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domenica 10 marzo 2019

Presidente Aoun: Il Libano e tutta la terra del Levante conducono una medesima lotta per il pluralismo e contro i settarismi


AsiaNews - “Stanno cercando di disegnare un nuovo Machrek [insieme delle nazioni arabe a est del Cairo e nord della Penisola arabico], lontano dalla propria identità federativa e dalla diversità religiosa”. 
Il capo di Stato Michel Aoun ha approfittato della “Conferenza della sede regionale della Caritas in Medio oriente e Nord Africa” che si tiene in Libano, per affrontare il problema dei rifugiati siriani dall’ambito geopolitico. 
 Imitato in questo senso dal patriarca della Chiesa maronita, il card Beshara Raï, il presidente ha dichiarato che il Libano e l’intero Machrek conducono una medesima lotta per il pluralismo e contro la formazione di Stati segregati e razzisti. È necessario, ha affermato il porporato, combattere tutto ciò che spinge a una redistribuzione demografica delle popolazioni della regione, con una finalità di epurazione religiosa ed etnica che “trasforma le nostre società levantine in società razziste, unilaterali, divergenti e conflittuali”. 
 In particolare, Aoun ha messo in guardia i presenti contro un “contagio intellettuale, che si propaga e si trasmette rapidamente, soprattutto attraverso i social network” e che ha preparato il terreno all’intolleranza, all’estremismo e al terrorismo. Dal canto suo, nel contesto di un intervento incentrato sul “bene comune nelle società pluraliste”, il capo della Chiesa maronita, tornando sulla questione delle migrazioni forzate dei popoli negli ultimi decenni ha insistito ancora sul ritorno dei siriani sfollati dalla guerra. Questo, ha aggiunto, deve avvenire in maniera indipendente rispetto a una soluzione politica del conflitto militare che devasta il Paese dal marzo 2011. 
 Alcuni estratti fra i più significativi dell’intervento del capo di Stato:
“L’artefice del Patto Nazionale, Michel Chiha, ha detto: ‘Chiunque cerchi di controllare una comunità confessionale in Libano, cerca di distruggere il Libano nella sua interezza’. Da qui è giocoforza constatare che questo vale allo stesso modo per il Levante - il Mashrek. Il nostro Mashrek è un miscuglio di culture, un crocevia di civiltà, una culla di religioni monoteiste. Si tratta di un modello unico nel suo genere, dotato di una ricchezza spirituale, culturale e cognitiva; qualsiasi attacco a una di queste componenti non è altro che un attentato a questo modello e alla sua unicità”. 
 “Tutti gli eventi degli ultimi anni sono, senza ombra di dubbio, volti a trasformare le nostre società levantine in società razziste, unilaterali, divergenti e conflittuali. Infatti, l’emorragia umana, la migrazione forzata senza contare i tentativi instancabili volti a un cambiamento demografico; le diverse ondate di sfollati nel corso degli ultimi decenni; la partizione della Palestina e lo sfollamento della sua popolazione, sommata alla pressione esercitata della parte restante della sua gente, negando il diritto al ritorno per i palestinesi e il loro stanziamento nelle nazioni della diaspora; tutti questi sono avvenimenti che tracciano i contorni di un nuovo Levante (Machrek), lontano dalla sua identità federativa e lontano dalla sua diversità religiosa, comunitaria e culturale”. 
Minacce di terrorismo ed estremismo
 “Nostro compito è respingere e resistere a questi tentativi con determinazione e perseveranza: la terra del Levante (Machrek) non deve svuotarsi dei propri abitanti; la culla di Cristo, la strada per il Golgota e il Santo Sepolcro non possono esistere senza i cristiani, così come Gerusalemme e la moschea di al-Aqsa senza i musulmani, come l’acqua non può continuare a scorrere se la sua fonte di prosciuga”. 
 Le minacce più grandi che gravano oggi sul nostro mondo e sulla nostra regione in particolare sono l’estremismo e il terrorismo, che si nutrono l’uno dell’altro. Il pericolo sta nel fatto che si tratta di un contagio intellettuale che si propaga e si trasmette rapidamente, soprattutto attraverso i social network. Esso si basa sull’ignoranza, sulla povertà e l’emarginazione per seminare idee e credenze distruttive e per creare un ambiente favorevole al terrorismo”. 
 Inoltre, il capo dello Stato ha ricordato di aver lanciato una iniziativa alle Nazioni Unite per fare del Libano un centro permanente per il dialogo fra le diverse civiltà, culture e razze, da perseguire attraverso la creazione di una “Accademia dell’incontro e del dialogo fra gli uomini”. Una entità il cui obiettivo è quello di diffondere una cultura dell’incontro nella fedeltà, secondo quella che è “l’essenza del Libano” che, come lo ha definito papa Giovanni Paolo II, è “più di una nazione, è un messaggio”. 
  Il capo dello Stato non ha mancato di ricordare l’importanza di Caritas-Libano, strumento della pastorale sociale della Chiesa che “nella sua azione interconfessionale, inter-etnica e inter-statale” arriva a fornire “aiuto e servizio in caso di bisogno”. Una azione che si sviluppa “a prescindere dalla religione, dall’identità e dall’appartenenza etnica”.  

Alle radici del dibattito, in questi giorni riacceso dalle dichiarazioni del Regno Unito: conoscere la guerra nel paese dei cedri.
Conferenza di Mario Villani, febbraio 2019

mercoledì 6 marzo 2019

Quaresima 2019: La preghiera dei Cristiani siriani


L'intenzione di preghiera proposta da Papa Francesco per il mese di marzo recita: 
"Per le comunità cristiane, specialmente per quelle che sono perseguitate, affinchè sentano la vicinanza di Cristo e il riconoscimento dei loro diritti.".   
La commenta il dott. Nabil Antaki, dei Maristi Blu, medico impegnato tra i più poveri di Aleppo dal 1986. Dopo l'inizio della guerra, decide di restare sul posto in loro aiuto. Vive ancora lì e oggi è un testimone. Possano le sue parole sostenere la nostra preghiera.

Da ALEPPO, Dr. NABIL ANTAKI , 1 marzo 2019
"Prima dell'inizio di questa ignobile guerra che stiamo subendo in Siria da quasi 8 anni, la Siria era un paese sicuro, stabile, prospero e l'unico stato laico della regione. Tutte le confessioni erano rispettate e i cristiani avevano tutti i loro diritti di cittadini a pieno titolo (eccetto quello di essere candidato alla presidenza della repubblica, perché la costituzione vigente stabilisce che questa carica debba spettare ad un musulmano). I Cristiani della Siria, appartenenti alle varie Chiese (11 in tutto) Cattoliche, Ortodosse o Protestanti, non sono stati affatto perseguitati e non lo sono tutt'ora in Siria nel 70% del territorio siriano controllato dal governo. L'attuale presidente del parlamento siriano è cristiano, oltre a diversi ministri e molti parlamentari.
I Cristiani siriani sono stati perseguitati negli ultimi 8 anni dai gruppi armati ribelli, costituiti per il 90% da islamisti, da jihadisti e da wahabiti, spesso degli estranei alla Siria venuti dalla Tunisia, dal Marocco, dalla Giordania, dall'Arabia Saudita o dall'Europa, ecc. arrivati in Siria per fare la jihad.
Molte piccole città e villaggi a prevalenza cristiana sono stati circondati, bombardati, invasi e distrutti dagli islamisti: Maaloula, dove la gente parla ancora l'aramaico, la lingua di Gesù;  Sadad invasa due volte, Mhardeh sottoposta ad assedio a ripetizione (tutt'ora) ecc.
Molti cristiani sono stati uccisi dai ribelli islamisti; ad Aleppo due vescovi sono stati rapiti da terroristi islamici già 5 anni fa e da allora nessuno conosce la loro sorte. Diversi sacerdoti sono stati uccisi, altri rapiti.
Chiese ed altri luoghi di culto cristiani sono stati distrutti o danneggiati a seguito di bombardamenti mirati o casuali dai terroristi ribelli. Tra queste le Cattedrali dei Greco-cattolici, dei Maroniti, dei Siro-cattolici e Greco-ortodossi ad Aleppo, il Memoriale del genocidio armeno del 1915 a Deir al Zor ecc.
Infine, a causa della guerra e per la persecuzione degli islamisti, la Siria, la culla del cristianesimo, si svuota dei suoi cristiani. L'esodo continua, adesso ancor più che durante le ore buie della guerra. Il Nunzio apostolico in Siria, mons Zenari, ha annunciato in una conferenza in Ungheria che i cristiani rimangono adesso solo il 2% della popolazione, cioè mezzo milione per una popolazione di 23 milioni di cittadini . Lo sapevamo, ma è la prima volta che questa cifra è stata annunciata in pubblico. Nella mia città, Aleppo, seconda città siriana per dimensione, il numero dei cristiani è passato da 200.000 prima della guerra a 27.000 oggi.
Tuttavia, nell'oceano di tenebre che ci ha invaso, è rimasto un barlume di speranza, una convinzione, una speranza che dopo il buio ci sarà la Luce . La fede dei cristiani si è rafforzata, le loro preghiere sono diventate più ardenti e la loro pratica religiosa più assidua.
In Siria, i cristiani non chiedono tanto che vengano rispettati i diritti delle loro comunità (che già lo sono), quanto la fine della guerra e l'instaurazione della Pace. "
    Trad. Gb.P.
https://www.prieraucoeurdumonde.net/en-syrie-les-chretiens-attendent-linstauration-de-la-paix/

lunedì 4 marzo 2019

Sostenere il futuro della Siria e della regione - Conferenza di Bruxelles, 12-14 marzo 2019

i bambini siriani sono nati e conoscono solamente un Paese in guerra
Siamo ormai prossimi al fatidico 15 marzo, data convenzionale dell'infausto inizio della crisi siriana, che entra nel NONO ANNO! Potete immaginare con quanto interesse e quale speranza leggiamo che tra pochi giorni si svolgerà la Conferenza dell'UE sul 'futuro della Siria' : conoscendo la situazione drammatica in cui si trovano oggi i siriani, che i nostri amici religiosi dalla Siria continuamente testimoniano, cerchiamo di scorgere nel documento preparatorio i segnali di un'alba di ripresa e di reale volontà di porre fine al disastro.... Ne citiamo qui sotto alcuni passaggi e lasciamo al vostro giudizio le conclusioni.
L'UE e l'ONU copresiederanno  la terza conferenza "Sostenere il futuro della Siria e della regione", che si svolgerà tra il 12 e il 14  marzo  2019 a Bruxelles.Mentre la  guerra siriana entra nel suo nono anno, la situazione umanitaria continua a deteriorarsi. Oltre 11 milioni di siriani hanno ancora bisogno di assistenza umanitaria, e più di 5 milioni di rifugiati siriani sono sfollati al di fuori del paese.Sulla base delle due precedenti edizioni, la conferenza cercherà di mobilitare ulteriormente: 
l'aiuto umanitario  per i siriani che si trovano all'interno del paese e nei paesi vicini   
il sostegno politico  per il processo di pace guidato dalle Nazioni Unite 
https://www.consilium.europa.eu/it/meetings/international-ministerial-meetings/2019/03/12-14/

Corriamo quindi al paragrafo 'La risposta dell'UE alla crisi siriana', e che cosa leggiamo? : Gli aiuti umanitari saranno vincolati alla 'soluzione politica' e gli 'obiettivi strategici dell'UE rimangono quelli definiti nei sei settori fondamentali.. OVVERO : la Siria non sarà aiutata nella ricostruzione fino a quando non sarà pronta una soluzione politica gradita all'Occidente.
Il 28 maggio 2018 il Consiglio ha prorogato  fino al 1 giugno  2019  le misure restrittive dell'UE nei confronti del regime siriano. Alla luce della repressione attualmente in corso contro la popolazione civile, l'UE ha deciso di mantenere le misure restrittive nei confronti del regime siriano e dei suoi sostenitori, in linea con la strategia dell'UE sulla Siria.Il Consiglio ha anche aggiornato le informazioni relative a talune persone ed entità inserite nell'elenco, da cui ha inoltre cancellato due persone decedute. Nell'elenco figurano ora 259 persone e 67 entità oggetto di divieto di viaggio e congelamento dei beni. Le persone aggiunte più di recente all'elenco delle sanzioni sono state incluse a causa del loro ruolo nell'uso di armi chimiche, come è stato il caso per le 4 persone aggiunte il 19 marzo 2018.Più in generale, le sanzioni attualmente in vigore nei confronti della Siria includono un embargo sul petrolio, restrizioni su alcuni investimenti, il congelamento dei beni della banca centrale siriana detenuti nell'UE e restrizioni all'esportazione di attrezzature e tecnologie che potrebbero essere usate a fini di repressione interna nonché di attrezzature e tecnologie per il monitoraggio o l'intercettazione delle comunicazioni telefoniche o online.L'UE mantiene l'impegno a trovare una  soluzione politica duratura e credibile al conflitto in Siria, come definito nella risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nel comunicato di Ginevra del 2012. Come indicato nella strategia dell'UE relativa alla Siria adottata nell'aprile 2017 e ribadito nelle conclusioni del Consiglio del 16 aprile 2018, l'UE ritiene che non vi possa essere una soluzione militare al conflitto e sostiene con vigore l'attività dell'inviato speciale dell'ONU e i colloqui di Ginevra tra le parti siriane.

E se non fosse proprio chiaro, sul portale del Consiglio UE si allegano alcune schede tra cui questa, per intero qui sotto riportata, contenente l'elenco di 'misure restrittive' che sono reiterate e in vigore fino al 1 giugno 2019.
Alla fine della lettura ci domandiamo: con simili 'strumenti di pressione' si osa dichiarare di 'sostenere il futuro della Siria e della Regione' ?
A Bruxelles avranno sentito parlare della miseria straziante della gente siriana, che muore di freddo per mancanza di gas e costretta a tagliare gli alberi dei giardini per cucinare? Dei bambini di Aleppo trovati morti congelati al mattino nelle culle gelide? Dell'impossibilità a riavviare attività commerciali e di ricostruzione degli edifici distrutti per il blocco delle transazioni bancarie e delle importazioni di materiali?
Della conseguente mancanza di lavoro che costringe la gran maggioranza dei giovani alla emigrazione? Dei bombardamenti della Coalizione Occidentale che hanno colpito indiscriminatamente le poche infrastrutture rimaste, centrali elettriche, silos di grano, ponti e vie di comunicazione? 
E mentre si lamenta la corruzione interna, non si legge parola sul ruolo delle mafie di guerra che tale corruzione alimentano a dismisura....
   OpS

ALLEGATO - MISURE RESTRITTIVE SIRIA

Le misure restrittive dell'UE in Siria comprendono:
  • Divieto di importazione di armi e materiale relativo dalla Siria.  Restrizioni all'esportazione di determinate attrezzature, beni e tecnologie che potrebbero essere utilizzati per la repressione interna o per la fabbricazione o la manutenzione di tali prodotti.  La misura include il divieto di assistenza finanziaria correlata nonché di assicurazione e riassicurazione.
  • Obbligo per gli Stati membri di ispezionare le navi e gli aeromobili se vi sono fondati motivi per ritenere che trasportino armi, materiale correlato o attrezzature che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna.  Ciò vale per i porti marittimi degli Stati membri, per gli aeroporti e per il loro mare territoriale, conformemente al diritto internazionale.  Gli articoli che non possono essere esportati dall'UE in Siria devono essere sequestrati.
  • Divieto di importazione di petrolio greggio e prodotti petroliferi dalla Siria.  Il divieto riguarda l'importazione, l'acquisto e il trasporto di tali prodotti, nonché i relativi finanziamenti e assicurazioni.  Il divieto include anche il divieto di assistenza tecnica e finanziaria correlata.  A determinate condizioni, gli stati membri possono autorizzare deroghe a questo divieto.
  • Divieto degli investimenti nell'industria petrolifera siriana.  Questo copre prestiti e crediti, l'acquisizione o l'estensione di partecipazioni e la creazione di joint venture.  A determinate condizioni, gli stati membri possono autorizzare deroghe a questo divieto.
  • Divieto di investimento in società impegnate nella costruzione di nuove centrali elettriche per la produzione di elettricità in Siria.
  • Divieto di partecipare alla costruzione di nuove centrali elettriche, compresa la relativa assistenza tecnica o finanziaria.
  • Divieto delle esportazioni in Siria di attrezzature e tecnologie chiave per l'industria petrolifera e del gas.  Il divieto include anche il divieto di assistenza tecnica e finanziaria correlata.  A determinate condizioni, gli stati membri possono autorizzare deroghe a questo divieto.
  • Divieto di commercio di beni appartenenti al patrimonio culturale della Siria che sono stati illegalmente rimossi dalla Siria con l'obiettivo di facilitare il rientro sicuro di tali beni.
  • Il patrimonio della banca centrale siriana all'interno dell'UE è congelato ed è vietato mettere a disposizione fondi o risorse economiche, ma la disposizione consente al commercio legittimo di continuare a condizioni rigorose.
  • Divieto di commercio di oro, metalli preziosi e diamanti con enti pubblici siriani e la banca centrale.
  • Divieto di fornire banconote e monete alla banca centrale siriana.
  • Gli stati membri non devono concedere nuove sovvenzioni e prestiti agevolati al governo siriano.
  • Il congelamento dei beni e il divieto di viaggio su 259 individui e 67 entità responsabili o associate alla repressione violenta contro la popolazione civile siriana, sostenendo o beneficiando del regime, o rispondendo a determinati criteri di status.  Fondi o risorse economiche altrimenti congelati possono essere liberati in tutto o in parte, a determinate condizioni, se intesi, fra l'altro, a fini umanitari;  per le evacuazioni dalla Siria;  o per effettuare pagamenti a nome della Repubblica araba siriana all'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW), per attività connesse alla missione di verifica dell'OPCW e alla distruzione di armi chimiche siriane.
  • Divieto di esportazione di apparecchiature, tecnologie o software destinati principalmente al monitoraggio o all'intercettazione di comunicazioni Internet o telefoniche.
  • Nessun esborso e pagamento in connessione con accordi di prestito esistenti tra la Siria e la Banca europea per gli investimenti, nonché la sospensione dei contratti di assistenza tecnica relativi a progetti in Siria.
  • Divieto di negoziare obbligazioni pubbliche o garantite pubbliche siriane da o verso il governo della Siria o suoi enti pubblici e istituzioni finanziarie siriane.  Non sono consentiti servizi di intermediazione o di emissione di tali obbligazioni.
  • Divieto per le istituzioni finanziarie siriane di aprire nuove filiali o filiali nell'UE o di stabilire nuove joint venture o nuove relazioni bancarie corrispondenti con le banche dell'UE.
  • Alle banche dell'UE è vietato aprire uffici o conti in Siria.  A determinate condizioni, gli stati membri possono autorizzare deroghe a questo divieto.
  • Gli Stati membri devono limitare il sostegno finanziario a breve e medio termine agli scambi commerciali con la Siria, compresi crediti all'esportazione, garanzie e assicurazioni.  Niente più supporto a lungo termine.
  • Nessuna assicurazione o riassicurazione per il governo, gli enti pubblici, le società o le agenzie siriane (ad eccezione dell'assicurazione sanitaria e di viaggio o dell'assicurazione obbligatoria di terze parti per le persone o entità siriane nell'UE).
  • I voli cargo gestiti da compagnie siriane e tutti i voli operati da Syrian Arab Airlines potrebbero non avere accesso agli aeroporti dell'UE.
  • Divieto di esportare beni di lusso in Siria.
  • Divieto di esportazione di carburante per aerei in Siria.

sabato 2 marzo 2019

I Salesiani di Aleppo e la speranza dei giovani


(ANS – Aleppo) – Ad Aleppo non si combatte più, ma non per questo la situazione oggi è facile. Anzi, “alcuni addirittura dicono che erano meglio i tempi della guerra” racconta don Pier Jabloyan, Direttore della casa salesiana nella città, dove lui stesso è nato e cresciuto. Scarsità dei beni di prima necessità, difficoltà nell’approvvigionamento e lentezza nella ricostruzione finiscono per fiaccare l’animo e le speranze dei cittadini. I Salesiani, dopo aver resistito durante i lunghi anni della guerra, non mollano neanche ora. Perché prendono coraggio dai giovani stessi.
Don Jabloyan attualmente è responsabile per la comunità di Aleppo e quella di Kafroun, al confine con il Libano; un totale di cinque religiosi – tre sacerdoti, un coadiutore e un tirocinante coadiutore. Insieme mandano avanti un oratorio molto conosciuto e che, salvo i primi mesi iniziali – quando ancora non era chiaro che la guerra sarebbe stata lunga e logorante – è rimasto sempre aperto: “si può quasi dire che nessun giovane cristiano nato ad Aleppo non sia passato di qui” afferma il salesiano.
Osservare la tenacia avuta in passato, nelle attuali circostanzi, diventa uno stimolo per affrontare il presente. “La situazione oggi ad Aleppo è sempre difficile – prosegue –. Durante la guerra sapevamo che cadevano le bombe e i razzi, che c’erano grossi problemi e rischi per la vita… Ma finita la guerra aspettavamo la seconda fase, quella della ricostruzione, che credevamo partisse subito. Invece abbiamo capito che questo non avverrà fino a quando la situazione politico-militare non sarà più calma”.
Delle nuove sanzioni imposte dagli Stati Uniti stanno fermando la ricostruzione e costituiscono un problema anche per la vita quotidiana delle persone. “Immaginate, in un Paese come la Siria, produttore di gas, non abbiamo più gas, perché il materiale utilizzato per separare la sostanza per gli usi domestici adesso è stato sottoposto a embargo. L’unica preoccupazione giornaliera della gente ora è diventata procurarsi un po’ di gas, per la cucina, il riscaldamento… Questo fa soffrire tanto”.   Anche il dollaro “impazzito”, che sale e che scende molto rapidamente per i giochi di mercato, ha bloccato le compravendite finanziarie. “Nessuno ora ha intenzione di rischiare i propri risparmi”, continua don Jabloyan.
Aleppo ora è una città che vede il 30% dei suoi quartieri rasi al suolo e dove anche il futuro delle famiglie è minacciato almeno per diversi anni, dato che molti ragazzi a causa della guerra sono emigrati. Ma la permanenza ininterrotta dei salesiani durante il conflitto è quanto c’è di più significativo che essi possano offrire. “Siamo rimasti e restiamo ancora qui” afferma con soddisfazione. Purtroppo, però, “dall’inizio dell’anno abbiamo interrotto gli aiuti: perché non ci sono più! Prima distribuivamo sacchi di vivere e a volte anche contanti per aiutare le persone a mantenersi. Tutti materiali che ci arrivavano da tanti benefattori, soprattutto dall’Europa, ma anche dagli USA: gente che crede nella missione dei Salesiani, nel futuro… Ora tante persone ne stanno soffrendo”.
L'immagine può contenere: 23 persone, persone che sorridono, cielo e spazio all'aperto
Così i salesiani continuano a fare almeno quello che gli riesce meglio: animano l’oratorio, aperto tutti i giorni. Il venerdì è un giorno speciale, perché si fa catechismo. “Abbiamo quasi 750 ragazzi, oltre i catechisti che sono circa 50 e che attraverso il loro impegno e la loro testimonianza rendono un bel servizio alla Chiesa locale”.
“Perché – aggiunge – vi assicuro che non è facile parlare della fede in una situazione così drammatica. Anche se va detto che quando i nostri giovani manifestano la loro fede tra i loro coetanei, con il gioco, la testimonianza… sono loro a darci coraggio!”
Oltre al catechismo, che rimane il primo impegno per la comunità salesiana, i religiosi accompagnano anche i gruppi sportivi e le associazioni giovanili e curano gli incontri di formazione per i ragazzi delle superiori e dell’università “che vogliono essere ben formati nella fede cristiana, per capire come convivere con la guerra e mantenere fede”.
Inoltre, per conto della Conferenza Episcopale, i Salesiani hanno la cura dei detenuti cristiani nel carcere di Aleppo: “È bello, ci ricorda Don Bosco, i suoi inizi nelle prigioni…” prosegue il salesiano aleppino.
Tra le tante attività l’oratorio salesiano anima anche il teatro e organizza due spettacoli ogni anno, le cui repliche coprono circa 3 mesi l’anno. Dal progetto teatrale è nato poi un altro programma di video-animazione, che ora sta assumendo vita autonoma. Racconta don Jabloyan: “Durante la guerra non c’era alcuno studio di registrazione nella città, per cui ci siamo dati da fare per ottenere alcune attrezzature e formare alcuni giovani che seguissero attività dentro e fuori l’oratorio. In futuro vogliamo far crescere questo progetto, acquisire nuove strumentazioni ed estendere la formazione a un maggior numero di ragazzi e ragazze, perché comprenda tutto il Medio Oriente. La nostra idea è raccontare in forma gioiosa la spiritualità salesiana, ma in lingua araba, cosa molto rara da queste parti”.
Guardando al futuro con un po’ di speranza, il salesiano individua dei segnali benauguranti. In primo luogo, un appuntamento che avrà luogo in questo mese di marzo. “Tra qualche giorno ad Aleppo è previsto un primo sinodo della Chiesa di Aleppo: una Chiesa che conta sei vescovi di diversi riti cattolici, più tre vescovi dei riti ortodossi, quindi in totale nove vescovi per una sola città. Noi salesiani siamo chiamati ad occuparcene dal punto di vista della Pastorale Giovanile”.
Un certo ottimismo lo suscita anche il documento sulla fratellanza firmato dal Papa con l’Imam di al-Ahzar negli Emirati Arabi Uniti. Quel testo, afferma “invita ogni uomo a trovare un accordo sui principi basilari, quelli su cui non c’è da discutere. Lo vediamo con speranza, dopo l’esperienza del fondamentalismo religioso che ha portato tante persone a guardare l’altro come un nemico. È una bella testimonianza, e speriamo che nel prossimo futuro porti anche risultati concreti nella nostra situazione”.
“Speriamo – conclude – che le politiche internazionali, come il Papa, spingano verso una soluzione pacifica, molto attesa in Medio Oriente” conclude il salesiano.

giovedì 28 febbraio 2019

Il vescovo di Aleppo Antoine Audo: 'La Siria non è nulla senza i cristiani, così come è nulla l'Europa senza la presenza attiva dei cristiani'

Il 72enne Antoine Audo, Vescovo cattolico caldeo di Aleppo, non ha paura della risurrezione di ISIS: "Vado dappertutto ad Aleppo, anche se il pericolo di essere rapiti o attaccati è sempre presente.". Il Vescovo è convinto che in Siria la visione dei musulmani riguardo ai cristiani sia cambiata : "Sono colpiti dalla carità dei cristiani per i poveri", dice durante una visita a Utrecht.  
di Gerhard Wilts
20 febbraio 2019
Con un sentimento di gratitudine, il vescovo siriano Audo sta visitando l'Olanda per la prima volta. Venerdì sera parlerà ad Amsterdam della Chiesa in tempo di guerra, durante un simposio ecumenico. Ricorderà il ruolo del gesuita olandese Frans van der Lugt a Homs. "L'ho conosciuto come un sincero credente, un uomo di pace, che, nonostante le minacce, è rimasto devoto alla Siria e si è fatto amare da cristiani e musulmani". Il Padre è stato ucciso ad aprile 2014 dagli estremisti. "Padre Van der Lugt ha detto alla popolazione siriana di amare il loro Paese. Abbiamo ancora bisogno di questo amore per il nostro Paese", sottolinea Audo, di passaggio a Utrecht.
Dopo cinque aspri anni di guerra, la pace è tornata ad Aleppo, anche se accadono frequenti scontri a fuoco dentro e intorno alla seconda città della Siria. Il vescovo Audo è consapevole dei pericoli nascosti. Purtroppo, è ancora irrisolto il rapimento del Metropolita Siro Ortodosso Gregorios Ibrahim Youhanna e dell'arcivescovo greco ortodosso Boulos al-Yazigi, spariti da Aleppo nel 2013. La probabilità che i due capi della chiesa siano ancora in vita, Mons. Audo pensa che siano minime. "Ma non ho bisogno di protezione durante le mie visite di lavoro ad Aleppo", dice. "Inoltre, una maggiore sicurezza non è necessaria nelle chiese di Aleppo, perché le autorità hanno un buon controllo di sicurezza. Quanto è diversa la situazione in Iraq e in Egitto, dove la polizia deve vigilare sulle chiese e le istituzioni cristiane contro gli attacchi terroristici da parte di gruppi armati".
Il vescovo canuto sorride gentilmente. "Gli estremisti dell'ISIS sono stati sconfitti in Siria. Il loro ruolo è stato giocato e io non credo nella loro risurrezione ". Secondo lui, Daesh [il nome arabo di ISIS] era un'organizzazione artificiale creata fuori dalla Siria. "Ora è il momento di scoprire chi c'era dietro questa rete e con quale ordine quegli estremisti sono venuti in Siria".
Il vescovo caldeo rifiuta di parlare di una 'guerra civile' nel suo paese. L'esercito siriano ha dovuto combattere nel 2012 con "gruppi armati venuti da ogni dove, estremisti stranieri che hanno ricevuto denaro per usare la violenza in nome della rivoluzione e dei diritti umani. Hanno cercato la distruzione della fede cristiana in Siria come una vittoria storica", ha detto il vescovo. Allo stesso modo, le agenzie di stampa internazionali hanno indicato il presidente siriano Bashar Assad come un tiranno, sostiene. "Era un modo di vendere la guerra come se fosse giusta. È importante invece che i giornalisti si basino sulle giuste informazioni e non si limitino a ripetere ciò che le grandi agenzie di stampa riportano ".
Per comprendere il conflitto, Mons. Audo fa una distinzione su tre livelli.
"A livello regionale, molti conflitti derivano dalla secolare tensione tra sunniti e sciiti. Questa divisione religiosa è espressa politicamente attraverso la lotta per il potere nella regione; vedere perciò il grande coinvolgimento della Turchia e dell'Arabia Saudita (sunnita) contro la presenza del regime sciita dell'Iran sul nostro territorio ".
Inoltre, importanti potenze come la Russia, gli Stati Uniti, ma anche la Cina e l'India svolgono un ruolo in Siria a livello globale. Questi paesi hanno interessi economici e geopolitici nel Medio Oriente ricco di petrolio. "Sotto l'apparenza della protezione della democrazia e dei diritti umani, finanziano la lotta in Siria, forniscono armamenti e equipaggiano le milizie con armi di prima classe", dice Audo.
A livello locale, tutti i tipi di gruppi, tra i quali Alawiti, Drusi, Curdi, Cristiani, Sunniti e Sciiti, vengono usati o giocati l'uno contro l'altro. I gruppi armati tentano di portare il conflitto a una guerra puramente religiosa, ma "la stragrande maggioranza della popolazione e del governo siriani non rientrano tra questi", dice Audo. Eppure le conseguenze sono visibili, aggiunge. "Oltre il 60 percento degli edifici di Aleppo sono in rovina. A Homs, la terza città del paese, fino al 70% è stato distrutto. "
La situazione intorno ad Aleppo è migliorata dopo l'espulsione di ISIS e al-Nusra, ma una soluzione politica non è ancora in vista. "Nel nord-est della Siria ci sono problemi con i kurdi e le truppe americane e francesi", osserva Audo. "In Idlib sono stanziati molti combattenti sconfitti di ISIS e al-Nusra. Cosa ne sarà di loro? "
Inoltre, il vescovo sottolinea la povertà diffusa. Circa l'80% della popolazione siriana vive in povertà, mentre il 5% ha beneficiato della guerra. "Abbiamo bisogno di sostegno per aiutare le famiglie. La carenza di medicinali e cibo è intensa. Il cibo è scarso, la carne non ha prezzo. La popolazione dipende dai prodotti a base di cereali, ma a causa dei pasti carenti di vari nutrienti molte persone diventano deboli e malate."
Ora che la violenza sta diminuendo, la Chiesa ha la possibilità di mostrare il suo volto sociale. "Sono convinto che l'opinione dei musulmani riguardo ai cristiani sia cambiata: sono impressionati dalla carità dei cristiani per i poveri. Purtroppo, i cristiani siriani sono stati così terrorizzati dai gruppi estremisti musulmani che molti hanno perso la fiducia nei loro vicini musulmani".
Il vescovo si rammarica del fatto che molti dei suoi compatrioti vogliano fuggire dalla Siria cercando un rifugio sicuro in Europa. "Molti siriani dicono di voler andare via per proteggere i propri figli. In realtà, la perdita del loro figliolo è la prima cosa che accade loro quando arrivano in un paese europeo. I genitori perdono il controllo sulla loro famiglia, perché i loro figli in Europa abbandonano le convinzioni e le concezioni morali della casa".
Secondo lui, le Chiese olandesi devono fare uno sforzo per assicurare che i cristiani siriani possano rimanere nel loro Paese natale. "Ciò è possibile attraverso il sostegno a progetti educativi, attraverso l'assistenza alla ricostruzione, perché la Siria è troppo povera per farlo da sola. Ma occorre anche essere ben informati su ciò che sta realmente accadendo. Se l'Europa è incurante dell'ascesa dell'Islam, trovo che sia ingenua.
I cristiani siriani possono essere orgogliosi della loro storia. Appartengono alla Siria, che è importante per noi e per l'Europa. La Siria senza cristiani non è nulla, così come non è nulla neppure l'Europa senza la presenza attiva dei cristiani ".

   (trad. Gb.P.)
https://www.nd.nl/nieuws/geloof/syrie-is-niets-zonderchristenen.3287383.lynkx?

lunedì 25 febbraio 2019

Dove andranno gli Europei dell'ISIS?



Di Elijah J. Magnier
Tradotto da: Alice Censi
Su Twitter, il posto prescelto dal presidente degli Stati Uniti per svelare la sua politica estera e le decisioni di stato, Donald Trump ha chiesto a Gran Bretagna, Francia, Germania e altri paesi alleati europei di "riprendersi gli oltre 800 militanti dell’ISIS catturati in Siria” , provenienti da 44 paesi, e se ciò non avvenisse, lui “ sarà costretto a liberarli”senza specificare dove e in quale paese. Trump non è più disposto a lasciar passare del tempo in attesa “che altri ( i paesi europei) facciano il loro lavoro”. Questo è quello che palesa l’ amministrazione americana in politica estera e nei confronti dei suoi alleati. Gli Stati Uniti avevano chiesto all’Europa, al Canada, all’Australia e ai paesi del Medio Oriente di mandare le loro truppe in Siria a “combattere l’ISIS”. Ma prima ancora, alcuni anni fa, gli Stati Uniti avevano chiesto ai paesi europei di lasciar partire i potenziali jihadisti alla volta della Siria e dell’Iraq e all’Arabia Saudita e alla Giordania di aprire le loro prigioni e perdonare i jihadisti affinchè potessero raggiungere la loro tanto ambita destinazione, il Levante, per distruggere così lo stato siriano e creare una situazione di “stato fallito”.   Questi desideri però non poterono essere realizzati e il presidente Bashar al-Assad non fu rimosso  in 3, o al massimo 6 mesi, come era stato previsto nel 2011. 
Oggi il mondo deve fare i conti con un nuovo rebus : cosa farne di quelli che abbiamo aiutato a raggiungere la Siria per terrorizzare, sottoporre a violenze, uccidere la popolazione e che adesso vogliono tornare nei loro paesi d’origine? E’ chiaro che l’amministrazione americana non ha alcuna intenzione di aiutare l’Europa a risolvere il problema dei suoi rifiuti umani che hanno abbracciato lo Stato Islamico proprio come volevano gli Stati Uniti.   Fino a questo momento, migliaia di membri dell’ISIS sono riusciti a tornare in Europa e molti di più sono rientrati nei loro paesi d’origine in Medio Oriente, Asia e Africa. Sono dei combattenti (alcuni di loro erano stati anche incarcerati nei loro paesi d’origine), che avevano risposto alla chiamata e raggiunto la Siria e l’Iraq con l’aiuto dei servizi segreti occidentali e dei loro alleati per unirsi alla jihad e aggregarsi al Califfato di uno “Stato Islamico”.    Viaggiavano verso il Levante per molte ragioni: per raggiungere un famigliare o degli amici, per amore dell’avventura, per l’adrenalina che scorre quando hai a disposizione delle armi per uccidere, per trovare una o più mogli, per far parte di un gruppo più accogliente e caloroso ( in Medio Oriente gli incontri sociali e famigliari sono più intimi e affettuosi che in Europa). Pochissimi avevano una discreta conoscenza dell’Islam prima di arrivare a destinazione, meno ancora erano quelli che conoscevano gli insegnamenti islamici , gli Hadith (racconti sulla vita del profeta Maometto) e le leggi islamiche. Ma molti di loro hanno in comune una cosa : hanno ucciso migliaia di iracheni e di siriani.
L’Europa e i paesi del Medio Oriente agevolavano “i corridoi della jihad” che portavano in Siria soprattutto attraverso la Turchia le cui autorità vedevano di buon occhio l’immigrazione jihadista. L’aeroporto di Ankara aveva dei corridoi speciali per ospitare i militanti appena arrivati e poi  mandarli a est. L’obbiettivo era quello di dividere la Siria e l’Iraq. Il mondo restava a guardare impassibile mentre l’ISIS accumulava enormi risorse finanziarie: rubava dalle banche centinaia di milioni di dollari in oro e denaro, vendeva petrolio, infrastrutture e manufatti alla Turchia,  incassava enormi somme di denaro dalle tasse che imponeva sui servizi, le case,l’elettricità, l’agricoltura, i transiti delle auto, gli scambi di merci e da altre fonti che garantivano enormi entrate nelle zone che controllava.   Il presidente Obama ebbe il coraggio di dire che non voleva inquinare l’aria della Siria e dell’Iraq bombardando i trasporti di petrolio dell’ISIS. Dal 2014 al 2015 gli Stati Uniti apparentemente combatterono l’ISIS in Siria ma il territorio che quest’ultimo dominava continuava a espandersi e prosperare. Fu necessario l’intervento russo che iniziò a settembre del 2015 per distruggere queste autocisterne e ridurre così il flusso di petrolio rubato verso la Turchia e in conseguenza le entrate dell’ISIS. 
E’ possibile che il leader dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi abbia seguito l’esempio di Saddam Hussein che aveva nascosto delle risorse finanziarie e delle armi in vista di tempi difficili. I servizi di intelligence iracheni sono convinti che l’ISIS abbia dato vita a molte imprese private per continuare a poter disporre del denaro necessario a finanziare le sue insurrezioni e il reclutamento. Secondo fonti di informazione interne alle forze di sicurezza irachene, l’Unità di Intelligence Irachena ha arrestato decine di cellule collegate all’ISIS che gestivano beni per centinaia di migliaia di dollari per il gruppo.    L’ISIS è anche presente in grotte e posti nel deserto che unisce la Siria con l’Iraq. Decine di attacchi meno spettacolari ma significativi avvengono ogni mese nelle province di Salahoddine, Nineveh, Diyalah, Kirkuk e nelle montagne Hamrin-Makhol e causano la morte di decine di iracheni. Questo mese l’ISIS ha rapito 19 iracheni lungo i confini con l’Arabia Saudita (Ar’ar Nakheyb) nel deserto di al-Anbar. Sei corpi sono stati trovati finora.   L’ISIS infatti ha bisogno adesso di colpire il più possibile con attacchi terroristici per dimostrare di essere vivo e capace. Non sarebbe così strano che avvenissero parecchi attacchi insurrezionali in Medio Oriente anche se l’ISIS sta perdendo tutto il suo territorio.
Ma le insurrezioni dell’ISIS non sono così lontane dall’Europa dove ogni attacco procura al gruppo  molta più pubblicità e lo aiuta a rafforzare la sua propaganda. Gli attacchi di Parigi e Bruxelles (tanto per nominarne un paio) diedero una gigantesca sensazione di potere ai fans dell’ISIS. Questi attacchi furono organizzati dal comando dell’ISIS a Raqqa.   Così il ritorno di centinaia di militanti dell’ISIS in Europa creerà un gran problema a quei leaders europei che potrebbero essere tra coloro che hanno mandato questi candidati al terrorismo nel Levante dove poi molti sono diventati dei prolifici assassini in Siria e Iraq. Molti sono anche stati uccisi negli attacchi ma quelli che restano sono quelli che hanno capito meglio come si fa ad uccidere in modo efferato. 
L’ISIS è stato sconfitto e le circostanze che gli hanno permesso di crescere nel 2014 non ci sono più. Molti si stanno arrendendo nella loro ultima roccaforte in Siria. Tuttavia la sparizione del territorio dell’ISIS non significa la fine della sua presenza in Medio Oriente, in Europa e nel resto del mondo (soprattutto in Africa occidentale, Libia, Iraq, Egitto, Yemen, Afghanistan e nelle Filippine).  
Trump sta mettendo l’Europa in una situazione che rischia di esplodere chiedendole di riprendersi i suoi cittadini e facendo così capire che non vuole consegnare i prigionieri dell’ISIS al governo siriano. Non ci sono in Europa prigioni adatte a ospitarli, nessuno strumento per de-radicalizzarli o curare il lavaggio del cervello a cui sono stati sottoposti. Non ci sono garanzie che i militanti dell’ISIS arrestati non tentino di diffondere la loro ideologia e possano diventare cellule dormienti pronte ad attaccare alla prima occasione.  Ci sono modi per contrastare l’ideologia dell’ISIS usando i suoi stessi strumenti. Il suo credo può essere condannato a livello razionale e religioso dalle autorità religiose islamiche. Il gruppo è stato contestato dagli Ulema, esperti religiosi sunniti, che hanno criticato le sue razionalizzazioni e il suo stato auto-proclamato. Anche al-Qaeda è esposta ad un tale attacco ideologico. Ma quanto queste critiche potranno essere efficaci, non lo si può sapere.   Sebbene il ministro dell’interno francese Christophe Castaner sia pronto ad accogliere i militanti dell’ISIS che tornano in Francia la maggioranza dei paesi europei preferirebbe respingere i suoi rifiuti umani. Non hanno le risorse e le competenze per poter affrontare questi militanti che tornano a casa. Heiko Maas, il ministro tedesco degli esteri, ha commentato così il tweet di Trump: “non è così facile come pensano in America”. Le autorità europee dovrebbero imparare dal  governo siriano e da quello iracheno come si fa a combattere l’ISIS se no incontreranno mille difficoltà cercando di evitare e prevenire le metastasi di questo cancro. 

sabato 23 febbraio 2019

La devastante piaga delle sanzioni in Siria, nel febbraio 2019

Lilly Martin Sahiounie da Latakia racconta il quotidiano del popolo siriano, in questo inverno del clima e dei cuori.

Traduzione di Maria Antonietta Carta

'' Vorrei darvi buone notizie, ma non ne ho. Siamo sopravvissuti a otto anni di guerra, ma le sanzioni finiranno per ucciderci. 
A causa delle sanzioni statunitensi, ora non abbiamo gas da cucina, né benzina, né elettricità. Lasciatemi spiegare: la Siria aveva i pozzi di gas e ne produceva abbastanza per usi domestici. Ogni casa compra la propria bombola di gas per cucinare e, quando è vuota, la cambia con una piena.
 I terroristi hanno distrutto i nostri pozzi di gas, e i pozzi petroliferi sono nelle mani del nemico: una milizia armata fedele agli USA nella regione a nord-est del Paese. Quindi abbiamo bisogno di importare il gas. Le navi che lo trasportano sono iraniane perché, secondo le sanzioni statunitensi, non siamo autorizzati a comprare gas, o qualsiasi altra cosa, da qualsiasi Paese. Le navi iraniane che portano il gas sono bloccate nel canale di Suez, su ordine degli USA, per impedire alla Siria di riceverlo. Potremmo non ricevere mai quel gas. 
I generatori di elettricità per produrre l'energia elettrica per le nostre case funzionano a gas, quindi non possiamo cucinare e non possiamo accendere una luce! La benzina per le nostre auto non è facilmente disponibile, scarseggia ed è razionata. 
I pozzi petroliferi della Siria pompavano il greggio, lo spedivano all'estero e tornava raffinato. Non possiamo farlo più. Anche nel mio quartiere, in città, molti cucinano con legno di scarto e legno degli alberi. 
La Siria ha vinto la guerra, abbiamo sconfitto i terroristi, abbiamo recuperato quasi ogni centimetro di terra (tranne Idlib e la parte nord-orientale), ma abbiamo perso la capacità di vivere una vita normale. 

Ciò che gli Americani non sono riusciti a ottenere sul campo di battaglia lo stanno ottenendo annientando noi, gente comune, con le sanzioni imposte. Diciamo che sei sopravvissuto alla guerra, possiedi ancora del denaro e vuoi comprare un camion o un bulldozer per riparare case rovinate dalla guerra., ma non importa quanti soldi hai in mano, non puoi inviarli all'estero per acquistare macchinari e le forniture di cui hai bisogno per ricostruire la Siria. A causa delle sanzioni statunitensi, nessuno in Siria è autorizzato a inviare denaro a nessun altro Paese, per comprare qualsiasi cosa. Il sistema bancario globale passa tutto attraverso la banca Chase Manhattan a New York. 
Potresti pensare che ciò sia inverosimile, ma ogni parola che ho scritto è vera. Questa è la nostra vita.''

giovedì 21 febbraio 2019

Memoria per ricostruire: i bambini siriani rifugiati in Libano scoprono la loro identità e il patrimonio cui appartengono

"Ci insegnano la nostra patria, dov'è la nostra casa e dove vivevamo", racconta un bambino siriano partecipando al progetto "Siria nella mia mente".
Gestito da AVSI, finanziato dall'Unione Europea in Libano, sostenuto da UNICEF Libano e attuato dall'associazione Biladi, il progetto "Siria in my mind" introduce i bambini siriani nell'eredità siriana e li collega alla loro patria creando un senso di appartenenza attraverso varie attività centrate sulla Siria. Le attività includono canti tradizionali, danza popolare, giochi e l'apprendimento di siti archeologici sulla mappa della Siria:
" iniziamo dal valore della persona, che non è mai definita dalle circostanze in cui vive.", è il metodo di AVSI




Negli ultimi anni, quasi 800 mila bambini siriani hanno cercato rifugio con le loro famiglie in Libano, secondo il rapporto pubblicato da Unicef ad agosto 2015. C’è chi è nato nel paese dei cedri, chi ci è arrivato molto piccolo e chi ha qualche in anno in più. Ma quando chiedi loro “di dove sei?”, molto spesso non ricordano né da dove arrivano né com’era il proprio paese prima della guerra. Abil, un rifugiato siriano di sette anni che vive con la sua famiglia nel campo di Marshajoun nel sud del Libano da quasi tre anni, non conserva più alcun vivido ricordo della sua casa o della sua terra natia. A Saida, una grande città del sud, quando a questi bambini viene chiesto "da dove vieni" la maggior parte di loro risponde "da Saida".
Il progetto Syria in my mind, ideato dalla Ong Biladi (in arabo significa “Il mio paese”) nasce proprio per mantenere viva la memoria della Siria e creare un legame tra questi bambini e la propria terra. Attraverso varie attività come il cantastorie, le danze tradizionali, il percorso culinario con la mappa della Siria, il gioco dell’oca sui più importanti siti archeologici siriani, il progetto, finanziato da Unicef e gestito dall’Ong italiana Avsi, aiuta i bambini a ricordare la loro patria, l’eredità culturale e le ricchezze storico-archeologiche della Siria.
Il progetto è iniziato nel 2014, quando ho dato a un bambino siriano un pezzo di pane chiamato Tannour, che è un tipo di pane tradizionale. Lui mi ha guardato e mi ha chiesto ‘dov’è la nonna?’. Era la sua nonna che preparava quel tipo di pane. Lui voleva il pane perché gli ricordava la nonna, non per il valore che aveva il pane. E’ stato in quel momento che ho capito che non potevamo restituire i ricordi ma potevamo dare qualcosa che aiutava loro a ricordarsi della Siria e della propria identità”, racconta Joanne Farchakh Bajjaly archeologa libanese e ideatrice del progetto.
Circa duemila bambini siriani tra i cinque e i quindici anni hanno preso parte alle attività pedagogiche all’interno dei centri educativi gestiti da Avsi a Nabatiyeh, Saida, Jounieh, Khiam e Marjayoun. “Alcuni bambini non hanno mai visto la Siria o erano troppo piccoli per ricordarsela. Quello che vogliamo dare è un’immagine della Siria senza guerra e far loro capire la storia e la propria cultura, affinché possano avere una maggior responsabilità e consapevolezza per il futuro. Per farlo abbiamo scelto il gioco e attività pratiche come far costruire la cittadella di Aleppo o il castello per creare una connessione tra loro e la Siria”, spiega Tarek Awwad, archeologo siriano e monitore dell’Ong Syria Eyes.
All’inizio quando aprivamo la mappa della Siria o quando nominavamo alcune città come Palmira o Raqqa molti bambini si spaventavano perché le associavano a una situazione di rischio. Con il passare dei giorni cercavamo di far capire quali erano le bellezze, gli animali o i fiori di quelle regioni”, racconta sempre il giovane archeologo, anch’egli rifugiato in Libano. Il progetto ha permesso non solo ai bambini di avere un’immagine positiva della propria terra, senza sangue e morte, ma ha aiutato a ritrovare il dialogo con i genitori e di frequentare la scuola con maggior coinvolgimento e interesse.
Grazie al progetto Syria in my mind, molti bambini tornavano a casa dalle famiglie cantando le canzoni che avevano imparato o chiedendo loro se si ricordavano del souk e se andavano lì a fare la spesa. E’ importante che inizino a parlare con i genitori e che si ricordino della Siria in maniera positiva perché dà loro la speranza e la voglia di ritornarci”, spiega un’insegnante del centro educativo di Saida. Ma il risultato più importante è senza dubbio la riscoperta della propria identità. I loro animatori sono siriani, parlano la loro lingua, per cui si sentono valorizzati e non hanno più paura di dire dov'è veramente la loro patria.

"Anche il nostro paese ha attraversato una guerra. E sappiamo che il conflitto siriano finirà un giorno ", dice Joanne Farchakh Bajjaly. Con questa convinzione, in Libano, si prepara i bambini siriani al ritorno.
https://en.annahar.com/article/290432-syria-on-my-mind-offers-hope-to-refugee-children
https://www.lorientlejour.com/article/944319/faire-revivre-aux-petits-refugies-syriens-leur-pays-perdu.html

lunedì 18 febbraio 2019

Da Idlibistan bombardamenti sulle città cristiane in risposta agli accordi del vertice a Sochi tra Russia, Turchia e Iran per la definizione delle aree di influenza


Sabato 16 febbraio tre civili sono rimasti feriti a causa di attacchi con missili sulla città cristiana greco-ortodossa di Mhardeh e la centrale elettrica nella campagna settentrionale di Hama.
 Gruppi terroristici posizionati nel castello di al-Madiq hanno anche sparato colpi di razzo sui quartieri residenziali nella città cristiana di al-Sqailbieh nella campagna settentrionale di Hama, ferendo tre civili e causando danni materiali alle case. Qalaat al-Madiq è il sito dell'antica città di Apamea, le cui rovine si trovano appena ad est della città. La fortezza moderna, che ha dato il nome alla città, fu costruita durante il dominio musulmano nel 12 ° secolo. È ancora abitata da cittadini civili, ed ora occupata da gruppi affiliati ad Al-Nusra.
Gruppi terroristici posizionati nella valle di al-Anz a ovest di Kafr Zita hanno preso di mira la città di Salhab con lanci di razzi, causando danni materiali a proprietà private e a infrastrutture.

Lunedì 18 febbraio due cittadini sono stati uccisi e molti altri sono rimasti feriti in un attacco terroristico con colpi di mortaio nella città di Sheizar. Nello stesso giorno, altri due civili sono rimasti feriti quando gruppi terroristici hanno preso di mira con una serie di missili al-Sqeilbiya, 48 km a nord-ovest della città di Hama, in una nuova violazione dell'accordo di de-escalation della zona di Idleb.
Gli attacchi su Mhardeh provengono sempre da Ltamenah, ancora occupata dal takfiri affiliati all'Arabia Saudita, "Jaish al Ezza".

 Notizie tratte da Agenzia S.A.N.A. e da Syrianews

AGGIORNAMENTO da SOS Chrétiens d'Orient: 

...."Il signor Simon e io arriviamo a casa alla stessa ora. Ho appena distribuito cibo e lui i missili. Ridendo, mi fa ascoltare una registrazione da una conversazione intercettata tra terroristi dove sentiamo:
"Colpisci le chiese, colpisci le chiese, questi maiali di cristiani sono nelle chiese" ...
  Dall'estate 2018, un cessate il fuoco è stato ufficialmente decretato dai russi e dai turchi su richiesta dei terroristi ... I turchi che si trovano all'interno delle posizioni terroristiche hanno allestito numerosi centri di osservazione. Per quanto riguarda i russi, circondano la tasca di Idleb dal lato del governo con i soldati dell'esercito arabo siriano.  Tuttavia, questo accordo di pace viene costantemente interrotto da ripetuti attacchi di al-Nusra e dei loro affiliati che si abbattono vigliaccamente sui civili con granate, razzi e missili ...
Altrove nel paese, la pace è tornata, la vita ha ripreso il suo corso, il peggio è ormai alle spalle ma per gli altri, l'inferno continua ed è quotidiano ...   Abituato a vivere in una Siria ritornata serena, avevo dimenticato le sensazioni di un tale clima di paura e ansietà. Avevo dimenticato questa atmosfera di morte. Lo conoscevo bene durante le mie regolari visite ad Aleppo tra il 2015 e il 2017, al culmine di quella lunga battaglia fino alla sua liberazione. L'avevo conosciuto bene anche in altre circostanze, come durante quelle ore di strade spaventose che attraversavano il paese, toccando le aree detenute da ISIS e Al Nusra.   Anche a me capita di dimenticare che sfortunatamente molti sono quelli per cui nulla è finito!
Non mi rivolgo a voi per incolparvi ma perchè vi indigniate con me. Il silenzio dei media è travolgente, soprattutto quando ci dice che tutto è finito in Siria! In realtà qui si continua a uccidere in silenzio, nessuno è lì a riferire i fatti.  
Non aspettate che i media si destino, per parlare solo dei civili nella regione di Idleb, per interessarvi a Mhardeh. Non commettete lo stesso errore delle battaglie di Aleppo e Damasco! Dovete  capire che Mhardeh sta morendo lentamente ...  Oggi i nostri fratelli muoiono in silenzio e solo voi potete aiutarci ad alleviare le loro sofferenze. Abbiamo bisogno di voi, delle vostre preghiere, del vostro aiuto. Aiutateci a sostenere Mhardeh! Aiutateci a sostenere i suoi abitanti!
Alexandre Goodarzy, capo della missione in Siria.