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lunedì 14 gennaio 2019

Siria: la guerra che non han voluto dirci (Iª)

Il conflitto nel paese mediorientale è basato su bugie: le grandi potenze difendono i loro interessi politici ed economici. Il popolo subisce.

di Alberto Rodrìguez
traduzione di Gb.P.  per OraproSiria

In Siria nel 2011 non ci sono state rivoluzioni. La guerra in Siria è il risultato di un conflitto tra due sistemi; la laicità socialista del partito Baath contro l'islamismo - liberale nell'aspetto economico- dei Fratelli Musulmani. Si tratta di un confronto che dissangua la Siria a partire dagli anni Sessanta, quando i baathisti presero il potere per la prima volta, e che si è intensificato quando gli islamisti in tutto il mondo nel 2012 hanno risposto alla chiamata alla jihad fino a provocare un conflitto che, tra lotte di potere e fuoco incrociato, ha trasformato la Siria in un puzzle di centinaia di milizie, organizzazioni e interessi che si reggono sulla morte.
Fin dall'inizio, la guerra si è basata sulle bugie. L'America cerca di mantenere l'egemonia dei suoi alleati nella regione in modo che le sue società continuino a operare nel mercato delle risorse. Insieme agli Stati Uniti, Francia, Qatar e Arabia Saudita avevano bisogno di manipolare l'opinione pubblica a loro favore in modo che questa supportasse l'intervento diretto in Siria fornendo supporto logistico, militare e finanziario ai ribelli. In nessun momento ci si domandò quale fosse la percentuale della popolazione locale favorevole al proprio governo e quale percentuale fosse favorevole a rovesciarlo, perché semplicemente non aveva importanza.
La Russia, per parte sua, con la giustificazione di difendere la Siria ha deciso di impegnarsi nel conflitto per proteggere sia il suo accesso strategico nel Mediterraneo del porto di Tartús, sia i suoi interessi commerciali e politici. Con la Siria di Bashar al-Assad al potere, Putin sa che i suoi nemici regionali non saranno in grado di costruire un oleodotto dal Qatar verso l'Europa attraverso la Siria, quindi i Russi si assicurano di essere gli unici a fornire gas naturale alla Germania e ai paesi limitrofi attraverso il Mar Baltico. Al vantaggio economico si aggiunge il vantaggio politico di poter ricattare con risorse di base.
Iran, Israele, Turchia e Arabia Saudita sono coinvolti in una disputa per il dominio regionale, cosa in cui gli Stati Uniti svolgono un ruolo vitale a favore del loro principale alleato Israele.
Tra le legittime dimostrazioni per le riforme del 2011 e coloro che volevano rovesciare il governo, c'è una gamma di grigi che, sia i Fratelli Musulmani in esilio sia gli Stati Uniti, l'Arabia Saudita, la Francia e i loro alleati hanno saputo sfruttare, e di cui le organizzazioni jihadiste hanno approfittato per intrufolarsi in Siria. Nel 2011, questi paesi avevano già un chiaro obiettivo: chiedere un intervento per salvare il popolo siriano, ma senza il consenso del popolo siriano.
"Questa rivoluzione è per la dignità", " la 'primavera araba' abbatte tre dittatori, mentre altri tre rimangono al potere" o "la primavera araba avanza", erano alcuni titoli dei media, la stragrande maggioranza riferendosi alla primavera araba come movimento democratizzatore omogeneo; come una ricetta che avrebbe potuto essere applicata in qualsiasi Paese. Le rivolte del Bahrein furono guidate dall'opposizione sciita, mentre in Tunisia il movimento islamista sunnita Ennahda cercò di approfittare delle proteste contro la dittatura per prendere il potere. Allo stesso modo, la Siria seguì un diverso percorso che portò alla guerra che i Fratelli Musulmani, un partito fuorilegge responsabile di numerosi tentativi di colpo di stato e attentati, stava cercando di iniziare da tre decenni.
A differenza da ciò che dicevano i titoli della stampa, la Siria presieduta da Bashar al-Assad non era un paese a partito unico. Sebbene fino alla riforma costituzionale del 2012 il partito socialista Baath godesse di una posizione privilegiata come partito di stato, sono legali anche il Movimento Socialista Arabo, l'Unione Socialista Araba Siriana, il Partito Comunista Siriano, il Partito Comunista Siriano Unificato, i Sindacalisti Socialdemocratici, Unione Socialista, Partito Democratico dell'Unione Araba, Partito Socialista Unionista Democratico, Movimento del Patto Nazionale, Partito Socialista Nazionale Siriano e Nasseristi.
Per capire il conflitto inconciliabile tra lo Stato siriano e la Fratellanza Musulmana, dobbiamo conoscere le basi ideologiche di entrambi.
Il partito Baath emerge dopo la decolonizzazione e ha come base ideologica il secolarismo e il socialismo non marxista. La sua ideologia nazionalista araba cerca di unire una popolazione sradicata e senza identità dopo l'impero ottomano e la colonizzazione francese, mentre fa fronte al panislamismo. Per questo, è impegnato nella costruzione di uno Stato laico e antimperialista che riconosca tutti i gruppi etnici e le confessioni che costituiscono il paese più pluralista del Medio Oriente.
I Fratelli Musulmani, dal canto loro, cercano di recuperare l'identità islamica dei paesi arabi e, mentre sono liberali economicamente, sono socialmente conservatori. Sebbene si presentino come un'organizzazione islamista moderata, i Fratelli Musulmani hanno una lunga storia di violenze in Medio Oriente e Nord Africa. Negli anni '40 hanno assassinato il primo ministro egiziano Mahmud Pasha, negli anni '50 hanno cercato di assassinare il presidente egiziano Gamal Abdul Nasser e nel 1988 si sono uniti al Fronte Islamico di Salvezza in Algeria, in una rivolta islamista che scatenò una guerra civile nella quale morirono più di 200.000 persone.
La Fratellanza si abbevera al Deobandismo, movimento salafita di ritorno alla purezza dell'Islam che cerca di ritornare alle origini dello stesso per vivere come ai tempi del profeta Maometto e che anche i talebani condividono. Questa scuola mira a eliminare qualsiasi traccia culturale, sociale e politica che non abbia radici islamiche.
In Siria divennero presto la principale forza di opposizione settaria al secolarismo del Baath e fin da quando questo raggiunse il potere negli anni '60, cercarono di rovesciarne il governo in diverse occasioni.
Oltre al rifiuto dei Fratelli Musulmani verso ideologie chiaramente laiche e "occidentalizzate" come quella del Baath (Rinascita), bisogna aggiungere che Bashar al-Assad è alawita, una minoranza all'interno dello sciismo. Secondo le scuole giuridiche che comprendono il fondamentalismo sunnita, gli sciiti sono eretici che devono essere eliminati, il che porta la lotta politica anche nella sfera religiosa settaria.
Va notato che i Fratelli Musulmani non rappresentano tutte le correnti fondamentaliste che stanno attualmente combattendo in Siria, dal momento che, nonostante condividano radici ideologiche, ognuno cerca di applicare la legge islamica (Shari'a) della propria scuola giuridica. Ad esempio, i principali religiosi salafiti hanno dichiarato una fatwa (condanna) contro la Fratellanza perché considerano l'attività politica un pericolo per il da'wa (proselitismo islamico) e il suo obiettivo finale di istituire la Shari'a distruggendo le istituzioni precedenti.
Il problema di ideologie pan-islamiste come quella dei Fratelli Musulmani risiede nel fatto che la Siria non è un Paese musulmano ma multi-confessionale e multietnico. Uno stato governato dalla Shari'a porterebbe inevitabilmente alla pulizia etnica e allo sterminio di metà della popolazione.
Quando Bashar al-Assad salì al potere nel 2000, fece riforme che limitavano il controllo statale sulla popolazione. In conseguenza di ciò, l'opposizione islamista si ritrovò con sempre meno base sociale, il che si tradusse nel fallimento di tutti i tentativi di colpo di stato, motivo per cui fu costretta a cercare sostegni all'estero; principalmente inglesi, francesi e statunitensi. Poco prima che scoppiasse il conflitto, l'opposizione legata alla Fratellanza Musulmana con base a Londra creò Barada TV, il media di riferimento usato per chiedere il rovesciamento di Bashar al-Assad e per informare in Europa in modo parziale e propagandistico sulle proteste siriane.
Secondo Barada TV, centinaia e persino migliaia di persone erano assassinate dalle "forze di Assad" mentre protestavano contro lo stato di emergenza, situazione presente in Siria da oltre cinquant'anni a causa dei continui colpi di stato e della guerra con Israele, che, lungi dall'essere finita, è mantenuta dall'occupazione israeliana delle alture del Golan. Secondo le rivelazioni rilasciate da Wikileaks, dal 2006 e dopo aver congelato le sue relazioni con la Siria nel 2005, gli Stati Uniti hanno concesso a Barada TV più di 6 milioni di dollari per gestire il canale e finanziare "attività di opposizione" in Siria. Il finanziamento non si è concluso dopo il mandato di Obama, ma è continuato con l'amministrazione Trump. Si stima che tra il 2005 e il 2010, gli Stati Uniti abbiano introdotto in Siria circa 12 milioni di dollari per finanziare gruppi di insorti oppositori del governo di Al-Assad prima dello scoppio della guerra, una cifra che sarebbe aumentata in modo esponenziale durante la guerra per raggiungere i 12 mila milioni!
Le varie ingerenze mostrano che il conflitto è stato promosso dall'esterno, soprattutto dalle mani di potenze straniere e dall'ambiente dei Fratelli Musulmani in Europa, dove questi hanno 500 associazioni legate alla Federazione delle Organizzazioni Islamiche in Europa (FIOE) tra le quali si mette in evidenza il Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo, che è entrato in Siria (dove era fuori legge) durante la guerra.
La demonizzazione della Siria ha permesso di giustificare politiche come l'imposizione delle sanzioni statunitensi, che avevano lo scopo di indebolire l'economia e peggiorare una crisi accentuata dalla corruzione e dall'apertura economica che aveva portato, ad esempio, alla rimozione di alcuni sussidi alle zone rurali colpite da una siccità che nel 2011 era al suo quinto anno. Queste politiche hanno spinto l'economia al limite, accentuando le disuguaglianze in un Paese fino a quel momento più equo della Russia, degli USA o della Spagna secondo l'indice GINI, cercando di provocare una debolezza con cui forzare e favorire un conflitto sociale.
Sfruttando il contesto delle proteste del 2011, gli islamisti sono stati in grado di infiltrarsi nelle masse e introdurre combattenti stranieri per rovesciare il Governo o, non riuscendovi, iniziare la guerra. Il piano aveva funzionato.
Verso un nuovo ordine mondiale: la guerra ha reinventato le Relazioni Internazionali
Dal 2011, la Siria è diventata una sorta di scacchiera in cui ogni paese ha il suo pezzo. L'asse Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita, Giordania e Emirati Arabi Uniti sta affrontando Russia, Iran e Cina. Il Qatar e la Turchia si spostano tra due sponde, e paesi come la Corea del Nord raggiungono accordi con la Siria senza fare troppo rumore. Nel mezzo, c'è la popolazione siriana, che desidera solo la pace e che tutto torni alla normalità.
Ma perché i Paesi terzi vogliono investire milioni di dollari in una guerra che non è la loro? In alcuni casi essi perseguono niente di più che accordi commerciali e il controllo di una regione che collega l'Asia con l'Europa. In altri casi, si tratta di sopravvivere.
La sopravvivenza è ciò che muove Israele e Arabia Saudita, che si sentono sotto assedio. Dopo la guerra del 2006 in cui Hezbollah si impose su Israele nel sud del Libano, l'Asse della Resistenza formato da Hezbollah, Siria, Iran e Palestina divenne enormemente popolare nel mondo arabo. Questo comportava un rischio per la monarchia Saud con una instabilità interna - accentuata dalla minoranza sciita fortemente repressa - che lo stato non è mai riuscito a controllare e un rischio per Israele, che non vuole vedere rafforzati i nemici con i quali condivide i confini . Inoltre, Israele è una potenza emergente con problemi demografici causati dall'accoglienza generalizzata di gran numero di immigrati ebrei da tutto il mondo, per cui mantenere la sua politica di insediamenti e le alture occupate del Golan è diventata una necessità. Tutto suggerisce che dopo la guerra in Siria, ci saranno ancora nuove tensioni nel sud del Libano, dove esiste una grande riserva di gas naturale.
Le proteste del 2011 sono state quindi una grande opportunità per sconfiggere l'Asse della Resistenza nel tentativo di isolare il Libano, la Siria e la Palestina dall'Iran. Per questo, Israele e Arabia Saudita hanno usato i fondamentalisti sunniti con l'obiettivo condiviso di eliminare questo Asse, per paura degli sciiti e di una dominazione filo-iraniana in tutto il Medio Oriente.
L'Iran, come l'Arabia Saudita, sa che è in gioco la sua sopravvivenza. La dissoluzione della mezzaluna sciita (Iran, Iraq, Siria e Libano) renderebbe il paese persiano completamente isolato e in balia dei suoi nemici regionali e internazionali. L'Iran si è coinvolto nella guerra in modo tale che ogni anno investe miliardi di dollari in sostegno alla Siria sia a livello militare che logistico, fornendo petrolio e aiuti umanitari. Le cifre variano a seconda delle fonti tra sei miliardi e venti miliardi di dollari. Oltre alla spesa monetaria, gli iraniani hanno perso più di mille soldati sul suolo siriano.
Questo confronto tra Arabia Saudita e Iran ha influenzato anche i rapporti dei Sauditi con il Qatar, che è un alleato importante degli iraniani, portando a una crisi politica nel 2017 con blocchi del Qatar dall'Arabia Saudita e la cessazione delle relazioni diplomatiche degli Emirati Arabi Uniti, dell'Egitto, del Bahrain e dell'Arabia Saudita con il Qatar. Per alcune settimane si è parlato di un'invasione saudita, ma ciò non è mai accaduto poiché nella capitale del Qatar, Doha, gli Stati Uniti hanno una delle più grandi basi nella regione, al-Udeid, con 11.000 soldati e 100 aerei operativi. .
La Russia non è entrata in Siria per motivi di solidarietà internazionalista. La Siria sta attualmente fornendo alla Russia il vantaggio strategico dell'accesso al mar Mediterraneo, per questo motivo è intervenuta militarmente per salvare il governo siriano dal collasso quando i ribelli erano più forti - prima delle lotte di potere che li hanno condannati-. I Russi non entrarono in Siria fino al 2015. Durante i primi anni di guerra, il Cremlino mostrò una certa volontà di cooperare con gli Stati Uniti, con proposte come la distruzione dell'arsenale chimico siriano nel 2013, ma costantemente poneva il veto alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro il governo di Bashar al-Assad. Fino al 2015 le sue basi di Tartous, Latakia e Hmeymim erano in aree relativamente stabili controllate dal governo siriano. Nel 2015, tuttavia, il governo era in una posizione molto fragile e la Russia sentiva minacciato il suo sbocco nel Mediterraneo. È allora che il Cremlino decide di rispondere alla richiesta del parlamento siriano e di entrare con forza in Siria.
Un altro interesse centrale della Russia è il traffico di gas naturale, che svolge un ruolo fondamentale nelle sue relazioni internazionali. I russi vendono il loro gas alla Germania e ai paesi limitrofi dal Mar Baltico, attraverso Gazprom, a prezzi contro i quali gli Stati Uniti non possono competere. Pertanto, quando c'è una crisi diplomatica, la Russia può sempre minacciare, come ha fatto durante la crisi Ucraina, di tagliare le forniture di gas. Impedendo agli Stati Uniti di vendere il gas naturale del Qatar attraverso un gasdotto che dovrebbe passare attraverso la Siria, la Russia riesce a mantenere la sua presa diplomatica sul centro dell'Europa e mitiga l'effetto delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti.
L'America, che cerca di mantenere l'egemonia dei suoi alleati nella regione in modo che le sue società continuino a operare nel mercato delle risorse, ha investito almeno 500 milioni di dollari, in base ai dati ufficiali, solo per addestrare i ribelli. Senza contare il costo dei suoi due attacchi missilistici Tomahawk nel 2017 e 2018 contro alcune posizioni siriane. Solo tra il 2014 e il 2018 riconoscono di aver investito 12 miliardi di dollari in Siria per creare nuove forze di sicurezza nei territori di opposizione, consegnare armi, stabilizzare località, organizzare operazioni militari e civili ... secondo l'ex ambasciatore degli Stati Uniti a Damasco.
Uno dei motivi con cui gli Stati Uniti giustificano il loro investimento e il sostegno ai ribelli sono i crimini che attribuiscono al Governo siriano, tra cui gli attacchi chimici, che svolgono un ruolo determinante nell'opinione pubblica. Tuttavia, la loro attribuzione al governo di Al Assad è molto controversa, dal momento che l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW), appoggiata dalle Nazioni Unite, non ha trovato prove per incriminare il governo siriano; mentre organizzazioni come i "Dottori svedesi per i diritti umani", o Theodore Postol dell'Istituto tecnologico di Massachusetts lo mettono in dubbio. I presunti attacchi chimici sono fondamentali per poter demonizzare la Siria e corrodere l'immagine della Russia, davanti alla opinione pubblica e nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Erdogan, dalla Turchia, cerca di diventare il riferimento massimo per la comunità sunnita in tutto il mondo. Nonostante abbia guidato un governo apertamente ostile a quello di Damasco, il tentativo di colpo di stato contro Erdogan nel 2016 è stato un punto di svolta nelle sue relazioni internazionali, motivo per cui si è sempre più avvicinato a Iran e Russia. Ciò ha avuto ripercussioni nei negoziati trilaterali di Ankara sul processo di pace in Siria, rendendo Erdogan più disposto a negoziare la fine della guerra in modo favorevole ad Assad.
L'attuale crisi economica che minaccia la Turchia dopo le sanzioni imposte dagli Stati Uniti ha indotto un indisciplinato Erdogan ad allontanarsi ulteriormente dalla NATO, per cercare di trovare posto sotto la protezione dell'economia russa e dei BRICS, un mercato comune composto dal Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.
Prossimamente pubblicheremo la seconda parte di questa analisi, intitolata "La democrazia era la scusa; la guerra, l'obiettivo".
Alberto Rodríguez è un giornalista indipendente, attivista e amante della fotografia. Scrive sulla Siria.

venerdì 11 gennaio 2019

Il popolo siriano muore di freddo sotto l'inasprimento delle sanzioni occidentali


Pierre Le Corf

Da Aleppo, 8 gennaio 2019


A volte è difficile  sentirsi così impotenti nonostante questa grande bolla di speranza dentro... Le sanzioni qui sono letali: tanto quanto il governo siriano sta lavorando con i suoi alleati per contrastare il soffocamento occidentale, altrettanto avremmo molto meno sofferenze se la finissimo con questa doppia guerra in colletti bianchi.
Non commettete errori al riguardo: non si tratta di punire il governo siriano, ma si tratta di vessare proprio le persone, creando così pressione sociale, economica, umanitaria e militare, ormai non solo sostenendo i terroristi, ma anche cercando di colpire la popolazione con una mano attraverso le sanzioni e con l'altra forzando la partenza dei siriani verso l'Europa per ferire il Paese nel suo cuore e togliergli il suo sangue, svuotarlo della sua gente. Ci sono talmente tante persone che devono ricominciare da zero ancora e di nuovo... tante situazioni inestricabili ancora oggi... Questo è lo status quo in una gran parte di Aleppo.
L'immagine può contenere: una o più persone e spazio al chiusoUna delle mie amiche che vive a Khalidyé, i figli non si preoccupa più nemmeno di tenerli dentro casa, perché devono respirare; io li guardo: giocano alla "dinette" dietro la moschea nella strada principale, sul marciapiede dietro montagne di sabbia. Sulla sinistra c'è un cecchino, davanti c'è un cecchino. I mortai cadono regolarmente, almeno 3 o 4 al giorno in questo quartiere ... ed è davvero violento ... Non saprei come descrivere meglio, dovrei mostrare immagini crude di persone, di bambini con la testa divisa in due, di viscere ... sono proiettili usati per ferire e uccidere.

Quest'anno sarà decisivo sia dal punto di vista militare che diplomatico.
Il governo francese ha avuto ed ha un enorme coinvolgimento negli eventi di qui e tutto questo a fianco di gruppi terroristici, registrati in Francia come organizzazioni terroristiche... Se i giubbotti gialli sono così attivi sul terreno per difendere i nostri diritti, spero che essi sapranno anche ricordarsi di un'agenda meno conosciuta, ma che ha un enorme impatto sulla nostra politica, sulla nostra sicurezza e sul nostro futuro, vale a dire il nostro coinvolgimento militare e diplomatico internazionale, le tante terribili scelte fatte negli ultimi anni, delle quali le persone semplici qui o in Francia pagano il prezzo... E se taciamo siamo tutti responsabili!

mercoledì 9 gennaio 2019

Syria. The force of civilization

Syrian stories 2018
by Marinella Correggia
(originally published by L'Ordine.LaProvincia, December 16, 2018)
Rajab and Safa Wabi (ph. Marinella Correggia)

"Our millennial history will help us". Between street mosaics, archaeological assets to be restored, photovoltaic energy for reconstruction, and agriculture that calls for peace

Finding a place in the Guinness for making the largest wall mosaic in the world with recycled materials deserves vivid eco-artistic compliments. But here is the real world record: the Syrian “architects” of this 720 square meter work in the Mezzeh district of Damascus have done everything in the middle of war. In damascene streets, after 2013, seven long mosaics, a kaleidoscope of colors, fantasy and hope, were born among so many war explosions. Pieces of tiles, broken cups, bottles, tubes, bicycle wheels, electronic metal parts, keys and nails: gathered here and there and brought as a gift from citizens. 
Participated art.
Artist Moaffak Makhoul


"In the difficult conditions facing the city, we wanted to offer a smile and show the love of the Syrians for life, creativity and art. The work started in October 2013 and in January 2014 we had finished » explains the artist Moaffak Makhoul, coordinator of the Guiness mosaic. T-shirt and black trousers, he guides us in the library of Damascus museum for the education showing around. "These books were recovered from schools that were evacuated before the arrival of armed groups who occupied them, in Muhadamya, Ghouta, Daraya".

Outside the silence of the library, the noisy and intense traffic causes one question: How do the Syrians keep their cars after seven years of war that have caused inflation and impoverishment?

The young agronomist Dima Hassan – who is a bit our Virgilio, in Syria ... - does not have a car and lives modestly with her salary, which with the devaluation of the Syrian lira equals 30 euros, but she tries this answer: «Or have relatives abroad, or do three jobs, a situation now common here, or are depleting the savings they had before the war." Some people are exasperated in traffic jams and make jokes about the subway project: "A project which is twenty years old; is it so hard to dig? You could entrust the work to the terrorists of Jaysh al-Islam and to the other mercenaries who in a few years, in the eastern Ghouta area, were able to dug miles of tunnels to secure supplies in weapons and materials! "
The mosaic of the Guinness (ph. Marinella Correggia) 
In front of the art school Abdel Hader, close to the library, the two artist sisters Rajab and Safa Wabi look at a high wall decorated in relief. «We started, with several students, the street art in 2011, at the same time as the crisis that then resulted in the war. And we did not stop even when above our heads were raining mortars that came from areas outside Damascus in the hands of armed groups", says the sister, while the other continues, stretching his arm to a nearby building: "There a missile fell. Working on the street, we did not really have any shelter! But our work magnetically attracted many people, adults and children, and this helped us."
Two little doves in Damascus 
(ph. Marinella Correggia) 

They are approached by two little doves, in small and brown - may be they are the damascene version of our pigeons. The artists indicate the sand and cement doves on the top of the wall: "We have put them as a symbol of peace".

A peace that is not yet in Syria, where many fronts have closed but others are still opened. Certainly in the areas most affected by the conflict, instead of the mosaics there are rubble. For the post-war reconstruction, a titanic work, it is estimated a cost of 470 billion dollars. The machine has already started up with the rehabilitation of public utility buildings and private housings, preceded by the removal of the rubble. The foundation of the Aga Khan is already supporting the restoration of the historical architectural heritage, starting from the huge suq of Aleppo and other monuments of the Old City.

Good news is that the huge amount of rubble will be partly recycled. "The Chinese companies are already at work, in addition to the Syrian government machine", assures a Syrian translator who previously studied and lived in Spain and decided to return to his country in 2014, at the height of the crisis.


This kind of “reuse” makes the pair with a small but significant project in Aleppo. The group of Christian Marist blue volunteers, among the many rehabilitation projects, has one called Heart Made, which practices up-cycling without calling it that, as one of the project managers explains, Leyla Antaki: «We resort to stock of unsold stock over time and transform them by giving them a second life. We take the models on the internet, adapting them to local tastes. Then with the cutouts, sleeves, jeans we make big and small bags, bags that we decorate. In short, it is about avoiding textile waste, learning perfection in work and making beautiful things »

On the huge challenge of the reconstruction, the question is: who will pay to put the country back on its feet? Who will earn? Joan, a student from Damascus whose father is from the Afrin area, hit by the bombing of the Turks, is drastic: "I really hope it does not become a business for the usual ones who first bring ruin and then earn on us... I say that Western countries, Turkey, the Gulf monarchs should compensate the Syrian people! They have fomented a war by proxy, they supported jihadist mercenaries ... ». The damages are much higher than the estimated economic figure show. Because the loss of human lives is priceless, and also the historical architectural and archaeological heritage cannot be refunded.

The war has upset the methodical and often obscure work of archaeologists, restorers and officials. Occupied sites, warehouses of looted artefacts, damaged museums, threats to the life of the personnel. In one of the large laboratory rooms of the National Archaeological Museum of Damascus, cluttered with crates of artifacts, Rima Hawan, director of the restoration department, indicates pieces of statues from Palmira (Tadmor), a World Heritage Site that for ten months straddles 2015 and 2016 was besieged by the self-styled Islamic State (Isis, which in the Arab world is called Daesh, in a derogatory sense): "The situation was absolutely emergency". It was feared the total destruction of the site, in front of images proudly spread by Daesh, with the beheadings of statues and not only: the archaeologist Khaled al Asaad, after a life in Palmira to take care of the site, paid with his life - slaughtered the August 18, 2015 at age 83 - the refusal to reveal the places were the most precious stuff had been hidden to escape the fury.

The director of the Palmira museum Khalil Hariri managed to escape at the last moment, but lost a brother and a cousin as well as several friends. It is located in the museum of Damascus to follow the restoration projects of some statues taken away in time and in a fortunate way: "The terrorists took us by surprise with their advance. Everything seemed to be stronger than us, in those days. In addition to terror, we had a very strong memory of the looting of Iraq's historical heritage in 2003 during the Anglo-American invasion... But we managed with difficulty and danger to evacuate numerous artifacts, a sort of mission impossible» before the arrival of the devils.
Some employees are engaged, in large registers and at the computer, in the meticulous verification of the artifacts. Najma is among the restorers who worked in Palmyra after the escape of Daesh: "There are works totally destroyed, others we are trying to recover, here we work above all on the faces." Kawtar and Hiba brush a monk statue. Who has helped you in these years of isolation, een under economic sanctions, did you always have the necessary materials available? Rima smiles cautiously: "Archaeologists are a world community. The experts with whom we worked to study the immense Syrian heritage, have been concretely close to us.»

Khalil Hariri, museum director
(ph. Marinella Correggia)
Among the areas of crisis there has been for years the National Museum of Aleppo, the one that seems guarded by the huge Hittite statues of dark basalt, the spirited eyes. In July 2016, when it was hit by several missiles and mortar shells fired by armed groups who controlled the Eastern part of the city, most of the collection was already safe. Hariri states that, in the emergence of those years, with the country divided into areas of influence among armed groups, "the Directorate for Antiquities had lost contact with two realities: Idlib, still controlled by Qaedist groups; and Raqqa».

Raqqa: a toponym that for years has evoked terror since, in 2014, the city became the «capital of the caliphate» of the Islamic State. The city museum was rich in finds from various eras, up to prehistoric times. The Directorate had stored most of the collections in a series of buildings near the fortification of the Abbasid period at Heraqla, 7.5 kilometers to the museum. But already in March 2013, the Caliphate looted the warehouses and many pieces, mosaics, terracotta and plaster, the result of decades of excavation missions, left the country through the accomplice Turkey, destination the international market of finds. After all, pieces from Palmira were found for sale in London, one of the most important antiques markets... Anyhow the employees managed to evacuate or hide some of the transportable materials, and then recover three full crates found in Tabqa. ISIS had arrived to place explosive charges near the museum. This is a common destiny at about 300 sites of historical relevance. The war really is an angry elephant in a crystal shop.

Let's go back to the archaeological museum in Damascus. In the courtyard, among artifacts and trees, a small group of workers with orange jackets and helmets are installing a photovoltaic lamp. Interesting union between past and modern.
Installing a solar lamp, Damadcus museum garden
(ph. Marinella Correggia)
A union which is normal as well as desirable for Mahmoud Alawadi, the manager of the company Htm Power solution: "Photovoltaics and archaeological heritage are both key elements of our future. The millennia of history will help us to rebuild. I think that the civilization of force that have staged certain states on our skin should oppose the force of civilization."  Moreover, his deputy director of the company is Slava Abdo, who studied archeology and is full of futuristic enthusiasm: "Syria is the lady of the Sun. The sun is always there, solar energy is our future and must have the greatest attention".

And solar thermal and photovoltaic can be seen around. Here and there, on the roofs of Aleppo and even in Kafarbatna in the eastern Ghouta on the buildings left standing, and in the urban and extra-urban streets to make traffic lights, street lamps, antennas work; up to the torches distributed in the centers for displaced persons. With the war, the supply of electricity and consequently the water supply itself became a problem. Renewable energies represent a solution, very convenient, says Slava, "If you calculate the costs for a diesel generator that compensates for the lack of electricity from thermal power stations, and compare them with those of panels that then work for 24 years ..."

The costs of planting of solar energy can discourage, but the reconstruction of Syria can be a good opportunity, Slava continues: "Photovoltaics are good for every place, in homes, streets, farms, industries ... Not only can they be equipped with reconstructed buildings, but they can be a great resource in the same work of reconstruction” And what about the production on the panels, which had started to be made in Syria before the war? "Currently, the cost-benefit ratio makes us prefer to import from China, but in two years we expect to have our own factory here," concludes Slava while she puts her foot on a platform that lights up. Alawadi proudly displays the operation of photovoltaic water pumps, which are very useful in agriculture.
Apricot producer/seller in Kafarbatna, June 2018
Agriculture: in the land of the fertile crescent, the primary sector has a history of many millennia behind it. The Italian geneticist Salvatore Ceccarelli, with the international organization Icarda - International Institute for Agricultural Research in Dry Areas - has worked extensively in the country with farmers, improving participatory traditional cereals (those cultivated for centuries and centuries), so as to obtain mixtures of varieties capable of responding to environmental and water crises. Mixtures now grown in various countries including Italy.

And in Syria? Here, after the drought that has hit hard since 2008, seven years of war have seriously damaged food production, due to population displacements and clashes that have also involved rural areas and disrupted supply chains and transport.

For this reason it was a small miracle, in a day of end of May, to see the beautiful color of apricots emerge from a box on a farmer's bike in Mleha, East Ghouta, a region near Damascus that was in the eye of the war tornado. The fruits cost 300 Syrian pounds per kilogram: before the war the apricots price was within everyone's reach, but now it is for a few, seen the lowering of wages. Exquisite fruit, a set of delicate flavors. The apricot tree, originally from China, seems to have found the elective homeland in Syria and Turkey. Kobol el arb (“before the war”), the inhabitants of the capital used to go on a trip to the Ghouta at the time of flowering. And they looked forward to the short season of apricot, an expression that is also a way of saying to indicate something fleeting. At the time of the Mamluks, to listen to the Egyptian traveler El Badri, the scholars would put themselves in... leave, leaving chairs and books to gorge the fruit. Which in Syria has inspired a true art of conservation and transformation. "After all, in Argentina we have the apricots called Damascus and now I understand why" says the actress Susana Oviedo, who is visiting Syria.

Farmer from Katana selling her products
in the streets of Damascus (pg. Marinella Correggia)

What place will the primary sector have in the reconstruction of the country? And will the announced government plan for rural women really work? Here is a potential recipient: a food producer of Katana, in her yellow hat and bright blue scarf, arrives every day with a bus in the capital to sell her food. Her place is under one of the mosaics.
Agri-culture is culture, after all.

martedì 8 gennaio 2019

Trump ritratta la sua promessa di ritiro mentre Al Qaeda fa progressi in Siria

Militanti di al-Qaeda calpestano la bandiera  del "moderato Esercito Siriano Libero" dopo aver sconfitto i suoi combattenti nel nord della Siria.
di Elijah J. Magnier - ejmalrai
Il fronte di Al-Nusra - al-Qaeda ribattezzato come HTS (Hay'at Tahrir al-Sham) - sta espandendo la sua influenza e il controllo militare su intere città e villaggi siriani nella parte settentrionale e occidentale di Aleppo. Abu Mohammad al-Joulani, l'ex-ISIS (il gruppo terroristico dello Stato islamico) Emiro della Siria e l'auto proclamato emiro di al-Qaeda nel Levante, ordina alle sue forze di spostarsi verso Idlib e la sua area rurale, principalmente contro le città di Ariha, Jabal al-Zawiya e Maarrat al-No'man. Il suo obiettivo è quello di completare il controllo da parte dei suoi jihadisti dell'intera area definita nei colloqui di Astana - Russia e Turchia - dove è stato istituito un cessate il fuoco lo scorso anno per fermare l'avanzata dell'esercito siriano per recuperare il territorio settentrionale. Idlib e i suoi dintorni sono oggi il luogo in cui si riuniscono il maggior numero di jihadisti mai riuniti in un'unica area geografica del Medio Oriente. Sono armati con le armi statunitensi più avanzate, in particolare i missili TOW anticarro e i droni armati, insieme a centinaia di kamikaze pronti a combattere e morire.
Fino ad ora, Joulani è riuscito a sciogliere più di 14 gruppi armati siriani, descritti dall'Occidente come "moderati". Questi gruppi sono stati finanziati e equipaggiati dalla Turchia, le cui forze non hanno reagito finora e hanno permesso al gruppo di Joulani di consolidare il potere. La politica della Turchia potrebbe compromettere l'accordo di Astana, che mira a eliminare la presenza e la forza dei jihadisti nel nord della Siria.
Nel frattempo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump - che ha affermato che l'ISIS è già sconfitto e che in Siria "c'è solo la morte e la sabbia" - e il suo establishment stanno facendo dietrofront dal piano annunciato precedentemente di ritiro dalla Siria: il consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente John Bolton ha detto domenica che gli Stati Uniti prenderanno in considerazione la possibilità di ritirarsi quando l'ISIS sarà sconfitto e la Turchia garantirà la sicurezza dei combattenti curdi alleati degli Stati Uniti. Trump è consapevole che l'ISIS si trova in soli 3 o 4 villaggi oggi lungo l'est del fiume Eufrate, sul fronte di DeirEzzour-al Qaem. È chiaro che l'establishment statunitense sta esercitando pressioni sul presidente inesperto per rallentare il ritiro dalla Siria. Ma ci sono ulteriori argomenti non dichiarati per questo improvviso cambiamento di programma.


In primo luogo, dal punto di vista militare e geopolitico, gli Stati Uniti hanno molto da perdere nel tirarsi fuori dal Levante. La loro presenza sta effettivamente infastidendo l'Iran e i suoi alleati e sta disturbando Russia, Siria e Iraq che considerano le forze di Washington una continua fonte di guai. Gli Stati Uniti non sembrano disposti a vedere la fine dell'ISIS, un gruppo che Israele ha ripetutamente affermato che preferirebbe vedere al controllo della Siria. La presenza di forze di occupazione statunitensi nel nord-est della Siria è considerata una piattaforma per continuare a esercitare l'egemonia statunitense sul Medio Oriente; la presenza degli Stati Uniti è, dal punto di vista di Israele, una benvenuta fonte di frizioni tra due superpotenze che operano nello stesso territorio in Siria.
In secondo luogo, il parlamento iracheno sta agitando di fronte a Trump la grave possibilità di ordinare alle forze americane di ritirarsi dall'Iraq. Trump ha innescato la reazione irachena respingendo il protocollo e rifiutando di incontrare il Primo Ministro, il Portavoce e il Presidente iracheno sul suolo iracheno durante la sua recente visita alla base irachena-statunitense ad Ayn al-Assad ad Anbar, in Iraq.  Se l'Iraq spinge le forze americane fuori dalla Mesopotamia, queste saranno completamente fuori dal Levante anche - se Trump adempie alle sue promesse di ritirarsi tra i 30 giorni e i quattro mesi - a scapito degli interessi USA-Israele in Medio Oriente.
In terzo luogo, non si può escludere che le nuove conquiste di al-Qaeda in Siria possano offrire un ulteriore pretesto affinché l'establishment statunitense rallenti o addirittura respinga l'idea di un ritiro dalla Siria. L'accordo Astana tra Russia e Turchia e Iran aveva bloccato qualsiasi attacco alla città e all'area rurale di Idlib in un momento in cui l'establishment statunitense era pronto a bombardare l'esercito siriano con il falso pretesto che Damasco intendesse usare armi chimiche nella zona. L'accordo di Astana ha tolto ogni possibilità agli Stati Uniti di essere un giocatore attivo in Siria. Inoltre, l'incontro a Mosca il mese scorso tra Russia e Turchia ha portato ad un accordo per congelare qualsiasi avanzata turca verso l'area di Manbij, consentendo all'esercito siriano di prendere posizione nella zona e ai curdi YPG di ritirare le proprie forze, col dispiacere di Washington. Ciò ha anche disturbato i piani di Washington di vedere le forze di Ankara (non di Damasco) sostituire le forze di occupazione statunitensi dopo la loro partenza. La presenza degli Stati Uniti nel nord-est della Siria stava rapidamente diventando priva di significato.
Un nuovo sviluppo si è quindi imposto sulla geopolitica siriana. Il ribattezzato Al-Qaeda in the Levant (HTS), insieme ai suoi combattenti stranieri, ha preso il controllo della linea di demarcazione stabilita ad Astana tra Turchia e Russia. Ciò conferisce alle forze russe e siriane la legittimità di bombardare l'area controllata di al-Qaeda e di ignorare l'accordo di Astana. La Turchia, nel frattempo, non sta interferendo negli eventi della scorsa settimana e sembra non voler finire i jihadisti come in precedenza aveva acconsentito a fare nelle discussioni con la Russia.
Oggi al-Qaeda sta eliminando molti degli alleati della Turchia e quelli che sono stati finanziati, armati e addestrati dagli Stati Uniti. Tuttavia, se la Siria e la Russia manterranno il loro piano iniziale per attaccare Idlib, gli Stati Uniti troveranno una nuova opportunità per bombardare l'esercito siriano e per intervenire e interrompere il piano di Mosca che mira a porre fine alla guerra siriana.
Il bottino di guerra di Al-Qaeda: un equipaggiamento
dell'esercito turco sequestrato
durante la battaglia contro Zinki in Siria
Il controllo di Al-Qaeda sulla linea di demarcazione provocherà - senza dubbio - uno scontro con l'esercito siriano. 
Al-Qaeda probabilmente bombarderà Aleppo per affermare che sta facendo rivivere la rivoluzione siriana e respingendo ogni accordo con Damasco. 
Abu Mohammad al-Joulani, l'ex emiro dell'ISIS e leader di HTS, afferma che il presidente Erdogan della Turchia è "Kafer" (un miscredente), e che quindi nessuna forza potrebbe combattere sotto la bandiera turca anche se la presenza turca in Siria sta permettendo al potere di Joulani di crescere mentre la Turchia offre le necessarie linee logistiche e di approvvigionamento al suo gruppo.
Tra i comandanti Joulani, c'erano (e molti sono ancora attivi) - per nominarne alcuni - il libico Abu Usama (ufficiale Intel in Idlib), i giordani Sami al-Aridi (studioso e leader religioso), Abu Julayleb (emiro di Lattakia), Abu Hussein (emiro di Idlib), Abu al-Yaman (capo dell '"esercito"), Abu Hafas (ufficiale di intelligence), gli egiziani Abu al-Yaqzan (affari religiosi), Abu Abdallah (affari religiosi Lattakia), e i tunisini Abu Omar (Giustizia e affari religiosi), Abu Haidara (affari religiosi Idlib). Migliaia di combattenti stranieri combattono tra le sue fila e altri si sono spostati verso Hurras al-Deen (HAD) e Jabhat Ansar al-Deen (JAD), una versione più radicale di HTS. Oggi al-Joulani sta fornendo una perfetta giustificazione per le forze di occupazione statunitensi a rimanere in Siria, in attesa di ulteriori sviluppi, e possibilmente un rimescolamento del potere sul terreno.
L'ISIS non è più una minaccia per gli Stati Uniti. Di fatto, oggi detiene Al-Susah, Morashida, Safafina e al-Shajlah, tutti sotto la protezione delle forze statunitensi. Pertanto, il gruppo terroristico non rappresenta una ragione per Trump per continuare a occupare il territorio siriano. Inoltre, Bolton chiede alla Turchia di offrire garanzie per proteggere i curdi YPG, il ramo siriano del PKK, il nemico giurato della Turchia e un gruppo sulla lista dei terroristi del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.
Bolton chiede fondamentalmente alla Turchia l'impossibile, mostrando la debolezza di un presidente la cui amministrazione lo costringe a ritrattare continuamente le sue promesse. Le intenzioni degli Stati Uniti nei confronti della Siria non corrispondono alla risposta positiva evocata dalla promessa iniziale di Trump di ritirare le truppe statunitensi, anche se la Russia, l'Iran e la Siria non gli hanno mai creduto. Tuttavia, Damasco ritiene che sia tempo che i curdi scelgano la loro parte e abbandonino la loro protezione degli Stati Uniti per forzare la loro partenza anticipata.

lunedì 7 gennaio 2019

«Non dimenticheremo mai i crimini degli "Emirati" contro la Siria»


  Parole fiere, potenti, sofferte quelle che Khaled al-Abboud, segretario del Parlamento siriano, dedica ai governanti degli Emirati Arabi in occasione della riapertura della loro Ambasciata a Damasco.
  Parole di grande dignità, che bene illustrano la tragedia di un popolo ingiustamente aggredito, affamato, martoriato, oltraggiato, ma che neppure tanti anni di guerra atroce sono riusciti a spezzare.
  Parole severe e implacabili che fanno apparire evidente la pochezza morale di re, reucci e principi mediorientali indegni. Vili e servili.
  Parole che traducono la consapevolezza di come il duro cammino percorso dal popolo siriano e la sua lotta strenua contro la barbarie, per salvaguardare l'identità e l'indipendenza, possano essere esemplari e destabilizzanti per quei regni oscurantisti.
 Parole infine che denunciano l'ipocrita vuotaggine dei ridicoli cerimoniali diplomatici.
 La Siria, pur con difficoltà immani, con imperfezioni e manchevolezze resta un faro luminoso nello squallore di tanti Paesi arabi ''fratelli''.

  Maria Antonietta Carta


''L'Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti ha riaperto a Damasco dopo sette anni di sospensione delle relazioni diplomatiche con la Siria, apparentemente per "riattivare il ruolo arabo nella regione ed evitare il pericolo di interferenze regionali negli affari siriani ", secondo il ministero degli Esteri degli EAU.
Alcuni osservatori locali ritengono che non si sarebbe potuto raggiungere questo risultato senza il via libera dell'Arabia Saudita e degli Stati Uniti e che altri Paesi arabi seguiranno, rassegnati alla vittoria della Siria contro tutti gli agenti della coalizione del terrorismo internazionale. Altri evocano una corsa contro il tempo tra i due campi rivali, Turchia-Qatar e Arabia Saudita-Emirati, nel nord della Siria: entrambi notoriamente alleati degli Stati Uniti. Altri ancora si congratulano con la Siria per questa vittoria diplomatica e per la riunione di due Paesi fratelli, suscitando l'ira della larga maggioranza dei loro omologhi siriani che non capiscono come gli Emirati Arabi Uniti, coinvolti direttamente e indirettamente nella guerra terroristica che ha insanguinato la Siria, siano tornati sulla scena siriana con falsi pretesti e senza il minimo pentimento e la minima pubblica ammenda dei loro errori.
Senza soffermarsi sulle considerazioni degli uni e degli altri, Khaled al-Abboud, segretario del parlamento siriano, non meno preoccupato del tradimento dei cosiddetti Paesi fratelli, si esprime diversamente nella sua pagina ufficiale.'' 
Mouna Alno-Nakhal


Alla porta della "Ambasciata degli Emirati" a Damasco 

Prima di immergermi nel tran-tran delle pubbliche relazioni e nel protocollo di visite, dichiarazioni e sorrisi gelidi, prima di essere invitato a partecipare alla cerimonia organizzata dall'Ambasciata degli Emirati a Damasco, prima che le mie parole prendano in prestito lo zibaldone di un vocabolario insulso, prima di tutto ciò voglio garantire che non dimenticheremo.
Finché vivremo, non dimenticheremo ciò che gli "Emirati" hanno fatto contro la Siria e il suo popolo.
Non dimenticheremo il ruolo degli "Emirati" nella volontà di sopprimere la Siria. Non dimenticheremo che sono stati tra i principali attori dell'aggressione inaudita, che l'hanno finanziata e promossa. Né dimenticheremo come hanno sfigurato il nostro Paese, come hanno partecipato all'uccisione, all'esodo, alla pauperizzazione dei Siriani e come hanno contribuito all'immane devastazione che ci è stata inflitta.
Voi non avete riaperto la vostra Ambasciata a Damasco per favorire l'unità territoriale della Siria, ma per la difesa del vostro trono, scosso dalla sua resistenza, dalla resistenza della sua gente quando avete provato a cancellarla dalla faccia della Terra.
Voi non siete riusciti a prendervi gioco della realtà, perché siete molto più piccoli di quanto pensiate e più insignificanti di quanto pensa il mondo.
I Siriani non dimenticano di aver contribuito alla costruzione e alla protezione degli "Emirati" e di essere tra coloro che hanno sanguinato per farvi crescere. Voi non avete ricambiato rettamente ma, agendo in conformità con la vostra indole, avete operato per la sconfitta e la rovina della loro nazione.
I prossimi giorni ci imporranno qualche messinscena, senza pertanto evitare le conseguenze della nostra resilienza nei vostri confronti, per portarci a scambiare sorrisi e saluti e parole a cui non crediamo, come non crediamo in voi.
Parleremo a lungo di fraternità e di arabismo, consapevoli dei pugnali nascosti nelle vostre abbaye.
Parleremo del vostro sostegno alla Siria nella sua disgrazia, consapevoli che essa ha potuto compiersi mediante la vostra attitudine, il vostro contributo e il vostro odio sempre acceso.
A voi, insignificanti e servili, non diamo il benvenuto. 
Il sangue dei nostri martiri non tollera la vostra presenza, ma gli interessi della gente di Siria e della gente degli "Emirati" ci impongono di compiere la nostra vittoria su di voi, sulla vostra cupidigia e sul vostro odio attraverso la vostra Ambasciata, per i nostri popoli negli "Emirati" e a Damasco. 
Sì, un'Ambasciata per il popolo degli "Emirati" e non per i "regimi politici arabi" che sono stati una spada alzata contro Damasco quando l'universo si aggregava per bagnare di sangue e distruggere la Siria.
Khaled al-Abboud
Segretario del Parlamento siriano
27/12/2018

La fonte originale di questo articolo è il Parlamento siriano
Copyright © Khaled al-Abboud, Parlamento siriano, 2018