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venerdì 16 febbraio 2018

Il Papa e la Comunione con la Chiesa sofferente in Siria

Papa Francesco, vicino con il cuore e la preghiera alle comunità cristiane sofferenti in Medioriente, ha rivolto parole di incoraggiamento ai membri del Sinodo Greco Melkita, ricevuti in Vaticano.

Beatitudine, cari Fratelli nell’Episcopato,
Vi ringrazio per la vostra visita. La felice occasione è data dalla manifestazione pubblica della Comunione Ecclesiastica, che avrà luogo domani mattina durante la Celebrazione eucaristica e che ho già avuto modo di accordare a Vostra Beatitudine nella Lettera del 22 giugno scorso, dopo la Sua elezione a Patriarca, Pater et Caput, da parte del Sinodo dei Vescovi.
Allora, come oggi, caro Fratello, Le assicuro la mia costante vicinanza nella preghiera: che il Signore Risorto Le sia vicino e La accompagni nella missione affidataLe. È una preghiera che non può essere dissociata da quella per l’amata Siria e per tutto il Medio Oriente, regione nella quale la vostra Chiesa è profondamente radicata e svolge un prezioso servizio per il bene del Popolo di Dio. Una presenza, la vostra, che non si limita al Medio Oriente, ma si estende, ormai da molti anni, a quei Paesi nei quali tanti fedeli greco-melkiti si sono trasferiti in cerca di una vita migliore. Anche a questi fedeli in diaspora e ai loro Pastori vanno la mia preghiera e il mio affettuoso ricordo. 
In questo difficile periodo storico tante comunità cristiane in Medio Oriente sono chiamate a vivere la fede nel Signore Gesù in mezzo a molte prove. Auspico vivamente che, con la loro testimonianza di vita, i Vescovi e i sacerdoti greco-melkiti possano incoraggiare i fedeli a rimanere nella terra dove la Provvidenza divina ha voluto che nascessero. Nella menzionata Lettera di giugno ricordavo che «mai come in questi momenti i Pastori sono chiamati a manifestare, davanti al popolo di Dio che soffre, comunione, unità, vicinanza, solidarietà, trasparenza e testimonianza». Vi invito fraternamente a proseguire su questa strada. Come sapete, ho indetto, per il 23 di questo mese, una giornata di preghiera e digiuno per la pace. In quella occasione non mancherò di ricordare, in maniera speciale, la Siria, colpita in questi ultimi anni da sofferenze indicibili.

Giungete pellegrini a Roma, presso la tomba dell’Apostolo Pietro, a conclusione della vostra ultima Assise sinodale, che si è svolta in Libano nei primi giorni del mese. Si tratta sempre di un momento fondamentale, di cammino comune, durante il quale Patriarca e Vescovi sono chiamati a prendere decisioni importanti per il bene dei fedeli, anche attraverso l’elezione dei nuovi Vescovi, di Pastori che siano testimoni del Risorto. Pastori che, come fece il Signore con i suoi discepoli, rianimino i cuori dei fedeli, stando loro vicini, consolandoli, scendendo verso di loro e verso i loro bisogni; Pastori che, al tempo stesso, li accompagnino verso l’alto, a “cercare le cose di lassù, dov’è Cristo, non quelle della terra” (cfr Col 3,1-2). Abbiamo tanto bisogno di Pastori che abbraccino la vita con l’ampiezza del cuore di Dio, senza adagiarsi nelle soddisfazioni terrene, senza accontentarsi di mandare avanti quello che già c’è, ma puntando sempre in alto; Pastori portatori dell’Alto, liberi dalla tentazione di mantenersi “a bassa quota”, svincolati dalle misure ristrette di una vita tiepida e abitudinaria; Pastori poveri, non attaccati al denaro e al lusso, in mezzo a un popolo povero che soffre; annunciatori coerenti della speranza pasquale, in perenne cammino con i fratelli e le sorelle. Mentre sarò lieto di accordare l’Assenso Pontificio ai Vescovi da voi eletti, vorrei poter toccare con mano la grandezza di questi orizzonti.
Beatitudine, Eccellenze, rinnovo di cuore la mia gratitudine per la vostra fraterna visita. Quando farete ritorno alle vostre Sedi e incontrerete i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i fedeli, ricordate loro che sono nel cuore e nella preghiera del Papa. La Tutta Santa Madre di Dio, Regina della pace, vi custodisca e vi protegga. E mentre ho la gioia di dare a voi e alle vostre comunità la mia Benedizione, vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie.

Riportiamo di seguito le brevi parole che il Santo Padre ha rivolto nel corso della Messa e la traduzione in lingua italiana delle parole di ringraziamento del Patriarca al Papa:

Parole del Santo Padre
Questa Messa con il nostro fratello, patriarca Youssef, farà la apostolica communio: lui è padre di una Chiesa, di una Chiesa antichissima e viene ad abbracciare Pietro, a dire “io sono in comunione con Pietro”. Questo è quello che significa la cerimonia di oggi: l’abbraccio del padre di una Chiesa con Pietro. Una Chiesa ricca, con la propria teologia dentro la teologia cattolica, con la propria liturgia meravigliosa e con un popolo, in questo momento gran parte di questo popolo è crocifisso, come Gesù. Offriamo questa Messa per il popolo, per il popolo che soffre, per i cristiani perseguitati in Medio Oriente, che danno la vita, danno i beni, le proprietà perché sono cacciati via. E offriamo anche la Messa per il ministero del nostro fratello Youssef.

Ringraziamento del Patriarca al Santo Padre
Santità,
Vorrei ringraziarLa per questa bella Messa di comunione, a nome di tutto il Sinodo della nostra Chiesa greco-melkita cattolica. Personalmente, sono veramente commosso dalla Sua carità fraterna, dai gesti di fraternità, di solidarietà che ha dimostrato alla nostra Chiesa, nel corso di questa Messa. Le promettiamo di tenerLa sempre nei nostri cuori, nel cuore di noi tutti, clero e fedeli, e ricorderemo sempre questo evento, questi istanti storici, questo momento che non riesco a descrivere per quanto è bello: questa fraternità, questa comunione che lega tutti i discepoli di Cristo. Grazie, Santità.

martedì 13 febbraio 2018

Mons. Abou Khazen, “Gesù sta patendo sulla croce per tutta la popolazione della Siria"


La drammatica testimonianza del vicario apostolico di Aleppo, mons. Georges Abou Khazen.  È un Paese lacerato quello che fra un mese entrerà nel suo ottavo anno di guerra.


S.I.R.  12 febbraio 2018

“Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”. Era l’agosto del 2014, quando Papa Francesco, durante il suo viaggio apostolico in Corea del Sud, pronunciava queste parole. Parole quanto mai attuali se riferite a quanto sta avvenendo in questi giorni in Siria dove si registra una escalation del conflitto dopo lo scontro tra Iran e Israele che hanno visto abbattuti rispettivamente un drone iraniano e un caccia F-16 con la Stella di David. E sebbene la guerra sia stata dichiarata conclusa dal presidente Assad e dal suo primo alleato, il presidente russo Putin, sul tavolo verde siriano le potenze regionali e internazionali continuano a giocare le loro carte: turchi, israeliani, curdi, russi, americani, iraniani, hezbollah libanesi, sauditi, i resti di Daesh e le milizie di al-Nusra. Si combatte nell’enclave curda di Afrin, a Idlib nel nord-ovest del Paese, teatro di un’offensiva governativa contro i ribelli, a Deir ez-Zor.

Bombe anche a Damasco dove fonti locali parlano di colpi di mortaio che hanno centrato il patriarcato siro ortodosso, causando morti e feriti. L’Onu ha aperto un’inchiesta relativa all’uso di bombe al cloro da parte dell’esercito regolare. Accusa respinta da Damasco. E nel risiko siriano affondano anche le tenui speranze di negoziati legate all’ultima conferenza di pace di Sochi, di fine gennaio, nella quale è stato chiesto rispetto per l’integrità territoriale del Paese e ribadito che solo il popolo siriano dovrebbe decidere la forma del proprio governo. Nella stessa conferenza è stata approvata la creazione di una commissione costituzionale con una lista di 150 partecipanti, due terzi in rappresentanza del governo siriano, un terzo dell’opposizione.
“Qui è di nuovo l’inferno. Piovono bombe e la povera popolazione siriana non smette mai di soffrire. Perché tutto questo? Quando finirà?”.
È un fiume in piena mons. Georges Abou Khazen, francescano della Custodia di Terra Santa e vicario apostolico di Aleppo. Al telefono, dalla città martire siriana, denuncia: “Ogni volta che rinasce un briciolo di speranza ecco che questo viene sepolto di nuovo dalle bombe. Ogni volta che si compiono timidi passi in avanti per la ripresa di negoziati, ecco che ci ricacciano indietro. Perché?”. Non ci sono risposte certe, l’unica, dice, “è continuare a sperare”. Ciò che sta accadendo nel Ghouta orientale, a Damasco, Idlib e Afrin è una tragedia immane. Qui secondo l’Unicef sono stati uccisi, nel solo mese di gennaio, 60 bambini e molti altri sono stati feriti durante i combattimenti in corso.

“Siamo addolorati – prosegue mons. Abou Khazen - La gente soffre e si chiede cosa accadrà. Ci sono migliaia di famiglie, donne, anziani intrappolate dalle bombe delle parti in lotta. Sono queste persone la parte più debole della popolazione. Ma soprattutto ci sono migliaia di bambini malnutriti, abbandonati, orfani, che vagano soli, che hanno bisogno di ogni forma di assistenza materiale e morale”.

Piccoli che diventano preda delle fazioni armate in lotta: “In alcune zone, soprattutto quelle sotto controllo dello Stato Islamico (Daesh) e di Al Nusra – spiega il religioso francescano – i più piccoli vengono arruolati, addestrati alla guerra e mandati a combattere”.
 Ma l’emergenza non finisce qui. “Urgono aiuti di ogni genere. In tante zone del Paese manca il lavoro, migliaia di famiglie hanno necessità di rimettere in piedi la propria abitazione per avere di nuovo un tetto sulla testa. Come Chiesa stiamo cercando di aiutare quante più persone possibile ma i bisogni sono enormi. Non abbandonateci”, dice con voce accorata il vescovo.

La tragedia siriana non conosce fine. Daesh? “Sembra essere stato sconfitto ma non è così – risponde mons. Abou Khazen – 
Daesh è il cavallo di Troia per le potenze coinvolte nella guerra.

Serve loro per spostare il conflitto da un punto all’altro della Siria, a seconda delle convenienze.

Ma non c’è solo Daesh, nel campo di battaglia siriano. Ci sono Al Nusra e tanti altri gruppi affiliati teleguidati da tutte le potenze, regionali e internazionali, coinvolte in questo conflitto per procura. Li assoldano, li addestrano e li armano: questo è il maggiore ostacolo al dialogo tra le parti siriane”.

Mai come oggi le sorti della Siria sono nelle mani di Usa, Arabia Saudita, Israele, Russia, Iran, Turchia:
“Si stanno dividendo le vesti del nostro Paese. 
Abbiamo paura di una spartizione della Siria.
È giusto che per interessi economici e politici un intero popolo debba soffrire così?”. 

“Gesù sta patendo sulla croce per tutta la popolazione della Siria, senza distinzione di etnia e fede. Siamo un corpo solo. La guerra – ricorda il vicario – ha allontanato i siriani dalle loro terre e case, metà della popolazione è profuga, centinaia di migliaia di morti, milioni di feriti, almeno diecimila rapiti, spariti nel nulla e dei quali non si conosce la sorte. Cosa altro vogliono da noi queste potenze?”.



È un Paese lacerato quello che fra un mese entrerà nel suo ottavo anno di guerra.
Il pensiero del vicario apostolico va ai più giovani: “Quelli che hanno potuto, hanno lasciato il Paese.
Che generazioni future avremo se non verranno formate alla giustizia, al diritto e alla pace? Cosa ne sarà di loro? E cosa sarà della società che verrà? La speranza non deve abbandonarci perché abbiamo la certezza che il nostro destino non è nelle mani di un uomo o di una superpotenza. Il nostro destino è nelle mani di Dio, Padre provvidente.

In Lui, e solo in Lui, poniamo la nostra salvezza”.

venerdì 9 febbraio 2018

Le bombe Usa sui soldati siriani, ecco perché


di Fulvio Scaglione

Nella notte tra il 7 e l’8 febbraio la prima vera battaglia diretta tra le forze della coalizione internazionale capitanata dagli Usa e l’esercito regolare siriano ha complicato le cose, perché ha portato a fronteggiarsi due grandi forze militari su un terreno in cui, a dispetto di tutte le precauzioni (i quartieri generali americano e russo sono rimasti in contatto durante tutto lo scontro), le operazioni possono anche sfuggire al controllo dei comandi. Da un altro punto di vista, però, le ha chiarite e semplificate, perché le ha riportate alla loro origine.
Fin dall’inizio, ormai sette anni fa, le intromissioni nella guerra civile siriana da parte dei gruppi terroristici finanziati dai Paesi del Golfo Persico (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar in prima fila) con la tacita approvazione degli Usa e di gran parte dei Paesi dell’Occidente, avevano come scopo lo smembramento territoriale della Siria e la sottrazione al controllo di Damasco delle maggiori risorse naturali del Paese. Grazie (o a causa) all’intervento militare russo del 2015, al sostegno dell’Iran e all’accordo politico che Russia e Turchia hanno in seguito raggiunto, il primo obiettivo è stato mancato.
Così per gli oppositori internazionali di Bashar al-Assad, Vladimir Putin e Alì Khamenei, è diventato così fondamentale perseguire almeno il secondo obiettivo, soprattutto ora che siriani, russi e iraniani fanno lo sforzo decisivo per riconquistare tutta la Siria. Altrimenti la sconfitta sarebbe totale e politicamente devastante.
Per questo gli americani sono intervenuti con inattesa durezza, uccidendo con i bombardamenti aerei almeno un centinaio di soldati, quando le colonne siriane hanno cominciato a spingersi verso Est, contro le milizie dei curdi e delle Forze democratiche siriane, nell’area dove più importanti sono i giacimenti petroliferi.
Non è complicato dimostrare che questo sia il piano. Basta osservare quanto sia diverso il comportamento degli americani rispetto agli stessi alleati (i curdi, soprattutto) in un’altra area della Siria, quel cantone di Afrin dove l’esercito turco, per ordine di Recep Tayyip Erdoğan, ha preso a martellare le milizie che pure avevano bravamente combattuto l’Isis. Lì, gli alleati americani lasciano fare e si sono accontentati di invitare i turchi a «usare moderazione». Ma Afrin non è di alcun interesse strategico per gli americani, che in Turchia sono già saldamente insediati nella base aerea Nato di Incirlik e da lì possono controllare sia il Sud della Turchia sia il Nord della Siria. Ben diversa l’importanza strategica del cuore del cosiddetto Siraq, fino a pochi mesi fa occupato dall’Isis e posto perfettamente a cavallo tra la Siria di Assad e l’Iraq dei governi di fedele osservanza filo-iraniana.

Gen. Bertolini*: "Gli Stati Uniti per i loro interessi difendono ancora una volta i terroristi"


Generale, che giudizio dà di questo attacco americano inaspettato contro Assad?  Lo ritengo sbagliato. In Siria oggi non ci sono solo due parti che si combattono. Ci sono i terroristi, i siriani governativi che combattono i terroristi, poi c'è una terza parte che sostiene la Free Syrian Army dove però da tempo sono confluiti personaggi che hanno operato nell'area di al Qaeda e che sono contro Assad. Questa parte, sostenuta dagli Usa, controlla una zona particolare vicino al confine con la Giordania, dove c'è anche una base americana che consente di collegare Baghdad a Damasco.
In sostanza, gli americani sostengono i terroristi, è così?  Gli americani quando devono scegliere tra Assad e i terroristi non scelgono Assad, e questo lo fanno gli americani e anche gli israeliani.
Che proprio pochi giorni fa hanno bombardato depositi di armi che si dicono chimiche vicino a Damasco.   Gli israeliani è dall'inizio della guerra che intervengono contro i siriani colpendoli a Damasco. Il loro progetto è ampliare l'area a ridosso delle alture del Golan per avere una zona in territorio siriano sgombra da Hezbollah e siriani. E' una guerra sporca.
Sembrava che Trump avesse una politica verso la Siria diversa da quella di Obama che ha sempre sostenuto i terroristi, invece non è così.   Io speravo non finisse così ma in un certo senso me lo aspettavo.
Perché?  La politica estera americana non cambia con chi è al governo, ricordiamo che la guerra in Kosovo è stata iniziata da un democratico, Bill Clinton, che ha fatto bombardare il legittimo governo serbo per sottrargli il Kosovo. L'America ha una sua politica imperiale che non guarda in faccia nessuno, guarda solo agli interessi dei suoi alleati. Trump sicuramente si presentava con un programma diverso, aveva detto che non era Assad il suo problema, sembrava che potesse rimanere al governo. In realtà l'establishment americano ha la capacità di imporre anche alla politica la continuità imperialista e Trump non ha bisogno di altri nemici da aggiungere a quanti ne ha già.
L'attacco americano può essere stato dettato anche dalla presenza russa in Siria?  La presenza russa in Siria è tale perché richiesta dal governo a differenza degli americani che non li ha chiamati nessuno. Gli Usa non vogliono la presenza di Putin nel Mediterraneo, quando hanno potuto fare qualcosa per impedirlo lo hanno fatto.
Ad esempio?  Quando Erdogan abbatté l'aereo russo lo fece perché obbediva agli americani. Sono sempre stati estremamente attenti a fare di tutto per impedire ai russi di riguadagnare la posizione nel Mediterraneo che avevano in passato. Lo fanno in Siria dove per i russi è fondamentale avere il controllo di alcuni porti e lo fanno in Ucraina dove c'è la sede della flotta in Crimea. Teatri lontani ma in realtà l'aspetto del contrasto russo-americano li rende connessi.
*generale Marco Bertolini, ex comandante del Coi, con all'attivo missioni dal Libano ai Balcani all'Afghanistan

mercoledì 7 febbraio 2018

Aleppo. La ricostruzione…dei corpi

Storie siriane 2018 (1)

raccolte da Marinella Correggia

Testimonianza di Naim Marachly, protesista ad Aleppo (*)

Ad Aleppo, la mia città, mentre studiavo lettere incontrai per strada un bambino poliomielitico che mendicava. La mia vita cambiò in quel momento. Cominciai con un piccolo gruppo a impegnarmi nel volontariato.

Andai a studiare in Svizzera, con l’obiettivo di tornare in Siria e mettere su un laboratorio ortopedico, per aiutare le persone a camminare. E così feci, nel 1985, una volta finiti gli studi. Non fu facile trovare altri con lo stesso amore per questo lavoro. Finalmente fui contattato dalle suore francescane che lavoravano a Raqqa e Assakè. Ogni due mesi visitavamo i bambini più poveri, prendendo le misure per costruire loro corsetti e altri dispositivi. Intanto continuavo a seguire i miei pazienti ad Aleppo: soprattutto bambini che colpiti da poliomielite o da scoliosi. Ho realizzato anche protesi per diabetici.

Tutto funzionava come…un orologio svizzero. Fino a quando, nel 2012, la guerra non arrivò anche qui ad Aleppo. Dopo un po’, per forza di cose ho cominciato a lavorare su una nuova categoria di pazienti: gli amputati di guerra…

Non ne conosco il numero preciso nel mio paese, dopo tutti questi anni, né ci sono cifre ufficiali, ma si stima che possano essere 30.000. Un numero enorme. Uomini, donne, giovani, bambini…hanno perso soprattutto gli arti inferiori, gambe amputate al livello della tibia o del femore; spesso sono amputati di due arti.

Lavorando durante questi anni di sofferenze ho potuto aiutare 186 pazienti, fra i quali 19 bambini, 13 donne, e, fra gli uomini, tantissimi giovani di meno di venti anni. E’ molto difficile fare qualcosa per gli arti superiori. Le persone che li hanno persi in tutto o in parte si illudono che potranno tornare a lavorare con le mani come prima. Ma qui, per ora, è possibile solo fare mani con un’articolazione semplice, o estetiche. ed è dura farglielo accettare. Per le protesi relative agli arti inferiori, va meglio. Ma per gli arti superiori è difficile! Poi occorre educare il paziente, riparare in caso di guasti…

All’inizio della guerra alcuni donatori locali, per esempio commercianti, pagavano le protesi per persone rimaste prive di tutto. Le organizzazioni umanitarie in genere si occupano solo di cibo e alloggio. Non ci sono programmi speciali per finanziare le protesi. E i donatori hanno quasi smesso, è difficile proseguire. Una giovane donna siriana che vive all’estero mi ha contattato per aiutarmi; adesso finanzia i costi relativi ad alcune protesi destinate a bambini di meno di quindici anni…E poi c’è la Chiesa latina che aiuta per alcuni casi, soprattutto di bambini.

La gente è diventata povera; il costo di un tutore, di un apparecchio correttivo, di una protesi è elevato per tanti. Vengono numerosi, ma poi pochi riescono a pagare. E le persone cercano protesi sofisticate, vengono a chiedere, ma il prezzo è troppo alto per loro, e se ne vanno.

Diciamo che malgrado le sanzioni, si arriva a far passare il materiale per le protesi…

Il mio sogno? E’ lo stesso di quando tornai dalla Svizzera… servire le persone, ora rovinate dalla guerra. Offrire loro protesi adatte ed efficaci e sofisticate, e gratuitamente!

L’ultimo caso che ho trattato mi ha fatto soffrire molto. Un giovane che ha perso la gamba a causa di una mina. Con l’aiuto di diverse persone abbiamo trovato il denaro per la protesi. L’abbiamo messo in piedi, si è riabituato a camminare. Aveva iniziato a lavorare come portinaio in una scuola. Ma ecco che il moncone si è rattrappito, è diminuito di volume. Non può più camminare. E’ di nuovo a terra, in attesa di trovare i soldi per rifare tutto…

Ecco solo uno dei casi.

Abbiamo bisogno di sognare, finché il sogno non diventerà realtà.

E intanto, come un lupo un po’ solitario, continuo a battermi per rimettere in piedi il maggior numero possibile di pazienti.

(*) Naim sta curando, fra gli altri, il piccolo Mahmoud che in questa guerra ha perso non solo il papà soldato (disperso) ma anche le sue due gambe, mentre era già nato senza braccia.

lunedì 5 febbraio 2018

Sulla notizia dell’abbattimento di un caccia russo a Idlib...

Piccole Note, 5 febbraio 2018

"I ribelli abbattono un caccia russo", riportavano ieri e oggi i titoli e gli articoli. E ciò nonostante sia noto a tutti che non si trattava di ribelli, ma di terroristi: per la precisione Idlib è controllata da al Nusra, affiliata ad al Qaeda, l’organizzazione alla quale è ascritto l’attentato delle Torri Gemelle.
Tanto che successivamente la stessa al Nusra ha rivendicato l’abbattimento. come riporta l’informatissimo Site. Come accaduto troppo spesso durante la guerra siriana, le notizie sul conflitto sono subordinate alla necessità di alimentare la narrativa che vede Damasco e i suoi alleati (russi e iraniani) nella veste dei cattivi che reprimono una ribellione nata in nome della libertà e della democrazia.
Tale deformazione informativa ha portato, e porta, a dare l’etichetta di 'ribelli' anche a formazioni dichiaratamente terroriste. È accaduto in passato, accade oggi.
Lo sconcerto per tale indebita deformazione si somma ad un altro: come mai tale gruppo terrorista ha armi in grado di buttare giù un aereo?
La risposta è semplice: gliele abbiamo fornite noi: l’Occidente, Stati Uniti in testa, armando gruppi jihadisti che le hanno poi consegnate ai loro più agguerriti alleati.
Un pericoloso transito di armi denunciato più volte anche da fonti occidentali (ad esempio il premio pulitzer Seymour Hersc). E più che noto a quanti materialmente hanno rifornito e riforniscono le milizie jihadiste di tali armamenti.
Oggi la legione straniera del Terrore prende di mira i jet russi (cosa che peraltro sembra più che gradita all’Occidente), ma nulla garantisce che domani possa prendere di mira anche un aereo di linea occidentale.
Evidentemente tale rischio non interessa ai costruttori di guerra, che pur di far cadere Assad sono disposti a mettere a repentaglio la vita dei cittadini europei e americani.
Circostanza che illumina di una luce nuova la narrativa che abbiamo citato in precedenza. Non il racconto di una conflitto, ma  un romanzo criminale ancora tutto da scrivere.

giovedì 1 febbraio 2018

Siria, un po' di storia...

Il tempio ittita di Ain Dara distrutto dall'aviazione turca . L'importante luogo di culto, attivo dal 1300 a.C. al 740 a.C., è stato colpito nel corso di un raid contro le postazioni curdeE' una perdita enorme per la storia, per l'archeologia, e per la Siria

di Claude Zerez 
La Siria è alla frontiera di due spazi culturali antitetici: lo spazio occidentale, affacciato sul Mediterraneo e lo spazio orientale per la sua apertura sul Medio Oriente asiatico. Questo Paese, che costituisce un crocevia nevralgico per gli scambi tra il nord Africa, l'Arabia, l'Asia Orientale, Occidentale e Minore è anche un passaggio obbligato verso l'Europa. È grazie alla sua posizione geografica che la Siria è diventata un paese dalle molteplici sfaccettature in cui si sono mescolati popoli e lingue diverse: Aramei, Cananei, Ebrei, Nabatei, Persiani, Greci, Romani, Bizantini e Arabi.
Per questa sua situazione centrale, la Siria ha avuto una storia molto movimentata. Spesso essa ha dovuto piegarsi sotto la pressione e l'influenza di altri popoli. Essa fu in successione occupata, lacerata e ambita dai diversi Imperi le cui capitali erano situate in Mesopotamia, in Egitto e nell'Europa mediterranea (Roma, Costantinopoli). Questo gigantesco fermento culturale fa oggi la ricchezza incomparabile di questo paese. Di conseguenza, la storia umana della Siria si rivela molto complessa attraverso reti molto fitte di tipo semita, sia di ebrei, cristiani o musulmani.
La Siria è anche l'asse principale attraverso il quale le civiltà si sono spostate, poiché l'Eufrate che la attraversa fu nel corso della storia la via naturale di comunicazione. Civiltà in movimento in Siria, civiltà autonoma, sedentaria e ripiegata su se stessa in Egitto.
Andare in Siria equivale a tornare indietro alle radici della storia umana. I riferimenti storici alla civiltà giudaico-cristiana ci fanno spesso risalire ai Greci e alla Bibbia. Ma non dovremmo tornare ancora più indietro, all'Oriente antico? Le origini più remote che l'uomo ha riesumato non si trovano forse in Mesopotamia? La Siria finestra mediterranea della Mesopotamia, non ha forse partecipato attivamente a questa grande rivoluzione che ha fatto passare l'umanità dalla preistoria alla storia?
La Siria custodisce un patrimonio culturale di oltre 5000 anni. E' orgogliosa di possedere i più antichi centri urbani che furono abitati senza interruzione e la sua storia è caratterizzata da quattro tempi forti.
1 - Nei musei di Damasco e di Aleppo, a Ebla, a Ugarit e Mari, è possibile farsi un'idea abbastanza precisa di come la Siria, nel III° millennio avanti Cristo, abbia partecipato alla grande rivoluzione urbana e culturale di questo periodo che ci ha lasciato l'alfabeto.
2 - Alessandro, nel IV° secolo a.C. tenta la fusione tra Oriente e Occidente: ed è in terra siriana che immagina questo incredibile incontro tra lo spirito classico dei Greci e l'anima appassionata dell'Oriente semitico. Ciò che ne risulta sono queste favolose città ellenistiche come Apamea e Antiochia, che rappresentano bene il ruolo essenziale svolto dalla Siria in questo incontro delle civiltà Greco-romana e Orientale, incontro pericoloso poiché la Siria costituiva allora una Provincia di confine tra l'Occidente romano e l'Oriente persiano, ma incontro brillante poiché Palmira poté svolgere il ruolo di arbitro.
3 - E' il dinamismo e la diffusione folgorante del cristianesimo che viene a modificare completamente il volto del mondo e i rapporti tra le culture. Il Cristianesimo è stato sia il cemento unificante, ma anche una leva che ha riattivato le culture semitiche locali. Il Paese diventa cristiano, fieramente cristiano. La Siria è "la punta di lancia" della nuova religione che sviluppa un pensiero brillante e un nuovo stile di vita originale che è il monachesimo. Cambiando religione, cambia anche il padrone: essa passa sotto il dominio di Bisanzio, quindi dell'Europa, ma non per molto, poiché il giogo imperialista di Bisanzio le è rapidamente insopportabile e, intrappolata tra i Persiani e i Bizantini che se la contendono, accoglie nel 634 una terza forza, gli Arabi, potenza inaspettata in mezzo a questi vecchi Imperi.
4 - La Siria diventa musulmana. Una nuova pagina si scrive, forse la più brillante poiché Damasco diventa la capitale dell'impero musulmano. La configurazione geopolitica del mondo è completamente modificata. Un unico Impero si estende dall'Atlantico ai confini della Cina, unendo per la prima volta mondo mediterraneo e mondo asiatico. La Siria e la Mesopotamia, che fino ad allora formavano la periferia dell'Impero, si trovarono a formare da entrambe le parti della steppa un nuovo centro.
Al centro di questo lungo periodo delle origini al giorno d'oggi, una parentesi segna la storia siriana. E ' il periodo Crociato che imprime, durante due secoli, un marchio indelebile in terra siriana, attraverso l'architettura romanica e gotica che l'Occidente porta in Siria. 
Di conseguenza, il Paese abbonda di molte ricchezze; un Paese a cui l'umanità è debitrice; un Paese che ha sofferto molto, perché è sempre stato un pomo della discordia tra gli Imperi; un Paese che ha creato molto, proprio perché il Paese è stato un luogo di fermento delle culture.
Infine, bisogna tenere ben presente che se il cristianesimo è nato a Gerusalemme, ha preso il suo slancio in Siria. Il Paese si trova nelle immediate vicinanze della Palestina. Spesso menzionato nella Bibbia, ha svolto un ruolo essenziale nel debutto del cristianesimo. Basta, per rendersene conto, rileggere gli Atti degli Apostoli. È ad Antiochia, allora capitale della Siria Apostolica, che la Chiesa si aprì ampiamente ai pagani e che i discepoli di Gesù ricevettero per la prima volta il nome di Cristiani. È sulla via di Damasco, la sua attuale capitale, che Saulo si convertì e divenne l'apostolo Paolo. A Damasco si erge sempre la casa dove il suo vescovo Anania lo iniziò al Vangelo.
A Doura-Europos, nel deserto siriano, si può visitare la più antica chiesa conosciuta del mondo; una chiesa clandestina, allestita nel 232 d.C. che si trova all'interno di una casa e ci fa risalire ai tempi in cui gli imperatori Romani perseguitavano i cristiani. Nel Nord-Ovest del paese si ergono le rovine di centinaia di monasteri e chiese costruite verso la fine dell'epoca Antica.
Non ci resta che sperare la pace, la democrazia vera e laica e il rispetto dei credenti, qualunque essi siano, affinché nuovamente la Siria torni luogo di incontro e di passaggio per tutti coloro che vogliono ritrovare le tracce autentiche e vere delle civiltà, musulmane e giudaico-Cristiane.

martedì 30 gennaio 2018

Testimoni di un mondo divino: il perdono di Christine

Christine è una vittima dell'attentato del 22 gennaio sui quartieri Bab Touma e  al-Shagour di Damasco, quando numerosi colpi di mortaio sono stati lanciati dai ribelli stanziati nel Ghouta all'ora dell'uscita dalle scuole cristiane. Per la granata ricevuta le hanno dovuto amputare la gamba sinistra, mentre per la sua amica Rita, il piccolo Elias di 3 anni e altri 21 persone, si sono spalancate le porte del Paradiso. 
In questo video si può ascoltare la straordinaria testimonianza di questa forte ragazza cristiana e della sua magnifica famiglia.



Christine:  "Spero di essere l'ultima vittima del terrorismo"
                  "Vorrei continuare la mia vita come era prima, con tutti i progetti e sogni, e continuare a   studiare "
                   "Non provo alcun odio contro quell'uomo che ha buttato la bomba"

I genitori: "Siamo meravigliati dalla determinazione e volontà di Christine"
                   "Abbiamo un dolore così grande che non auguro a nessuno, neanche a quelli che ci         hanno colpito"
                   "Perdoniamo tutti, non riusciranno a fermare la Siria con questi atti terroristici".
                   "Resteremo in Siria, perchè amiamo la terra siriana"


Dal convento francescano del Memoriale di San Paolo, situato proprio nel quartiere Bab Touma, fra Bahjat Karakach testimonia
«Tantissime persone affollavano la piccola anticamera della terapia intensiva, una attesa bruciante scandita dalla preghiera di un coro di persone che in attesa di sapere se i loro cari ce la faranno, se riusciranno a sopravvivere, pur nella tragedia di aver perso una gamba o un occhio... E dall’interno si sentivano solo grida di dolore... I medici si prodigavano ma senza poter soddisfare i bisogni di decine di feriti, sopraggiunti tutti insieme dalla vicina piazza di Bab Touma. La scena era apocalittica all’ospedale Saint Louis. Me lo ha raccontato Georgette, che era lì per sostenere i genitori di una ragazza sedicenne, sua parente, che all’uscita dalla scuola è stata raggiunta, con molte altre persone, da un colpo di mortaio lanciato dalla zona di Jobar alla periferia di Damasco, occupata dai terroristi».  Continua il frate: «Cristina, la sedicenne, ha subito l’amputazione della gamba. Ma è stata “fortunata”; Rita, la sua compagna, non ce l’ha fatta. Così come Elias, che aveva appena tre anni, e altri ancora che saranno per sempre nel ricordo triste dei damasceni. Ancora una volta si riapre la ferita, mai completamente rimarginata, di una violenza assurda e gratuita, di una guerra fomentata da interessi regionali e internazionali che usano il popolo siriano quale carburante inestinguibile. La violenza che alberga nel cuore di persone indottrinate all’odio verso il diverso continua a colpire tutti indistintamente, soprattutto le chiese: ieri la cattedrale maronita e la settimana scorsa la chiesa francescana e quella dei greci cattolici. Ma le comunità cristiane restano a Damasco, come piccolo segno di riconciliazione e di speranza per tutto il popolo siriano».

sabato 27 gennaio 2018

Dal tesoro inesauribile della Siria cristiana (2° parte)

 traduzione della prima epigrafe in greco: "noi preghiamo per/ringraziamo il nostro santissimo vescovo Alessandro" e per un'altra persona, di cui non resta chiaro il ruolo, che potrebbe chiamarsi EVANGELOS (ma non è detto che si tratti di un nome proprio) e a cui potrebbe essere riferito l'aggettivo EULABOUS espresso in genitivo e che potrebbe essere reso con "timorato di Dio"
Una seconda epigrafe in greco recita "La nobilissima Domnia (figlia) del beato Teodotos commissionò il lavoro a mosaico". Si tratta pertanto della matrona che finanziò i lavori di rivestimento a mosaico del pavimento del santuario. In fondo viene riportato anche l'anno di realizzazione (437-438 dC).
L’opera presenta motivi ornamentali vegetali e floreali e pavoni, simbolo di immortalità con un motivo decorativo a forma quadrangolare con fiori e uccelli (pavoni, colombe, papere e pappagalli). Seguendo un’impostazione simmetrica, molti uccelli si accostano al pavone. Secondo la concezione biblica, c’è anche un animale ritto sulle zampe sorvegliato da cervi e rappresentato sotto un albero. Stando alle indiscrezioni dell’agenzia di stampa Sputnik, la superficie totale del mosaico avrebbe un’ampiezza di 50 mq.


Gli Occidentali dividono nuovamente la Siria....  Il primo a farlo fu Settimio Severo, che la scisse in Celesiria e Siria Fenicia. Successivamente si ebbe la divisione tra Syria Prima e Syria Secunda, un po’ come accade anche oggi. Nel IV secolo d.C., nella stessa zona in cui ora gli Stati Uniti creano il loro protettorato curdo, venne distaccata dalla Siria la regione dell’Euphratesia. Il nome originario della città di Hama era Epiphania, mentre a Khanasir, durante il V secolo d.C., operarono importanti Vescovi. 



Le città siriane in epoca romana.
Lungo il fiume Oronte e a ovest della steppa siriana si sviluppa un insieme di città molto note durante l’epoca romana e protobizantina: da sud verso nord incontriamo Emesa – Homs, Arethousa – Restan, Epiphania – Hama, Larissa – Sheizar e Apamea – Qala'at al-Madiq. Sono tutte di fondazione ellenistica tranne Homs – Emesa, sede di un principato autonomo fino a una data imprecisata del I secolo d.C. Il gruppo di città che abbiamo individuato è delimitato a nord da Ierapolis, a sud da Palmira e ad est dall’Eufrate.

Il territorio di Epiphania – Hama rivestiva una certa importanza. Agli albori dell’Impero vennero qui arruolate varie truppe ausiliarie composte da arcieri a cavallo: la Vaia I Hamiorum sag., la cohors I Hamiorum sag. e la cohors II Hamiorum sag.

Avvicendamenti nelle divisioni della Siria
Nel 194 d.C., dopo il tentativo di usurpazione di Pescennio Nigro, la provincia della Siria venne divisa in due da Settimio Severo per impedire ai suoi potenti governatori di disporre di un esercito eccessivamente imponente. Nacquero così le province di Celesiria e Siria Fenicia. La capitale della prima fu all’inizio Laodicea e in seguito Antiochia; altre città importanti della Celesiria erano Calcide, Apamea, Epiphania e Aretusa. 
Tiro divenne invece capitale della Siria Fenicia, una provincia che comprendeva anche Emesa, Palmira e Damasco. 
Nel IV sec. d.C., probabilmente in un periodo compreso tra il 314 e il 324, l’Euphratesia (o Augusta Euphratensis), collocata lungo il corso dell’Eufrate e nella regione della Commagene, venne divisa dalla Celesiria e assunse come capitale la città di Ierapolis – Membij (così avviene anche oggi, con gli Americani che scindono dalla Siria le regioni a nord dell’Eufrate, creando un autonomo “cantone” curdo). Allo stesso modo, in un’epoca di grande instabilità e con dubbie modalità, la Siria venne divisa in Prima Fenicia (o Paralian), con capitale Tiro, e Seconda Fenicia (detta anche Fenicia Libanese o Libanesia), con capitale Emesa.
Tali scissioni e spartizioni si conclusero verso la fine del IV secolo. Più o meno nello stesso periodo ciò che restava della Celesiria venne ulteriormente diviso in Syria Prima, sempre con Antiochia come centro principale, e Syria Secunda (o Siria Salutare), con capitale Apamea. Queste scissioni vennero sancite da un documento noto come Notitia Dignitatum.
La città di Anasartha (o Onosartha Anasartha), corrispondente all’attuale Κhanaser, disponeva già dalla metà del V secolo di importanti vescovi. Il vescovo Maras, ad esempio, partecipò sia al Sinodo di Antiochia del 444 sia a quello di Calcedonia del 451. Nel 458 Ciro firmò l’enciclica della Syria Prima. Ritroviamo riferimenti ad Anasartha, questa volta nominata Theodoropolis, nella cosiddetta Notitia Antiochena del 570.

Notizie tratte dal sito https://dimpenews.com/
UNO SPECIALE RINGRAZIAMENTO AL SIGNOR ALFREDO LONGO PER LA TRADUZIONE DAL GRECO

venerdì 26 gennaio 2018

Dal tesoro inesauribile della Siria cristiana (1° parte)

.... emergono le testimonianze commoventi della presenza della Chiesa primitiva in questa terra martoriata di cui giustamente i cristiani locali rivendicano essere i primi legittimi abitanti, ostinati nel restare nonostante i progetti di pulizia etnica ed eliminazione programmata della presenza cristiana nella regione.









Ad Aqrabat (Uqayribat), a 85 km a est di Hama, durante un’opera di sminamento sono venuti alla luce un mosaico di 8 m. di lunghezza e 7 m. di larghezza, appartenente al pavimento di una chiesa e alcune epigrafi in greco del V secolo in cui si fa riferimento ad un vescovo Alessandro e ad una nobile Domna, … figlia … di Teodoto..., probabilmente il mecenate dell’opera musiva, che si presenta in condizioni relativamente buone.
Altri due mosaici situati a livello inferiore di terreno, testimoniano l'importanza del luogo di culto, probabile basilica bizantina che aumentò di dimensioni nei secoli VI e VII.

Gli archeologi hanno iniziato gli scavi, che proseguiranno per alcuni giorni, per mettere in sicurezza il mosaico, che verrà poi trasferito al museo di Hama. Solo il pavimento della chiesa è stato preservato.