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sabato 2 marzo 2019

I Salesiani di Aleppo e la speranza dei giovani


(ANS – Aleppo) – Ad Aleppo non si combatte più, ma non per questo la situazione oggi è facile. Anzi, “alcuni addirittura dicono che erano meglio i tempi della guerra” racconta don Pier Jabloyan, Direttore della casa salesiana nella città, dove lui stesso è nato e cresciuto. Scarsità dei beni di prima necessità, difficoltà nell’approvvigionamento e lentezza nella ricostruzione finiscono per fiaccare l’animo e le speranze dei cittadini. I Salesiani, dopo aver resistito durante i lunghi anni della guerra, non mollano neanche ora. Perché prendono coraggio dai giovani stessi.
Don Jabloyan attualmente è responsabile per la comunità di Aleppo e quella di Kafroun, al confine con il Libano; un totale di cinque religiosi – tre sacerdoti, un coadiutore e un tirocinante coadiutore. Insieme mandano avanti un oratorio molto conosciuto e che, salvo i primi mesi iniziali – quando ancora non era chiaro che la guerra sarebbe stata lunga e logorante – è rimasto sempre aperto: “si può quasi dire che nessun giovane cristiano nato ad Aleppo non sia passato di qui” afferma il salesiano.
Osservare la tenacia avuta in passato, nelle attuali circostanzi, diventa uno stimolo per affrontare il presente. “La situazione oggi ad Aleppo è sempre difficile – prosegue –. Durante la guerra sapevamo che cadevano le bombe e i razzi, che c’erano grossi problemi e rischi per la vita… Ma finita la guerra aspettavamo la seconda fase, quella della ricostruzione, che credevamo partisse subito. Invece abbiamo capito che questo non avverrà fino a quando la situazione politico-militare non sarà più calma”.
Delle nuove sanzioni imposte dagli Stati Uniti stanno fermando la ricostruzione e costituiscono un problema anche per la vita quotidiana delle persone. “Immaginate, in un Paese come la Siria, produttore di gas, non abbiamo più gas, perché il materiale utilizzato per separare la sostanza per gli usi domestici adesso è stato sottoposto a embargo. L’unica preoccupazione giornaliera della gente ora è diventata procurarsi un po’ di gas, per la cucina, il riscaldamento… Questo fa soffrire tanto”.   Anche il dollaro “impazzito”, che sale e che scende molto rapidamente per i giochi di mercato, ha bloccato le compravendite finanziarie. “Nessuno ora ha intenzione di rischiare i propri risparmi”, continua don Jabloyan.
Aleppo ora è una città che vede il 30% dei suoi quartieri rasi al suolo e dove anche il futuro delle famiglie è minacciato almeno per diversi anni, dato che molti ragazzi a causa della guerra sono emigrati. Ma la permanenza ininterrotta dei salesiani durante il conflitto è quanto c’è di più significativo che essi possano offrire. “Siamo rimasti e restiamo ancora qui” afferma con soddisfazione. Purtroppo, però, “dall’inizio dell’anno abbiamo interrotto gli aiuti: perché non ci sono più! Prima distribuivamo sacchi di vivere e a volte anche contanti per aiutare le persone a mantenersi. Tutti materiali che ci arrivavano da tanti benefattori, soprattutto dall’Europa, ma anche dagli USA: gente che crede nella missione dei Salesiani, nel futuro… Ora tante persone ne stanno soffrendo”.
L'immagine può contenere: 23 persone, persone che sorridono, cielo e spazio all'aperto
Così i salesiani continuano a fare almeno quello che gli riesce meglio: animano l’oratorio, aperto tutti i giorni. Il venerdì è un giorno speciale, perché si fa catechismo. “Abbiamo quasi 750 ragazzi, oltre i catechisti che sono circa 50 e che attraverso il loro impegno e la loro testimonianza rendono un bel servizio alla Chiesa locale”.
“Perché – aggiunge – vi assicuro che non è facile parlare della fede in una situazione così drammatica. Anche se va detto che quando i nostri giovani manifestano la loro fede tra i loro coetanei, con il gioco, la testimonianza… sono loro a darci coraggio!”
Oltre al catechismo, che rimane il primo impegno per la comunità salesiana, i religiosi accompagnano anche i gruppi sportivi e le associazioni giovanili e curano gli incontri di formazione per i ragazzi delle superiori e dell’università “che vogliono essere ben formati nella fede cristiana, per capire come convivere con la guerra e mantenere fede”.
Inoltre, per conto della Conferenza Episcopale, i Salesiani hanno la cura dei detenuti cristiani nel carcere di Aleppo: “È bello, ci ricorda Don Bosco, i suoi inizi nelle prigioni…” prosegue il salesiano aleppino.
Tra le tante attività l’oratorio salesiano anima anche il teatro e organizza due spettacoli ogni anno, le cui repliche coprono circa 3 mesi l’anno. Dal progetto teatrale è nato poi un altro programma di video-animazione, che ora sta assumendo vita autonoma. Racconta don Jabloyan: “Durante la guerra non c’era alcuno studio di registrazione nella città, per cui ci siamo dati da fare per ottenere alcune attrezzature e formare alcuni giovani che seguissero attività dentro e fuori l’oratorio. In futuro vogliamo far crescere questo progetto, acquisire nuove strumentazioni ed estendere la formazione a un maggior numero di ragazzi e ragazze, perché comprenda tutto il Medio Oriente. La nostra idea è raccontare in forma gioiosa la spiritualità salesiana, ma in lingua araba, cosa molto rara da queste parti”.
Guardando al futuro con un po’ di speranza, il salesiano individua dei segnali benauguranti. In primo luogo, un appuntamento che avrà luogo in questo mese di marzo. “Tra qualche giorno ad Aleppo è previsto un primo sinodo della Chiesa di Aleppo: una Chiesa che conta sei vescovi di diversi riti cattolici, più tre vescovi dei riti ortodossi, quindi in totale nove vescovi per una sola città. Noi salesiani siamo chiamati ad occuparcene dal punto di vista della Pastorale Giovanile”.
Un certo ottimismo lo suscita anche il documento sulla fratellanza firmato dal Papa con l’Imam di al-Ahzar negli Emirati Arabi Uniti. Quel testo, afferma “invita ogni uomo a trovare un accordo sui principi basilari, quelli su cui non c’è da discutere. Lo vediamo con speranza, dopo l’esperienza del fondamentalismo religioso che ha portato tante persone a guardare l’altro come un nemico. È una bella testimonianza, e speriamo che nel prossimo futuro porti anche risultati concreti nella nostra situazione”.
“Speriamo – conclude – che le politiche internazionali, come il Papa, spingano verso una soluzione pacifica, molto attesa in Medio Oriente” conclude il salesiano.

giovedì 28 febbraio 2019

Il vescovo di Aleppo Antoine Audo: 'La Siria non è nulla senza i cristiani, così come è nulla l'Europa senza la presenza attiva dei cristiani'

Il 72enne Antoine Audo, Vescovo cattolico caldeo di Aleppo, non ha paura della risurrezione di ISIS: "Vado dappertutto ad Aleppo, anche se il pericolo di essere rapiti o attaccati è sempre presente.". Il Vescovo è convinto che in Siria la visione dei musulmani riguardo ai cristiani sia cambiata : "Sono colpiti dalla carità dei cristiani per i poveri", dice durante una visita a Utrecht.  
di Gerhard Wilts
20 febbraio 2019
Con un sentimento di gratitudine, il vescovo siriano Audo sta visitando l'Olanda per la prima volta. Venerdì sera parlerà ad Amsterdam della Chiesa in tempo di guerra, durante un simposio ecumenico. Ricorderà il ruolo del gesuita olandese Frans van der Lugt a Homs. "L'ho conosciuto come un sincero credente, un uomo di pace, che, nonostante le minacce, è rimasto devoto alla Siria e si è fatto amare da cristiani e musulmani". Il Padre è stato ucciso ad aprile 2014 dagli estremisti. "Padre Van der Lugt ha detto alla popolazione siriana di amare il loro Paese. Abbiamo ancora bisogno di questo amore per il nostro Paese", sottolinea Audo, di passaggio a Utrecht.
Dopo cinque aspri anni di guerra, la pace è tornata ad Aleppo, anche se accadono frequenti scontri a fuoco dentro e intorno alla seconda città della Siria. Il vescovo Audo è consapevole dei pericoli nascosti. Purtroppo, è ancora irrisolto il rapimento del Metropolita Siro Ortodosso Gregorios Ibrahim Youhanna e dell'arcivescovo greco ortodosso Boulos al-Yazigi, spariti da Aleppo nel 2013. La probabilità che i due capi della chiesa siano ancora in vita, Mons. Audo pensa che siano minime. "Ma non ho bisogno di protezione durante le mie visite di lavoro ad Aleppo", dice. "Inoltre, una maggiore sicurezza non è necessaria nelle chiese di Aleppo, perché le autorità hanno un buon controllo di sicurezza. Quanto è diversa la situazione in Iraq e in Egitto, dove la polizia deve vigilare sulle chiese e le istituzioni cristiane contro gli attacchi terroristici da parte di gruppi armati".
Il vescovo canuto sorride gentilmente. "Gli estremisti dell'ISIS sono stati sconfitti in Siria. Il loro ruolo è stato giocato e io non credo nella loro risurrezione ". Secondo lui, Daesh [il nome arabo di ISIS] era un'organizzazione artificiale creata fuori dalla Siria. "Ora è il momento di scoprire chi c'era dietro questa rete e con quale ordine quegli estremisti sono venuti in Siria".
Il vescovo caldeo rifiuta di parlare di una 'guerra civile' nel suo paese. L'esercito siriano ha dovuto combattere nel 2012 con "gruppi armati venuti da ogni dove, estremisti stranieri che hanno ricevuto denaro per usare la violenza in nome della rivoluzione e dei diritti umani. Hanno cercato la distruzione della fede cristiana in Siria come una vittoria storica", ha detto il vescovo. Allo stesso modo, le agenzie di stampa internazionali hanno indicato il presidente siriano Bashar Assad come un tiranno, sostiene. "Era un modo di vendere la guerra come se fosse giusta. È importante invece che i giornalisti si basino sulle giuste informazioni e non si limitino a ripetere ciò che le grandi agenzie di stampa riportano ".
Per comprendere il conflitto, Mons. Audo fa una distinzione su tre livelli.
"A livello regionale, molti conflitti derivano dalla secolare tensione tra sunniti e sciiti. Questa divisione religiosa è espressa politicamente attraverso la lotta per il potere nella regione; vedere perciò il grande coinvolgimento della Turchia e dell'Arabia Saudita (sunnita) contro la presenza del regime sciita dell'Iran sul nostro territorio ".
Inoltre, importanti potenze come la Russia, gli Stati Uniti, ma anche la Cina e l'India svolgono un ruolo in Siria a livello globale. Questi paesi hanno interessi economici e geopolitici nel Medio Oriente ricco di petrolio. "Sotto l'apparenza della protezione della democrazia e dei diritti umani, finanziano la lotta in Siria, forniscono armamenti e equipaggiano le milizie con armi di prima classe", dice Audo.
A livello locale, tutti i tipi di gruppi, tra i quali Alawiti, Drusi, Curdi, Cristiani, Sunniti e Sciiti, vengono usati o giocati l'uno contro l'altro. I gruppi armati tentano di portare il conflitto a una guerra puramente religiosa, ma "la stragrande maggioranza della popolazione e del governo siriani non rientrano tra questi", dice Audo. Eppure le conseguenze sono visibili, aggiunge. "Oltre il 60 percento degli edifici di Aleppo sono in rovina. A Homs, la terza città del paese, fino al 70% è stato distrutto. "
La situazione intorno ad Aleppo è migliorata dopo l'espulsione di ISIS e al-Nusra, ma una soluzione politica non è ancora in vista. "Nel nord-est della Siria ci sono problemi con i kurdi e le truppe americane e francesi", osserva Audo. "In Idlib sono stanziati molti combattenti sconfitti di ISIS e al-Nusra. Cosa ne sarà di loro? "
Inoltre, il vescovo sottolinea la povertà diffusa. Circa l'80% della popolazione siriana vive in povertà, mentre il 5% ha beneficiato della guerra. "Abbiamo bisogno di sostegno per aiutare le famiglie. La carenza di medicinali e cibo è intensa. Il cibo è scarso, la carne non ha prezzo. La popolazione dipende dai prodotti a base di cereali, ma a causa dei pasti carenti di vari nutrienti molte persone diventano deboli e malate."
Ora che la violenza sta diminuendo, la Chiesa ha la possibilità di mostrare il suo volto sociale. "Sono convinto che l'opinione dei musulmani riguardo ai cristiani sia cambiata: sono impressionati dalla carità dei cristiani per i poveri. Purtroppo, i cristiani siriani sono stati così terrorizzati dai gruppi estremisti musulmani che molti hanno perso la fiducia nei loro vicini musulmani".
Il vescovo si rammarica del fatto che molti dei suoi compatrioti vogliano fuggire dalla Siria cercando un rifugio sicuro in Europa. "Molti siriani dicono di voler andare via per proteggere i propri figli. In realtà, la perdita del loro figliolo è la prima cosa che accade loro quando arrivano in un paese europeo. I genitori perdono il controllo sulla loro famiglia, perché i loro figli in Europa abbandonano le convinzioni e le concezioni morali della casa".
Secondo lui, le Chiese olandesi devono fare uno sforzo per assicurare che i cristiani siriani possano rimanere nel loro Paese natale. "Ciò è possibile attraverso il sostegno a progetti educativi, attraverso l'assistenza alla ricostruzione, perché la Siria è troppo povera per farlo da sola. Ma occorre anche essere ben informati su ciò che sta realmente accadendo. Se l'Europa è incurante dell'ascesa dell'Islam, trovo che sia ingenua.
I cristiani siriani possono essere orgogliosi della loro storia. Appartengono alla Siria, che è importante per noi e per l'Europa. La Siria senza cristiani non è nulla, così come non è nulla neppure l'Europa senza la presenza attiva dei cristiani ".

   (trad. Gb.P.)
https://www.nd.nl/nieuws/geloof/syrie-is-niets-zonderchristenen.3287383.lynkx?

lunedì 25 febbraio 2019

Dove andranno gli Europei dell'ISIS?



Di Elijah J. Magnier
Tradotto da: Alice Censi
Su Twitter, il posto prescelto dal presidente degli Stati Uniti per svelare la sua politica estera e le decisioni di stato, Donald Trump ha chiesto a Gran Bretagna, Francia, Germania e altri paesi alleati europei di "riprendersi gli oltre 800 militanti dell’ISIS catturati in Siria” , provenienti da 44 paesi, e se ciò non avvenisse, lui “ sarà costretto a liberarli”senza specificare dove e in quale paese. Trump non è più disposto a lasciar passare del tempo in attesa “che altri ( i paesi europei) facciano il loro lavoro”. Questo è quello che palesa l’ amministrazione americana in politica estera e nei confronti dei suoi alleati. Gli Stati Uniti avevano chiesto all’Europa, al Canada, all’Australia e ai paesi del Medio Oriente di mandare le loro truppe in Siria a “combattere l’ISIS”. Ma prima ancora, alcuni anni fa, gli Stati Uniti avevano chiesto ai paesi europei di lasciar partire i potenziali jihadisti alla volta della Siria e dell’Iraq e all’Arabia Saudita e alla Giordania di aprire le loro prigioni e perdonare i jihadisti affinchè potessero raggiungere la loro tanto ambita destinazione, il Levante, per distruggere così lo stato siriano e creare una situazione di “stato fallito”.   Questi desideri però non poterono essere realizzati e il presidente Bashar al-Assad non fu rimosso  in 3, o al massimo 6 mesi, come era stato previsto nel 2011. 
Oggi il mondo deve fare i conti con un nuovo rebus : cosa farne di quelli che abbiamo aiutato a raggiungere la Siria per terrorizzare, sottoporre a violenze, uccidere la popolazione e che adesso vogliono tornare nei loro paesi d’origine? E’ chiaro che l’amministrazione americana non ha alcuna intenzione di aiutare l’Europa a risolvere il problema dei suoi rifiuti umani che hanno abbracciato lo Stato Islamico proprio come volevano gli Stati Uniti.   Fino a questo momento, migliaia di membri dell’ISIS sono riusciti a tornare in Europa e molti di più sono rientrati nei loro paesi d’origine in Medio Oriente, Asia e Africa. Sono dei combattenti (alcuni di loro erano stati anche incarcerati nei loro paesi d’origine), che avevano risposto alla chiamata e raggiunto la Siria e l’Iraq con l’aiuto dei servizi segreti occidentali e dei loro alleati per unirsi alla jihad e aggregarsi al Califfato di uno “Stato Islamico”.    Viaggiavano verso il Levante per molte ragioni: per raggiungere un famigliare o degli amici, per amore dell’avventura, per l’adrenalina che scorre quando hai a disposizione delle armi per uccidere, per trovare una o più mogli, per far parte di un gruppo più accogliente e caloroso ( in Medio Oriente gli incontri sociali e famigliari sono più intimi e affettuosi che in Europa). Pochissimi avevano una discreta conoscenza dell’Islam prima di arrivare a destinazione, meno ancora erano quelli che conoscevano gli insegnamenti islamici , gli Hadith (racconti sulla vita del profeta Maometto) e le leggi islamiche. Ma molti di loro hanno in comune una cosa : hanno ucciso migliaia di iracheni e di siriani.
L’Europa e i paesi del Medio Oriente agevolavano “i corridoi della jihad” che portavano in Siria soprattutto attraverso la Turchia le cui autorità vedevano di buon occhio l’immigrazione jihadista. L’aeroporto di Ankara aveva dei corridoi speciali per ospitare i militanti appena arrivati e poi  mandarli a est. L’obbiettivo era quello di dividere la Siria e l’Iraq. Il mondo restava a guardare impassibile mentre l’ISIS accumulava enormi risorse finanziarie: rubava dalle banche centinaia di milioni di dollari in oro e denaro, vendeva petrolio, infrastrutture e manufatti alla Turchia,  incassava enormi somme di denaro dalle tasse che imponeva sui servizi, le case,l’elettricità, l’agricoltura, i transiti delle auto, gli scambi di merci e da altre fonti che garantivano enormi entrate nelle zone che controllava.   Il presidente Obama ebbe il coraggio di dire che non voleva inquinare l’aria della Siria e dell’Iraq bombardando i trasporti di petrolio dell’ISIS. Dal 2014 al 2015 gli Stati Uniti apparentemente combatterono l’ISIS in Siria ma il territorio che quest’ultimo dominava continuava a espandersi e prosperare. Fu necessario l’intervento russo che iniziò a settembre del 2015 per distruggere queste autocisterne e ridurre così il flusso di petrolio rubato verso la Turchia e in conseguenza le entrate dell’ISIS. 
E’ possibile che il leader dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi abbia seguito l’esempio di Saddam Hussein che aveva nascosto delle risorse finanziarie e delle armi in vista di tempi difficili. I servizi di intelligence iracheni sono convinti che l’ISIS abbia dato vita a molte imprese private per continuare a poter disporre del denaro necessario a finanziare le sue insurrezioni e il reclutamento. Secondo fonti di informazione interne alle forze di sicurezza irachene, l’Unità di Intelligence Irachena ha arrestato decine di cellule collegate all’ISIS che gestivano beni per centinaia di migliaia di dollari per il gruppo.    L’ISIS è anche presente in grotte e posti nel deserto che unisce la Siria con l’Iraq. Decine di attacchi meno spettacolari ma significativi avvengono ogni mese nelle province di Salahoddine, Nineveh, Diyalah, Kirkuk e nelle montagne Hamrin-Makhol e causano la morte di decine di iracheni. Questo mese l’ISIS ha rapito 19 iracheni lungo i confini con l’Arabia Saudita (Ar’ar Nakheyb) nel deserto di al-Anbar. Sei corpi sono stati trovati finora.   L’ISIS infatti ha bisogno adesso di colpire il più possibile con attacchi terroristici per dimostrare di essere vivo e capace. Non sarebbe così strano che avvenissero parecchi attacchi insurrezionali in Medio Oriente anche se l’ISIS sta perdendo tutto il suo territorio.
Ma le insurrezioni dell’ISIS non sono così lontane dall’Europa dove ogni attacco procura al gruppo  molta più pubblicità e lo aiuta a rafforzare la sua propaganda. Gli attacchi di Parigi e Bruxelles (tanto per nominarne un paio) diedero una gigantesca sensazione di potere ai fans dell’ISIS. Questi attacchi furono organizzati dal comando dell’ISIS a Raqqa.   Così il ritorno di centinaia di militanti dell’ISIS in Europa creerà un gran problema a quei leaders europei che potrebbero essere tra coloro che hanno mandato questi candidati al terrorismo nel Levante dove poi molti sono diventati dei prolifici assassini in Siria e Iraq. Molti sono anche stati uccisi negli attacchi ma quelli che restano sono quelli che hanno capito meglio come si fa ad uccidere in modo efferato. 
L’ISIS è stato sconfitto e le circostanze che gli hanno permesso di crescere nel 2014 non ci sono più. Molti si stanno arrendendo nella loro ultima roccaforte in Siria. Tuttavia la sparizione del territorio dell’ISIS non significa la fine della sua presenza in Medio Oriente, in Europa e nel resto del mondo (soprattutto in Africa occidentale, Libia, Iraq, Egitto, Yemen, Afghanistan e nelle Filippine).  
Trump sta mettendo l’Europa in una situazione che rischia di esplodere chiedendole di riprendersi i suoi cittadini e facendo così capire che non vuole consegnare i prigionieri dell’ISIS al governo siriano. Non ci sono in Europa prigioni adatte a ospitarli, nessuno strumento per de-radicalizzarli o curare il lavaggio del cervello a cui sono stati sottoposti. Non ci sono garanzie che i militanti dell’ISIS arrestati non tentino di diffondere la loro ideologia e possano diventare cellule dormienti pronte ad attaccare alla prima occasione.  Ci sono modi per contrastare l’ideologia dell’ISIS usando i suoi stessi strumenti. Il suo credo può essere condannato a livello razionale e religioso dalle autorità religiose islamiche. Il gruppo è stato contestato dagli Ulema, esperti religiosi sunniti, che hanno criticato le sue razionalizzazioni e il suo stato auto-proclamato. Anche al-Qaeda è esposta ad un tale attacco ideologico. Ma quanto queste critiche potranno essere efficaci, non lo si può sapere.   Sebbene il ministro dell’interno francese Christophe Castaner sia pronto ad accogliere i militanti dell’ISIS che tornano in Francia la maggioranza dei paesi europei preferirebbe respingere i suoi rifiuti umani. Non hanno le risorse e le competenze per poter affrontare questi militanti che tornano a casa. Heiko Maas, il ministro tedesco degli esteri, ha commentato così il tweet di Trump: “non è così facile come pensano in America”. Le autorità europee dovrebbero imparare dal  governo siriano e da quello iracheno come si fa a combattere l’ISIS se no incontreranno mille difficoltà cercando di evitare e prevenire le metastasi di questo cancro. 

sabato 23 febbraio 2019

La devastante piaga delle sanzioni in Siria, nel febbraio 2019

Lilly Martin Sahiounie da Latakia racconta il quotidiano del popolo siriano, in questo inverno del clima e dei cuori.

Traduzione di Maria Antonietta Carta

'' Vorrei darvi buone notizie, ma non ne ho. Siamo sopravvissuti a otto anni di guerra, ma le sanzioni finiranno per ucciderci. 
A causa delle sanzioni statunitensi, ora non abbiamo gas da cucina, né benzina, né elettricità. Lasciatemi spiegare: la Siria aveva i pozzi di gas e ne produceva abbastanza per usi domestici. Ogni casa compra la propria bombola di gas per cucinare e, quando è vuota, la cambia con una piena.
 I terroristi hanno distrutto i nostri pozzi di gas, e i pozzi petroliferi sono nelle mani del nemico: una milizia armata fedele agli USA nella regione a nord-est del Paese. Quindi abbiamo bisogno di importare il gas. Le navi che lo trasportano sono iraniane perché, secondo le sanzioni statunitensi, non siamo autorizzati a comprare gas, o qualsiasi altra cosa, da qualsiasi Paese. Le navi iraniane che portano il gas sono bloccate nel canale di Suez, su ordine degli USA, per impedire alla Siria di riceverlo. Potremmo non ricevere mai quel gas. 
I generatori di elettricità per produrre l'energia elettrica per le nostre case funzionano a gas, quindi non possiamo cucinare e non possiamo accendere una luce! La benzina per le nostre auto non è facilmente disponibile, scarseggia ed è razionata. 
I pozzi petroliferi della Siria pompavano il greggio, lo spedivano all'estero e tornava raffinato. Non possiamo farlo più. Anche nel mio quartiere, in città, molti cucinano con legno di scarto e legno degli alberi. 
La Siria ha vinto la guerra, abbiamo sconfitto i terroristi, abbiamo recuperato quasi ogni centimetro di terra (tranne Idlib e la parte nord-orientale), ma abbiamo perso la capacità di vivere una vita normale. 

Ciò che gli Americani non sono riusciti a ottenere sul campo di battaglia lo stanno ottenendo annientando noi, gente comune, con le sanzioni imposte. Diciamo che sei sopravvissuto alla guerra, possiedi ancora del denaro e vuoi comprare un camion o un bulldozer per riparare case rovinate dalla guerra., ma non importa quanti soldi hai in mano, non puoi inviarli all'estero per acquistare macchinari e le forniture di cui hai bisogno per ricostruire la Siria. A causa delle sanzioni statunitensi, nessuno in Siria è autorizzato a inviare denaro a nessun altro Paese, per comprare qualsiasi cosa. Il sistema bancario globale passa tutto attraverso la banca Chase Manhattan a New York. 
Potresti pensare che ciò sia inverosimile, ma ogni parola che ho scritto è vera. Questa è la nostra vita.''

giovedì 21 febbraio 2019

Memoria per ricostruire: i bambini siriani rifugiati in Libano scoprono la loro identità e il patrimonio cui appartengono

"Ci insegnano la nostra patria, dov'è la nostra casa e dove vivevamo", racconta un bambino siriano partecipando al progetto "Siria nella mia mente".
Gestito da AVSI, finanziato dall'Unione Europea in Libano, sostenuto da UNICEF Libano e attuato dall'associazione Biladi, il progetto "Siria in my mind" introduce i bambini siriani nell'eredità siriana e li collega alla loro patria creando un senso di appartenenza attraverso varie attività centrate sulla Siria. Le attività includono canti tradizionali, danza popolare, giochi e l'apprendimento di siti archeologici sulla mappa della Siria:
" iniziamo dal valore della persona, che non è mai definita dalle circostanze in cui vive.", è il metodo di AVSI




Negli ultimi anni, quasi 800 mila bambini siriani hanno cercato rifugio con le loro famiglie in Libano, secondo il rapporto pubblicato da Unicef ad agosto 2015. C’è chi è nato nel paese dei cedri, chi ci è arrivato molto piccolo e chi ha qualche in anno in più. Ma quando chiedi loro “di dove sei?”, molto spesso non ricordano né da dove arrivano né com’era il proprio paese prima della guerra. Abil, un rifugiato siriano di sette anni che vive con la sua famiglia nel campo di Marshajoun nel sud del Libano da quasi tre anni, non conserva più alcun vivido ricordo della sua casa o della sua terra natia. A Saida, una grande città del sud, quando a questi bambini viene chiesto "da dove vieni" la maggior parte di loro risponde "da Saida".
Il progetto Syria in my mind, ideato dalla Ong Biladi (in arabo significa “Il mio paese”) nasce proprio per mantenere viva la memoria della Siria e creare un legame tra questi bambini e la propria terra. Attraverso varie attività come il cantastorie, le danze tradizionali, il percorso culinario con la mappa della Siria, il gioco dell’oca sui più importanti siti archeologici siriani, il progetto, finanziato da Unicef e gestito dall’Ong italiana Avsi, aiuta i bambini a ricordare la loro patria, l’eredità culturale e le ricchezze storico-archeologiche della Siria.
Il progetto è iniziato nel 2014, quando ho dato a un bambino siriano un pezzo di pane chiamato Tannour, che è un tipo di pane tradizionale. Lui mi ha guardato e mi ha chiesto ‘dov’è la nonna?’. Era la sua nonna che preparava quel tipo di pane. Lui voleva il pane perché gli ricordava la nonna, non per il valore che aveva il pane. E’ stato in quel momento che ho capito che non potevamo restituire i ricordi ma potevamo dare qualcosa che aiutava loro a ricordarsi della Siria e della propria identità”, racconta Joanne Farchakh Bajjaly archeologa libanese e ideatrice del progetto.
Circa duemila bambini siriani tra i cinque e i quindici anni hanno preso parte alle attività pedagogiche all’interno dei centri educativi gestiti da Avsi a Nabatiyeh, Saida, Jounieh, Khiam e Marjayoun. “Alcuni bambini non hanno mai visto la Siria o erano troppo piccoli per ricordarsela. Quello che vogliamo dare è un’immagine della Siria senza guerra e far loro capire la storia e la propria cultura, affinché possano avere una maggior responsabilità e consapevolezza per il futuro. Per farlo abbiamo scelto il gioco e attività pratiche come far costruire la cittadella di Aleppo o il castello per creare una connessione tra loro e la Siria”, spiega Tarek Awwad, archeologo siriano e monitore dell’Ong Syria Eyes.
All’inizio quando aprivamo la mappa della Siria o quando nominavamo alcune città come Palmira o Raqqa molti bambini si spaventavano perché le associavano a una situazione di rischio. Con il passare dei giorni cercavamo di far capire quali erano le bellezze, gli animali o i fiori di quelle regioni”, racconta sempre il giovane archeologo, anch’egli rifugiato in Libano. Il progetto ha permesso non solo ai bambini di avere un’immagine positiva della propria terra, senza sangue e morte, ma ha aiutato a ritrovare il dialogo con i genitori e di frequentare la scuola con maggior coinvolgimento e interesse.
Grazie al progetto Syria in my mind, molti bambini tornavano a casa dalle famiglie cantando le canzoni che avevano imparato o chiedendo loro se si ricordavano del souk e se andavano lì a fare la spesa. E’ importante che inizino a parlare con i genitori e che si ricordino della Siria in maniera positiva perché dà loro la speranza e la voglia di ritornarci”, spiega un’insegnante del centro educativo di Saida. Ma il risultato più importante è senza dubbio la riscoperta della propria identità. I loro animatori sono siriani, parlano la loro lingua, per cui si sentono valorizzati e non hanno più paura di dire dov'è veramente la loro patria.

"Anche il nostro paese ha attraversato una guerra. E sappiamo che il conflitto siriano finirà un giorno ", dice Joanne Farchakh Bajjaly. Con questa convinzione, in Libano, si prepara i bambini siriani al ritorno.
https://en.annahar.com/article/290432-syria-on-my-mind-offers-hope-to-refugee-children
https://www.lorientlejour.com/article/944319/faire-revivre-aux-petits-refugies-syriens-leur-pays-perdu.html

lunedì 18 febbraio 2019

Da Idlibistan bombardamenti sulle città cristiane in risposta agli accordi del vertice a Sochi tra Russia, Turchia e Iran per la definizione delle aree di influenza


Sabato 16 febbraio tre civili sono rimasti feriti a causa di attacchi con missili sulla città cristiana greco-ortodossa di Mhardeh e la centrale elettrica nella campagna settentrionale di Hama.
 Gruppi terroristici posizionati nel castello di al-Madiq hanno anche sparato colpi di razzo sui quartieri residenziali nella città cristiana di al-Sqailbieh nella campagna settentrionale di Hama, ferendo tre civili e causando danni materiali alle case. Qalaat al-Madiq è il sito dell'antica città di Apamea, le cui rovine si trovano appena ad est della città. La fortezza moderna, che ha dato il nome alla città, fu costruita durante il dominio musulmano nel 12 ° secolo. È ancora abitata da cittadini civili, ed ora occupata da gruppi affiliati ad Al-Nusra.
Gruppi terroristici posizionati nella valle di al-Anz a ovest di Kafr Zita hanno preso di mira la città di Salhab con lanci di razzi, causando danni materiali a proprietà private e a infrastrutture.

Lunedì 18 febbraio due cittadini sono stati uccisi e molti altri sono rimasti feriti in un attacco terroristico con colpi di mortaio nella città di Sheizar. Nello stesso giorno, altri due civili sono rimasti feriti quando gruppi terroristici hanno preso di mira con una serie di missili al-Sqeilbiya, 48 km a nord-ovest della città di Hama, in una nuova violazione dell'accordo di de-escalation della zona di Idleb.
Gli attacchi su Mhardeh provengono sempre da Ltamenah, ancora occupata dal takfiri affiliati all'Arabia Saudita, "Jaish al Ezza".

 Notizie tratte da Agenzia S.A.N.A. e da Syrianews

AGGIORNAMENTO da SOS Chrétiens d'Orient: 

...."Il signor Simon e io arriviamo a casa alla stessa ora. Ho appena distribuito cibo e lui i missili. Ridendo, mi fa ascoltare una registrazione da una conversazione intercettata tra terroristi dove sentiamo:
"Colpisci le chiese, colpisci le chiese, questi maiali di cristiani sono nelle chiese" ...
  Dall'estate 2018, un cessate il fuoco è stato ufficialmente decretato dai russi e dai turchi su richiesta dei terroristi ... I turchi che si trovano all'interno delle posizioni terroristiche hanno allestito numerosi centri di osservazione. Per quanto riguarda i russi, circondano la tasca di Idleb dal lato del governo con i soldati dell'esercito arabo siriano.  Tuttavia, questo accordo di pace viene costantemente interrotto da ripetuti attacchi di al-Nusra e dei loro affiliati che si abbattono vigliaccamente sui civili con granate, razzi e missili ...
Altrove nel paese, la pace è tornata, la vita ha ripreso il suo corso, il peggio è ormai alle spalle ma per gli altri, l'inferno continua ed è quotidiano ...   Abituato a vivere in una Siria ritornata serena, avevo dimenticato le sensazioni di un tale clima di paura e ansietà. Avevo dimenticato questa atmosfera di morte. Lo conoscevo bene durante le mie regolari visite ad Aleppo tra il 2015 e il 2017, al culmine di quella lunga battaglia fino alla sua liberazione. L'avevo conosciuto bene anche in altre circostanze, come durante quelle ore di strade spaventose che attraversavano il paese, toccando le aree detenute da ISIS e Al Nusra.   Anche a me capita di dimenticare che sfortunatamente molti sono quelli per cui nulla è finito!
Non mi rivolgo a voi per incolparvi ma perchè vi indigniate con me. Il silenzio dei media è travolgente, soprattutto quando ci dice che tutto è finito in Siria! In realtà qui si continua a uccidere in silenzio, nessuno è lì a riferire i fatti.  
Non aspettate che i media si destino, per parlare solo dei civili nella regione di Idleb, per interessarvi a Mhardeh. Non commettete lo stesso errore delle battaglie di Aleppo e Damasco! Dovete  capire che Mhardeh sta morendo lentamente ...  Oggi i nostri fratelli muoiono in silenzio e solo voi potete aiutarci ad alleviare le loro sofferenze. Abbiamo bisogno di voi, delle vostre preghiere, del vostro aiuto. Aiutateci a sostenere Mhardeh! Aiutateci a sostenere i suoi abitanti!
Alexandre Goodarzy, capo della missione in Siria.

venerdì 15 febbraio 2019

Siria: Le mamme dolenti di Sadad



Situato alle porte del deserto della Siria, a sessanta chilometri a sud di Homs, il villaggio cristiano di Sadad conta solo tremila abitanti rimanenti. La sua popolazione è interamente cristiana, principalmente di rito siriaco-ortodosso. Questo antico villaggio è citato due volte nel Vecchio Testamento, e si parla ancora l'aramaico.

 Durante la guerra, Sadad era un punto strategico per controllare la strada tra Homs e Damasco, ed è stato quindi attaccato più volte dai terroristi. Organizzati in milizia, gli abitanti del villaggio hanno respinto un primo assalto di al-Nusra nel 2013 -che è giunto comunque fino a controllare i tre quarti del villaggio- e un secondo assalto di Isis nel 2015. Ma, in Sadad o altrove, molti giovani del villaggio hanno perso la vita nei combattimenti condotti durante la guerra. Morendo per la difesa del loro paese, hanno acquisito il titolo di martiri presso i siriani.
 Siamo andati ad incontrare le famiglie di questi martiri, per raccogliere la loro testimonianza e far conoscere al mondo questi racconti di vite spezzate e di famiglie in lutto.

Mayada si veste solo in nero e rifiuta ogni cibo dolce da sette anni. Suo figlio Shadi è morto in battaglia nel 2011, a vent'anni. Due anni dopo, la guerra le prendeva un secondo figlio, George, di soli diciassette anni. Da questi due drammi, una tristezza permanente si è installata nella piccola casa che condivide con il marito e la loro nuora Rouba, con i suoi due giovani figlioli. Ci rechiamo da questa famiglia in compagnia di Hyam, un'amica dell'associazione, peraltro cugina di Mayada, che ci tradurrà ciò che le nostre magre conoscenze in arabo non ci permetteranno di cogliere.

Al nostro arrivo, constatiamo che la casa è stata appena lavata con grandi secchiate. Desiderosa di riceverci bene, un pallido sorriso illumina il volto di Mayada mentre suo marito ci invita nella stanza di soggiorno, dove una stufa mai usata è appena uscita dalla soffitta in modo che non abbiamo freddo. I tubi mal aggiustati della stufa lasciano sfuggire ondate di fumo, e si deve presto rinunciare al suo uso. A questo punto, un piccolo riscaldamento a gas è immediatamente installato nella stanza, nonostante la carenza di gas. Questa famiglia tuttavia non è ricca: la loro piccola casa non è riscaldata, i mobili sono limitati, e i pezzi mancano chiaramente di finiture. Sul tetto-terrazza in cemento, la costruzione di un secondo piano che permetterebbe a queste differenti generazioni di vivere più comodamente è al punto morto, per mancanza di soldi.
                                                                          

Prendiamo il tè con loro, e a poco a poco la coppia si confida con noi. Apprendiamo così che i loro altri tre figli sono ancora militari e continuano a servire nell'esercito arabo siriano a Damasco e a Hama. Un'angoscia supplementare per quei genitori già provati. Ci parlano anche della loro amicizia con la first lady, Asma al-Assad. Commossa dalla loro storia, ella li ha ricevuti al palazzo presidenziale, ed ha offerto un'auto per permettere loro di lavorare. Da allora, ella continua regolarmente a chiedere le loro notizie e a offrire loro il suo aiuto, che rifiutano. Mayada ci spiega le ragioni di questo rifiuto, nonostante la loro miseria: "se accettassi questo aiuto, avrei l'impressione di vendere i miei figli". Suo marito approva, prima di aggiungere che "il sostegno morale e le foto" al lato della first lady sono sufficienti, e che non vogliono nulla di più. La foto scattata con M. Asma qualche anno fa troneggia ben visibile nella stanza, accanto alle foto di famiglia. Ma se questo sostegno importante costituisce un reale conforto morale, oltre ad aver migliorato la loro quotidianità grazie all'automobile, non potrà mai rendere completamente la gioia di vivere a questa coppia, che vive costantemente nella memoria dei due figli scomparsi.                                                                                                
I loro ritratti appaiono sullo sfondo dell'angolo di preghiera, e su uno scaffale vicino le scarpe di uno fanno da vaso per un mazzo di fiori di plastica, accanto al casco e alla bandiera siriana. E i due figli di Rouba sono stati battezzati Shadi e Georges, in ricordo dei loro zii defunti. Per ora, i due piccoli si divertono sul tappeto, e corrono di tanto in tanto a rifugiarsi tra le braccia della loro mamma o del loro nonno. Speriamo che il triste contesto che li circonda non peserà troppo sulla loro infanzia, e preghiamo soprattutto che il futuro del loro paese riservi loro un destino diverso da quello dei loro zii.

Commossa, Mayada smette di parlare. Con suo marito, usciamo a visitare il giardino. Dopo il nostro giretto, la ritroviamo fuori, seduta su una sedia di plastica, immobile. Trova ancora la forza di sorridere quando li lasciamo e li ringraziamo calorosamente per la loro accoglienza e la loro testimonianza. “Tornate a farci visita! Venite quando volete, siete i benvenuti! ". Queste poche parole, già tante volte sentite a Sadad, prendono però qui un senso particolare, pieno di speranza, e ci mostrano che nonostante il dolore che opprime questi genitori provati, il loro cuore è rimasto aperto e generoso. Ripartiamo ammirati davanti al loro coraggio.
       trad: OraproSiria

mercoledì 13 febbraio 2019

I disaccordi di Sochi: la Siria sospesa tra gli interessi divergenti dei suoi 'alleati'


Di Elijah J. Magnier
Tradotto da: Alice Censi
Non si prevede che nell’incontro del 14 febbraio a Sochi tra i  presidenti della Russia, della Turchia e dell’Iran verrà trovata una soluzione che trovi tutti d’accordo sul problema di queste due zone in Siria : il nordest ( da Manbij a Qamishli/al-Hasaka) attualmente occupato dalle forze militari americane e la città di Idlib e la sua provincia occupate dai gruppi jihadisti in buoni rapporti con la Turchia. 
Ci sono sostanzialmente punti di vista diversi. Si pensa che il tema principale della discussione in questo incontro  sia il possibile ritiro degli Stati Uniti nelle prossime settimane ( il mese di aprile pare sia credibile) come Washington ha annunciato.  Tutti concordano sul fatto che il ritiro americano oggi sia una priorità e un vero sollievo per il Levante . Pertanto, ogni passo utile a raggiungere questo obbiettivo senza intoppi, dovrà essere compiuto. Tuttavia le differenze principali sono conseguenza del desiderio nonché dell’intenzione della Russia di arrivare ad un “accordo temporaneo”con la Turchia sulla situazione del nordest siriano dopo il ritiro americano. Queste differenze riguardano il prezzo che la Siria dovrà pagare per vedere le truppe americane fuori dal paese. 
Fonti di informazione tra coloro che prendono le decisioni a Damasco, dicono che “ la Russia sta cercando di trovare una scusa per l’entrata della Turchia nel nordest della Siria, in una “zona cuscinetto” di 12.000Kmq  all’interno dei 42.000 Kmq a est dell’Eufrate attualmente occupati dagli Stati Uniti, rilanciando così gli accordi di Adana del 1998 tra Ankara e Damasco.”  Il 23 gennaio, il presidente Putin diceva che l’accordo di 20 anni fa era ancora vincolante. Una fonte siriana riporta che “ il presidente russo sta cercando di fare in modo che la Turchia riprenda le relazioni direttamente con la Siria a livello più stretto. La Russia è convinta che una presenza temporanea della Turchia sia accettabile fermo restando che l’unità della Siria non venga messa in discussione. Ma noi, a Damasco, siamo convinti che se la Turchia entra in Siria, sarà difficile farla andare via”. 
La Russia non ha mai abbandonato l’idea di una Siria unita e ritiene che sia importante che l’intera area geografica torni sotto il controllo del governo centrale. Tuttavia, allo stesso tempo, considera gli Stati Uniti un pericolo maggiore e che quindi valga la pena che siano le truppe turche a rimpiazzare temporaneamente quelle americane se questo è quello che vuole Washington.  Per contro, il presidente siriano e quello iraniano, non sono d’accordo sulla strategia di Putin poiché sono sicuri che la Turchia non rinuncerà al controllo del nordest siriano, un territorio ricco di risorse energetiche e agricole,  con il pretesto di combattere i suoi nemici giurati, i militanti curdi. 
Secondo quanto dicono le autorità siriane, l’Arabia Saudita,a differenza del Qatar, ha abbandonato i suoi “proxies” in Siria. “ Riad ambiva a tornare a Damasco e riaprire la sua ambasciata a breve ma il segretario di stato americano Mike Pompeo mettendo una serie di ostacoli  insisteva affinchè il processo fosse fermato e venisse impedito il ritorno della Siria nella Lega Araba. Il Qatar invece è ancora attivo, sostiene al-Qaeda a Idlib e la presenza turca nel nordest. Pertanto pare che Stati Uniti, Russia, Turchia e Qatar siano tutti d’accordo su una presenza turca nella “zona cuscinetto”che va da Manbij a Ayn al-Arab, Tal Abyad, al-Hasaka e Qamishli”. 
E’ chiaro che gli Stati Uniti non sono più interessati al destino dei curdi e delle loro famiglie non certamente disposti a vivere sotto l’occupazione turca. La Russia, la Turchia e il Qatar credono che l’unica speranza per i curdi sia spostarsi verso le forze del governo siriano che attraverseranno l’Eufrate dopo il ritiro americano. L’ “accordo di Adana rivisto” promosso da Mosca e Ankara, inciderà sulla demografia della Siria a spese dei curdi che hanno sempre creduto che gli Stati Uniti avrebbero dato loro uno stato indipendente, e mai immaginato una loro partenza improvvisa. 
Le ambizioni turche in Siria non si limitano al nordest. Ankara è riluttante ad andarsene da Idlib e sta chiedendo ai gruppi locali di trovare una soluzione e superare le loro differenze, soprattutto quelle tra il gruppo di al-Qaeda “Hurras al-Deen” e il gruppo jihadista di Hay’at Tahrir al-Sham. 
Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) non è più legato al gruppo di al-Qaeda guidato da Ayman al-Zawaheri perché il suo capo, Abu Mohamad al-Joulani vuole la sua indipendenza. Joulani ha seguito l’esatta ideologia e il credo dell’ISIS e di al-Qaeda quando era legato a loro ma ad un certo punto ha avuto delle divergenze su alcune delle loro pratiche e non si è più adattato all’ambiente. Joulani infatti non ha bisogno di seguire l’ISIS o al-Qaeda e nulla gli impedisce di essere un jihadista siriano indipendente con obbiettivi e priorità leggermente diversi. Ai suoi ordini ha combattenti stranieri provenienti da tutto il mondo e ha la sua base nel Levante, che ogni jihadista considera “la terra promessa”in cui stabilire un “Emirato Islamico”. Joulani infatti è il leader di “un gruppo jihadista basato sul credo della Sunnah e Jama’a e ha come scopo imporre la Sharia (legge divina) Islamica attraverso la jihad e la Da’wa (invito ad abbracciare l’Islam)”: così lui descrive l’obbiettivo del suo gruppo nel suo comunicato. 
Joulani guida un gruppo che segue la “Jihad al-Tamqeen” che significa “ Jihad fino a quando  diventa forte” e evoca una paziente e opportunista lotta religiosa compatibile con i Fratelli Musulmani che aspira a non bruciare i ponti ma ad adattarsi all’ambiente e ai nuovi sviluppi senza cambiare la propria ideologia o alterare il proprio credo. Si fanno compromessi temporanei con alleanze e pratiche fino a quando il gruppo è sufficientemente forte da poter abbandonare alcune politiche pragmatiche che lo aiutano a sopravvivere, acquisire forza e arruolare. La politica pragmatica di Joulani si sposa perfettamente con quella della Turchia. La Turchia è il paese islamico più potente presente a Idlib, forte abbastanza da riuscire a frenare un attacco della Russia e delle forze di Damasco alla sua roccaforte. La Turchia è felice di aver a che fare con un “jihadista camaleonte” purchè sia utile agli scopi di entrambi (Turchia e HTS). 
Comunque alla Turchia non spiacerebbe consegnare Hurras el-Deen ( al-Qaeda siriana) ai russi e alle loro bombe mentre Joulani indossa l’abito del jihadista obbediente come una pecora. Joulani può aiutare la Turchia a risolvere la sua scomoda situazione se mostra il suo pragmatismo. La Turchia è stata messa in imbarazzo dalla sua mancanza di impegno nell’accordo siglato con la Russia lo scorso anno a settembre, quando si era assunta l’obbligo di metter fine alla presenza di al-Qaeda a Idlib e dintorni. Un Joulani trasformato conviene sia ad Ankara che a Mosca. 
La situazione nel Levante resta complicata e irrisolta , prevale lo scetticismo nei confronti dell’imminente ritiro americano dal paese e la mancanza di fiducia tra i partners. La Russia pare disposta a tollerare una temporanea presenza turca. L’Iran, un alleato della Turchia, vorrebbe che fossero le truppe siriane ad avere il controllo di tutto il territorio ma contemporaneamente dà la precedenza all’uscita permanente del “grande Satana” dalla Siria. Damasco e Teheran condividono la stessa paura e cioè che le truppe turche restino in Siria per moltissimo tempo. Queste differenze potrebbero far sì che l’incontro di Sochi non abbia successo; il destino di Idlib e del nordest della Siria non si conosce ancora, non c’è finora un accordo tra gli alleati. 
Non c’è da aspettarsi una soluzione perfetta dato che manca chiaramente la fiducia soprattutto sul ruolo della Turchia in futuro e la sua presenza in Siria. Indipendentemente da tutto questo i curdi restano, in ogni caso, i veri perdenti. 

martedì 12 febbraio 2019

Embargo: ci sono anche vittime senza proiettili


 Sempre più ripercussioni negative stanno influenzando le condizioni di vita dei civili siriani, mentre alcuni stati occidentali continuano a imporre sanzioni economiche contro la Siria. 

La guerra economica, sia che impedisca lo scambio commerciale o utilizzi i mass media o punisca coloro che aiutano la Siria, ha molti obiettivi a breve e a lungo termine; essenzialmente cerca di creare problemi economici che causano la divisione nella società siriana e influenzano l'ambito degli investimenti dopo che si era visto di recente un miglioramento, poiché questa guerra economica cerca di allontanare investitori e uomini d'affari, dice un rapporto pubblicato dall'agenzia di stampa siriana SANA.

L'obiettivo più importante delle sanzioni contro la Siria è di bloccare la produzione locale al fine di trasformare la Siria in uno stato dai consumi dipendenti da altri paesi, invece di essere uno stato produttivo autosufficiente.
Gli effetti delle sanzioni economiche e l'embargo sulle condizioni di vita non sono una novità per i siriani; secondo l'analista economico Shadi Ahmad, da quando gli stati occidentali hanno proibito l'importazione di petrolio dalla Siria, il reddito annuale del bilancio dello Stato ne ha risentito, riducendo così la capacità del governo di soddisfare le esigenze del mercato locale rispetto a come avveniva prima del 2011. 
 Ahmad menziona altre misure che hanno messo sotto pressione la situazione economica, tra cui impedire ad alcune petroliere di entrare nelle acque siriane anche se ciò è illegale, ma ciò è comunque avvenuto e ha causato gravi tagli di energia a causa della mancanza di carburante.
 Ha anche menzionato le sanzioni dell'UE nei confronti degli uomini d'affari siriani per limitare le loro attività che contribuiscono a fornire forniture e merci al mercato siriano, oltre alle decisioni di limitare i trasferimenti di denaro da parte dei siriani all'estero che ha avuto effetti dannosi. 

Il più recente degli atti ostili che hanno come obiettivo l'economia siriana è il disegno di legge approvato dal Congresso americano, che reca il nome ipocrita "Caesar Syria Civilian Protection Act" nonostante il fatto che blocchi effettivamente le forniture essenziali e necessarie per il popolo siriano. 
 Ahmad riporta che questo atto cerca di punire le compagnie non siriane, siano esse di Russia, Cina, India, ecc. se forniscono ai Siriani uno qualsiasi dei materiali essenziali necessari al settore economico.
 Il Caesar Act si rivolge a qualsiasi potenziale contributore al finanziamento o all'attuazione di progetti di ricostruzione, settori dell'energia, compagnie dell'aviazione civile e la Banca Centrale Siriana. 

giovedì 7 febbraio 2019

Considerazioni sul Documento firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.

Il documento firmato da Papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar Ahmad Mohamed Al-Tayyib rappresenta una novità importante nel quadro dei rapporti tra Islam e Cristianesimo e tra i musulmani e i cristiani che vivono nei paesi arabi.
Sebbene sia necessario attendere la sua effettiva applicazione da parte non solo delle autorità religiose islamiche ma anche dei molti governi di paesi a maggioranza musulmana, questo documento per la prima volta pone al centro del dialogo interreligioso la questione della libertà personale e della cittadinanza, riconoscendo i cristiani come cittadini dei paesi in cui spesso risiedono da secoli, con gli stessi diritti e doveri dei connazionali musulmani.
Inoltre, la figura dell'imam Al-Tayyib rappresenta il vertice dell'Università di Al-Azhar, da secoli massimo punto di riferimento religioso e culturale dell'Islam sunnita. Per questo motivo, l'eco che tale documento potrà avere nella vastissima umma islamica è particolarmente rilevante. Sarà necessario sostenere, in Europa come nel mondo arabo -musulmano, tra i cristiani come tra i musulmani, l'applicazione dei principi enunciati da questo documento.
Benedetta Panchetti,
dottoressa di ricerca in Diritto Islamico

Abu Dabhi, 4 febbraio 2019

In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace.
In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera.
In nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e benestante.
In nome degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna.
In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre.
In nome della «fratellanza umana» che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali.
In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini.
In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli con essa.
In nome della giustizia e della misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede.
In nome di tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra.
In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio.
Noi – credenti in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio –, partendo dalla nostra responsabilità religiosa e morale, e attraverso questo Documento, chiediamo a noi stessi e ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive.