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martedì 23 gennaio 2018

Dalle famiglie di Damasco nel pianto, una preghiera:

"Vorrei fare una richiesta speciale che esce dal mio cuore e dalla mia anima a tutti i miei amici e parenti di pregare per mia nipote, la figlia di mia sorella, Christine Horani perché il Signore la guarisca e possa riprendersi dal suo terribile danno. È stata orribilmente ferita alle gambe da missili esplosivi e bombe che hanno preso di mira la regione di Bab Touma in Damasco, in Siria mentre stava uscendo dalla sua scuola.
Chiedo anche preghiere per il suo caro amico Pascal Al Khalil, anche lui ferito con lei e chiedo la misericordia di Dio sull'anima benedetta della sua altra amica Rita Al Eid che è stata uccisa ieri, anch'essa una martire di questa orribile tragedia".
Berjo Alkouri


Christine ha perso il piede e in queste ore è in sala operatoria per salvarla dall'amputazione delle gambe .
Ieri sono morti 9 giovani e 21 feriti per il bombardamento lanciato dai 'ribelli moderati' sul quartiere cristiano di Bab Touma all'ora dell'uscita dalla scuola.
Altre notizie dal Nunzio Zenari qui:

Nunzio a Damasco: colpi di mortaio sulla città vecchia, ancora vittime fra i cristiani

http://www.asianews.it/notizie-it/Nunzio-a-Damasco:-colpi-di-mortaio-sulla-citt%C3%A0-vecchia,-ancora-vittime-fra-i-cristiani-42902.html

sabato 20 gennaio 2018

Incontro con don Simon, salesiano in Siria

«Davvero con questa guerra ci siamo avvicinati di più e ci siamo veramente sentiti una famiglia. Abbiamo pianto insieme. Abbiamo avuto paura insieme. Abbiamo vissuto la gioia insieme.  I ragazzi ci dicevano: “Qui all'oratorio ci sentiamo in paradiso”»

Carissimo Simo, puoi presentarti? 
Sono Simo Zakerian, salesiano sacerdote, sono siriano di origine armena, nato il 2 luglio 1978 a Kamishli, nord est della Siria, al confine con la Turchia. I miei genitori sono della Chiesa Armena Apostolica (Ortodossa). In casa parliamo armeno e arabo. Ho conosciuto i salesiani quando avevo 12 anni nell'oratorio salesiano di Kamishli e sono cresciuto in quell'oratorio. 
Mi piaceva giocare a calcio e i salesiani mi hanno dato la possibilità di giocare e incontrare degli amici. Così piano piano la casa salesiana è diventata casa mia. 
La vita dei salesiani mi affascinava e suscitava dentro di me tante domande: chi glielo fa fare? Perché sono qui tra noi a servirci? Quanto guadagnano? Perché? 
Dopo lunga esperienza come ragazzo e giovane nell'oratorio e con i salesiani ho deciso di fare l'esperienza dell'aspirantato e del prenoviziato a Damasco. 
Nel 2001 ho cominciato il noviziato in Libano e ho fatto la prima professione a settembre 2002. 
Dopo il tirocinio e la filosofia sono andato a Torino, alla Crocetta, per studiare Teologia. Sono stato ordinato sacerdote nel rito Armeno Cattolico l'11 settembre 2011 a Kamishli. 
La mia prima obbedienza dopo l'ordinazione mi chiedeva di andare all'oratorio di Aleppo. E ho passato 5 anni in quella città, dal 2010 fino al 2015. Di questi, 4 anni di guerra feroce! Dopo Aleppo ho avuto un'altra obbedienza per Damasco, e sono stato due anni come direttore della comunità. Attualmente ho incominciato il mio servizio di direttore ad Alessandria d'Egitto. Sono anche delegato per la Pastorale Giovanile nell'Ispettoria Medio Oriente. 

Com'era la tua famiglia? 
La mia famiglia è numerosa, eravamo undici a vivere nella stessa casa. La nonna, papà, mamma, sei sorelle, mio fratello ed il sottoscritto. La mamma è mancata nel 2003 e la nonna nel 2004. Eravamo una famiglia molto semplice e tranquilla. Attualmente tutti sono sposati, eccetto due. Dopo la guerra in Siria sono partiti con i loro figli per l'Europa: Olanda e Svezia. A Kamishli sono rimasti il mio papà e una mia sorella. 

Com'è nata la tua vocazione? 
Il sacerdote nel nostro paese stava un po' lontano dalla gente, soprattutto dai ragazzi e dai giovani, ma quando andavo a partecipare alla santa Messa nella nostra chiesa armena ortodossa, a otto anni, dicevo a me stesso: un giorno sarò sull'altare per alzare il calice e cantare così come fa il sacerdote armeno. Poi ho conosciuto i salesiani e mi ha sorpreso il modo in cui stavano in mezzo a noi, e come ci trattavano con amorevolezza e con tanta simpatia. Erano due salesiani italiani missionari. Mi sono innamorato di don Bosco. La preghiera e il discernimento hanno fatto il resto. 

Qual è la realtà politica e sociale della Siria, oggi? 
Non c'è stata nessuna primavera in Siria! I ribelli, che sono in maggioranza fondamentalisti, hanno distrutto il nostro paese. Sono arrivate persone da più di 80 nazioni per combattere contro l'esercito siriano, che è l'esercito ufficiale del paese. Erano tutti appoggiati dai paesi del golfo arabo e dai paesi attorno a noi. 
Prima in Siria si viveva molto bene, in tutti i sensi: sicurezza, convivenza, sociale, economia, apertura al mondo. Ci hanno fatto ritornare più di 50 anni indietro. 
Attualmente la situazione nel paese sta andando verso il miglioramento, la violenza sta diminuendo, torna la sicurezza. Sembra che la Russia e gli USA si stiano mettendo d'accordo per far finire questa situazione critica nel paese. 

Come vivono i giovani? 
La situazione giovanile è molto difficile. Moltissimi giovani hanno lasciato la patria e sono partiti per tutto il mondo, soprattutto per l'Europa e il Canada. L'uomo siriano è distrutto “dentro”, piccoli e grandi, hanno conflitti interni, hanno sofferto tantissimo, con tante paure e lo spietato convivere con la morte ogni giorno. La situazione economica è molto pesante. Si sopravvive per miracolo. Un dollaro nel 2010 faceva 50 lire siriane, oggi fa 500 lire siriane e quindi tutto aumenta in modo pazzesco, mentre i salari sono sempre gli stessi. 

Che cosa succederà ora? 
Penso che il futuro della Siria sarà bello e luminoso, però ci vuole un po' di tempo. Sono sicuro che appena finisce il conflitto internazionale e poi quello nazionale, i Siriani potranno ricostruire di nuovo la Siria. E soprattutto ricostruire l'uomo siriano dal di dentro, l'uomo della riconciliazione, dell'accoglienza e della pace. 

Quali sono le esperienze più belle che hai fatto? 
Soprattutto esperienze di fede e di speranza. Ho imparato tantissimo dai collaboratori laici (cooperatori, catechisti, animatori, volontari...). Mi hanno insegnato che cosa vuol dire essere forti nel Signore, che cosa vuol dire venire a servire durante la guerra e nel pericolo di morte. Sì, ci hanno insegnato tantissimo! 
Io personalmente non so come abbiamo fatto a continuare le nostre attività mentre la morte ci circondava da tutte le parti. Veramente non ho una risposta umana. Ho una risposta di fede, sì. Sia noi sia gli animatori e i ragazzi e i giovani avevamo fiducia in Dio. Nella sua presenza tra noi in quelle situazioni terribili. Mentre fuori si sentivano boati e suoni di armi e bombe, continuavamo a giocare, a studiare, a pregare. 
Tra le esperienze più profonde c'è anche quella della morte. La morte dei nostri oratoriani ci ha fatto pensare tantissimo e ci ha fatto riflettere sulla vita e sulla fede in Dio e in Gesù, che è la vita e la Risurrezione. Ciò che mi ha fatto commuovere è che i nostri ragazzi e i giovani animatori hanno vissuto quei momenti di dolore con una fede forte nel Risorto, nonostante la sofferenza e il pianto. Inoltre la guerra e la sofferenza ci hanno aiutato ad essere più essenziali e soprattutto hanno irrobustito lo spirito di famiglia tra noi. Con questa guerra ci siamo avvicinati di più e ci siamo sentiti veramente famiglia. Abbiamo pianto insieme. Abbiamo avuto paura insieme. Abbiamo vissuto la gioia insieme. 
I ragazzi ci dicevano: «Qui all'oratorio ci sentiamo in paradiso». E fuori infuriava la guerra. In oratorio si viveva la gioia del cuore che scaturiva da Dio. Dall'Eucaristia e dalle Confessioni. 

Chi sono i tuoi “clienti” quotidiani? 
Giovani, ragazzi e famiglie. Durante l'inverno: catechismo, associazioni, gruppi sportivi, formazione catechisti e animatori, messa domenicale, aiuti alla gente. D'estate, quotidianamente, attività estive con centinaia di ragazzi e giovani. Ogni giorno tanti incontri di accompagnamento spirituale e di incoraggiamento. 

Trovi difficoltà? 
Sì, la difficoltà più seria è quando hai davanti dei giovani che ti chiedono degli aiuti per risolvere alcuni problemi, e tu non puoi fare nulla. Non puoi cambiare niente, soprattutto quando si perde un membro della famiglia. Oppure trovare dei motivi seri per aiutare e incoraggiare i nostri giovani a rimanere nel paese e non lasciare la patria. Poi le gravi difficoltà economiche delle famiglie e dei giovani.

http://biesseonline.sdb.org/mobile/asp/Articolo.asp?Testo=/2018/201801007.htm

mercoledì 17 gennaio 2018

Ancora missili su Aleppo













 La situazione della sicurezza in Aleppo da qualche settimana è molto peggiorata, con alcune granate che ogni giorno arrivano a colpire le zone centrali della città.
Ieri, 16 ottobre, i missili dei miliziani jihadisti ancora stanziati alla periferia occidentale della città hanno raggiunto un asilo, uccidendo l'autista della scuola, un' impiegata della struttura, 2 bambini, e molti altri piccoli sono rimasti feriti. Si alternano nella popolazione speranza di ripresa e avvilimento per una minaccia che non ancora finisce.


Per i pochi cristiani rimasti è il momento della prova della fede: eppure in tanti si rafforza come nell' amico cristiano che oggi ci scrive : Si miei cari, l'ora della vera pace non è ancora arrivata ! ma non dobbiamo perdere la speranza, i nostri nemici si fanno sentire ogni tanto per dirci che sono presenti e pronti per attaccare anche se l' esercito governativo resta in guardia. Gioco politico sporco!
Noi preghiamo, ci pare l'unica arma potente che ci può liberare da questi ribelli pagati bene per farci vivere nel terrore.
Aspettiamo la piena liberazione, intanto sappiate che la vita continua, riprende il suo corso con progressi giornalieri e tanta volontà di vivere. Il Signore non ci abbandona, e noi non ci lasciamo togliere la speranza”. S.A.O. 

domenica 14 gennaio 2018

Verso la beatificazione dei 19 martiri di Algeria

19 religiosi e religiose cattolici hanno dato la loro vita in Algeria negli anni '90, tra cui sette monaci trappisti dell'abbazia Nostra Signora di Atlas di Tibhirine.
Benchè molto lungo, pubblichiamo quasi interamente il ricchissimo testo di padre Ivo Dujardin, prezioso documento per comprendere il cammino spirituale in cui maturò la loro offerta, il rapporto con l'Islam ed il messaggio di questi 'uomini di Dio'.
"Ognuno dei martiri algerini", riferisce il postulatore della causa di beatificazione padre Georgeon, "è stato un testimone genuino dell'amore di Cristo, del dialogo e dell'apertura agli altri, dell'amicizia e della lealtà verso il popolo algerino. Con immensa fede in Gesù Cristo e nel suo Vangelo. Non hanno dato la vita per un'idea, per una causa, ma per Cristo".



Nel giardino di Tibhirine : il dialogo della vita.
  Dopo alcune settimane di attesa angosciosa e di timore misto a speranza, arrivò la terribile notizia che i sette trappisti francesi del monastero algerino di Tibhirine, sequestrati nella notte dal 26 al 27 marzo 1996, erano stati crudelmente uccisi il 21 maggio. Qualche giorno dopo, lo sconvolgente testamento di fra Christian, il priore, era consegnato alla stampa dalla famiglia e diffuso in tutto il mondo. Non lasciò nessuno nell’indifferenza, neppure i musulmani.
In questo tentativo di lettura della vita e della morte dei monaci di Tibhirine, lascerò largamente la parola agli stessi fratelli, citandoli e anche approfittando degli autori che hanno riflettuto su Tibhirine e che possono aiutarci ad entrare nel mistero della loro Pasqua e del suo significato per la Chiesa e per il mondo di oggi.
Si tratta quindi di un florilegio, come è espresso dal titolo. Il film “Uomini di Dio” ha avuto un grande successo, ma da solo non spiega tutto. È necessario, da una parte, aver letto e meditato almeno alcuni testi per capire meglio il film e, d’altra parte, per completare il suo contenuto e il suo messaggio.
Una prima parte situa i sette fratelli di Tibhirine nel gruppo dei 19 religiosi che hanno dato la vita in Algeria dal 1994 al 1996. Una seconda parte vuole tratteggiare il tipo di dialogo interreligioso, come è stato praticato e vissuto a Tibhirine. La terza parte accenna alle condizioni basilari per tale dialogo: si tratta di due condizioni fondamentali anche per tutti quelli che nella loro vita vogliono lasciarsi ispirare da Tibhirine.

I fratelli di Tibhirine nel gruppo dei diciannove testimoni dell’Algeria e con una loro vocazione particolare
  Nel gruppo dei 19 religiosi che hanno dato la vita in Algeria fra il 1994 e il 1996, tutti erano francesi, tranne due suore spagnole e un Padre Bianco belga.
Nell’ordine cronologico della loro morte c’erano: un fratello Marista, una Piccola Sorella dell’Assunzione, due suore spagnole Agostiniane Missionarie, quattro Missionari d’Africa (Padri Bianchi) fra cui un belga, due suore di Nostra Signora degli Apostoli, una Piccola Sorella del Sacro Cuore, sette monaci Trappisti e da ultimo un domenicano, Monsignor Pierre Claverie, vescovo di Orano.
In tutto il gruppo i monaci trappisti occupano un posto speciale. Non certo perché il loro amore o il anche il dono della loro vita siano stati straordinari nel senso che siano stati i più grandi di tutti: non si tratta di questo! Ma perché le situazioni concrete, le circostanze in cui questo dono si è compiuto sono state molto particolari. Bisogna senz’altro evitare di mettere troppo in risalto queste “sette vite per Dio e per l’Algeria”. Sì, sarebbe un vero peccato monopolizzare questa grazia a favore dei sette. Il cammino degli altri dodici non si differenzia per nulla da quello dei fratelli di Tibhirine. Tutti hanno fatto lo stesso discernimento personale: tutti – ognuno nella fedeltà alla propria vocazione – hanno dato la loro vita per Dio e per l’Algeria.
Tutti hanno scelto non di restare, ma piuttosto di non partire. Preferisco formulare così la loro scelta. La distinzione può essere sottile, ma non è senza importanza. Hanno scelto l’amore, così come era stato definito da fra Christophe in alcuni versi: tutti hanno amato fino al segno supremo.
Ama fino a quando il fuoco si estingue
fino all’estremo
occorre benedire
offrire l’azione di grazie
e vincere mediante la lode.
Fino all’estremo
bisogna servire
fare la verità
e vincere mediante l’amicizia
Per guadagnare il cuore dell’uomo bisogna AMARE 

Questo non toglie che il cammino di questa comunità monastica - senza compiti pastorali individuali, in un luogo abbastanza deserto, lontano da ogni città, circondato soltanto da alcuni contadini - sia stato speciale.
Era un gruppo di monaci fra altri due gruppi in conflitto, con i quali essi hanno avuto contatti diretti e regolari: da una parte l’esercito algerino nella pianura e dall’altra il GIA nella montagna.
Se gli altri religiosi hanno ricevuto un avvertimento globale, che era stato formulato per tutti gli stranieri alla fine del 1993, i monaci hanno ricevuto proprio a casa loro una visita-avvertimento durante la notte di Natale del 1993
Tutti erano ben coscienti del rischio che correvano per le loro vite. I monaci, però, hanno ricevuto un avvertimento consegnato direttamente alla porta del monastero con una parola d’ordine: “Signor Christian”.
Dietro questo cammino speciale io presumo e sospetto una vocazione speciale, supplementare, la vocazione cioè di “rendere visibile esteriormente”, direi di “spiegare” quello che è stato il fuoco interiore di tutti gli altri in Algeria, sia che vi siano morti o che siano rimasti in vita, come per esempio i fratelli Amedée e Jean-Pierre, scampati al sequestro. I sette hanno scritto in chiare lettere, attraverso un cammino documentato, quella che è stata la storia “interiore” degli altri dodici, come se in questa maniera il Signore avesse voluto garantire per le generazioni future una “tradizione” scritta da un fuoco interno che abitava questa presenza cristiana e missionaria in Algeria.
Non si potrebbe dire che Tibhirine, pur restando fedele in una maniera creativa al carisma monastico cistercense, è divenuto un simbolo, una “parabola” della presenza missionaria multiforme sparsa in tutto il mondo, sia in situazioni di pericolo, sia in situazioni più pacifiche?
Oggi, a fatti avvenuti e dopo un film che ha già raggiunto milioni di persone di ogni tipo e religione, si può affermare senza troppi rischi di sbagliarsi: mediante la loro vita e la loro morte, i fratelli e il cammino che hanno fatto hanno ricevuto la vocazione di essere una ‘parola’, ‘parola universale, un messaggio per un mondo in cerca di una pace interculturale e interreligiosa.
Il film esteriorizza dunque l’impegno missionario in Algeria e ovunque nel mondo. Il film è una parola per tutto il mondo nelle sue diversità di culture e di religioni in questo momento storico importante.

Il dialogo interreligioso a Tibhirine
   Il « Ribât es Salâm »
  Sì, c’è stato a Tibhirine un dialogo fra cristiani e musulmani, ma un dialogo di un genere diverso da quello che si svolgeva ad alto livello. Avveniva soprattutto negli incontri del Ribât es Salâm, « il legame della Pace », a cui partecipavano alcuni monaci. Era un gruppo islamo-cristiano i cui membri si incontravano due volte all’anno, ma le cui condivisioni non avvenivano a livello teologico. Veniva condiviso il vissuto dei sei mesi trascorsi su di un tema comune alle due tradizioni religiose, scelto nella riunione precedente.
Christian era il cofondatore di questo Ribât-es-Salâm. Il sequestro dei monaci avvenne proprio durante uno di questi incontri.
Nel 1989, in una comunicazione data nel corso delle Giornate di Roma, Christian spiegava così il senso di questo Ribât : 
«Sì, possiamo veramente aspettarci qualcosa di nuovo ogni volta che facciamo lo sforzo di decifrare i ‘segni’ di Dio negli ‘orizzonti’ dei mondi e dei cuori, mettendoci semplicemente in ascolto e anche alla scuola dell’altro, in questo caso, musulmano. È proprio questo l’obiettivo del nostro Ribât che, fin dagli inizi dieci anni fa (marzo 1979), si era riconosciuto nell’intuizione di Max Thurian, così vicina a quella dei nostri amici di Medea: «È importante che la Chiesa assicuri a fianco dell’Islam una presenza fraterna di uomini e di donne che condividono il più possibile la vita dei musulmani, nel silenzio, la preghiera e l’amicizia. Solo così, a poco a poco, si preparerà ciò che Dio vuole a proposito delle relazioni della Chiesa e dell’Islam».

Raymond Mengus e il dialogo interreligioso
  Il carisma dei fratelli di Tibhirine si è situato al livello della gente semplice. Lascio la parola al teologo di Strasburgo Raymond Mengus. Nel suo libro « Le signe sur la montagne », che descrive la continuazione della comunità dell’ Atlas di Algeria nella piccola comunità che vive oggi in Marocco, lo esprime in modo molto chiaro: 
«Il culmine delle relazioni fra le religioni si chiama ‘dialogo’. La causa sembra chiara; bisogna mirare ai più alti gradini del dialogo: è là che devono salire specialisti, responsabili e fedeli.
Ma in mancanza e in attesa di ciò, si potrà curare di più le relazioni che si generano attraverso dati elementari, che si chiamano: rapporti di vicinanza, attenzione alle persone, aiuto reciproco, conversazione ordinaria, contatti che avvengono per strada.
Sono realtà umili, alla portata di ogni uomo e donna di buona volontà. A volte potranno essere abbellite con il bel nome di ‘dialogo della vita’, considerato come un anticipo, nella speranza di meritare qualcosa di più nel futuro.
E se questo tipo di dialogo meritasse già ora pienamente il suo nome? Se fosse una vetta, invece di una preparazione? La vetta, cioè il luogo dove si vede in maniera più giusta, dove tutto si decide, nel modo migliore, della portata dei testi come della loro virtù esistenziale, della credibilità degli argomenti e della purezza delle intenzioni.
Perché, in fin dei conti, il confronto intellettuale delle nostre idee religiose potrebbe essere solo dogmatico, nel senso peggiorativo del termine, se si fermasse a se stesso e si compiacesse solo di se stesso. Mostrami piuttosto la tua umanità (e io ti mostrerò il mio Dio).
Evidentemente le tue rappresentazioni di Dio mi interessano, ma quello che importa ancora di più è ciò che esse producono e costruiscono in te.
Per andare ancora oltre: non saremo giudicati sulle nostre idee e meno ancora sulle nostre appartenenze. La prima e l’ultima parola dipendono da ben altro. Noi saremo giudicati sull’amore. E dall’amore ".

In un altro brano l’autore cita anche questa riflessione, tratta dalla corrispondenza di Louis Massignon (1883-1962): 
"Quello che sarebbe necessario fare, è andare da solo come ha fatto Foucauld, ma non nel deserto, ma in un villaggio dove si potrà pian piano, con le relazioni di aiuto reciproco quotidiano, agire sulle donne e sui bambini. È nella vita quotidiana e semplice che si può raggiungere in maniera profonda una società: non è nelle chiacchiere intellettuali degli uomini, dove tutti, una volta fuori, riprendono le loro posizioni di ripiego. Non credo, però, che nessun Ordine religioso tolleri che uno dei suoi membri si dia a questo tipo di azione, e dove trovare una vocazione per questo tipo di vita se non in Ordini religiosi? Ciò che serve in sostanza è dare l’esempio di una vita semplice, accettando il momento presente e le reazioni degli eventi inattesi in un certo spirito. Tutto il resto è letteratura per congressi di missiologia" .

Charles de Foucauld e fra Christian meditano il mistero della Visitazione di Maria a Elisabetta 
  Partendo dalla condivisione della vita, il Beato Charles de Foucauld, il fratello universale, ha riconosciuto nel mistero della Visitazione di Maria ad Elisabetta nel Vangelo di Luca (Lc 1,39-56) il simbolo della sua vocazione nel Maghreb. Ha dedicato a questo mistero tutte le sue fraternità, quando ancora non ne esisteva neppure una! In una meditazione su questo passaggio, lascia la parola a Gesù:
Appena incarnato, ho chiesto a mia M(adre) di portarmi nella casa dove nascerà Giovanni, per santificarla prima della nascita [...]
... A tutte coloro che mi possiedono e vivono nascoste, che mi possiedono ma non hanno ricevuto la missione di predicare, dico loro di santificare le anime, portandomi tra loro in silenzio; alle anime di silenzio, di vita nascosta, che vivono lontano dal mondo in solitudine, dico: “Tutte, tutte, lavorate per la santificazione del mondo, lavorate come mia Madre, senza parole, in silenzio; Andate a stabilire i vostri pii ritiri in mezzo a quelli che mi ignorano; portatemi in mezzo a loro stabilendo un altare, un tabernacolo, e portate loro il Vangelo, non con la predicazione della bocca, ma con la predicazione dell'esempio; santificate il mondo, portatemi al mondo, anime pie, anime nascoste, e silenziose, come Maria mi ha portato a Giovanni ... 
  Partendo da questa ispirazione, il Beato Charles de Foucauld, il fratello universale, ha già dedicato tutte le sue future fraternità alla Vergine Maria nel mistero della sua Visitazione... e non ne esisteva ancora nessuna! Fra parentesi, fra Christian ha cominciato a scrivere il suo testamento il 1° dicembre, anniversario della morte dell’eremita di Tamanrasset.
Non meraviglierà nessuno che la figura dell’eremita di Tamanrasset sia stata fonte di ispirazione per la comunità di Tibhirine. Questo era particolarmente vero per il priore. Prima di prendere la decisione di impegnarsi in modo definitivo nella comunità di Tibhirine, egli aveva fatto un viaggio di 1500 km a sud e, a 80 km da Tamanrasset, era salito sull’Assekrem, per fare durante più di un mese un cammino di discernimento, prima di prendere la decisione definitiva. Il fatto di iniziare a scrivere il suo testamento il 1° dicembre 1993, anniversario della morte di Charles de Foucauld, non è stato certo un caso. Anche per fra Christian "il mistero della Visitazione è una festa quasi patronale della comunità, fin dalle sue origini". E' tornato più volte su questo argomento.
Anche lui, in questa pagina del Vangelo, si identifica con Maria che porta Gesù nella casa di Elisabetta. Ma lo esprime con il suo accento personale. Per Charles de Foucauld, Maria "porta" Gesù da Elisabetta, mentre Christian si identifica con Maria, come colei che "riceve" da Elisabetta una parola inaspettata. Il priore di Tibhirine vuole essere aperto alla parola che “l’altro”, il musulmano, può dire a lui e alla Chiesa.
Christian immagina di essere nella situazione di Maria durante la sua visita a Elisabetta. Egli sa che Maria porta un mistero vivente, una buona notizia vivente, ma non sa come fare per annunciare questo mistero, che è anche il mistero di Dio. 
Noi siamo quindi invitati a essere costantemente in uno stato di Visitazione, come Maria con Elisabetta, per magnificare il Signore per quello che ha fatto "nell’altra"... e in me”. (Quando Christian usa "l'altra" in questi passaggi, si tratta del musulmano).   

Tra gli altri, ecco un testo [Ritiro alle Piccole Sorelle di Gesù, registrato nel novembre 1990] :
  “E noi siamo arrivati ​​un po' come Maria... Prima di tutto per rendere servizio..., perché è stata la sua prima ambizione, ma anche per portare questa buona notizia (ricevuta dall'angelo al momento dell'Annunciazione) ... E come comportarci per dirla?... E sappiamo che quelli che siamo venuti "ad incontrare" sono un po' come Elisabetta, sono portatori di un “messaggio”  che viene da Dio ... E la nostra Chiesa non ci dice, non sa qual è il legame esatto tra il Vangelo che portiamo e questo “ messaggio”che fa vivere l’altro. Insomma, la mia Chiesa non mi dice qual è il legame tra Cristo e l’Islam. E io vado verso i musulmani senza sapere qual è il legame...
Questo è ciò che Christian vuol dire quando descrive la sua presenza come "una presenza di Visitazione", una presenza come quella di Maria durante la visita a sua cugina Elisabetta.

Fra Christian conversa con degli amici musulmani 
  Fra Christian ci ha lasciato dei begli esempi di questa “presenza di Visitazione”, che ha potuto vivere nei contatti con qualche amico musulmano.  
Da quando, un giorno, mi ha chiesto inaspettatamente di insegnargli a pregare, M. ha preso l'abitudine di venire a parlare con me. Abbiamo così una lunga storia di condivisione spirituale. Spesso è stato necessario tagliar corto con lui, quando gli ospiti diventavano troppo numerosi e assorbenti. Un giorno ha trovato la formula per richiamarmi all’ordine:È parecchio che non abbiamo scavato il nostro pozzo!”. La usiamo quando sentiamo il bisogno di scambiare in profondità. Una volta, a titolo di scherzo, gli ho chiesto: “E in fondo al nostro pozzo che cosa troveremo? Acqua musulmana o acqua cristiana?”. Mi ha guardato, un po’ sorridente e un po’mortificato: “Ti poni ancora questa domanda? Sai, in fondo a questo pozzo, ciò che si trova è l'acqua di Dio” .

L’ambiente di vita della comunità: presenza e comunione. 
  Nel 1995 l'Unione dei Superiori Maggiori d'Algeria (USMDA) invitava tutte le comunità a riflettere insieme sul tema e sulla domanda: "Come, nella situazione attuale, stiamo raggiungendo il carisma del nostro Ordine?  La prima espressione con cui i fratelli di Tibhirine cercano di dire e spiegare il loro carisma è "Presenza".
Garantire una presenza, non missionaria apostolica, ma contemplativa e orante in ambiente musulmano, grazie ad una comunità stabile, unita e fraterna, laboriosa (con gli associati).
Una presenza discreta, misteriosa, separata dal mondo e in comunione con le persone, umilmente attenta ai bisogni materiali e spirituali di chi ci circonda .

É interessante rileggere ciò che fra Christian aveva detto durante le giornate di Roma nel settembre del 1989, sei anni prima, in particolare quello che aveva detto nella sua introduzione, una specie di 'carta d'identità' della comunità. Già il titolo è molto significativo: i fratelli si consideravano "oranti in mezzo ad altri oranti". La preghiera era il livello più profondo della loro convivenza.
   «Le poche riflessioni che tenterò di balbettare qui hanno senso solo a partire da quel luogo in cui ci sforziamo, giorno dopo giorno, dal 1934, di vivere in società. Parlerò quindi come testimone, ma il testimone che parlerà è anzitutto una comunità, anche se, di fatto, mi è stato concesso dai miei fratelli, nell’ambito di funzioni diverse, di trovarmi in prima fila nell’incontro e nella condivisione. Nulla potrebbe spiegarsi al di fuori di una presenza comunitaria costante e della fedeltà di ciascuno all’umile realtà quotidiana, dalla porta al giardino, dalla cucina alla lectio e alla liturgia delle ore.
Il dialogo che è così venuto a costituirsi ha le sue modalità, caratterizzate essenzialmente dal fatto che noi non ne assumiamo mai l’iniziativa. Mi piace qualificarlo come esistenziale. È il frutto di un lungo “vivere insieme” e di preoccupazioni condivise, a volte molto concrete. Questo significa che raramente è di ordine strettamente teologico. Abbiamo piuttosto la tendenza a fuggire le diatribe di questo genere: le considero limitate.
Dialogo esistenziale quindi, cioè concernente il materiale e lo spirituale nello stesso tempo, il quotidiano e l’eterno, a dimostrazione di quanto sia vero che l’uomo o la donna che ci sollecitano possono essere accolti solo nella loro realtà concreta e misteriosa di figli di Dio “creati prima in Cristo” (Ef 2,10). Cesseremmo di essere cristiani – e anche semplicemente uomini – se dovessimo mutilare l’altro della dimensione nascosta per incontrarlo solamente “da uomo a uomo”, cioè in una umanità depurata da qualsiasi riferimento a Dio, da ogni relazione personale e perciò unica con il Totalmente-Altro, privata di qualsiasi sbocco su un aldilà sconosciuto .

  La parola chiave dei monaci di Tibhirine è proprio "presenza". Una presenza che era accoglienza, nella fede di essere accolti anch’essi dai propri vicini. Presenza che era anche attiva e prendeva delle iniziative: "oranti in mezzo ad altri oranti", che rendono disponibile un locale nel monastero per una moschea. Presenza in un'associazione in cui fra Christophe condivide con alcuni musulmani il lavoro e i prodotti dell’orto. Presenza nel dispensario, dove fra Luc a volte ha 150 consultazioni al giorno: i malati dei dintorni o di un po' più lontano, i feriti dell'esercito così come del GIA, il gruppo terrorista. Presenza di fra Paul, l'idraulico, che lascia immediatamente il suo lavoro quando un vicino chiede di dargli una mano. "Presenza" degli altri fratelli in moltissimi altri modi.
Abbiamo caratterizzato questo "vivere ‘l’incontro con l'altro’ nella vita di tutti i giorni "come" il cammino privilegiato del dialogo islamo-cristiano". Ecco, in una sola frase, il dialogo interreligioso a Tibhirine: "il dialogo della vita", inter-culturalità e inter-religiosità in pratica.
Per raggiungere il macrocosmo si prepara il terreno mediante tanti contatti a livello teologico e politico. Come comunità pilota, i fratelli di Tibhirine lo praticavano nel microcosmo della loro umile comunità, nascosta in Algeria. Dopo aver condiviso sei mesi di vita nella comunità dell'Atlante in Marocco, un giornalista belga annota: "Il dialogo della vita, ecco il nome più adatto per il dialogo interreligioso come è stato vissuto a Tibhirine ".

giovedì 11 gennaio 2018

Mons Nassar, arcivescovo di Damasco, sfugge alla morte


L'8 gennaio, gli attentati hanno colpito gravemente la città vecchia di Damasco, tra cui la cattedrale maronita e la residenza dell'Arcivescovo, sopravvissuto "per provvidenza". Pubblichiamo qui la testimonianza che il vescovo Samir Nassar ha appena inviato a Aiuto alla Chiesa che Soffre

Provvidenza
"Una granata  è caduta sul mio letto lunedì 8 gennaio 2018. Alle 13:20, mentre mi preparavo a fare un pisolino. Qualche secondo al lavandino mi ha salvato la vita ... il letto è pieno di schegge di mortaio.
La Provvidenza veglia sul suo piccolo servitore.
Ora sono esiliato, come 12 milioni di profughi siriani che non hanno più niente.
Il danno è importante: le porte della Cattedrale e  43 porte e finestre devono essere sostituite, dei fori da tappare, i serbatoi del gasolio e dell'acqua da riparare, la rete elettrica da rifare, una macchina danneggiata. 
La violenza è la sola padrona ... gli innocenti vengono sacrificati ogni giorno.
I preti mantengono alto il morale. Hanno pianto di gioia vedendomi uscire vivo dal fumo e dai detriti ... Grazie Signore per questo nuovo inizio. La mia vita ti appartiene.
Nell'unione di preghiera di fronte a Nostra Signora della Pace. "

+ Samir NASSAR 
Arcivescovo maronita di Damasco

martedì 9 gennaio 2018

Per il secondo giorno, colpiti i quartieri cristiani di Damasco

 Almeno 14 missili sono stati lanciati anche oggi sui quartieri cristiani di Damasco, causando 5 morti, molti danni a edifici, a negozi e automobili, e diversi feriti. Anche la sede del Patriarcato Greco Cattolico oggi è stata raggiunta dalle bombe, come ieri era stata colpita la Chiesa francescana e quella Maronita. Chiediamo all'amico Joseph Antabi , cristiano di Damasco, cosa pensano i cristiani di questa situazione:
" Oggi sono molto scoraggiato, vedo un futuro nero per noi. Siamo convinti che ci sono Paesi ( America e Israele in primo luogo) che non vogliono i Cristiani in Medio Oriente. Se ci sono i Cristiani c'è resistenza, c'è identità e coscienza; senza i Cristiani potranno dire che sono tutti cattivi, e se resteranno solo i musulmani sarà più facile avere i pretesti per prendere la terra siriana. Nel Medio Oriente è questa la operazione di pulizia, e dopo aver già spazzato via i Cristiani dall'Iraq, continueranno con la Siria. la Giordania e il Libano. 
Ma noi Siriani siamo gli abitanti originari qui, siamo qui fin dalle origini del Cristianesimo! "


Agenzia Fides 9/1/2018

Un colpo di mortaio ha raggiunto lunedì 8 gennaio il quartiere di Bab Tuma, nella città vecchia di Damasco dove sono concentrate diverse chiese, causando ingenti danni alla parrocchia cattolica latina della Conversione di San Paolo, affidata alla cura pastorale dei frati francescani. La chiesa è stata danneggiata sul lato e sul tetto, le finestre sono state infrante e hanno subito danni anche gli impianti utilizzati per riscaldare la parrocchia. Il colpo d'artiglieria ha provocato danni anche all'adiacente cattedrale maronita, costruita nel 1865.
L'Arcieparchia di Damasco dei maroniti, retta dall'Arcivescovo Samir Nassar, nel 2013 contava oltre 20mila battezzati. 
I colpi di artiglieria lanciati contro la Città Vecchia di Damasco rappresentano l'ennesima conferma che, al di là dei proclami, il conflitto in Siria è ancora in atto e continua a interessare anche aree periferiche della Capitale. Nei giorni scorsi, fonti locali contattate dall'Agenzia Fides confermavano la notizia di raid aerei compiuti alla periferia est di Damasco, su aree ancora in mano ai gruppi anti-Assad. Mentre le fonti ufficiali siriane riferiscono che alle prime ore di oggi, martedì 9 gennaio, Israele ha messo in atto un attacco su territorio siriano con uso di aerei e missili terra-terra, diretto a colpire una base militare siriana nei pressi di al Katifa, sobborgo orientale di Damasco.

sabato 6 gennaio 2018

Magari per sbaglio, ma i castelli della propaganda finalmente si sfaldano...


di Fulvio Scaglione

In forma dubitativa, con ampio uso di condizionali e tra mille distinguo. Però adesso anche uno dei più diffusi quotidiani italiani si è accorto che il famoso Osservatorio siriano per i diritti umani, installato nel Regno Unito, non è la bocca della verità. Che è “gestito da una sola persona”, la quale non ha mai dato conto di quali siano in realtà le sue fonti.
Questa persona si chiama Rami Abdulrahman, risiede a Coventry da molti anni e quando ancora viveva in Siria era un noto oppositore di Bashar al-Assad. La cosa in sé va benone, siamo o no per la libertà di opinione e di parola? Ma va un po’ meno bene quando ti atteggi a informatore libero e imparziale. Lo stesso articolo non cita mai Abdulrahman ma aggiunge che l’Osservatorio “sarebbe finanziato da… agenzie occidentali, britanniche in particolare”, e in realtà è finanziato dal governo inglese. Che non ha mai raccontato la verità sui misfatti delle bande armate comunque definite “ribelli”, anche quando erano i tagliagole dell’Isis o di Al Nusra (ex Al Qaeda). E che le più accreditate agenzie internazionali, per esempio il Comitato internazionale della Croce Rossa, non hanno mai potuto confermare le affermazioni del suddetto Comitato contro l’esercito regolare siriano, accusato di affamare le popolazioni di molte città durante le operazioni militari.

Alla buon’ora. Ci sono voluti anni, e migliaia di articoli in cui invece l’Osservatorio era presentato come una fonte “terza” e affidabile, ma alla fine si fa strada la verità. Per i non moltissimi che, come noi, la ripetevano in tempi non sospetti, è comunque una soddisfazione.
Sarebbe una soddisfazione da poco, però, se restasse confinata in un bambinesco “io l’avevo detto”. Questo non conta niente. Conta molto, invece, il fatto che la gran parte dei media abbia raccontato l’atroce guerra civile siriana con un preconcetto che non poteva non distorcere la realtà. Poiché il cattivo era Assad, tutto ciò che andava contro Assad era buono. E se non era buono, comunque serviva alla causa. E quando la realtà smentiva la teoria, i suddetti media facevano come i leninisti e gli stalinisti di una volta e dicevano: è la realtà che sbaglia. È ciò che pensavano i politici americani, sauditi, turchi, inglesi, francesi. Ma appunto i politici. La stampa dovrebbe essere il loro cane da guardia, non la loro ancella.
Così l’Esercito libero siriano, diventato ininfluente dopo pochi mesi di conflitto, è stato raccontato come un protagonista. L’interventismo della Turchia e delle petromonarchie del Golfo Persico, grandi finanziatrici di Isis, Al Nusra e Fratelli Musulmani, mai sottolineata, e amplificata invece quella di Iran ed Hezbollah. Ogni civile morto era ucciso dai russi. Quando saltavano fuori le fosse comuni piene di persone assassinate dall’Isis e dagli altri gruppi “ribelli”, un riquadrino a pagina 38. La montagna di balle e distorsioni pian piano ha preso dimensioni tali da non poter più essere smantellata senza esserne travolti.


Lo si può fare adesso, come vediamo, perché l’Isis è stato sconfitto e la Siria sta uscendo dalle prime pagine. Il meccanismo, però, ha girato fino all’ultimo. Chi non ricorda le articolesse grondanti sdegno per la carneficina di Aleppo? I cannoni falciavano senza sosta i civili, l’ultimo pediatra-l’ultimo pompiere-l’ultimo blogger cadevano sotto i colpi, i bambini morivano come mosche, e tutto per colpa dei russi e degli assadiani. Pochissime parole erano state spese, negli anni precedenti, per compiangere gli aleppini bombardati giorno e notte dai “ribelli”, privati di acqua ed energia elettrica, chiusi nella parte occidentale della città e decimati giorno dopo giorno, ma pazienza. I nostri e i loro, serie A e serie B.
Poi è arrivata, in Iraq, la campagna per la liberazione di Mosul, occupata nel 2014 dall’Isis. La lunga battaglia (da ottobre 2016 e luglio 2017) è stata raccontata come una missione di gloria, tutta bella pulitina, una bomba intelligente qua, una incursione chirurgica là. Questa, sì, una cosa ben fatta.
Purtroppo sono, anche qui, arrivate le notizie vere. Gli alti comandi militari Usa parlavano di mille civili morti, e invece secondo le ricerche dell’Associated Press sono almeno 11mila. E il presidente della Commissione d’inchiesta istituita dal Parlamento iracheno, Kakim al-Zamely, ha raccontato di 23 mila militari caduti in battaglia, con oltre 70 mila feriti. In questo caso, però, nessun ultimo pediatra, nessun Elmetto Bianco da candidare al Nobel per la Pace, pochissimo sdegno e via andare.

Ma il crimine più grave di questo modo di fare (dis)informazione è un altro. Sta nel fatto che è stata tolta dignità a una larga parte della popolazione siriana. Il punto non è e non è mai stato decidere se il presidente siriano è un benefattore dell’umanità o un aguzzino. Dibatterne non è lecito ma doveroso.   Quello che non si doveva fare, ed è invece stato fatto, era decidere che chi non era dalla parte dei “ribelli” era un collaborazionista, un complice, un uomo o una donna in malafede, quasi di sicuro un corrotto, forse un potenziale assassino. Milioni di uomini e donne, dai vertici delle Chiese cristiane agli operai delle fabbriche distrutte, sono stati trasformati in mostri perché non la pensavano come opinion makers e giornalisti che nella maggior parte dei casi non sapevano nulla della Siria e men che meno si sognavano di metterci piede. Quel che quei milioni di siriani sentivano, ciò che loro a torto o a ragione pensavano, era senza valore. Loro stessi erano senza valore.
Anche chi non professava perfetta fede nelle veline dell’Osservatorio di Coventry era un “amico di Assad”. Curioso ma significativo: chi ci sputava addosso queste accuse non si faceva mai il problema di essere, per il suo stesso modo di ragionare, un amico dell’Isis.

venerdì 5 gennaio 2018

La santa Teofania del nostro Signore

“Un tempo sterile e amaramente priva di prole, rallegrati oggi, o Chiesa di Cristo: poiché dall’acqua e dallo Spirito ti sono stati generati dei figli”  S. Giovanni Damasceno 

La santa Teofania del nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo: https://www.culturacattolica.it/cristianesimo/feste-cristiane/liturgia-bizantina/la-santa-teofania-del-nostro-signore-dio-e-salvatore-ges%C3%B9-cristo

sabato 30 dicembre 2017

La ferma volontà di creare la pace è una grande forza

Intervista a Daniele Ganser, storico e irenologo svizzero


Intervista di Jean-Paul Vuilleumier
(Traduzione dal francese per OraproSiria di Gb.P.)

Alla fine del 2016, è stata pubblicata in tedesco la prima edizione del libro "Le guerre illegali della NATO. Una cronaca da Cuba alla Siria." di Daniele Ganser, storico svizzero e specialista in scienze della pace. Nel frattempo, questo libro è alla sua 7ª edizione con oltre 50.000 copie vendute. In occasione della recente pubblicazione dell'edizione francese di questo bestseller, Horizons and Debates ha parlato con l'autore di alcuni aspetti della sua analisi su guerra e pace, l'ONU, il Consiglio di sicurezza e i media.
Horizon et débats: signor Ganser, lei è uno storico, uno specialista nella storia contemporanea dal 1945 e un esperto di politica internazionale. All'interno dell'Istituto SIPER* che lei ha creato e gestito, si interessa a molti argomenti come energia e geostrategia, conflitti per le risorse e la politica economica, l'implementazione di guerre segrete. Lei è impegnato per la pace.
E' un irenologo (specialista delle scienze della pace). Il suo libro "The Illegal Wars of NATO" è stato appena pubblicato in francese. Tutte le guerre sono illegali?
Daniele Ganser: Sì, in generale, tutte le guerre sono illegali. La Carta delle Nazioni Unite, firmata nel 1945, afferma esplicitamente che gli Stati devono risolvere le loro divergenze senza ricorrere alla violenza o alle armi. Le guerre sono quindi chiaramente illegali. Tuttavia ci sono due eccezioni a questa regola: primariamente la legittima difesa; se un paese viene attaccato, ha il diritto di difendersi militarmente. Secondariamente, una guerra è legale se il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato un mandato esplicito in questo senso.
Horizon et débats: L'esempio della disfatta sovietica in Afghanistan avrebbe dovuto far riflettere gli Stati Uniti nel 2001; il fallimento della cosiddetta "esportazione della democrazia" in Iraq, avrebbe dovuto far riflettere due volte anche i francesi e gli inglesi, prima di intervenire in Libia nel 2011, o aiutare i jihadisti in Siria. Non è possibile imparare dalla storia?
Daniele Ganser: Penso che sia assolutamente possibile. La lezione più importante è che non possiamo risolvere i nostri problemi con la violenza. Questo è stato appurato molte volte. La guerra e la violenza non fanno che aggravare i problemi. Ecco perché, nel mio libro, sottolineo l'importanza di aderire ai princìpi fondatori dell'ONU, non bombardare o invadere altri paesi, non armare segretamente gruppi all'estero allo scopo di rovesciare un governo. Certamente noi stiamo affrontando grandi sfide, ma la violenza non aiuterà in nulla la loro soluzione.
Horizon et débats: Eppure, personaggi politici come Barack Obama e David Cameron non sono criticati dagli organi ufficiali per le loro guerre illegali.
Daniele Ganser: Esatto: il presidente Obama e il primo ministro britannico Cameron hanno usato la forza contro la Libia nel 2011, e possiamo vedere, anche adesso, che il Paese è ancora in preda alla violenza. Le guerre creano nuove difficoltà. In Siria, gli Stati Uniti e il Regno Unito, insieme ad altri Stati, hanno segretamente fornito armi ai nemici di Bashar al-Assad, come ho indicato nel libro. Ancora una volta, non è stata una buona idea: molte persone sono morte, molte altre hanno sofferto e continuano a soffrire.
Horizon et débats: Nel suo ruolo di studioso della pace, sembra che lei rimanga decisamente ottimista! Il suo libro mostra davvero una constatazione terribile, ma è realista, umanitario, potente e talvolta personale. Cosa la rende ottimista?
Daniele Ganser: Sono fermamente convinto che il desiderio di creare la pace sia una forza primaria per il ventunesimo secolo. Quando abbiamo la scelta tra uccidere e non uccidere, sono convinto che la seconda opzione sia sempre la migliore. Slobodan Milošević non era un nuovo Hitler. La verità storica è che Hitler fece bombardare Belgrado. È scandaloso che nel 1999 la Germania, insieme ad altri Paesi, abbia di nuovo bombardato la Jugoslavia. Questo è contrario alla Carta delle Nazioni Unite. So che alcuni in Francia si opposero alla decisione di Nicolas Sarkozy di bombardare la Libia nel 2011. Io li sostengo perché avevano ragione. Immaginate per un momento che la situazione fosse rovesciata, che la Libia avesse bombardato Parigi: non sarebbe stato giusto sostenere quelli tra i libici che si fossero opposti ai bombardamenti?
Horizon et débats: Lei menziona Martin Luther King, Albert Einstein e Mahatma Gandhi in diverse occasioni. Cosa rappresentano per lei?
Daniele Ganser: Queste tre personalità ebbero, ciascuna a suo modo, una grande importanza. Gandhi diede questo consiglio ispiratore: "Sii tu stesso il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". La gente cerca dei veri leader e li cerca tra i capi di stato o di governo; ma non è tra questi che bisogna cercarli, perché i politici hanno troppo spesso fatto le guerre. E questo non è certo il tipo di valori che vogliamo inculcare nei nostri figli, nelle nostre scuole! Noi non consiglieremo loro l'uso della violenza, ma l'esatto opposto: in caso di problemi, guardati dalla violenza, preferisci il dialogo e rifletti sulle tue emozioni e sui tuoi pensieri!
Horizon et débats: L'edizione francese del suo libro è annunciata come "un'accusa contro la NATO e un appello a favore dell'ONU". Molte persone che sono assai critiche o addirittura contrarie alla NATO sono anche scettiche o persino sospettose nei confronti dell'ONU. Perché l'ONU è importante?
Daniele Ganser: Nel mio libro, dimostro chiaramente come la Carta delle Nazioni Unite sia un documento meraviglioso perché impone a tutti i membri dell'organizzazione (193 Stati in totale) la proibizione dell'uso della forza nelle relazioni internazionali. Questa è la parte migliore dell'ONU, ma questo non mi impedisce di vedere i suoi difetti e capisco le voci critiche che non hanno più fiducia in essa. Nel mio libro, mostro che il Consiglio di Sicurezza non funziona in modo ideale. Se un membro permanente del Consiglio viola la Carta, non sarà punito perché dispone del diritto di veto per bloccare una eventuale risoluzione. Chiaramente, questo non è giusto.
Horizon et débats: L'impotenza delle Nazioni Unite è forse la conseguenza del fatto che non dispone di un vero esercito? Come dovrebbe essere trasformata l'ONU per diventare più efficace?
Daniele Ganser: Non penso che il problema principale dell'ONU sia che manca di un potente esercito. Immaginiamo per un momento il contrario, che ne sia dotato. Chi deciderà riguardo al suo uso, per inviarlo a combattere? Sarebbe il Consiglio di Sicurezza. La mia opinione personale, basata sulle mie ricerche, è che gli ultimi 70 anni dimostrano che i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (in particolare gli Stati Uniti e gli altri paesi membri della NATO) hanno condotto troppe guerre illegali, proteggendosi poi dalle possibili sanzioni, proprio grazie al loro diritto di veto.
Horizon et débats: Il progetto originario delle Nazioni Unite era di stabilire un diritto internazionale in base al quale tutti i Paesi sarebbero stati uguali. Tuttavia, l'esistenza stessa delle Nazioni Unite è stata accettata dalle grandi potenze solo perché hanno potuto arrogarsi un potere di blocco (diritto di veto) in contraddizione con l'uguaglianza tra gli Stati. Quali scenari possono essere previsti per il futuro delle Nazioni Unite in questa situazione paradossale? Come potrebbe l'Organizzazione evolvere verso una maggiore uguaglianza, giustizia e pace tra i suoi membri?
Daniele Ganser: In effetti, c'è un paradosso. Le Nazioni Unite comprendono 193 Paesi membri, ma solo 5 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) hanno il diritto di veto. Di conseguenza, detengono ciascuno più potere rispetto agli altri 188 Stati messi insieme. È quindi un sistema a due classi, una che gode di privilegi, mentre l'altra ne è priva. Delle riforme sarebbero benvenute. Il diritto di veto potrebbe e dovrebbe essere abolito; ma gli Stati che ne dispongono rifiuteranno di rinunciare a questo potere. Da un punto di vista pratico e pragmatico, è quindi della massima importanza dimostrare che le grandi potenze combattono guerre illegali.
Horizon et débats: A cosa potrebbe assomigliare un mondo senza la NATO? L'Europa non sarebbe quindi minacciata dalla Russia?
Daniele Ganser: No, non mi sembra realistico pensare che la Russia invaderebbe e occuperebbe l'Europa se la NATO dovesse essere sciolta. Lo scioglimento dell'Alleanza Atlantica fu auspicata da molti in seno al movimento per la pace quando cadde il Muro di Berlino e il Patto di Varsavia scomparve. Ma i "dividendi della pace" annunciati non si sono mai materializzati. Al contrario, la spesa militare è addirittura aumentata. Tanto che ora abbiamo stabilito dei record al riguardo e realizzato un arsenale altamente sofisticato senza precedenti. Ban Ki-moon, allora Segretario Generale dell'ONU, si premurò di avvertirci: "Il mondo è troppo armato e la pace è sotto-finanziata".
Horizon et débats: Leggendo il suo libro, si comprende davvero che l'uso della forza non è mai una buona soluzione; o meglio, è sempre la peggiore. Per fare solo un esempio, senza l'intervento militare degli Stati Uniti in Iraq, l'ISIS non esisterebbe: la "guerra al terrore" non solo genera violenza, ma aumenta anche il terrorismo. Una fine per questa spirale di violenza non è in vista.
Daniele Ganser: Lei riassume bene la situazione in cui ci troviamo. Finché i mass media daranno voce soprattutto ai signori della guerra e ad altri guerrafondai, a quelle persone che credono nella violenza e la promuovono regolarmente in televisione e sulla stampa, non si interromperà mai il ciclo delle guerre. I media producono consenso, formano l'opinione pubblica. Se agli amici della pace si fosse dato un tempo di parola maggiore, una più ampia tribuna sia nei media istituzionali che alternativi, allora sempre più persone avrebbero capito che non possiamo risolvere i nostri problemi con la violenza. I media svolgono un ruolo cruciale perché possono mettere a tacere alcune voci o opinioni o amplificarne altre. È illusorio pensare che nelle nostre società democratiche tutte le voci abbiano la stessa importanza. Il più delle volte, sentiamo chiedere dai "falchi" l'aumento dei bilanci per gli armamenti e le operazioni militari, solo e sempre questo genere di discorsi. E allo stesso tempo, le voci di coloro che studiano le guerre e la violenza e che con cognizione di causa avvertono che le guerre non sono una soluzione, queste voci il più delle volte sono zittite o ignorate. Così, ben pochi conoscono il generale americano Smedley Butler (1881-1940), all'epoca il più alto in grado del Corpo dei Marines e alla sua morte il Marine più decorato della storia. Purtroppo ciò che dichiarò è ancora attuale, ma non rischierete di sentirlo in TV. Cito: "La guerra è un racket. Lo è sempre stato. È forse il più vecchio, di gran lunga il più redditizio e certamente il più vizioso. È l'unico di portata internazionale. È l'unico affare in cui i guadagni vengono contati in dollari e le perdite in vite umane."
Horizon et débats: Mentre le persone in qualsiasi parte del mondo semplicemente aspirano a vivere in pace, la propaganda di guerra presenta coloro che vi si oppongono come vigliacchi o sostenitori di "regimi autoritari o dittatoriali".
Daniele Ganser: Sì, è la regola del "gioco" sul fronte interno. Per fronte interno, intendo il Paese (o i Paesi), dove vivono i cittadini che finanziano con le loro tasse le navi e gli aerei da guerra, i missili e le armi usate per uccidere, e dove vivono anche le madri dei soldati che sono inviati a combattere. Quindi, il fronte interno deve essere assolutamente convinto che la guerra sia giusta oltre che necessaria. Come si ottiene questo consenso? Grazie ai mass media. È l'unico modo, non c'è altro modo.
Horizon et débats: A differenza del teatro delle operazioni, la lotta sul fronte interno non è fatta con bombe e altre munizioni, ma a colpi di editoriali ed articoli, con foto e immagini. La cosa più sorprendente e più scioccante è che la maggior parte della gente non conosce nemmeno il termine "fronte interno", né è a conoscenza della massiccia propaganda alla quale viene sottoposta per ogni nuova guerra.
Daniele Ganser: Albert Camus, scrittore, premio Nobel per la letteratura e filosofo, ha sottolineato che noi possiamo sempre influenzare la storia: "Nulla è più imperdonabile della guerra e dell'incitamento all'odio razziale. Ma una volta che la guerra è iniziata, è futile e codardo non fare nulla con il pretesto che non ne siamo responsabili. [...] Ognuno ha una sfera di influenza di dimensioni diverse [...] Ci sono quelli che ci mandano alla morte oggi - perché non dovrebbe spettare agli altri creare la pace nel mondo? [...] Tra il momento della nascita e quello della morte, quasi nulla è predeterminato: possiamo cambiare tutto e persino mettere fine alla guerra, e stabilire la pace, se la volontà è abbastanza forte e duratura."
Horizon et débats: Quale sarà il ruolo del progresso tecnologico nelle guerre future? I robots guideranno la guerra?
Daniele Ganser: Oggi ci sono robots armati capaci di uccidere. È stato saggio sviluppare e produrre tali robot killer? I droni che sorvolano l'Afghanistan e il Pakistan sono macchine e uccidono la gente. Questa è già la realtà. Attualmente, la rivoluzione digitale viene messa al servizio del complesso militare-industriale. Da qui a 10 e 20 anni, film di fantascienza come "Terminator" (1984) o "Robocop" (1987) diventeranno realtà nel senso che le macchine uccideranno la gente quasi in modo autonomo. La questione della violenza è lungi dall'essere risolta, si è fatta più complessa. Si deve parlarne apertamente. Il mio ruolo di storico è di ricordare alla gente che la guerra e la violenza sono state usate a più riprese e che non è mai stato possibile porre fine alla violenza con la forza. Dobbiamo evolvere e trovare altri mezzi, altre soluzioni ai nostri problemi.
Horizon et débats: Nel suo libro lei scrive che "i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, che sono anche responsabili della pace mondiale, sono i maggiori esportatori di armamenti", sottolineando che "non appena scoppia un conflitto, questi cinque Stati ne beneficiano perché le loro esportazioni di armi vanno ad aumentare".
Daniele Ganser: Questo è uno dei grandi paradossi del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Il suo scopo e la sua responsabilità sono promuovere la pace. Eppure, questi cinque Stati membri sono i principali fornitori di armi e le loro spese militari sono enormi. Il loro complesso militare-industriale è molto potente. Ma ognuno può decidere se vuole usare la forza o no. Come esseri umani, dobbiamo rafforzare la benevolenza e l'umanità.
Horizon et débats: Lei scrive che alla luce della storia umana, il divieto della guerra nella Carta delle Nazioni Unite ha solo 72 anni. Nella sua prospettiva, quindi è piuttosto giovane. Questo è uno dei motivi per cui il progresso che implica non è ancora stato acquisito e integrato dal genere umano?
Daniele Ganser: Sì, la Carta delle Nazioni Unite, che ha messo fuorilegge le guerre e le ha rese illegali, è stata firmata nel 1945. Quindi è un documento giovane. Nello sguardo di uno storico, 70 anni rappresentano un breve periodo. Ma possiamo constatare che abbiamo progredito: nei secoli precedenti, non è mai esistito un documento del genere. Questo è il primo. Il prossimo passo sarà rispettare la Carta delle Nazioni Unite, far parlare i media sull'illegalità delle guerre e spiegare come funziona la propaganda di guerra (piuttosto che diffonderla). Penso davvero che tutti abbiamo un interesse comune per la pace, indipendentemente dal nostro genere, religione, educazione o ceto. Ho scritto questo libro sperando di rafforzare il movimento per la pace e sono molto lieto che sia ora disponibile in francese.
Horizon et débats: Grazie mille per questa intervista.
* SIPER (Schweizer Institut für Friedensforschung und Energie / Istituto svizzero per la ricerca sulla pace e l'energia) è stato creato nel 2011 come istituto indipendente a Basilea. Sotto la guida di Daniele Ganser, SIPER esamina da un punto di vista geopolitico la lotta globale per il petrolio e il potenziale delle energie rinnovabili. Questo istituto trasmette i suoi dati a un pubblico interessato. È supportato da partner economici e mantiene scambi scientifici con partner nel campo della ricerca. Il prodotto principale di SIPER sono le conferenze pubbliche. Altri risultati sono interviste, studi e pubblicazioni. Nel campo della ricerca sulla pace (irenologia), SIPER difende la visione di un mondo in cui il conflitto si risolve attraverso la negoziazione e il rispetto - senza violenza, tortura, terrorismo e guerra.