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martedì 26 marzo 2019

Daesh. I figli e le spose del nemico

di Marina Corradi

Ha un viso giovane, ma già provato da tutta la morte passata sotto ai suoi occhi neri. Nesrin Abdullah è la portavoce delle unità combattenti curde femminili. È un ufficiale e come tante compagne ha aspramente combattuto, eppure quando incontra, nelle terre appena riconquistate al Daesh-Isis, un inviato del 'Corsera', per prima cosa non parla della vittoria, ma del destino di duemila bambini. I lettori di 'Avvenire' già sanno che anche questa storia minore e straziante (ne abbiamo cominciato a dare conto nella primavera di un anno fa con il reportage di Federica Zoja: «Spose del Daesh, le nuove perseguitate»), si sta scrivendo sotto i troppo rari titoli concessi in Occidente a una guerra poco vista e ancor meno raccontata.
E ora Nasrin dice di duemila figli delle donne del Daesh, giovani madri che li hanno educati nel mito della guerra santa per il Califfato, e che continueranno a farlo, anche se con Baghuz l’ultima roccaforte degli jihadisti è caduta. Bambini di magari cinque anni, già addestrati a sacrificarsi in attentati suicidi. Bambini, però. E Nesrin Abdullah si domanda che cosa l’esercito curdo potrà fare ora di loro, e come sarà possibile separare da madri che educano nell’odio i figli piccolissimi. Duemila figli di ceceni, turchi, tunisini, francesi, e anche italiani, raccolti con le mamme tra le rovine di Baghuz. Che ne faremo, si chiede la donna soldato Abdullah, aggiungendo con angoscia: «Per noi, è come vedere un serpente crescere nel ventre di una madre ». Immagine tremenda, ma comprensibile nella ferocia della guerra siriana. La bandiera del Daesh è stata ammainata, però cellule scampate, come in una metastasi, potrebbero riorganizzarsi.
E quei duemila bambini cresceranno rapidamente. Non si capisce, dalle parole della militare curda, se prevalga verso i figli del nemico il timore, o un’apprensione anche materna: che sarà di loro, adesso? Di loro, e delle giovanissime madri, spesso adolescenti, indottrinate alla guerra santa dai loro uomini. Che forse ora sono morti o, comunque, si sono dileguati. Ma la guerra continua: i figli sono educati al sacrificio della vita. (Chissà, nel plagio, quanta violenza devono usare su se stesse queste madri, per insinuare l’idea della morte in un figlio che hanno messo al mondo e allattato, in un figlio che amano). In un regime dittatoriale, la risposta alla domanda di Nesrin Abdullah sarebbe semplice. In un regime dittatoriale i figli del nemico, sottratti alle madri, verrebbero rinchiusi in qualche istituto di rieducazione intensiva, dove accumulerebbero odio su odio.
Ma la giovane curda sembra porsi in un’altra prospettiva, se si chiede come separare i figli dalle madri, e che fare di queste donne giovanissime. Che l’Europa ci aiuti, dice al giornalista italiano. Come immaginando che l’Occidente offra asilo e rieducazione a bambini e madri, che accolga in sé il nido del nemico e riporti queste giovani vite nell’orbita della pace.
Che grande prova, pensi, sarebbe per un’Europa stanca, e avvilita in orizzonti ristretti. Ma, temi, ci vorrebbe un altro respiro, un altro coraggio, un’altra certezza di ciò che siamo e vogliamo essere. Che fine faranno dunque i bambini del Daesh e le loro madri ragazzine? Nelle rovine ancora fumanti del Califfato nero dubitiamo che siano considerati la prima emergenza dalle potenze interessate al destino della Siria. Forse solo perché sotto la tuta mimetica di quell’ufficiale c’è una donna, questo dramma almeno per un momento torna a emergere chiaro.
Perché gli uomini, nella storia, si sono sempre preoccupati di vincere le guerre, di annientare i nemici, di issare nuove bandiere sulle terre conquistate. Ma ci sono, dietro a una guerra intestina e feroce come quella siriana, altre guerre, che non si vincono con le armi, e sono le più ardue. Sono la ricomposizione delle lacerazioni nella popolazione, e dell’ansia di vendetta; la cura degli orfani, l’educazione della nuova generazione, l’unità da ritrovare. Una vittoria militare si raggiunge bombardando, piegando, annientando. Molto maggiore è la umana fatica per ricominciare, per tessere la pace. Uccidere è un attimo, tornare a far vivere richiede anni di pazienza e fiducia nel prossimo.
Per questo i duemila piccoli figli del Daesh sono una domanda grave non solo per i curdi e la regione siriana, ma anche per l’Occidente, del Califfato nero il grande nemico. Come recuperarli dall’odio in cui sono stati allattati? E che vittoria sarebbe, già impegnarsi in una tale impresa; vittoria senza schianti di bombe, né carri armati che sfilano trionfanti. Un’altra, sommessa vittoria. Non è cosa per eserciti. Per padri, invece, e madri, per uomini e donne miti e tenaci, che non issano bandiere su campi di battaglia annichiliti nel fuoco e nella polvere.

sabato 23 marzo 2019

Riflessioni quaresimali dai cristiani nelle catacombe siriane


Riflessioni di padre Hanna Jallouf, consegnate al S.I.R., che accompagneranno il cammino quaresimale verso la Pasqua.  Padre Hanna Jallouf è il parroco latino di Knayeh, villaggio siriano non distante proprio da Idlib. Francescano siriano della Custodia di Terra Santa, padre Hanna, 66 anni, è rimasto con il suo confratello Louai Bsharat a prendersi cura della sparuta comunità cristiana locale. Tutti i preti e i sacerdoti che c’erano sono fuggiti dopo che molte chiese e luoghi di culto sono stati distrutti o bruciati. Lo stesso parroco fu rapito, nell’ottobre 2014, con altri suoi parrocchiani da un gruppo islamista e poi rilasciato. “Come agnelli in mezzo ai lupi”, dice ricordando le parole del Vangelo.

1  Mercoledì delle Ceneri
 La Quaresima è un tempo di grazia durante il quale prepararsi alla Pasqua. Un tempo privilegiato per guardarsi dentro e rifare i conti con noi stessi davanti al Signore. Così come un bravo contadino che fa i suoi conti alla fine dell’anno per vedere come è andato il raccolto.
 Questo tempo è basato su quattro colonne: digiuno, preghiera, carità e pentimento.
 Ma spesso siamo soliti ricordare solo la carità e dimenticare il digiuno, la preghiera e il pentimento. Il nostro essere ha bisogno di uscire dal quotidiano di tanto in tanto, per rinnovarsi e per riscoprire il suo valore. Ma non si può fare questo passo se non seguiamo le quattro colonne della Quaresima.
La Chiesa ha semplificato il digiuno affinché ogni cristiano scelga il modo di passare questo periodo, per arrivare alla Pasqua del Signore. Cerchiamo di scoprire questa strada grazie alla parola del Signore che ci viene offerta ogni Domenica nell’Eucarestia.
 Da noi, qui in Siria, tanti cristiani ancora osservano la vecchia forma del digiuno, cioè prendere un pasto al giorno. Senza carne, senza pesce, senza grassi, senza latte e formaggi. Solo erbe e cereali conditi con olio. Essi praticano tante forme di pietà religiosa per arrivare alla festa di Pasqua rinnovati umanamente e spiritualmente.
 Cerchiamo, dunque, di vivere questo tempo per riscoprire la nostra fede e la nostra dignità cristiana”.

2  Guardiamo al deserto di Gesù
 Il deserto è il luogo della prova secondo la Bibbia, in cui il popolo di Dio ha imparato a fidarsi del Signore. Il deserto è anche il luogo dei grandi prodigi di Dio, dove Egli ha unito a sé il suo popolo.
 Gesù fa l’esperienza del deserto, spinto dallo Spirito Santo, perché possa il deserto porre le basi della sua missione di salvezza e mostrare che il maligno va sconfitto attraverso la piena fedeltà al Padre e la totale donazione ai fratelli. In tale modo Cristo inaugura il cammino, che ogni uomo deve compiere, per tornare al Padre.
 Quaranta anni, quaranta giorni, sono un tempo di purificazione e di rinnovo per riscoprire la nostra dignità umana. Un tempo per rigettare tutta la polvere che è stata accumulata durante il nostro cammino verso il Signore.
 Gesù esce vittorioso da questa prova, è perciò è modello e speranza anche per le molte tentazioni che la vita di ogni uomo incontra.
 In questo tempo particolare orientiamo il nostro cuore alla sobrietà, all’essenziale, al primato di Dio e alla sua parola, alla ricerca di ciò che realmente è necessario, guardando al nostro modello Gesù che nel deserto ha orientato il suo cuore.

3  All'improvviso una schiarita e si intravede la destinazione
 La Quaresima che abbiamo iniziato è un cammino diretto verso un avvenire di luce. Quando camminiamo per una strada, nel fondo di una valle, sotto il cielo piovoso, ci capita di non vedere più la mèta della nostra direzione. All’improvviso una cima, una schiarita: di nuovo riusciamo ad intravedere la destinazione. Abbiamo ritrovato l’orientamento. Ritorna il coraggio ed è possibile riprendere il cammino.
 Impegnati nel quotidiano della vita, abbiamo riconosciuto mediante la fede, che la vita può condurci a Dio, ma a volte le difficoltà ci sovrastano, ci sentiamo disperati.
 Allora ecco la trasfigurazione illumina la nostra via e la nostra vita. La trasfigurazione non è uno spettacolo a cui si è invitati ad assistere, ma una esperienza mistica che non si coglie con gli occhi della carne, dei sensi, ma con lo sguardo della fede. Mosè ed Elia sono lì a rassegnare le loro dimissioni e per di più ad accettare lo sfocio conclusivo del disegno di Dio, che si apre nel paese di Canaan, ma si chiude nel mondo della Resurrezione. Gesù si trasfigura, per dirci che in Lui sono compiute tutte le profezie e le leggi, e la sua resurrezione illumina la nostra strada nel mondo.
 Lo scandalo della croce diventa, trono e mèta di salvezza.
 Nella mia parrocchia, durante la Quaresima, prima di iniziare la Via Crucis, con la benedizione si recitano i salmi penitenziali. Si conclude la messa della reliquia della Santa Croce, in cui si dice: “La grazia del Signore sia sempre con voi. Il ricordo della Sua passione rimanga nei vostri cuori e il segno della Sua Croce vi protegga da ogni male, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”.

4  Quaresima: liberare il mondo dal potere del terrorismo
 Le letture di questa domenica ci parlano della necessità di convertirsi per non perire e portare frutti di bene nel mondo. Questi frutti hanno all’origine la chiamata divina, che ci chiede di cambiare il nostro cuore e di aprirlo al suo messaggio di salvezza per essere, nel luogo in cui Egli ci manda, suoi messaggeri. L’esempio ci viene da Mosè, il quale conduceva una vita tranquilla, quando Dio entra nella sua esistenza e gli affida una missione “impossibile”: Liberare Israele.
 Mosè, davanti al roveto che non si consuma, è il simbolo dell’uomo davanti alla trascendenza di Dio, e il simbolo dell’accettazione umile della chiamata divina a compiere una missione.
Davanti a questa visione, Mosè deve restare scalzo; il terreno su cui cammina è sacro, è in presenza del Santo del santi. E tale presenza richiede purezza, incontaminazione.
 Nulla di ciò che può condurre alla morte può esserci in chi è chiamato da Dio, altrimenti la sua missione rischia di fallire, di diventare vana. Tale purezza è essenziale per fare trasparire Dio; perché in ogni opera condotta nel nome di Dio, è lui che deve essere riconosciuto e non l’uomo.
 Anche noi oggi come cristiani, siamo chiamati ad una grande missione “impossibile”, liberare il mondo dal potere del male, dal potere del terrorismo, che aumenta giorno dopo giorno.
 La strada inizia da noi stessi, cioè ritornare all’origine della nostra credenza in Cristo Gesù unico Salvatore, combattere il male con il bene e non con le armi, combattere il male con il buon esempio.
Un giorno, un integralista musulmano, parlando con lui, mi disse: “Voi cristiani, vero che non avete portato armi contro di noi, ma ci avete ucciso con il vostro amore e con la vostra carità”.

Padre Hanna,  parroco latino di Knayeh-Siria

mercoledì 20 marzo 2019

Il futuro della Siria senza l'Occidente

Siria: di Nizar Ali Badr
Questo articolo non è scritto da un «diabolico» commentatore russo putiniano o da un «fanatico propagandista» iraniano o da un «fiancheggiatore» degli Hezbollah o da un «acritico» baathista siriano - come magari potrebbe sembrare a un ipotetico lettore abituato ad abbeverarsi alle fonti dell’informazione mainstream che continuano a propinare la lettura degli accadimenti secondo una visione del mondo diremmo… parziale? - No. È di un giornalista e scrittore francese, attento e profondo conoscitore della questione mediorientale nel nostro tempo. 
Perciò, mi è sembrato che meritasse di essere tradotto e proposto alla vostra attenzione e riflessione. Devo dire però che io, a differenza dell’autore dell’articolo, non sono altrettanto ottimista sia sulla ‘’collaborazione’’ delle YPG sia sulle buone intenzioni della Turchia da una parte e sulla volontà di ritirarsi degli USA dall’altra.
 Richard Labévière è giornalista e consulente internazionale oltre che autore di quindici libri, tra cui: Les Dollars de la terreur - Les Etats-Unis et les islamistes (Grasset, 1998), e La Tuerie d'Ehden ou la malédiction des Arabes chrétiens (Fayard, 2009), [sul conflitto inter-cristiano, tra i falangisti alleati con Israele e gli Arabi cristiani che rivendicavano la loro piena appartenenza al mondo arabo. Trent'anni dopo, il generale Aoun e Sleiman Frangieh incarnano il futuro degli Arabi cristiani, e la loro lotta rappresenta una negazione del cosiddetto «Scontro di civiltà» tra l'Occidente e l'Oriente]. 
 Labévière ha appena pubblicato un libro sulla Siria, coautore Talal el Atrache, dal titolo: Quand la Syrie s'éveillera, ed. Perrin: dalla nascita del nazionalismo arabo e dalla creazione di Israele alle conseguenze della caduta di Baghdad nel 2003. Gli autori raccontano anche come l'assassinio del Primo ministro libanese Rafic Hariri abbia favorito un tentativo di rovesciare il governo siriano e di come la «guerra globale al terrorismo» abbia contribuito al caos globale. Essi inoltre sostengono che, nonostante questi anni bui, la Siria «è tornata ad essere innegabilmente il Paese chiave del Medio Oriente».
  Maria Antonietta Carta

IL FUTURO DELLA SIRIA SENZA L'OCCIDENTE

di Richard Labévière 

 Ci sono crisi difficili da comprendere a causa delle loro radici profonde, delle loro ramificazioni complesse, delle evoluzioni imprevedibili e delle analisi spesso deliranti. È così per i il conflitto arabo-israeliano, le guerre balcaniche o i genocidi ruandesi: tutti eventi diventati totemici e oggetto di culti irrazionali. Sotto questa angolazione teologico-politica, la Siria occupa un posto speciale perché al tempo stesso risveglia tre demoni insubordinabili: quello delle scorie coloniali e risentimenti del mandato francese della Società delle Nazioni (SDN); quello dell'antisovietismo durante la Guerra Fredda; e quello del buon Curdo, maronita, Kosovaro, Bosniaco, Cabilo, Tuareg o Papuano…

I TRE DEMONI
 Il primo demone resta profondamente radicato nella memoria della nostra diplomazia, che continua a ripete gli stessi errori commessi durante la rivolta del Gebel druso (1). Proclamando in perfetta sintonia con David Cameron e Barack Obama, dall’estate 2011, che «Assad deve lasciare il potere», Nicolas Sarkozy e Alain Juppé prendevano la decisione assolutamente incomprensibile di chiudere l'ambasciata di Francia a Damasco, nel marzo 2012. Figuriamoci se si dovessero chiudere tutte le cancellerie situate in Paesi con cui la Francia avesse delle divergenze! È quando una relazione bilaterale diventa tesa che i diplomatici possono, in linea di principio dare la piena misura della loro competenza; per non parlare dei servizi speciali che sono lì proprio per esplorare le possibilità di dialogo.
 Il secondo demone, ancora più grottesco, risveglia i numerosi cliché polimorfi e permanenti dell’anti-comunismo mondiale nato dopo la rivoluzione sovietica del 1917; e che la caduta del muro di Berlino ha ravvivato attraverso molteplici personaggi sempre pronti a dipingere la Russia come male assoluto, subdolo e vendicativo. In questa prospettiva, Putin può essere solo la reincarnazione di Ivan il Terribile o di Felix Dzerzhinsky, fondatore della Ceka, antesignana del KGB e FSB. Per chiarire trucchi, programmi e dichiarazioni, si dovrebbe leggere o rileggere con grande attenzione l’opera di Guy Mettan (2): Russie – Occident, une guerre de mille ans. In quest’ottica, il capo della diplomazia francese Jean-Yves Le Chouchen non perde mai l'occasione di ricordare che, insieme al terrorismo, la Russia rimane il primo Paese che minaccia la Francia! E quando si ha l'ardire di chiedere più specificamente come e perché, i piccoli marchesi del Quai d'Orsay sollevano lo sguardo verso il cielo, indignati con chi ha osato rivolgergli una domanda del genere.
 Cugino del primo demone coloniale, l'ultimo moltiplica le iniziative per scongiurare la pretesa di poter accedere all'autodeterminazione nazionale e ai suoi principi di indipendenza e sovranità. Fa scontrare i Cabili contro gli Arabi, i maroniti contro i musulmani, i Kosovari e i Bosniaci contro i Serbi, i Tuareg contro i Pirogue e così via. In conformità alla locuzione latina divide et impera, cerca di sfruttare le minoranze etniche e religiose. Proprio come David Ben-Gurion aveva raccomandato di fare contro i Popoli arabi affinché regredissero allo stadio di tribù primitive per il massimo beneficio del giovane Stato di Israele.
 Questa volontà di frammentazione tribale fu persino teorizzata da un funzionario del Ministero degli Affari Esteri israeliano - Oded Yinon - nel febbraio 1982. Secondo il diligente funzionario, l'interesse di Tel Aviv consisterebbe nel promuovere la creazione, all’interno del mondo arabo, di micro-Stati antagonisti troppo deboli e troppo divisi per opporglisi efficacemente: «La disgregazione della Siria e dell'Iraq in regioni individuate in base a criteri etnici o religiosi deve essere, a lungo termine, obiettivo prioritario per Israele. Il primo passo è la distruzione del potere militare di questi Stati (...). Ricco di petrolio e tormentato dalle lotte intestine, l'Iraq è nella linea di fuoco israeliana. La sua dissoluzione sarebbe più importante per noi di quella della Siria, perché è quello che rappresenta, a breve termine, la minaccia più seria per Israele».
 In questa prospettiva, i Curdi sono stati innalzati a eroi nella lotta contro Dae'sh e altre fazioni terroristiche, mentre le spie israeliane armavano e informavano gli stessi gruppi terroristici, evacuando e curando i loro feriti, in particolare sulle alture del Golan e nel nord del Libano!

L'ALIBI DELLA LOTTA CONTRO IL TERRORE
 Certamente, questi poveri Curdi sono stati, più spesso che no, i cornuti della storia. Alla fine della prima guerra mondiale, inclusa nei vari trattati sulla gestione dello smantellamento dell'Impero ottomano, la promessa di uno Stato curdo indipendente fu sostenuta dalla totalità delle potenze occidentali. Ma la ripartizione - nella regola petrolifera dei nuovi Stati del Medio Oriente – rese la promessa perfettamente impossibile da mantenere, nonostante i Curdi abbiano continuato a rincorrere questa chimera molto utile.
 In effetti, Tel Aviv aveva capito molto rapidamente tutta la convenienza di questa «ingiustizia storica». Indipendentemente dai legami di parentela molto ipotetici tra il Popolo curdo e la «tredicesima tribù» di Israele, i servizi speciali ebraici si insediarono - a partire dagli anni '50 - nel Kurdistan iracheno con un duplice obiettivo: promuovere la frammentazione dell’Iraq in conformità al piano di Oded Yinon e destabilizzare il vicino Iran armando il PEJAK, la milizia kurda del Kurdistan Iraniano, nella regione di confine di Kermanshah.
 Ma il meglio sarebbe arrivato con la proclamazione del Califfato di Dae’sh, il 29 giugno 2014! Mentre favorivano i vari gruppi armati che cercavano di rovesciare il «regime di Bashar al-Assad», come continua a sostenere la stampa occidentale dall'estate del 2011, Tel Aviv, Washington, Londra, Parigi e le monarchie petrolifere del Golfo non cessavano di utilizzare la milizia curda per condurre la guerra contro il terrore! Una gran storia ...
 Durante la sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del settembre 2015, Vladimir Putin propose agli Occidentali di formare un'unica coalizione per combattere il terrorismo, ma essi opposero un rifiuto stizzito. Il motivo è evidente. Dall'agosto 2015, gli Stati Uniti avevano assunto il comando di una coalizione «anti-terroristica», ufficialmente incaricata di combattere Dae'sh. Quando il presidente russo fece il punto, bisognava riconoscere che questa armata aveva fallito completamente, anzi per meglio dire era servita a sostenere e armare le fazioni terroristiche che avrebbe dovuto combattere per indirizzarle contro l’Esercito governativo siriano e le autorità legali del Paese!
 Dall'autunno del 2015, l'esercito russo interviene in Siria su richiesta del governo siriano, mentre i servizi speciali americani, britannici e francesi (fuori da ogni principio di legalità internazionale) vi agivano dall'estate 2011! Molto prima di adornarsi con le penne di pavone della lotta contro il terrorismo, le potenze occidentali avevano già deciso di fare della Siria quello che avevano fatto dell'Iraq e della Libia: uno Stato-Nazione imploso, frammentato se non eliminato completamente dalla mappa e sostituito con un’accozzaglia di comunità, fazioni armate e gruppi mafiosi utili per una rinnovata tribalizzazione estesa all’intera Mezzaluna fertile.
 In questo contesto, - stiamo parlando del fatto che si cerca di distruggere la Siria e impiantare un regime al soldo degli Occidentali, di Israele e dei Paesi del Golfo - i Curdi sono diventati alleati di primo piano, a cui forze speciali americane, britanniche e francesi consegnano armi, sistemi di comunicazione, intelligence e supporto logistico in nome della sacrosanta lotta contro il terrorismo. Ma senza fare i conti con le buffonate di Donald Trump che non vuole vedere il suo Paese giocare ai gendarmi del mondo a fondo perduto. E l'inquilino imprevedibile della Casa Bianca annuncia – lo aveva esplicitamente scritto nel suo programma elettorale - il ritiro delle forze speciali statunitensi dalla Siria (3). Catastrofe per Londra e Parigi che si ritrovano da sole a interferire in Siria contro ogni legge internazionale!
 Con un'ingenuità da non credere, se non con sicura stupidità, Le Figaro del 3 gennaio riprende l'antifona, combinando contemporaneamente Fake News, propaganda e moralismo: «Come mantenere la pressione contro Dae'sh, stanare i jihadisti francesi e minacciare il regime quando lancia attacchi chimici senza il supporto degli Americani?» Sugli «attacchi chimici», consiglio vivamente di leggere e ascoltare le ultime interviste al diplomatico brasiliano José Bustani, che è stato il primo direttore generale dell'OPCW (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche), estromesso nel 2002 da Washington. I «giornalisti» di Le Figaro conoscono almeno il suo nome?
 E il quotidiano di Dassault continua: «Come difendere i valori democratici di fronte all’intensificarsi dell'autoritarismo e alla crescente influenza di potenze considerate destabilizzanti - Iran, Russia, Turchia - che in Medio Oriente si insinuano nel vuoto lasciato dalla partenza americana?» Chi pensa che Iran, Russia e Turchia siano «potenze destabilizzanti» mentre difendono logicamente i loro interessi nella regione? Certo, dalla fine della Guerra Fredda chi potrebbe decidere che i Paesi occidentali sono coinvolti in intrighi, se non in guerre «destabilizzanti?»
 Sotto forma di ode macroniana, la conclusione è ancora più patetica: «Da solo non poteva cambiare il sistema. L'Europa sarà in grado di trovare energia e risorse sufficienti per prendere in mano la sua difesa, trasformarsi in potenza e compensare l'indebolimento del legame transatlantico»? Europa: quante divisioni? Un'altra domanda è necessaria: quando i giornalisti parigini troveranno l'intelligenza e la forza per fare correttamente il loro lavoro?

LA SVOLTA DI ALEPPO
 In seguito all'appello dei Curdi delle Unità di protezione del popolo (YPG), che chiedevano a Damasco di andare a proteggerli dai Turchi di Manbij, il comando dell'esercito siriano ha annunciato il suo ingresso nella regione. Le forze governative siriane lo scorso venerdì 4 gennaio hanno formalizzato il loro ingresso in questa città cruciale del nord della Siria (con le località curde di Kobane e Hasakeh), finora sotto controllo curdo. La bandiera siriana è stata issata in città e l'esercito ha dichiarato di «garantire la sicurezza dei cittadini siriani e di tutte le altre persone presenti a Manbij».
 All'inizio della giornata, le milizie curde YPG hanno esortato le forze siriane a prendere posizione per evitare un'offensiva da parte dell'esercito turco. La milizia curda, che Ankara considera un movimento terroristico strettamente legato al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), assicura che i suoi membri hanno lasciato la città per combattere Dae'sh nell'est del Paese. Da parte sua, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha descritto l'annuncio dell'ingresso dell'esercito siriano a Manbij come «impatto psicologico». «Per il momento, la situazione non presenta uno sviluppo serio e concreto», ha riportato il quotidiano Hürriyet.
 Quest'ultima riconquista dell'esercito governativo siriano è una buona notizia per diverse ragioni: essendo coperta da Mosca, esclude la possibilità di un intervento turco; completa il ripristino della sovranità siriana su quasi tutto il suo territorio storico; infine, incoraggia i Curdi a riprendere i negoziati con il governo di Damasco, interrotti nel 2013.
 Altri tre avvenimenti importanti rafforzano Damasco: il primo ministro iracheno Adel Abdel Mahdi ha annunciato il 30 dicembre scorso, che alti funzionari della sicurezza a Baghdad avevano incontrato il presidente siriano Bashar al-Assad a Damasco. Il loro incontro ha portato ad un accordo di cooperazione militare nella lotta contro l'organizzazione Stato Islamico / Dae'sh con il ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno deciso di riaprire la loro ambasciata a Damasco, evento foriero di una possibile normalizzazione dei rapporti con gli altri Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, il primo dei quali Arabia Saudita. Infine, colloqui di pace in Siria con i presidenti di Russia, Iran e Turchia sono previsti per l'inizio del 2019. «È il nostro turno di ospitare il summit dei tre Paesi garanti con il presidente turco, quello iraniano e la Siria. Concordando che avrebbe avuto luogo intorno alla prima settimana dell'anno. Ciò dipenderà dall'ordine del giorno dei presidenti», dichiarava il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov citando Interfax. Il vertice fa parte del processo di pace di Astana, che dal gennaio 2017 ha riunito rappresentanti di Damasco e una delegazione dell’opposizione, senza il coinvolgimento di Washington. È guidato da Russia, Iran e Turchia.
 Capitale per il futuro della Siria e del Medio Oriente, il vertice di Mosca si riunirà senza l'Occidente, secondo un formato predisposto durante la battaglia di Aleppo, vale a dire una base tripartita tra Russia, Turchia e Iran, potenze regionali «considerate destabilizzanti» dagli oracoli di Le Figaro. Non sorprende che questa evoluzione sia descritta in modo particolareggiato nel libro magistrale del diplomatico russo Maria Khodynskaya-Golenishcheva (4). Più intelligenti di quelli di tutto il mondo, i giornalisti parigini e i diplomatici francesi hanno davvero bisogno di leggere libri simili?
 Se gli avessero dato uno sguardo, avrebbero potuto anticipare più o meno quello che significa «La svolta di Aleppo» e quali soggetti avrebbero gestito la ricostruzione politica ed economica della Siria. Avrebbero anche capito come e perché la Francia si era estromessa dai giochi in Siria e nell’insieme della Regione, perdendo una dopo l’altra le sue posizioni tradizionali in Medio Oriente. Disastrosa per il nostro Paese, questa prevedibile evoluzione - che prochetmoyen-orient.ch cerca di spiegare da diversi anni – è arrivata persino a preoccupare il quotidiano Le Monde, lo stesso Le Monde che da Marzo 2011 alimenta una campagna anti-siriana assolutamente delirante.

 Fedele servitore della doxa fabiusiana - «I ragazzi di al-Nusra (al-Qaeda in Siria) fanno un buon lavoro» e «Bashar non ha il diritto di esistere» - Marc Sémo di Le Monde, guarda caso, ha appena scoperto - oh miracolo! - che «nel dossier siriano la Francia è ... isolata». Meglio tardi che mai, anche se almeno da quando gli sviluppi sul terreno contraddicevano appieno le sue analisi ideologiche, Le Monde avrebbe potuto non solo fare il mea culpa, ma provare a ritrovare l’essenza della sua attività, informando i suoi lettori invece di fargli il lavaggio del cervello con frasi moralistiche, ideologiche e false.
 Una cosa è certa: come recentemente hanno confermato diversi leader siriani di altissimo livello, la ricostruzione politica ed economica della Siria si farà senza la Francia. "Prima di vedere una compagnia francese tornare in Siria, le autorità di questo Paese faranno appello a qualsiasi altro partner, anche americano", si lamenta un alto diplomatico francese inviato nella regione, «Il governo di Damasco - in qualunque situazione - farà pagare caramente, molto caramente, al nostro Paese e per molto tempo la sua politica, dal 2011 la più anti-siriana tra i Paesi occidentali». Ancora una volta, il Quai d'Orsay avrà privilegiato non si sa quali interessi, ma non certo quelli della Francia eterna.

 Richard Labévière, 7 gennaio 2019
   Trad. Maria Antonietta Carta
1) La rivolta drusa del 1925-1927, più tardi chiamata Rivoluzione siriana o rivoluzione nazionale, in arabo (الثورة السورية الكبرى, alththawrat alssuriat alkubraa), è stata la più importante rivolta contro il potere francese in Siria. Scoppiò nel Gebel druso per poi propagarsi verso Damasco, il Golan, il Qalamun, Hama e nel Sud-Est del Libano. A capo dell’insurrezione, il capo druso Sultano al-Atrash.
2) Guy Mettan, Russie – Occident, une guerre de mille ans – La russophobie de Charlemagne à la crise ukrainienne. Editions des Syrtes, maggio 2015.
3) Siria: La saggia decisione di Donald Trump, prochetmoyen-orient.ch, 24 dicembre 2018.
4) Maria Khodynskaya-Golenishcheva : Alep, la guerre et la diplomatie. Editions Pierre-Guillaume de Roux, ottobre 2017.

martedì 19 marzo 2019

La battaglia quotidiana di MHARDEH



La notte cade sulla Siria . A nord della città di Hama, una pioggia gelida spazza la piccola città di Mhardeh. In macchina, sono accompagnato da Salem, un cristiano damasceno che ha combattuto per più di cinque anni per difendere questa città, che è diventata un simbolo della resistenza siriana al terrorismo internazionale.  I controlli militari si intensificano fino a quando arriviamo all'ufficio del signor Simon, capo della Forza nazionale di difesa a Mhardeh Siamo attesi, i soldati aprono il grosso portone. Uscendo dalla macchina, la pesante atmosfera della guerra svanisce e sentiamo le tipiche frasi di accoglienza siriana, quelle che ti fanno sentire subito a casa. Accompagnati da tre soldati armati, iniziamo a radunarci davanti all'albero dei martiri: cento ritratti in memoria di coloro che sono caduti sotto le bombe che hanno ferito la città per più di sette anni. Ho notato quello di un adolescente, a malapena uscito dall'infanzia, con gli occhi color blu scuro. Ci raccogliamo alcuni momenti.
Il signor Simon ci accoglie nel suo ufficio a braccia aperte. Istintivamente, quest'uomo ispira immenso rispetto, senza essere inaccessibile, al contrario. In mezzo al collo, la cicatrice di un proiettile che non riuscì a ucciderlo impressiona. Il suo sorriso cancella istantaneamente queste stigmate della guerra. Il signor Simon è sopravvissuto a tre tentativi di omicidio. Organizza personalmente la difesa della sua terra, della sua città, della sua casa, delle famiglie di Mhardeh.  Ci parla semplicemente della sua vita di soldato, delle prove che comporta, delle difficoltà materiali, dell'addestramento dei suoi uomini. Ci mostra, divertito, il modo in cui parlano di lui nei media filo-jihadisti, i cosiddetti massacri di cui è accusato, il modo in cui viene infangato. Sembra che sia incrollabile. Nei momenti peggiori della battaglia di Mhardeh , alcuni anni fa, il signor Simon ha tenuto duro dove persino l'esercito russo voleva ritirarsi.
mhardeh siria difesa nazionale sos christian or
In seguito parliamo con i soldati. Studenti, macellai, fornai, ingegneri. La guerra ha preso la loro vita per renderli soldati. Costretto all'eroismo del campo di battaglia. È forse proprio questo attaccamento alla loro città, alla loro professione, ai loro sogni che dà loro la forza di combattere.
Il signor Simon ci porta poi a casa. Sua moglie ci accoglie come se fossimo dalla sua famiglia. Diverse donne in città sono qui, vengono a cercare conforto e sostegno da colui che è diventato, di fatto, l'eroe della città. Il signor Simon prende in braccio suo nipote, che porta il suo nome. Il piccolo ha nove mesi, cresce dolcemente al suono di attacchi missilistici e mortai, ma nel bel mezzo di una famiglia amorevole e forte. È una festosa atmosfera, il ritorno dell'eroe a casa. Il comandante della battaglia ritorna al suo ruolo di nonno e si lascia andare alla tenerezza col "piccolo Simon". E con noi evoca la sua preoccupazione: perché ha resistito, i suoi figli e i suoi nipoti saranno sempre sotto la minaccia di una vendetta.  Nella casa, nascoste agli occhi dei bambini, ci sono le armi che richiamano il guerresco quotidiano. E se non bastasse, le incessanti chiamate radio o telefoniche ricevute dal comandante militare sarebbero sufficienti. Risponde a ciascuno di loro, senza lasciare dalle braccia suo nipote.
La nostra successiva giornata a Mhardeh sarà punteggiata dai bombardamenti sulla città e sui suoi dintorni. I boati sono a volte assordanti e lunghi, a volte brevi e molto forti. Facciamo il lavoro per il quale siamo venuti. La moglie del capo ci conduce dalle famiglie bisognose che aiutiamo nel miglior modo possibile attraverso le donazioni. Ogni viaggio deve essere veloce, devi spesso rifugiarti al riparo.  Nessun colpo cadrà nelle nostre vicinanze e attendiamo le autorizzazioni della moglie del signor Simon, informata in diretta, per passare da un punto all'altro. Ci rendiamo conto degli effetti della pesante atmosfera della guerra su questi civili. Nel tardo pomeriggio, ci rallegriamo con i soldati vedendo da lontano il fuoco missilistico che la Forza di difesa nazionale invia per contrastare gli attacchi jihadisti. Dietro questa collina, all'orizzonte, ci sono le posizioni dei terroristi.
vergine mhardeh sos christian orientÈ un giorno senza morti a Mhardeh , ma i danni materiali sono pesanti. Una o due volte alla settimana, i terroristi violano il cessate il fuoco che loro stessi hanno chiesto.  Dipendendo dalle decisioni oscure prese dalla comunità internazionale, Mhardeh resiste. Per difendere il suo modo di vivere, la sua comunità, la sua città e la sua famiglia, il cristiano deve prendere le armi e, se necessario, dare la sua vita. La guerra è ancora molto presente in Siria.
Rientriamo il giorno dopo a Damasco, con il cuore a questa città e ai suoi difensori. Il nostro passaggio è stato l'occasione per valutare un po' meglio i bisogni e permetterci di tornare con un aiuto più concreto ai civili e ai soldati di Mhardeh. Combattendo il terrorismo internazionale sul loro territorio, difendono anche tutti coloro che lo hanno di fronte, compresi gli europei. Il nostro debito è enorme, anche la nostra gratitudine.
Sotto assedio da 7 anni, 20.000 cristiani sono bombardati dai terroristi. Nessun media parla di loro. Sono soli a combattere per sopravvivere. Impotenti, hanno visto passare i convogli degli jihadisti trasferiti verso Idlib.
160 Martiri. Civili innocenti, padri e adolescenti, famiglie in lutto.
La lotta di Mhardeh è la nostra. La tua donazione, un'arma per la pace.

                                                 trad Oraprosiria 

giovedì 14 marzo 2019

Siria, tra la piaga delle sanzioni e del terrorismo

Cosa avrebbe dovuto essere discusso nella "Conferenza dei donatori UE" a Bruxelles? Ci si aspettava un programma di soccorso per ripristinare l'economia nazionale siriana, invece sotto l'ipocrisia dell'assistenza umanitaria si è ribadita ancora la volontà di impedire la ricostruzione del Paese. Nessun ripensamento sulle illegali sanzioni economiche imposte dagli USA e dall'UE nel 2011, e sempre in vigore.

 Siria. L'orrore senza fine
Nessuna volontà di porre termine alle sofferenze della popolazione siriana. Scrive oggi da Aleppo Pierre Le Corf: ‘’Provo a digitare un numero al telefono ma le mie mani tremano. Una prima esplosione mi fa scoppiare il cuore, mi allontano a prendere l'auto. Torniamo ‘’tranquillamente’’: due granate cadono davanti a me a dieci metri di distanza ... e siamo arrivati in centro. Aspettiamo all'angolo di una strada per capire se ce ne saranno altre o potremo andare avanti. Faccio una fotografia. Due ragazzini continuano a gironzolare nonostante gli faccia segno di allontanarsi. Mi rifugio in un bar. La gente continua a correre…
Ieri, il mio gruppo di ragazzini ed io ci siamo trovati in un quartiere più periferico proprio mentre un cecchino sparava dall'altra parte della strada. Le pallottole rimbalzavano da terra, la gente correva, e la strada troppo grande per nasconderla con dei drappi ... merda. Solo merda. Vero, la città rivive in molti quartieri e io provo a mostrare la gioia, i bambini, il coraggio ... ma anche ciò che descrivo ora [gli attacchi dei terroristi] è ancora qui. Forse non sembra tanto sconvolgente, ma sono armi antiuomo ... e le schegge feriscono chiunque anche a decine di metri di distanza.''
Poi, sempre notizie di ieri e di oggi, la cittadina di Mhardeh ancora bombardata dai terroristi; decine di uccisi dalla coalizione occidentale a Deir el-Zor e il fosforo bianco che tortura con inaudite sofferenze e brucia i corpi gettato contro civili inermi; nuovi focolai di terrore a Daraa nel sud; e così via con le atrocità che non risparmiano nessun gruppo etnico o confessionale. Su tutto ciò, la mannaia delle sanzioni economiche. Perché è l’intera Siria, come Nazione, come Popolo, come Civiltà, come Memoria che deve essere annientata, secondo le menti perverse che hanno voluto questa guerra.
Le sanzioni non sono una tribolazione di questi ultimi otto anni. La popolazione siriana le patisce da molto tempo prima e, molto tempo prima, bambini e adulti sono stati vittime innocenti dei suoi effetti tremendi, spesso mortali, a causa della mancanza di farmaci o del latte sostitutivo per neonati, ad esempio. Steve, l’autore dell’articolo, era un ragazzino ancora: un ragazzino che, come milioni di altri, è cresciuto troppo in fretta e angosciosamente. Invece io, che vivevo in Siria, capivo e ricordo. Ho visto tanti, troppi, patirne le conseguenze. Perciò, al solo sentirle menzionare provo sempre un dolore profondo. E rabbia, perché le sanzioni sono uno strumento irragionevole, spregevole, disumano. Cito quelle dal 2006 al 2012 ( Con il Paese che attraversava una difficile crisi per una lunga siccità, con conseguente abbandono delle zone rurali e aumento del proletariato urbano. Per non parlare dell’aggiuntivo costo economico e sociale dovuto alle  centinaia di migliaia di rifugiati iracheni accolti dalla Siria dopo la seconda guerra del Golfo, e di quelli libanesi in seguito alla seconda guerra israelo-libanese del 2006) in risposta alla "minaccia inusuale e straordinaria del governo siriano agli interessi economici, di sicurezza nazionale e di politica estera degli Stati Uniti’’ (sic!) e probabilmente propedeutiche all’inizio del caos. Ancora di più, molto di più, oggi che questo infelice Paese è stanco, anzi stremato e dilaniato da un conflitto brutale che dura da otto anni. L’inverno rigido che sta per finire, i Siriani l’hanno trascorso senza gasolio per riscaldarsi e senza gas per cucinare. Immaginate gli abitanti delle città e i milioni di sfollati interni, in particolare nelle aree controllate dalle forze governative dove l'impatto di queste sanzioni illegittime ha portato ad un aumento spaventoso dei prezzi dei prodotti alimentari: una gran parte è disoccupata o svolge lavoretti precari con magrissimi guadagni, mentre il costo della vita diventa proibitivo anche per chi prima era benestante, perché l’economia di un intero Paese è castigata. In realtà, una condanna iniqua contro vecchi, bambini, malati, mutilati, uomini e donne incolpevoli, con la giustificazione paradossale di una ‘’guerra umanitaria’’.
    Maria Antonietta Carta 


Le sanzioni dell'UE che colpiscono i Siriani e impediscono la ripresa.

 di Steven Sahiounie  

‘’Il Consiglio dell'Unione europea ha recentemente inserito sette ministri del governo siriano nell'elenco delle persone e delle entità soggette a sanzioni. Ciò porta a 277 il numero di individui presi di mira da un divieto di viaggio e del blocco dei beni e altre 72 entità soggette al blocco dei beni.

Le attuali sanzioni dell'UE contro la Siria comprendono: embargo sul petrolio, restrizioni commerciali e limitazioni negli investimenti, congelamento dei fondi della Banca Centrale siriana nella UE, restrizioni all'importazione di hardware militare, apparecchiature e tecnologie di internet e telecomunicazioni.

L'attacco USA-NATO-UE è iniziato nel marzo 2011 e le prime sanzioni dell'UE risalgono al 1 ° dicembre 2011. La politica dell'UE nei confronti della Siria era l'immagine speculare della politica americana, che mirava al "cambio di regime" per mezzo di terroristi spacciati per ribelli.

Le origini del piano ordito dagli USA per distruggere la Siria e insediare un governo fantoccio risalgono a decenni fa. Uno dei tanti motivi per cui il piano fu messo in atto nel 2011 fu il rifiuto del presidente Assad di firmare, nel 2009, un accordo con il Qatar, per il passaggio nel territorio siriano di un oleodotto che avrebbe fornito gas naturale all'Europa, escludendo quindi la Russia dai mercati europei, di cui è il fornitore principale, per paralizzare la sua economia. Questo era il piano USA-NATO-UE.
Le richieste dell'UE alla Siria si trovano nella risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nel Comunicato di Ginevra del 2012. Federica Mogherini, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza per l'UE, ritiene che non ci possa essere una soluzione militare al conflitto, che la fine della guerra può avvenire solo attraverso una transizione politica e che non può esserci pace duratura sotto l'attuale "regime", che è il termine occidentale usato per 'governo' della Siria.
Indipendentemente dal fatto che l'opposizione non sia sostenuta dalla maggioranza dei cittadini siriani all'interno del Paese, l'UE è impegnata a sostenere la Commissione per i negoziati (HNC) come unica rappresentanza dell’opposizione. L’ex segretario generale della coalizione nazionale siriana (SNC), Nasr al-Hariri, è il capo della HNC, notoriamente legato alla Fratellanza musulmana, considerata un'organizzazione terroristica fuorilegge in Egitto, Russia e Siria. La SNC, nata a Istanbul all'inizio del conflitto, era composta prevalentemente da seguaci della Fratellanza musulmana.
L'effetto delle sanzioni UE sulla vita quotidiana della popolazione è devastante. I Siriani sono sopravvissuti a otto anni di guerra solo per continuare a soffrire grazie agli Europei.
L'embargo petrolifero, infatti, causa una grave penuria di elettricità, gas per usi domestici, benzina, farmaci, che erano gratuiti presso gli ospedali pubblici, e la riduzione dell'insegnamento universitario gratuito. Prima della guerra, l'assistenza sanitaria era gratuita per tutti i cittadini e l'istruzione fino al dottorato.
Le sanzioni commerciali e di investimento hanno portato alla perdita di posti di lavoro e quindi di reddito, alla chiusura di negozi e imprese, quindi all'emigrazione per motivi economici.
L'embargo sulle banche siriane ha comportato l’impossibilità di acquistare attrezzature mediche necessarie e salvavita, compresi i ricambi per riparare le macchine esistenti, e di riparare o sostituire apparecchiature sofisticate come i generatori per la produzione di elettricità.
"L'impatto delle sanzioni economiche imposte alla Siria ha pesantemente compromesso l'acquisto di alcuni farmaci specifici, tra cui quelli contro il cancro", ha affermato Elizabeth Hoff (rappresentante dell'Organizzazione mondiale della sanità in Siria). ‘’Le sanzioni hanno impedito a molte compagnie farmaceutiche internazionali di trattare con le autorità siriane e ostacolano le banche straniere nella gestione dei pagamenti per i farmaci importati’’.
Se le sanzioni europee non fossero sufficienti, il loro partner USA ne ha ancora di più. e colpiscono una lunga lista di Paesi, tra cui Iran, Russia, Corea del Nord, Venezuela.
La Siria sta attraversando l'ultimo periodo del conflitto, e ha riconquistato la maggior parte del suo territorio. La pace e la stabilità torneranno e con lei molti rifugiati. La prossima fase sarà certamente la ricostruzione, ma la politica dell'UE e degli Stati Uniti mira a impedire ogni ricostruzione. Con le sanzioni dell’Unione europea e degli Stati Uniti in vigore, nessun materiale potrà essere importato, nessuna impresa e nessun fornitore straniero potranno partecipare, e nessun trasferimento di fondi per la ricostruzione o nuovi progetti residenziali potrà aver luogo. Ciò che l'attacco USA-NATO-UE non è riuscito a fare nei campi di battaglia, si cerca di ottenerlo con le sanzioni.

martedì 12 marzo 2019

Lettera di Aleppo n. 35 dai Maristi Blu: veramente arrabbiati!


Da diversi mesi non ci sono più combattimenti in Siria. Tutti i commentatori ritengono che la guerra sia finita e che lo Stato siriano l'abbia vinta. Isis (lo stato islamico) è stato sconfitto e resta solo una piccola sacca di territorio sotto il suo controllo all'estremo est della Siria. Lo Stato siriano controlla ora il 70 % del territorio di cui quasi tutte le grandi città.
Eppure la pace non è all'orizzonte.
Da un lato, tutti i gruppi armati ribelli sono ora raggruppati nella provincia di Idlib. Al Nusra, ramo di Al Qaeda, riconosciuta come gruppo terroristico da parte delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, sta eliminando con le armi o fagocitando tutti gli altri gruppi, islamici come lei. Da mesi l'esercito siriano vuole lanciare un'offensiva per liberare quest'ultima provincia dalle mani dei terroristi, di cui 30.000 sono stranieri, ma le potenze occidentali, con l'intermediazione della Russia e della Turchia, lo impediscono; ragione invocata: rischio di crisi umanitaria grave; la ragione vera, per ammissione stessa di alcuni leader occidentali: che cosa fare di tutti questi terroristi stranieri che vorrebbero fuggire verso l'Europa se partisse l'offensiva, e potrebbero poi terrorizzare gli europei dopo aver seminato il terrore in Siria? Siamo ARRABBIATI di fronte a un tale cinismo.
D' altra parte, un'altra guerra si svolge sul nostro territorio, quella che oppone la Turchia e la milizia curda. La prima ha invaso il nord-Ovest della Siria con il pretesto di combattere i terroristi curdi provocando l'esodo di 140.000 persone dalla regione di Afrin. La seconda, sostenuta dall'esercito americano, ha approfittato della guerra in Siria per prendere il controllo della Regione Nord-Orientale della Siria al fine di creare una regione autonoma. La Turchia, ovviamente, non ci sente da questo orecchio e non vuole affatto una regione autonoma curda in Siria che incoraggi i curdi della Turchia a fare lo stesso.
Infine, gli americani, che hanno stabilito illegalmente 2 basi militari in un paese sovrano, vorrebbero ritirarsi secondo la decisione del Presidente Trump. Ma la sua amministrazione e il congresso non sono d'accordo e stanno cercando di sabotare questa decisione. Per fare una buona figura, il ministro degli esteri degli Stati Uniti ha dichiarato che gli americani si ritireranno solo se la Turchia darà garanzie di non attaccare i curdi. Questo ha messo in collera Erdogan che vuole fare la guerra ai curdi come vuole.
Esempio di questo guazzabuglio: la città siriana Menbij è occupata dalle milizie curde, pattugliata da unità americane, sorvegliata da truppe turche installate a 5 km a nord e dall'esercito siriano a 15 km a sud.
Certo che siamo ARRABBIATI: contro la presenza degli Stati Uniti e della Turchia installati illegalmente in un paese sovrano, contro questa guerra turco-curda che impedisce l'instaurazione della pace tanto desiderata dai siriani, contro il cinismo dei governi che impediscono la liberazione di Idlib per non dover risolvere il problema dei loro cittadini terroristi. Scusate, cari amici e amiche per questa introduzione che è abbastanza lunga quando l'avrei voluta breve. Ma dovevo spiegare perchè, ora che la guerra iniziale è quasi finita, non abbiamo ancora la pace. Ora sapete che le grandi potenze mondiali e regionali fanno la politica (e la guerra) secondo i loro interessi senza preoccuparsi dei paesi che invadono e dell'interesse dei loro popoli. Siamo ARRABBIATI e, allo stesso tempo, impazienti di vedere gli invasori tornarsene a casa loro.
Questo stato di "né guerra né pace" impedisce la ricostruzione del paese, i potenziali investitori vogliono investire solo una volta che la pace sia stata instaurata. Di conseguenza, l'economia è ferma, la povertà e la disoccupazione sono impressionanti, il costo della vita raggiunge picchi vertiginosi e la gente continua a soffrire. I ricchi hanno esaurito i loro risparmi, la classe media è stata dissanguata e i poveri sono diventati ancora più poveri. Siamo ARRABBIATI con le sanzioni imposte dall'Unione Europea e dagli Stati Uniti contro la Siria, che non fanno altro che aggravare la situazione umanitaria senza avere alcun impatto sulla fine delle ostilità e sull'instaurazione della Pace.
L' esodo dei siriani, soprattutto i cristiani, continua, anche più che durante le ore buie della guerra. Il Nunzio Apostolico in Siria, Monsignor Zenari, ha annunciato, durante un congresso in Ungheria, che i cristiani rappresentano solo il 2 % della popolazione, vale a dire mezzo milione per una popolazione di 23 milioni di cittadini. Lo sapevamo, ma è la prima volta che questa cifra viene annunciata in pubblico. La mia città, Aleppo, che contava tra i 150.000 e i 200.000 cristiani nel 2011 prima della guerra, ora ne conta solo tra 25.000 e 30.000. la Siria, culla del cristianesimo, si spopola dei suoi cristiani. Negli anni precedenti, i siriani fuggivano a causa della guerra, dei suoi rischi e delle sue sofferenze e anche per garantire un futuro stabile e migliore ai loro figli. Dopo la fine delle ostilità però continuano ad andarsene, sia per evitare che vengano arruolati nell'esercito come riservisti mentre sono già padri di famiglia, sia a causa della crisi economica e delle sue conseguenze: la disoccupazione e la povertà.
Durante i duri anni della guerra, i nostri programmi di soccorso miravano a nutrire, vestire, curare e alloggiare gli sfollati e le famiglie in necessità. Insieme ad altre associazioni locali abbiamo contribuito alla sopravvivenza della popolazione, sostenuti in questo da organizzazioni e associazioni internazionali. Adesso, riteniamo che la priorità sia fornire lavoro alle persone per aiutarle a vivere dignitosamente del frutto del loro lavoro e diventare indipendenti dagli aiuti ricevuti per 7 anni. E poi, se uno ha un buon sostentamento pensa meno a lasciare il paese. Per questo noi, i Maristi blu, abbiamo creato, più di 2 anni fa, il programma dei micro-progetti. Abbiamo già organizzato 12 sessioni di apprendimento durante le quali insegniamo, in 48 ore, distribuite su 3 settimane, a 20 giovani (e meno giovani) adulti "come creare il proprio business" e finanziamo i migliori progetti, quelli che riteniamo fattibili, redditizi e sostenibili. In 2 anni abbiamo finanziato un centinaio di micro-progetti e, in tal modo, aiutato circa 200 famiglie che possono vivere dignitosamente.
Purtroppo, le nostre risorse sono diminuite di molto. Con la fine dei combattimenti, le donazioni private sono diminuite notevolmente. E le associazioni di beneficenza internazionali rifiutano, per la maggior parte, di finanziare programmi di sviluppo e alcune propongono di finanziare ancora programmi di soccorso. Come se si volesse che la gente rimanga nel bisogno, nell'accattonaggio e nella dipendenza piuttosto che ritrovare la dignità e la speranza. Che dire delle associazioni cristiane? Molte hanno adottato lo stesso atteggiamento: sì all'aiuto alimentare, all'assistenza medica, al restauro delle case e delle chiese, alla pastorale. No, ai progetti di sviluppo, ai progetti che danno lavoro alle persone. Eppure papa Francesco ha esortato più di una volta i cristiani della Siria a non lasciare la terra dei loro antenati, la terra delle loro radici cristiane. Ma l'esodo continua; presto saremo rimasti solo una manciata per riempire belle chiese restaurate ma vuote. E voi vorreste che noi non fossimo ARRABBIATI?! Ci battiamo ogni giorno contro queste politiche assurde e ingiuste ma forse un giorno anche noi incroceremo le braccia e andremo a raggiungere le folle in esilio!!!
Noi proseguiamo con gli altri progetti sempre con lo stesso entusiasmo, amore e solidarietà con i più poveri e gli sfollati. Come sapete, abbiamo la responsabilità delle 125 famiglie curde sfollate, cacciate da Afrin dai turchi e installate in un campo di tende in totale isolamento, il campo Shahba. Questo campo è situato a 3 km dalle linee del fronte in una regione circondata dai gruppi ribelli armati. Oltre alla distribuzione regolare degli alimenti e dei prodotti sanitari, dei fornelli a gas, dei thermos, delle coperte ecc., le nostre squadre si occupano dei bambini piccoli, dei più grandi, degli e delle adolescenti e delle donne per dare, per quanto possibile, l'istruzione, l'educazione e lo sviluppo umano.
Il nostro nuovo progetto "Bamboo" si occupa degli adolescenti di Aleppo che hanno sofferto per la guerra. Attraverso attività educative e un monitoraggio personale fornito dai membri del nostro Progetto di Seminario di supporto psicologico, stiamo cercando di curare le ferite della guerra ed aiutarli a trovare un equilibrio e uno sviluppo. I nostri altri progetti educativi, "Imparare a crescere" e "Voglio imparare" perseguono l'educazione dei bambini dai 3 ai 6 anni di famiglie sfollate o indigenti.  "La goccia di latte" distribuisce latte a 3.000 bambini ogni mese, con tuttavia molte difficoltà per trovare sul mercato il latte speciale per lattanti. Continuiamo ad aiutare 300 famiglie sfollate ad alloggiare pagando i loro affitti e ad aiutare i malati nel bisogno di farsi trattare e/o operare. Le nostre sessioni di Sviluppo della donna sono apprezzate dalle partecipanti. Il nostro progetto Heartmade per il riciclaggio dei vestiti va di bene in meglio.
Recentemente abbiamo ricevuto la visita del fratello Juan Carlos, il provinciale della provincia mediterranea dei Fratelli Maristi da cui dipende la comunità di Aleppo, accompagnato da Koki, un responsabile marista laico e impegnato. Hanno vissuto con noi 4 giornate molto intense, hanno condiviso tutte le nostre attività, hanno apprezzato la nostra missione e il nostro spirito e ci hanno offerto il loro apporto e il loro supporto e quello di tutti i Maristi della provincia.
Abbiamo appena aperto un account su Instagram: maristesbleus. Potete tramite le foto seguire e condividere in solidarietà i nostri vari programmi.
Il nostro libro "le lettere di Aleppo" non sta andando come il pane, ma si vende abbastanza bene. Racconta il nostro vissuto e la nostra testimonianza durante gli anni di guerra e racconta la nostra risposta, attraverso la nostra associazione Maristi blu, alla sofferenza, alla miseria e alle sofferenze dei nostri connazionali. Invitiamo i nostri amici a procurarselo a diffonderlo intorno. Lo potete fare direttamente presso l'editore Harmattan o ordinarlo presso la vostra libreria o online. [ N.D.T.: la nostra amica Maria Antonietta Carta sta lavorando alla versione italiana del libro e speriamo che esso sarà pubblicato in Italia entro l'anno. Contiamo ugualmente sul vostro aiuto alla diffusione].  
Presto sarà il 15 marzo 2019: saranno già 8 anni dall'inizio di questa guerra iniqua, assurda e atroce che ha distrutto il nostro Paese, ha ucciso 400.000 persone, ha spinto all'esilio un milione di cittadini , ha fatto 4 milioni di profughi nei paesi vicini e 8 milioni di sfollati interni che non vivono più nella loro casa.
ARRABBIATI, sì, lo siamo! Ma manteniamo comunque la speranza di vedere la guerra finire e la Speranza di vedere la Pace finalmente instaurata.
Aleppo, 18 febbraio 2019
Nabil Antaki, per i Maristi Blu
trad. Italiana di Gb.P.

domenica 10 marzo 2019

Presidente Aoun: Il Libano e tutta la terra del Levante conducono una medesima lotta per il pluralismo e contro i settarismi


AsiaNews - “Stanno cercando di disegnare un nuovo Machrek [insieme delle nazioni arabe a est del Cairo e nord della Penisola arabico], lontano dalla propria identità federativa e dalla diversità religiosa”. 
Il capo di Stato Michel Aoun ha approfittato della “Conferenza della sede regionale della Caritas in Medio oriente e Nord Africa” che si tiene in Libano, per affrontare il problema dei rifugiati siriani dall’ambito geopolitico. 
 Imitato in questo senso dal patriarca della Chiesa maronita, il card Beshara Raï, il presidente ha dichiarato che il Libano e l’intero Machrek conducono una medesima lotta per il pluralismo e contro la formazione di Stati segregati e razzisti. È necessario, ha affermato il porporato, combattere tutto ciò che spinge a una redistribuzione demografica delle popolazioni della regione, con una finalità di epurazione religiosa ed etnica che “trasforma le nostre società levantine in società razziste, unilaterali, divergenti e conflittuali”. 
 In particolare, Aoun ha messo in guardia i presenti contro un “contagio intellettuale, che si propaga e si trasmette rapidamente, soprattutto attraverso i social network” e che ha preparato il terreno all’intolleranza, all’estremismo e al terrorismo. Dal canto suo, nel contesto di un intervento incentrato sul “bene comune nelle società pluraliste”, il capo della Chiesa maronita, tornando sulla questione delle migrazioni forzate dei popoli negli ultimi decenni ha insistito ancora sul ritorno dei siriani sfollati dalla guerra. Questo, ha aggiunto, deve avvenire in maniera indipendente rispetto a una soluzione politica del conflitto militare che devasta il Paese dal marzo 2011. 
 Alcuni estratti fra i più significativi dell’intervento del capo di Stato:
“L’artefice del Patto Nazionale, Michel Chiha, ha detto: ‘Chiunque cerchi di controllare una comunità confessionale in Libano, cerca di distruggere il Libano nella sua interezza’. Da qui è giocoforza constatare che questo vale allo stesso modo per il Levante - il Mashrek. Il nostro Mashrek è un miscuglio di culture, un crocevia di civiltà, una culla di religioni monoteiste. Si tratta di un modello unico nel suo genere, dotato di una ricchezza spirituale, culturale e cognitiva; qualsiasi attacco a una di queste componenti non è altro che un attentato a questo modello e alla sua unicità”. 
 “Tutti gli eventi degli ultimi anni sono, senza ombra di dubbio, volti a trasformare le nostre società levantine in società razziste, unilaterali, divergenti e conflittuali. Infatti, l’emorragia umana, la migrazione forzata senza contare i tentativi instancabili volti a un cambiamento demografico; le diverse ondate di sfollati nel corso degli ultimi decenni; la partizione della Palestina e lo sfollamento della sua popolazione, sommata alla pressione esercitata della parte restante della sua gente, negando il diritto al ritorno per i palestinesi e il loro stanziamento nelle nazioni della diaspora; tutti questi sono avvenimenti che tracciano i contorni di un nuovo Levante (Machrek), lontano dalla sua identità federativa e lontano dalla sua diversità religiosa, comunitaria e culturale”. 
Minacce di terrorismo ed estremismo
 “Nostro compito è respingere e resistere a questi tentativi con determinazione e perseveranza: la terra del Levante (Machrek) non deve svuotarsi dei propri abitanti; la culla di Cristo, la strada per il Golgota e il Santo Sepolcro non possono esistere senza i cristiani, così come Gerusalemme e la moschea di al-Aqsa senza i musulmani, come l’acqua non può continuare a scorrere se la sua fonte di prosciuga”. 
 Le minacce più grandi che gravano oggi sul nostro mondo e sulla nostra regione in particolare sono l’estremismo e il terrorismo, che si nutrono l’uno dell’altro. Il pericolo sta nel fatto che si tratta di un contagio intellettuale che si propaga e si trasmette rapidamente, soprattutto attraverso i social network. Esso si basa sull’ignoranza, sulla povertà e l’emarginazione per seminare idee e credenze distruttive e per creare un ambiente favorevole al terrorismo”. 
 Inoltre, il capo dello Stato ha ricordato di aver lanciato una iniziativa alle Nazioni Unite per fare del Libano un centro permanente per il dialogo fra le diverse civiltà, culture e razze, da perseguire attraverso la creazione di una “Accademia dell’incontro e del dialogo fra gli uomini”. Una entità il cui obiettivo è quello di diffondere una cultura dell’incontro nella fedeltà, secondo quella che è “l’essenza del Libano” che, come lo ha definito papa Giovanni Paolo II, è “più di una nazione, è un messaggio”. 
  Il capo dello Stato non ha mancato di ricordare l’importanza di Caritas-Libano, strumento della pastorale sociale della Chiesa che “nella sua azione interconfessionale, inter-etnica e inter-statale” arriva a fornire “aiuto e servizio in caso di bisogno”. Una azione che si sviluppa “a prescindere dalla religione, dall’identità e dall’appartenenza etnica”.  

Alle radici del dibattito, in questi giorni riacceso dalle dichiarazioni del Regno Unito: conoscere la guerra nel paese dei cedri.
Conferenza di Mario Villani, febbraio 2019