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domenica 16 dicembre 2018

La prossima inevitabile battaglia della Siria contro la corruzione


Un ragionamento importante che serve la verità.
Ho tradotto una parte, ma consiglio la lettura integrale dell'articolo. 
Condivido il punto di vista di Ghassan Kadi e ritengo questa analisi utile per un discorso che travalichi clichés o narrazioni agghindate ad hoc.
    Maria Antonietta Carta


di Ghassan Kadi per The Saker blog

Negli ultimi anni, e da quando è iniziata la "Guerra contro la Siria", abbiamo ascoltato molti esprimere il loro fervido entusiasmo sulla Siria prima della guerra. Magari non erano mai stati in Siria, principalmente occidentali, eppure invariabilmente raccontavano di un Paese "perfetto", dove tutti vivevano in pace, armonia e onestà. Certo, alcuni di questi aspetti sono in parte veritieri e la società è civile ed etica, ma la Siria non è mai stata perfetta, e quando i patrioti siriani l'hanno difesa non l'hanno fatto, e non lo fanno, perché è perfetta, ma piuttosto per preservare la sua unità, indipendenza, secolarismo e integrità... ...

A nessuno piace parlare di corruzione del proprio Paese, per timore che sia percepito come un discredito sull'intera comunità. Ciò sarebbe molto ingiusto, perché i Siriani hanno principi elevati, patriottismo e dignità.
Ma affrontiamo il tema: senza corruzione i terroristi non sarebbero stati in grado di portare in Siria un'enorme quantità di materiale militare prima dell'inizio della guerra, e non sto parlando delle frontiere fuori controllo di Turchia, Giordania e Libano da cui sono entrati anche convogli di carri armati. Parlo del periodo in cui ancora si viveva in pace, e una certa quantità di armi e combattenti, sufficiente per accendere la miccia, fu infiltrata nel Paese...

Scrivere questo articolo è doloroso, ma ignorare il problema e far finta che non esista né aiuta a sradicarlo né a servire la verità. Ciò che rende tutto questo più straziante è il pensiero che decine di migliaia di membri dell'esercito che hanno perso la vita, centinaia di migliaia di cittadini in lutto e milioni che hanno patito sono persone dignitose, orgogliose e integre. È sempre una cattiva minoranza che può infliggere il danno, proprio come hanno fatto i jihadisti. Ma a differenza dei jihadisti, che è possibile identificare dal loro armamentario, i corrotti non si distinguono e possono essere in agguato in qualsiasi luogo, in qualsiasi dipartimento governativo e in qualsiasi angolo di strada.

Non sarei sorpreso se alcuni lettori pensassero che con questo articolo stia accusando di corruzione l'intero apparato del governo siriano e perciò mi urge sottolineare che, se nel governo della Siria la stragrande maggioranza di uomini e donne non fossero onesti e incorruttibili, il Paese sarebbe andato perso. Dobbiamo fermarci qui per un momento e fare un elogio speciale alle missioni diplomatiche a cui sono state offerte alte somme di denaro per tradire, ma senza successo. E non bisogna dimenticare le decine di migliaia di soldati che si sono rifiutati di lasciare le fila dell'Esercito Siriano benché gli siano stati offerti salari molto più alti e posizioni di rilievo nel nuovo Stato se la guerra fosse stata vinta. Per non parlare delle centinaia di migliaia, anzi milioni di persone, che hanno rifiutato di lasciare le loro case nelle situazioni più terribili. Sono quei patrioti solidi e la saggia guida al loro fianco che ha vinto la guerra. Sfortunatamente però, bastano poche mele marce per rovinare tutto e se un ministro ha anche un unico esperto corrotto che controlla il flusso di informazioni,può essere facilmente pregiudicato il buon lavoro di un intero ministero.

Bisogna ribadire chiaramente che senza gli elementi corrotti, i nemici della Siria non sarebbero stati in grado di far entrare sufficienti 'micce detonanti' per incendiare il Paese. Sarebbe quindi incomprensibile e imperdonabile chiudere gli occhi sulla corruzione dopo la fine delle battaglie terrestri, specialmente quando vediamo azioni quali l'assassinio del prof. Isber.

Se la Siria vuole evitare ulteriori disastri, deve dichiarare aperta la stagione contro la corruzione. Quanto prima meglio sarà. 

martedì 11 dicembre 2018

Gli zorro del Diritto Umanitario Mondiale


di Michel Raimbaud
Traduzione italiana per OraproSiria di Gb.P.
Presentata come imminente durante tutta l'estate, la battaglia di Idlib, che avrebbe segnato per l'esercito siriano la fase finale della lotta contro il terrorismo, non ha avuto luogo. Rifugio per migliaia di sopravvissuti del jihad e spazio consegnato agli imbrogli di Erdogan, questa città vicino ad Aleppo e alla Turchia ha fatto versare fiumi di inchiostro e di saliva, ma il bagno di sangue annunciato invece non c'è stato. Un accordo a sorpresa tra la Russia e l'Ottomano che rinvia ai loro studi gli indovini e gli esperti di orientologia e - insinuano le male lingue - a rinviarne la riconquista militare alle calende turche ...
Dunque, dimentichiamo Idlib per il momento e andiamo subito al fatto o alla nuova malefatta, che si chiama Deir Ezzor. Come sappiamo, a meno che non l'avessimo già dimenticato, questa città è stata liberata dall'esercito siriano nel novembre 2017 dallo “Stato islamico" che l'aveva occupata, ma essa si deve ancora confrontare con varie minacce, legate in particolare alla sua situazione geostrategica. Situata sulle rive dell'Eufrate, vicino a pozzi petroliferi e adiacente a ricchi terreni agricoli, è oggetto di molta cupidigia, motivo per cui Da'esh ha preso residenza lì. È anche il motivo per cui è il bersaglio dei Kurdi, che tendono a considerare il Kurdistan ovunque, ma anche l'oggetto della sollecitudine dei Turchi che hanno la nostalgia ottomana a fior di pelle e degli occidentali che la vedono come una terra da democratizzare al modo di Debeliou.  Le "forze democratiche della Siria", che si presentano come "arabo-curde" brandiscono una "priorità" che sarebbe quella di combattere contro il terrorismo, quello dei Turchi in particolare, ma Washington strumentalizza gli uni e gli altri, l'obiettivo comune è impedire il ritorno dello Stato siriano.
Circa la "coalizione internazionale", formatasi con la scusa di combattere Da'esh, è di fatto un ulteriore esercito per procura degli Stati Uniti e dei suoi alleati, che combatte e distrugge per conto dell'America. Giova ancora ripeterlo: la cosiddetta America in tutti i suoi travestimenti (forze speciali, consiglieri, NATO, "coalizione", vari eserciti e mercenari), è presente in Siria in totale illegalità, senza autorizzazione e contro la volontà del governo legale di Damasco . Lo stesso vale per i suoi alleati, senza offesa per tutti i guerrafondai occidentali. Il resto è semplicemente inverosimile, falso e ridicolo.
Tuttavia, sempre alla ricerca di progetti creativi, come il caos con lo stesso nome, la "coalizione" che imperversa in Siria, in scompiglio di fronte alle evoluzioni della situazione nella regione, ha intrapreso una nuova offensiva, violando ancora un po' di più il diritto internazionale, il diritto umanitario e le ipocrite "leggi di guerra" ...
La "coalizione" ha appena colpito di nuovo, portando avanti a tre o quattro riprese bombardamenti mortali su obiettivi civili nella zona di Deir Ezzor. In una settimana si contano più di 100 vittime, per lo più donne e bambini. Le armi usate - bombe a frammentazione, o al fosforo bianco, particolarmente crudeli e che lasciano tracce nell'ambiente, sono all'ordine del giorno per i nostri "Zorro" del Far West planetario. E perché no, di nascosto, delle bombe all'uranio impoverito per insegnare come vivere ai dannati della terra? I media occidentali glissano su queste stragi collaterali in silenzio o le citano senza emozioni apparenti. Guidata da motivazioni così nobili, la "coalizione" non può commettere crimini di guerra, per definizione ... Così, la città di Raqqa è stata rasa al suolo e i suoi abitanti sono stati massacrati, dopo che i leader terroristi erano stati accuratamente esfiltrati: su questo non è stato mai pubblicato un rapporto. Come diceva la signora Albright, amata collega dei nostri ministri e nonna di tutti i bambini mutilati delle guerre dell'Asse del Bene, "questo è il prezzo da pagare per la democratizzazione" (sic).
Avete detto "diritto umanitario"? Avete detto "ambiente"? Avete detto "diritto internazionale", "legalità delle Nazioni Unite"? Dove si andrebbe se i paesi che si arrogano "il diritto di dire il giusto" dovessero anche metterlo in pratica, o addirittura dare l'esempio? Non possono fare tutto, già che sono depositari del pesante "fardello dell'uomo bianco" ridenominato "responsabilità di proteggere". Da qui la suddivisione dei compiti, ad alcuni definire il diritto e agli altri il dovere di rispettarlo e il pericolo di essere puniti, anche a titolo di prevenzione: non tutti possono essere medici, ci vogliono pure i pazienti! E Dio sa che la povera umanità è paziente.
Per il dominante e sicuro Establishment, tutto questo è ovvio: "le nostre grandi democrazie occidentali", ammiraglie dell'Umanità, non si definiscono anzitutto come nazioni civili governate dallo Stato di diritto? Questo Stato di diritto con cui le nostre "élite" si riempiono la bocca fino ad averla secca, è quello in cui tutti possono, sembrerebbe, difendere il proprio diritto e cercare giustizia per i danni di cui si ritiene essere stati vittima, senza garanzie di risultato, tra l'altro; ma non è un diritto di competenza universale, perché riguarda solo le "persone civili", non i "fuori-legge": anzi, lo Stato di diritto è anche, e forse soprattutto, uno Stato che può fare la guerra sporca in casa d'altri senza mai chiedere la loro opinione ai propri cittadini o ai loro rappresentanti, costituzione o no ... Un conto è la teoria e un altro la pratica ... Il famoso villaggio globale a cui le nostre élite si riferiscono in modo naturale e senza ridere, questa torta alla crema con la quale le "élite" ci spalmano, è a immagine delle nostre grandi città "globalizzate". C'è il centro ricco e "civilizzato", piuttosto ad ovest, "l'umanità dall'alto" che conta e decide, la "comunità internazionale" auto-intronizzata. Sfortunatamente, non essendoci niente di perfetto a questo mondo, ci sono anche, nel sud e nell'est, tutti questi sobborghi di fuori-legge , dove si muove "l'umanità dal basso" o il piano mezzanino: sono il punto di riferimento dei manifestanti e dei resistenti, che si rifiutano di "unirsi alla comunità internazionale occidentale", osando opporsi ai suoi vari valori e ai suoi indicatori. Che questi malviventi siano "rinascenti" o "emergenti" non cambia il fatto, devono essere sanzionati, minacciati e circondati: non sono essi "preoccupanti" così come lo sono gli Stati falliti, canaglia, paria, con i quali si alleano e che essi proteggono?
In un articolo pubblicato il 4 ottobre 2015, intitolato « Etats voyous et grandes voyoucraties » , l'autore di queste righe ha ricordato la " teoria del pazzo", frutto del cervello di Richard (Dick) Nixon, già mezzo secolo fa: è auspicabile che l'America sia guidata da "pazzi con un comportamento imprevedibile, con un'enorme capacità di distruzione, per creare o rafforzare le paure degli avversari", pensava "Tricky Dicky" altrimenti detto "Dick il baro". Ponendo i "principi base della deterrenza nell'era post-guerra fredda", uno studio del 1995 per il Comando Strategico riaffermava questa idea principale: poiché gli Stati Uniti "hanno sostituito l'Unione Sovietica con i cosiddetti Stati canaglia", devono proiettare un'immagine "irrazionale e vendicativa di se stessi", "alcuni elementi" del governo che appaiono "potenzialmente folli, impossibili da controllare"? Eppure lo zio Donald era lontano dalla Casa Bianca. Ma venticinque anni dopo, la teoria del pazzo è più che mai attuale e Trump è al comando.
In ogni caso, questa prosa delirante spiega il perché di questo "mondo al contrario" concepito dall'Occidente, in cui ogni parola, ogni frase, ogni concetto significa il suo opposto, il diritto essendo così tradotto in non-diritto, la legalità in illegalità, il desiderio di giustizia nella sua sistematica negazione, la volontà di pace in follia bellicosa e la verità in menzogna. Questo è sufficiente per spiegare come le "grandi democrazie" autoproclamate vengano trasformate in "delinquentocrazie", seguendo -fingendo di ignorarli- i tre criteri che, secondo uno dei "nuovi storici" di Israele, Avraham Shlaim, professore emerito di Oxford, definiscono lo Stato canaglia, il "Rogue State" degli anglosassoni:
- Violare regolarmente la legalità internazionale,
- Possedere armi di distruzione di massa,
- Utilizzare il terrorismo per terrorizzare le popolazioni civili.
Su queste basi, il GPS non porta a Damasco, a Teheran o Mosca, ma a coloro che lo hanno progettato. Nel giugno 2000, Robert McNamara, ex Segretario alla Difesa degli Stati Uniti (dal 1961 al 1968), aveva già pensato (The International Herald Tribune) che gli Stati Uniti fossero diventati uno "stato canaglia". Dieci anni dopo, all'inizio delle disastrose "Primavere arabe", Noam Chomski constaterà che il suo paese "è al di sopra del diritto internazionale". Due coscienze americane tra tante altre. Resta comunque che, nel dizionario degli innamorati dell'America, si raccolgono più fioretti che in tutte le omelie di Papa Francesco. George W. Bush, noto studioso di questioni storiche ("Perché ci odiano così tanto quando siamo così bravi?") aveva già il talento di sfidarci. L'attuale inquilino dell'ufficio ovale, lo zio Donald, è anch'egli una sentinella che sa farci sapere, con il solido buon senso dei saloon e dei ranch, il frutto delle sue cogitazioni: "Il mondo è un posto molto pericoloso", ci dice nel novembre 2018. Non possiamo contraddire il Presidente degli Stati Uniti, per definizione provetto in termini di pericolosità.
Per il periodo dal 1945 ad oggi, l'Impero del Bene può iscrivere al proprio bilancio 20-30.000.000 uccisi, tra le guerre dirette (Corea, Vietnam, Iraq) o quelle per procura (in Afghanistan Angola, Congo, Sudan, Guatemala, Siria) guidate da forze e da milizie alleate, spesso guidate e controllate dagli Stati Uniti. Si potrebbe anche, senza temere smentite, contare centinaia di milioni di vittime in questi molteplici conflitti e centinaia di altre indiretti risultati delle ostilità (carestie, epidemie, migrazioni, schiavitù, distruzione dell'ambiente, delle infrastrutture, prelievo dalle spese vitali per le spese militari), o frutto delle sanzioni, blocchi o embargo che l'America ed i suoi fedeli alleati infliggono a più della metà degli Stati membri delle Nazioni Unite .... Questo è il bilancio delle azioni intraprese dal 1945 da parte della "potenza indispensabile" per creare "un ordine internazionale libero e aperto" e per "proteggere i popoli dall'aggressione e dalla tirannia" (2018 National Defense Strategy of the USA ). La "comunità internazionale" in salsa occidentale è una confraternita di "Zii pistoleri" facile da riconoscere, dal momento che li si trova in tutte le principali rotte per la pace, camminando impettiti a braccetto sugli Champs Elysees o sotto archi di trionfo, sotto lo sguardo tenero di telecamere che fissano per i posteri queste riunioni di famiglia.
Sembrano così felici di ritrovarsi insieme e sembrano così sinceri, che occorre guardarli almeno due volte per constatare o capire che la rete di alleanze a cui partecipano include alcuni famigerati criminali di guerra e molto ossessionati dal bombardamento umanitario. Certo, ma allora come possiamo spiegare che troviamo gli stessi nelle grandi cerimonie in cui si brandisce l'ambiente come trofeo e/o come simbolo di un ardente desiderio di pace? A cosa serve predicare la transizione ecologica, limpidi ruscelli e nuvole soffici nel paese dei nati fortunati, quando nel mucchio degli Stati colpiti dalle "guerre giuste" dell'Impero, l'atmosfera è resa mortale dalle bombe, da armi di distruzione di massa, dalla devastazione, dai miasmi di epidemie, quando l'acqua e la terra sono deliberatamente avvelenati da piani malvagi (vedere il piano degliStati Uniti in Iraq sul trattamento della vulnerabilità delle acque)? Si potrebbe pensare dal loro bell'aspetto che gli "zii pistoleri" sono anche degli zii buffoni. Ed è vero che spesso bisogna darsi un pizzicotto per assicurarsi che non si sogni. La beffa globale ha qualcosa di rimarchevole in quanto non è intenzionale per i suoi promotori e progettisti, che si prendono molto sul serio. Due o tre esempi saranno sufficienti qui per illustrare il punto.
Voi siete l'ambasciatore siriano presso le Nazioni Unite, ed ecco che si alza il rappresentante saudita venuto a perorare la libertà in Siria e le condizioni per un futuro democratico per questo paese che i wahhabiti hanno voluto distruggere. Il discorso è sorprendente e può essere considerato come uno scherzo, come dice quel gran signore che è Bachar al Jaafari, eccellente diplomatico. Ma questo è solo un episodio dello scherzo che ha permesso alla "comunità internazionale" di affidare all'Arabia Saudita la presidenza del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo e della donna, e all'Occidente di servirsene come portavoce sull'argomento, obbligati da Bin Salman. Dopotutto, chi aveva protestato quando gli "White Helmets of Syria", una creatura dei servizi inglesi e rappresentanti umanitari di Al Qaeda, erano stati nominati per il Nobel per la pace, ricevendo il Premio degli Stati Uniti per i diritti umani?
Al punto di decadimento in cui è arrivato il sistema delle Nazioni Unite, sballottato dalla "fine della Storia" e poi dalla globalizzazione, la vita internazionale è ormai surreale per chi vuole ancora fare riferimento agli usi, ai costumi e ai linguaggi della diplomazia, ai principi della Carta delle Nazioni Unite e ai semplici principii della morale naturale e/o della vita nella società. E il massimo del surrealismo è raggiunto quando tre membri permanenti del Consiglio di Sicurezza spiegano con gran furore che è un loro diritto e perfino un dovere violare sistematicamente i principii e le norme della Carta, di cui pretendono di essere custodi e i garanti, accusando i loro oppositori di minacciare la pace e l'ordine mondiale. Ormai si sarà capito, bisogna che la società internazionale sia caduta ben in basso perchè i padri fondatori delle Nazioni Unite abbiano come successori ed eredi dei volgari banditi. La diplomazia tradizionale aveva i suoi limiti e i suoi difetti, ma questa prendeva a cuore il suo lavoro, che è quello di mettere l'olio nelle ruote e non versare invece l'olio sul fuoco. Poteva avere uno certo spirito, ma non era una buffonata. Essa deve smettere di esserlo.
In un momento in cui il mondo sta flirtando con la guerra, dobbiamo rimettere l'etica nella vita internazionale. Il conflitto non è più tra un mondo "libero" e un mondo "totalitario", ma tra i sostenitori del diritto e quelli dell'egemonia. Ognuno deve scegliere da che parte stare, prima che suoni la mezzanotte, prima che la beffa generalizzata giochi brutti scherzi. La nostra umanità sta perdendo la pazienza.
Michel Raimbaud
Ex ambasciatore , professore e conferenziere
https://www.iveris.eu/list/tribunes_libres/389-tontons_flingueurs_tontons_blagueurs

giovedì 6 dicembre 2018

Aleppo e la battaglia .... delle informazioni


Pierre le Corf da Aleppo 
4 dicembre 2018
Oggi è necessario un piccolo chiarimento: molte cose si stanno preparando, l'inizio del prossimo anno sarà complicato qui e temo qualche cosa di molto cattivo per il 2019... ripenso proprio a tutto quello che è successo e non voglio immaginare che questo possa ricominciare daccapo. Ne ho prese un bel po' da molti presunti media, durante la guerra fino alla liberazione, per aver trasmesso semplicemente quello che viviamo qui. Molti pseudo giornal-attivisti lavorano con accanimento ancora oggi per sminuire quello che condivido e togliermi credibilità... mi sono imbattuto in un articolo di Le Monde, scritto dal capo del suo Dipartimento Internazionale, un certo C Ayad che prova a farmi a pezzi con delle bacchette cinesi: "Pierre Le Corf ha attivamente lavorato ad assimilare tutti i ribelli a dei terroristi - mentre il numero di jihadisti non ha mai superato il 10 % dei ribelli di Aleppo, secondo le stime più alte dell'Onu- e a nascondere la sorte dei civili dei quartieri orientali. Per quanto riguarda i terribili bombardamenti che ha potuto descrivere, si trattava di bombole di gas montate su razzi artigianali. Niente di paragonabile alle bombe perforanti di una o due tonnellate dell'aviazione russa o dei barili di esplosivi scaricati dagli elicotteri del regime."
Prima di tutto, se venite a dire ai siriani che c'era solo il 10 per cento di terroristi ad Aleppo, vi prenderete una scarpa in testa. Se verificate le notizie (rapporti dei servizi di intelligence interni in Francia) vedrete che rigorosamente tutti i gruppi conosciuti e affiliati che ci assediavano (e ancora oggi sono nella periferia) sono considerati organizzazioni terroristiche dalla Francia. Quindi in Francia sono dei cattivi, mentre qui sono dei bravi combattenti della libertà? Ridicolo, ma più è grossa (la bugia) più passa. In secondo luogo, vi potevate immaginare che dei mezzi di comunicazione di tale diffusione avessero il coraggio di dire che morire sotto razzi artigianali non è così terribile come morire sotto le bombe di aerei? Non voglio nemmeno entrare nei dettagli riguardo l'assedio terrorista di Aleppo Est: i civili che venivano utilizzati come scudi umani dai terroristi, le fatwe sulla esecuzione sommaria di persone che erano sospettate di parteggiare per il governo...
Ho avuto una tremenda voglia di vomitare leggendo questo, la sofferenza è la sofferenza, quella degli uni sotto le bombe non è superiore a quella degli altri sotto i razzi, qualunque sia il modo o il talento che possiate avere di giocare con le parole per aumentarne o attenuarne gli effetti. Nessuno ha idea di quello che è successo ad Aleppo e della manipolazione, delle bugie, di quanto il terrorismo sia stato sostenuto dall'Occidente. Mi sono abituato a questo piccolo raggiro organizzato da circa una quindicina di persone che sono arrivate al punto di mettermi in pericolo durante la guerra. Vigliacchi che battono sulle loro tastiere senza mai avere personalmente assistito a nulla di ciò che descrivono... è questo il giornalismo? E' morto quando Aleppo è stata liberata.
Credo che chiunque voglia capire cosa sta succedendo in merito alla disinformazione in Siria dovrebbe imparare dalla storia e da alcune definizioni che infine chiariscono un metodo.
È un argomento tabù ma me ne infischio, sia per gli Armeni, sia come durante la Seconda Guerra Mondiale, alcuni hanno rifiutato l'esistenza di massacri che purtroppo hanno avuto luogo: si è chiamato questo "Negazionismo". Ecco la definizione di negazionismo: "L' approccio del negazionismo è caratterizzato dall'uso di una metodologia parziale e disonesta, che realizza la selezione, l'occultamento, la mistificazione o la distruzione di informazioni che confermano l'esistenza del genocidio, mentre i fatti sono stati sicuramente accertati. Inoltre, le sue motivazioni non sono solamente la ricerca di fatti storici, ma nascondono retro pensieri politici o di partito." Vi lascio riflettere; non si tratta di un concetto, ma di un metodo per orientare l'opinione pubblica, non esitando a distruggere messaggi e messaggeri dentro un obiettivo preciso che appartiene a coloro che lo praticano.
In 7 anni di guerra. Ad Aleppo sono 13.000 i morti dall'inizio della guerra e circa 40.000 i feriti nei bombardamenti terroristici che sono stati cancellati dalla storia o che sono stati sminuiti, 8.000 morti a Damasco e quasi 25.000 i feriti.
Evito di commentare gli eventi politici ma oggi quello che succede in Francia dimostra che dopo aver visto 100 volte lo stesso trucco di magia, la gente comincia a porsi domande e capire che li si prende per cretini. I prestigiatori vedono calare il sipario. 
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"L' inferno è lastricato di buone intenzioni, come si dice. Stavo cercando del cartone nei resti di una fabbrica occupata dai terroristi, ne ho trovati tanti ed è ideale per accendere un fuoco e scaldarsi."

Aleppo, 25 novembre
4 quartieri sono stati bombardati con razzi contenenti armi chimiche, cloro ... è difficile, molte persone stanno soffocando ... mi brucia il naso anche indossando una maschera ... Durante la battaglia ci hanno bombardato con bottiglie di gas razzi con cloro ma ovviamente ciò è stato cancellato, la gente cancellata, la verità cancellata ... Persino i rapporti ufficiali delle Nazioni Unite mentono grossolanamente ... qui la gente muore gratis. Se fossimo in Idleb questo sarebbe in vista nella prima pagina dei media e le navi da guerra sarebbero già in strada per colpirci come negli ultimi due anni, su delle bugie ... Cosa accadrà ora nei prossimi mesi ? Cosa ci sta aspettando ?? bugie e bugie, morte e violenza. 

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Aleppo, 24 novembre :Per i bambini, raccolta di giocattoli e vestiti caldi
 Stiamo già comprando e prepariamo giocattoli per bambini durante il mese di dicembre, ma quest'anno se avete giocattoli, peluche, vestiti che non usate più, con i volontari cercheremo di raccogliere in novembre e riciclare come nuovo per distribuirli negli ospedali - campi profughi - associazioni...  L' idea è che non distribuiamo solo regali, stiamo facendo un piccolo quaderno che verrà distribuito ai bambini e alle famiglie nello stesso tempo (lo stesso nel Ramadan) che è composto da messaggi per bambini, note importanti sulla vita in guerra, Un buon pretesto per condividere un messaggio di speranza e amicizia e visitare le persone in tutta Aleppo. Facciamo lo stesso nel Ramadan, non si tratta di religione, si tratta di persone e di umanità.
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Aleppo, 22 novembre 
Mentre andavo a vedere un amico, davanti alla loro casa, un piccolo razzo si apriva per fortuna senza esplodere. Ne cadono alcune decine ogni giorno in molte zone dell'Ovest di Aleppo. Nel frattempo proviamo a fingere che tutto vada bene, anche se tutto va meglio ci sono ancora 8.000 terroristi nei sobborghi e continuano a colpire la città fino al massimo della loro portata di tiro. Il centro storico della città è ora liberato, i quartieri dove si concentravano i turisti di tutte le nazionalità sono diventati più o meno sicuri, ma non possiamo fingere e non saremo in grado di fingere quando tutto di nuovo esploderà per la grande battaglia, tra pochi mesi al massimo. Molti Paesi stanno preparando i loro giochi, sarà molto violento sul campo ma anche con le parole, la propaganda riprenderà tutto il suo slancio per questa ultima corsa in cui si giocherà il destino di tutto il Medio Oriente. Non ho modo di pubblicare su questo argomento perchè la maggior parte del mio tempo va con il lavoro umanitario qui, ma osservo da lontano gli " avvoltoi di Aleppo" che girano nell'aria e affilano le loro penne. Vedremo, ma li vedo arrivare a 1000 KM con le loro grandi unghie. Opportunisti che vivono di questa guerra da molto tempo e che non immaginano o rifiutano di vedere il vento girare. Spero che molti si sciacqueranno i denti, ... tutte queste bugie, manipolazioni, ... il tempo parlerà.

martedì 4 dicembre 2018

La Siria vista dal di dentro


di Ekaterina Yanson 
trad. Gb.P.
La Siria è lungi dall'essere solo uno Stato arabo ancora molto pericoloso, come spesso viene presentato dalla stampa occidentale. Strade tranquille qui, spari di là: dov'è la vera Siria? Ovunque, come testimoniano al microfono di Sputnik coloro che hanno vissuto la guerra, e che aiutano a riflettere un'immagine più reale del paese e della sua gente.
Donne eleganti, truccate, velate o no, bambini che passeggiano dopo la scuola, negozi, caffè, allegria e risate: questa potrebbe essere la descrizione di un paese europeo. Eppure è il volto della Siria, dopo circa otto anni di guerra. Una Siria complessa e profonda, che accoglie a braccia aperte, nonostante i combattimenti che ancora infuriano in alcune aree.
Come hanno vissuto la guerra i Siriani?
"La guerra ha distrutto i nostri sogni e il nostro futuro. Le nostre case sono state demolite. Abbiamo perso i nostri amici e parenti, alcuni sono fuggiti dal paese, altri sono stati martirizzati", ricorda Bakri Mardini, corrispondente militare originario di Aleppo. Gli Aleppini hanno patito l'assedio, carenza di medicinali e prodotti alimentari, prezzi alti: "Eravamo al punto in cui non potevamo più trovare il pane per i nostri figli", aggiunge, lui che non ha lasciato la Siria per un solo giorno durante la guerra. "Volevo fare qualcosa per il mio Paese. La mie armi sono la mia macchina fotografica e la mia penna. Ho documentato i momenti più importanti delle battaglie, così come le distruzioni causate dal sabotaggio dei terroristi".
Mohammad Fadlallah, del sud del Libano, ha combattuto per sette anni e mezzo nei ranghi di una milizia araba a fianco dell'esercito siriano. "Noi guardiamo le nostre vite nel contesto della guerra", ci racconta. "L'abbiamo vissuta in tutti i suoi dettagli. E siamo orgogliosi di essere stati spalla a spalla con i siriani durante tutte le fasi della battaglia contro il cinico volto di questo mostro terrorista ".
Il Paese si sta riprendendo dalla guerra, quali sono le speranze dei siriani?
Se volevano distruggere il sistema morale dell'intera società araba, e non solo della Siria, i terroristi non ci sono riusciti, spiega Mohammad. Tra gli altri obiettivi c'erano: dividere la Repubblica siriana in "cantoni settari", "disarmare le forze di Damasco", "costringere l'esercito siriano ad arrendersi" ... Ma i siriani e i loro alleati hanno resistito a questa "degenerazione morale su tutti i fronti: culturale, politico, mediatico e militare": "Siamo riusciti a rimanere esseri umani rispettando la nostra etica, i nostri principi e la nostra cultura", riconosce, pur lamentando la morte di molti suoi compagni che non sono sopravvissuti ai combattimenti.
Infine, la Siria si sta lentamente riprendendo dalla febbre da guerra, continua Bakri che ora mostra le immagini del suo paese natale in ricostruzione. "Io spero di vedere ancora la Siria com'era prima della guerra. Spero di rivedere i miei amici e parenti che tornano nelle loro case siriane ".
Mohammad afferma che la speranza di "ogni soldato arabo" è di fare del suo meglio per "costruire una Siria più forte, più potente di prima". "Sogniamo di costruire una società araba resistente. Speriamo che l'Occidente alla fine ci lasci in pace".
Percezione della Siria in Europa contro quella della Siria sul terreno
Paese in costante stato di guerra, rinchiuso nel suo caos di ostilità, dove la morte segna la vita quotidiana, famiglie disorientate, senza futuro, le fabbriche e gli ospedali bombardati: è questa più o meno la visione comunemente diffusa in Occidente. Sì, in alcuni parti, è vero.
Ma questa verità coesiste con un'altra, come coesistono nelle strade di Aleppo gli studenti con i nasi incollati ai loro smartphone e i bambini mutilati dalla guerra che si trascinano per le strade alla ricerca di un libro. Così, in alcuni posti non sentiamo la guerra, dice Alexander Goodarzy, capo della missione di Damasco di "SOS Cristiani d'Oriente", che si erge contro quella scatola che "mente" che è la televisione. "Siamo consapevoli che i media ci stanno mentendo, che siamo sempre più manipolati. Come siamo stati ingannati con l'Afghanistan, con l'Iraq, con la Libia e ora con la Siria". Dall'estero, è difficile immaginare che le strade di un paese in guerra "possano essere pacifiche, che la gente possa uscire, mangiare nei ristoranti, ristorare lo spirito, divertirsi. C'è questo, c'è anche questo, è la realtà", aggiunge.
Avendo aperto la sua missione nel 2015, è stato in grado di formarsi una visione del Paese per scoprire finalmente che, se viene spesso visto dall'Europa come "un paese arabo nel senso molto profondo della parola, con tutti gli stereotipi al riguardo", la Siria è molto più di questo.
"È un mosaico culturale e di civiltà, è la culla delle religioni, delle civiltà, è la mezzaluna fertile, è un popolo ricco di cultura e sono persone che hanno tanto da dare", dice. Ecco cosa si percepisce: ci sono rappresentanti di diverse confessioni, vestiti secondo il loro gusto o la loro tradizione, persone che hanno la loro "cultura propria", che, se dovesse essere descritta in una parola, si ascriverebbe alla nozione di "diversità."
I Siriani visti più da vicino
Alexander vive a Damasco e da anni viaggia con la sua missione in diverse parti della Siria. Secondo lui, i Siriani, un popolo non aggressivo e non vendicativo, sono “arabi per cultura e lingua, ma sono fenici, persiani, bizantini, romani, arabi, ottomani, europei; sono un mix di tutto”.
Questo "popolo pacifico che è stato costretto alla guerra" poiché "la geopolitica lo vuole" a cosa aspira dopo questi quasi otto anni di guerra? Semplice: a vivere in pace e sicurezza a dispetto dei "tagliatori di teste" che hanno devastato il Paese e anche delle forze esterne che vogliono imporre "ciò che considerano giusto" PER LORO, riassume Alexander.
https://sptnkne.ws/kcTA

domenica 2 dicembre 2018

Il Papa all'Angelus di domenica 2 dicembre: un cero per la pace nell'amata Siria


Cari fratelli e sorelle,
l’Avvento è tempo di speranza. In questo momento vorrei fare mia la speranza di pace dei bambini della Siria, dell’amata Siria, martoriata da una guerra che dura ormai da otto anni. Per questo, aderendo all’iniziativa di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, accenderò ora un cero, insieme a tanti bambini che faranno lo stesso, bambini siriani e tanti fedeli nel mondo che oggi accendono le loro candele. Questa fiamma di speranza e tante fiammelle di speranza disperdano le tenebre della guerra! Preghiamo e aiutiamo i cristiani a rimanere in Siria e in Medio Oriente come testimoni di misericordia, di perdono e di riconciliazione. 
La fiamma della speranza raggiunga anche tutti coloro che subiscono in questi giorni conflitti e tensioni in diverse altre parti del mondo, vicine e lontane. La preghiera della Chiesa li aiuti a sentire la prossimità del Dio fedele e tocchi ogni coscienza per un impegno sincero a favore della pace. E che Dio, nostro Signore, perdoni coloro che fanno la  guerra, coloro che fanno le armi per distruggersi e converta il loro cuore. 
Preghiamo per la pace nell’amata Siria.

venerdì 30 novembre 2018

Idlib: “Tutti i beni dei cristiani sono considerati bottino di guerra e di conseguenza verranno sequestrati”, il comunicato di Al Nusra

notifica inviata da Hayaat Tahrir El Sham, in cui si esige di consegnare una casa di cristiani entro la fine del mese di novembre

AsiaNews  30 novembre 2018

Al Qaeda in Siria - che dopo essersi evoluta in Al Nusra, si fa ora chiamare Hayaat Tahrir Al Sham [1] - continua da giorni a sequestrare case, terreni e beni dei cristiani all’interno della provincia di Idlib sotto il suo controllo. In un comunicato emanato da Tahrir Al Sham e pubblicato quattro giorni fa si legge: “Tutti i beni dei cristiani sono considerati bottino di guerra e di conseguenza verranno sequestrati”. Tre giorni fa, dal Patriarcato degli armeni cattolici, AsiaNews ha ricevuto conferma che da parte dei gruppi terroristici islamici di Idlib è in corso una confisca dei beni dei cristiani fuggiti durante la guerra dopo l’occupazione da parte di Daesh.
Un abitante di Jisr el Sheghur - che ha voluto mantenere l’anonimato - è fra coloro che hanno occupato una casa abbandonata. Egli stesso dichiara che Hayaat “ha informato tutti gli abitanti che hanno occupato case appartenenti ai cristiani fuggiti, di svuotare i luoghi o accettare di versare un affitto mensile” all’organizzazione terroristica islamica.
Vi è anche l’esproprio delle case dei cristiani lasciate in procura a loro amici o vicini di casa, Al Hayaat non riconosce tali procure legali. Le case più belle vengono assegnate ai capi islamici; altre case o negozi vengono venduti o affittati. Il sequestro non riguarda i cristiani ancora in città, che sono pochissimi e composti soprattutto da anziani.
I cristiani nella provincia di Idlib, composti sopratutto da armeni e greco-ortodossi, hanno dovuto fuggire da quei luoghi nel 2012. Noti per essere benestanti e proprietari di terreni e case, i cristiani hanno abbandonato tutto, fuggendo in zone controllate dal governo. Molti altri hanno optato di emigrare all’estero: alcuni solo temporaneamente in Turchia, Libano o Armenia; altri hanno scelto di non ritornare mai più e sono andati in Europa, America, Australia.

I cristiani della provincia erano concentrati soprattutto all’interno della città di Idlib, ma anche nei villaggi circostanti dell’hinterland agricolo ed industriale, come pure nei nuovi centri urbanizzati di Jisr el Sheghur, Halluz, Yaacobibya ed Al Ghassaniya. Agli inizi del 2012, tanti cristiani hanno subito feroci persecuzioni ad opera di Daesh. Molti di loro sono stati decapitati, con la scusa di essere sostenitori “del regime di Damasco”.
Da quando i gruppi armati islamici della Rivoluzione siriana hanno preso il controllo, persecuzione diretta e terrorismo verso i cristiani si sono accresciuti. I fedeli sono spinti ad abiurare o a subire la condanna a morte in caso di rifiuto. Un’altra via di uscita è la fuga. Soprattutto Daesh ed Al Nusra hanno rapito molti sacerdoti e religiose ed hanno demolito chiese e monasteri trasformandoli in cimiteri di fosse comuni. Fra le tante testimonianze, vi è quella della chiesa greco-ortodossa di Al Ghassaniya (dicembre 2013).
Nel 2015, nella città di Idlib, la chiesa dedicata alla Madonna è stata saccheggiata e ha subito sacrilegi da parte di Jund al Aqsa, “I soldati di Al Aqsa”.
Insieme alle fazioni integraliste alleate, Hayaat Tahrir Al Sham controlla quasi il 70 % dei territori della provincia di Idlib. Essa è composta da migliaia di combattenti siriani, ma anche da jihadisti arabi e non arabi. Il rimanente 30% del territorio è controllato da gruppi meno integralisti, ma sempre opposti ai cristiani. Questa parte è infatti controllata da gruppi fuoriusciti da Al Qaeda e da Isis, quali il “Partito Islamico Turcomanno”, nostalgici dell’Impero ottomano turco; “Sekur Al Ghab” (Falchi delle Foreste); Ansar Al Tawhid (Apostoli dell’Unità); Hurras Al Din (I Guardiani della religione); Ajdad Al Caucaz (I Nonni del Caucaso), composto da ceceni e azerbaijani turchi; Jeysh Al Izza (L’Esercito della Gloria) e tanti altri. Solo uno sparuto gruppo appartiene all’Esercito siriano libero.  

  [1] “Organo per la liberazione di Sham”, dove non si comprende se con il nome Sham si intenda Damasco, oppure la definizione storica della provincia storica di Sham, la grande Siria che comprende anche il Libano la Palestina e la Giordania.

mercoledì 28 novembre 2018

Accade in Siria: musulmani chiedono al Governo Siriano di offrire asilo politico alla cristiana Asia Bibi


« Chiediamo solennemente alle autorità competenti della Siria, terra di tolleranza e del vivere insieme, di proporre il diritto d'asilo che permetta alla cristiana Asia Bibi di continuare la sua vita in tutta sicurezza a Damasco, culla della cristianità e dell'islam tollerante.»
 Questo è il testo che Said Hilal Alcharifi ha inoltrato, per mezzo del deputato indipendente del parlamento siriano Nabil Saleh, al ministro degli Esteri Walid Al-Moallem, con immediato seguito di consensi.
Chi è Said Hilal Alcharifi? Un breve sommario del suo curriculum professionale:
Said H.Alcharifi ha iniziato il suo mestiere di giornalista presso il quotidiano Tishreen nel giugno 1978. Dal 1986 ha ricoperto la posizione di insegnante di Arabo presso l'Università della Provenza in Francia. Titolare di un D.E.A. (Diploma di Studi approfonditi) in lettere, della stessa università. Dal 1993, Membro del C.E.T.J. (Società di traduttori interpreti esperti, presso la Corte d'Appello di Aix-en-Provence) fino al 1997, data di ritorno nel Paese.
- Giornalista per il quotidiano Tishreen (capo del dipartimento studi).
- Autore di due programmi settimanali alla Radio Nazionale di Damasco:
. "Culture del mondo" dove espone e commenta i fatti più importanti a livello internazionale, diffusa il mercoledì alle 13.30
. "Il nostro vicino: l'Europa" racconta le attività culturali, artistiche, umane di un paese europeo, durante la settimana. Trasmesso il venerdì alle 8:30
- Pubblicazione saltuaria di articoli sulla Siria.
Ma curriculum a parte, la cosa più importante è che Said appartiene all'Islam Sunnita e, secondo una certa logica di 'scontro di civiltà', si sarebbe potuto supporre che concordasse o almeno se ne stesse zitto come tanti hanno fatto, condividendo pavidamente la condanna a morte di Asia Bibi. Ma così non è stato e ciò ci ha felicemente confermato sulla 'eccezione-Siria', quindi gli abbiamo posto alcune domande.
OpS:  Lei hai proposto che la Siria accordi l'asilo politico ad Asia Bibi. Ciò ha colpito molto, perchè indica la visione di un Islam differente da quello che si pratica in altri Paesi. Vuole spiegarci la caratteristica della società siriana dal punto di vista della religione?
S: Quando ho lanciato il mio appello sulla mia pagina personale all'attenzione delle autorità competenti in Siria, chiedendo loro di concedere l'asilo umanitario a Asia Bibi, che insieme alla sua famiglia rischia il linciaggio dai fanatici islamisti furiosi con lei nel proprio Paese, il Pakistan, ho agito come cittadino siriano nato su questa terra benedetta da due grandi Messaggeri: Gesù e Maometto.  
Da bambino, sono cresciuto in una piccola città di circa 25.000 abitanti nel nord-ovest della Siria, dove cinque famiglie cristiane vivevano in piena armonia tra una popolazione musulmana, conservando il loro stile di vita e le loro usanze in stile occidentale senza mai essere malviste; al contrario, queste cinque famiglie che erano, all'epoca degli anni '60 una trentina di persone, uomini, donne e bambini, in occasione della Pasqua, ricevevano visite di omaggio proprio da persone residenti della città che è a maggioranza musulmana.   I cristiani, naturalmente, hanno sempre fatto lo stesso in tutte le feste musulmane e hanno vissuto da perfetti cittadini come tutte le altre componenti etniche e religiose della società siriana, vale a dire alawiti, sciiti, drusi, ismaeliti e così via.
OpS: La guerra in Siria ha però segnato una frattura nella convivenza. C'è stata una guerra religiosa interna? Che cosa ha influenzato il cambiamento di mentalità di alcuni siriani verso una idea di islam più orientato alla Sharia?
S: L'islam in Siria trova le sue radici nel Sufismo piuttosto che nel salafismo mutuato dall'oscurantismo wahhabita malato dei Fratelli Musulmani d'Egitto. Tuttavia, la Siria, come qualsiasi altro paese nel mondo arabo, non è stata risparmiata dalla pandemia del falso Islam talmudico wahhabita che sta invadendo il mondo intero.
Per quanto riguarda l'appello che ho lanciato in favore della cittadina cristiana perseguitata dai suoi stessi compatrioti in Pakistan, questo messaggio è stato raccolto dal deputato Nabil Saleh nel parlamento siriano che si è fatto carico di questo dossier con il Ministero degli Affari Esteri in Siria. Ma non saprei dire adesso a che punto siamo con questo procedimento.
Infine, la Siria può essere solo un paese laico. Tutti i tentativi di islamizzare il Paese sono stati sventati negli ultimi secoli.

lunedì 26 novembre 2018

I ribelli colpiscono con i missili al cloro i civili di Aleppo, ma stavolta nessuno s’indigna


di Gian Micalessin

Stavolta nessuno indagherà, nessuno condannerà e nessuno, tantomeno, bombarderà. A differenza di quelli messi a segno a Ghouta nel 2013, a Khan Shaykun nel 2017 o a Douma nell'aprile 2018 l'attacco chimico lanciato sabato notte nella zona di al-Khalidiya, un quartiere sul versante occidentale di Aleppo, non indigna, né scandalizza nessuno. Anche perché stavolta a venir colpita non è una zona controllata dai ribelli, ma una città completamente pacificata dove la popolazione civile è stata restituita da quasi due anni all'autorità del governo di Damasco. A spazzar via l'atmosfera di precaria tranquillità che si respira ad Aleppo è bastata una salva di missili partiti dalle zone della provincia di Idlib, l'ultima roccaforte jihadista nella parte nord occidentale del paese.

I missili non sono una grande novità. I civili di Aleppo ci hanno fatto il callo. Sanno che di tanto in tanto i ribelli, nonostante le trattative per arrivare ad una loro evacuazione pacifica da quei territori, non resistono alla tentazione di punire una città colpevole di aver resistito per anni all' assedio jihadista.

Nessuno però si aspettava un attacco chimico in piena regola. Un attacco messo a segno colpendo Aleppo con delle testate al cloro. Quell'attacco, stando a fonti d'informazioni siriane, ha causato l'intossicazione di almeno 41 persone mentre i contaminati sarebbero oltre un centinaio. Secondo la testimonianza di un medico dell'ospedale di Aleppo trasmessa dalla televisione di stato almeno due persone restano in conduzioni critiche mentre quasi tutto gli altri soffrono di difficoltà respiratorie e ridotte capacità visive. L'attacco viene segnalato anche da Rami Abdurrahman, il titolare di quel discusso "Osservatorio Siriano per i Diritti Umani" basato in Gran Bretagna considerato, sin dal 2011, il portavoce delle fazioni ribelli.

Stavolta neppure l'assai poco imparziale "Osservatorio Siriano" se la sente di negare l'attacco ad una città dove da due anni non c'è più la guerra. Una città dove, invece di combattere, si cerca di ricostruire. Proprio per questo l'utilizzo delle testate al cloro è sicuramente più proditorio e più vigliacco. Eppure nessuno sembra volersi sbilanciare. Certo stavolta è un po' difficile ripetere le litanie del passato quando ogni responsabilità veniva fatta cadere sul governo di Bashar Assad e sui suoi alleati russi. Stavolta anche il più scatenato sostenitore della causa ribelle ha qualche difficoltà nell'accusare il "dittatore" di aver colpito con le armi chimiche quei cittadini di Aleppo che non solo si sono opposti per anni all'assedio dei ribelli, ma stanno salutando il ritorno di migliaia di profughi rientrati nelle zone controllate dal governo. Ed ancor più difficile è ribaltare la verità sostenendo, come fecero alla vigilia dei bombardamenti dello scorso aprile Emmanuel Macron e Theresa May, di aver in mano le prove certe della colpevolezza del regime. 
Stavolta l'unica cosa sicura e certa è che nessuno verrà né accusato, né punito. Perché se s'incominciasse ad indagare anche le certezze del passato incomincerebbero a traballare. E l'intero castello di carte costruito sugli attacchi chimici attribuiti al governo siriano e ai suoi alleati rischierebbe di crollare. 

venerdì 23 novembre 2018

Dietro alla crisi del Golfo si cela anche una spaccatura religiosa tutta interna al mondo sunnita


di Michele Brignone

Oltre ad aver ridisegnato gli equilibri geo-politici mediorientali, la crisi che da un anno oppone il Qatar e la coalizione composta da Arabia Saudita, Emirati, Egitto e Bahrein ha ratificato la frattura politico-religiosa, tutta interna al mondo sunnita, tra un campo islamista sponsorizzato da Doha e un campo anti-islamista sostenuto dagli Stati del quartetto.

Una relazione complicata
   Il conflitto attuale è l’ultimo capitolo nella storia della complicata relazione triangolare tra lo Stato egiziano, i Fratelli musulmani e i Paesi del Golfo. Tutto cominciò negli anni ’50, quando molti membri della Fratellanza lasciarono l’Egitto per sfuggire alla repressione nasserista, trovando rifugio nel Golfo e in particolare in Arabia Saudita. Fino all’inizio degli anni ’90, l’incontro tra gli islamisti e l’Arabia Saudita avvenne sotto il segno della cooperazione: i Fratelli musulmani furono considerati un alleato naturale contro i movimenti arabi rivoluzionari e contribuirono ad accrescere la legittimità pan-islamica di Riyadh. Fu in questo periodo che dall’ibridazione culturale e religiosa tra le idee della Fratellanza e il wahhabismo saudita nacque il movimento della Sahwa islāmiyya (il Risveglio islamico). Il sodalizio si ruppe con la guerra del Golfo del 1990-1991, quando per liberare il Kuwait occupato dall’Iraq di Saddam Hussein la monarchia saudita permise alle truppe statunitensi di stazionare sul proprio territorio, scatenando l’indignazione islamista.
Le rivoluzioni arabe del 2011 hanno poi allargato ulteriormente il fossato: mentre i Fratelli musulmani e altri movimenti islamisti, sostenuti dal Qatar e dalla Turchia, erano impegnati a creare un nuovo ordine politico mediorientale, l’Arabia Saudita e gli Emirati intervenivano per ripristinare lo status quo, in particolare appoggiando l’Egitto del generale al-Sisi.

Critiche e accuse incrociate
   Dopo la rottura del 2017, si sono moltiplicate accuse, analisi critiche, e prese di distanza incrociate da parte di politici, intellettuali e chierici dei due campi. Il fronte pro-islamista e filo-Qatar accusa lo schieramento opposto di aver tradito l’Islam, cedendo al secolarismo occidentale. Per esempio il marocchino Ahmad al-Raysūnī, principale ideologo del movimento Unicità e Riforma (MUR) e vice-presidente dell’Unione Mondiale degli Ulema Musulmani, nell’ottobre del 2017 ha rimproverato all’Islam sauditadi essere passato «dalla fioritura alla decadenza». Sempre nell’autunno del 2017, dalle colonne del quotidiano qatarino al-Watan, il giornalista di al-Jazeera Ahmad Mansūr ha imputato a Emirati e Arabia Saudita di voler deliberatamente secolarizzare le società islamiche. In una serie di articoli pubblicati sul quotidiano digitale filo-qatarino Arabi21, Soumaya Ghannouchi, figlia del fondatore e leader del partito islamista tunisino Ennahda, ha descritto invece il conflitto attuale come una battaglia tra un Islam democratico e liberale e un autoritarismo che in passato si è servito della religione ma che oggi è diventato laicista.
 Il fronte anti-islamista ascrive invece la violenza e il caos che perturbano le società musulmane all’influenza nefasta dei Fratelli musulmani. Ad esempio il principe ereditario saudita, Muhammad bin Salman, che ha promesso di “riportare” l’Arabia Saudita alla “moderazione” degli anni precedenti al 1979, attribuisce l’estremismo religioso presente nel Regno alle infiltrazioni della Fratellanza, in particolare nel sistema educativo saudita.

L’Islam emiratino: tra tradizione e pensiero critico
   Al di là della discutibile narrazione storica proposta da MBS, il suo progetto di riforma dell’Islam rimane molto vago. La sua preoccupazione non è tanto una riforma religiosa, quanto un Islam che non intralci il processo di modernizzazione del Paese, non si trasformi in una forma di opposizione politica e non comprometta la reputazione internazionale dell’Arabia Saudita. È per questo che la vera alternativa all’interpretazione islamista non è l’Islam che, chissà quando chissà se, nascerà in Arabia Saudita, ma quello che già oggi viene promosso dagli Emirati. Questi ultimi, a differenza dell’Arabia Saudita e del Qatar, non aderiscono alla dottrina wahhabita, ma alla scuola malikita. Allo stesso tempo però, gli Emirati non dispongono di istituzioni islamiche tradizionali attraverso le quali veicolare il proprio messaggio religioso. La loro politica islamica si è così tradotta nel patrocinio di nuove istituzioni, nominalmente indipendenti, guidate da eminenti personalità del mondo sunnita.  Fra queste spiccano il Consiglio dei Saggi Musulmani e il Forum per la Promozione della Pace nelle Società Musulmane, nate entrambe ad Abu Dhabi nel 2014. Il Consiglio, che riunisce ulema di tutto il mondo, è presieduto dal Grande Imam dell’Azhar Ahmad al-Tayyib, e rappresenta una risposta all’Unione Mondiale degli Ulema Musulmani, una rete di esperti religiosi e intellettuali di orientamento islamista, molto vicina al Qatar, creata e presieduta dal “global mufti” Yūsif al-Qaradāwī. Il Forum per la Promozione della Pace è invece guidato dallo shaykh di origine mauritana ‘Abdallāh Bin Bayyah, che fino al 2013 faceva parte dell’Unione mondiale degli Ulema. Queste due istituzioni sono espressione di un Islam legato alle scuole giuridiche e teologiche tradizionali e alla spiritualità sufi, impegnato nel dialogo interreligioso e interculturale e decisamente avverso alle interpretazioni politiche e violente. 
 Tuttavia, l’azione degli Emirati non punta soltanto nella direzione di una religiosità neo-tradizionale: da qualche tempo, ospite fisso del canale Abu Dhabi TV è Muhammad Shahrūr, intellettuale siriano impegnato in un’esegesi rinnovata del Corano, che, quando in Tunisia si è iniziato a dibattere del superamento della disparità successoria tra uomo e donna, si è trovato sul fronte opposto a quello dello shaykh al-Tayyib. Secondo un’inchiesta pubblicata nel luglio del 2017 sul sito di al-Jazeera, gli Emirati sarebbero anche i principali ideatori e finanziatori di Mu’minūn bilā Hudūd (“Credenti senza frontiere”), una Fondazione la cui sede principale è a Rabat e a cui partecipano intellettuali di tutto il mondo arabo. Attraverso un’impressionante mole di pubblicazioni ed eventi, Mu’minūn bilā Hudūd promuove un pensiero critico sulla tradizione islamica e sul rapporto tra Islam e spazio pubblico, dando voce a quei “nuovi pensatori” che da alcuni decenni portano avanti una rilettura della rivelazione attraverso gli strumenti offerti dalla critica testuale moderna. Cura per esempio la pubblicazione dell’opera omnia dello studioso egiziano Nasr Hāmid Abū Zayd, noto per la sua ermeneutica storica del testo sacro islamico.

The Koran (photo: dpa)Due modelli per l’Islam sunnita
   Il Qatar dell’emiro Tamīm e gli Emirati dell’attivissimo erede al trono di Abu Dhabi Muhammad bin Zāyid sono così l’emblema delle due grandi interpretazioni che si contendono oggi la scena sunnita. Da una parte una lettura politica dell’Islam, fondata sulla critica all’ordine esistente e ai regimi autoritari, attenta alla giustizia sociale e fautrice di un progetto di reislamizzazione delle società e di istituzione di regimi “islamo-democratici”, sulla falsariga dell’esperienza, perlopiù fallimentare, tentata dopo le rivolte del 2011 in Tunisia ed Egitto. Dall’altra un Islam incentrato sulla spiritualità personale, ostile alle interpretazioni violente, presente sulla scena pubblica ma poco interessato a interferire con le scelte politiche ed economiche dei governanti, anche a costo di chiudere un occhio sugli abusi e sulle ingiustizie commessi da questi ultimi.
   È interessante notare che, sebbene questa alternativa percorra oggi molte società musulmane, essa non sia necessariamente destinata a produrre conflitti laceranti. Paesi come la Tunisia e il Marocco, in cui il processo di costruzione democratica continua ad avanzare, sono anche quelli che hanno impedito all’islamismo di egemonizzare la sfera religiosa, ma senza escluderlo dallo spazio politico e dalla società.

martedì 20 novembre 2018

Insieme per ridare un nome e un futuro alla Siria. Intervista a Mons. Abou Khazen


“Siamo un po’ preoccupati per il futuro, ma stiamo bene”. Il tono di voce è ottimista, lo sguardo è vivace. Fa un certo effetto sentire il vicario apostolico di Aleppo, mons. Abou Khazen, parlare della guerra in Siria e avere la percezione che sia quasi un problema lontano. “Ad Aleppo la situazione è più calma. I servizi funzionano, l’elettricità arriva per 16 ore al giorno. E’ una città viva, con il traffico che ha ripreso a intasare le strade”.

Eccellenza, da quello che dice Aleppo sembra davvero rinata…

Ci stiamo riprendendo. So che 2400 fabbriche hanno aperto negli ultimi mesi. E altre si stanno preparando a riaprire. E’ un segnale importante, anche se molti sfollati non stanno tornando: non basta il lavoro, bisogna anche ricostruire le case.

Dopo otto anni di guerra, a che punto siamo secondo lei?

Rimangono due grandi problemi: la presenza dei combattenti stranieri (a decine di migliaia) e il ruolo delle potenze straniere implicate in questa guerra. Ma dopo anni siamo tutti abbastanza ottimisti  e confidiamo che si arrivi presto a una soluzione politica.

Quanto manca alla fine?

Ci sono ancora troppi interessi politici ed economici in campo. E le continue tensioni internazionalinon aiutano. Ad esempio, il fatto che Trump abbia ripristinato le sanzioni contro l’Iran inciderà negativamente sul conflitto e sullo scontro confessionale ancora vivo nella regione.

Eppure lei parla di una pace possibile…

Sempre, vissuta nella nostra vita e testimonianza di ogni giorno. Noi cristiani cerchiamo di essere ponte tra i vari gruppi, non abbiamo problemi con nessuno. Ai nostri fedeli cerchiamo di infondere la speranza, perché vogliamo aiutare tutti nel cammino della riconciliazione.

Ci sono dei segni particolari di quanto sta testimoniando?

In particolare un progetto nato dall’amicizia personale con il Muftì. Finita la battaglia di Aleppo ci siamo accorti delle migliaia di bambini abbandonati e nemmeno iscritti all’anagrafe, di cui non si conosce né la madre né il padre. Spesso nati da stupri e violenze, sono i figli dei jihadisti, i segni più terribili che ci sta lasciando questa guerra. Bambini senza nome, e perciò senza futuro. La ONG ATS pro Terra Sancta ci ha fornito i finanziamenti necessari per iniziare e ci sta ancora aiutando a creare gli spazi necessari per accogliere più di 2000 bambini. Lavoriamo insieme perché questi piccoli possano avere – un giorno – le stesse possibilità di chiunque altro.  E il progetto si chiama – appunto – “Un nome e un futuro”.

Come vi occupate di loro?

Per prima cosa li aiutiamo a iscriversi all’anagrafe, così che possano frequentare la scuola. Il parlamento sta ancora studiando una legge ad hoc per registrarli, ma non è facile. Mi consola però che ci sia un’ipotesi di legge,  perché altrimenti questi ragazzi – quando cresceranno – quali possibilità avranno, se non esistono per nessuno? Noi li aiutiamo poi in tutti gli aspetti, prevediamo un accoglienza e un percorso psicologico perché possano, un giorno, superare i traumi ben visibili sui loro volti.

Tra i bambini che avete accolto, c’è qualcuno che le è rimasto nel cuore?

Qualche mese fa, quando mi sono avvicinato a uno di questi bambini, si è spaventato. Aveva paura di ogni uomo, non voleva parlare con nessuno ed era chiuso al mondo. Quando ho potuto stargli accanto per qualche minuto mi sono accorto che non riusciva a sorridere. Ha cominciato a frequentare il centro, e dopo qualche settimana ha ricominciato a giocare con gli altri, a parlare, a studiare. Qualche tempo dopo sono tornato a trovarlo. Oggi è un’altra persona. Finalmente sorride,  e un bambino che sorride è il futuro della Siria.
Per sostenere il Progetto UN NOME UN FUTURO per i bambini abbandonati di Aleppo :   https://www.proterrasancta.org/it/aiuta-la-terra-santa/aiutaci/?pr=lappello-del-custode-di-terra-santa-emergenza-siria

sabato 17 novembre 2018

Monachesimo nel cuore dell'Islam

 

Dal 2005 una piccola comunità di trappiste provenienti da Valserena, il monastero nell’entroterra di Cecina che ha appena festeggiato i 50 anni, si è insediata in Siria, prima ad Aleppo e poi ad Azeir, presso il confine con il Libano. Una scelta operata con l’intento di raccogliere l’eredità lasciata dai monaci di Thibirine, rapiti poi uccisi nel 1996 da terroristi islamici: la possibilità di una vita fra genti di fedi diverse, tutte però coscienti di una comune dipendenza da Dio. La guerra scoppiata poco dopo l’insediamento nel luogo prescelto per la fondazione del monastero di Nostra Signora fonte della Pace non ha fatto recedere le monache da questo proposito e la loro presenza continua a essere un faro di spiritualità per i siriani cristiani ma anche per la maggioranza islamica. 
Ce ne parla in questa intervista la superiora suor Marta.
Intervista di Toscana Oggi.