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martedì 27 febbraio 2018

La Siria è il cuore sanguinante di una guerra mondiale

Il Leone di Palmyra, risalente al 1° secolo a. Cristo,
è stato distrutto da Daech con le ruspe nel 2015.
Ora restaurato, il pezzo più importante del Museo
 di Palmyra è esposto nei giardini del museo di Damasco.

"Svegliamoci, sono impazziti!" 

19 febbraio 2018
Tribuna libera   di Michel Raimbaud



Da ormai sette anni, la Siria è in guerra. Questo paese amichevole, tollerante e altamente civilizzato, che nemmeno i suoi detrattori potrebbero negare essere bello e accattivante, sta già affrontando una sfida formidabile, quella del dopoguerra. Gli assalitori barbari di cento paesi, sia atlantisti che islamisti, hanno combattuto duramente per distruggere le sue ricchezze, le infrastrutture, le sue capacità, i monumenti e le bellezze naturali, al fine di cancellarle dalle mappe. Ma hanno anche e soprattutto cercato di schiacciare il popolo siriano, di cancellare la sua memoria e la sua identità per annientarlo.
Con la complicità di una sedicente "comunità internazionale" ingannatrice, ora stanno lavorando per privarlo, per quanto possibile, di ogni prospettiva del futuro, defraudandolo dei suoi diritti imprescrittibili: di disporre di se stesso, di decidere, senza interferenze straniere, il suo destino e il suo sistema politico. Senza pudore né vergogna, gli stessi invasori non nascondono le loro velleità di cambiarne il futuro, inclusa la costituzione, con una Siria sotto la "tutela delle Nazioni Unite", cioè sotto mandato, ossia sotto il giogo coloniale.
Per cancellare l'impronta geografica di una Siria madre della civiltà (compresa la nostra), può esserci un modo più efficace che disperdere un popolo e soprattutto di sbriciolare uno Stato che ha commesso il crimine di lesa maestà? In effetti, alla fine, l'impresa si propone di trasformare quella che una volta era una grande Siria in un arcipelago di mini-entità, e la sua gente in un mosaico tribalizzato destinato a essere vaporizzato in una vasta diaspora: a un primo approccio, questo crimine inqualificabile merita la doppia caratterizzazione di 'politicidio' (la dissoluzione di uno Stato che disturba) e di 'etnocidio' - l'annientamento di un popolo che resiste. Questo è ciò che è inscritto nel 'grande disegno' neoconservatore. Quest'ultimo, notiamo di sfuggita, equivarrebbe a infliggere alla Siria il destino riservato da 70 anni alla Palestina, pezzo di terra rubato sotto l'egida del colonialismo trionfante. Il destino dei Siriani potrebbe quindi assomigliare a quello dei Palestinesi, irrimediabilmente spogliati nel nome di una 'missione divina'. Il sinistro destino dei popoli amerindi, eliminati dalla storia, è lì per ricordare ciò di cui sono capaci i coloni venuti da fuori.
Le distruzioni sono immense, pari a centinaia di miliardi di dollari, a cui vanno aggiunti - ma è un loro problema - i milioni, bilioni o trilioni spesi dalle 'potenze' assalitrici per condurre le loro battaglie 'per la democratizzazione' .
Non serve a nulla invocare i valori della moralità, naturale o religiosa, il diritto internazionale e la legalità delle Nazioni Unite, o addirittura la semplice decenza, di fronte ad aggressori senza legge e senza fede. Non possiamo aspettarci una qualsiasi logica da Stati che si erigono a gendarmi del pianeta mentre si comportano come regimi criminali. È paradossale, dopo tutto questo tempo, dopo questi orrori, questi massacri, questi atti da selvaggi, questa barbarie, che si trovino ancora nel grande Occidente 'democratico' così tanti difensori dell'indifendibile, così tanti ammiratori dei jihadisti presentati come democratici o 'moderati'.  Gli intellettuali sono intrappolati dalla loro iniziale cecità, i media sono sigillati dall'omertà, i politici sono ostaggi della loro doxa neoconservatrice, nell'Esagono (la Francia n.d.t.) come in tutto il mondo giudeo-cristiano.
Perché un tale accanimento, una tale ostinazione nel mentire? La Siria è stata a lungo nel mirino di America, Gran Bretagna e Israele. La Siria storica è il centro di gravità del Medio Oriente, il luogo di nascita delle tre religioni rivelate, il cuore pulsante dell'arabismo, simbolo dell'Islam moderno e tollerante, sede dei primi califfi: un'eredità molto pesante da portare ma che ha assicurato a questo 'faro dell'Oriente' un innegabile prestigio tra gli Arabi e un'aura di simpatia tra i Musulmani.
Tollerante, multiconfessionale, moderna, repubblicana, forte della sua identità e della sua consapevolezza storica, essa rappresenta ciò che gli estremisti di ogni versante aborriscono sopra ogni altra cosa.
Dalla sua indipendenza e dalla creazione di Israele, la Siria ha continuato a fornire un sostegno costante alla causa palestinese ed è sempre apparsa come uno Stato ribelle all'ordine israelo-atlantico. Di fronte alla rovina del mondo arabo, la Siria si è iscritta nell'asse della resistenza ed essa resiste. Il suo esercito nazionale ha combattuto da solo contro tutti per quattro anni, poi, aiutato dai suoi alleati, ha iniziato la riconquista, affermandosi come il principale artefice dell'eradicazione del Daesh (ISIS), malgrado le bugie e le pretese degli usurpatori fanfaroni. Lo Stato siriano controlla ormai i quattro quinti del territorio nazionale, avendo dato scacco, con la sua resilienza, ai piani degli aggressori.
Per questi, la Siria del 2018, dopo tante battaglie e così tanti progetti finiti male, costituisce una realtà impensabile e intollerabile. Bisogna dunque farla sparire dalle mappe, come se non fosse mai esistita. È necessario per questo delegittimare lo Stato sistematicamente presentandolo come un 'regime', le sue istituzioni, la sua costituzione, il suo governo, demonizzare il suo Presidente, ignorare la volontà del suo popolo, i successi del suo esercito attribuendoli ai suoi alleati, quando non ai suoi nemici.
Si deve negare al suo Presidente e al suo entourage ogni potere, qualsiasi ruolo futuro, ogni autonomia decisionale, e assicurare che non ci possa essere una soluzione politica 'siriana' risultante da un dialogo nazionale, sotto gli auspici dei suoi alleati e dei suoi amici. Al contrario, il suo destino deve essere deciso dai suoi nemici, dalla "comunità internazionale" in agguato, da tre Stati che rappresentano 470 milioni di persone ( il 6 - 7% dell'umanità) che protestano di non poter più imporre la loro legge in seno al Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Decisamente, il mondo è uscito di testa poiché non c'è più legalità internazionale, più nessun rispetto del diritto delle Nazioni Unite, che dovrebbe essere la bibbia dei diplomatici. I falsi gendarmi del mondo che ne sono i fautori di disordine, i ladri che gridano al furto, i violentatori della legalità che gridano al suo stupro, gli aggressori della Siria che si indignano per le aggressioni dell'esercito siriano, i maestri delle ingerenze illegali indignati per l'intervento legale degli alleati e dei partner dello Stato, tutto questo bel mondo si agita e manovra alla luce del giorno!
Uscite dallo schermo le comparse e le forze sicarie, ecco che i mandanti e i veri sponsor si sono tolti la maschera e stanno lavorando per realizzare apertamente ciò che non erano riusciti a fare per delega in sette anni.  Israele al sud, gli USA e i suoi fidati partners europei nel nord-est a sostegno delle forze curde messe a nudo, la Turchia nel nord-ovest contro i progetti dei Curdi, e tutti contro Bashar al-Assad. Il pretesto della lotta contro Daesh e il terrorismo ora appare per quello che era, un mega imbroglio che difende i nemici della Siria legale e al quale solo gli sciocchi credono ancora.
Jean-Yves Le Drian chiede (sic): "il ritiro di tutti quelli che non hanno niente a che fare con la Siria". Lui osa. Ma indovinate chi sono quelli che non hanno niente da fare in Siria?    Sì, avete indovinato: l'Iran il nuovo diavolo di moda, Hezbollah il terrore di Israele, la Russia, le forze 'sciite' dell'Iraq.
Per contro ora sapete quali paesi 'vi hanno a che fare': i tre ossessionati dai bombardamenti umanitari, quelli che possiedono armi di distruzione di massa, violano sistematicamente il diritto internazionale, quelli che sostengono il terrorismo quando non lo hanno creato, quelli che vogliono depredare tranquillamente le risorse di petrolio e gas della Siria e della regione: in altre parole, l'America e i suoi accoliti. Per buona misura, aggiungiamo Israele, amico delle 'rivoluzioni arabe' che distruggono gli Stati con lo stesso nome; l'Arabia Saudita, una grande democrazia davanti all'eterno e specialista in costituzioni, in diritti umani e delle donne, e nella tolleranza religiosa; la Turchia membro di spicco della NATO, nemica dei Turchi delle montagne, ma amica dei separatisti curdi della Siria o dell'Iraq e sponsor dei jihadisti; il Qatar, a condizione che continui a comprare di tutto e non importa cosa nel nostro Paese in difficoltà.
Per il resto, la Siria ha resistito per molti anni, il suo esercito è in grado di sostenere gli assalti di Israele e abbattere gli aerei che lo attaccano. È saldamente ancorata a un asse di resistenza risoluta e ben coordinata, sostenuta da alleati affidabili, a partire dalla Russia. La Siria non è una comparsa, è al CENTRO di una guerra globale. Quanti Stati avrebbero resistito come lei?
Signori 'amici della Siria', nemici del suo 'regime' e del suo Presidente, avete continuato a sostenere la fiction di una rivolta popolare contro un 'tiranno massacratore'. In cosa ciò vi preoccupa? Voi avete sbagliato tutto e lo sapete bene perché in realtà il Paese che vi ossessiona è principalmente vittima di una guerra di aggressione che mette in pericolo la sua esistenza.
Lo Stato siriano ha sicuramente il diritto di guidare i negoziati che decideranno il suo futuro e di respingere qualsiasi interferenza degli aggressori. Ha il diritto di rifiutare le vostre ingerenze, i vostri programmi di spartizione e i vostri progetti contorti. Le guerre di Siria sono state a lungo le componenti di una guerra universale in vista di diventare una guerra 'mondiale'. Se questa aggressione riguarda la "comunità internazionale" è secondo i criteri del diritto internazionale, codificati dalla Carta delle Nazioni Unite, che deve essere considerata! Allora, si capirà molto bene che questo approccio, l'unico possibile, vi pone un piccolo problema: questo problema non è quello del paese aggredito; ma degli aggressori che siete voi che trattate la Siria come un 'paese aperto' a tutte le avventure e a tutte le iniziative ostili.
Signori aggressori, non dimenticate mai che la vostra presenza in Siria è illegittima e illegale, compresi i vostri barbuti, i vostri consiglieri speciali o le vostre forze di terra. E se c'è una presenza legittima per eccellenza, non è la vostra: è quella dello Stato siriano, quella dei suoi alleati e dei partner del governo di Bashar al-Assad, del quale pretendete la partenza. Se c'è un ritiro imposto dal rispetto del diritto internazionale, è quello dei Paesi che non hanno niente a che fare con la Siria: i vostri Paesi!
  Michel Raimbaud
Ex ambasciatore. Professore e conferenziere.
 (traduzione dal francese di G.b. P.)
https://www.iveris.eu/list/tribunes_libres/312-reveillonsnous_ils_sont_devenus_fous_

venerdì 23 febbraio 2018

Ghouta, parlano i religiosi di Damasco: "Per quanto tempo ancora si poteva sopportare tutto questo?"


di Fulvio Scaglione, 23 febbraio 2018

Ci sono momenti in cui anche una raffica di kalashnikov sembra nulla. Quella che risuona nel telefono, mentre sono in linea con Damasco e parlo con suor Yola Girges, è la sparatoria rituale che accompagna il funerale di un soldato siriano morto nella battaglia per Ghouta, il sobborgo ancora controllato dai terroristi islamisti.    Suor Yola, nata a Damasco in una famiglia originaria però di Ghassanieh (provincia di Idlib), un villaggio cristiano del Nord dove nel 2013 fu ucciso il francescano padre Francois Mourad e dove tuttora sono insediati i terroristi di Al Nusra, è una delle missionarie del Cuore Immacolato di Maria che lavorano nella casa della Custodia di Terra Santa presso il Memoriale delle Conversione di San Paolo, nella capitale siriana.   Siamo nei quartieri di Tabbaleh, Bab Touma e Dawaleh, dove si concentrano i cristiani. E come molti altri cristiani e religiosi di Siria, anche suor Yola è indignata per il modo in cui la guerra viene raccontata in Europa.
“Oggi, nel quartiere Jaramana, si svolgono i funerali di dodici civili ammazzati dai missili sparati dai ribelli di Ghouta. Due settimane fa un colpo di mortaio è esploso nel giardino della nostra casa. Qualche giorno fa un altro razzo ha colpito un edificio sull’altro lato della strada e tutte le nostre finestre sono esplose. Da settimane, ormai, quando usciamo di casa non sappiamo se faremo ritorno. In questo periodo, inoltre, i terroristi hanno cominciato a colpire proprio quando nelle scuole finiscono le lezioni, per creare ancora più panico. Solo nel nostro asilo, l’anno scorso abbiamo perso quattro bambini, uccisi da un mortaio insieme con il loro papà, e nel 2012 una bambina, ammazzata da un missile per strada insieme con la mamma, che era una nostra catechista. Per non contare i bambini feriti o traumatizzati Eppure nessuno ne parla, nessuno dice niente. Chi si occupa dei nostri morti?”.
Adesso tutta l’attenzione è concentrata su Ghouta e le organizzazioni umanitarie parlano di molti morti tra i civili…    “Bisogna raccontare tutta la verità. Ghouta è un’area di 1800 chilometri quadrati, occupata dai terroristi fin dall’inizio della guerra. In questi sette anni, i razzi da loro lanciati hanno provocato più di mille morti tra i civili nella sola Damasco. Per quanto tempo ancora si poteva sopportare tutto questo? Inoltre, tutti sanno che i militanti dell’Isis e di Al Nusra che si sono concentrati a Ghouta hanno portato con sé le famiglie, che ora usano come scudi umani. Sia per fermare gli attacchi dell’esercito sia per destare la reazione compassionevole del mondo. Nessuno vuole che muoiano dei civili, da nessuna parte. Ma il meccanismo è chiaro”.
La Casa della Custodia di Terra Santa presso il Memoriale di San Paolo è stata testimone fedele, in questi anni, del martirio della Siria. Fondata come casa di accoglienza per i pellegrini, con l’arrivo della guerra si è messa a disposizione di chi più soffriva.
“All’inizio”, spiega suor Yola, “abbiamo accolto 30 famiglie di rifugiati da Homs, dove c’era un quartiere con 75 mila cristiani. Passata quella fase, ci siamo messi a disposizione dei malati, soprattutto quelli di tumore, che dalle più diverse zone della Siria, a causa della guerra, potevano seguire le terapie solo a Damasco. Infine, abbiamo dato alloggio alle famiglie, e purtroppo sono state tante, che avevano deciso di emigrare e dovevano fermarsi qui nella capitale per ottenere i visti. Alcune di quelle famiglie, purtroppo, sono state inghiottite dal Mediterraneo”. 
Negli ultimi anni, comunque, la Casa ha cercato di provvedere ai bisogni dei più deboli e indifesi, i bambini. “Abbiamo un asilo con 150 bambini”, racconta suor Yola, “in maggioranza di famiglie povere o rifugiate a Damasco da zone occupate dai terroristi o investite dai combattimenti. Poi abbiamo un centro catechistico che segue 400 bambini e ragazzi, da quelli delle scuole elementari agli universitari. L’anno scorso, poi, abbiamo avviato un’attività di sostegno psicologico ai bambini traumatizzati dalla guerra che quest’anno, su sollecitazione degli stessi genitori, abbiamo allargato e approfondito. Lavoriamo con bambini fino ai 13 anni e con l’aiuto di dodici volontari, studenti universitari che abbiamo preparato con appositi corsi tenuti da specialisti. Infine, due mesi fa, abbiamo varato anche dei corsi di educazione musicale, anche per dare ai giovanissimi un’alternativa rispetto alle interminabili giornate passate in casa perché è troppo pericoloso giocare fuori. Si sono iscritti in cinquanta ma siamo sicuri che il numero crescerà”.
Adesso, però, le attività della Casa, come quelle di tutte le altre Chiese cristiane rappresentate a Damasco, sono bloccate. Piovono missili e, come dice suor Yola, “non potevamo chiedere ai genitori di rischiare la vita dei figli per portarli qua”. È la Siria, da troppi anni in guerra.
http://www.occhidellaguerra.it/vi-prego-raccontate-la-verita-terroristi-stanno-occupando-la-ghouta/

Viaggio nell'inferno di Ghouta : ecco chi sono i ribelli anti Assad.
Nel 2015 gli abitanti catturati sfilavano in gabbia 

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«Per voi occidentali le uniche vittime sono i civili di Ghouta, ma dimenticate che da quei quartieri partono i missili e i colpi di mortaio diretti contro i quartieri cristiani di Damasco - ricorda nel corso di una telefonata a Il Giornale padre Amer Kassar, parroco della chiesa Madonna di Fatima di Damasco - Solo martedì qui a Bab Touma e al Shaghour, i due quartieri cristiani più importanti di Damasco, abbiamo contato 13 morti e una settantina di feriti. Nell'ultima settimana almeno tre chiese, tra cui il patriarcato greco latino, sono state colpite dalle bombe dei ribelli. Le nostre case distano da Ghouta solo un paio di chilometri in linea d'aria e i ribelli ne approfittano per colpirci senza pietà. Dieci giorni fa Rita una ragazza del mio oratorio è stata uccisa da un colpo di mortaio esploso davanti alla chiesa. Christine, l'amica che era con lei, ha perso una gamba. Ma a voi occidentali non interessa. Per voi quei ribelli sono tutti degli angeli».



Leggi tutto l'articolo di Gian Micalessin qui 

http://www.ilgiornale.it/news/politica/viaggio-nellinferno-ghouta-ecco-chi-sono-i-ribelli-anti-1497525.html?mobile_detect=false

giovedì 22 febbraio 2018

Ghouta come Aleppo, le verità impazzite

Parla padre Mounir di Damasco. «Ghouta non è un quartiere di vittime perseguitate dal regime. È l’esatto contrario. Sono anni che sparano missili sulla capitale, uccidono innocenti, poveri civili»

di Leone Grotti, 22 febbraio 2018

«Lo so cosa scrivono i media da voi in Italia e in tutto l’Occidente sulla guerra che si sta combattendo a Ghouta. Raccontano solo una faccia della medaglia, nessuno si preoccupa del nostro dramma». Si confida così a tempi.it padre Mounir, 34 anni, originario di Aleppo ma residente a Damasco, dove si occupa di un oratorio con oltre 1.200 giovani. Il salesiano fa riferimento ai durissimi scontri di questi giorni tra l’esercito del governo di Bashar al-Assad e le formazioni terroristiche che difendono Ghouta orientale, nella periferia della capitale. Secondo l’Osservatorio per i diritti umani, organizzazione vicina agli estremisti, negli ultimi giorni sarebbero morte quasi 300 persone nel sobborgo.
«Nessuno però parla dei civili, tanti bambini, uccisi qui dai colpi di mortaio, anzi, dai missili che vengono sparati da Ghouta», continua il sacerdote. Molte scuole nei quartieri di Damasco più colpiti dall’artiglieria ribelle sono state chiuse per sicurezza, al pari di molti negozi. I colpi di mortaio, infatti, cadevano spesso vicini agli istituti e nelle ore di uscita dei ragazzi. Da settimane anche i salesiani hanno dovuto chiudere il loro centro: «Era troppo pericoloso. Noi abbiamo degli autobus che girano per la città e raccolgono i ragazzi per portarli al centro, dove giochiamo, studiamo, facciamo catechismo ma ora per prudenza li lasciamo a casa, perché per strada potrebbero essere colpiti dai missili».
Il bombardamento di Ghouta si è intensificato nell’ultima settimana, perché il governo prepara l’assalto finale per riprendere il quartiere. «Tutto il giorno si sentono gli aerei dell’esercito che sorvolano la capitale. Spero che l’attacco cominci presto e che la zona venga finalmente liberata, come è stata liberata Aleppo», continua padre Mounir, ricordando che «Ghouta non è un quartiere di vittime perseguitate dal regime, come raccontate voi. È l’esatto contrario. Sono anni che sparano missili sulla capitale, uccidono innocenti, poveri civili. Quanti sono i bambini morti qui di cui nessuno parla? Questi non sono l’opposizione, sono terroristi, vengono da ogni parte del mondo, e l’esercito siriano ha il diritto di difendere la dignità dei siriani e il paese».
Il prossimo mese la Siria entrerà nel suo ottavo anno di guerra e padre Mounir non si fida più delle trattative di pace condotte dalla comunità internazionale: «Non stanno risolvendo niente, parlano ma non fanno nulla». Il sacerdote è stato ordinato cinque anni fa a Torino, ma ha scelto di lasciare l’Italia e tornare a Damasco per «servire il mio popolo in difficoltà». In questi giorni, però, le sue attività sono limitate al minimo perché «il governo ha consigliato a tutti di non muoversi di casa, se non per attività strettamente necessarie, perché molte zone della capitale sono sotto tiro. Nonostante questo cerchiamo di stare vicini ai nostri ragazzi e alle nostre famiglie».
Pare Mounir ha vissuto in Italia, ma ora non riesce più a leggere i giornali nostrani: «Ho visto come date le informazioni: sempre parziali, sempre nascondendo una parte della verità, addirittura truccando le foto», continua. «Voi di Tempi siete tra i pochi che avete il coraggio di raccontare tutta la verità. Io lo so che il governo siriano non è costituito da santi né da angeli, c’è la corruzione come in tanti altri paesi. Però dovete capire che la maggioranza della popolazione siriana, che soffre come e più degli altri, si fida di questo governo, nonostante i suoi sbagli. Voi europei invece appoggiate i terroristi che colpiscono la gente innocente. Questo è inaccettabile e qualcuno deve dirlo».

Il conflitto nel Ghouta e la memoria corta dell’Occidente

nella foto a sinistra le vittime di questi ultimi 3 giorni nella capitale
Damasco, a destra le milizie che occupano Ghouta 
di Mauro Indelicato, 22 febbraio 2018

Spesso si afferma che in guerra la prima vittima è la verità, resa parziale da ogni parte e resa quasi del tutto strumentale dagli attori presenti sul campo; ma in realtà, ciò che ancor prima della verità viene tolto di mezzo da un determinato conflitto è la stessa memoria: tutto viene resettato, anche la stessa storia viene resa funzionale al racconto ed alla narrativa imposta da chi vince o da chi, invece, spera di vincere. La memoria corta è una delle piaghe che affligge l’informazione inerente il conflitto siriano; è vero che fanno male le bombe russe, così come quelle americane ed è altrettanto vero che a causare vittime civili spesso sono sia i kamikaze delle sigle jihadiste così come i raid dei governativi, pur tuttavia dimenticare cosa accaduto e come si è arrivati al fatidico numero sette nel conteggio degli anni di guerra siriana, appare operazione scellerata e, nella migliore delle ipotesi, frutto di disonestà intellettuale. A prescindere da ogni considerazione politica che si possa avere su Assad e sul suo governo, dimenticare che la Siria non è stata attraversata da una vera ‘rivoluzione’ ma invasa da orde di jihadisti, stranieri e non, fa perdere di vista ogni giudizio obiettivo sul conflitto.

Cosa è accaduto nel Ghouta Est tra il 2012 ed il 2013

Proprio come accaduto nella zona est di Aleppo, non appena il legittimo governo siriano si prepara a strappare un determinato territorio alle sigle jihadiste, si scopre che il paese arabo ha un numero di ospedali per abitanti tra i più alti al mondo ed una quantità di edifici scolastici da fare invidia anche ai paesi più industrializzati; nel Ghouta l’operazione volta a strappare dalle mani takfire gli ultimi brandelli di una Damasco che da cinque anni vive con lo spettro di razzi e missili lanciati verso il centro, è iniziata da pochi giorni ma già nel mondo dell’informazione occidentale circolano gli stesso video visti e rivisti per Aleppo e per Homs, dove i raid russi e siriani vengono dipinti come brutali mezzi in grado di distruggere ogni volta strutture ospedaliere ed obiettivi sensibili.   Ben lungi dall’esultare per l’arrivo sulle teste di tanti civili di bombe e colpi d’artiglieria, è utile però ricordare il motivo per il quale questa crisi non è possibile risolverla per vie diplomatiche: nel Ghouta Est risiedono alcune delle più pericolose sigle jihadiste che hanno messo piede in Siria, tali gruppi nell’estate del 2012 hanno cinto d’assedio la capitale siriana prima di rintanarsi in questa regione posta nella periferia orientale damascena. Gli abitanti del Ghouta Est sanno bene cosa vuol dire aver iniziato a convivere con la presenza di uomini barbuti inneggianti alla jihad; molti civili hanno visto portare via le proprie mogli, i propri figli ed i propri affetti da terroristi che non hanno avuto scrupoli nel rinchiudere centinaia di innocenti in gabbia per piazzarli sui tetti dei palazzi, in modo da utilizzarli come scudi umani contro i raid governativi. Specialmente tra il 2012 ed il 2013, quando si è ben capito come l’offensiva jihadista non era destinata a centrare l’obiettivo a Damasco, la scure della follia islamista si è abbattuta nei quartieri della capitale e del Ghouta est da loro controllati;  ma non solo: nel novembre 2015 hanno fatto il giro del mondo le immagini di un corteo, composto da almeno cento gabbie con all’interno almeno sette od otto persone, sfilare lungo una città del Ghouta in un’atmosfera di gogna che ha poi preceduto l’allocazione di tali gabbie sopra i tetti dei palazzi più alti. 
 
Non c’erano nemici o militari dentro quelle sbarre improvvisate, bensì solo civili colpevoli di essere alawiti come il presidente Assad; un’azione criminale di inaudita crudeltà, compiuta tra gli sguardi attoniti dei mariti che vedevano le proprie mogli rinchiuse come animali e portate chissà dove, senza forse la possibilità di rivederle. Il Ghouta Est è dal 2012 occupato, è questo il verbo giusto da utilizzare, da gente senza scrupoli ed i cui atti criminali sono inqualificabili oltre che ingiustificabili; gruppi di terroristi armati e sostenuti, politicamente e non solo, da quei paesi che hanno da subito appoggiato la presunta rivolta siriana anti Assad in nome proprio della democrazia e del rispetto dei diritti umani. Un’accozzaglia di integralisti e terroristi che dal 2012 tiene sotto scacco Damasco, non solo intesa come sede del governo siriano, ma come città dove vivono almeno due milioni di persone la cui quotidianità è provata dal pericolo di uscire da casa e beccarsi un colpo di mortaio sparato dal Ghouta.Come viene vissuta a Damasco la nuova operazione

Intanto, mentre si fa riferimento da più parti alle conseguenze dei raid siriani e russi nelle città del Ghouta, nel cuore della capitale siriana la popolazione vive nel terrore delle ritorsioni islamiste per l’operazione avviata dall’esercito fedele ad Assad; nella giornata di lunedì, un razzo ha colpito un taxi in una delle vie più trafficate di Damasco, uccidendo un civile. Questo è soltanto l’ultimo episodio che vede la città più popolosa della Siria essere oggetto di attacchi a colpi di mortaio e razzi da parte delle sigle che controllano il Ghouta, i quali non hanno mancato di provocare nell’ultimo mese ancora morti e feriti; la percezione di una sicurezza sempre più precaria rischia di impadronirsi degli animi dei damasceni, anche se la popolazione continua a vivere la sua quotidianità nella speranza che l’assalto alle posizioni delle sigle jihadiste a pochi chilometri dal centro possa finalmente allontanare per sempre la guerra dalla città. 
Soffrono sia i damasceni che gli abitanti del Ghouta Est, del resto gli innocenti sono tali in quanto parti non direttamente in causa del conflitto ed è per questo che da entrambe le parti essi vivono il comune destino di essere vittime di un qualcosa più grande di loro; pur tuttavia, dimenticarsi cosa accaduto in questa regione già cinque anni fa, omettendo le crudeltà commesse da chi ha occupato questa zona, è un’operazione che rischia di prolungare l’agonia di milioni di civili, siano essi di Damasco, del Ghouta o di altre zone di questo martoriato paese.

http://www.occhidellaguerra.it/conflitto-nella-ghouta-la-memoria-corta-delloccidente/

mercoledì 21 febbraio 2018

Digiuno e preghiera per la Pace nel mondo

Accogliamo l'invito di Papa Francesco a vivere una giornata di preghiera e digiuno per la Pace oggi tanto minacciata nel mondo . In particolare, oltre ad offrirla per le popolazioni del Congo e del Sud Sudan come ci ha chiesto il Papa, preghiamo per la popolazione della Siria stremata dal conflitto, che entra nel suo ottavo tragico anno.


" Dinanzi al tragico protrarsi di situazioni di conflitto in diverse parti del mondo, invito tutti i fedeli ad una speciale Giornata di preghiera e digiuno per la pace il 23 febbraio prossimo, venerdì della Prima Settimana di Quaresima".
""Il nostro Padre celeste ascolta sempre i suoi figli che gridano a Lui nel dolore e nell’angoscia, «risana i cuori affranti e fascia le loro ferite» (Sal 147,3).
Rivolgo un accorato appello perché anche noi ascoltiamo questo grido e, ciascuno nella propria coscienza, davanti a Dio, ci domandiamo: “Che cosa posso fare io per la pace?”. Sicuramente possiamo pregare; ma non solo: ognuno può dire concretamente “no” alla violenza per quanto dipende da lui o da lei. Perché le vittorie ottenute con la violenza sono false vittorie; mentre lavorare per la pace fa bene a tutti!".

Qui alcuni strumenti per la Preghiera per la Pace :
http://oraprosiria.blogspot.it/p/blog-page_2.html

venerdì 16 febbraio 2018

Il Papa e la Comunione con la Chiesa sofferente in Siria

Papa Francesco, vicino con il cuore e la preghiera alle comunità cristiane sofferenti in Medioriente, ha rivolto parole di incoraggiamento ai membri del Sinodo Greco Melkita, ricevuti in Vaticano.

Beatitudine, cari Fratelli nell’Episcopato,
Vi ringrazio per la vostra visita. La felice occasione è data dalla manifestazione pubblica della Comunione Ecclesiastica, che avrà luogo domani mattina durante la Celebrazione eucaristica e che ho già avuto modo di accordare a Vostra Beatitudine nella Lettera del 22 giugno scorso, dopo la Sua elezione a Patriarca, Pater et Caput, da parte del Sinodo dei Vescovi.
Allora, come oggi, caro Fratello, Le assicuro la mia costante vicinanza nella preghiera: che il Signore Risorto Le sia vicino e La accompagni nella missione affidataLe. È una preghiera che non può essere dissociata da quella per l’amata Siria e per tutto il Medio Oriente, regione nella quale la vostra Chiesa è profondamente radicata e svolge un prezioso servizio per il bene del Popolo di Dio. Una presenza, la vostra, che non si limita al Medio Oriente, ma si estende, ormai da molti anni, a quei Paesi nei quali tanti fedeli greco-melkiti si sono trasferiti in cerca di una vita migliore. Anche a questi fedeli in diaspora e ai loro Pastori vanno la mia preghiera e il mio affettuoso ricordo. 
In questo difficile periodo storico tante comunità cristiane in Medio Oriente sono chiamate a vivere la fede nel Signore Gesù in mezzo a molte prove. Auspico vivamente che, con la loro testimonianza di vita, i Vescovi e i sacerdoti greco-melkiti possano incoraggiare i fedeli a rimanere nella terra dove la Provvidenza divina ha voluto che nascessero. Nella menzionata Lettera di giugno ricordavo che «mai come in questi momenti i Pastori sono chiamati a manifestare, davanti al popolo di Dio che soffre, comunione, unità, vicinanza, solidarietà, trasparenza e testimonianza». Vi invito fraternamente a proseguire su questa strada. Come sapete, ho indetto, per il 23 di questo mese, una giornata di preghiera e digiuno per la pace. In quella occasione non mancherò di ricordare, in maniera speciale, la Siria, colpita in questi ultimi anni da sofferenze indicibili.

Giungete pellegrini a Roma, presso la tomba dell’Apostolo Pietro, a conclusione della vostra ultima Assise sinodale, che si è svolta in Libano nei primi giorni del mese. Si tratta sempre di un momento fondamentale, di cammino comune, durante il quale Patriarca e Vescovi sono chiamati a prendere decisioni importanti per il bene dei fedeli, anche attraverso l’elezione dei nuovi Vescovi, di Pastori che siano testimoni del Risorto. Pastori che, come fece il Signore con i suoi discepoli, rianimino i cuori dei fedeli, stando loro vicini, consolandoli, scendendo verso di loro e verso i loro bisogni; Pastori che, al tempo stesso, li accompagnino verso l’alto, a “cercare le cose di lassù, dov’è Cristo, non quelle della terra” (cfr Col 3,1-2). Abbiamo tanto bisogno di Pastori che abbraccino la vita con l’ampiezza del cuore di Dio, senza adagiarsi nelle soddisfazioni terrene, senza accontentarsi di mandare avanti quello che già c’è, ma puntando sempre in alto; Pastori portatori dell’Alto, liberi dalla tentazione di mantenersi “a bassa quota”, svincolati dalle misure ristrette di una vita tiepida e abitudinaria; Pastori poveri, non attaccati al denaro e al lusso, in mezzo a un popolo povero che soffre; annunciatori coerenti della speranza pasquale, in perenne cammino con i fratelli e le sorelle. Mentre sarò lieto di accordare l’Assenso Pontificio ai Vescovi da voi eletti, vorrei poter toccare con mano la grandezza di questi orizzonti.
Beatitudine, Eccellenze, rinnovo di cuore la mia gratitudine per la vostra fraterna visita. Quando farete ritorno alle vostre Sedi e incontrerete i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i fedeli, ricordate loro che sono nel cuore e nella preghiera del Papa. La Tutta Santa Madre di Dio, Regina della pace, vi custodisca e vi protegga. E mentre ho la gioia di dare a voi e alle vostre comunità la mia Benedizione, vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie.

Riportiamo di seguito le brevi parole che il Santo Padre ha rivolto nel corso della Messa e la traduzione in lingua italiana delle parole di ringraziamento del Patriarca al Papa:

Parole del Santo Padre
Questa Messa con il nostro fratello, patriarca Youssef, farà la apostolica communio: lui è padre di una Chiesa, di una Chiesa antichissima e viene ad abbracciare Pietro, a dire “io sono in comunione con Pietro”. Questo è quello che significa la cerimonia di oggi: l’abbraccio del padre di una Chiesa con Pietro. Una Chiesa ricca, con la propria teologia dentro la teologia cattolica, con la propria liturgia meravigliosa e con un popolo, in questo momento gran parte di questo popolo è crocifisso, come Gesù. Offriamo questa Messa per il popolo, per il popolo che soffre, per i cristiani perseguitati in Medio Oriente, che danno la vita, danno i beni, le proprietà perché sono cacciati via. E offriamo anche la Messa per il ministero del nostro fratello Youssef.

Ringraziamento del Patriarca al Santo Padre
Santità,
Vorrei ringraziarLa per questa bella Messa di comunione, a nome di tutto il Sinodo della nostra Chiesa greco-melkita cattolica. Personalmente, sono veramente commosso dalla Sua carità fraterna, dai gesti di fraternità, di solidarietà che ha dimostrato alla nostra Chiesa, nel corso di questa Messa. Le promettiamo di tenerLa sempre nei nostri cuori, nel cuore di noi tutti, clero e fedeli, e ricorderemo sempre questo evento, questi istanti storici, questo momento che non riesco a descrivere per quanto è bello: questa fraternità, questa comunione che lega tutti i discepoli di Cristo. Grazie, Santità.

martedì 13 febbraio 2018

Mons. Abou Khazen, “Gesù sta patendo sulla croce per tutta la popolazione della Siria"


La drammatica testimonianza del vicario apostolico di Aleppo, mons. Georges Abou Khazen.  È un Paese lacerato quello che fra un mese entrerà nel suo ottavo anno di guerra.


S.I.R.  12 febbraio 2018

“Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”. Era l’agosto del 2014, quando Papa Francesco, durante il suo viaggio apostolico in Corea del Sud, pronunciava queste parole. Parole quanto mai attuali se riferite a quanto sta avvenendo in questi giorni in Siria dove si registra una escalation del conflitto dopo lo scontro tra Iran e Israele che hanno visto abbattuti rispettivamente un drone iraniano e un caccia F-16 con la Stella di David. E sebbene la guerra sia stata dichiarata conclusa dal presidente Assad e dal suo primo alleato, il presidente russo Putin, sul tavolo verde siriano le potenze regionali e internazionali continuano a giocare le loro carte: turchi, israeliani, curdi, russi, americani, iraniani, hezbollah libanesi, sauditi, i resti di Daesh e le milizie di al-Nusra. Si combatte nell’enclave curda di Afrin, a Idlib nel nord-ovest del Paese, teatro di un’offensiva governativa contro i ribelli, a Deir ez-Zor.

Bombe anche a Damasco dove fonti locali parlano di colpi di mortaio che hanno centrato il patriarcato siro ortodosso, causando morti e feriti. L’Onu ha aperto un’inchiesta relativa all’uso di bombe al cloro da parte dell’esercito regolare. Accusa respinta da Damasco. E nel risiko siriano affondano anche le tenui speranze di negoziati legate all’ultima conferenza di pace di Sochi, di fine gennaio, nella quale è stato chiesto rispetto per l’integrità territoriale del Paese e ribadito che solo il popolo siriano dovrebbe decidere la forma del proprio governo. Nella stessa conferenza è stata approvata la creazione di una commissione costituzionale con una lista di 150 partecipanti, due terzi in rappresentanza del governo siriano, un terzo dell’opposizione.
“Qui è di nuovo l’inferno. Piovono bombe e la povera popolazione siriana non smette mai di soffrire. Perché tutto questo? Quando finirà?”.
È un fiume in piena mons. Georges Abou Khazen, francescano della Custodia di Terra Santa e vicario apostolico di Aleppo. Al telefono, dalla città martire siriana, denuncia: “Ogni volta che rinasce un briciolo di speranza ecco che questo viene sepolto di nuovo dalle bombe. Ogni volta che si compiono timidi passi in avanti per la ripresa di negoziati, ecco che ci ricacciano indietro. Perché?”. Non ci sono risposte certe, l’unica, dice, “è continuare a sperare”. Ciò che sta accadendo nel Ghouta orientale, a Damasco, Idlib e Afrin è una tragedia immane. Qui secondo l’Unicef sono stati uccisi, nel solo mese di gennaio, 60 bambini e molti altri sono stati feriti durante i combattimenti in corso.

“Siamo addolorati – prosegue mons. Abou Khazen - La gente soffre e si chiede cosa accadrà. Ci sono migliaia di famiglie, donne, anziani intrappolate dalle bombe delle parti in lotta. Sono queste persone la parte più debole della popolazione. Ma soprattutto ci sono migliaia di bambini malnutriti, abbandonati, orfani, che vagano soli, che hanno bisogno di ogni forma di assistenza materiale e morale”.

Piccoli che diventano preda delle fazioni armate in lotta: “In alcune zone, soprattutto quelle sotto controllo dello Stato Islamico (Daesh) e di Al Nusra – spiega il religioso francescano – i più piccoli vengono arruolati, addestrati alla guerra e mandati a combattere”.
 Ma l’emergenza non finisce qui. “Urgono aiuti di ogni genere. In tante zone del Paese manca il lavoro, migliaia di famiglie hanno necessità di rimettere in piedi la propria abitazione per avere di nuovo un tetto sulla testa. Come Chiesa stiamo cercando di aiutare quante più persone possibile ma i bisogni sono enormi. Non abbandonateci”, dice con voce accorata il vescovo.

La tragedia siriana non conosce fine. Daesh? “Sembra essere stato sconfitto ma non è così – risponde mons. Abou Khazen – 
Daesh è il cavallo di Troia per le potenze coinvolte nella guerra.

Serve loro per spostare il conflitto da un punto all’altro della Siria, a seconda delle convenienze.

Ma non c’è solo Daesh, nel campo di battaglia siriano. Ci sono Al Nusra e tanti altri gruppi affiliati teleguidati da tutte le potenze, regionali e internazionali, coinvolte in questo conflitto per procura. Li assoldano, li addestrano e li armano: questo è il maggiore ostacolo al dialogo tra le parti siriane”.

Mai come oggi le sorti della Siria sono nelle mani di Usa, Arabia Saudita, Israele, Russia, Iran, Turchia:
“Si stanno dividendo le vesti del nostro Paese. 
Abbiamo paura di una spartizione della Siria.
È giusto che per interessi economici e politici un intero popolo debba soffrire così?”. 

“Gesù sta patendo sulla croce per tutta la popolazione della Siria, senza distinzione di etnia e fede. Siamo un corpo solo. La guerra – ricorda il vicario – ha allontanato i siriani dalle loro terre e case, metà della popolazione è profuga, centinaia di migliaia di morti, milioni di feriti, almeno diecimila rapiti, spariti nel nulla e dei quali non si conosce la sorte. Cosa altro vogliono da noi queste potenze?”.



È un Paese lacerato quello che fra un mese entrerà nel suo ottavo anno di guerra.
Il pensiero del vicario apostolico va ai più giovani: “Quelli che hanno potuto, hanno lasciato il Paese.
Che generazioni future avremo se non verranno formate alla giustizia, al diritto e alla pace? Cosa ne sarà di loro? E cosa sarà della società che verrà? La speranza non deve abbandonarci perché abbiamo la certezza che il nostro destino non è nelle mani di un uomo o di una superpotenza. Il nostro destino è nelle mani di Dio, Padre provvidente.

In Lui, e solo in Lui, poniamo la nostra salvezza”.

venerdì 9 febbraio 2018

Le bombe Usa sui soldati siriani, ecco perché


di Fulvio Scaglione

Nella notte tra il 7 e l’8 febbraio la prima vera battaglia diretta tra le forze della coalizione internazionale capitanata dagli Usa e l’esercito regolare siriano ha complicato le cose, perché ha portato a fronteggiarsi due grandi forze militari su un terreno in cui, a dispetto di tutte le precauzioni (i quartieri generali americano e russo sono rimasti in contatto durante tutto lo scontro), le operazioni possono anche sfuggire al controllo dei comandi. Da un altro punto di vista, però, le ha chiarite e semplificate, perché le ha riportate alla loro origine.
Fin dall’inizio, ormai sette anni fa, le intromissioni nella guerra civile siriana da parte dei gruppi terroristici finanziati dai Paesi del Golfo Persico (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar in prima fila) con la tacita approvazione degli Usa e di gran parte dei Paesi dell’Occidente, avevano come scopo lo smembramento territoriale della Siria e la sottrazione al controllo di Damasco delle maggiori risorse naturali del Paese. Grazie (o a causa) all’intervento militare russo del 2015, al sostegno dell’Iran e all’accordo politico che Russia e Turchia hanno in seguito raggiunto, il primo obiettivo è stato mancato.
Così per gli oppositori internazionali di Bashar al-Assad, Vladimir Putin e Alì Khamenei, è diventato così fondamentale perseguire almeno il secondo obiettivo, soprattutto ora che siriani, russi e iraniani fanno lo sforzo decisivo per riconquistare tutta la Siria. Altrimenti la sconfitta sarebbe totale e politicamente devastante.
Per questo gli americani sono intervenuti con inattesa durezza, uccidendo con i bombardamenti aerei almeno un centinaio di soldati, quando le colonne siriane hanno cominciato a spingersi verso Est, contro le milizie dei curdi e delle Forze democratiche siriane, nell’area dove più importanti sono i giacimenti petroliferi.
Non è complicato dimostrare che questo sia il piano. Basta osservare quanto sia diverso il comportamento degli americani rispetto agli stessi alleati (i curdi, soprattutto) in un’altra area della Siria, quel cantone di Afrin dove l’esercito turco, per ordine di Recep Tayyip Erdoğan, ha preso a martellare le milizie che pure avevano bravamente combattuto l’Isis. Lì, gli alleati americani lasciano fare e si sono accontentati di invitare i turchi a «usare moderazione». Ma Afrin non è di alcun interesse strategico per gli americani, che in Turchia sono già saldamente insediati nella base aerea Nato di Incirlik e da lì possono controllare sia il Sud della Turchia sia il Nord della Siria. Ben diversa l’importanza strategica del cuore del cosiddetto Siraq, fino a pochi mesi fa occupato dall’Isis e posto perfettamente a cavallo tra la Siria di Assad e l’Iraq dei governi di fedele osservanza filo-iraniana.

Gen. Bertolini*: "Gli Stati Uniti per i loro interessi difendono ancora una volta i terroristi"


Generale, che giudizio dà di questo attacco americano inaspettato contro Assad?  Lo ritengo sbagliato. In Siria oggi non ci sono solo due parti che si combattono. Ci sono i terroristi, i siriani governativi che combattono i terroristi, poi c'è una terza parte che sostiene la Free Syrian Army dove però da tempo sono confluiti personaggi che hanno operato nell'area di al Qaeda e che sono contro Assad. Questa parte, sostenuta dagli Usa, controlla una zona particolare vicino al confine con la Giordania, dove c'è anche una base americana che consente di collegare Baghdad a Damasco.
In sostanza, gli americani sostengono i terroristi, è così?  Gli americani quando devono scegliere tra Assad e i terroristi non scelgono Assad, e questo lo fanno gli americani e anche gli israeliani.
Che proprio pochi giorni fa hanno bombardato depositi di armi che si dicono chimiche vicino a Damasco.   Gli israeliani è dall'inizio della guerra che intervengono contro i siriani colpendoli a Damasco. Il loro progetto è ampliare l'area a ridosso delle alture del Golan per avere una zona in territorio siriano sgombra da Hezbollah e siriani. E' una guerra sporca.
Sembrava che Trump avesse una politica verso la Siria diversa da quella di Obama che ha sempre sostenuto i terroristi, invece non è così.   Io speravo non finisse così ma in un certo senso me lo aspettavo.
Perché?  La politica estera americana non cambia con chi è al governo, ricordiamo che la guerra in Kosovo è stata iniziata da un democratico, Bill Clinton, che ha fatto bombardare il legittimo governo serbo per sottrargli il Kosovo. L'America ha una sua politica imperiale che non guarda in faccia nessuno, guarda solo agli interessi dei suoi alleati. Trump sicuramente si presentava con un programma diverso, aveva detto che non era Assad il suo problema, sembrava che potesse rimanere al governo. In realtà l'establishment americano ha la capacità di imporre anche alla politica la continuità imperialista e Trump non ha bisogno di altri nemici da aggiungere a quanti ne ha già.
L'attacco americano può essere stato dettato anche dalla presenza russa in Siria?  La presenza russa in Siria è tale perché richiesta dal governo a differenza degli americani che non li ha chiamati nessuno. Gli Usa non vogliono la presenza di Putin nel Mediterraneo, quando hanno potuto fare qualcosa per impedirlo lo hanno fatto.
Ad esempio?  Quando Erdogan abbatté l'aereo russo lo fece perché obbediva agli americani. Sono sempre stati estremamente attenti a fare di tutto per impedire ai russi di riguadagnare la posizione nel Mediterraneo che avevano in passato. Lo fanno in Siria dove per i russi è fondamentale avere il controllo di alcuni porti e lo fanno in Ucraina dove c'è la sede della flotta in Crimea. Teatri lontani ma in realtà l'aspetto del contrasto russo-americano li rende connessi.
*generale Marco Bertolini, ex comandante del Coi, con all'attivo missioni dal Libano ai Balcani all'Afghanistan

mercoledì 7 febbraio 2018

Aleppo. La ricostruzione…dei corpi

Storie siriane 2018 (1)

raccolte da Marinella Correggia

Testimonianza di Naim Marachly, protesista ad Aleppo (*)

Ad Aleppo, la mia città, mentre studiavo lettere incontrai per strada un bambino poliomielitico che mendicava. La mia vita cambiò in quel momento. Cominciai con un piccolo gruppo a impegnarmi nel volontariato.

Andai a studiare in Svizzera, con l’obiettivo di tornare in Siria e mettere su un laboratorio ortopedico, per aiutare le persone a camminare. E così feci, nel 1985, una volta finiti gli studi. Non fu facile trovare altri con lo stesso amore per questo lavoro. Finalmente fui contattato dalle suore francescane che lavoravano a Raqqa e Assakè. Ogni due mesi visitavamo i bambini più poveri, prendendo le misure per costruire loro corsetti e altri dispositivi. Intanto continuavo a seguire i miei pazienti ad Aleppo: soprattutto bambini che colpiti da poliomielite o da scoliosi. Ho realizzato anche protesi per diabetici.

Tutto funzionava come…un orologio svizzero. Fino a quando, nel 2012, la guerra non arrivò anche qui ad Aleppo. Dopo un po’, per forza di cose ho cominciato a lavorare su una nuova categoria di pazienti: gli amputati di guerra…

Non ne conosco il numero preciso nel mio paese, dopo tutti questi anni, né ci sono cifre ufficiali, ma si stima che possano essere 30.000. Un numero enorme. Uomini, donne, giovani, bambini…hanno perso soprattutto gli arti inferiori, gambe amputate al livello della tibia o del femore; spesso sono amputati di due arti.

Lavorando durante questi anni di sofferenze ho potuto aiutare 186 pazienti, fra i quali 19 bambini, 13 donne, e, fra gli uomini, tantissimi giovani di meno di venti anni. E’ molto difficile fare qualcosa per gli arti superiori. Le persone che li hanno persi in tutto o in parte si illudono che potranno tornare a lavorare con le mani come prima. Ma qui, per ora, è possibile solo fare mani con un’articolazione semplice, o estetiche. ed è dura farglielo accettare. Per le protesi relative agli arti inferiori, va meglio. Ma per gli arti superiori è difficile! Poi occorre educare il paziente, riparare in caso di guasti…

All’inizio della guerra alcuni donatori locali, per esempio commercianti, pagavano le protesi per persone rimaste prive di tutto. Le organizzazioni umanitarie in genere si occupano solo di cibo e alloggio. Non ci sono programmi speciali per finanziare le protesi. E i donatori hanno quasi smesso, è difficile proseguire. Una giovane donna siriana che vive all’estero mi ha contattato per aiutarmi; adesso finanzia i costi relativi ad alcune protesi destinate a bambini di meno di quindici anni…E poi c’è la Chiesa latina che aiuta per alcuni casi, soprattutto di bambini.

La gente è diventata povera; il costo di un tutore, di un apparecchio correttivo, di una protesi è elevato per tanti. Vengono numerosi, ma poi pochi riescono a pagare. E le persone cercano protesi sofisticate, vengono a chiedere, ma il prezzo è troppo alto per loro, e se ne vanno.

Diciamo che malgrado le sanzioni, si arriva a far passare il materiale per le protesi…

Il mio sogno? E’ lo stesso di quando tornai dalla Svizzera… servire le persone, ora rovinate dalla guerra. Offrire loro protesi adatte ed efficaci e sofisticate, e gratuitamente!

L’ultimo caso che ho trattato mi ha fatto soffrire molto. Un giovane che ha perso la gamba a causa di una mina. Con l’aiuto di diverse persone abbiamo trovato il denaro per la protesi. L’abbiamo messo in piedi, si è riabituato a camminare. Aveva iniziato a lavorare come portinaio in una scuola. Ma ecco che il moncone si è rattrappito, è diminuito di volume. Non può più camminare. E’ di nuovo a terra, in attesa di trovare i soldi per rifare tutto…

Ecco solo uno dei casi.

Abbiamo bisogno di sognare, finché il sogno non diventerà realtà.

E intanto, come un lupo un po’ solitario, continuo a battermi per rimettere in piedi il maggior numero possibile di pazienti.

(*) Naim sta curando, fra gli altri, il piccolo Mahmoud che in questa guerra ha perso non solo il papà soldato (disperso) ma anche le sue due gambe, mentre era già nato senza braccia.

lunedì 5 febbraio 2018

Sulla notizia dell’abbattimento di un caccia russo a Idlib...

Piccole Note, 5 febbraio 2018

"I ribelli abbattono un caccia russo", riportavano ieri e oggi i titoli e gli articoli. E ciò nonostante sia noto a tutti che non si trattava di ribelli, ma di terroristi: per la precisione Idlib è controllata da al Nusra, affiliata ad al Qaeda, l’organizzazione alla quale è ascritto l’attentato delle Torri Gemelle.
Tanto che successivamente la stessa al Nusra ha rivendicato l’abbattimento. come riporta l’informatissimo Site. Come accaduto troppo spesso durante la guerra siriana, le notizie sul conflitto sono subordinate alla necessità di alimentare la narrativa che vede Damasco e i suoi alleati (russi e iraniani) nella veste dei cattivi che reprimono una ribellione nata in nome della libertà e della democrazia.
Tale deformazione informativa ha portato, e porta, a dare l’etichetta di 'ribelli' anche a formazioni dichiaratamente terroriste. È accaduto in passato, accade oggi.
Lo sconcerto per tale indebita deformazione si somma ad un altro: come mai tale gruppo terrorista ha armi in grado di buttare giù un aereo?
La risposta è semplice: gliele abbiamo fornite noi: l’Occidente, Stati Uniti in testa, armando gruppi jihadisti che le hanno poi consegnate ai loro più agguerriti alleati.
Un pericoloso transito di armi denunciato più volte anche da fonti occidentali (ad esempio il premio pulitzer Seymour Hersc). E più che noto a quanti materialmente hanno rifornito e riforniscono le milizie jihadiste di tali armamenti.
Oggi la legione straniera del Terrore prende di mira i jet russi (cosa che peraltro sembra più che gradita all’Occidente), ma nulla garantisce che domani possa prendere di mira anche un aereo di linea occidentale.
Evidentemente tale rischio non interessa ai costruttori di guerra, che pur di far cadere Assad sono disposti a mettere a repentaglio la vita dei cittadini europei e americani.
Circostanza che illumina di una luce nuova la narrativa che abbiamo citato in precedenza. Non il racconto di una conflitto, ma  un romanzo criminale ancora tutto da scrivere.

giovedì 1 febbraio 2018

Siria, un po' di storia...

Il tempio ittita di Ain Dara distrutto dall'aviazione turca . L'importante luogo di culto, attivo dal 1300 a.C. al 740 a.C., è stato colpito nel corso di un raid contro le postazioni curdeE' una perdita enorme per la storia, per l'archeologia, e per la Siria

di Claude Zerez 
La Siria è alla frontiera di due spazi culturali antitetici: lo spazio occidentale, affacciato sul Mediterraneo e lo spazio orientale per la sua apertura sul Medio Oriente asiatico. Questo Paese, che costituisce un crocevia nevralgico per gli scambi tra il nord Africa, l'Arabia, l'Asia Orientale, Occidentale e Minore è anche un passaggio obbligato verso l'Europa. È grazie alla sua posizione geografica che la Siria è diventata un paese dalle molteplici sfaccettature in cui si sono mescolati popoli e lingue diverse: Aramei, Cananei, Ebrei, Nabatei, Persiani, Greci, Romani, Bizantini e Arabi.
Per questa sua situazione centrale, la Siria ha avuto una storia molto movimentata. Spesso essa ha dovuto piegarsi sotto la pressione e l'influenza di altri popoli. Essa fu in successione occupata, lacerata e ambita dai diversi Imperi le cui capitali erano situate in Mesopotamia, in Egitto e nell'Europa mediterranea (Roma, Costantinopoli). Questo gigantesco fermento culturale fa oggi la ricchezza incomparabile di questo paese. Di conseguenza, la storia umana della Siria si rivela molto complessa attraverso reti molto fitte di tipo semita, sia di ebrei, cristiani o musulmani.
La Siria è anche l'asse principale attraverso il quale le civiltà si sono spostate, poiché l'Eufrate che la attraversa fu nel corso della storia la via naturale di comunicazione. Civiltà in movimento in Siria, civiltà autonoma, sedentaria e ripiegata su se stessa in Egitto.
Andare in Siria equivale a tornare indietro alle radici della storia umana. I riferimenti storici alla civiltà giudaico-cristiana ci fanno spesso risalire ai Greci e alla Bibbia. Ma non dovremmo tornare ancora più indietro, all'Oriente antico? Le origini più remote che l'uomo ha riesumato non si trovano forse in Mesopotamia? La Siria finestra mediterranea della Mesopotamia, non ha forse partecipato attivamente a questa grande rivoluzione che ha fatto passare l'umanità dalla preistoria alla storia?
La Siria custodisce un patrimonio culturale di oltre 5000 anni. E' orgogliosa di possedere i più antichi centri urbani che furono abitati senza interruzione e la sua storia è caratterizzata da quattro tempi forti.
1 - Nei musei di Damasco e di Aleppo, a Ebla, a Ugarit e Mari, è possibile farsi un'idea abbastanza precisa di come la Siria, nel III° millennio avanti Cristo, abbia partecipato alla grande rivoluzione urbana e culturale di questo periodo che ci ha lasciato l'alfabeto.
2 - Alessandro, nel IV° secolo a.C. tenta la fusione tra Oriente e Occidente: ed è in terra siriana che immagina questo incredibile incontro tra lo spirito classico dei Greci e l'anima appassionata dell'Oriente semitico. Ciò che ne risulta sono queste favolose città ellenistiche come Apamea e Antiochia, che rappresentano bene il ruolo essenziale svolto dalla Siria in questo incontro delle civiltà Greco-romana e Orientale, incontro pericoloso poiché la Siria costituiva allora una Provincia di confine tra l'Occidente romano e l'Oriente persiano, ma incontro brillante poiché Palmira poté svolgere il ruolo di arbitro.
3 - E' il dinamismo e la diffusione folgorante del cristianesimo che viene a modificare completamente il volto del mondo e i rapporti tra le culture. Il Cristianesimo è stato sia il cemento unificante, ma anche una leva che ha riattivato le culture semitiche locali. Il Paese diventa cristiano, fieramente cristiano. La Siria è "la punta di lancia" della nuova religione che sviluppa un pensiero brillante e un nuovo stile di vita originale che è il monachesimo. Cambiando religione, cambia anche il padrone: essa passa sotto il dominio di Bisanzio, quindi dell'Europa, ma non per molto, poiché il giogo imperialista di Bisanzio le è rapidamente insopportabile e, intrappolata tra i Persiani e i Bizantini che se la contendono, accoglie nel 634 una terza forza, gli Arabi, potenza inaspettata in mezzo a questi vecchi Imperi.
4 - La Siria diventa musulmana. Una nuova pagina si scrive, forse la più brillante poiché Damasco diventa la capitale dell'impero musulmano. La configurazione geopolitica del mondo è completamente modificata. Un unico Impero si estende dall'Atlantico ai confini della Cina, unendo per la prima volta mondo mediterraneo e mondo asiatico. La Siria e la Mesopotamia, che fino ad allora formavano la periferia dell'Impero, si trovarono a formare da entrambe le parti della steppa un nuovo centro.
Al centro di questo lungo periodo delle origini al giorno d'oggi, una parentesi segna la storia siriana. E ' il periodo Crociato che imprime, durante due secoli, un marchio indelebile in terra siriana, attraverso l'architettura romanica e gotica che l'Occidente porta in Siria. 
Di conseguenza, il Paese abbonda di molte ricchezze; un Paese a cui l'umanità è debitrice; un Paese che ha sofferto molto, perché è sempre stato un pomo della discordia tra gli Imperi; un Paese che ha creato molto, proprio perché il Paese è stato un luogo di fermento delle culture.
Infine, bisogna tenere ben presente che se il cristianesimo è nato a Gerusalemme, ha preso il suo slancio in Siria. Il Paese si trova nelle immediate vicinanze della Palestina. Spesso menzionato nella Bibbia, ha svolto un ruolo essenziale nel debutto del cristianesimo. Basta, per rendersene conto, rileggere gli Atti degli Apostoli. È ad Antiochia, allora capitale della Siria Apostolica, che la Chiesa si aprì ampiamente ai pagani e che i discepoli di Gesù ricevettero per la prima volta il nome di Cristiani. È sulla via di Damasco, la sua attuale capitale, che Saulo si convertì e divenne l'apostolo Paolo. A Damasco si erge sempre la casa dove il suo vescovo Anania lo iniziò al Vangelo.
A Doura-Europos, nel deserto siriano, si può visitare la più antica chiesa conosciuta del mondo; una chiesa clandestina, allestita nel 232 d.C. che si trova all'interno di una casa e ci fa risalire ai tempi in cui gli imperatori Romani perseguitavano i cristiani. Nel Nord-Ovest del paese si ergono le rovine di centinaia di monasteri e chiese costruite verso la fine dell'epoca Antica.
Non ci resta che sperare la pace, la democrazia vera e laica e il rispetto dei credenti, qualunque essi siano, affinché nuovamente la Siria torni luogo di incontro e di passaggio per tutti coloro che vogliono ritrovare le tracce autentiche e vere delle civiltà, musulmane e giudaico-Cristiane.

martedì 30 gennaio 2018

Testimoni di un mondo divino: il perdono di Christine

Christine è una vittima dell'attentato del 22 gennaio sui quartieri Bab Touma e  al-Shagour di Damasco, quando numerosi colpi di mortaio sono stati lanciati dai ribelli stanziati nel Ghouta all'ora dell'uscita dalle scuole cristiane. Per la granata ricevuta le hanno dovuto amputare la gamba sinistra, mentre per la sua amica Rita, il piccolo Elias di 3 anni e altri 21 persone, si sono spalancate le porte del Paradiso. 
In questo video si può ascoltare la straordinaria testimonianza di questa forte ragazza cristiana e della sua magnifica famiglia.



Christine:  "Spero di essere l'ultima vittima del terrorismo"
                  "Vorrei continuare la mia vita come era prima, con tutti i progetti e sogni, e continuare a   studiare "
                   "Non provo alcun odio contro quell'uomo che ha buttato la bomba"

I genitori: "Siamo meravigliati dalla determinazione e volontà di Christine"
                   "Abbiamo un dolore così grande che non auguro a nessuno, neanche a quelli che ci         hanno colpito"
                   "Perdoniamo tutti, non riusciranno a fermare la Siria con questi atti terroristici".
                   "Resteremo in Siria, perchè amiamo la terra siriana"


Dal convento francescano del Memoriale di San Paolo, situato proprio nel quartiere Bab Touma, fra Bahjat Karakach testimonia
«Tantissime persone affollavano la piccola anticamera della terapia intensiva, una attesa bruciante scandita dalla preghiera di un coro di persone che in attesa di sapere se i loro cari ce la faranno, se riusciranno a sopravvivere, pur nella tragedia di aver perso una gamba o un occhio... E dall’interno si sentivano solo grida di dolore... I medici si prodigavano ma senza poter soddisfare i bisogni di decine di feriti, sopraggiunti tutti insieme dalla vicina piazza di Bab Touma. La scena era apocalittica all’ospedale Saint Louis. Me lo ha raccontato Georgette, che era lì per sostenere i genitori di una ragazza sedicenne, sua parente, che all’uscita dalla scuola è stata raggiunta, con molte altre persone, da un colpo di mortaio lanciato dalla zona di Jobar alla periferia di Damasco, occupata dai terroristi».  Continua il frate: «Cristina, la sedicenne, ha subito l’amputazione della gamba. Ma è stata “fortunata”; Rita, la sua compagna, non ce l’ha fatta. Così come Elias, che aveva appena tre anni, e altri ancora che saranno per sempre nel ricordo triste dei damasceni. Ancora una volta si riapre la ferita, mai completamente rimarginata, di una violenza assurda e gratuita, di una guerra fomentata da interessi regionali e internazionali che usano il popolo siriano quale carburante inestinguibile. La violenza che alberga nel cuore di persone indottrinate all’odio verso il diverso continua a colpire tutti indistintamente, soprattutto le chiese: ieri la cattedrale maronita e la settimana scorsa la chiesa francescana e quella dei greci cattolici. Ma le comunità cristiane restano a Damasco, come piccolo segno di riconciliazione e di speranza per tutto il popolo siriano».