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venerdì 14 settembre 2018

«L’Isis è pronto a rinascere. Con i bambini». Un documentario inquietante.

 Tutte le guerre "civili" una volta finite, lasciano scie di odio, di risentimento e di vendetta a prescindere dagli interessi in gioco e dagli attori belligeranti. Il quadro che questo documentario ci mostra però è qualcosa di più terribile e pericoloso. Lo è proprio per i semi ideologici/religiosi del fanatismo jihadista che entro pochissimi anni potrebbero germogliare e deflagrare in altre più terribili guerre.
  E questo bel risultato a chi lo dobbiamo? La risposta è tanto semplice quanto negata: gli USA e i loro proxi in Medio Oriente con un pretesto sempre diverso hanno sfruttato, quando non direttamente creato, addestrato e finanziato, sia l'ISIS che le altre milizie Jihadiste in Iraq e in Siria (e altrove) in funzione destabilizzatrice, per arrivare a cambi di regime e alla predazione delle risorse di questi Paesi. Quel 'caos creativo' tanto caro ai neoconservatori di cui era punta di diamante il senatore Mc Cain, “eroe del Vietnam” recentemente scomparso.

 C'è però un altro genere di seme che è stato abbondantemente sparso in queste terre: si tratta del sangue dei Martiri Cristiani che da sempre rigenera la vita e il futuro delle comunità e delle nazioni. Secondo molte testimonianze ci sono anche tante conversioni dall'Islam al Cristianesimo che per ovvie ragioni non vengono palesate e pubblicizzate; un differente Fuoco di tipo spirituale cova e c'è solo da sperare che divampi con nuovi frutti di tolleranza e di pacifica convivenza e collaborazione.
E' avvenuto nei secoli e può riaccadere oggi e nei giorni a venire.
    Questa è la nostra speranza e la nostra preghiera.
    Gb.P. , OraproSiria

A Venezia il futuro dello Stato islamico
Presentato fuori concorso il 30 agosto alla 75.ma Mostra del Cinema di Venezia, un documentario su Mosul (Iraq) dopo il passaggio dell'Isis. I semi dell'odio germoglieranno ancora.

Isis, Tomorrow. The Lost Souls of Mosul
   di Luca Balduzzi

«L’Isis è pronto a rinascere. Con i bambini». Non hanno il minimo dubbio Francesca Mannocchi e Alessandro Romenzi, rispettivamente giornalista e fotografo collaboratori del settimanale L’Espresso, nonché autori e registi del documentario Isis, Tomorrow - The Lost Souls of Mosul, presentato fuori concorso alla settantacinquesima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. «Oggi lo Stato islamico cova sotto la cenere. Indottrinando i mujahiddin del futuro».

Che 
cosa è rimasto del Califfato dopo la liberazione di Mosul, il bastione dell’Isis in Iraq? Ma, soprattutto, quale futuro avranno gli orfani e le vedove dei miliziani che si sono immolati per la causa? Padri e sposi che alcuni figli e mogli hanno ammirato e non smetteranno mai di ricordare come degli eroi.
«Amavo mio marito. Molto», racconta una vedova, mostrando le foto del coniuge con un fucile in mano, una sorta di cartoline «dalla terra del Jihad». «Lo vedevo così convinto che poi mi sono convinta anch’io. Lui combatteva in nome dell’Islam. Come è scritto nel Corano: “Combattete i miscredenti dovunque li troviate”. Noi siamo cresciuti credendo in questo».
«Vedove reiette, stigmatizzate, dolenti ma non pentite, che stanno diventato reclutatrici involontarie dei loro stessi figli, nati per diventare martiri, nati per essere il futuro del Califfato», aggiungono i due autori e registi del documentario. «I semi dell’Isis sono già a Mosul. Sono i bambini, l’arma più potente del Califfo. Il mattone più solido del progetto».

Ancora: come si sta comportando l’Iraq nei confronti di questi orfani e di queste vedove? E come tratta i bambini e le vedove civili che hanno perso i propri genitori e i loro mariti, decapitati, fucilati o lapidati nelle piazze?
«Ovunque vada mi gridano “Sei dell’Isis, sei dell’Isis”», racconta un ragazzo. «Mi dicono che sono un figlio dell’Isis. Mi insultano. Se fossimo morti sarebbe andata meglio. Perlomeno non ci direbbero che siamo dell’Isis». «Gli occhi di tutti sono puntati su di noi», racconta un’altra donna. «Ci trattano come dei prigionieri di guerra. Un uomo mi ha minacciata: “Daremo fuoco alle vostre tende”. Gli ho risposto: “Invece di bruciare le tende, perché non ci metti tutti in fila, donne e bambini, ci uccidi e ti vendichi?”».

Sul versante opposto, un bambino iracheno racconta: «Mio zio e mio cugino sono stati uccisi dall’Isis. C’erano dei bambini con loro. Moltissimi bambini. Hanno imparato a combattere e a chiamare le persone “apostata” o “infedele”. Ho visto bambini della mia età, più grandi e più piccoli impugnare le armi». «Una volta, mia madre non era vestita nella maniera corretta, hanno cominciato a frustarla sulla schiena, davanti a tutti. Ero lì assieme a lei. Se avessi potuto, li avrei uccisi. Se fossi stato armato, avrei sparato. Spero che Dio faccia giustizia. Spero che vengano uccisi loro e le foro famiglie».
«La vendetta regola le azioni e le valutazioni. E in questo, ahimè, niente di nuovo quando si parla di guerra e dopoguerra», soggiungono la Mannocchi e Romenzi. «Perché li considerano perduti, perché rischiano di diventare peggiori dei padri, perché il degrado del dopoguerra non può che abbruttirli, perché i sopravvissuti saranno marchiati per sempre e quel marchio che all’inizio sarà un’onta negli anni diventerà un segno di riconoscimento, un fattore unificante, una ideale medaglia alla continuità del progetto del Califfato».
Per raccontare quello che sta succedendo a Mosul «abbiamo cercato la fiducia dei colpevoli», spiegano i due autori e registi, già alle prese con un’inchiesta su questo argomento pubblicata sull’Espresso a metà agosto, «e ci siamo posti, senza pregiudizi, in loro ascolto».
Il documentario «nasce dall’esigenza di riportare un grado di complessità alla natura di fenomeni ampi che condizionano la vita quotidiana di milioni di persone», proseguono. «Nasce poi dall’urgenza di raccontare qualcosa che è già sotto i nostri occhi, ma resta scientemente ignorato».

martedì 11 settembre 2018

Mons Abou Khazen circa battaglia di Idlib: "Non si può lasciare una parte consistente nel Paese in mano ai terroristi e jihadisti”

Nella cittadina totalmente cristiana ortodossa di Muhardeh si sono svolti i funerali di Elias, 14 anni, Amira, 23 anni, Lena, di 8 anni con sua sorella di 4 anni, 
Maria di 8 anni con suo fratello Fadi di 6 anni e la sorellina lamya 4 anni,
 Dima la loro madre di 30 anni:
vittime dei missili che i jihadisti da Hama e Idlib lanciano da 7 anni sulla città in odio ai cristiani.

AsiaNews 
Le tensioni internazionali attorno a Idlib “fanno paura” e la sensazione diffusa è che fra le cancellerie occidentali, in testa gli Stati Uniti e i suoi alleati nella regione, “si cerchi un pretesto” per colpire la Siria. È quanto sottolinea ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, secondo cui “in tutte le battaglie vi è un pericolo reale per i civili”, ma non è possibile lasciare un intero settore del Paese nelle mani di gruppi jihadisti e terroristi. Il prelato ricorda infatti che, proprio da quell’area, nei giorni scorsi è partito un lancio di razzi e granate che ha colpito una cittadina cristiana, uccidendo una decina di persone in maggioranza donne e bambini. 

Per il vicario di Aleppo è doveroso mantenere alta l’attenzione sulla sorte della popolazione civile ma, al tempo stesso, “governi occidentali e media mainstream esasperano la situazione”. Il prelato ricorda inoltre le vittime cristiane che spesso vengono relegate ai margini. “Quattro giorni fa - racconta - gruppi terroristi [vicini alla Turchia] presenti a Latamneh hanno lanciato razzi sulla cittadina cristiana di al-Mahardeh, uccidendo una decina di persone”. Fra queste, aggiunge, “sei erano bambini e tre le donne. Di una famiglia si è salvato solo il padre”.
La zona da cui sono partiti i razzi è sotto il controllo di al Qaeda ed è fra gli obiettivi dell’annunciata offensiva dell’esercito siriano, che vuole riconquistare il controllo di tutta la zona. “Nessuno ha parlato di questo attacco - accusa mons. Georges Abou Khazen - ed è inaccettabile”. La speranza, prosegue, è che “si giunga ad un accordo che porti una vera riconciliazione” evitando violenze e combattimenti “ma siamo scettici. Bisogna capire quale sarà la posizione della Turchia e valutarne le azioni: una cosa sono le parole, altro i comportamenti sul campo” e dall’incontro della scorsa settimana a Teheran fra Russia, Turchia e Iran non sono emersi sviluppi positivi. 

L’esodo di milioni di disperati, che hanno cercato riparo all’estero in Medio oriente, Europa, Nord America e Australia, è una delle conseguenze più gravi del conflitto che, da sette anni, insanguina la Siria. L’offensiva su Idlib rappresenta una ulteriore fonte di preoccupazione per una nuova emergenza umanitaria e per le ripercussioni a livello internazionale, con possibili interventi del blocco occidentale, Stati Uniti in testa. Washington, infatti, ha già minacciato di attaccare la Siria in caso di utilizzo di arsenale chimico nella provincia. Tuttavia, per i critici ciò rappresenta un pretesto per intervenire contro Assad e colpirne gli alleati: Russia e Iran. 

Ad alimentare l’allarme anche le principali agenzie delle Nazioni Unite presenti sul territorio, secondo cui fra il primo e il 9 settembre oltre 30mila persone hanno abbandonato le loro case nella provincia di Idlib e sono fuggire in cerca di salvezza. Il timore, avvertono. è che si sviluppi “la peggiore catastrofe umanitaria” del secolo. “Una eccessiva drammatizzazione” chiosa il vicario apostolico dei Latini di Aleppo. 
“Fra le persone a rischio nella provincia di Idlib - conclude il prelato - vi sono almeno 200 famiglie cristiane che non hanno mai abbandonato la zona, nonostante la presenza dei terroristi di al Nusra. In questi sei anni hanno dovuto subire espropri di case, terreni e denaro, le donne hanno dovuto indossare il velo e una statua della Madonna è stata utilizzata come bersaglio per l’addestramento all’uso delle armi. la speranza è che anche per queste persone giunga la “liberazione” dal gioco fondamentalista perché “nessuno, cristiano o musulmano, deve vivere nelle mani dei terroristi”.

venerdì 7 settembre 2018

Monsignor HINDO: «È in atto un piano per cacciar via i Cristiani dalla regione»

La Scuola Elementare 'Amal' in Hassakè (foto AINA).
Hassakeh contava 420 000 abitanti di cui 50 000 cristiani prima che Daesh circondasse la zona, ora la città conta solo 150 000 abitanti di cui 5000 cristiani. Ricordiamo che le chiese assire siriane fanno parte del patrimonio mondiale e sono tra le più antiche della cristianità.

di Gianandrea Gaiani
Dopo aver subito uccisioni, espropri, stupri e violenze di ogni tipo da parte dei miliziani jihadisti, prima qaedisti e salafiti e poi dello Stato Islamico, che hanno ridotto al lumicino la loro presenza, i cristiani delle regioni nord orientali siriane subiscono da tempo la “pulizia etnica” attuata dalle forze curde.
"Sono anni che lo ripeto, è in atto un tentativo da parte dei curdi di eliminare la presenza cristiana da quest' area della Siria" ha detto sabato monsignor Jacques Behnam Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi, nel nord-est della Siria. Il presule conferma all’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS - autrice ogni anno di un rapporto che evidenzia le persecuzioni dei cristiani perpetrate in tutto il mondo e in particolare nel mondo islamico) la chiusura di alcune scuole cristiane da parte delle Forze Democratiche Siriane (FDS), la milizia curdo-araba istituita dagli Stati Uniti per strappare le aree tra Raqqa e la provincia di Deir Ezzor all’Isis e impedire alle truppe regolari di Damasco di riconquistare la regione orientale del Paese. Grazie agli aiuti Usa, che in quell’area mantengono basi e oltre 2mila militari, la regione nord orientale siriana è di fatto un territorio autonomo amministrato dalle Forze di difesa popolare curde (Ypg - braccio militare del partito curdo dell'Unione Democratica – PDY), protagoniste della difesa di Kobane e celebrate in Occidente come le più acerrime avversarie del Califfato.
"Già dall' inizio dell'anno, l'amministrazione locale ha preso possesso di un centinaio di scuole statali, nelle quali ha imposto un proprio programma scolastico e i propri libri di testo” – ha sottolineato monsignor Hindo. “I funzionari curdi ci avevano assicurato che non si sarebbero neanche avvicinati alle scuole private, molte delle quali sono cristiane. Invece non soltanto ci si sono avvicinati, ma ne hanno anche serrato le porte". La motivazione ufficiale della chiusura di varie scuole cristiane nelle città Qamishli, Darbasiyah e Malikiyah, è che tali istituti hanno rifiutato di conformarsi al programma imposto dalle autorità della regione. "Loro non vogliono che si insegni nella lingua della Chiesa, il siriaco antico, e non vogliono che insegniamo la storia, perché preferiscono inculcare agli alunni la propria storia". Nulla di diverso, in fondo, da quanto attuato negli stessi territori negli anni scorsi quando erano controllati dallo Stato Islamico.
Hindo non nasconde la preoccupazione, sia per la probabile chiusura di altre scuole cristiane - ve ne sono altre sei soltanto ad Hassaké - sia per i gravi danni che il programma scolastico "curdo", differente da quello ufficiale siriano, potrà causare agli studenti. "Ho detto ad un funzionario curdo che così una intera generazione verrà penalizzata, perché non potrà accedere a gradi di istruzione superiori. Lui mi ha risposto che sono disposti a sacrificare anche sei o sette generazioni pur di imporre la loro ideologia". La vicenda rappresenta una conferma del tentativo di "curdizzazione" di quella regione, un piano che secondo Hindo prevede anche l'allontanamento della locale comunità cristiana.
"È almeno dal 2015 che continuiamo a denunciare tale pericolo. Vogliono cacciar via noi cristiani per aumentare la loro presenza”. Ad oggi i curdi rappresentano soltanto il 20 percento della popolazione siriana ma controllano quasi per intero l’oriente siriano, a est del fiume Eufrate, soltanto grazie al sostegno dell’Occidente, Stati Uniti e Francia in testa, che grazie alle milizie curde cercano di impedire che l’intera Siria torni nelle mani di Assad e dei suoi alleati russi e iraniani. Le FDS controllano infatti un’area molto più ampia di quella abitata dalla popolazione curda siriana e la “pulizia etnica” ha l’obiettivo di allontanare i cristiani e “omogeneizzare” la popolazione ricollocando in queste aree le popolazioni curde cacciate dai militari turchi dalle aree di Afrin e Manbji. Attraverso ACS, il presule ha lanciato un appello alla comunità internazionale ed in particolare alle nazioni europee. "La chiusura delle nostre scuole ci addolora. È dal 1932 che la Chiesa gestisce questi istituti e mai ci saremmo immaginati che potessero venire chiusi. L'Occidente non può rimanere in silenzio. Se siete davvero cristiani dovete gettare luce su quanto sta accadendo ed impedire nuove violazioni dei nostri diritti e ulteriori minacce alla nostra presenza nella regione" ha concluso Hindo.
Non è la prima volta che i curdi, in Siria come in Iraq, puntano ad allargare le aree sotto il loro controllo a spese di minoranze di peso etnico inferiore. Lo hanno fatto nella città petrolifera irachena di Kirkuk cacciando soprattutto i turcomanni e, più a est nel Sinjar, gli Yazidi. Dopo la caduta di Mosul e la sconfitta dell’Isis in Iraq, l’invio di truppe di Baghdad e di milizie scite filo-iraniane in quelle regioni ha fatto tramontare il sogno indipendentistico del Kurdistan iracheno relegandolo a un’autonomia molto limitata. In Siria invece l’espansionismo curdo continua a manifestarsi grazie al supporto militare di Washington che finora ha impedito che prendesse piede la proposta di Damasco che offre autonomia ai curdi, ma limitata alla regione del Rojava, in cambio della restituzione allo Stato siriano dei territori oggi occupati dalle FDS che includono giacimenti e pozzi di gas e petrolio.
Il regime siriano di Bashar Assad ha sempre tutelato minoranze e confessioni diverse ed è stato in questi anni di guerra l’unico a sostenere le comunità cristiane. Donald Trump ha più volte manifestato l’intenzione di ritirare i militari statunitensi dalla Siria, iniziativa che renderebbe problematico per le FDS far fronte alle truppe di Damasco e ai loro alleati, inclusi gli iracheni che, come i turchi, non vedono certo di buon occhio la nascita “de facto” di uno Stato curdo nella Siria Orientale.

lunedì 3 settembre 2018

"Parametri e principi di assistenza" delle Nazioni Unite in Siria ....

Onu: alla Siria nessun aiuto per la ricostruzione se Assad non verrà rimosso
di Patrizio Ricci

Recentemente sono stati diffusi alcuni documenti interni delle Nazioni Unite riguardanti la Siria. Questa informazione non era destinata alla pubblicazione, dal momento che le istruzioni contenute nelle linee guida interne stilate sotto forma di direttiva interna, contraddicevano direttamente l’etica dell’organizzazione.

La suddetta direttiva prevede che la ricostruzione del paese dovrà iniziare solo quando in Siria sarà sostituito il governo attuale con uno gradito alle potenze occidentali. In altre parole, la ricostruzione potrà avvenire solo in caso di un colpo di stato, ovvero su precise indicazioni degli aggressori. Ancor più chiaramente: non è prevista la possibilità che un voto democratico possa far risultare ancora Assad come la scelta preferita dei siriani.
La notizia dell’esistenza di questo ‘memorandum’ è  stata resa nota dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Il responsabile del dicastero degli esteri di Mosca ha definito questo documento un esempio di come i paesi occidentali  manipolano le organizzazioni internazionali. Il testo del documento è stato pubblicato sulla rivista russa Kommersant.

Un passaggio della direttiva dice chiaramente che “Le Nazioni Unite, con l’attiva partecipazione del Segretario Generale, cercheranno di garantire il maggior flusso possibile di aiuti umanitari in Siria, anche direttamente, per garantire la non interferenza nelle sue operazioni, secondo le operazioni di supporto previste nel Piano della risposta umanitaria (UNCHR)” ma gli aiuti saranno limitati agli aiuti umanitari, “solo dopo l’effettiva e completa transizione politica del potere, le Nazioni Unite saranno pronte a promuovere la ricostruzione”.

Secondo il quotidiano “Kommersant”, l’autore della direttiva – è l’ex sottosegretario permanente delle Nazioni Unite per gli affari politici Jeffrey Feltman , che ha cessato di ricoprire il suo incarico la scorsa primavera. Gli Stati Uniti hanno ripetutamente sottolineato che la ricostruzione della Siria sarà impossibile senza una soluzione politica gradita all’occidente.
Ciò vuol dire che è irrilevante che si addivenga  semplicemente ad una soluzione democratica , condivisa e gradita al popolo siriano ma che tale scelta dovrà essere conforme agli interessi degli USA e a quelli dei principali alleati.

Se da un lato queste evidenze rivelano l’estrema  dipendenza dell’Onu dall’occidente, certe dinamiche – secondo un punto di vista estremamente disincantato – non sorprendono: sono i paesi occidentali che pagano l’Onu per la maggior parte del bilancio e tra una soluzione legittima e l’aiuto alla Siria amica della Russia e dell’Iran, preferiscono una soluzione illegittima, laddove il prolungare la sofferenza del popolo siriano è solo un tragico effetto collaterale , addirittura auspicabile se serve ad accelerare il raggiungimento degli obiettivi prefissati (leggesi ‘sanzioni’ e ‘terrorismo’).

venerdì 31 agosto 2018

Pensieri sparsi sulla censura




Mi capita sempre più spesso di leggere nei social commenti spicci o anche considerazioni che si pretendono ‘’ponderate’’ sul riconsiderare se sia giusto che tutti continuino a godere della libertà di voto o di espressione. C’è chi ritiene che soltanto le persone educate e istruite abbiano il diritto di esprimersi pubblicamente nelle piazze virtuali e chi arriva a sostenere che il Suffragio universale sia da abolire. Certo, nella maggior parte dei casi si tratta di chiacchiere e basta, magari condite con un po’ di snobismo provinciale, ma anche di insofferenza e timore in questa Italia disorientata, però a me sembrano disquisizioni sconsiderate e pericolose. Su certe cose dovremmo impedirci di essere superficiali. Non bisogna mai dimenticare o scherzare sul senso profondo di ‘’libertà di espressione’’, di quanto sia preziosa e irrinunciabile questa conquista e su quanto sarebbe tremendo perderla.
Non avere libertà di parola significa costante controllo del pensiero, delle opinioni, delle emozioni e delle azioni nella vita quotidiana. Significa timore della delazione che genera diffidenza e solitudine, e la conseguente perdita di altri diritti fondamentali. Perciò, trovo sbagliato e azzardato questo genere di chiacchiere o pseudo riflessioni sulla libertà di parola o anche, che ci piaccia o no, di vaniloqui o sproloqui.
Tutto ciò mi è tornato in mente leggendo i ‘’pensieri sparsi’’ di Janice Kortkamp. Troppo poco infatti si parla e si riflette sulla deriva di una censura esercitata in maniera sempre più decisa e opprimente nei confronti dei media alternativi e di tutti coloro che informano o dibattono sulle storture dei nostri sistemi politici sempre meno democratici, sulla dittatura di fatto dei poteri finanziari, sulle guerre imperialiste che stanno devastando un numero sempre crescente di Paesi e martoriando i popoli. Quelli di Janice non sono soltanto pensieri sulla censura, ma monito sull’urgenza di un impegno fattivo per la salvaguardia del nostro diritto a una informazione indipendente da poteri politici e finanziari, alla libertà, appunto, di parlare, raccontare, esprimerci e riflettere ad alta voce. Sono un grido di ambascia, che sento mio, per quel che si sta tramando contro la democrazia e la verità, nell’indifferenza e oscurità di mente quasi generali, in un mondo dove la finzione, cioè la propaganda del potere trasmessa dai media ad esso asserviti suscita più emozioni e consenso della realtà.
  Maria Antonietta Carta

"Non abbiamo ancora visto nulla." Pensieri sparsi sulla censura.

di Janice Kortkamp

Qualche mese fa, ho subito un colpo duro per essere stata bloccata definitivamente da Twitter, e uno shock e stato per me anche assistere alla palese censura contro Alex Jones - no, non sono una sua estimatrice, ma era una voce indipendente contro lo ‘’Stato profondo’’ dei centri di potere – e uno shock vedere "l'ombra che vieta" agire contro molti buoni siti e ottime persone, uno shock sentire che Twitter ha appena sospeso Caitlin Johnston (ed altri)...
 Peggio di tutto però è per me assistere alla morte lenta di Julian Assange - la sua salute non è buona –isolato dal mondo per aver osato rivelare "segreti" sulla corruzione e i crimini del governo degli Stati Uniti. Molti, per avere denunciato gli abusi del potere, sono stati imprigionati, hanno perso carriera e reputazione e spesso anche la famiglia, quando essa non è riuscita a sopportare la pressione.

Tanti militanti che denunciano le storture , tanti narratori della realtà, davanti alla crescente censura dei media main stream e di Internet contro le voci libere, si sono spostati su piattaforme alternative. Gli auguro il meglio, ma le ho visitate e ho constatato che si tratta di uno scambio tra persone già informate. Scoraggiante. Il mio obiettivo principale è cercare di raggiungere nuovi segmenti di pubblico tra la grande maggioranza che percepisce il marcio ma non ha tempo per indagare e documentarsi.
Non intendo asserire che noi siamo perfetti. Si tratta di questioni molto complesse e le nostre maniere non sono sempre impeccabili come chi sorseggia elegantemente un tè, quando proviamo, ad esempio, a denunciare i crimini e le bugie di coloro che hanno letteralmente ucciso milioni di persone in guerre giustificate con menzogne. Talvolta, siamo molto duri e usiamo un linguaggio ordinario, diretto, con l’intento di scuotere le coscienze in coma o, semplicemente, a causa della frustrazione che proviamo per le ingiustizie che si perpetrano.

So di amici che temono di condividere i miei post o anche di manifestare la loro approvazione con un "mi piace", pensando che i loro impieghi governativi o le loro carriere potrebbero essere a rischio se lo facessero. Non li biasimo troppo - hanno ragione su questo - ma è ironico no? Si presume che l'esercito del nostro governo (ci è stato ripetuto ancora e ancora e ancora) stia combattendo per "proteggere le nostre libertà", mentre le persone che lavorano per questo governo non hanno diritto alla libertà di parola: la più grande libertà secondo la nostra Carta dei Diritti.

Non si tratta di libertà aziendali, infatti. Di fare ciò che desiderano sui loro siti e piattaforme, perché molte società hanno ora il potere, l'influenza e la ricchezza di piccole nazioni. Non sto esagerando. La corporatocrazia, che controlla gran parte della nostra vita quotidiana , ha costruito sistemi che, ci dicevano, sarebbero state piattaforme libere e aperte. Ma queste corporazioni esercitano sempre più una censura che deve salvaguardare una certa narrazione governativa, e il connubio endogamico tra governo, multinazionali e mass media è davvero allarmante.


Ma "non abbiamo ancora visto nulla" come si suole dire. Tutto ciò è niente in confronto a quello che potrebbe accadere. Per anni , ho avuto la sensazione sgradevole che in questo momento storico " si debba parlare subito per non perdere definitivamente la pace". Il mondo si è trovato già molte volte a questo bivio. Quelli di noi che sono almeno un poco consapevoli di cosa sta succedendo e di quanto possa finire male hanno capito che i governanti degli Stati Uniti e di altri Paesi sono capaci di tutto, persino di armare ISIS e al Qaeda, come abbiamo visto in Siria. Ed è solo un esempio.
Tutto quello che so è che dobbiamo continuare incessantemente a usare le libertà che abbiamo nel modo più efficace possibile e il più a lungo possibile. Ognuno secondo le proprie forze e la capacità di sopportare la pressione e le conseguenze. O secondo gli obblighi e responsabilità familiari. In ogni caso, sento che le vere battaglie qui stanno appena cominciando. Noi, che abbiamo seguito la vicenda siriana, abbiamo un vantaggio. Non vogliamo mollare. E non dimentichiamolo: abbiamo più potere di quanto immaginiamo.
BTW - Se mi hai letto in Facebook, vai al mio sito web per favore. https://www.syriaresources.com/
 Janice Kortkamp  (traduzione di Maria Antonietta Carta) 

martedì 28 agosto 2018

Idlib: la posta in gioco

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono, testo
Il parlamentare siriano Fares Shehabi  ha twittato le fotografie di quattro bambini rapiti dai terroristi Idlib dal quartiere di Zirbeh; rapimenti di giovani da parte dei jihadisti di Idlib erano iniziati alcune settimane fa, erano giovani accusati di voler aderire al processo di riconciliazione.  I rapimenti sono aumentati negli ultimi 10 giorni e si sono espansi in villaggi della provincia di Aleppo, e in campi di sfollati vicino al confine con la Turchia. I bambini vengono rapiti da questi campi: da una stessa famiglia, sono stati prelevati 3 bambini. Il timore è che i bimbi verranno utilizzati per inscenare il prossimo false flag con immagini di bambini 'gasati dalle armi chimiche di Assad'... 



Piccole Note, 28 agosto 2018


John Bolton quattro giorni fa ammoniva il suo omologo russo: se Assad userà armi chimiche, gli Stati Uniti risponderanno attaccando la Siria.

Ancora le armi chimiche…

Un monito che arrivava alla vigilia della battaglia di Idlib, ultima area della Siria (insieme al cantone curdo di Afrin) in mano alle forze anti-Assad, che Damasco vuol riportare sotto il suo controllo.  Monito strano, ché non c’è alcuna ragione per cui Assad debba usare armi chimiche, stante che è l’unico modo per attirarsi contro le bombe degli Stati Uniti.  Peraltro proprio ora che ha tutta la forza per portare a compimento quanto si propone, dato che può scagliare contro Idlib tutto il potenziale militare, ormai libero da altre incombenze,
Il 25 agosto i russi hanno risposto allarmati al Consigliere per la sicurezza Usa. Il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashenkov, ha dichiarato che il gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (al Qaeda) sta “preparando un’altra provocazione attraverso l’uso di armi chimiche contro la popolazione civile della provincia di Idlib da attribuirsi alle forze governative siriane”.  E ha specificato che sono stati portati “otto barili di cloro” nel villaggio di Jisr al-Shughur per “mettere in scena” l’attacco.  Inoltre ha specificato che ad aiutare i miliziani jihadisti sarebbe “la compagnia militare britannica Oliva”, che avrebbe inviato in loco personale addestrato allo scopo.

Di navi da guerra e allarmi

A seguito delle accuse incrociate per la Siria, e per il mondo, è scattato l’allarme rosso. Un incrociatore Usa armato di missili tomahawk si sta dirigendo verso la Siria.  Mossa alla quale i russi hanno risposto inviando precipitosamente al largo delle coste siriane una vera e propria flotta, mentre Damasco ha diramato l’allerta generale.   Ciò avviene mentre Teheran e Damasco siglano un accordo di cooperazione militare, che ha come conseguenza diretta che le milizie iraniane dislocate in Siria vi resteranno.  Uno sviluppo del tutto indigesto a Tel Aviv, stante che da tempo Israele chiede il ritiro di tali milizie dal Paese confinante.
Insomma, improvvisamente la Siria è tornata nel mirino dell’Occidente. Cosa inattesa anche perché a metà agosto Trump aveva tagliato i fondi ai ribelli siriani, cosa che sembrava confermare le sue dichiarazioni sul disimpegno Usa dalla regione.  Tutto ribaltato? Vedremo se l’allarme, che è reale, resterà tale o è preludio a una tempesta settembrina.   Da notare che Idlib è controllata da milizie legate ad al Qaeda, alle quali si sono sottomesse le bande minori presenti nell’area.
Sono quelli delle Torri gemelle e di altre stragi consumate in terre d’Occidente. E l’Occidente si appresta a difenderli “dall’aggressore siriano”.

Siria: piano B

Se qualcosa non vi quadra potete stare tranquilli: non è uno scherzo di cattivo gusto. È la follia neocon, che fa il paio con quella dei sanguinari terroristi che controllano Idlib.
Ciò avviene mentre si appresta, come scritto, la battaglia finale per Idlib, inevitabile dal momento che ad oggi la Turchia ha respinto ogni tentativo di risoluzione diplomatica della crisi.  A quanto pare quanti hanno elaborato il regime-change siriano non si rassegnano.
Fallito il piano A resta il piano B: fare della Siria una nazione preda di una destabilizzazione permanente, ché tale sarebbe il destino del Paese se una regione restasse sotto il controllo del Terrore.  E pur di non far evaporare anche questa seconda opzione sono pronti a rischiare una possibile escalation Usa-Russia, perché tale è la sfida lanciata da Bolton, che piuttosto che a Damasco, come avrebbe dovuto, si è rivolto al suo omologo moscovita.
Vedremo gli sviluppi. Oggi registriamo che l’Agenzia stampa ufficiale turca, Anadolu, non cita minimamente la criticità che pure interessa non poco Ankara. Segno che, nel segreto, fervono trattative. Speriamo.

mercoledì 22 agosto 2018

Siria, storie di ricostruzione. Ad Azeir, il solare solidale delle Monache Trappiste per il futuro di tutti

Storie siriane 2018 (4)
raccolte da Marinella Correggia
 
Dalle torce nelle mani dei bambini sfollati a Jibreen ai semafori nelle strade di Aleppo; dalle luci installate nel giardino del museo archeologico di Damasco ai pannelli spuntati sui tetti dei palazzi rimasti in piedi a Kafarbatna nella Ghouta orientale: il futuro della Siria si presenta solare. Almeno nel senso dell'energia fotovoltaica e termica.
E le monache trappiste di Azeir, un villaggio a metà strada fra Homs e Tartous, hanno avviato un progetto pilota di notevoli dimensioni (1700 pannelli, pari a 40 kw per il pozzo e 40 Kw per lavoro e vita quotidiana di potenza installata), all'insegna, come vedremo, dell'autonomia energetica solidale.

Ecco in questo video 

 su un pianoro in collina, file e file di pannelli solari recentemente installati nei pressi del monastero da tecnici siriani.
La superiora, suor Marta, racconta dal monastero siriano  questa storia che incrocia tecnologia e volontà, doni di materiali dall'estero e lavoro di tecnici e operai siriani. Ma prima, una premessa di contesto.

Le verità di parte, la volontà di vita, la ricostruzione dell'umano
«Di questa guerra in Siria si sono fatte conoscere approfonditamente tutte le atrocità, le violenze, le distruzioni, come è giusto che sia. Anche se purtroppo, come abbiamo detto in altre occasioni, la “verità” viene presentata sempre con una faccia sola- cosa che non è MAI vera- e guarda caso la faccia presentata è quella che più conviene agli interessi esterni al paese, interessi che muovono ogni pedina, come su una tragica scacchiera…. Ciò di cui invece si parla pochissimo è tutta la forza di resistenza, la volontà di vita dei siriani, il quotidiano che faticosamente continua, e non solo per fatalismo…E tutto il lavoro di ricostruzione, nel campo materiale ma anche ricostruzione “dell’umano”.
Il nostro progetto sull’energia rinnovabile - suggerito, per essere onesti, dalla disponibilità di questo grosso dono- viene soprattutto dal desiderio di costruire per il futuro, più ancora che dalla necessità di far fronte alle difficoltà dell’immediato.
Prima di tutto, da ormai tre anni a questa parte, cioè da quando il conflitto ha cominciato poco a poco a prendere una svolta più decisa verso la messa in sicurezza di ampi territori, il numero degli ospiti che accogliamo al monastero, pur con le nostra strutture limitate, aumenta ogni mese. Persone che vengono da città e villaggi più vicini, come Homs e Tartous, ma anche da Damasco, da Aleppo…Ospiti del monastero che cercano un luogo di silenzio, di preghiera, di pace, per ritrovare se stessi davanti a Dio. Quindi abbiamo bisogno di luce, acqua, di poter coltivare la terra…sempre più. E poi ci sembra importante fare progetti per il futuro: tutti hanno bisogno di lavoro, gli uomini, i giovani, ma anche tante donne rimaste sole a portare il peso dei figli e sovente anche dei familiari più anziani. Ma come creare un lavoro che abbia un rendimento, se il costo dell’elettricità azzera ogni guadagno? Forse le imprese più grandi riescono ad essere competitive, anche con la guerra, ma per le piccole imprese è molto difficile. Noi abbiamo bisogno come monastero di crearci un lavoro per vivere, e così tante donne dei nostri villaggi. Non potremo fare moltissimo, ma almeno dare lavoro a qualche famiglia sì…e se si incomincia, altri saranno incoraggiati a fare lo stesso, a cercare soluzioni possibili e creative…Questa è stata l’idea che ci ha mosso

Un progetto pilota di fronte alla penuria di guerra
Continua la superiora: «Un'azienda internazionale offriva gratuitamente pannelli nuovi in grande quantità, di ottima qualità ma non di nuova generazione. Era stato indetto una specie di “bando di concorso”. Un nostro amico in Italia presentò un progetto per l'autosufficienza del monastero e per l’aiuto a qualche realtà locale. All'epoca la nostra zona era già stata messa in sicurezza, ma ciò non significa che non si soffrissero le condizioni della guerra: in particolare l’elettricità, se eravamo fortunate, veniva per una/due ore al giorno…a volte meno…Quindi i disagi erano tanti, e oltretutto il costo elevato dell'elettricità ci impediva di avviare in modo deciso le nostre attività (ad esempio con le candele e i biscotti) e ancor più di coinvolgere la gente del villaggio, soprattutto le donne del villaggio che chiedono lavoro. L'elettricità dal sole ci avrebbe permesso anche di pagare meno i costi per l'irrigazione - relativi alla pompa del pozzo -, e di pensare all'avvenire in generale».
Il progetto viene accettato. Inizia l'impegno per risolvere i problemi burocratici relativi all'importazione, soprattutto a causa delle sanzioni occidentali alla Siria. Alla fine, con l’aiuto delle autorità civili e portuali, arrivano tre container di pannelli. Alcuni benefattori dall’Italia aiutano il monastero per le spese di trasporto.

Giovani ingegneri siriani molto preparati
A quel punto, prosegue suor Marta, «ci siamo rivolte per l'installazione a diversi professionisti, scegliendo alla fine una ditta di Damasco. Va detto che il settore delle rinnovabili prende sempre più piede qui in Siria». Il lavoro ha visto la preparazione del terreno da parte di operai locali e il controllo e la direzione degli ingegneri di Damasco: «Ci siamo trovate benissimo, hanno lavorato in modo eccellente, con attenzione e precisione. Sono tutti giovani ingegneri molto preparati, e questo per loro è diventato un po' un progetto esemplare, una pubblicità per un settore che si sta sviluppando. E' difficile che qualcuno abbia la possibilità di investire in un'attività di queste dimensioni».
Appunto. La decisione di accettare il dono dei pannelli non è stata presa con disinvoltura: «I pannelli di ultima generazione producono tre volte più energia, a parità di superficie, rispetto a quelli che ci venivano offerti. Quindi il costo dell'installazione poteva essere un deterrente. Ma al tempo stesso, gli ingegneri che abbiamo consultato, in Italia e qui - e soprattutto quelli di qui, che conoscono la situazione-, ci hanno spiegato che si trattava di un'occasione unica, poiché, a causa delle sanzioni , in Siria si possono trovare solo pannelli in silicone, o comunque di bassa qualità- che dopo poco tempo si opacizzano e perdono in efficienza. Quelli che ci hanno offerto sono invece in vetro, di ottima qualità, di lunga durata e di resa perfetta: per studiare il progetto, gli ingegneri hanno realizzato un'installazione di prova, con otto pannelli, misurandone la produzione di energia nelle varie situazioni. Hanno potuto così constatare che la resa dichiarata corrisponde perfettamente a quella effettiva. Questo ha permesso uno studio davvero attento di consumi e alternanze fra parti dell’impianto supportate da batterie e parti a sola energia diurna. Dunque, il progetto era reso vantaggioso dall'efficienza e dalla durata prevista dei pannelli, oltre naturalmente alla loro gratuità».

Fiat lux! per il monastero....
Gli effetti sono chiari come il sole: «Da un mesetto abbiamo elettricità continua, il pozzo (che rappresentava uno dei consumi più alti in termini di energia) si è reso indipendente già da prima. In casa abbiamo energia sufficiente giorno e notte grazie alle batterie. Questa situazione ci permette finalmente di pensare anche ad attività lavorative per noi e il villaggio».
...e presto per il pozzo del villaggio e per l'ospedale di Talkalakh
Lo stock di pannelli solari era decisamente superiore alle necessità del monastero: «Così abbiamo intenzione di fornire elettricità al pozzo del villaggio cristiano, il nostro villaggio; e di donare una parte significatica di pannelli all'ospedale di Talkalakh, il capoluogo della nostra regione nella provincia di Homs. E' una zona mista, con sunniti, alauiti e cristiani, e l'ospedale è quello dei poveri, serve proprio tutti (anche noi) in modo gratuito. Ma ha risentito delle restrizioni della guerra. Il fotovoltaico darebbe energia a una sala operatoria, al pronto soccorso e alle incubatrici, insomma una certa autonomia».
Chi è rimasto lavora per il futuro...sanzioni permettendo
Le trappiste sottolineano la bravura, il coraggio, la volontà di chi è rimasto in Siria e magari si è laureato durante gli orribili anni di guerra: «La nuova generazione di ingegneri rivela una grande precisione nel lavoro. Chi è rimasto ha professionalità e voglia di fare, con materiali nuovi e tecniche nuove. Naturalmente fra i problemi ci sono le sanzioni. Ad esempio i nostri ingegneri che hanno contatti con l'Italia, per aggiornarsi, hanno avuto problemi di visto; ed è complicato portare il materiale. Comunque il settore è in piena espansione. A Damasco si susseguono le fiere di settore, dove si presentano i materiali e progetti più innovativi
Decisamente la ripresa va avanti.

Che cosa possiamo fare noi
D'accordo, pannelli e batterie sono stati regalati. Ma il monastero delle trappiste ha affrontato spese ingenti per il trasporto e l'installazione, da parte di tecnici e maestranze interamente siriani.
Per rifornire il pozzo del villaggio, il progetto è pronto e «con l'aiuto del vescovo latino padre George Abou Khazen e di alcune organizzazioni abbiamo trovato quasi metà della cifra necessaria». Metà…
Anche per l'ospedale, dice Marta, «il progetto è pronto e stiamo prendendo contatti: regaliamo tutta l'attrezzatura ma non possiamo coprire le spese di installazione. Pensiamo di coinvolgere il Ministero Siriano della Salute, proponendo la nostra offerta di pannelli, ma se ci arrivassero fondi...»
...sarebbero di grande aiuto. Al monastero, al villaggio. Alla Siria.

Per contribuire al finanziamento di questo grande progetto di 'solare solidale' si possono effettuare versamenti qui: https://www.nostrasignoradellapace.it/donations/donazione-per-i-progetti-in-siria/