha accettato un commercio: gli uomini d'affari hanno comprato il petrolio dai rispettivi occupanti (Esercito Siriano Libero, IS, curdi) e poi lo rivendevano al governo. Di conseguenza, l'opposizione siriana all'estero accusò Damasco di collaborare con "IS".
Poiché i giornalisti stranieri in Siria nelle stazioni di servizio sono trattati preferenzialmente, l'autrice è stata in grado di osservare la folla solo più tardi la sera. Per prevenire la corruzione e le controversie, la distribuzione di razioni di carburante per auto è di 20 litri ogni 5 giorni, per i taxi 20 litri ogni 2 giorni al prezzo/litro sovvenzionato dal governo di 0,50 centesimi di dollaro USA, monitorato dai rappresentanti del consiglio comunale di Aleppo. "Osserva attentamente e scrivi tutto con libertà", ha detto il vice governatore Mohammad Hamoush, che ha controllato personalmente la stazione di servizio quella sera. E questo "lo dobbiamo alle sanzioni degli Stati Uniti e dei governi in Europa".
Distruzione della società
Le sanzioni favoriscono il mercato nero, e fuori dalle città, lungo le strade principali, i ragazzi si siedono accanto alle lattine e vendono la benzina a un prezzo vertiginoso di quasi $ 1,50. A Damasco, la vendita di benzina a questo prezzo elevato è stata ufficialmente approvata dal governo per la prima volta, come un "caso eccezionale in una situazione eccezionale". Gli uomini d'affari hanno il permesso di comprare petrolio e gas e venderli in Siria, come riescono.
L'obiettivo delle sanzioni e degli embarghi petroliferi perseguito dall'Occidente è l'indebolimento e la divisione della Siria. Per attutire la sofferenza - perché altrimenti altri rifugiati potrebbero venire in Europa - l'aiuto è distribuito ai bisognosi, in Siria e nei campi profughi in Turchia, Giordania e Libano. Il sostegno per il ritorno è - sebbene il governo federale lo incoraggi - politicamente boicottato.
"Espellono le persone fuori dalle loro case e le mettono nelle tende", così riassume un critico dell'impegno umanitario delle Nazioni Unite e degli attori privati internazionali. "Trasformano le persone in mendicanti" ci dice il politico dell'opposizione Mouna Ghanem che aveva criticato già nel 2012 il collocamento nei campi profughi. "Le persone non hanno lavoro e si abituano solo a ricevere aiuti umanitari".
Nelle zone rurali, nei villaggi remoti, c'è sempre stata un'organizzazione ordinata, dice una donna d'affari a Damasco che aveva impiegato donne nelle zone rurali di Idlib, Raqqa e la campagna di Aleppo per decenni per il lavoro tessile. "Quando c'è stata una disputa tra i residenti, è stato chiamato il Mukhtar (sindaco), eletto e rispettato da tutti”. "La gente era povera, ma aveva dignità", ricorda. Il lavoro dava alle donne la fiducia in se stesse. "Ora le persone siedono nelle tendopoli, nei rifugi e sono trascurate". Le strutture tradizionali sono state distrutte: coloro che avevano trovato lavoro con le organizzazioni internazionali hanno sostituito i Mukhtar.
Fonti e commenti
(1) Il Consiglio europeo è l'organo della UE, che definisce gli orientamenti politici generali e le priorità dell'Unione europea. Esso è composto dai capi di Stato e di governo degli Stati membri e al Presidente del Consiglio europeo e il presidente della Commissione.
articolo tratto da: https://www.rubikon.news/artikel/sanktionen-bis-zum-tod

lunedì 3 giugno 2019

Pompieri e Incendiari


 Michel Raimbaud, 26 maggio 2019
L’autore francese di questo articolo, nato nel 1941 - saggista politico, scrittore, insegnante, una lunga e proficua carriera con incarichi diplomatici di rilievo, più volte ambasciatore, lunghi soggiorni in numerosi Paesi: Brasile, Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Mauritania, Sudan…, dal giugno 2000 al febbraio 2003 direttore in Francia dell’Ufficio per la protezione di immigrati e apolidi (OFPRA), poi all'amministrazione centrale del Quai d'Orsay, poi ancora ambasciatore, nello Zimbabwe – osserva il mondo con spirito libero e racconta le vicende della geopolitica con grande passione e maestria anche nello stile, vivace e coinvolgente. Dopo il pensionamento nel 2006, intraprende l’attività di conferenziere e insegna presso il Centre d’Études Diplomatiques et Stratégiques (CEDS). Tra le sue numerose opere, ‘’Tempête sur le Grand Moyen-Orient’’ (Tempesta sul Grande Medio Oriente), del 2015. Continua a dedicare molti articoli alla drammatica e iniqua guerra contro la Siria con i suoi risvolti regionali e mondiali. Merita di essere letto.
Maria Antonietta Carta
Dicembre 1991. Ieri. E in due soli anni il mondo mutò. L'ordine bipolare est-ovest crollava in seguito alla scomparsa dell'URSS e l'Occidente usciva vittorioso da una competizione che, in effetti, non era durata più di 45 anni: un tempo piuttosto corto sulla scala della Storia. Prima di tutto, gli Stati Uniti, inebriati da un trionfo inaspettato, si pavoneggiarono senza sapere cosa fare. Nel 1992, uno dei loro politologi, Francis Fukuyama, dichiarò la fine della Storia per mancanza di protagonisti all’altezza dell’unica superpotenza superstite.
Sbigottito, il coro occidentale si bevette con piacere questa idiozia: secondo quel profeta troppo frettoloso, il mondo si sarebbe paralizzato, senz’altra scelta che schierarsi con il nuovo padrone. Per i potenziali refuznik, si trattava di sottomettersi o rassegnarsi e, adottando l’eredità del "mondo civilizzato" dell'era coloniale e del "mondo libero" della guerra fredda, ecco che la "Comunità internazionale" is born, come si dice nella lingua franca contemporanea. I Paesi che osarono rifiutare la nuova regola del gioco USA finirono nella gehenna degli Stati fuorilegge: in bancarotta, canaglie, emarginati, “preoccupanti", come diremo presto. Mentre i Paesi “liberati’’ dal comunismo dovettero intraprendere una riconversione incondizionata e senza fronzoli ... Bisognava sbarazzarsi di falci, martelli, dell'Internazionale proletaria e, per molte delle loro élite, di tutto un trascorso diventato ingombrante.

Non lo chiamavano ancora in questo modo, ma il “Momento unipolare americano" era già in marcia e non amava quelli che trascinavano i piedi. Tuttavia, l'eternità prevista implicitamente nel libro di Fukuyama (La fine della Storia e l'ultimo uomo) sarebbe terminata troppo presto per apparire lunga. Non avrebbe superato il ventesimo anno. Infatti, nel marzo 2011, dopo vent'anni di misfatti il momento unipolare iniziava ad andare a rotoli e la Storia riprendeva la sua marcia verso un ordine mondiale più equilibrato quando Russia e Cina si fecero forzare la mano e si unirono per l’ultima volta alla "Comunità internazionale" per lasciare "implicitamente” il campo libero all'intervento della NATO in Libia, ma nel mese di ottobre dello stesso anno un doppio veto di Russia e Cina metteva fine all’onnipotenza di Washington e dei suoi suppletivi vietando ogni intervento di regime change a Damasco.
Nel 2019, l'ordine imposto dagli Stati Uniti, ingiusto, tirannico e caotico, sta morendo, ma l'Occidente, riluttante ad ammetterlo, continua a credere fermamente nella loro leadership ‘’naturale’’, in nome di un'universalità proclamata e rivendicata. Preferisce non vedere che la loro pretesa è sfidata dall'immensa coorte di popoli. Nel terzo millennio, non è più possibile accettare questa prerogativa di stampo feudale data per scontata dai Signori del pianeta. In pochi anni, la geografia politica e la mappa di un ‘’Paese immaginario’’ di sicuro sono molto cambiate nel mondo arabo-musulmano, ma anche altrove.

Due “campi" polarizzano questa nuova realtà partorita nel dolore. Il primo scommette sulla legalità e il diritto internazionale per arrivare a tutti i costi a un mondo multipolare equilibrato in grado di vivere in pace. Il secondo, successore del "mondo libero" di un tempo, non ha trovato niente di meglio che inventarsi il caos "costruttivo" o "innovativo" per garantire la sostenibilità di un'egemonia contestata. Da entrambi i lati, gli uomini al potere mostrano uno stile in accordo con queste scelte di fondo.
Senza trascurare la concorrenza quotidiana più combattuta tra Stati Uniti e Cina e l'ineluttabile scontro tra gli obiettivi di Trump, promotore spontaneo del "caos creativo" e di XI-Jinping, adepto metodico della "distensione costruttiva", è il duo russo-americano che rimane per il momento al centro del confronto. I leader di entrambe le parti – Eurasia e Occidente - che hanno preso il posto dei protagonisti del conflitto Est/Ovest, Putin e Trump, sono attori importanti della vita internazionale e devono coesistere, che lo vogliano o no ...

Non è necessario essere un osservatore molto acuto per indovinare che tra i due uomini non esiste molta sintonia. Non si tratta di una semplice questione di stile, ma di universi mentali e intellettuali opposti. Se il caso, per sua natura spesso capriccioso, decidesse di rendere il mondo invivibile, non agirebbe diversamente, consentendo che in questo preciso e decisivo momento della Storia due personalità così diverse siano deputate a rappresentare e " gestire" una riunione al Vertice tra Stati Uniti e Russia nel modo conflittuale che conosciamo.
Vladimir Putin è un capo di Stato popolare nel suo Paese e rispettato all’estero perché è l'architetto indiscusso della rinascita della Russia. Questo invidiabile prestigio non si deve a un qualche populismo di bassa lega o a un atteggiamento demagogico, ma al suo lavoro. L'inquilino del Cremlino comunica volentieri. Dai suoi discorsi senza enfasi si può intuire un uomo sicuro del suo potere, ma assolutamente poco incline ai toni confidenziali. Eppure, dietro un volto placido si nasconde un umorismo caustico che di tanto in tanto può sorprendere con uno scherzo inaspettato, deliziando i suoi sostenitori e permettendo ai neo-kremlinologi di arricchire il loro armamentario di pregiudizi "occidentali".

Ecco perché la breve frase del presidente russo a Sochi lo scorso 15 maggio, dopo l'incontro con l’omologo austriaco Alexander Van der Bellen, non sarà rimasta inascoltata. Interrogato durante una conferenza stampa su ciò che il suo Paese potrebbe fare per "salvare" l'accordo nucleare iraniano, Putin ha spiegato tra il serio e il faceto: "La Russia non è una squadra di pompieri, non possiamo salvare tutto". Non avrei potuto scegliere parole migliori per dire che molti incendiari si insinuano tra gli "interlocutori’’ a cui Mosca ama riferirsi con instancabile ottimismo. Senza dubbio, Trump è considerato il più pericoloso.
Al fuoco, pompieri! C’è una casa in fiamme! La tiritera è all'ordine del giorno. "Fuoco e incendiario"? Si direbbe il gioco per una serata in famiglia, uno di quelli che si amavano un tempo: un po’ noiosi e polverosi, ma efficaci per distrarre i bambini quando piove, tra nano giallo e piccoli cavalli. Tuttavia, si sarà capito, gli incendiari a cui pensa Putin si collocano su un altro registro. Non si tratta di delinquenti che bruciano bidoni della spazzatura, auto e negozi nelle "strade" occidentali, per conto di una "militanza" deviata ... Il presidente russo sicuramente pensa a una classe di criminali che sfugge totalmente alle imputazioni, alle azioni giudiziarie e alle punizioni: quella dei piromani di Stato in giacca e cravatta, arroccati ai vertici del potere nelle grandi democrazie autoproclamate che rientrano nell’ "asse del bene’’ o nella sua orbita. Negli "Stati di diritto", si ritiene legittimo incendiare il pianeta per annientare ogni resistenza all'egemonia dell'Impero Atlantico.

In questi stessi Paesi, i professionisti del pensiero, della scrittura, dell'analisi, della diplomazia o della politica adoperano con compiacimento una roboante retorica sul “Grande disegno", sulla "Strategia planetaria”, sulle "Ambizioni geopolitiche" o altre frottole. È chiaro che non scorgono l'ombra di un’ingiustizia e non li sfiora il sospetto di un’arbitrarietà nelle campagne finalizzate a devastare Paesi, popoli, spesso intere regioni, e restano indifferenti quando si menziona il tremendo bilancio delle guerre funeste scatenate dai loro governanti mafiosi.
I nostri moderni piromani sono insaziabili: non contenti di non provare vergogna o rimorso per i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità, i genocidi o i politicidi già commessi, minacciano e sanzionano a destra e a manca annunciando apertamente le loro intenzioni aggressive: Siria, Libia, Ucraina, Iran, Venezuela, Russia, Cina… Insomma, tutti i Paesi che osano ignorare i loro diktat.

Addio al diritto internazionale, buonanotte agli accordi internazionali, all'inferno la Carta delle Nazioni Unite, alle fanfare della diplomazia, del suo linguaggio desueto e delle sue prassi astruse. Infatti, con quasi 700 basi documentate dal Pentagono un po’ ovunque e soprattutto in Europa, Asia-Pacifico, Medio Oriente e Africa e con oltre 200.000 militari di stanza all'estero (50.000 in Germania, decine di migliaia nel resto del Continente europeo, 40.000 in Giappone e 28.000 in Corea del Sud), gli Stati Uniti e i loro scagnozzi sono soli contro il mondo.
Sotto la copertura di scelte imprevedibili, di ordini, contro-ordini e di dissensi nella sua amministrazione, Trump e la sua bella squadra - il sinistro John Bolton, il mellifluo Mike Pompeo, l'elegante Mike Pence, per non parlare del genero damerino Jared Kushner - seminano il caos e provocano incendi in tutti i continenti: esattamente ciò che è al centro del grande disegno ideato dagli USA per imporre al mondo la loro legge.

Negli anni di Reagan, Washington era riuscita a trascinare l'Unione Sovietica nella corsa agli armamenti e poi a impantanarla in una guerra inutile in Afghanistan, che avrebbe causato il suo declino. Probabilmente, il team di Trump cerca di ripetere l'esperienza, moltiplicando ovunque gli incendi nella speranza che la Russia di Putin si lasci indurre a svolgere il ruolo del pompiere universale. In Venezuela, l'impegno di Mosca ricorda quello dell'Unione Sovietica a Cuba, lo sforzo per incendiare gli Stati baltici e l'ex baluardo dell'Europa orientale, la Georgia, poi l'Ucraina, sono altrettante provocazioni alle porte della Russia.

Rimane il Grande Medio Oriente di Debeliou, al centro del nuovo conflitto Est/Ovest: dal suo nucleo (Siria, Libano, Palestina, Giordania, Iraq) all’Iran e Turchia, Yemen e Penisola Arabica fino all’Africa (Nord, Sahel, Corno, Golfo di Guinea...). Infine, c'è “l’Accordo del secolo" inventato da Trump con l’intento di "eliminare" il popolo palestinese per compiacere Israele: i miliardi versati e il ghigno compiaciuto degli autocrati potrebbe infiammare la polveriera...
Questa moltiplicazione di focolai - in un mondo dove le fondamenta della legge e della vita internazionale sono violate senza scrupoli, e dove alle parole è stato sistematicamente sottratto il vero senso - mira a scoraggiare potenziali vigili del fuoco: che si lascino intrappolare e non sapranno più dove sbattere la testa nell’estenuante tentativo di smentire notizie false (fake news), o false accuse per denunciare operazioni sotto falsa bandiera, per mantenere una parvenza di ragione in un mondo sempre più caotico, e per rispettare unilateralmente i principi che i piromani deridono.

Due esempi illustreranno l'ipocrisia della situazione:
Nonostante numerosi esperti e osservatori la considerino terminata e vinta da Damasco, la guerra in Siria continua in un contesto confuso e con un rimescolamento delle carte impressionante, scoraggiando qualsiasi analisi attendibile.
Il Dr. Wafik Ibrahim, specialista di affari regionali, osserva che per la sola liberazione, simbolica e peculiare, di Idlib in questo nono anno di guerra, “l’esercito siriano affronta dieci avversari" che unificano i loro sforzi per ostacolare il ritorno alla pace.  Le maschere sono cadute.

Erdogan è incastrato in manovre acrobatiche tra Stati Uniti e Russia e in una strategia aggrovigliata tra Mosca, Teheran, i gruppi terroristici che sponsorizza e le milizie curde che combatte, mentre cerca un ipotetico "cammino” di Damasco. La Turchia è impegnata militarmente e senza riserve con l'invio diretto di rinforzi e armamenti pesanti alle organizzazioni terroristiche, in primo luogo Jabhat al-Nusra (marchio siriano di al-Qaida), ribattezzato Hay'at Tahrir al-Sham (in Arabo: هيئة تحرير الشام, transliterazione: Hayʼat Taḥrīr al-Shām, "Organizzazione per la liberazione del Levante").
Per gli Stati Uniti, si tratta, se non di impedire, di ritardare il ritorno dello Stato siriano nel nord del Paese - governatorato di Idlib e/o la sponda orientale dell'Eufrate - mantenendo alcuni elementi sul terreno come deterrenti, con il pretesto di combattere Daesh che è una creazione de facto del nostro zio Sam – e aggiungiamo i loro “supporti automatici”: Nazioni Unite e Lega Araba, nel ruolo di paraventi legali e utili ausiliari di Washington; Gran Bretagna e Francia, gli associati; L'Arabia Saudita, che continua a finanziare il terrorismo a est dell'Eufrate contro i Turchi, ma si unisce a loro nel governatorato di Idlib; gli Emirati, l'asso nella manica USA specialmente in Siria. Tutti questi protagonisti sostengono le forze resistenti del terrorismo (tuttora 30.000 jihadisti di tutte le nazionalità).

Allo stesso tempo, il capestro delle sanzioni - armi di distruzione di massa il cui uso è un vero crimine di guerra - mira a prevenire la ricostruzione del Paese e a provocare una rivolta contro "il regime ".
In questa congiuntura, il lancio alla fine di maggio di un ennesimo "caso’’ di attacco chimico debitamente attribuito al "regime di Bashar al Assad " (da Latakia) sarebbe quasi una buona notizia, in quanto significherebbe che l'esercito siriano sostenuto dalle forze aeree russe, nonostante le manovre del nuovo Grande Turco, ha finalmente iniziato la liberazione di Idlib, congelata dal settembre 2018 (in seguito alla creazione di una zona di de-escalation sotto l'egida di Russia e Turchia). Lo scenario è ben noto e vi ritroviamo Hayʼat Taḥrīr al-Shām (ex-Jabhat al-Nusra). Le intimidazioni volano, senza dubbio invano, e storie di comodo hanno sempre meno successo.

L'offensiva degli USA contro l'Iran, in seguito al loro ritiro dal “Trattato sul nucleare" del 2015, ha creato profonde tensioni in Medio Oriente. Lo scambio di minacce attiene per lo più alla gesticolazione diplomatica, ma la saggezza è una qualità rara nell'entourage del Paperon de Paperoni alla Casa Bianca. I pompieri si affaccendano per spegnere l'incendio sempre pronto a riaccendersi nei giacimenti di gas e petrolio della regione: tra la Svizzera, l'Oman e la Russia, a chi toccherà di gettare il suo secchio d'acqua sulle scintille? Il Cremlino veglia per non lasciarsi sopraffare: ha sostenuto l'accordo sul nucleare e ha incoraggiato Teheran a rimanervi fedele, ma "gli Americani sono i primi a dare la colpa", "L'Iran è oggi il Paese più controllato e più trasparente al mondo sul nucleare", "La Russia è pronta a continuare a svolgere un ruolo positivo", ma il futuro del trattato "dipende da tutti i partner: Stati Uniti, Europa e Iran ...".

Aiutati che la Russia ti aiuterà... Il discorso è così ragionevole che a volte ci si chiede se la diplomazia russa, tanto "insopportabilmente paziente" non si sia sbagliata d’epoca davanti al fenomeno Trump, al suo Puffo, agli Europei rassegnati e ai pazzi loro alleati ... C’è ancora tempo per le chiacchiere?
       Michel Raimbaud
      Traduzione di: Maria Antonietta Carta
https://www.iveris.eu/list/tribunes_libres/429-pompiers_et_incendiaires_

venerdì 31 maggio 2019

L'Ascensione del Signore nella tradizione siriaca: Salì al cielo come primizia

Vangelo di Rabula (Firenze, Biblioteca Mediceo Laurenziana, ), Siria, 586


di Manuel Nin
 
Nel quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, la festa dell'Ascensione del Signore è attestata già in Eusebio di Cesarea intorno al 325; un secolo e mezzo più tardi Egeria parla di una celebrazione a Betlemme, e non sul Monte degli Ulivi da dove il Signore ascende in cielo e dove invece il raduno dei fedeli col vescovo nel luogo dell'Ascensione e la lettura del vangelo viene fatta la vigilia della Pentecoste. Per la festa, Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo (e Agostino in ambito latino) hanno omelie.
La tradizione siro-occidentale collega molto strettamente l'Incarnazione, la discesa del Verbo di Dio, e la sua Ascensione:  "Oggi il Cristo Dio si innalza dal monte degli ulivi fino al suo Padre glorioso. Oggi gli angeli fanno conoscere agli apostoli il grande mistero della seconda venuta di Cristo. Noi lo vedremo coi nostri occhi di carne". Cristo, salendo in cielo con l'umanità assunta da noi, la fa entrare nel luogo santo, la glorifica e la porta nel paradiso:  "Tu sei entrato nel Santo dei santi e hai preso possesso della dimora non fatta da mano d'uomo. Salendo in cielo ci hai aperto le porte che Adamo nostro primo padre ci aveva chiuso in faccia. Ci hai fatti sedere alla destra di tuo Padre, e gli hai fatto un dono che non può rifiutare, il corpo umano che avevi preso da noi".
Tutti noi redenti, portati con Cristo in cielo, diventiamo offerta al Padre. Questo è un aspetto che si ritrova molto chiaramente nella tradizione siro-orientale, che, chiudendo l'anno liturgico con le quattro domeniche della "dedicazione della Chiesa", sottolinea come la comunità dei redenti dal sangue di Cristo viene presentata e offerta al Padre come corona dell'anno liturgico nel momento della sua piena glorificazione. 
Nei testi liturgici si rilegge il salmo 23:  "Quando gli spiriti celesti ti videro innalzarti in cielo con un corpo vero, furono stupefatti e cominciarono a domandarsi l'un l'altro:  Chi è questo Re della gloria che viene da Edom? È il Signore potente, il Signore vincitore in battaglia. Alzatevi porte antiche, apritevi porte eterne perché entri il Re della gloria". La salvezza operata dal Signore viene presentata nel vespro dalla sua Incarnazione fino alla sua Ascensione:  "Tutti noi, tuoi servi, riscattati dal tuo sangue prezioso, proclamiamo davanti alle schiere celesti:  Benedetto sei tu, che ti sei abbassato per innalzarci dalla nostra umiliazione". Inoltre i testi sottolineano l'attesa della seconda venuta di Cristo e fanno una lettura cristologica di Isaia (61, 3):  "Chi è questo re della gloria che giunge da Edom, cioè dalla terra, e i suoi vestiti sono macchiati di sangue, del sangue del corpo che si è rivestito? Perché i suoi vestiti sono rossi come quelli di chi calca il vino? Il Figlio di Dio si è incarnato, si è rivestito il corpo della nostra umanità. Ha sofferto la croce, la morte e la sepoltura, è risorto ed è salito al cielo". 

La liturgia siro-occidentale sottolinea che nel Monte degli Ulivi è la Chiesa tutta a essere radunata, mentre il collegamento con la seconda venuta di Cristo e la dimensione ecclesiologica della festa sono nell'icona dell'Ascensione. L'immagine è divisa in due parti ben distinte:  nella parte superiore c'è Cristo assiso su un trono, immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. Nella parte inferiore c'è la Madre di Dio e gli apostoli. Dall'Ascensione fino al suo ritorno Cristo presiede la Chiesa, formata dalla Madre di Dio orante e dagli apostoli.
L'Ascensione di Cristo sigilla quindi la riconciliazione tra il cielo e la terra. Come sottolinea un testo in forma di dialogo o disputa (genere letterario molto familiare alla tradizione siriaca), testo che non fa parte della liturgia ma che ne riassume il mistero. Cielo e terra disputano tra di loro e il mistero della redenzione di Cristo riporta la pace:  "Il cielo dice:  In me c'è il Regno e gli angeli; e la terra dice:  In me le Chiese e i giusti. Il cielo dice:  In me ci sono mille e diecimila che stanno davanti al suo trono; e la terra dice:  In me le assemblee e le generazioni che stanno davanti alla sua croce. Il cielo dice:  In me il trono da cui esce fuoco; e la terra dice:  In me l'altare dalla cui bontà esce la salvezza. Il cielo dice:  In me le nuvole che portano le piogge che non hanno bisogno di fontane; e la terra dice:  In me la Vergine che ha concepito senza uomo. Il cielo dice:  In me il fiume di fuoco che rischiara coloro che lo guardano; e la terra dice:  In me il calice della salvezza che risuscita coloro che ne bevono. Dice il cielo alla terra:  Noi siamo due fratelli, non dobbiamo lottare poiché i nostri abitanti sono fratelli". 
Efrem il Siro collega nei suoi inni la discesa di Cristo nell'Ade e la sua glorificazione in cielo:  "Come un chicco di grano cadde nello sheol, e salì come covone e pane nuovo. Dal legno discese come frutto e salì al cielo come primizia. Beata sei tu, o Betania:  il monte dell'arca ed il monte Sinai ti invidiano; non da loro ascese il Signore delle altezze, ma da te ascese. Tu hai visto il suo cocchio glorioso, la nube che chinò la sua altezza verso l'Umile che aveva iniziato a regnare in alto e in basso".

martedì 28 maggio 2019

I sogni turchi dell'annessione islamica di Idlib stanno per svanire


di Steven Sahiounie
trad. OraproSiria

Dal giorno in cui la guerra è iniziata nel marzo 2011 a Deraa, l'ideologia politica dell'Islam radicale è stata al centro della scena. Dall'inizio del conflitto siriano, i miliziani intendevano lottare per abolire il governo laico siriano, al fine di formare un nuovo governo retto dall' Islam radicale . Vedevano i loro vicini cristiani come "pagani" che dovevano essere massacrati. Non erano interessati alla libertà o alla democrazia; stavano combattendo per purificare la Siria da chiunque non fosse come loro.  [* N:d.T. :Riportiamo in calce lo stralcio di un articolo che testimonia l'angoscia anche dei Cristiani Siriaci, di fronte alle mire di espansione turche sul nord-est della Siria: gli Assiri temono di rivivere oggi il massacro di Seyfo del 1915, in cui gli ottomani cercarono di estirpare i Cristiani assiri, siriaci e caldei del Medio Oriente aramaico]

Erdogan, il leader turco, è stato incaricato dai suoi co-firmatari della NATO con il compito di essere il punto di transito dei jihadisti internazionali che si riversano per sostenere il fallito Esercito Libero Siriano (FSA), e la fonte di rifornimenti e armi per le forze “stivali a terra" sostenute dalla NATO , che provengono dai 4 angoli del globo. La Turchia ha beneficiato immensamente del flusso di armi, denaro, prodotti chimici, terroristi e dell'enorme quantità di aiuti umanitari che si riversavano per i profughi siriani.  

Erdogan non doveva preoccuparsi dei cittadini turchi che si lamentavano dell'islam radicale, perché il suo partito al governo AKP era basato sull'Islam duro e stava trasformando la Turchia secolare in un porto sicuro dei Fratelli Musulmani , e aveva la politica di silenziare le voci critiche.
Erdogan ha sviluppato un sogno di annessione della striscia settentrionale della Siria. Il suo sogno stava per realizzarsi, ma l'offensiva su Idlib è iniziata, e il suo sogno si sta trasformando in un incubo. Aveva sostenuto l'FSA e tutti i terroristi, che lui chiama "ribelli", indipendentemente dal fatto che fossero affiliati ad Al Qaeda e molti fossero associati all'ISIS. Ora sta inviando rinforzi a Idlib, fornendoli di armi sofisticate. Tuttavia, i terroristi che comanda non usano aerei, tranne i droni.   Un articolo recentemente firmato da un media filo-Erdogan, nel titolo si chiedeva se la Turchia avrebbe perso Idlib: il che dà l'impressione che il governo turco abbia ritenuto di avere diritto a Idlib e descrive chiaramente come il presidente turco vede il presidente siriano.

La popolazione civile di Idlib è dipinta dai media occidentali come timorosa dell'avanzata militare siriana e russa. Le nazioni della NATO all'ONU invocano sempre il nome dei civili di Idlib come se fossero tutti di un solo pensiero e che tutti volessero rimanere nelle mani dei terroristi. 
Selma (nome cambiato per motivi di sicurezza) ha telefonato a sua sorella a Latakia e le ha detto "Ogni volta che ascoltiamo carri armati, stiamo pregando che l'esercito venga a liberarci, i miei bambini e io abbiamo le nostre bandiere bianche pronte. Potremmo essere risparmiati, o potremmo morire nella battaglia, ma comunque finiremo per liberarci". La sorella di Selma ha raccontato storie di sofferenza, privazione e vita sotto la legge islamica. 
Selma ha raccontato come in passato la vita sotto l' FSA , sostenuto dall'America, fosse stata più facile da sopportare, tranne che essi estorcevano denaro e ottenevano un profitto dal loro potere. Tuttavia, con il passare degli anni, l' FSA si è dissolto e i jihadisti stranieri hanno ora il controllo di tutto. Non tutti parlano arabo e non praticano una religione riconoscibile, ma qualche nuovo culto fanatico che utilizza la paura per soggiogare i civili. Ogni ragazza o donna è un bersaglio sessuale  ambito.  Idlib non fa parte della Siria: è diventato uno stato islamico.

L' accordo russo-turco firmato a Sochi nel 2018 implicava che Erdogan avrebbe rimosso fisicamente i terroristi dai civili. L'accordo non è mai stato un cessate il fuoco o una zona di non conflitto: era uno strumento per assicurare che i civili disarmati non venissero danneggiati quando le forze russe e l'esercito arabo siriano (SAA) combatteranno per eliminare i terroristi collegati ad Al Qaeda.  Alla fine, non valeva la carta su cui era scritto, poiché Erdogan non ha fatto mai alcun tentativo di rimuovere i terroristi, e invece ha costruito numerosi avamposti all'interno di Idlib, quindi in effetti annettendo il territorio alla Turchia, e tutti con un coordinamento esplicito tra i gruppi allineati di Al Qaeda .  

Attualmente, l'esercito arabo siriano sotto il comando del generale Suhel Al-Hassan e della sua élite "Tiger Forces" sta spingendo in avanti nel tentativo di riguadagnare Idlib, liberare i civili e sterminare i terroristi. Questo crescendo è stato visto precedentemente in Bab Amro, East Aleppo e East Ghouta.  

Risoluzione 2249 del 2015 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: "Gli Stati membri delle Nazioni Unite sono chiamati a sradicare i paradisi stabiliti su Siria / Iraq dall'ISIL (Stato islamico / ISIS), dal Fronte di Al Nusra (affiliazione di AlQaeda in Siria) e" tutte le altre entità associate con Al Qaeda. ". 
Tutti gli occhi sono puntati su Idlib mentre si avvicina il finale.
http://inforos.ru/en/?module=news&action=view&id=92045



* Discendenti dei sopravvissuti del Seyfo: i cristiani siriaci si oppongono alla "zona sicura" turca in Siria
Le zone di confine tra Turchia e Siria sono punteggiate da piccole chiese cristiane siriache. Lo scorso autunno, i proiettili sono penetrati nel muro di una chiesa nel villaggio di Tel Jihan, nel nord-est della Siria, a soli quattrocentocinquanta metri dal confine turco. La gente del posto mi ha detto che non è un incidente isolato. I cristiani siriaci si riferiscono a se stessi come "discendenti di sopravvissuti". Molti dei loro antenati morirono nel massacro di Seyfo del 1915 in cui circa ottocentomila cristiani furono uccisi dagli Ottomani. L'evento ha ricevuto poca attenzione dagli studiosi, portando lo storico Joseph Yacoub a chiamarlo "genocidio nascosto". Questa comunità – che include cristiani siriaci, assiri, caldei e armeni - non ha dimenticato la persecuzione subita per mano degli ottomani un secolo fa. Ed è proprio questa esperienza il motivo della loro attuale opposizione al piano di Ankara di schierare le truppe turche a est dell'Eufrate. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan sta cercando di definire il piano come una "zona cuscinetto" o "zona sicura". Per i siriani, è un altro intervento di una potenza straniera. Invece di indurre un senso di sicurezza, l'idea di schierare truppe turche in patria riaccende i ricordi del trauma subito dalla loro comunità.
 In contrasto con il genocidio armeno, il massacro di Seyfo del 1915 ha ricevuto pochissima attenzione dagli studiosi. In uno dei primi libri in lingua inglese sull'argomento, "Year of the Sword" pubblicato dalla Oxford University Press, lo storico Joseph Yacoub descrive le uccisioni di massa del 1915 come un "genocidio nascosto" che ha ucciso circa trecentomila persone. Era un periodo in cui "gli ottomani cercavano di estirpare i cristiani assiri, siriaci e caldei del Medio Oriente aramaico". Un altro libro dovrebbe essere pubblicato alla fine di questo mese dalla Harvard University Press, “Il genocidio dei trent'anni: La distruzione turca delle sue minoranze cristiane 1894-1924", di cui furono coautori Benny Morris e Dror Ze'Evi. Mentre anche i curdi sono stati perseguitati durante questo periodo, almeno una tribù curda ha collaborato con l'esercito ottomano nel prendere di mira le minoranze non musulmane della regione.
Virtualmente ogni famiglia cristiana nel nord-est della Siria ha un parente o un antenato che è stato direttamente colpito dalle atrocità ottomane. Il passaggio del trauma da una generazione all'altra è noto come trauma transgenerazionale. Se gli Stati Uniti sono d'accordo con il piano della Turchia di schierare truppe nella Siria nord-orientale, Washington potrebbe diventare complice della perpetuazione del trauma transgenerazionale tra la minoranza cristiana della Siria, anche se le truppe si astenessero dagli abusi commessi ad Afrin l'anno scorso....