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domenica 4 novembre 2018

"Ora tutto si gioca in un lavoro educativo..." (3)


A Damasco siamo ospiti dei Salesiani, una piccola comunità traboccante della vitalità dei giovani che affollano allegramente l'oratorio. Il direttore Don Mounir da mattina a sera ascolta, incoraggia i ragazzi a vivere con serenità i momenti di gioco, li corregge e li guida a prendere sul serio il proprio desiderio di amicizia con Gesù ed essere veri nella vita quotidiana in mezzo ai compagni di altre confessioni.  
Lo coadiuvano, un giovane dinamico neo-sacerdote indiano inviato da poche settimane in Siria “in missione” e padre George Fattal che tra i vari altri incarichi ha pure quello di cappellano nel carcere di Adra, dove viene ricevuto con rispetto e stima.    

Attende di tornare nella natia Aleppo il fratello Giuseppe Musciati, che ha trascorso la maggior parte dei suoi 82 anni in Egitto e in Venezuela come coadiutore nelle scuole di formazione professionale salesiane: “Gesù è il grande amore della mia vita, tutto ciò che Dio mi ha dato e mi darà di salute e vita, è per i giovani” , ripete con lo sguardo affettuoso e sereno di chi ne ha viste tante sentendosi sempre prediletto dal Signore.

La presenza amorevole delle Suore Salesiane nell'Ospedale Italiano, molte delle quali anziane che non hanno voluto assolutamente lasciare il paese in guerra, continua ad offrire un luogo di assistenza sanitaria qualificata, grazie anche al progetto 'Ospedali Aperti' della Nunziatura e di AVSI che sta permettendo alla struttura privata di continuare a dare cure ai meno abbienti. Resta presso di loro la nostra Maria Da Conceiçao, infermiera che ha scelto di offrire due mesi di missione al popolo siriano sofferente, di cui riporteremo la testimonianza nel prossimo articolo.

In licenza dal servizio militare Deeb Haraqa passa a salutare abuna Mounir: è un bel ragazzo di 27 anni, da oltre sei anni presta servizio di leva nell'Esercito, perché così è questa guerra... Più volte si è trovato in pericolo sui fronti di Aleppo, di Daraa, a Qaboun... soprattutto quando è stato assegnato al corpo di guardia di un generale. Ci spiega che l'Armata è assolutamente laica, non è permessa alcuna manifestazione religiosa, neppure gesti di preghiera né musulmani né cristiani. Tuttavia il suo comandante, musulmano, ha sempre espresso una fiducia particolare in lui, cristiano, e don Mounir sorridendo cita il detto popolare “mangia da un druso e dormi da un cristiano”.
La paga dei militari siriani è misera, il cibo frugale (pane patate e pomodori) li fa guardare con invidia al ricco caldo rancio dei commilitoni russi o Hezbollah.
Come tanti altri figli della Siria, Deeb ha risposto alla chiamata alle armi con la convinzione che si tratta di difendere il proprio Paese dal Califfato, da un progetto di cancellazione della civiltà della Siria: “Questa guerra non è contro una minoranza, e non è per colpire i cristiani, ma per colpire la Siria tutta”, afferma pacatamente. Certo, dopo sei anni è stanco: non può permettersi di farsi una famiglia, sa che dovrà ancora aspettare a prendere la responsabilità di una moglie e di figli, “meglio non lasciare una vedova” scherza.
So che tra di voi corre una brutta fama dei soldati siriani come di prepotenti che usano violenza alla popolazione, ma è del tutto immeritata: cerchiamo di proteggere i civili, di difendere il nostro popolo. Quando mi sono trovato faccia a faccia col nemico nella trincea di fronte a me, mi sono accorto di avere davanti volti allucinati, gente impasticcata resa come automi e cervelli lavati senza cognizione della realtà”.
La riconciliazioni con le milizie locali?: “Se sono siriani e depongono le armi, sono d'accordo che sia offerta a loro la possibilità del perdono”.



Sfidando il traffico frenetico di Damasco, tra ingorghi mostruosi e clacson che strombazzano all'impazzata, ci accolgono con delicata attenzione i Francescani di Bab Touma nel consueto momento del “caffè di Gesù” che raduna i fedeli dopo la Messa festiva, e le bellissime dolci ragazze del Patriarcato Greco Melkita: e si stringe il cuore al racconto discreto nei mesi di terrore per i missili dalla Ghouta sui quartieri cristiani, della povertà di tante famiglie sfollate, della fatica di avere oggi i mezzi di sussistenza per chi prima della guerra viveva con agio.
Si rendono conto che la guerra si trascina, ma la gente punta semplicemente a destreggiarsi nel quotidiano; la Siria è veramente massacrata e le ferite più profonde sono quelle dei morti che ogni famiglia conta, della insicurezza, della corruzione che la povertà ha amplificato, eppure i siriani restano un popolo non schiacciato, che vuole ricostruire il paese e la coesione sociale.

Tutti ci testimoniano la necessità di un lavoro educativo, in ogni ambito: i cristiani, per sostenere le ragioni per restare ed aiutare i giovani che nell'animo sono fragili ed insicuri;  i musulmani stessi per salvaguardare un Islam non politicizzato e fuori dall'influenza dei religiosi. A tal proposito, l'amico (sunnita) Said guarda con un certo malcontento al controverso decreto 16 dell'Awkaf , che a suo parere rischia di riportare surrettiziamente elementi religiosi all'interno dell'ordinamento sociale siriano, che egli come tanti altri pensatori fedeli all'islam spirituale vuole assolutamente laico , senza alcun appiglio all'introdursi di elementi oscurantisti di quell'islam fondamentalista che ha causato la funesta crisi siriana. E cita, suo malgrado, le parole del Ministro degli esteri francese Le Drian "Assad ha vinto la guerra, ma non ha ancora vinto la pace”. Non perchè Said creda poi molto alla efficacia della sbandierata 'soluzione politica', ma perchè comprende la necessità vitale della riconciliazione affinchè tanti morti e tanta devastazione non siano stati invano. “I problemi dell'Islam radicale si combatteranno con la educazione e il dialogo.., basta che se ne vadano i non-siriani”, ci viene ribadito con convinzione.

Chi ha detto che i siriani non discutono di politica? In caffè avvolti da nuvole di fumo di arghile e sigarette fumate forsennatamente (del resto un pacchetto costa l'equivalente di 50 centesimi nostri) ognuno degli amici ci vuol dare la sua lettura e spiegare cosa è questa guerra e le prospettive. 
Riportiamo qui i loro pensieri, con il rispetto e la consapevolezza di non avere competenze per giudicare, ma solamente le nostre preghiere da innalzare al Cielo per questo popolo che merita finalmente la Pace:

1  Qui si gioca un conflitto assai più ampio che quello tra sunniti e sciiti (che scuote l'Oriente ma non ha rilevanza primaria nella Siria dove si conviveva), che coinvolge molti attori internazionali e progetti mondiali di potere geopolitico, economico, energetico. L'interesse ai giacimenti di petrolio e gas (si parla anche di silicio nella zona desertica tra Palmyra e Homs) è uno dei moventi, assieme alla lotta intestina all'interno del mondo sunnita. I Paesi occidentali, Israele, Nato e satelliti del Golfo hanno provveduto con le solite procedure alla destabilizzazione della Siria, manovrando le truppe dei tagliagole jihadisti, attizzando il fuoco dello 'scontro confessionale' e finanziando le operazioni di indottrinamento all'islam fondamentalista attraverso predicatori e opere caritative.
2  Non molti credono nella 'soluzione politica' e considerano assai più decisiva la 'soluzione militare' .
3  Circa preoccupazioni e prospettive: sperano che i loro governanti conducano la fase post guerra con la stessa determinazione mostrata durante la guerra (si temono gli opportunisti che non mancano mai). Credono che la pace in Siria produrrà cambiamenti forti negli altri paesi arabi vicini, quindi la tranquillità non è garantita nell'immediato. Comunque la speranza è forte specialmente contando sulla presenza amichevole politica di Russia e Iran ed economica della Cina... Non hanno alcuna fiducia nei governi colonialisti occidentali e sono delusi dagli europei che li hanno abbandonati nonostante i legami storici. Ci domandano di lavorare per un' Italia cosciente e per un' Europa più libera..
4  Infine ammettono che le condizioni di una vera pace ancora non ci sono... essendo una delle ragioni fondamentali della guerra la sicurezza di Israele e l'applicare la "pace israeliana", con la complicità di molti governi arabi fantocci, finchè non succedano questi cambiamenti non ci sarà pace.

giovedì 1 novembre 2018

Deo gratias, Syria, per la tua fede che resiste (2)


Nella regione montuosa a nord di Damasco, gli amici ci conducono a visitare luoghi cristiani sereni, lindi, preservati dalla guerra come la deliziosa Maarat;

o Deir Mar Elias, con la vertiginosa scalinata che conduce alla antica grotta che ospitava il profeta Elia nel suo ritiro nel deserto, dove è quasi percepibile la sua presenza immersa nel dialogo con il Signore, nell'immenso silenzio dell'infinito che si stende tutto attorno;



il santissimo monastero della Madonna di Saydnaya, che ha resistito grazie allo strutturarsi di gruppi di autodifesa che più volte hanno respinto l'infiltrarsi nelle milizie islamiste;

e la grandiosa statua di Gesù benedicente, donata dai Russi, dall'alto di Deir Cherubim che spazia sull'orizzonte intero, ancora oggi meta di pellegrini a cui ci uniamo con un certo stupore.














     
               Le tracce del Cristianesimo in Siria sono tutt'altro che scomparse!

Tutta diversa è l'atmosfera che si respira a Sadad, cittadina del Qalamoun dove nell'ottobre del 2013 si consumò il più terribile massacro di cristiani: dopo sette giorni di invasione delle orde di ESL e formazioni ormai confuse nella galassia di quelli che ancora in Occidente definiscono “ribelli moderati”, si ritrovarono nei campi, nelle case, nei pozzi, 45 corpi di civili torturati e uccisi nei modi più orribili e le chiese devastate e orribilmente insozzate.
Sulla strada semideserta , tra case ancora costellate di fori di proiettili, ci viene incontro il giovane parroco siro-ortodosso abouna Michail, che con la simpatica moglie e il figlioletto ci conduce a visitare due delle chiese che gli abitanti con le loro mani hanno riparato dai danni inflitti dai radicali islamisti.

Ci illustra gli affreschi di stile siriaco sparsi su tutte le pareti della chiesa di San Giorgio e della cappella dei santi martiri Sergio e Bacco, e con orgoglio ci ricorda che Sadad, da sempre abitata unicamente da cristiani, è menzionata ben due volte nell'Antico Testamento, nel libro dei Numeri (34,8) e Ezechiele (47,16).  Legge qualche riga dal Messale scritto in siriaco aramaico e  racconta gli eventi di quei giorni orribili in cui gli abitanti all'arrivo delle bande jihadiste si dettero alla fuga senza poter prendere nulla con sé, ma più di 1500 famiglie che non erano riuscite a scappare furono tenute in ostaggio senza elettricità, acqua nè comunicazioni; ogni casa fu derubata ed ogni proprietà vandalizzata, le scuole e l'ospedale demoliti, manufatti antichi, Bibbie storiche e preziosi documenti distrutti. Egli stesso fu minacciato di essere sgozzato e ne uscì solamente perchè tenne testa con fermezza alle provocazioni.
Per la riconquista di Sadad morirono molti soldati dell'Esercito siriano e da allora la città è difesa dai cittadini stessi che si sono offerti volontari per unirsi alle 'Forze di Difesa Nazionale' , gruppi di autodifesa a guida civile che ricevono le armi dalle Forze Armate.

Quando il sacerdote riuscì a rientrare nella cappella di Sergio e Bacco, che era stata usata dai terroristi come dormitorio, trovò il pavimento cosparso da chili di droga e di alcool (musulmani??) e le pareti coperte di scritte ingiuriose in arabo. Per fortuna gli affreschi (del 1700) erano situati in alto e non furono insozzati: questo fu già un fatto miracoloso, perchè gli affreschi non sono dipinti con colori ma con materiali completamente naturali come pollini ed essenze di piante e fiori; inoltre sono pieni di riferimenti simbolici comprensibili solo in contesto siriaco aramaico.




La chiesa di san Giorgio invece fu gravemente danneggiata nello scambio di colpi tra i 'mussalahim' e l'esercito, e il restauro è riuscito in modo parziale, con gravi perdite di pregiati manufatti e strutture.



Padre Michail conta sui benefattori cristiani internazionali per l'aiuto finanziario all'acquisto del materiale necessario alla ricostruzione delle case e la riabilitazione del centro medico, mentre intende far svolgere il lavoro agli abitanti stessi, che si sono offerti con entusiasmo per collaborare alla rinascita della loro comunità.

Scende la sera, li abbracciamo uno ad uno mentre una domanda ci trafigge: "Ma come avete fatto a non capire? Questi non portavano 'democrazia e libertà', ma odio e sradicamento della nostra presenza dal nostro Oriente, che svuotato dalla matrice originaria cristiana sarà terra di conflitti e caos permanenti".

martedì 30 ottobre 2018

Sguardi di speranza dalla Siria, 2018 (1)


Nel mese di ottobre abbiamo fatto un breve viaggio in Siria, allo scopo di portare un po' di aiuti di benefattori italiani ad alcune realtà cristiane amiche di 'OraproSiria'.
Ne raccontiamo i passaggi salienti, sotto forma di diario e di impressioni personali raccolte nel dialogo con gli amici incontrati.
L'invito che facciamo da subito è di unirvi a noi per ripetere questi fraterni incontri in futuro: i siriani ribadivano continuamente che la gioia più grande che abbiamo portato non erano quei beni materiali, ma la testimonianza che abbiamo a cuore la loro presenza, che essi non sono dimenticati, che noi desideriamo sostenere il loro restare nella terra che appartiene loro da 2000 anni.
E viceversa, chi si reca in Siria fa l'esperienza di un'accoglienza straordinaria, di un'ospitalità senza misura, della bontà di cuore di tutto un popolo martoriato ma dignitoso, e che non cede.


L'immagine può contenere: spazio al chiuso1 Arrivando a Beirut, naturalmente la prima desiderata tappa è stata la Porta Santa del Giubileo di Nostra Signora del Libano ad Harissa: centinaia di giovani inginocchiati in silenzio per ore, hanno sorretto anche la nostra preghiera.

Entrando dalla frontiera a Tartus, ci ha colpito lo scarso traffico sull'autostrada che conduce a Homs verso Damasco, segno che i commerci stentano fortemente a riprendere, mentre i posti di blocco sono diminuiti rispetto allo scorso anno.
Una breve sosta dalle nostre carissime amiche monache Trappiste con una visita al grandioso impianto di pannelli solari che, se Dio vorrà e se i benefattori aiuteranno, darà energia al pozzo del paese e a un piccolo capannone dove le donne del villaggio possano svolgere attività lavorative e produrre marmellate, biscotti, oggetti da vendere come fonte di sussistenza per le famiglie.

E qui nel dialogo subito tocchiamo il punto dolente che più volte negli incontri successivi con altre realtà emergerà: nonostante che tutti i siriani ci assicurino con soddisfazione che la guerra ormai è vinta, tanti vogliono partire... Non c'è lavoro, l'economia non riparte, gli stipendi sono fermi mentre i prezzi aumentano e le dinamiche sociali non evolvono.
L'esodo dei Cristiani, inarrestabile, è la preoccupazione maggiore per i nostri amici anche a Damasco. I primi erano già partiti all'inizio della guerra, ora se ne vanno da Qamishli e Hassake per le pesanti discriminazioni a cui sono soggetti da parte dei Curdi; altri da Damasco vanno verso Erbil e da lì in Australia; altri ottengono finalmente il ricongiungimento familiare con i parenti profughi in Germania, Canada, Svezia. I ragazzi fuggono il servizio militare, le ragazze sperano di raggiungere i fidanzati, i giovani in generale hanno il sentimento di un futuro incerto, senza prospettive di una soddisfacente riuscita professionale... E la chimera di un Occidente ricco di opportunità si fa strada.
Così alcuni quartieri di Damasco, prima abitati in grande prevalenza da cristiani, stanno cambiando fisionomia: nelle case lasciate vuote si installano famiglie musulmane, che sono assai più prolifiche di quelle cristiane.

le croci di Sadad
il gigantesco Gesù di Deir Cherubim

















  Verso i compatrioti musulmani raccogliamo sentimenti differenti: a Sadad, cittadina interamente cristiana ferocemente massacrata dalle bande del cosiddetto 'Esercito Siriano Libero', non è stata accolta dagli abitanti la richiesta di costruirvi una moschea; a Saydnaya si è costituita, allo scopo di proteggere la città dai takfiri, una forte milizia popolare cristiana, memore dell'esperienza della devastazione di Maaloula che ha mostrato amaramente il tradimento dei vicini di casa musulmani; a Mhardeh i cristiani resistono indomiti agli assalti ripetuti dei gruppi armati islamisti di Idlib e Hama...  L'amico Khaled ci racconta serenamente di cordiali amicizie con tanti musulmani con cui non ha alcun problema di apertura e condivisione; Joseph invece porta rancore per la dimostrazione di una facile permeabilità delle menti dei musulmani alla predicazione salafita radicale nelle moschee...
I responsabili delle Chiese fanno di tutto per educare i cristiani al perdono e alla fiducia, e per mostrare ai musulmani siriani il volto della carità di Cristo senza discriminazioni. 
In particolare abbiamo toccato l'inesausta opera dei monaci di Mar Yacoub di Qara, attorno a cui si raccolgono volontari cristiani e musulmani come in una unica famiglia: ne parleremo diffusamente in un prossimo articolo.

La parola ovunque più ripetuta negli ambienti religiosi e nella società civile è: riconciliazione.
Più di una volta ci sentiamo ridire le parole con cui l'amico Claude Zerez, anni fa, rispose alla nostra domanda: come far sì che la guerra finisca?  “L'unico modo per porre fine a questa guerra è favorire il dialogo tra tutti i siriani, fermare i finanziamenti e le armi a quelli che impropriamente ancora chiamate 'ribelli', continuare a ripulire il sistema di corruzione, e rimuovere le sanzioni contro il popolo siriano”.

la dottoressa Bassma Sukkarie racconta la resistenza dei cristiani di Mhardeh

Tutti comunque sono certi di una cosa: la Siria ha scampato un pericolo mortale, le orde barbariche scatenate dall'esterno del Paese, ed ha potuto vincere solamente grazie alla unità della popolazione e della Armata siriana attorno al suo Presidente.

sabato 27 ottobre 2018

Gli Stati Uniti intendono imporre sanzioni alle aziende che partecipano alla ricostruzione della Siria.



L'amministrazione di Donald Trump sta progettando una nuova strategia d'azione in Siria che contemplerebbe la possibilità di imporre sanzioni alle compagnie russe e iraniane che partecipano alla ricostruzione della Siria, ha riportato l'NBC News Network martedì.
La strategia non aumenterebbe la possibilità di scontri diretti con le forze controllate dall'Iran, poiché l'Esercito USA ha il diritto di attaccare le truppe iraniane solo in caso di autodifesa.
La misura si concentra sugli "sforzi politici e diplomatici" per costringere i consiglieri militari iraniani a lasciare la Siria, cioè, attraverso la pressione finanziaria sulle società persiane. Washington sta cercando di forzare il ritiro delle forze iraniane dalla Siria, affermando che la loro presenza nel paese arabo riduce la possibilità di raggiungere una soluzione politica alla crisi e ostacola la lotta contro il terrorismo.
Alla fine di settembre, James Jeffrey, rappresentante speciale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per l'impegno in Siria, ha promesso che il suo Paese avrebbe mantenuto la sua presenza in Siria per sconfiggere Daesh, espellendo le forze iraniane per il raggiungimento di una soluzione pacifica.
Mentre la Russia e l'Iran, insieme alla Turchia, sono i veri garanti del cessate il fuoco in Siria, stanno anche aiutando nella ricostruzione delle città e delle infrastrutture del Paese in gran parte distrutti in più di sette anni di combattimenti tra il governo di Damasco e le opposizioni armate e i gruppi terroristi, definiti dagli Stati Uniti e dai suoi alleati come 'ribelli'.


Gli Stati Uniti ostacolano gli sforzi per ricostruire la Siria devastata dalla guerra.

Gli Stati Uniti sono ufficialmente il più grande donatore al mondo, ma si preoccupano veramente di coloro che soffrono? Non così tanto. L'amministrazione ritiene che nulla dovrebbe essere fatto in assenza di obiettivi politici. L'aiuto umanitario internazionale è stato tagliato di recente. Ad agosto, gli Stati Uniti hanno abbandonato il proprio ruolo nella ricostruzione a breve termine della Siria, sospendendo 230 milioni di dollari di fondi di soccorso.
La politica di assistenza estera americana sta attraversando cambiamenti drastici. "Gli Stati Uniti sono di gran lunga il maggior donatore al mondo, di aiuti verso altri Stati. Ma pochi ci restituiscono qualcosa", ha detto il presidente Trump rivolgendosi all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite annunciando un importante processo di revisione per riformare il processo decisionale sull'assegnazione dei fondi per gli aiuti esteri. "Per il futuro, daremo aiuti solo a coloro che ci rispettano e, lealmente, siano nostri amici", ha spiegato il presidente.
Quindi, gli aiuti ad altri Stati vanno solo agli amici, e gli amici sono quelli che fanno ciò che viene loro detto. La legge del 'NO Aiuto per Assad' è passata all'Assemblea ed è attualmente all'esame della commissione per le relazioni estere del Senato. Tale legislazione garantirebbe che nessun dollaro degli Stati Uniti venga speso per la ricostruzione nel territorio siriano controllato dal governo, sia direttamente che tramite l'ONU, il FMI o altri organismi internazionali.
E non è tutto. Il presidente non ha fornito tutti i dettagli. La nuova politica anticipa la creazione di ostacoli che freneranno gli sforzi di ricostruzione volti ad alleviare le sofferenze delle persone che vivono in paesi devastati dalla guerra come la Siria. 'No good deed goes unpunished'.
Secondo le stime dell'ONU, la guerra in Siria è costata 388 miliardi di dollari. La maggior parte delle aziende occidentali si sta allontanando da quel Paese. Qualsiasi azienda non statunitense correrebbe un rischio enorme se le sue transazioni coinvolgessero americani o una società americana. L'Iran è stato sotto sanzioni per molti anni. I Siriani guardano alla Russia con speranza mentre gli Stati Uniti stanno facendo del loro meglio per privarli dell'assistenza necessaria. Secondo NBC News, la strategia della nuova amministrazione per la guerra in Siria si concentra maggiormente sull'allontanamento dell'Iran e dei suoi alleati dalla Siria. Il 16 ottobre, il Dipartimento del Tesoro USA ha preso provvedimenti contro 20 imprese iraniane che forniscono supporto finanziario alla Forza di Resistenza Basij, una forza paramilitare che risponde al Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (IRGC). La seconda ondata di sanzioni anti-iraniane entrerà in vigore il 4 novembre e infliggerà un duro colpo alle esportazioni petrolifere del paese. Secondo il nuovo piano, l'uso delle armi per l'autodifesa contro gli iraniani è permesso, ma viene data priorità ad impedire gli sforzi di ricostruzione nelle aree della Siria in cui sono presenti forze iraniane e russe. Saranno imposte sanzioni alle compagnie russe e iraniane che lavorano a progetti di ricostruzione. I militari statunitensi rimarranno in Siria finché l'amministrazione lo vorrà, con il pretesto che, anche se l'ISIS fosse completamente eliminato, rimarrà il pericolo di piccole sacche di resistenza.
In realtà, questo significa che le forze possono rimanere per sempre. La minaccia immaginaria di un ISIS che in realtà è stato messo in rotta, è necessaria, perché l'Autorizzazione del 2001 per l'uso della Forza Militare (AUMF) copre solo i gruppi implicati negli attacchi dell'11 settembre, più i loro associati. In nessun caso l'immaginazione potrebbe includere l'Iran in questa lista, a differenza dell'ISIS, che nasce da al-Qaeda. Tuttavia, il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton ha spiegato il mese scorso che le truppe Usa sarebbero rimaste "fino a quando truppe iraniane si troveranno al di fuori dei confini iraniani".
Quindi, il popolo siriano, la gente comune, soffrirà perché agli Stati Uniti non piace l'Iran. I rifugiati non torneranno a casa, aggravando così la preoccupazione della immigrazione per un'Unione Europea che è già sull'orlo della dissoluzione. Renderà Bruxelles più docile alle richieste degli Stati Uniti, siano esse quelle tariffarie, gli accordi sul gas, la politica sulla Russia, le spese della NATO, o qualsiasi altra cosa.
L'annuncio di una zona di smilitarizzazione russo-turca congiunta a Idlib, porrà la questione del fronte della ricostruzione in Siria. Se la Cina cerca di contribuire, sarà anch'essa sottoposta alle sanzioni americane per la collaborazione con "i governi e le istituzioni finanziarie alleate di Assad". Nonostante ciò, una nave portacontainer cinese è attraccata il 9 ottobre al porto di Tripoli in Libano, inaugurando lo sviluppo di una linea di spedizioni cinesi tra Pechino e un porto a meno di 30 km (18,5 miglia) dal confine siriano-libanese. Il 10 ottobre, la Cina ha tenuto una cerimonia a Latakia, un importante porto siriano, annunciando la sua donazione di 800 generatori di energia elettrica. La ricostruzione delle strutture petrolifere della Siria è in corso con l'aiuto della Russia.
A qualcuno potrebbe non piacere o sostenere il governo di Assad, ma milioni di siriani non possono essere lasciati senza aiuti esterni, altrimenti gli estremisti trarranno vantaggio dalla situazione e vedremo l'ISIS o qualche altro gruppo estremista mettere radici e crescere forti abbastanza da rappresentare una minaccia globale. La rinascita della Siria è il modo migliore per combattere i terroristi, la minaccia per la quale gli Stati Uniti sembrano essere così preoccupati. Impedendo questo processo, si stanno sparando sui piedi. Le speranze della UE di assistere a una cessazione del suo problema migratorio saranno infrante. Contribuire alla ricostruzione della Siria significa contribuire alla soluzione del problema più urgente in Europa. La ricostruzione della Siria dovrebbe essere depoliticizzata. Questo è il momento in cui tutti i partner internazionali si dovrebbero unire nello sforzo di ripresa siriano.
   Traduzioni di Gb.P.

giovedì 25 ottobre 2018

Ricordando monsignor Giuseppe Nazzaro, a 3 anni dalla morte

Ritroviamo tra gli appunti di una conversazione queste parole di padre Giuseppe Nazzaro, Vicario Apostolico emerito di Aleppo, salito al Cielo il 26 ottobre 2015. Le riproponiamo per l'attualità ed il suo modo chiaro di vedere i rapporti tra le Nazioni, tra chi bombarda e chi viene bombardato, chi rapina e chi viene rapinato, e i complici. 
Sempre grati per la sua lungimiranza.



«Lo ripeto ancora una volta,  "Signori della Guerra", gli Stati Occidentali , attraverso le guerre si accaparrano il mondo intero e le loro ricchezze: vendono armi ai popoli in rivolta per far distruggere un Paese e poi arrivare loro come benefattori, ricostruttori, risanatori, ... ma poi presentano la fattura da pagare e così i popoli vinti, siccome non hanno la possibilità di pagare quelle potenze o i mercenari che hanno acquisito il potere grazie a loro, pagano svendendo le loro risorse in materia prima, petrolio e gas, ecc....  Autoschiavizzandosi. 

Per l'Italia, se non vado errato vi fu un certo "piano Marshall" che ci ha resi fino ad oggi schiavi dell'America. Siamo noi liberi di decidere cosa dobbiamo fare? cosa è bene per noi? Cosa è giusto e cosa è ingiusto? 
Un esempio schiacciante per tutti: l'Italia perché è entrata in guerra contro la Libia? Eppure Gheddafi era venuto poco tempo prima in Italia, fu osannato, riverito, ebbe le mani baciate come si usa fare nel mondo arabo ad un grande benefattore, dispose dell'Italia come se fosse in Libia, e poi? Lo attaccammo con i nostri missili che dicono intelligenti. E si disse 'obiettivi mirati' …! »

lunedì 22 ottobre 2018

Mons. Boutros Marayati: Ricostruire le pietre e riconciliare i cuori

«Ricostruire le pietre è facile, ma riconciliare i cuori e ricucire gli uomini è più difficile».  Con queste parole Boutros Marayati (70 anni), arcivescovo di Aleppo degli armeni cattolici, sintetizza la sfida che attende i siriani nei prossimi anni.

Estratto da  Terrasanta.net

«La situazione è più calma, da quando l’esercito governativo ha conquistato la città e i ribelli si sono spostati verso Idlib...Adesso  pare reggere il cessate il fuoco, non si è più svegliati nella notte da bombe e missili. L’aeroporto non ha ancora riaperto, poiché è sotto tiro, ma acqua ed elettricità sono tornate in quasi tutti i quartieri dopo oltre cinque anni». Il fronte non è comunque lontano, si spara a dieci chilometri dalla città e in altre zone della Siria, e Marayati non esclude che ci siano «gruppi dormienti in città».
«Ora che le armi paiono tacere c’è da ricostruire la fiducia tra gli abitanti. L’odio, che a volte strumentalizza la religione, porta a vedere con diffidenza e sospetto i concittadini. Insieme ai religiosi musulmani stiamo lavorando per seminare riconciliazione e perdono.....  Nel nostro governatorato  non c’è famiglia che non abbia una piaga per il conflitto; dei 4 milioni di abitanti ne sono rimasti solo un milione; 70 mila i cristiani, rispetto ai 200 mila che erano prima del conflitto. C’è una generazione di bambini che ha visto solo la guerra, non ha mai studiato con la luce delle lampade, non si è mai lavata le mani con l’acqua corrente; è senza latte e senza medicine. L’Aiuto alla Chiesa che soffre, la Croce Rossa, Sant’Egidio, le Caritas, ATS e altre associazioni  hanno dato un aiuto decisivo alla sopravvivenza». Monsignor Marayati evoca due immagini: quella dei bambini senza più genitori e un istituto di anziani armeni delle diverse confessioni (cattolici, ortodossi, riformati) distrutto di recente dalle bombe.
 «Alcuni abitanti iniziano a tornare sia tra chi era sfollato sul litorale e non riesce più a pagare l’affitto, sia tra i rifugiati in Libano, dove la situazione è sempre più dura». Le cifre di siriani giunti nel Paese dei cedri variano da un minimo di un milione a un massimo di due, in uno Stato di 10 mila chilometri quadrati con 4,5 milioni di abitanti. L’ostilità nei confronti dei profughi cresce, i permessi di soggiorno scadono e diventa difficile uscire dai campi profughi.
Ad Aleppo i cristiani abitano soprattutto ad ovest, mentre è la parte orientale la più colpita. «Stiamo iniziando a ricostruire – dice Marayati – noi armeni cattolici, su cinque chiese, siamo riusciti a riaprirne tre; due sono distrutte. La nostra scuola, che prima della guerra aveva mille studenti, ha appena riaperto con 450 alunni in una nuova sede (la vecchia è stata bombardata)». Dai più giovani arriva una forte sfida: «Per i quartieri di Aleppo ci sono alcune centinaia di ragazzi di strada, giovanissimi che hanno perso i genitori per la guerra. Hanno bisogno di essere aiutati: da questo dipenderà se diventeranno criminali o buoni cittadini. Insieme ad alcuni religiosi musulmani, stiamo lavorando con loro». Altri giovani armeni cattolici vanno a giocare, educando alla pace, nelle tende degli sfollati con i bambini a cui è stata rubata l’infanzia.
L'immagine può contenere: spazio all'aperto
 Purtroppo ancora questo giovedì 18 ottobre i terroristi hanno lanciato missili sui quartiere di al-Sabil e al-Mokambo  ad Aleppo, causando feriti, morti e danni materiali a un certo numero di case.
« Anche nella calma apparente di Aleppo pare di stare sopra un vulcano, per la paura che la guerra riesploda di nuovo». 

venerdì 19 ottobre 2018

Gioventù in Siria


Tratto dal contributo all’incontro di religiosi formatori italiani, Subiaco 2018.

Questa relazione si basa su alcuni colloqui avuti con religiosi che lavorano con i giovani siriani. 


di Suor Marita Mantovani , OCSO*  

Per un discorso oggi sulla gioventù in Siria (come per ogni altro ambito sociale) si deve sempre tenere conto della grande discriminante: la guerra in atto da ormai più di sette anni. 
In qualsiasi visuale, in qualsiasi questione, automaticamente si parla di un «prima» e un «adesso».


La società
  Prima: con Hafez Assad (il padre dell’attuale presidente), al governo dal ’40 al ’90, la parola d’ordine era: Prima di tutto sei siriano, cittadino di uno Stato di diritto, e poi venivano le appartenenze etniche e religiose. Questo creava una mentalità di convivenza e rispetto. C’era molta povertà, ma dignitosa. Scuole e ospedali erano gratis. Il grande peso economico era costituito dai debiti di guerra. Tutto il meglio partiva per la Russia, ai siriani rimanevano le briciole. Per cui chi poteva farsi una casetta, trovare una discreta collocazione lavorativa, si riteneva fortunato. E si affezionava alle sue cose perché, perdute quelle, non avrebbe avuto altro. Per cui si capisce come i più anziani, ora, non vogliano abbandonare la loro terra, a costo di morirci dentro. E non solo gli anziani, anche giovani adulti esprimono questo sentimento.
 Questo stesso sentimento di attaccamento differenzia radicalmente i siriani dai libanesi, che hanno potuto godere di un tenore di vita più alto di quello dei siriani. Di fatto, fra gli emigrati molti dei siriani, forse anche la maggioranza, desiderano ritornare. I libanesi no. È l’educazione siriana che è diversa da quella libanese.
  Dopo: i debiti di guerra sarebbero stati completamente estinti nel 2017, e quindi la Siria avrebbe potuto veramente decollare. Noi stesse abbiamo visto i cambiamenti radicali nel tenore di vita dal 2005 fino all’inizio della guerra. La Siria, che non aveva debito internazionale, e che quindi non era ricattabile politicamente per mezzo del sistema bancario, e che sarebbe diventata autosufficiente, stava diventando troppo forte, per cui «hanno voluto metterla in ginocchio». E sono arrivate la guerra e le sanzioni internazionali.

La Chiesa
 C’è differenza fra ortodossi e cattolici, specie se sono latini. Per i cattolici, la grande epoca di formazione è stata quella degli anni ’80. Nei riguardi della Chiesa, e non solo nei giovanissimi, la mentalità era di questo tipo.
   Prima: tutto era dovuto alla Chiesa, con due visuali diverse fra loro: 1) «Chiesa sul piedistallo», intoccabile, insindacabile, perché sempre considerata migliore di qualunque cosa, ma lontana da un dialogo effettivo con i fedeli. 2) «Chiesa accessibile»: è possibile invece entrare in dialogo con essa, promuovere un vero incontro tra fedeli e Chiesa. Evidentemente si sente in entrambe le posizioni la realtà forte della Chiesa intesa come gerarchia, come parte clericale posta di fronte alla Chiesa dei fedeli. Nasce la domanda: i fedeli sanno, hanno coscienza di essere loro stessi Chiesa?
  Adesso: tutto si deve chiedere alla Chiesa, perché è nella Chiesa che c’è tutto: la Chiesa ha i mezzi, ha i contatti, ha gli aiuti. Quindi, c’è chi considera male i religiosi, perché li vede come accaparratori di beni, di aiuti; ma c’è anche chi soffre per la Chiesa, chi viene alla Chiesa per darsi nel servizio. La parola «servizio» torna frequentemente nei laici impegnati, in Siria.
 Ciò che si vive ora è l’insicurezza. I genitori non hanno più niente, con l’inflazione anche quelli che erano agiati si ritrovano a non avere più molto. Con l’enorme distruzione di immobili molti si ritrovano a non avere più casa o hanno perduto i guadagni degli affitti, con i quali vivevano. Tutti devono lavorare per vivere, e il lavoro o non c’è, o è molto poco.
 Le Chiese sono occupate negli aiuti umanitari, ovviamente necessari, ma questo va a detrimento dell’assistenza spirituale ai fedeli. Ora, per fortuna, molti religiosi si rendono conto che occorre trovare un equilibrio fra aiuti materiali e servizio spirituale, ma ormai l’immagine della Chiesa assistenziale si è radicata, e la gente va dove trova più aiuto umanitario, al punto di partecipare alla messa per avere diritto all’assistenza. E così è cominciata, in alcune parti, la discriminazione fra cristiani e musulmani, cosa che prima non esisteva.

I giovani
 Per natura sono accoglienti, aperti, capaci di dare tutto. L’educazione e la ricerca, la sete di risorse intellettuali e spirituali, li portano ad assorbire tutto quanto è loro offerto per una migliore capacità di servizio, alla società e alla Chiesa. Mancano, in generale, di una formazione personale, intesa nel senso della loro personale vocazione di incontro e relazione col Cristo. La società prima, che temeva le forti personalità, e poi le Chiese, concentrate più sul senso di appartenenza al rito, alla piccola comunità locale, che sull’appartenenza universale alla fede cristiana, e quindi sulla responsabilità del credere, hanno trascurato la formazione della persona in quanto tale, la coscienza di sé, delle proprie radici, del proprio futuro.
 Prima: sempre affamati di «altro», quello che veniva dall’Occidente, considerato migliore. Si valutava quello che si era in base a quanto si era ricevuto: se non si era ricevuto niente, non si era niente. Da qui la ricerca continua di nuovi studi, conoscenze, nuovi diplomi. La società favoriva in modo speciale i giovani, permettendo incontri e soggiorni all’estero. Molti hanno potuto studiare in Europa e in America, nel passato. Per quanto riguarda la fede, tutti hanno sempre cercato un’educazione religiosa e delle risorse spirituali per vivere. Tutti si sono sempre basati molto su Dio, ciascuno secondo la sua tradizione religiosa, cristiani e musulmani.
 Adesso: i giovani sono smarriti. Devono lavorare per mantenersi agli studi e spesso anche per mantenere la famiglia. Non hanno più tempo da dedicare a Dio, sono cresciuti in fretta, per le pressioni della vita. Non hanno una prospettiva chiara del futuro, anche solo dal punto di vista del lavoro, della famiglia.
 La violenza della guerra ha modificato la loro coscienza: per vivere occorre entrare nella mentalità del dover sopravvivere, ad ogni costo. Solo chi prevale può vivere. La violenza vista e subita è diventata persino un gusto, uno spettacolo cercato e contemplato con cinismo. La distruzione dell’altro è divenuta cosa normale, lecita. La perdita di valori e principi positivi, la sfiducia rispetto alla convivenza, come ad esempio, il «tradimento» da parte di vicini di casa di altra fede che si consideravano amici, ha generato il vuoto. In una recente inchiesta  in un solo paesino di periferia sono risultati 84 minorenni tossicomani, numero esorbitante per le dimensioni del paese e la realtà sociale della Siria prima.
  Ma evidentemente ci sono ancora molti giovani sani, anche se feriti profondamente dalle perdite della famiglia e della società, giovani che ancora sono disponibili al servizio gratuito, nella Chiesa e nel contesto della città (anche lavorando insieme fra cristiani e musulmani), e a imparare dimensioni nuove nel servizio. C’è molta sete di «senso», di una parola vera, diversa, che apra uno squarcio di speranza vera sulla semplice sopravvivenza.
 Molti giovani, più ancora che le ragazze, sono impegnati nella Chiesa, sia nella vita parrocchiale che nei gruppi formati e sostenuti dalle congregazioni religiose presenti (gesuiti, salesiani, maristi, francescani, ecc.). La sfida, ora, sta nel ricondurre i giovani al rispetto mutuo, a una scala di valori che metta al centro la dignità dell’uomo, di ciascun uomo, e la sua responsabilità di fronte alla fede e alla vita. Così come alla testimonianza cristiana di una speranza vera, reale, che dà senso al restare qui, oggi, in Siria, in un modo positivo e creativo, nonostante le reali difficoltà di fronte al futuro.
 Per tutti, infatti, o almeno per la stragrande maggioranza dei giovani, il pensiero fisso rimane «partire». I ragazzi per evitare il servizio militare, che oltre a essere un’immersione crudamente reale nella violenza e nella morte (compresa la propria), anche nelle condizioni migliori è un impegno senza termine (ci sono giovani, tanti, che ormai sono di leva da sette anni).  Le ragazze sognano la partenza per potersi sposare con il loro ragazzo che ormai sta all’estero e non può più ritornare in Siria, o per poter trovare condizioni di studio, lavoro e matrimonio più solide e piene. In generale, si cerca non solo di sottrarsi alla guerra, ma anche di trovare una vita migliore in un Occidente idealizzato, che di fatto sarà incapace di soddisfare il bisogno di vita più umana e più piena dei ragazzi siriani. 
 Di fatto, quelli che restano, lo fanno o per motivazioni morali realmente forti, resistendo continuamente alle sollecitazioni che vengono da tutti i loro amici che già stanno cercando di crearsi una nuova vita lontano dalla Siria, oppure perché sono così poveri da non avere denaro sufficiente per partire, per trovarsi qualche contatto, ma se avessero chi li aiuta… 

 Si può forse aggiungere che l’esperienza che facciamo nei nostri, ancora molto limitati, contatti con i giovani, è che il nostro tipo di umanesimo, cioè il modo benedettino di vivere la fede e anche i rapporti umani (stile di accoglienza, di preghiera, e vita di comunità sono le cose che colpiscono i giovani), attira, suscita domande, interesse.
  Voi siete diverse è una delle cose che ci dicono più spesso. Questa espressione ci interroga molto, perché ci fa capire la sete soggiacente, sete di un modo di vivere la fede che risponda all’esperienza indistintamente globalizzata e globalizzante che i giovani vivono, prima di raggiungere una vera coscienza di se stessi. 
 C’è bisogno di una vera cultura cristiana, intesa come capacità di valutare tutta l’esperienza in base a dei criteri di fede che abbiano solide radici in un’identità matura, come singoli e come Chiesa.

* Suor Marita Mantovani è maestra del noviziato del monastero trappista Nostra Signora Fons pacis, ad Azeir, Siria.

Testo estratto dal n° 15 della Rivista VITA NOSTRA, strumento per custodire e far conoscere la ricchezza della tradizione e della vita benedettino-cistercense. 
 La rivista Vita Nostra viene prodotta in formato cartaceo e in formato digitale  e viene normalmente inviata ai soci di Nuova Citeaux e a chi effettua una donazione a sostegno della rivista o delle attività dell’Associazione medesima, e a chiunque ne faccia richiesta.

martedì 9 ottobre 2018

Il Medio Oriente all'Onu, echi da New York. Il testo dell'allocuzione del Ministro al-Moallem.

 Nell’arena dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, al Palazzo di Vetro di New York, molti capi di Stato e di governo, o ministri degli Esteri, si sono avvicendati per l’inaugurazione della 73.ma sessione. Nei discorsi pronunciati, il tema della Terra Santa, e del Medio Oriente più in generale, è riecheggiato più volte davanti ai rappresentanti dei 193 Stati membri.
 Terrasanta .net propone un'antologia di brani di diversi oratori: Donald Trump, Hassan Rouhani, Re Abdallah di Giordania, Abdel Fattah al Sisi,  Sheikh Tamim bin Hamad Al-Thani,  Michel Aoun, Donald Tusk,  Sergey Lavrov,  Wang Yi, Walid al- Moallem,  Arcivescovo Paul Richard Gallagher . La trovate qui:

Noi proponiamo il testo integrale in inglese del discorso di Walid al-Moallem,  Ministro degli Affari Esteri e degli Espatriati della Repubblica Araba di Siria

Madam President of the 73rd session of the United Nations General Assembly, 
I would like to congratulate you and your country #Ecuador on your election as president of the current session of the General Assembly and I wish you all success. I would also like to thank your predecessor for presiding over the Assembly during the previous session. 
Madam President, ladies and gentlemen, 
Every year we arrive at this important international forum, hoping that every corner of this world has become more secure, stable, and prosperous. Today, our hope is stronger than ever, and so is our confidence that the will of the people shall eventually triumph. Our hope and confidence are the result of more than seven years of hardship, during which our people suffered from the scourge of terrorism. However, Syrians refused to compromise. They refused to succumb to #terrorist_groups and their external supporters. They stood their ground. They remained defiant, fully convinced that this was a battle for their existence, their history, and their future, and that they will ultimately emerge victorious. To the disappointment of some, here we are today, more than seven years into this dirty war against my country, announcing to the world that the situation on the ground has become more secure and stable and that our war on terror is almost over, thanks to the heroism, resolve, and unity of the people and the army, and to the support of our allies and friends. However, we will not stop at these achievements. We remain committed to fighting this sacred battle until we purge all Syrian territories from terrorist groups, regardless of their names, and from any illegal foreign presence. We will pay no heed to any attacks, external pressure, lies or allegations that seek to discourage us. This is our duty and a non-negotiable right that we have exercised as we set out to eradicate terrorism from our land. 
Madam President,
The governments of certain countries have denied us our right, under international law, and our national duty to combat terrorism and protect our people on our land and within our own borders. At the same time, these governments formed an illegitimate international coalition, led by the United States, on the pretext of combating terrorism in Syria. The so-called international coalition has done everything but fight terrorism. It has even become clear that the coalition’s goals were in perfect alignment with those of terrorist groups; sowing chaos, death and destruction in their path. The coalition destroyed the Syrian city of #Raqqa completely; it destroyed infrastructure and public services in the areas it targeted; it committed massacres against civilians, including children and women, which amount to war crimes under international law. The coalition has also provided direct military support to terrorists, on multiple occasions, as they fought against the #Syrian_army. It should have been more aptly named ‘The Coalition to Support Terrorists and War Crimes.’ 
The situation in Syria cannot be divorced from the battle raging between two camps on the world stage: one of the camps promotes peace, stability, and prosperity across the world, advocates dialogue and mutual understanding, respects international law, and upholds the principle of non-interference in the internal affairs of other states. The other camp tries to create chaos in international relations and employs colonization and hegemony as tools to further its narrow interests,  even if that meant resorting to corrupt methods, such as supporting terrorism and imposing an economic blockade, to subjugate people and governments that reject external diktats and insist on making their own decisions. 
What happened in Syria should have been a lesson to some countries but those countries refuse to learn. Instead, they choose to bury their head in the sand. This is why ladies and gentlemen we, the members of this organization, must make a clear and unequivocal choice: are we going to defend international law and the UN charter and be on the side of justice? Or are we going to submit to hegemonic tendencies and the law of the jungle that some are trying to impose on this organization and the world?
Ladies and gentlemen, 
Today, the situation on the ground is more stable and secure thanks to progress made in combating terrorism. The government continues to rehabilitate the areas destroyed by terrorists to restore normalcy. All conditions are now present for the voluntary return of Syrian refugees to the country they had to leave because of terrorism and the unilateral economic measures that targeted their daily lives and their livelihoods. Thousands of Syrian refugees abroad have indeed started their journey back home. The return of every Syrian refugee is a priority for the Syrian state. Doors are open for all Syrians abroad to return voluntarily and safely. And what applies to Syrians inside Syria also applies to Syrians abroad. No one is above the law. Thanks to the help of Russia, the Syrian government will spare no effort to facilitate the return of those refugees and meet their basic needs. A special committee was recently established to coordinate the return of refugees to their places of origin in Syria and to help them regain their lives. We have called upon the international community and humanitarian organizations to facilitate these returns. However, some western countries and in line with their dishonest behavior since the start of the war on Syria continue to prevent the return of refugees. They are spreading irrational fears among refugees; they are politicizing what should be a purely humanitarian issue, using refugees as a bargaining chip to serve their political agenda, and linking the return of refugees to the political process. 
Today, as we are about to close the last chapter in the crisis, Syrians are coming together to erase the traces of this terrorist war and to rebuild their country with their own hands, whether they stayed in Syria or were forced to leave. We welcome any assistance with reconstruction from those countries that were not part of the aggression on Syria and those that have come out clearly and explicitly against terrorism. However, the priority is for our friends that stood by us in our war on terror. As for the countries that offer only conditional assistance or continue to support terrorism, they are neither invited nor welcome to help.
Madam President, 
As we move ahead on counter-terrorism, reconstruction and the return of refugees, we remain committed to the political process without compromising on our national principles. These include preserving the sovereignty, independence, and territorial unity of the Syrian Arab Republic, protecting the exclusive right of Syrians to determine the future of their country without external interference, and eradicating terrorism from our country. We expressed time and again our readiness to respond to any initiative that would help Syrians end the crisis. We have engaged positively in the Geneva talks, the Astana process and the Syrian national dialogue in Sochi. However, it has always been the other parties that rejected dialogue and resorted to terrorism and foreign interference to achieve their goals. 
Nevertheless, we continue to implement the outcomes of the #Sochi Syrian national dialogue on the formation of a constitutional committee to review the current constitution. We presented a practical and comprehensive vision on the composition, prerogatives and working methods of the committee and submitted a list of representatives on behalf of the Syrian state. We stress that the mandate of the committee is limited to reviewing the articles of the current constitution, through a Syrian-led and Syrian-owned process that may be facilitated by the Special Envoy of the Secretary-General for Syria. No preconditions should be imposed on the committee, nor should its recommendations be prejudged. The committee must be independent since the constitution is a Syrian matter to be decided by Syrians themselves. Therefore, we will not accept any proposal that constitutes an interference in the internal affairs of Syria or leads to such interference. The Syrian people must have the final word regarding any constitutional or sovereign matter. We stand ready to work actively with our friends to convene the committee along the parameters I have just mentioned. 
In addition to these international initiatives, local reconciliation is well underway. Reconciliation agreements allowed us to stem the bloodshed and prevent destruction in many areas around Syria. They restored stability and a normal life to these areas and allowed people to return to the homes they were forced to leave because of terrorism. Reconciliation, therefore, will remain our priority. 
Ladies and gentlemen, 
The battle we fought in Syria against terrorism was not only a military one. It was also an ideological battle, between the culture of destruction, extremism, and death, and the culture of construction, tolerance, and life. Therefore, I launch an appeal from this rostrum, calling for fighting the ideology of terrorism and violent extremism, drying up its support and financial resources, and implementing relevant Security Council resolutions, notably resolution 2253. The military battle against terrorism, albeit important, is not enough. Terrorism is like an epidemic. It will return, break out, and threaten everyone without exception. 
Madam President, ladies and gentlemen, 
We fully condemn and reject the use of chemical weapons under any circumstances, wherever, whenever, and regardless of the target. This is why Syria eliminated completely its chemical program and fulfilled all its commitments as a member of the Organization for the Prohibition of Chemical Weapons (OPCW), as confirmed by numerous OPCW reports. Although some western countries are constantly trying to politicize its work, we have always cooperated with the OPCW to the largest extent possible. Unfortunately, every time we express our readiness to receive objective and professional investigative teams to investigate the alleged use of chemical weapons, these countries would block such efforts because they know that the conclusions of the investigations would not satisfy the ill-intentions they harbor against Syria. These countries have ready-made accusations and scenarios to justify an aggression on Syria. This was the case when the United States, France, and the UK launched a wanton aggression on Syria last April, claiming that chemical weapons were used without any investigation or evidence and in a flagrant violation of Syria’s sovereignty, international law and the UN charter. Meanwhile, these same countries disregarded all reliable information we provided on chemical weapons in the possession of terrorist groups that used them on multiple occasions to blame the Syrian government and justify an attack against it. The terrorist organization known as ‘the White Helmets’ was the main tool used to mislead public opinion and fabricate accusations and come up with lies on the use of chemical weapons in Syria. The White Helmets was created by British intelligence under a humanitarian cover. It has been proven however that this organization is part of the Al-Qaida-affiliated Nosra Front. Despite all allegations, we remain committed to liberating all our territory without concern for the black banners of terrorists or the theatrics of the White Helmets. 
Ladies and gentlemen, 
In another episode of the terrorist war on #Syria since 2011, suicide bombings orchestrated by ISIL rocked the governorate of Suwayda in southern Syria last July. It is worth noting that the terrorists behind that attack came from the Tanf area where US forces are present. The area has become a safe haven for ISIL remnants who are now hiding in the Rukban refugee camp on the border with Jordan, under the protection of US forces. The United States also sought to prolong the crisis in Syria by releasing terrorists from Guantanamo prison and sending them to Syria, where they became the effective leaders of the Nosra Front and other terrorist groups. Meanwhile, the Turkish regime continues to support terrorists in Syria. Since day one of the war on Syria, the Turkish regime has trained and armed terrorists, turning Turkey into a hub and a corridor for terrorists on their way to Syria. When terrorists failed to serve its agenda, the Turkish regime resorted to direct military aggression, attacking cities and towns in northern Syria. However, all these actions that undermine Syria’s sovereignty, unity, and territorial integrity and violate international law will not stop us from exercising our rights and fulfilling our duties to recover our land and purge it from terrorists, whether through military action or reconciliation agreements. We have always been open to any initiative that prevents further deaths and restores safety and security to areas affected by terrorism. That is why we welcomed the agreement on #Idlib reached in Sochi on September 17th. The agreement was the result of intensive consultations and full coordination between Syria and Russia. The agreement is timebound, includes clear deadlines, and complements the agreements on the deescalation zones reached in Astana. We hope that when the agreement is implemented, the Nosra Front and other terrorist groups will be eradicated, thus eliminating the last remnants of terrorism in Syria. Any foreign presence on Syrian territory without the consent of the Syrian government is illegal and constitutes a flagrant violation of international law and the UN charter. It is an assault on our sovereignty, which undermines counter-terrorism efforts and threatens regional peace and security. We therefore consider any forces operating on Syrian territory without an explicit request from the Syrian government, including US, French, and Turkish forces, occupying forces and will be dealt with accordingly. They must withdraw immediately and without conditions. 
Ladies and gentlemen, 
Israel continues to occupy a dear part of our land in the Syrian Golan and our people there continue to suffer because of its oppressive and aggressive policies. Israel even supported terrorist groups that operated in southern Syria, protecting them through direct military intervention and launching repeated attacks on Syria. But just as we liberated southern Syria from terrorists, we are determined to liberate fully the occupied Syrian Golan to the lines of June 4th, 1967. Syria demands that the international community put an end to all these practices and compel Israel to implement relevant UN resolutions, notably resolution 497 on the occupied Syrian Golan. The international community must also help the Palestinian people establish its own independent state, with Jerusalem as its capital, and facilitate the return of Palestine refugees to their land, pursuant to international resolutions. Any actions that undermine these rights are null and void and threaten regional peace and security, especially the Israeli racist law known as “the nation-state law” and the decision of the US administration to move the US embassy to Jerusalem and stop funding UNRWA.
Madam President, 
Syria strongly condemns the decision of the US administration to withdraw from the Iran nuclear agreement, which proves once again the United States’ disregard for international treaties and conventions. We express once again our solidarity with the leaders and people of the Islamic Republic of Iran and trust that they will overcome the effects of this irresponsible decision. We also stand with the government and people of Venezuela in the face of #US attempts to interfere in their internal affairs. We call once again for lifting the unilateral economic measures against the Syrian people and all other independent people around the world, especially the people of the DPRK, Cuba, and Belarus. 
Madam President, ladies and gentlemen, 
With the help of allies and friends, Syria will defeat terrorism. The world must never forget that and should treat us accordingly. It is time for all those detached from reality to wake up, let go of their fantasies, and come to their senses. They must realize that they will not achieve politically what they failed to achieve by force. We have never compromised on our national principles even when the war was at its peak. We will surely not do that today! At the same time, we want peace for the people of the world because we want peace for our people. We have never attacked others. We have never interfered in the affairs of others. We have never exported terrorists to other parts of the world. We have always maintained the best relations with other countries. Today, as we seek to defeat terrorism, we continue to advocate dialogue and mutual understanding to serve the interests of our people and to achieve security, stability, and prosperity for all.