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mercoledì 20 marzo 2019

Il futuro della Siria senza l'Occidente

Siria: di Nizar Ali Badr
Questo articolo non è scritto da un «diabolico» commentatore russo putiniano o da un «fanatico propagandista» iraniano o da un «fiancheggiatore» degli Hezbollah o da un «acritico» baathista siriano - come magari potrebbe sembrare a un ipotetico lettore abituato ad abbeverarsi alle fonti dell’informazione mainstream che continuano a propinare la lettura degli accadimenti secondo una visione del mondo diremmo… parziale? - No. È di un giornalista e scrittore francese, attento e profondo conoscitore della questione mediorientale nel nostro tempo. 
Perciò, mi è sembrato che meritasse di essere tradotto e proposto alla vostra attenzione e riflessione. Devo dire però che io, a differenza dell’autore dell’articolo, non sono altrettanto ottimista sia sulla ‘’collaborazione’’ delle YPG sia sulle buone intenzioni della Turchia da una parte e sulla volontà di ritirarsi degli USA dall’altra.
 Richard Labévière è giornalista e consulente internazionale oltre che autore di quindici libri, tra cui: Les Dollars de la terreur - Les Etats-Unis et les islamistes (Grasset, 1998), e La Tuerie d'Ehden ou la malédiction des Arabes chrétiens (Fayard, 2009), [sul conflitto inter-cristiano, tra i falangisti alleati con Israele e gli Arabi cristiani che rivendicavano la loro piena appartenenza al mondo arabo. Trent'anni dopo, il generale Aoun e Sleiman Frangieh incarnano il futuro degli Arabi cristiani, e la loro lotta rappresenta una negazione del cosiddetto «Scontro di civiltà» tra l'Occidente e l'Oriente]. 
 Labévière ha appena pubblicato un libro sulla Siria, coautore Talal el Atrache, dal titolo: Quand la Syrie s'éveillera, ed. Perrin: dalla nascita del nazionalismo arabo e dalla creazione di Israele alle conseguenze della caduta di Baghdad nel 2003. Gli autori raccontano anche come l'assassinio del Primo ministro libanese Rafic Hariri abbia favorito un tentativo di rovesciare il governo siriano e di come la «guerra globale al terrorismo» abbia contribuito al caos globale. Essi inoltre sostengono che, nonostante questi anni bui, la Siria «è tornata ad essere innegabilmente il Paese chiave del Medio Oriente».
  Maria Antonietta Carta

IL FUTURO DELLA SIRIA SENZA L'OCCIDENTE

di Richard Labévière 

 Ci sono crisi difficili da comprendere a causa delle loro radici profonde, delle loro ramificazioni complesse, delle evoluzioni imprevedibili e delle analisi spesso deliranti. È così per i il conflitto arabo-israeliano, le guerre balcaniche o i genocidi ruandesi: tutti eventi diventati totemici e oggetto di culti irrazionali. Sotto questa angolazione teologico-politica, la Siria occupa un posto speciale perché al tempo stesso risveglia tre demoni insubordinabili: quello delle scorie coloniali e risentimenti del mandato francese della Società delle Nazioni (SDN); quello dell'antisovietismo durante la Guerra Fredda; e quello del buon Curdo, maronita, Kosovaro, Bosniaco, Cabilo, Tuareg o Papuano…

I TRE DEMONI
 Il primo demone resta profondamente radicato nella memoria della nostra diplomazia, che continua a ripete gli stessi errori commessi durante la rivolta del Gebel druso (1). Proclamando in perfetta sintonia con David Cameron e Barack Obama, dall’estate 2011, che «Assad deve lasciare il potere», Nicolas Sarkozy e Alain Juppé prendevano la decisione assolutamente incomprensibile di chiudere l'ambasciata di Francia a Damasco, nel marzo 2012. Figuriamoci se si dovessero chiudere tutte le cancellerie situate in Paesi con cui la Francia avesse delle divergenze! È quando una relazione bilaterale diventa tesa che i diplomatici possono, in linea di principio dare la piena misura della loro competenza; per non parlare dei servizi speciali che sono lì proprio per esplorare le possibilità di dialogo.
 Il secondo demone, ancora più grottesco, risveglia i numerosi cliché polimorfi e permanenti dell’anti-comunismo mondiale nato dopo la rivoluzione sovietica del 1917; e che la caduta del muro di Berlino ha ravvivato attraverso molteplici personaggi sempre pronti a dipingere la Russia come male assoluto, subdolo e vendicativo. In questa prospettiva, Putin può essere solo la reincarnazione di Ivan il Terribile o di Felix Dzerzhinsky, fondatore della Ceka, antesignana del KGB e FSB. Per chiarire trucchi, programmi e dichiarazioni, si dovrebbe leggere o rileggere con grande attenzione l’opera di Guy Mettan (2): Russie – Occident, une guerre de mille ans. In quest’ottica, il capo della diplomazia francese Jean-Yves Le Chouchen non perde mai l'occasione di ricordare che, insieme al terrorismo, la Russia rimane il primo Paese che minaccia la Francia! E quando si ha l'ardire di chiedere più specificamente come e perché, i piccoli marchesi del Quai d'Orsay sollevano lo sguardo verso il cielo, indignati con chi ha osato rivolgergli una domanda del genere.
 Cugino del primo demone coloniale, l'ultimo moltiplica le iniziative per scongiurare la pretesa di poter accedere all'autodeterminazione nazionale e ai suoi principi di indipendenza e sovranità. Fa scontrare i Cabili contro gli Arabi, i maroniti contro i musulmani, i Kosovari e i Bosniaci contro i Serbi, i Tuareg contro i Pirogue e così via. In conformità alla locuzione latina divide et impera, cerca di sfruttare le minoranze etniche e religiose. Proprio come David Ben-Gurion aveva raccomandato di fare contro i Popoli arabi affinché regredissero allo stadio di tribù primitive per il massimo beneficio del giovane Stato di Israele.
 Questa volontà di frammentazione tribale fu persino teorizzata da un funzionario del Ministero degli Affari Esteri israeliano - Oded Yinon - nel febbraio 1982. Secondo il diligente funzionario, l'interesse di Tel Aviv consisterebbe nel promuovere la creazione, all’interno del mondo arabo, di micro-Stati antagonisti troppo deboli e troppo divisi per opporglisi efficacemente: «La disgregazione della Siria e dell'Iraq in regioni individuate in base a criteri etnici o religiosi deve essere, a lungo termine, obiettivo prioritario per Israele. Il primo passo è la distruzione del potere militare di questi Stati (...). Ricco di petrolio e tormentato dalle lotte intestine, l'Iraq è nella linea di fuoco israeliana. La sua dissoluzione sarebbe più importante per noi di quella della Siria, perché è quello che rappresenta, a breve termine, la minaccia più seria per Israele».
 In questa prospettiva, i Curdi sono stati innalzati a eroi nella lotta contro Dae'sh e altre fazioni terroristiche, mentre le spie israeliane armavano e informavano gli stessi gruppi terroristici, evacuando e curando i loro feriti, in particolare sulle alture del Golan e nel nord del Libano!

L'ALIBI DELLA LOTTA CONTRO IL TERRORE
 Certamente, questi poveri Curdi sono stati, più spesso che no, i cornuti della storia. Alla fine della prima guerra mondiale, inclusa nei vari trattati sulla gestione dello smantellamento dell'Impero ottomano, la promessa di uno Stato curdo indipendente fu sostenuta dalla totalità delle potenze occidentali. Ma la ripartizione - nella regola petrolifera dei nuovi Stati del Medio Oriente – rese la promessa perfettamente impossibile da mantenere, nonostante i Curdi abbiano continuato a rincorrere questa chimera molto utile.
 In effetti, Tel Aviv aveva capito molto rapidamente tutta la convenienza di questa «ingiustizia storica». Indipendentemente dai legami di parentela molto ipotetici tra il Popolo curdo e la «tredicesima tribù» di Israele, i servizi speciali ebraici si insediarono - a partire dagli anni '50 - nel Kurdistan iracheno con un duplice obiettivo: promuovere la frammentazione dell’Iraq in conformità al piano di Oded Yinon e destabilizzare il vicino Iran armando il PEJAK, la milizia kurda del Kurdistan Iraniano, nella regione di confine di Kermanshah.
 Ma il meglio sarebbe arrivato con la proclamazione del Califfato di Dae’sh, il 29 giugno 2014! Mentre favorivano i vari gruppi armati che cercavano di rovesciare il «regime di Bashar al-Assad», come continua a sostenere la stampa occidentale dall'estate del 2011, Tel Aviv, Washington, Londra, Parigi e le monarchie petrolifere del Golfo non cessavano di utilizzare la milizia curda per condurre la guerra contro il terrore! Una gran storia ...
 Durante la sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del settembre 2015, Vladimir Putin propose agli Occidentali di formare un'unica coalizione per combattere il terrorismo, ma essi opposero un rifiuto stizzito. Il motivo è evidente. Dall'agosto 2015, gli Stati Uniti avevano assunto il comando di una coalizione «anti-terroristica», ufficialmente incaricata di combattere Dae'sh. Quando il presidente russo fece il punto, bisognava riconoscere che questa armata aveva fallito completamente, anzi per meglio dire era servita a sostenere e armare le fazioni terroristiche che avrebbe dovuto combattere per indirizzarle contro l’Esercito governativo siriano e le autorità legali del Paese!
 Dall'autunno del 2015, l'esercito russo interviene in Siria su richiesta del governo siriano, mentre i servizi speciali americani, britannici e francesi (fuori da ogni principio di legalità internazionale) vi agivano dall'estate 2011! Molto prima di adornarsi con le penne di pavone della lotta contro il terrorismo, le potenze occidentali avevano già deciso di fare della Siria quello che avevano fatto dell'Iraq e della Libia: uno Stato-Nazione imploso, frammentato se non eliminato completamente dalla mappa e sostituito con un’accozzaglia di comunità, fazioni armate e gruppi mafiosi utili per una rinnovata tribalizzazione estesa all’intera Mezzaluna fertile.
 In questo contesto, - stiamo parlando del fatto che si cerca di distruggere la Siria e impiantare un regime al soldo degli Occidentali, di Israele e dei Paesi del Golfo - i Curdi sono diventati alleati di primo piano, a cui forze speciali americane, britanniche e francesi consegnano armi, sistemi di comunicazione, intelligence e supporto logistico in nome della sacrosanta lotta contro il terrorismo. Ma senza fare i conti con le buffonate di Donald Trump che non vuole vedere il suo Paese giocare ai gendarmi del mondo a fondo perduto. E l'inquilino imprevedibile della Casa Bianca annuncia – lo aveva esplicitamente scritto nel suo programma elettorale - il ritiro delle forze speciali statunitensi dalla Siria (3). Catastrofe per Londra e Parigi che si ritrovano da sole a interferire in Siria contro ogni legge internazionale!
 Con un'ingenuità da non credere, se non con sicura stupidità, Le Figaro del 3 gennaio riprende l'antifona, combinando contemporaneamente Fake News, propaganda e moralismo: «Come mantenere la pressione contro Dae'sh, stanare i jihadisti francesi e minacciare il regime quando lancia attacchi chimici senza il supporto degli Americani?» Sugli «attacchi chimici», consiglio vivamente di leggere e ascoltare le ultime interviste al diplomatico brasiliano José Bustani, che è stato il primo direttore generale dell'OPCW (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche), estromesso nel 2002 da Washington. I «giornalisti» di Le Figaro conoscono almeno il suo nome?
 E il quotidiano di Dassault continua: «Come difendere i valori democratici di fronte all’intensificarsi dell'autoritarismo e alla crescente influenza di potenze considerate destabilizzanti - Iran, Russia, Turchia - che in Medio Oriente si insinuano nel vuoto lasciato dalla partenza americana?» Chi pensa che Iran, Russia e Turchia siano «potenze destabilizzanti» mentre difendono logicamente i loro interessi nella regione? Certo, dalla fine della Guerra Fredda chi potrebbe decidere che i Paesi occidentali sono coinvolti in intrighi, se non in guerre «destabilizzanti?»
 Sotto forma di ode macroniana, la conclusione è ancora più patetica: «Da solo non poteva cambiare il sistema. L'Europa sarà in grado di trovare energia e risorse sufficienti per prendere in mano la sua difesa, trasformarsi in potenza e compensare l'indebolimento del legame transatlantico»? Europa: quante divisioni? Un'altra domanda è necessaria: quando i giornalisti parigini troveranno l'intelligenza e la forza per fare correttamente il loro lavoro?

LA SVOLTA DI ALEPPO
 In seguito all'appello dei Curdi delle Unità di protezione del popolo (YPG), che chiedevano a Damasco di andare a proteggerli dai Turchi di Manbij, il comando dell'esercito siriano ha annunciato il suo ingresso nella regione. Le forze governative siriane lo scorso venerdì 4 gennaio hanno formalizzato il loro ingresso in questa città cruciale del nord della Siria (con le località curde di Kobane e Hasakeh), finora sotto controllo curdo. La bandiera siriana è stata issata in città e l'esercito ha dichiarato di «garantire la sicurezza dei cittadini siriani e di tutte le altre persone presenti a Manbij».
 All'inizio della giornata, le milizie curde YPG hanno esortato le forze siriane a prendere posizione per evitare un'offensiva da parte dell'esercito turco. La milizia curda, che Ankara considera un movimento terroristico strettamente legato al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), assicura che i suoi membri hanno lasciato la città per combattere Dae'sh nell'est del Paese. Da parte sua, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha descritto l'annuncio dell'ingresso dell'esercito siriano a Manbij come «impatto psicologico». «Per il momento, la situazione non presenta uno sviluppo serio e concreto», ha riportato il quotidiano Hürriyet.
 Quest'ultima riconquista dell'esercito governativo siriano è una buona notizia per diverse ragioni: essendo coperta da Mosca, esclude la possibilità di un intervento turco; completa il ripristino della sovranità siriana su quasi tutto il suo territorio storico; infine, incoraggia i Curdi a riprendere i negoziati con il governo di Damasco, interrotti nel 2013.
 Altri tre avvenimenti importanti rafforzano Damasco: il primo ministro iracheno Adel Abdel Mahdi ha annunciato il 30 dicembre scorso, che alti funzionari della sicurezza a Baghdad avevano incontrato il presidente siriano Bashar al-Assad a Damasco. Il loro incontro ha portato ad un accordo di cooperazione militare nella lotta contro l'organizzazione Stato Islamico / Dae'sh con il ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno deciso di riaprire la loro ambasciata a Damasco, evento foriero di una possibile normalizzazione dei rapporti con gli altri Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, il primo dei quali Arabia Saudita. Infine, colloqui di pace in Siria con i presidenti di Russia, Iran e Turchia sono previsti per l'inizio del 2019. «È il nostro turno di ospitare il summit dei tre Paesi garanti con il presidente turco, quello iraniano e la Siria. Concordando che avrebbe avuto luogo intorno alla prima settimana dell'anno. Ciò dipenderà dall'ordine del giorno dei presidenti», dichiarava il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov citando Interfax. Il vertice fa parte del processo di pace di Astana, che dal gennaio 2017 ha riunito rappresentanti di Damasco e una delegazione dell’opposizione, senza il coinvolgimento di Washington. È guidato da Russia, Iran e Turchia.
 Capitale per il futuro della Siria e del Medio Oriente, il vertice di Mosca si riunirà senza l'Occidente, secondo un formato predisposto durante la battaglia di Aleppo, vale a dire una base tripartita tra Russia, Turchia e Iran, potenze regionali «considerate destabilizzanti» dagli oracoli di Le Figaro. Non sorprende che questa evoluzione sia descritta in modo particolareggiato nel libro magistrale del diplomatico russo Maria Khodynskaya-Golenishcheva (4). Più intelligenti di quelli di tutto il mondo, i giornalisti parigini e i diplomatici francesi hanno davvero bisogno di leggere libri simili?
 Se gli avessero dato uno sguardo, avrebbero potuto anticipare più o meno quello che significa «La svolta di Aleppo» e quali soggetti avrebbero gestito la ricostruzione politica ed economica della Siria. Avrebbero anche capito come e perché la Francia si era estromessa dai giochi in Siria e nell’insieme della Regione, perdendo una dopo l’altra le sue posizioni tradizionali in Medio Oriente. Disastrosa per il nostro Paese, questa prevedibile evoluzione - che prochetmoyen-orient.ch cerca di spiegare da diversi anni – è arrivata persino a preoccupare il quotidiano Le Monde, lo stesso Le Monde che da Marzo 2011 alimenta una campagna anti-siriana assolutamente delirante.

 Fedele servitore della doxa fabiusiana - «I ragazzi di al-Nusra (al-Qaeda in Siria) fanno un buon lavoro» e «Bashar non ha il diritto di esistere» - Marc Sémo di Le Monde, guarda caso, ha appena scoperto - oh miracolo! - che «nel dossier siriano la Francia è ... isolata». Meglio tardi che mai, anche se almeno da quando gli sviluppi sul terreno contraddicevano appieno le sue analisi ideologiche, Le Monde avrebbe potuto non solo fare il mea culpa, ma provare a ritrovare l’essenza della sua attività, informando i suoi lettori invece di fargli il lavaggio del cervello con frasi moralistiche, ideologiche e false.
 Una cosa è certa: come recentemente hanno confermato diversi leader siriani di altissimo livello, la ricostruzione politica ed economica della Siria si farà senza la Francia. "Prima di vedere una compagnia francese tornare in Siria, le autorità di questo Paese faranno appello a qualsiasi altro partner, anche americano", si lamenta un alto diplomatico francese inviato nella regione, «Il governo di Damasco - in qualunque situazione - farà pagare caramente, molto caramente, al nostro Paese e per molto tempo la sua politica, dal 2011 la più anti-siriana tra i Paesi occidentali». Ancora una volta, il Quai d'Orsay avrà privilegiato non si sa quali interessi, ma non certo quelli della Francia eterna.

 Richard Labévière, 7 gennaio 2019
   Trad. Maria Antonietta Carta
1) La rivolta drusa del 1925-1927, più tardi chiamata Rivoluzione siriana o rivoluzione nazionale, in arabo (الثورة السورية الكبرى, alththawrat alssuriat alkubraa), è stata la più importante rivolta contro il potere francese in Siria. Scoppiò nel Gebel druso per poi propagarsi verso Damasco, il Golan, il Qalamun, Hama e nel Sud-Est del Libano. A capo dell’insurrezione, il capo druso Sultano al-Atrash.
2) Guy Mettan, Russie – Occident, une guerre de mille ans – La russophobie de Charlemagne à la crise ukrainienne. Editions des Syrtes, maggio 2015.
3) Siria: La saggia decisione di Donald Trump, prochetmoyen-orient.ch, 24 dicembre 2018.
4) Maria Khodynskaya-Golenishcheva : Alep, la guerre et la diplomatie. Editions Pierre-Guillaume de Roux, ottobre 2017.

martedì 19 marzo 2019

La battaglia quotidiana di MHARDEH



La notte cade sulla Siria . A nord della città di Hama, una pioggia gelida spazza la piccola città di Mhardeh. In macchina, sono accompagnato da Salem, un cristiano damasceno che ha combattuto per più di cinque anni per difendere questa città, che è diventata un simbolo della resistenza siriana al terrorismo internazionale.  I controlli militari si intensificano fino a quando arriviamo all'ufficio del signor Simon, capo della Forza nazionale di difesa a Mhardeh Siamo attesi, i soldati aprono il grosso portone. Uscendo dalla macchina, la pesante atmosfera della guerra svanisce e sentiamo le tipiche frasi di accoglienza siriana, quelle che ti fanno sentire subito a casa. Accompagnati da tre soldati armati, iniziamo a radunarci davanti all'albero dei martiri: cento ritratti in memoria di coloro che sono caduti sotto le bombe che hanno ferito la città per più di sette anni. Ho notato quello di un adolescente, a malapena uscito dall'infanzia, con gli occhi color blu scuro. Ci raccogliamo alcuni momenti.
Il signor Simon ci accoglie nel suo ufficio a braccia aperte. Istintivamente, quest'uomo ispira immenso rispetto, senza essere inaccessibile, al contrario. In mezzo al collo, la cicatrice di un proiettile che non riuscì a ucciderlo impressiona. Il suo sorriso cancella istantaneamente queste stigmate della guerra. Il signor Simon è sopravvissuto a tre tentativi di omicidio. Organizza personalmente la difesa della sua terra, della sua città, della sua casa, delle famiglie di Mhardeh.  Ci parla semplicemente della sua vita di soldato, delle prove che comporta, delle difficoltà materiali, dell'addestramento dei suoi uomini. Ci mostra, divertito, il modo in cui parlano di lui nei media filo-jihadisti, i cosiddetti massacri di cui è accusato, il modo in cui viene infangato. Sembra che sia incrollabile. Nei momenti peggiori della battaglia di Mhardeh , alcuni anni fa, il signor Simon ha tenuto duro dove persino l'esercito russo voleva ritirarsi.
mhardeh siria difesa nazionale sos christian or
In seguito parliamo con i soldati. Studenti, macellai, fornai, ingegneri. La guerra ha preso la loro vita per renderli soldati. Costretto all'eroismo del campo di battaglia. È forse proprio questo attaccamento alla loro città, alla loro professione, ai loro sogni che dà loro la forza di combattere.
Il signor Simon ci porta poi a casa. Sua moglie ci accoglie come se fossimo dalla sua famiglia. Diverse donne in città sono qui, vengono a cercare conforto e sostegno da colui che è diventato, di fatto, l'eroe della città. Il signor Simon prende in braccio suo nipote, che porta il suo nome. Il piccolo ha nove mesi, cresce dolcemente al suono di attacchi missilistici e mortai, ma nel bel mezzo di una famiglia amorevole e forte. È una festosa atmosfera, il ritorno dell'eroe a casa. Il comandante della battaglia ritorna al suo ruolo di nonno e si lascia andare alla tenerezza col "piccolo Simon". E con noi evoca la sua preoccupazione: perché ha resistito, i suoi figli e i suoi nipoti saranno sempre sotto la minaccia di una vendetta.  Nella casa, nascoste agli occhi dei bambini, ci sono le armi che richiamano il guerresco quotidiano. E se non bastasse, le incessanti chiamate radio o telefoniche ricevute dal comandante militare sarebbero sufficienti. Risponde a ciascuno di loro, senza lasciare dalle braccia suo nipote.
La nostra successiva giornata a Mhardeh sarà punteggiata dai bombardamenti sulla città e sui suoi dintorni. I boati sono a volte assordanti e lunghi, a volte brevi e molto forti. Facciamo il lavoro per il quale siamo venuti. La moglie del capo ci conduce dalle famiglie bisognose che aiutiamo nel miglior modo possibile attraverso le donazioni. Ogni viaggio deve essere veloce, devi spesso rifugiarti al riparo.  Nessun colpo cadrà nelle nostre vicinanze e attendiamo le autorizzazioni della moglie del signor Simon, informata in diretta, per passare da un punto all'altro. Ci rendiamo conto degli effetti della pesante atmosfera della guerra su questi civili. Nel tardo pomeriggio, ci rallegriamo con i soldati vedendo da lontano il fuoco missilistico che la Forza di difesa nazionale invia per contrastare gli attacchi jihadisti. Dietro questa collina, all'orizzonte, ci sono le posizioni dei terroristi.
vergine mhardeh sos christian orientÈ un giorno senza morti a Mhardeh , ma i danni materiali sono pesanti. Una o due volte alla settimana, i terroristi violano il cessate il fuoco che loro stessi hanno chiesto.  Dipendendo dalle decisioni oscure prese dalla comunità internazionale, Mhardeh resiste. Per difendere il suo modo di vivere, la sua comunità, la sua città e la sua famiglia, il cristiano deve prendere le armi e, se necessario, dare la sua vita. La guerra è ancora molto presente in Siria.
Rientriamo il giorno dopo a Damasco, con il cuore a questa città e ai suoi difensori. Il nostro passaggio è stato l'occasione per valutare un po' meglio i bisogni e permetterci di tornare con un aiuto più concreto ai civili e ai soldati di Mhardeh. Combattendo il terrorismo internazionale sul loro territorio, difendono anche tutti coloro che lo hanno di fronte, compresi gli europei. Il nostro debito è enorme, anche la nostra gratitudine.
Sotto assedio da 7 anni, 20.000 cristiani sono bombardati dai terroristi. Nessun media parla di loro. Sono soli a combattere per sopravvivere. Impotenti, hanno visto passare i convogli degli jihadisti trasferiti verso Idlib.
160 Martiri. Civili innocenti, padri e adolescenti, famiglie in lutto.
La lotta di Mhardeh è la nostra. La tua donazione, un'arma per la pace.

                                                 trad Oraprosiria 

giovedì 14 marzo 2019

Siria, tra la piaga delle sanzioni e del terrorismo

Cosa avrebbe dovuto essere discusso nella "Conferenza dei donatori UE" a Bruxelles? Ci si aspettava un programma di soccorso per ripristinare l'economia nazionale siriana, invece sotto l'ipocrisia dell'assistenza umanitaria si è ribadita ancora la volontà di impedire la ricostruzione del Paese. Nessun ripensamento sulle illegali sanzioni economiche imposte dagli USA e dall'UE nel 2011, e sempre in vigore.

 Siria. L'orrore senza fine
Nessuna volontà di porre termine alle sofferenze della popolazione siriana. Scrive oggi da Aleppo Pierre Le Corf: ‘’Provo a digitare un numero al telefono ma le mie mani tremano. Una prima esplosione mi fa scoppiare il cuore, mi allontano a prendere l'auto. Torniamo ‘’tranquillamente’’: due granate cadono davanti a me a dieci metri di distanza ... e siamo arrivati in centro. Aspettiamo all'angolo di una strada per capire se ce ne saranno altre o potremo andare avanti. Faccio una fotografia. Due ragazzini continuano a gironzolare nonostante gli faccia segno di allontanarsi. Mi rifugio in un bar. La gente continua a correre…
Ieri, il mio gruppo di ragazzini ed io ci siamo trovati in un quartiere più periferico proprio mentre un cecchino sparava dall'altra parte della strada. Le pallottole rimbalzavano da terra, la gente correva, e la strada troppo grande per nasconderla con dei drappi ... merda. Solo merda. Vero, la città rivive in molti quartieri e io provo a mostrare la gioia, i bambini, il coraggio ... ma anche ciò che descrivo ora [gli attacchi dei terroristi] è ancora qui. Forse non sembra tanto sconvolgente, ma sono armi antiuomo ... e le schegge feriscono chiunque anche a decine di metri di distanza.''
Poi, sempre notizie di ieri e di oggi, la cittadina di Mhardeh ancora bombardata dai terroristi; decine di uccisi dalla coalizione occidentale a Deir el-Zor e il fosforo bianco che tortura con inaudite sofferenze e brucia i corpi gettato contro civili inermi; nuovi focolai di terrore a Daraa nel sud; e così via con le atrocità che non risparmiano nessun gruppo etnico o confessionale. Su tutto ciò, la mannaia delle sanzioni economiche. Perché è l’intera Siria, come Nazione, come Popolo, come Civiltà, come Memoria che deve essere annientata, secondo le menti perverse che hanno voluto questa guerra.
Le sanzioni non sono una tribolazione di questi ultimi otto anni. La popolazione siriana le patisce da molto tempo prima e, molto tempo prima, bambini e adulti sono stati vittime innocenti dei suoi effetti tremendi, spesso mortali, a causa della mancanza di farmaci o del latte sostitutivo per neonati, ad esempio. Steve, l’autore dell’articolo, era un ragazzino ancora: un ragazzino che, come milioni di altri, è cresciuto troppo in fretta e angosciosamente. Invece io, che vivevo in Siria, capivo e ricordo. Ho visto tanti, troppi, patirne le conseguenze. Perciò, al solo sentirle menzionare provo sempre un dolore profondo. E rabbia, perché le sanzioni sono uno strumento irragionevole, spregevole, disumano. Cito quelle dal 2006 al 2012 ( Con il Paese che attraversava una difficile crisi per una lunga siccità, con conseguente abbandono delle zone rurali e aumento del proletariato urbano. Per non parlare dell’aggiuntivo costo economico e sociale dovuto alle  centinaia di migliaia di rifugiati iracheni accolti dalla Siria dopo la seconda guerra del Golfo, e di quelli libanesi in seguito alla seconda guerra israelo-libanese del 2006) in risposta alla "minaccia inusuale e straordinaria del governo siriano agli interessi economici, di sicurezza nazionale e di politica estera degli Stati Uniti’’ (sic!) e probabilmente propedeutiche all’inizio del caos. Ancora di più, molto di più, oggi che questo infelice Paese è stanco, anzi stremato e dilaniato da un conflitto brutale che dura da otto anni. L’inverno rigido che sta per finire, i Siriani l’hanno trascorso senza gasolio per riscaldarsi e senza gas per cucinare. Immaginate gli abitanti delle città e i milioni di sfollati interni, in particolare nelle aree controllate dalle forze governative dove l'impatto di queste sanzioni illegittime ha portato ad un aumento spaventoso dei prezzi dei prodotti alimentari: una gran parte è disoccupata o svolge lavoretti precari con magrissimi guadagni, mentre il costo della vita diventa proibitivo anche per chi prima era benestante, perché l’economia di un intero Paese è castigata. In realtà, una condanna iniqua contro vecchi, bambini, malati, mutilati, uomini e donne incolpevoli, con la giustificazione paradossale di una ‘’guerra umanitaria’’.
    Maria Antonietta Carta 


Le sanzioni dell'UE che colpiscono i Siriani e impediscono la ripresa.

 di Steven Sahiounie  

‘’Il Consiglio dell'Unione europea ha recentemente inserito sette ministri del governo siriano nell'elenco delle persone e delle entità soggette a sanzioni. Ciò porta a 277 il numero di individui presi di mira da un divieto di viaggio e del blocco dei beni e altre 72 entità soggette al blocco dei beni.

Le attuali sanzioni dell'UE contro la Siria comprendono: embargo sul petrolio, restrizioni commerciali e limitazioni negli investimenti, congelamento dei fondi della Banca Centrale siriana nella UE, restrizioni all'importazione di hardware militare, apparecchiature e tecnologie di internet e telecomunicazioni.

L'attacco USA-NATO-UE è iniziato nel marzo 2011 e le prime sanzioni dell'UE risalgono al 1 ° dicembre 2011. La politica dell'UE nei confronti della Siria era l'immagine speculare della politica americana, che mirava al "cambio di regime" per mezzo di terroristi spacciati per ribelli.

Le origini del piano ordito dagli USA per distruggere la Siria e insediare un governo fantoccio risalgono a decenni fa. Uno dei tanti motivi per cui il piano fu messo in atto nel 2011 fu il rifiuto del presidente Assad di firmare, nel 2009, un accordo con il Qatar, per il passaggio nel territorio siriano di un oleodotto che avrebbe fornito gas naturale all'Europa, escludendo quindi la Russia dai mercati europei, di cui è il fornitore principale, per paralizzare la sua economia. Questo era il piano USA-NATO-UE.
Le richieste dell'UE alla Siria si trovano nella risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nel Comunicato di Ginevra del 2012. Federica Mogherini, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza per l'UE, ritiene che non ci possa essere una soluzione militare al conflitto, che la fine della guerra può avvenire solo attraverso una transizione politica e che non può esserci pace duratura sotto l'attuale "regime", che è il termine occidentale usato per 'governo' della Siria.
Indipendentemente dal fatto che l'opposizione non sia sostenuta dalla maggioranza dei cittadini siriani all'interno del Paese, l'UE è impegnata a sostenere la Commissione per i negoziati (HNC) come unica rappresentanza dell’opposizione. L’ex segretario generale della coalizione nazionale siriana (SNC), Nasr al-Hariri, è il capo della HNC, notoriamente legato alla Fratellanza musulmana, considerata un'organizzazione terroristica fuorilegge in Egitto, Russia e Siria. La SNC, nata a Istanbul all'inizio del conflitto, era composta prevalentemente da seguaci della Fratellanza musulmana.
L'effetto delle sanzioni UE sulla vita quotidiana della popolazione è devastante. I Siriani sono sopravvissuti a otto anni di guerra solo per continuare a soffrire grazie agli Europei.
L'embargo petrolifero, infatti, causa una grave penuria di elettricità, gas per usi domestici, benzina, farmaci, che erano gratuiti presso gli ospedali pubblici, e la riduzione dell'insegnamento universitario gratuito. Prima della guerra, l'assistenza sanitaria era gratuita per tutti i cittadini e l'istruzione fino al dottorato.
Le sanzioni commerciali e di investimento hanno portato alla perdita di posti di lavoro e quindi di reddito, alla chiusura di negozi e imprese, quindi all'emigrazione per motivi economici.
L'embargo sulle banche siriane ha comportato l’impossibilità di acquistare attrezzature mediche necessarie e salvavita, compresi i ricambi per riparare le macchine esistenti, e di riparare o sostituire apparecchiature sofisticate come i generatori per la produzione di elettricità.
"L'impatto delle sanzioni economiche imposte alla Siria ha pesantemente compromesso l'acquisto di alcuni farmaci specifici, tra cui quelli contro il cancro", ha affermato Elizabeth Hoff (rappresentante dell'Organizzazione mondiale della sanità in Siria). ‘’Le sanzioni hanno impedito a molte compagnie farmaceutiche internazionali di trattare con le autorità siriane e ostacolano le banche straniere nella gestione dei pagamenti per i farmaci importati’’.
Se le sanzioni europee non fossero sufficienti, il loro partner USA ne ha ancora di più. e colpiscono una lunga lista di Paesi, tra cui Iran, Russia, Corea del Nord, Venezuela.
La Siria sta attraversando l'ultimo periodo del conflitto, e ha riconquistato la maggior parte del suo territorio. La pace e la stabilità torneranno e con lei molti rifugiati. La prossima fase sarà certamente la ricostruzione, ma la politica dell'UE e degli Stati Uniti mira a impedire ogni ricostruzione. Con le sanzioni dell’Unione europea e degli Stati Uniti in vigore, nessun materiale potrà essere importato, nessuna impresa e nessun fornitore straniero potranno partecipare, e nessun trasferimento di fondi per la ricostruzione o nuovi progetti residenziali potrà aver luogo. Ciò che l'attacco USA-NATO-UE non è riuscito a fare nei campi di battaglia, si cerca di ottenerlo con le sanzioni.

martedì 12 marzo 2019

Lettera di Aleppo n. 35 dai Maristi Blu: veramente arrabbiati!


Da diversi mesi non ci sono più combattimenti in Siria. Tutti i commentatori ritengono che la guerra sia finita e che lo Stato siriano l'abbia vinta. Isis (lo stato islamico) è stato sconfitto e resta solo una piccola sacca di territorio sotto il suo controllo all'estremo est della Siria. Lo Stato siriano controlla ora il 70 % del territorio di cui quasi tutte le grandi città.
Eppure la pace non è all'orizzonte.
Da un lato, tutti i gruppi armati ribelli sono ora raggruppati nella provincia di Idlib. Al Nusra, ramo di Al Qaeda, riconosciuta come gruppo terroristico da parte delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, sta eliminando con le armi o fagocitando tutti gli altri gruppi, islamici come lei. Da mesi l'esercito siriano vuole lanciare un'offensiva per liberare quest'ultima provincia dalle mani dei terroristi, di cui 30.000 sono stranieri, ma le potenze occidentali, con l'intermediazione della Russia e della Turchia, lo impediscono; ragione invocata: rischio di crisi umanitaria grave; la ragione vera, per ammissione stessa di alcuni leader occidentali: che cosa fare di tutti questi terroristi stranieri che vorrebbero fuggire verso l'Europa se partisse l'offensiva, e potrebbero poi terrorizzare gli europei dopo aver seminato il terrore in Siria? Siamo ARRABBIATI di fronte a un tale cinismo.
D' altra parte, un'altra guerra si svolge sul nostro territorio, quella che oppone la Turchia e la milizia curda. La prima ha invaso il nord-Ovest della Siria con il pretesto di combattere i terroristi curdi provocando l'esodo di 140.000 persone dalla regione di Afrin. La seconda, sostenuta dall'esercito americano, ha approfittato della guerra in Siria per prendere il controllo della Regione Nord-Orientale della Siria al fine di creare una regione autonoma. La Turchia, ovviamente, non ci sente da questo orecchio e non vuole affatto una regione autonoma curda in Siria che incoraggi i curdi della Turchia a fare lo stesso.
Infine, gli americani, che hanno stabilito illegalmente 2 basi militari in un paese sovrano, vorrebbero ritirarsi secondo la decisione del Presidente Trump. Ma la sua amministrazione e il congresso non sono d'accordo e stanno cercando di sabotare questa decisione. Per fare una buona figura, il ministro degli esteri degli Stati Uniti ha dichiarato che gli americani si ritireranno solo se la Turchia darà garanzie di non attaccare i curdi. Questo ha messo in collera Erdogan che vuole fare la guerra ai curdi come vuole.
Esempio di questo guazzabuglio: la città siriana Menbij è occupata dalle milizie curde, pattugliata da unità americane, sorvegliata da truppe turche installate a 5 km a nord e dall'esercito siriano a 15 km a sud.
Certo che siamo ARRABBIATI: contro la presenza degli Stati Uniti e della Turchia installati illegalmente in un paese sovrano, contro questa guerra turco-curda che impedisce l'instaurazione della pace tanto desiderata dai siriani, contro il cinismo dei governi che impediscono la liberazione di Idlib per non dover risolvere il problema dei loro cittadini terroristi. Scusate, cari amici e amiche per questa introduzione che è abbastanza lunga quando l'avrei voluta breve. Ma dovevo spiegare perchè, ora che la guerra iniziale è quasi finita, non abbiamo ancora la pace. Ora sapete che le grandi potenze mondiali e regionali fanno la politica (e la guerra) secondo i loro interessi senza preoccuparsi dei paesi che invadono e dell'interesse dei loro popoli. Siamo ARRABBIATI e, allo stesso tempo, impazienti di vedere gli invasori tornarsene a casa loro.
Questo stato di "né guerra né pace" impedisce la ricostruzione del paese, i potenziali investitori vogliono investire solo una volta che la pace sia stata instaurata. Di conseguenza, l'economia è ferma, la povertà e la disoccupazione sono impressionanti, il costo della vita raggiunge picchi vertiginosi e la gente continua a soffrire. I ricchi hanno esaurito i loro risparmi, la classe media è stata dissanguata e i poveri sono diventati ancora più poveri. Siamo ARRABBIATI con le sanzioni imposte dall'Unione Europea e dagli Stati Uniti contro la Siria, che non fanno altro che aggravare la situazione umanitaria senza avere alcun impatto sulla fine delle ostilità e sull'instaurazione della Pace.
L' esodo dei siriani, soprattutto i cristiani, continua, anche più che durante le ore buie della guerra. Il Nunzio Apostolico in Siria, Monsignor Zenari, ha annunciato, durante un congresso in Ungheria, che i cristiani rappresentano solo il 2 % della popolazione, vale a dire mezzo milione per una popolazione di 23 milioni di cittadini. Lo sapevamo, ma è la prima volta che questa cifra viene annunciata in pubblico. La mia città, Aleppo, che contava tra i 150.000 e i 200.000 cristiani nel 2011 prima della guerra, ora ne conta solo tra 25.000 e 30.000. la Siria, culla del cristianesimo, si spopola dei suoi cristiani. Negli anni precedenti, i siriani fuggivano a causa della guerra, dei suoi rischi e delle sue sofferenze e anche per garantire un futuro stabile e migliore ai loro figli. Dopo la fine delle ostilità però continuano ad andarsene, sia per evitare che vengano arruolati nell'esercito come riservisti mentre sono già padri di famiglia, sia a causa della crisi economica e delle sue conseguenze: la disoccupazione e la povertà.
Durante i duri anni della guerra, i nostri programmi di soccorso miravano a nutrire, vestire, curare e alloggiare gli sfollati e le famiglie in necessità. Insieme ad altre associazioni locali abbiamo contribuito alla sopravvivenza della popolazione, sostenuti in questo da organizzazioni e associazioni internazionali. Adesso, riteniamo che la priorità sia fornire lavoro alle persone per aiutarle a vivere dignitosamente del frutto del loro lavoro e diventare indipendenti dagli aiuti ricevuti per 7 anni. E poi, se uno ha un buon sostentamento pensa meno a lasciare il paese. Per questo noi, i Maristi blu, abbiamo creato, più di 2 anni fa, il programma dei micro-progetti. Abbiamo già organizzato 12 sessioni di apprendimento durante le quali insegniamo, in 48 ore, distribuite su 3 settimane, a 20 giovani (e meno giovani) adulti "come creare il proprio business" e finanziamo i migliori progetti, quelli che riteniamo fattibili, redditizi e sostenibili. In 2 anni abbiamo finanziato un centinaio di micro-progetti e, in tal modo, aiutato circa 200 famiglie che possono vivere dignitosamente.
Purtroppo, le nostre risorse sono diminuite di molto. Con la fine dei combattimenti, le donazioni private sono diminuite notevolmente. E le associazioni di beneficenza internazionali rifiutano, per la maggior parte, di finanziare programmi di sviluppo e alcune propongono di finanziare ancora programmi di soccorso. Come se si volesse che la gente rimanga nel bisogno, nell'accattonaggio e nella dipendenza piuttosto che ritrovare la dignità e la speranza. Che dire delle associazioni cristiane? Molte hanno adottato lo stesso atteggiamento: sì all'aiuto alimentare, all'assistenza medica, al restauro delle case e delle chiese, alla pastorale. No, ai progetti di sviluppo, ai progetti che danno lavoro alle persone. Eppure papa Francesco ha esortato più di una volta i cristiani della Siria a non lasciare la terra dei loro antenati, la terra delle loro radici cristiane. Ma l'esodo continua; presto saremo rimasti solo una manciata per riempire belle chiese restaurate ma vuote. E voi vorreste che noi non fossimo ARRABBIATI?! Ci battiamo ogni giorno contro queste politiche assurde e ingiuste ma forse un giorno anche noi incroceremo le braccia e andremo a raggiungere le folle in esilio!!!
Noi proseguiamo con gli altri progetti sempre con lo stesso entusiasmo, amore e solidarietà con i più poveri e gli sfollati. Come sapete, abbiamo la responsabilità delle 125 famiglie curde sfollate, cacciate da Afrin dai turchi e installate in un campo di tende in totale isolamento, il campo Shahba. Questo campo è situato a 3 km dalle linee del fronte in una regione circondata dai gruppi ribelli armati. Oltre alla distribuzione regolare degli alimenti e dei prodotti sanitari, dei fornelli a gas, dei thermos, delle coperte ecc., le nostre squadre si occupano dei bambini piccoli, dei più grandi, degli e delle adolescenti e delle donne per dare, per quanto possibile, l'istruzione, l'educazione e lo sviluppo umano.
Il nostro nuovo progetto "Bamboo" si occupa degli adolescenti di Aleppo che hanno sofferto per la guerra. Attraverso attività educative e un monitoraggio personale fornito dai membri del nostro Progetto di Seminario di supporto psicologico, stiamo cercando di curare le ferite della guerra ed aiutarli a trovare un equilibrio e uno sviluppo. I nostri altri progetti educativi, "Imparare a crescere" e "Voglio imparare" perseguono l'educazione dei bambini dai 3 ai 6 anni di famiglie sfollate o indigenti.  "La goccia di latte" distribuisce latte a 3.000 bambini ogni mese, con tuttavia molte difficoltà per trovare sul mercato il latte speciale per lattanti. Continuiamo ad aiutare 300 famiglie sfollate ad alloggiare pagando i loro affitti e ad aiutare i malati nel bisogno di farsi trattare e/o operare. Le nostre sessioni di Sviluppo della donna sono apprezzate dalle partecipanti. Il nostro progetto Heartmade per il riciclaggio dei vestiti va di bene in meglio.
Recentemente abbiamo ricevuto la visita del fratello Juan Carlos, il provinciale della provincia mediterranea dei Fratelli Maristi da cui dipende la comunità di Aleppo, accompagnato da Koki, un responsabile marista laico e impegnato. Hanno vissuto con noi 4 giornate molto intense, hanno condiviso tutte le nostre attività, hanno apprezzato la nostra missione e il nostro spirito e ci hanno offerto il loro apporto e il loro supporto e quello di tutti i Maristi della provincia.
Abbiamo appena aperto un account su Instagram: maristesbleus. Potete tramite le foto seguire e condividere in solidarietà i nostri vari programmi.
Il nostro libro "le lettere di Aleppo" non sta andando come il pane, ma si vende abbastanza bene. Racconta il nostro vissuto e la nostra testimonianza durante gli anni di guerra e racconta la nostra risposta, attraverso la nostra associazione Maristi blu, alla sofferenza, alla miseria e alle sofferenze dei nostri connazionali. Invitiamo i nostri amici a procurarselo a diffonderlo intorno. Lo potete fare direttamente presso l'editore Harmattan o ordinarlo presso la vostra libreria o online. [ N.D.T.: la nostra amica Maria Antonietta Carta sta lavorando alla versione italiana del libro e speriamo che esso sarà pubblicato in Italia entro l'anno. Contiamo ugualmente sul vostro aiuto alla diffusione].  
Presto sarà il 15 marzo 2019: saranno già 8 anni dall'inizio di questa guerra iniqua, assurda e atroce che ha distrutto il nostro Paese, ha ucciso 400.000 persone, ha spinto all'esilio un milione di cittadini , ha fatto 4 milioni di profughi nei paesi vicini e 8 milioni di sfollati interni che non vivono più nella loro casa.
ARRABBIATI, sì, lo siamo! Ma manteniamo comunque la speranza di vedere la guerra finire e la Speranza di vedere la Pace finalmente instaurata.
Aleppo, 18 febbraio 2019
Nabil Antaki, per i Maristi Blu
trad. Italiana di Gb.P.

domenica 10 marzo 2019

Presidente Aoun: Il Libano e tutta la terra del Levante conducono una medesima lotta per il pluralismo e contro i settarismi


AsiaNews - “Stanno cercando di disegnare un nuovo Machrek [insieme delle nazioni arabe a est del Cairo e nord della Penisola arabico], lontano dalla propria identità federativa e dalla diversità religiosa”. 
Il capo di Stato Michel Aoun ha approfittato della “Conferenza della sede regionale della Caritas in Medio oriente e Nord Africa” che si tiene in Libano, per affrontare il problema dei rifugiati siriani dall’ambito geopolitico. 
 Imitato in questo senso dal patriarca della Chiesa maronita, il card Beshara Raï, il presidente ha dichiarato che il Libano e l’intero Machrek conducono una medesima lotta per il pluralismo e contro la formazione di Stati segregati e razzisti. È necessario, ha affermato il porporato, combattere tutto ciò che spinge a una redistribuzione demografica delle popolazioni della regione, con una finalità di epurazione religiosa ed etnica che “trasforma le nostre società levantine in società razziste, unilaterali, divergenti e conflittuali”. 
 In particolare, Aoun ha messo in guardia i presenti contro un “contagio intellettuale, che si propaga e si trasmette rapidamente, soprattutto attraverso i social network” e che ha preparato il terreno all’intolleranza, all’estremismo e al terrorismo. Dal canto suo, nel contesto di un intervento incentrato sul “bene comune nelle società pluraliste”, il capo della Chiesa maronita, tornando sulla questione delle migrazioni forzate dei popoli negli ultimi decenni ha insistito ancora sul ritorno dei siriani sfollati dalla guerra. Questo, ha aggiunto, deve avvenire in maniera indipendente rispetto a una soluzione politica del conflitto militare che devasta il Paese dal marzo 2011. 
 Alcuni estratti fra i più significativi dell’intervento del capo di Stato:
“L’artefice del Patto Nazionale, Michel Chiha, ha detto: ‘Chiunque cerchi di controllare una comunità confessionale in Libano, cerca di distruggere il Libano nella sua interezza’. Da qui è giocoforza constatare che questo vale allo stesso modo per il Levante - il Mashrek. Il nostro Mashrek è un miscuglio di culture, un crocevia di civiltà, una culla di religioni monoteiste. Si tratta di un modello unico nel suo genere, dotato di una ricchezza spirituale, culturale e cognitiva; qualsiasi attacco a una di queste componenti non è altro che un attentato a questo modello e alla sua unicità”. 
 “Tutti gli eventi degli ultimi anni sono, senza ombra di dubbio, volti a trasformare le nostre società levantine in società razziste, unilaterali, divergenti e conflittuali. Infatti, l’emorragia umana, la migrazione forzata senza contare i tentativi instancabili volti a un cambiamento demografico; le diverse ondate di sfollati nel corso degli ultimi decenni; la partizione della Palestina e lo sfollamento della sua popolazione, sommata alla pressione esercitata della parte restante della sua gente, negando il diritto al ritorno per i palestinesi e il loro stanziamento nelle nazioni della diaspora; tutti questi sono avvenimenti che tracciano i contorni di un nuovo Levante (Machrek), lontano dalla sua identità federativa e lontano dalla sua diversità religiosa, comunitaria e culturale”. 
Minacce di terrorismo ed estremismo
 “Nostro compito è respingere e resistere a questi tentativi con determinazione e perseveranza: la terra del Levante (Machrek) non deve svuotarsi dei propri abitanti; la culla di Cristo, la strada per il Golgota e il Santo Sepolcro non possono esistere senza i cristiani, così come Gerusalemme e la moschea di al-Aqsa senza i musulmani, come l’acqua non può continuare a scorrere se la sua fonte di prosciuga”. 
 Le minacce più grandi che gravano oggi sul nostro mondo e sulla nostra regione in particolare sono l’estremismo e il terrorismo, che si nutrono l’uno dell’altro. Il pericolo sta nel fatto che si tratta di un contagio intellettuale che si propaga e si trasmette rapidamente, soprattutto attraverso i social network. Esso si basa sull’ignoranza, sulla povertà e l’emarginazione per seminare idee e credenze distruttive e per creare un ambiente favorevole al terrorismo”. 
 Inoltre, il capo dello Stato ha ricordato di aver lanciato una iniziativa alle Nazioni Unite per fare del Libano un centro permanente per il dialogo fra le diverse civiltà, culture e razze, da perseguire attraverso la creazione di una “Accademia dell’incontro e del dialogo fra gli uomini”. Una entità il cui obiettivo è quello di diffondere una cultura dell’incontro nella fedeltà, secondo quella che è “l’essenza del Libano” che, come lo ha definito papa Giovanni Paolo II, è “più di una nazione, è un messaggio”. 
  Il capo dello Stato non ha mancato di ricordare l’importanza di Caritas-Libano, strumento della pastorale sociale della Chiesa che “nella sua azione interconfessionale, inter-etnica e inter-statale” arriva a fornire “aiuto e servizio in caso di bisogno”. Una azione che si sviluppa “a prescindere dalla religione, dall’identità e dall’appartenenza etnica”.  

Alle radici del dibattito, in questi giorni riacceso dalle dichiarazioni del Regno Unito: conoscere la guerra nel paese dei cedri.
Conferenza di Mario Villani, febbraio 2019

mercoledì 6 marzo 2019

Quaresima 2019: La preghiera dei Cristiani siriani


L'intenzione di preghiera proposta da Papa Francesco per il mese di marzo recita: 
"Per le comunità cristiane, specialmente per quelle che sono perseguitate, affinchè sentano la vicinanza di Cristo e il riconoscimento dei loro diritti.".   
La commenta il dott. Nabil Antaki, dei Maristi Blu, medico impegnato tra i più poveri di Aleppo dal 1986. Dopo l'inizio della guerra, decide di restare sul posto in loro aiuto. Vive ancora lì e oggi è un testimone. Possano le sue parole sostenere la nostra preghiera.

Da ALEPPO, Dr. NABIL ANTAKI , 1 marzo 2019
"Prima dell'inizio di questa ignobile guerra che stiamo subendo in Siria da quasi 8 anni, la Siria era un paese sicuro, stabile, prospero e l'unico stato laico della regione. Tutte le confessioni erano rispettate e i cristiani avevano tutti i loro diritti di cittadini a pieno titolo (eccetto quello di essere candidato alla presidenza della repubblica, perché la costituzione vigente stabilisce che questa carica debba spettare ad un musulmano). I Cristiani della Siria, appartenenti alle varie Chiese (11 in tutto) Cattoliche, Ortodosse o Protestanti, non sono stati affatto perseguitati e non lo sono tutt'ora in Siria nel 70% del territorio siriano controllato dal governo. L'attuale presidente del parlamento siriano è cristiano, oltre a diversi ministri e molti parlamentari.
I Cristiani siriani sono stati perseguitati negli ultimi 8 anni dai gruppi armati ribelli, costituiti per il 90% da islamisti, da jihadisti e da wahabiti, spesso degli estranei alla Siria venuti dalla Tunisia, dal Marocco, dalla Giordania, dall'Arabia Saudita o dall'Europa, ecc. arrivati in Siria per fare la jihad.
Molte piccole città e villaggi a prevalenza cristiana sono stati circondati, bombardati, invasi e distrutti dagli islamisti: Maaloula, dove la gente parla ancora l'aramaico, la lingua di Gesù;  Sadad invasa due volte, Mhardeh sottoposta ad assedio a ripetizione (tutt'ora) ecc.
Molti cristiani sono stati uccisi dai ribelli islamisti; ad Aleppo due vescovi sono stati rapiti da terroristi islamici già 5 anni fa e da allora nessuno conosce la loro sorte. Diversi sacerdoti sono stati uccisi, altri rapiti.
Chiese ed altri luoghi di culto cristiani sono stati distrutti o danneggiati a seguito di bombardamenti mirati o casuali dai terroristi ribelli. Tra queste le Cattedrali dei Greco-cattolici, dei Maroniti, dei Siro-cattolici e Greco-ortodossi ad Aleppo, il Memoriale del genocidio armeno del 1915 a Deir al Zor ecc.
Infine, a causa della guerra e per la persecuzione degli islamisti, la Siria, la culla del cristianesimo, si svuota dei suoi cristiani. L'esodo continua, adesso ancor più che durante le ore buie della guerra. Il Nunzio apostolico in Siria, mons Zenari, ha annunciato in una conferenza in Ungheria che i cristiani rimangono adesso solo il 2% della popolazione, cioè mezzo milione per una popolazione di 23 milioni di cittadini . Lo sapevamo, ma è la prima volta che questa cifra è stata annunciata in pubblico. Nella mia città, Aleppo, seconda città siriana per dimensione, il numero dei cristiani è passato da 200.000 prima della guerra a 27.000 oggi.
Tuttavia, nell'oceano di tenebre che ci ha invaso, è rimasto un barlume di speranza, una convinzione, una speranza che dopo il buio ci sarà la Luce . La fede dei cristiani si è rafforzata, le loro preghiere sono diventate più ardenti e la loro pratica religiosa più assidua.
In Siria, i cristiani non chiedono tanto che vengano rispettati i diritti delle loro comunità (che già lo sono), quanto la fine della guerra e l'instaurazione della Pace. "
    Trad. Gb.P.
https://www.prieraucoeurdumonde.net/en-syrie-les-chretiens-attendent-linstauration-de-la-paix/

lunedì 4 marzo 2019

Sostenere il futuro della Siria e della regione - Conferenza di Bruxelles, 12-14 marzo 2019

i bambini siriani sono nati e conoscono solamente un Paese in guerra
Siamo ormai prossimi al fatidico 15 marzo, data convenzionale dell'infausto inizio della crisi siriana, che entra nel NONO ANNO! Potete immaginare con quanto interesse e quale speranza leggiamo che tra pochi giorni si svolgerà la Conferenza dell'UE sul 'futuro della Siria' : conoscendo la situazione drammatica in cui si trovano oggi i siriani, che i nostri amici religiosi dalla Siria continuamente testimoniano, cerchiamo di scorgere nel documento preparatorio i segnali di un'alba di ripresa e di reale volontà di porre fine al disastro.... Ne citiamo qui sotto alcuni passaggi e lasciamo al vostro giudizio le conclusioni.
L'UE e l'ONU copresiederanno  la terza conferenza "Sostenere il futuro della Siria e della regione", che si svolgerà tra il 12 e il 14  marzo  2019 a Bruxelles.Mentre la  guerra siriana entra nel suo nono anno, la situazione umanitaria continua a deteriorarsi. Oltre 11 milioni di siriani hanno ancora bisogno di assistenza umanitaria, e più di 5 milioni di rifugiati siriani sono sfollati al di fuori del paese.Sulla base delle due precedenti edizioni, la conferenza cercherà di mobilitare ulteriormente: 
l'aiuto umanitario  per i siriani che si trovano all'interno del paese e nei paesi vicini   
il sostegno politico  per il processo di pace guidato dalle Nazioni Unite 
https://www.consilium.europa.eu/it/meetings/international-ministerial-meetings/2019/03/12-14/

Corriamo quindi al paragrafo 'La risposta dell'UE alla crisi siriana', e che cosa leggiamo? : Gli aiuti umanitari saranno vincolati alla 'soluzione politica' e gli 'obiettivi strategici dell'UE rimangono quelli definiti nei sei settori fondamentali.. OVVERO : la Siria non sarà aiutata nella ricostruzione fino a quando non sarà pronta una soluzione politica gradita all'Occidente.
Il 28 maggio 2018 il Consiglio ha prorogato  fino al 1 giugno  2019  le misure restrittive dell'UE nei confronti del regime siriano. Alla luce della repressione attualmente in corso contro la popolazione civile, l'UE ha deciso di mantenere le misure restrittive nei confronti del regime siriano e dei suoi sostenitori, in linea con la strategia dell'UE sulla Siria.Il Consiglio ha anche aggiornato le informazioni relative a talune persone ed entità inserite nell'elenco, da cui ha inoltre cancellato due persone decedute. Nell'elenco figurano ora 259 persone e 67 entità oggetto di divieto di viaggio e congelamento dei beni. Le persone aggiunte più di recente all'elenco delle sanzioni sono state incluse a causa del loro ruolo nell'uso di armi chimiche, come è stato il caso per le 4 persone aggiunte il 19 marzo 2018.Più in generale, le sanzioni attualmente in vigore nei confronti della Siria includono un embargo sul petrolio, restrizioni su alcuni investimenti, il congelamento dei beni della banca centrale siriana detenuti nell'UE e restrizioni all'esportazione di attrezzature e tecnologie che potrebbero essere usate a fini di repressione interna nonché di attrezzature e tecnologie per il monitoraggio o l'intercettazione delle comunicazioni telefoniche o online.L'UE mantiene l'impegno a trovare una  soluzione politica duratura e credibile al conflitto in Siria, come definito nella risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nel comunicato di Ginevra del 2012. Come indicato nella strategia dell'UE relativa alla Siria adottata nell'aprile 2017 e ribadito nelle conclusioni del Consiglio del 16 aprile 2018, l'UE ritiene che non vi possa essere una soluzione militare al conflitto e sostiene con vigore l'attività dell'inviato speciale dell'ONU e i colloqui di Ginevra tra le parti siriane.

E se non fosse proprio chiaro, sul portale del Consiglio UE si allegano alcune schede tra cui questa, per intero qui sotto riportata, contenente l'elenco di 'misure restrittive' che sono reiterate e in vigore fino al 1 giugno 2019.
Alla fine della lettura ci domandiamo: con simili 'strumenti di pressione' si osa dichiarare di 'sostenere il futuro della Siria e della Regione' ?
A Bruxelles avranno sentito parlare della miseria straziante della gente siriana, che muore di freddo per mancanza di gas e costretta a tagliare gli alberi dei giardini per cucinare? Dei bambini di Aleppo trovati morti congelati al mattino nelle culle gelide? Dell'impossibilità a riavviare attività commerciali e di ricostruzione degli edifici distrutti per il blocco delle transazioni bancarie e delle importazioni di materiali?
Della conseguente mancanza di lavoro che costringe la gran maggioranza dei giovani alla emigrazione? Dei bombardamenti della Coalizione Occidentale che hanno colpito indiscriminatamente le poche infrastrutture rimaste, centrali elettriche, silos di grano, ponti e vie di comunicazione? 
E mentre si lamenta la corruzione interna, non si legge parola sul ruolo delle mafie di guerra che tale corruzione alimentano a dismisura....
   OpS

ALLEGATO - MISURE RESTRITTIVE SIRIA

Le misure restrittive dell'UE in Siria comprendono:
  • Divieto di importazione di armi e materiale relativo dalla Siria.  Restrizioni all'esportazione di determinate attrezzature, beni e tecnologie che potrebbero essere utilizzati per la repressione interna o per la fabbricazione o la manutenzione di tali prodotti.  La misura include il divieto di assistenza finanziaria correlata nonché di assicurazione e riassicurazione.
  • Obbligo per gli Stati membri di ispezionare le navi e gli aeromobili se vi sono fondati motivi per ritenere che trasportino armi, materiale correlato o attrezzature che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna.  Ciò vale per i porti marittimi degli Stati membri, per gli aeroporti e per il loro mare territoriale, conformemente al diritto internazionale.  Gli articoli che non possono essere esportati dall'UE in Siria devono essere sequestrati.
  • Divieto di importazione di petrolio greggio e prodotti petroliferi dalla Siria.  Il divieto riguarda l'importazione, l'acquisto e il trasporto di tali prodotti, nonché i relativi finanziamenti e assicurazioni.  Il divieto include anche il divieto di assistenza tecnica e finanziaria correlata.  A determinate condizioni, gli stati membri possono autorizzare deroghe a questo divieto.
  • Divieto degli investimenti nell'industria petrolifera siriana.  Questo copre prestiti e crediti, l'acquisizione o l'estensione di partecipazioni e la creazione di joint venture.  A determinate condizioni, gli stati membri possono autorizzare deroghe a questo divieto.
  • Divieto di investimento in società impegnate nella costruzione di nuove centrali elettriche per la produzione di elettricità in Siria.
  • Divieto di partecipare alla costruzione di nuove centrali elettriche, compresa la relativa assistenza tecnica o finanziaria.
  • Divieto delle esportazioni in Siria di attrezzature e tecnologie chiave per l'industria petrolifera e del gas.  Il divieto include anche il divieto di assistenza tecnica e finanziaria correlata.  A determinate condizioni, gli stati membri possono autorizzare deroghe a questo divieto.
  • Divieto di commercio di beni appartenenti al patrimonio culturale della Siria che sono stati illegalmente rimossi dalla Siria con l'obiettivo di facilitare il rientro sicuro di tali beni.
  • Il patrimonio della banca centrale siriana all'interno dell'UE è congelato ed è vietato mettere a disposizione fondi o risorse economiche, ma la disposizione consente al commercio legittimo di continuare a condizioni rigorose.
  • Divieto di commercio di oro, metalli preziosi e diamanti con enti pubblici siriani e la banca centrale.
  • Divieto di fornire banconote e monete alla banca centrale siriana.
  • Gli stati membri non devono concedere nuove sovvenzioni e prestiti agevolati al governo siriano.
  • Il congelamento dei beni e il divieto di viaggio su 259 individui e 67 entità responsabili o associate alla repressione violenta contro la popolazione civile siriana, sostenendo o beneficiando del regime, o rispondendo a determinati criteri di status.  Fondi o risorse economiche altrimenti congelati possono essere liberati in tutto o in parte, a determinate condizioni, se intesi, fra l'altro, a fini umanitari;  per le evacuazioni dalla Siria;  o per effettuare pagamenti a nome della Repubblica araba siriana all'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW), per attività connesse alla missione di verifica dell'OPCW e alla distruzione di armi chimiche siriane.
  • Divieto di esportazione di apparecchiature, tecnologie o software destinati principalmente al monitoraggio o all'intercettazione di comunicazioni Internet o telefoniche.
  • Nessun esborso e pagamento in connessione con accordi di prestito esistenti tra la Siria e la Banca europea per gli investimenti, nonché la sospensione dei contratti di assistenza tecnica relativi a progetti in Siria.
  • Divieto di negoziare obbligazioni pubbliche o garantite pubbliche siriane da o verso il governo della Siria o suoi enti pubblici e istituzioni finanziarie siriane.  Non sono consentiti servizi di intermediazione o di emissione di tali obbligazioni.
  • Divieto per le istituzioni finanziarie siriane di aprire nuove filiali o filiali nell'UE o di stabilire nuove joint venture o nuove relazioni bancarie corrispondenti con le banche dell'UE.
  • Alle banche dell'UE è vietato aprire uffici o conti in Siria.  A determinate condizioni, gli stati membri possono autorizzare deroghe a questo divieto.
  • Gli Stati membri devono limitare il sostegno finanziario a breve e medio termine agli scambi commerciali con la Siria, compresi crediti all'esportazione, garanzie e assicurazioni.  Niente più supporto a lungo termine.
  • Nessuna assicurazione o riassicurazione per il governo, gli enti pubblici, le società o le agenzie siriane (ad eccezione dell'assicurazione sanitaria e di viaggio o dell'assicurazione obbligatoria di terze parti per le persone o entità siriane nell'UE).
  • I voli cargo gestiti da compagnie siriane e tutti i voli operati da Syrian Arab Airlines potrebbero non avere accesso agli aeroporti dell'UE.
  • Divieto di esportare beni di lusso in Siria.
  • Divieto di esportazione di carburante per aerei in Siria.

sabato 2 marzo 2019

I Salesiani di Aleppo e la speranza dei giovani


(ANS – Aleppo) – Ad Aleppo non si combatte più, ma non per questo la situazione oggi è facile. Anzi, “alcuni addirittura dicono che erano meglio i tempi della guerra” racconta don Pier Jabloyan, Direttore della casa salesiana nella città, dove lui stesso è nato e cresciuto. Scarsità dei beni di prima necessità, difficoltà nell’approvvigionamento e lentezza nella ricostruzione finiscono per fiaccare l’animo e le speranze dei cittadini. I Salesiani, dopo aver resistito durante i lunghi anni della guerra, non mollano neanche ora. Perché prendono coraggio dai giovani stessi.
Don Jabloyan attualmente è responsabile per la comunità di Aleppo e quella di Kafroun, al confine con il Libano; un totale di cinque religiosi – tre sacerdoti, un coadiutore e un tirocinante coadiutore. Insieme mandano avanti un oratorio molto conosciuto e che, salvo i primi mesi iniziali – quando ancora non era chiaro che la guerra sarebbe stata lunga e logorante – è rimasto sempre aperto: “si può quasi dire che nessun giovane cristiano nato ad Aleppo non sia passato di qui” afferma il salesiano.
Osservare la tenacia avuta in passato, nelle attuali circostanzi, diventa uno stimolo per affrontare il presente. “La situazione oggi ad Aleppo è sempre difficile – prosegue –. Durante la guerra sapevamo che cadevano le bombe e i razzi, che c’erano grossi problemi e rischi per la vita… Ma finita la guerra aspettavamo la seconda fase, quella della ricostruzione, che credevamo partisse subito. Invece abbiamo capito che questo non avverrà fino a quando la situazione politico-militare non sarà più calma”.
Delle nuove sanzioni imposte dagli Stati Uniti stanno fermando la ricostruzione e costituiscono un problema anche per la vita quotidiana delle persone. “Immaginate, in un Paese come la Siria, produttore di gas, non abbiamo più gas, perché il materiale utilizzato per separare la sostanza per gli usi domestici adesso è stato sottoposto a embargo. L’unica preoccupazione giornaliera della gente ora è diventata procurarsi un po’ di gas, per la cucina, il riscaldamento… Questo fa soffrire tanto”.   Anche il dollaro “impazzito”, che sale e che scende molto rapidamente per i giochi di mercato, ha bloccato le compravendite finanziarie. “Nessuno ora ha intenzione di rischiare i propri risparmi”, continua don Jabloyan.
Aleppo ora è una città che vede il 30% dei suoi quartieri rasi al suolo e dove anche il futuro delle famiglie è minacciato almeno per diversi anni, dato che molti ragazzi a causa della guerra sono emigrati. Ma la permanenza ininterrotta dei salesiani durante il conflitto è quanto c’è di più significativo che essi possano offrire. “Siamo rimasti e restiamo ancora qui” afferma con soddisfazione. Purtroppo, però, “dall’inizio dell’anno abbiamo interrotto gli aiuti: perché non ci sono più! Prima distribuivamo sacchi di vivere e a volte anche contanti per aiutare le persone a mantenersi. Tutti materiali che ci arrivavano da tanti benefattori, soprattutto dall’Europa, ma anche dagli USA: gente che crede nella missione dei Salesiani, nel futuro… Ora tante persone ne stanno soffrendo”.
L'immagine può contenere: 23 persone, persone che sorridono, cielo e spazio all'aperto
Così i salesiani continuano a fare almeno quello che gli riesce meglio: animano l’oratorio, aperto tutti i giorni. Il venerdì è un giorno speciale, perché si fa catechismo. “Abbiamo quasi 750 ragazzi, oltre i catechisti che sono circa 50 e che attraverso il loro impegno e la loro testimonianza rendono un bel servizio alla Chiesa locale”.
“Perché – aggiunge – vi assicuro che non è facile parlare della fede in una situazione così drammatica. Anche se va detto che quando i nostri giovani manifestano la loro fede tra i loro coetanei, con il gioco, la testimonianza… sono loro a darci coraggio!”
Oltre al catechismo, che rimane il primo impegno per la comunità salesiana, i religiosi accompagnano anche i gruppi sportivi e le associazioni giovanili e curano gli incontri di formazione per i ragazzi delle superiori e dell’università “che vogliono essere ben formati nella fede cristiana, per capire come convivere con la guerra e mantenere fede”.
Inoltre, per conto della Conferenza Episcopale, i Salesiani hanno la cura dei detenuti cristiani nel carcere di Aleppo: “È bello, ci ricorda Don Bosco, i suoi inizi nelle prigioni…” prosegue il salesiano aleppino.
Tra le tante attività l’oratorio salesiano anima anche il teatro e organizza due spettacoli ogni anno, le cui repliche coprono circa 3 mesi l’anno. Dal progetto teatrale è nato poi un altro programma di video-animazione, che ora sta assumendo vita autonoma. Racconta don Jabloyan: “Durante la guerra non c’era alcuno studio di registrazione nella città, per cui ci siamo dati da fare per ottenere alcune attrezzature e formare alcuni giovani che seguissero attività dentro e fuori l’oratorio. In futuro vogliamo far crescere questo progetto, acquisire nuove strumentazioni ed estendere la formazione a un maggior numero di ragazzi e ragazze, perché comprenda tutto il Medio Oriente. La nostra idea è raccontare in forma gioiosa la spiritualità salesiana, ma in lingua araba, cosa molto rara da queste parti”.
Guardando al futuro con un po’ di speranza, il salesiano individua dei segnali benauguranti. In primo luogo, un appuntamento che avrà luogo in questo mese di marzo. “Tra qualche giorno ad Aleppo è previsto un primo sinodo della Chiesa di Aleppo: una Chiesa che conta sei vescovi di diversi riti cattolici, più tre vescovi dei riti ortodossi, quindi in totale nove vescovi per una sola città. Noi salesiani siamo chiamati ad occuparcene dal punto di vista della Pastorale Giovanile”.
Un certo ottimismo lo suscita anche il documento sulla fratellanza firmato dal Papa con l’Imam di al-Ahzar negli Emirati Arabi Uniti. Quel testo, afferma “invita ogni uomo a trovare un accordo sui principi basilari, quelli su cui non c’è da discutere. Lo vediamo con speranza, dopo l’esperienza del fondamentalismo religioso che ha portato tante persone a guardare l’altro come un nemico. È una bella testimonianza, e speriamo che nel prossimo futuro porti anche risultati concreti nella nostra situazione”.
“Speriamo – conclude – che le politiche internazionali, come il Papa, spingano verso una soluzione pacifica, molto attesa in Medio Oriente” conclude il salesiano.