Traduci

domenica 14 gennaio 2018

Verso la beatificazione dei 19 martiri di Algeria

19 religiosi e religiose cattolici hanno dato la loro vita in Algeria negli anni '90, tra cui sette monaci trappisti dell'abbazia Nostra Signora di Atlas di Tibhirine.
Benchè molto lungo, pubblichiamo quasi interamente il ricchissimo testo di padre Ivo Dujardin, prezioso documento per comprendere il cammino spirituale in cui maturò la loro offerta, il rapporto con l'Islam ed il messaggio di questi 'uomini di Dio'.
"Ognuno dei martiri algerini", riferisce il postulatore della causa di beatificazione padre Georgeon, "è stato un testimone genuino dell'amore di Cristo, del dialogo e dell'apertura agli altri, dell'amicizia e della lealtà verso il popolo algerino. Con immensa fede in Gesù Cristo e nel suo Vangelo. Non hanno dato la vita per un'idea, per una causa, ma per Cristo".



Nel giardino di Tibhirine : il dialogo della vita.
  Dopo alcune settimane di attesa angosciosa e di timore misto a speranza, arrivò la terribile notizia che i sette trappisti francesi del monastero algerino di Tibhirine, sequestrati nella notte dal 26 al 27 marzo 1996, erano stati crudelmente uccisi il 21 maggio. Qualche giorno dopo, lo sconvolgente testamento di fra Christian, il priore, era consegnato alla stampa dalla famiglia e diffuso in tutto il mondo. Non lasciò nessuno nell’indifferenza, neppure i musulmani.
In questo tentativo di lettura della vita e della morte dei monaci di Tibhirine, lascerò largamente la parola agli stessi fratelli, citandoli e anche approfittando degli autori che hanno riflettuto su Tibhirine e che possono aiutarci ad entrare nel mistero della loro Pasqua e del suo significato per la Chiesa e per il mondo di oggi.
Si tratta quindi di un florilegio, come è espresso dal titolo. Il film “Uomini di Dio” ha avuto un grande successo, ma da solo non spiega tutto. È necessario, da una parte, aver letto e meditato almeno alcuni testi per capire meglio il film e, d’altra parte, per completare il suo contenuto e il suo messaggio.
Una prima parte situa i sette fratelli di Tibhirine nel gruppo dei 19 religiosi che hanno dato la vita in Algeria dal 1994 al 1996. Una seconda parte vuole tratteggiare il tipo di dialogo interreligioso, come è stato praticato e vissuto a Tibhirine. La terza parte accenna alle condizioni basilari per tale dialogo: si tratta di due condizioni fondamentali anche per tutti quelli che nella loro vita vogliono lasciarsi ispirare da Tibhirine.

I fratelli di Tibhirine nel gruppo dei diciannove testimoni dell’Algeria e con una loro vocazione particolare
  Nel gruppo dei 19 religiosi che hanno dato la vita in Algeria fra il 1994 e il 1996, tutti erano francesi, tranne due suore spagnole e un Padre Bianco belga.
Nell’ordine cronologico della loro morte c’erano: un fratello Marista, una Piccola Sorella dell’Assunzione, due suore spagnole Agostiniane Missionarie, quattro Missionari d’Africa (Padri Bianchi) fra cui un belga, due suore di Nostra Signora degli Apostoli, una Piccola Sorella del Sacro Cuore, sette monaci Trappisti e da ultimo un domenicano, Monsignor Pierre Claverie, vescovo di Orano.
In tutto il gruppo i monaci trappisti occupano un posto speciale. Non certo perché il loro amore o il anche il dono della loro vita siano stati straordinari nel senso che siano stati i più grandi di tutti: non si tratta di questo! Ma perché le situazioni concrete, le circostanze in cui questo dono si è compiuto sono state molto particolari. Bisogna senz’altro evitare di mettere troppo in risalto queste “sette vite per Dio e per l’Algeria”. Sì, sarebbe un vero peccato monopolizzare questa grazia a favore dei sette. Il cammino degli altri dodici non si differenzia per nulla da quello dei fratelli di Tibhirine. Tutti hanno fatto lo stesso discernimento personale: tutti – ognuno nella fedeltà alla propria vocazione – hanno dato la loro vita per Dio e per l’Algeria.
Tutti hanno scelto non di restare, ma piuttosto di non partire. Preferisco formulare così la loro scelta. La distinzione può essere sottile, ma non è senza importanza. Hanno scelto l’amore, così come era stato definito da fra Christophe in alcuni versi: tutti hanno amato fino al segno supremo.
Ama fino a quando il fuoco si estingue
fino all’estremo
occorre benedire
offrire l’azione di grazie
e vincere mediante la lode.
Fino all’estremo
bisogna servire
fare la verità
e vincere mediante l’amicizia
Per guadagnare il cuore dell’uomo bisogna AMARE 

Questo non toglie che il cammino di questa comunità monastica - senza compiti pastorali individuali, in un luogo abbastanza deserto, lontano da ogni città, circondato soltanto da alcuni contadini - sia stato speciale.
Era un gruppo di monaci fra altri due gruppi in conflitto, con i quali essi hanno avuto contatti diretti e regolari: da una parte l’esercito algerino nella pianura e dall’altra il GIA nella montagna.
Se gli altri religiosi hanno ricevuto un avvertimento globale, che era stato formulato per tutti gli stranieri alla fine del 1993, i monaci hanno ricevuto proprio a casa loro una visita-avvertimento durante la notte di Natale del 1993
Tutti erano ben coscienti del rischio che correvano per le loro vite. I monaci, però, hanno ricevuto un avvertimento consegnato direttamente alla porta del monastero con una parola d’ordine: “Signor Christian”.
Dietro questo cammino speciale io presumo e sospetto una vocazione speciale, supplementare, la vocazione cioè di “rendere visibile esteriormente”, direi di “spiegare” quello che è stato il fuoco interiore di tutti gli altri in Algeria, sia che vi siano morti o che siano rimasti in vita, come per esempio i fratelli Amedée e Jean-Pierre, scampati al sequestro. I sette hanno scritto in chiare lettere, attraverso un cammino documentato, quella che è stata la storia “interiore” degli altri dodici, come se in questa maniera il Signore avesse voluto garantire per le generazioni future una “tradizione” scritta da un fuoco interno che abitava questa presenza cristiana e missionaria in Algeria.
Non si potrebbe dire che Tibhirine, pur restando fedele in una maniera creativa al carisma monastico cistercense, è divenuto un simbolo, una “parabola” della presenza missionaria multiforme sparsa in tutto il mondo, sia in situazioni di pericolo, sia in situazioni più pacifiche?
Oggi, a fatti avvenuti e dopo un film che ha già raggiunto milioni di persone di ogni tipo e religione, si può affermare senza troppi rischi di sbagliarsi: mediante la loro vita e la loro morte, i fratelli e il cammino che hanno fatto hanno ricevuto la vocazione di essere una ‘parola’, ‘parola universale, un messaggio per un mondo in cerca di una pace interculturale e interreligiosa.
Il film esteriorizza dunque l’impegno missionario in Algeria e ovunque nel mondo. Il film è una parola per tutto il mondo nelle sue diversità di culture e di religioni in questo momento storico importante.

Il dialogo interreligioso a Tibhirine
   Il « Ribât es Salâm »
  Sì, c’è stato a Tibhirine un dialogo fra cristiani e musulmani, ma un dialogo di un genere diverso da quello che si svolgeva ad alto livello. Avveniva soprattutto negli incontri del Ribât es Salâm, « il legame della Pace », a cui partecipavano alcuni monaci. Era un gruppo islamo-cristiano i cui membri si incontravano due volte all’anno, ma le cui condivisioni non avvenivano a livello teologico. Veniva condiviso il vissuto dei sei mesi trascorsi su di un tema comune alle due tradizioni religiose, scelto nella riunione precedente.
Christian era il cofondatore di questo Ribât-es-Salâm. Il sequestro dei monaci avvenne proprio durante uno di questi incontri.
Nel 1989, in una comunicazione data nel corso delle Giornate di Roma, Christian spiegava così il senso di questo Ribât : 
«Sì, possiamo veramente aspettarci qualcosa di nuovo ogni volta che facciamo lo sforzo di decifrare i ‘segni’ di Dio negli ‘orizzonti’ dei mondi e dei cuori, mettendoci semplicemente in ascolto e anche alla scuola dell’altro, in questo caso, musulmano. È proprio questo l’obiettivo del nostro Ribât che, fin dagli inizi dieci anni fa (marzo 1979), si era riconosciuto nell’intuizione di Max Thurian, così vicina a quella dei nostri amici di Medea: «È importante che la Chiesa assicuri a fianco dell’Islam una presenza fraterna di uomini e di donne che condividono il più possibile la vita dei musulmani, nel silenzio, la preghiera e l’amicizia. Solo così, a poco a poco, si preparerà ciò che Dio vuole a proposito delle relazioni della Chiesa e dell’Islam».

Raymond Mengus e il dialogo interreligioso
  Il carisma dei fratelli di Tibhirine si è situato al livello della gente semplice. Lascio la parola al teologo di Strasburgo Raymond Mengus. Nel suo libro « Le signe sur la montagne », che descrive la continuazione della comunità dell’ Atlas di Algeria nella piccola comunità che vive oggi in Marocco, lo esprime in modo molto chiaro: 
«Il culmine delle relazioni fra le religioni si chiama ‘dialogo’. La causa sembra chiara; bisogna mirare ai più alti gradini del dialogo: è là che devono salire specialisti, responsabili e fedeli.
Ma in mancanza e in attesa di ciò, si potrà curare di più le relazioni che si generano attraverso dati elementari, che si chiamano: rapporti di vicinanza, attenzione alle persone, aiuto reciproco, conversazione ordinaria, contatti che avvengono per strada.
Sono realtà umili, alla portata di ogni uomo e donna di buona volontà. A volte potranno essere abbellite con il bel nome di ‘dialogo della vita’, considerato come un anticipo, nella speranza di meritare qualcosa di più nel futuro.
E se questo tipo di dialogo meritasse già ora pienamente il suo nome? Se fosse una vetta, invece di una preparazione? La vetta, cioè il luogo dove si vede in maniera più giusta, dove tutto si decide, nel modo migliore, della portata dei testi come della loro virtù esistenziale, della credibilità degli argomenti e della purezza delle intenzioni.
Perché, in fin dei conti, il confronto intellettuale delle nostre idee religiose potrebbe essere solo dogmatico, nel senso peggiorativo del termine, se si fermasse a se stesso e si compiacesse solo di se stesso. Mostrami piuttosto la tua umanità (e io ti mostrerò il mio Dio).
Evidentemente le tue rappresentazioni di Dio mi interessano, ma quello che importa ancora di più è ciò che esse producono e costruiscono in te.
Per andare ancora oltre: non saremo giudicati sulle nostre idee e meno ancora sulle nostre appartenenze. La prima e l’ultima parola dipendono da ben altro. Noi saremo giudicati sull’amore. E dall’amore ".

In un altro brano l’autore cita anche questa riflessione, tratta dalla corrispondenza di Louis Massignon (1883-1962): 
"Quello che sarebbe necessario fare, è andare da solo come ha fatto Foucauld, ma non nel deserto, ma in un villaggio dove si potrà pian piano, con le relazioni di aiuto reciproco quotidiano, agire sulle donne e sui bambini. È nella vita quotidiana e semplice che si può raggiungere in maniera profonda una società: non è nelle chiacchiere intellettuali degli uomini, dove tutti, una volta fuori, riprendono le loro posizioni di ripiego. Non credo, però, che nessun Ordine religioso tolleri che uno dei suoi membri si dia a questo tipo di azione, e dove trovare una vocazione per questo tipo di vita se non in Ordini religiosi? Ciò che serve in sostanza è dare l’esempio di una vita semplice, accettando il momento presente e le reazioni degli eventi inattesi in un certo spirito. Tutto il resto è letteratura per congressi di missiologia" .

Charles de Foucauld e fra Christian meditano il mistero della Visitazione di Maria a Elisabetta 
  Partendo dalla condivisione della vita, il Beato Charles de Foucauld, il fratello universale, ha riconosciuto nel mistero della Visitazione di Maria ad Elisabetta nel Vangelo di Luca (Lc 1,39-56) il simbolo della sua vocazione nel Maghreb. Ha dedicato a questo mistero tutte le sue fraternità, quando ancora non ne esisteva neppure una! In una meditazione su questo passaggio, lascia la parola a Gesù:
Appena incarnato, ho chiesto a mia M(adre) di portarmi nella casa dove nascerà Giovanni, per santificarla prima della nascita [...]
... A tutte coloro che mi possiedono e vivono nascoste, che mi possiedono ma non hanno ricevuto la missione di predicare, dico loro di santificare le anime, portandomi tra loro in silenzio; alle anime di silenzio, di vita nascosta, che vivono lontano dal mondo in solitudine, dico: “Tutte, tutte, lavorate per la santificazione del mondo, lavorate come mia Madre, senza parole, in silenzio; Andate a stabilire i vostri pii ritiri in mezzo a quelli che mi ignorano; portatemi in mezzo a loro stabilendo un altare, un tabernacolo, e portate loro il Vangelo, non con la predicazione della bocca, ma con la predicazione dell'esempio; santificate il mondo, portatemi al mondo, anime pie, anime nascoste, e silenziose, come Maria mi ha portato a Giovanni ... 
  Partendo da questa ispirazione, il Beato Charles de Foucauld, il fratello universale, ha già dedicato tutte le sue future fraternità alla Vergine Maria nel mistero della sua Visitazione... e non ne esisteva ancora nessuna! Fra parentesi, fra Christian ha cominciato a scrivere il suo testamento il 1° dicembre, anniversario della morte dell’eremita di Tamanrasset.
Non meraviglierà nessuno che la figura dell’eremita di Tamanrasset sia stata fonte di ispirazione per la comunità di Tibhirine. Questo era particolarmente vero per il priore. Prima di prendere la decisione di impegnarsi in modo definitivo nella comunità di Tibhirine, egli aveva fatto un viaggio di 1500 km a sud e, a 80 km da Tamanrasset, era salito sull’Assekrem, per fare durante più di un mese un cammino di discernimento, prima di prendere la decisione definitiva. Il fatto di iniziare a scrivere il suo testamento il 1° dicembre 1993, anniversario della morte di Charles de Foucauld, non è stato certo un caso. Anche per fra Christian "il mistero della Visitazione è una festa quasi patronale della comunità, fin dalle sue origini". E' tornato più volte su questo argomento.
Anche lui, in questa pagina del Vangelo, si identifica con Maria che porta Gesù nella casa di Elisabetta. Ma lo esprime con il suo accento personale. Per Charles de Foucauld, Maria "porta" Gesù da Elisabetta, mentre Christian si identifica con Maria, come colei che "riceve" da Elisabetta una parola inaspettata. Il priore di Tibhirine vuole essere aperto alla parola che “l’altro”, il musulmano, può dire a lui e alla Chiesa.
Christian immagina di essere nella situazione di Maria durante la sua visita a Elisabetta. Egli sa che Maria porta un mistero vivente, una buona notizia vivente, ma non sa come fare per annunciare questo mistero, che è anche il mistero di Dio. 
Noi siamo quindi invitati a essere costantemente in uno stato di Visitazione, come Maria con Elisabetta, per magnificare il Signore per quello che ha fatto "nell’altra"... e in me”. (Quando Christian usa "l'altra" in questi passaggi, si tratta del musulmano).   

Tra gli altri, ecco un testo [Ritiro alle Piccole Sorelle di Gesù, registrato nel novembre 1990] :
  “E noi siamo arrivati ​​un po' come Maria... Prima di tutto per rendere servizio..., perché è stata la sua prima ambizione, ma anche per portare questa buona notizia (ricevuta dall'angelo al momento dell'Annunciazione) ... E come comportarci per dirla?... E sappiamo che quelli che siamo venuti "ad incontrare" sono un po' come Elisabetta, sono portatori di un “messaggio”  che viene da Dio ... E la nostra Chiesa non ci dice, non sa qual è il legame esatto tra il Vangelo che portiamo e questo “ messaggio”che fa vivere l’altro. Insomma, la mia Chiesa non mi dice qual è il legame tra Cristo e l’Islam. E io vado verso i musulmani senza sapere qual è il legame...
Questo è ciò che Christian vuol dire quando descrive la sua presenza come "una presenza di Visitazione", una presenza come quella di Maria durante la visita a sua cugina Elisabetta.

Fra Christian conversa con degli amici musulmani 
  Fra Christian ci ha lasciato dei begli esempi di questa “presenza di Visitazione”, che ha potuto vivere nei contatti con qualche amico musulmano.  
Da quando, un giorno, mi ha chiesto inaspettatamente di insegnargli a pregare, M. ha preso l'abitudine di venire a parlare con me. Abbiamo così una lunga storia di condivisione spirituale. Spesso è stato necessario tagliar corto con lui, quando gli ospiti diventavano troppo numerosi e assorbenti. Un giorno ha trovato la formula per richiamarmi all’ordine:È parecchio che non abbiamo scavato il nostro pozzo!”. La usiamo quando sentiamo il bisogno di scambiare in profondità. Una volta, a titolo di scherzo, gli ho chiesto: “E in fondo al nostro pozzo che cosa troveremo? Acqua musulmana o acqua cristiana?”. Mi ha guardato, un po’ sorridente e un po’mortificato: “Ti poni ancora questa domanda? Sai, in fondo a questo pozzo, ciò che si trova è l'acqua di Dio” .

L’ambiente di vita della comunità: presenza e comunione. 
  Nel 1995 l'Unione dei Superiori Maggiori d'Algeria (USMDA) invitava tutte le comunità a riflettere insieme sul tema e sulla domanda: "Come, nella situazione attuale, stiamo raggiungendo il carisma del nostro Ordine?  La prima espressione con cui i fratelli di Tibhirine cercano di dire e spiegare il loro carisma è "Presenza".
Garantire una presenza, non missionaria apostolica, ma contemplativa e orante in ambiente musulmano, grazie ad una comunità stabile, unita e fraterna, laboriosa (con gli associati).
Una presenza discreta, misteriosa, separata dal mondo e in comunione con le persone, umilmente attenta ai bisogni materiali e spirituali di chi ci circonda .

É interessante rileggere ciò che fra Christian aveva detto durante le giornate di Roma nel settembre del 1989, sei anni prima, in particolare quello che aveva detto nella sua introduzione, una specie di 'carta d'identità' della comunità. Già il titolo è molto significativo: i fratelli si consideravano "oranti in mezzo ad altri oranti". La preghiera era il livello più profondo della loro convivenza.
   «Le poche riflessioni che tenterò di balbettare qui hanno senso solo a partire da quel luogo in cui ci sforziamo, giorno dopo giorno, dal 1934, di vivere in società. Parlerò quindi come testimone, ma il testimone che parlerà è anzitutto una comunità, anche se, di fatto, mi è stato concesso dai miei fratelli, nell’ambito di funzioni diverse, di trovarmi in prima fila nell’incontro e nella condivisione. Nulla potrebbe spiegarsi al di fuori di una presenza comunitaria costante e della fedeltà di ciascuno all’umile realtà quotidiana, dalla porta al giardino, dalla cucina alla lectio e alla liturgia delle ore.
Il dialogo che è così venuto a costituirsi ha le sue modalità, caratterizzate essenzialmente dal fatto che noi non ne assumiamo mai l’iniziativa. Mi piace qualificarlo come esistenziale. È il frutto di un lungo “vivere insieme” e di preoccupazioni condivise, a volte molto concrete. Questo significa che raramente è di ordine strettamente teologico. Abbiamo piuttosto la tendenza a fuggire le diatribe di questo genere: le considero limitate.
Dialogo esistenziale quindi, cioè concernente il materiale e lo spirituale nello stesso tempo, il quotidiano e l’eterno, a dimostrazione di quanto sia vero che l’uomo o la donna che ci sollecitano possono essere accolti solo nella loro realtà concreta e misteriosa di figli di Dio “creati prima in Cristo” (Ef 2,10). Cesseremmo di essere cristiani – e anche semplicemente uomini – se dovessimo mutilare l’altro della dimensione nascosta per incontrarlo solamente “da uomo a uomo”, cioè in una umanità depurata da qualsiasi riferimento a Dio, da ogni relazione personale e perciò unica con il Totalmente-Altro, privata di qualsiasi sbocco su un aldilà sconosciuto .

  La parola chiave dei monaci di Tibhirine è proprio "presenza". Una presenza che era accoglienza, nella fede di essere accolti anch’essi dai propri vicini. Presenza che era anche attiva e prendeva delle iniziative: "oranti in mezzo ad altri oranti", che rendono disponibile un locale nel monastero per una moschea. Presenza in un'associazione in cui fra Christophe condivide con alcuni musulmani il lavoro e i prodotti dell’orto. Presenza nel dispensario, dove fra Luc a volte ha 150 consultazioni al giorno: i malati dei dintorni o di un po' più lontano, i feriti dell'esercito così come del GIA, il gruppo terrorista. Presenza di fra Paul, l'idraulico, che lascia immediatamente il suo lavoro quando un vicino chiede di dargli una mano. "Presenza" degli altri fratelli in moltissimi altri modi.
Abbiamo caratterizzato questo "vivere ‘l’incontro con l'altro’ nella vita di tutti i giorni "come" il cammino privilegiato del dialogo islamo-cristiano". Ecco, in una sola frase, il dialogo interreligioso a Tibhirine: "il dialogo della vita", inter-culturalità e inter-religiosità in pratica.
Per raggiungere il macrocosmo si prepara il terreno mediante tanti contatti a livello teologico e politico. Come comunità pilota, i fratelli di Tibhirine lo praticavano nel microcosmo della loro umile comunità, nascosta in Algeria. Dopo aver condiviso sei mesi di vita nella comunità dell'Atlante in Marocco, un giornalista belga annota: "Il dialogo della vita, ecco il nome più adatto per il dialogo interreligioso come è stato vissuto a Tibhirine ".

giovedì 11 gennaio 2018

Mons Nassar, arcivescovo di Damasco, sfugge alla morte


L'8 gennaio, gli attentati hanno colpito gravemente la città vecchia di Damasco, tra cui la cattedrale maronita e la residenza dell'Arcivescovo, sopravvissuto "per provvidenza". Pubblichiamo qui la testimonianza che il vescovo Samir Nassar ha appena inviato a Aiuto alla Chiesa che Soffre

Provvidenza
"Una granata  è caduta sul mio letto lunedì 8 gennaio 2018. Alle 13:20, mentre mi preparavo a fare un pisolino. Qualche secondo al lavandino mi ha salvato la vita ... il letto è pieno di schegge di mortaio.
La Provvidenza veglia sul suo piccolo servitore.
Ora sono esiliato, come 12 milioni di profughi siriani che non hanno più niente.
Il danno è importante: le porte della Cattedrale e  43 porte e finestre devono essere sostituite, dei fori da tappare, i serbatoi del gasolio e dell'acqua da riparare, la rete elettrica da rifare, una macchina danneggiata. 
La violenza è la sola padrona ... gli innocenti vengono sacrificati ogni giorno.
I preti mantengono alto il morale. Hanno pianto di gioia vedendomi uscire vivo dal fumo e dai detriti ... Grazie Signore per questo nuovo inizio. La mia vita ti appartiene.
Nell'unione di preghiera di fronte a Nostra Signora della Pace. "

+ Samir NASSAR 
Arcivescovo maronita di Damasco

martedì 9 gennaio 2018

Per il secondo giorno, colpiti i quartieri cristiani di Damasco

 Almeno 14 missili sono stati lanciati anche oggi sui quartieri cristiani di Damasco, causando 5 morti, molti danni a edifici, a negozi e automobili, e diversi feriti. Anche la sede del Patriarcato Greco Cattolico oggi è stata raggiunta dalle bombe, come ieri era stata colpita la Chiesa francescana e quella Maronita. Chiediamo all'amico Joseph Antabi , cristiano di Damasco, cosa pensano i cristiani di questa situazione:
" Oggi sono molto scoraggiato, vedo un futuro nero per noi. Siamo convinti che ci sono Paesi ( America e Israele in primo luogo) che non vogliono i Cristiani in Medio Oriente. Se ci sono i Cristiani c'è resistenza, c'è identità e coscienza; senza i Cristiani potranno dire che sono tutti cattivi, e se resteranno solo i musulmani sarà più facile avere i pretesti per prendere la terra siriana. Nel Medio Oriente è questa la operazione di pulizia, e dopo aver già spazzato via i Cristiani dall'Iraq, continueranno con la Siria. la Giordania e il Libano. 
Ma noi Siriani siamo gli abitanti originari qui, siamo qui fin dalle origini del Cristianesimo! "


Agenzia Fides 9/1/2018

Un colpo di mortaio ha raggiunto lunedì 8 gennaio il quartiere di Bab Tuma, nella città vecchia di Damasco dove sono concentrate diverse chiese, causando ingenti danni alla parrocchia cattolica latina della Conversione di San Paolo, affidata alla cura pastorale dei frati francescani. La chiesa è stata danneggiata sul lato e sul tetto, le finestre sono state infrante e hanno subito danni anche gli impianti utilizzati per riscaldare la parrocchia. Il colpo d'artiglieria ha provocato danni anche all'adiacente cattedrale maronita, costruita nel 1865.
L'Arcieparchia di Damasco dei maroniti, retta dall'Arcivescovo Samir Nassar, nel 2013 contava oltre 20mila battezzati. 
I colpi di artiglieria lanciati contro la Città Vecchia di Damasco rappresentano l'ennesima conferma che, al di là dei proclami, il conflitto in Siria è ancora in atto e continua a interessare anche aree periferiche della Capitale. Nei giorni scorsi, fonti locali contattate dall'Agenzia Fides confermavano la notizia di raid aerei compiuti alla periferia est di Damasco, su aree ancora in mano ai gruppi anti-Assad. Mentre le fonti ufficiali siriane riferiscono che alle prime ore di oggi, martedì 9 gennaio, Israele ha messo in atto un attacco su territorio siriano con uso di aerei e missili terra-terra, diretto a colpire una base militare siriana nei pressi di al Katifa, sobborgo orientale di Damasco.

sabato 6 gennaio 2018

Magari per sbaglio, ma i castelli della propaganda finalmente si sfaldano...


di Fulvio Scaglione

In forma dubitativa, con ampio uso di condizionali e tra mille distinguo. Però adesso anche uno dei più diffusi quotidiani italiani si è accorto che il famoso Osservatorio siriano per i diritti umani, installato nel Regno Unito, non è la bocca della verità. Che è “gestito da una sola persona”, la quale non ha mai dato conto di quali siano in realtà le sue fonti.
Questa persona si chiama Rami Abdulrahman, risiede a Coventry da molti anni e quando ancora viveva in Siria era un noto oppositore di Bashar al-Assad. La cosa in sé va benone, siamo o no per la libertà di opinione e di parola? Ma va un po’ meno bene quando ti atteggi a informatore libero e imparziale. Lo stesso articolo non cita mai Abdulrahman ma aggiunge che l’Osservatorio “sarebbe finanziato da… agenzie occidentali, britanniche in particolare”, e in realtà è finanziato dal governo inglese. Che non ha mai raccontato la verità sui misfatti delle bande armate comunque definite “ribelli”, anche quando erano i tagliagole dell’Isis o di Al Nusra (ex Al Qaeda). E che le più accreditate agenzie internazionali, per esempio il Comitato internazionale della Croce Rossa, non hanno mai potuto confermare le affermazioni del suddetto Comitato contro l’esercito regolare siriano, accusato di affamare le popolazioni di molte città durante le operazioni militari.

Alla buon’ora. Ci sono voluti anni, e migliaia di articoli in cui invece l’Osservatorio era presentato come una fonte “terza” e affidabile, ma alla fine si fa strada la verità. Per i non moltissimi che, come noi, la ripetevano in tempi non sospetti, è comunque una soddisfazione.
Sarebbe una soddisfazione da poco, però, se restasse confinata in un bambinesco “io l’avevo detto”. Questo non conta niente. Conta molto, invece, il fatto che la gran parte dei media abbia raccontato l’atroce guerra civile siriana con un preconcetto che non poteva non distorcere la realtà. Poiché il cattivo era Assad, tutto ciò che andava contro Assad era buono. E se non era buono, comunque serviva alla causa. E quando la realtà smentiva la teoria, i suddetti media facevano come i leninisti e gli stalinisti di una volta e dicevano: è la realtà che sbaglia. È ciò che pensavano i politici americani, sauditi, turchi, inglesi, francesi. Ma appunto i politici. La stampa dovrebbe essere il loro cane da guardia, non la loro ancella.
Così l’Esercito libero siriano, diventato ininfluente dopo pochi mesi di conflitto, è stato raccontato come un protagonista. L’interventismo della Turchia e delle petromonarchie del Golfo Persico, grandi finanziatrici di Isis, Al Nusra e Fratelli Musulmani, mai sottolineata, e amplificata invece quella di Iran ed Hezbollah. Ogni civile morto era ucciso dai russi. Quando saltavano fuori le fosse comuni piene di persone assassinate dall’Isis e dagli altri gruppi “ribelli”, un riquadrino a pagina 38. La montagna di balle e distorsioni pian piano ha preso dimensioni tali da non poter più essere smantellata senza esserne travolti.


Lo si può fare adesso, come vediamo, perché l’Isis è stato sconfitto e la Siria sta uscendo dalle prime pagine. Il meccanismo, però, ha girato fino all’ultimo. Chi non ricorda le articolesse grondanti sdegno per la carneficina di Aleppo? I cannoni falciavano senza sosta i civili, l’ultimo pediatra-l’ultimo pompiere-l’ultimo blogger cadevano sotto i colpi, i bambini morivano come mosche, e tutto per colpa dei russi e degli assadiani. Pochissime parole erano state spese, negli anni precedenti, per compiangere gli aleppini bombardati giorno e notte dai “ribelli”, privati di acqua ed energia elettrica, chiusi nella parte occidentale della città e decimati giorno dopo giorno, ma pazienza. I nostri e i loro, serie A e serie B.
Poi è arrivata, in Iraq, la campagna per la liberazione di Mosul, occupata nel 2014 dall’Isis. La lunga battaglia (da ottobre 2016 e luglio 2017) è stata raccontata come una missione di gloria, tutta bella pulitina, una bomba intelligente qua, una incursione chirurgica là. Questa, sì, una cosa ben fatta.
Purtroppo sono, anche qui, arrivate le notizie vere. Gli alti comandi militari Usa parlavano di mille civili morti, e invece secondo le ricerche dell’Associated Press sono almeno 11mila. E il presidente della Commissione d’inchiesta istituita dal Parlamento iracheno, Kakim al-Zamely, ha raccontato di 23 mila militari caduti in battaglia, con oltre 70 mila feriti. In questo caso, però, nessun ultimo pediatra, nessun Elmetto Bianco da candidare al Nobel per la Pace, pochissimo sdegno e via andare.

Ma il crimine più grave di questo modo di fare (dis)informazione è un altro. Sta nel fatto che è stata tolta dignità a una larga parte della popolazione siriana. Il punto non è e non è mai stato decidere se il presidente siriano è un benefattore dell’umanità o un aguzzino. Dibatterne non è lecito ma doveroso.   Quello che non si doveva fare, ed è invece stato fatto, era decidere che chi non era dalla parte dei “ribelli” era un collaborazionista, un complice, un uomo o una donna in malafede, quasi di sicuro un corrotto, forse un potenziale assassino. Milioni di uomini e donne, dai vertici delle Chiese cristiane agli operai delle fabbriche distrutte, sono stati trasformati in mostri perché non la pensavano come opinion makers e giornalisti che nella maggior parte dei casi non sapevano nulla della Siria e men che meno si sognavano di metterci piede. Quel che quei milioni di siriani sentivano, ciò che loro a torto o a ragione pensavano, era senza valore. Loro stessi erano senza valore.
Anche chi non professava perfetta fede nelle veline dell’Osservatorio di Coventry era un “amico di Assad”. Curioso ma significativo: chi ci sputava addosso queste accuse non si faceva mai il problema di essere, per il suo stesso modo di ragionare, un amico dell’Isis.

venerdì 5 gennaio 2018

La santa Teofania del nostro Signore

“Un tempo sterile e amaramente priva di prole, rallegrati oggi, o Chiesa di Cristo: poiché dall’acqua e dallo Spirito ti sono stati generati dei figli”  S. Giovanni Damasceno 

La santa Teofania del nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo: https://www.culturacattolica.it/cristianesimo/feste-cristiane/liturgia-bizantina/la-santa-teofania-del-nostro-signore-dio-e-salvatore-ges%C3%B9-cristo

sabato 30 dicembre 2017

La ferma volontà di creare la pace è una grande forza

Intervista a Daniele Ganser, storico e irenologo svizzero


Intervista di Jean-Paul Vuilleumier
(Traduzione dal francese per OraproSiria di Gb.P.)

Alla fine del 2016, è stata pubblicata in tedesco la prima edizione del libro "Le guerre illegali della NATO. Una cronaca da Cuba alla Siria." di Daniele Ganser, storico svizzero e specialista in scienze della pace. Nel frattempo, questo libro è alla sua 7ª edizione con oltre 50.000 copie vendute. In occasione della recente pubblicazione dell'edizione francese di questo bestseller, Horizons and Debates ha parlato con l'autore di alcuni aspetti della sua analisi su guerra e pace, l'ONU, il Consiglio di sicurezza e i media.
Horizon et débats: signor Ganser, lei è uno storico, uno specialista nella storia contemporanea dal 1945 e un esperto di politica internazionale. All'interno dell'Istituto SIPER* che lei ha creato e gestito, si interessa a molti argomenti come energia e geostrategia, conflitti per le risorse e la politica economica, l'implementazione di guerre segrete. Lei è impegnato per la pace.
E' un irenologo (specialista delle scienze della pace). Il suo libro "The Illegal Wars of NATO" è stato appena pubblicato in francese. Tutte le guerre sono illegali?
Daniele Ganser: Sì, in generale, tutte le guerre sono illegali. La Carta delle Nazioni Unite, firmata nel 1945, afferma esplicitamente che gli Stati devono risolvere le loro divergenze senza ricorrere alla violenza o alle armi. Le guerre sono quindi chiaramente illegali. Tuttavia ci sono due eccezioni a questa regola: primariamente la legittima difesa; se un paese viene attaccato, ha il diritto di difendersi militarmente. Secondariamente, una guerra è legale se il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato un mandato esplicito in questo senso.
Horizon et débats: L'esempio della disfatta sovietica in Afghanistan avrebbe dovuto far riflettere gli Stati Uniti nel 2001; il fallimento della cosiddetta "esportazione della democrazia" in Iraq, avrebbe dovuto far riflettere due volte anche i francesi e gli inglesi, prima di intervenire in Libia nel 2011, o aiutare i jihadisti in Siria. Non è possibile imparare dalla storia?
Daniele Ganser: Penso che sia assolutamente possibile. La lezione più importante è che non possiamo risolvere i nostri problemi con la violenza. Questo è stato appurato molte volte. La guerra e la violenza non fanno che aggravare i problemi. Ecco perché, nel mio libro, sottolineo l'importanza di aderire ai princìpi fondatori dell'ONU, non bombardare o invadere altri paesi, non armare segretamente gruppi all'estero allo scopo di rovesciare un governo. Certamente noi stiamo affrontando grandi sfide, ma la violenza non aiuterà in nulla la loro soluzione.
Horizon et débats: Eppure, personaggi politici come Barack Obama e David Cameron non sono criticati dagli organi ufficiali per le loro guerre illegali.
Daniele Ganser: Esatto: il presidente Obama e il primo ministro britannico Cameron hanno usato la forza contro la Libia nel 2011, e possiamo vedere, anche adesso, che il Paese è ancora in preda alla violenza. Le guerre creano nuove difficoltà. In Siria, gli Stati Uniti e il Regno Unito, insieme ad altri Stati, hanno segretamente fornito armi ai nemici di Bashar al-Assad, come ho indicato nel libro. Ancora una volta, non è stata una buona idea: molte persone sono morte, molte altre hanno sofferto e continuano a soffrire.
Horizon et débats: Nel suo ruolo di studioso della pace, sembra che lei rimanga decisamente ottimista! Il suo libro mostra davvero una constatazione terribile, ma è realista, umanitario, potente e talvolta personale. Cosa la rende ottimista?
Daniele Ganser: Sono fermamente convinto che il desiderio di creare la pace sia una forza primaria per il ventunesimo secolo. Quando abbiamo la scelta tra uccidere e non uccidere, sono convinto che la seconda opzione sia sempre la migliore. Slobodan Milošević non era un nuovo Hitler. La verità storica è che Hitler fece bombardare Belgrado. È scandaloso che nel 1999 la Germania, insieme ad altri Paesi, abbia di nuovo bombardato la Jugoslavia. Questo è contrario alla Carta delle Nazioni Unite. So che alcuni in Francia si opposero alla decisione di Nicolas Sarkozy di bombardare la Libia nel 2011. Io li sostengo perché avevano ragione. Immaginate per un momento che la situazione fosse rovesciata, che la Libia avesse bombardato Parigi: non sarebbe stato giusto sostenere quelli tra i libici che si fossero opposti ai bombardamenti?
Horizon et débats: Lei menziona Martin Luther King, Albert Einstein e Mahatma Gandhi in diverse occasioni. Cosa rappresentano per lei?
Daniele Ganser: Queste tre personalità ebbero, ciascuna a suo modo, una grande importanza. Gandhi diede questo consiglio ispiratore: "Sii tu stesso il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". La gente cerca dei veri leader e li cerca tra i capi di stato o di governo; ma non è tra questi che bisogna cercarli, perché i politici hanno troppo spesso fatto le guerre. E questo non è certo il tipo di valori che vogliamo inculcare nei nostri figli, nelle nostre scuole! Noi non consiglieremo loro l'uso della violenza, ma l'esatto opposto: in caso di problemi, guardati dalla violenza, preferisci il dialogo e rifletti sulle tue emozioni e sui tuoi pensieri!
Horizon et débats: L'edizione francese del suo libro è annunciata come "un'accusa contro la NATO e un appello a favore dell'ONU". Molte persone che sono assai critiche o addirittura contrarie alla NATO sono anche scettiche o persino sospettose nei confronti dell'ONU. Perché l'ONU è importante?
Daniele Ganser: Nel mio libro, dimostro chiaramente come la Carta delle Nazioni Unite sia un documento meraviglioso perché impone a tutti i membri dell'organizzazione (193 Stati in totale) la proibizione dell'uso della forza nelle relazioni internazionali. Questa è la parte migliore dell'ONU, ma questo non mi impedisce di vedere i suoi difetti e capisco le voci critiche che non hanno più fiducia in essa. Nel mio libro, mostro che il Consiglio di Sicurezza non funziona in modo ideale. Se un membro permanente del Consiglio viola la Carta, non sarà punito perché dispone del diritto di veto per bloccare una eventuale risoluzione. Chiaramente, questo non è giusto.
Horizon et débats: L'impotenza delle Nazioni Unite è forse la conseguenza del fatto che non dispone di un vero esercito? Come dovrebbe essere trasformata l'ONU per diventare più efficace?
Daniele Ganser: Non penso che il problema principale dell'ONU sia che manca di un potente esercito. Immaginiamo per un momento il contrario, che ne sia dotato. Chi deciderà riguardo al suo uso, per inviarlo a combattere? Sarebbe il Consiglio di Sicurezza. La mia opinione personale, basata sulle mie ricerche, è che gli ultimi 70 anni dimostrano che i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (in particolare gli Stati Uniti e gli altri paesi membri della NATO) hanno condotto troppe guerre illegali, proteggendosi poi dalle possibili sanzioni, proprio grazie al loro diritto di veto.
Horizon et débats: Il progetto originario delle Nazioni Unite era di stabilire un diritto internazionale in base al quale tutti i Paesi sarebbero stati uguali. Tuttavia, l'esistenza stessa delle Nazioni Unite è stata accettata dalle grandi potenze solo perché hanno potuto arrogarsi un potere di blocco (diritto di veto) in contraddizione con l'uguaglianza tra gli Stati. Quali scenari possono essere previsti per il futuro delle Nazioni Unite in questa situazione paradossale? Come potrebbe l'Organizzazione evolvere verso una maggiore uguaglianza, giustizia e pace tra i suoi membri?
Daniele Ganser: In effetti, c'è un paradosso. Le Nazioni Unite comprendono 193 Paesi membri, ma solo 5 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) hanno il diritto di veto. Di conseguenza, detengono ciascuno più potere rispetto agli altri 188 Stati messi insieme. È quindi un sistema a due classi, una che gode di privilegi, mentre l'altra ne è priva. Delle riforme sarebbero benvenute. Il diritto di veto potrebbe e dovrebbe essere abolito; ma gli Stati che ne dispongono rifiuteranno di rinunciare a questo potere. Da un punto di vista pratico e pragmatico, è quindi della massima importanza dimostrare che le grandi potenze combattono guerre illegali.
Horizon et débats: A cosa potrebbe assomigliare un mondo senza la NATO? L'Europa non sarebbe quindi minacciata dalla Russia?
Daniele Ganser: No, non mi sembra realistico pensare che la Russia invaderebbe e occuperebbe l'Europa se la NATO dovesse essere sciolta. Lo scioglimento dell'Alleanza Atlantica fu auspicata da molti in seno al movimento per la pace quando cadde il Muro di Berlino e il Patto di Varsavia scomparve. Ma i "dividendi della pace" annunciati non si sono mai materializzati. Al contrario, la spesa militare è addirittura aumentata. Tanto che ora abbiamo stabilito dei record al riguardo e realizzato un arsenale altamente sofisticato senza precedenti. Ban Ki-moon, allora Segretario Generale dell'ONU, si premurò di avvertirci: "Il mondo è troppo armato e la pace è sotto-finanziata".
Horizon et débats: Leggendo il suo libro, si comprende davvero che l'uso della forza non è mai una buona soluzione; o meglio, è sempre la peggiore. Per fare solo un esempio, senza l'intervento militare degli Stati Uniti in Iraq, l'ISIS non esisterebbe: la "guerra al terrore" non solo genera violenza, ma aumenta anche il terrorismo. Una fine per questa spirale di violenza non è in vista.
Daniele Ganser: Lei riassume bene la situazione in cui ci troviamo. Finché i mass media daranno voce soprattutto ai signori della guerra e ad altri guerrafondai, a quelle persone che credono nella violenza e la promuovono regolarmente in televisione e sulla stampa, non si interromperà mai il ciclo delle guerre. I media producono consenso, formano l'opinione pubblica. Se agli amici della pace si fosse dato un tempo di parola maggiore, una più ampia tribuna sia nei media istituzionali che alternativi, allora sempre più persone avrebbero capito che non possiamo risolvere i nostri problemi con la violenza. I media svolgono un ruolo cruciale perché possono mettere a tacere alcune voci o opinioni o amplificarne altre. È illusorio pensare che nelle nostre società democratiche tutte le voci abbiano la stessa importanza. Il più delle volte, sentiamo chiedere dai "falchi" l'aumento dei bilanci per gli armamenti e le operazioni militari, solo e sempre questo genere di discorsi. E allo stesso tempo, le voci di coloro che studiano le guerre e la violenza e che con cognizione di causa avvertono che le guerre non sono una soluzione, queste voci il più delle volte sono zittite o ignorate. Così, ben pochi conoscono il generale americano Smedley Butler (1881-1940), all'epoca il più alto in grado del Corpo dei Marines e alla sua morte il Marine più decorato della storia. Purtroppo ciò che dichiarò è ancora attuale, ma non rischierete di sentirlo in TV. Cito: "La guerra è un racket. Lo è sempre stato. È forse il più vecchio, di gran lunga il più redditizio e certamente il più vizioso. È l'unico di portata internazionale. È l'unico affare in cui i guadagni vengono contati in dollari e le perdite in vite umane."
Horizon et débats: Mentre le persone in qualsiasi parte del mondo semplicemente aspirano a vivere in pace, la propaganda di guerra presenta coloro che vi si oppongono come vigliacchi o sostenitori di "regimi autoritari o dittatoriali".
Daniele Ganser: Sì, è la regola del "gioco" sul fronte interno. Per fronte interno, intendo il Paese (o i Paesi), dove vivono i cittadini che finanziano con le loro tasse le navi e gli aerei da guerra, i missili e le armi usate per uccidere, e dove vivono anche le madri dei soldati che sono inviati a combattere. Quindi, il fronte interno deve essere assolutamente convinto che la guerra sia giusta oltre che necessaria. Come si ottiene questo consenso? Grazie ai mass media. È l'unico modo, non c'è altro modo.
Horizon et débats: A differenza del teatro delle operazioni, la lotta sul fronte interno non è fatta con bombe e altre munizioni, ma a colpi di editoriali ed articoli, con foto e immagini. La cosa più sorprendente e più scioccante è che la maggior parte della gente non conosce nemmeno il termine "fronte interno", né è a conoscenza della massiccia propaganda alla quale viene sottoposta per ogni nuova guerra.
Daniele Ganser: Albert Camus, scrittore, premio Nobel per la letteratura e filosofo, ha sottolineato che noi possiamo sempre influenzare la storia: "Nulla è più imperdonabile della guerra e dell'incitamento all'odio razziale. Ma una volta che la guerra è iniziata, è futile e codardo non fare nulla con il pretesto che non ne siamo responsabili. [...] Ognuno ha una sfera di influenza di dimensioni diverse [...] Ci sono quelli che ci mandano alla morte oggi - perché non dovrebbe spettare agli altri creare la pace nel mondo? [...] Tra il momento della nascita e quello della morte, quasi nulla è predeterminato: possiamo cambiare tutto e persino mettere fine alla guerra, e stabilire la pace, se la volontà è abbastanza forte e duratura."
Horizon et débats: Quale sarà il ruolo del progresso tecnologico nelle guerre future? I robots guideranno la guerra?
Daniele Ganser: Oggi ci sono robots armati capaci di uccidere. È stato saggio sviluppare e produrre tali robot killer? I droni che sorvolano l'Afghanistan e il Pakistan sono macchine e uccidono la gente. Questa è già la realtà. Attualmente, la rivoluzione digitale viene messa al servizio del complesso militare-industriale. Da qui a 10 e 20 anni, film di fantascienza come "Terminator" (1984) o "Robocop" (1987) diventeranno realtà nel senso che le macchine uccideranno la gente quasi in modo autonomo. La questione della violenza è lungi dall'essere risolta, si è fatta più complessa. Si deve parlarne apertamente. Il mio ruolo di storico è di ricordare alla gente che la guerra e la violenza sono state usate a più riprese e che non è mai stato possibile porre fine alla violenza con la forza. Dobbiamo evolvere e trovare altri mezzi, altre soluzioni ai nostri problemi.
Horizon et débats: Nel suo libro lei scrive che "i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, che sono anche responsabili della pace mondiale, sono i maggiori esportatori di armamenti", sottolineando che "non appena scoppia un conflitto, questi cinque Stati ne beneficiano perché le loro esportazioni di armi vanno ad aumentare".
Daniele Ganser: Questo è uno dei grandi paradossi del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Il suo scopo e la sua responsabilità sono promuovere la pace. Eppure, questi cinque Stati membri sono i principali fornitori di armi e le loro spese militari sono enormi. Il loro complesso militare-industriale è molto potente. Ma ognuno può decidere se vuole usare la forza o no. Come esseri umani, dobbiamo rafforzare la benevolenza e l'umanità.
Horizon et débats: Lei scrive che alla luce della storia umana, il divieto della guerra nella Carta delle Nazioni Unite ha solo 72 anni. Nella sua prospettiva, quindi è piuttosto giovane. Questo è uno dei motivi per cui il progresso che implica non è ancora stato acquisito e integrato dal genere umano?
Daniele Ganser: Sì, la Carta delle Nazioni Unite, che ha messo fuorilegge le guerre e le ha rese illegali, è stata firmata nel 1945. Quindi è un documento giovane. Nello sguardo di uno storico, 70 anni rappresentano un breve periodo. Ma possiamo constatare che abbiamo progredito: nei secoli precedenti, non è mai esistito un documento del genere. Questo è il primo. Il prossimo passo sarà rispettare la Carta delle Nazioni Unite, far parlare i media sull'illegalità delle guerre e spiegare come funziona la propaganda di guerra (piuttosto che diffonderla). Penso davvero che tutti abbiamo un interesse comune per la pace, indipendentemente dal nostro genere, religione, educazione o ceto. Ho scritto questo libro sperando di rafforzare il movimento per la pace e sono molto lieto che sia ora disponibile in francese.
Horizon et débats: Grazie mille per questa intervista.
* SIPER (Schweizer Institut für Friedensforschung und Energie / Istituto svizzero per la ricerca sulla pace e l'energia) è stato creato nel 2011 come istituto indipendente a Basilea. Sotto la guida di Daniele Ganser, SIPER esamina da un punto di vista geopolitico la lotta globale per il petrolio e il potenziale delle energie rinnovabili. Questo istituto trasmette i suoi dati a un pubblico interessato. È supportato da partner economici e mantiene scambi scientifici con partner nel campo della ricerca. Il prodotto principale di SIPER sono le conferenze pubbliche. Altri risultati sono interviste, studi e pubblicazioni. Nel campo della ricerca sulla pace (irenologia), SIPER difende la visione di un mondo in cui il conflitto si risolve attraverso la negoziazione e il rispetto - senza violenza, tortura, terrorismo e guerra.

mercoledì 27 dicembre 2017

A un anno dalla liberazione di Aleppo

Si è celebrato in Aleppo, nei giorni precedenti il Natale, l'anniversario di un anno dalla liberazione. Un evento festeggiato con giubilo dagli abitanti, nonostante il rancore di quelli che sono stati espulsi (un esempio qui) e la stizza dei commentatori che virgolettano la parola 'liberazione' e preferiscono parlare di 'caduta', avendo sperato che Aleppo diventasse la capitale della propagata 'Siria-Libera'.
 Ringraziamo il volontario bretone Pierre le Corf che ci racconta con la consueta franchezza, incurante delle ingiurie di cui la stampa filo-ribelli lo ha ricoperto, come stanno le cose nel vissuto di chi è sul posto. 
   Ora pro Siria
(trad. Gb.P.)
Ecco, ad un anno dalla liberazione di Aleppo (ed io soppeso bene le mie parole quando dico liberazione), si è tentato di "tagliarmi la testa" l'anno scorso scrivendo articoli vergognosi su di me per screditare il mio racconto, screditare me o il mio lavoro. ... Lo ripeto come l'anno scorso e lo ripeterò, nessuno di quelli che sono qui che hanno vissuto la guerra ad Aleppo Ovest o un poco in Aleppo Est, si figureranno per un solo secondo "una caduta". Quindi continuate, insultatemi, ma questo non cambierà la storia, perché il tempo parlerà. La vita rivive qui, anche se la città rimane quotidianamente un bersaglio per coloro che portano sempre la "libertà" a colpi di razzi.
Avevo pubblicato la fotografia di questa bandiera nera dalla finestra di una famiglia che ho visitato all'epoca quando France 2 (Emittente TV francese) aveva fatto il suo piccolo reportage su Aleppo Ovest https://www.facebook.com/heroesworldtour/videos/1211332675598163/ .
Questa bandiera sventolava quasi ovunque, in ogni quartiere "ribelle", dal momento che sì, NOI eravamo sotto assedio, noi avevamo solo una strada che i terroristi (i ribelli) a volte conquistavano tramite auto con a bordo jihadisti suicidi, di questo nessuno ha mai parlato quando ad esempio nel 2014 l'assedio fu totale per 6 mesi e gli 1,3 milioni di persone venivano affamate e ancora peggio.
Ciò di cui avete avuto testimonianza in occidente è l'assedio dell'assedio, quando l'esercito ha accerchiato l'assedio dei terroristi, fino alla liberazione della città. Ogni giorno quando cammino per la strada i ricordi si riaffacciano alla mia vista, come quelle schifezze che cadevano, quei proiettili esplosivi, quei razzi, quei colpi di mortaio inviati gratuitamente per uccidere e costringerci a partire. E' stato un massacro tanto per l'Ovest che per i ricordi delle famiglie con cui lavoro nei vecchi quartieri dell'Est durante i bombardamenti dell'aviazione, quando le persone non potevano fuggire dai quartieri Est pena l'esecuzione da parte dei "ribelli"; o un bambino che mi ha detto di aver mangiato delle spugne, mentre c'erano tonnellate di pacchi alimentari custoditi dai terroristi per tenere l'assedio il più a lungo possibile, pacchi di cui ho pubblicato le immagini; torture ed esecuzioni pubbliche dei molteplici tribunali islamici che facevano funzione di governo, di cui ho pubblicato le testimonianze video... Più i bombardamenti dell'aviazione uccidevano, più questo finiva: è triste e potrebbe sembrare irreale e atroce, ma non ho motivo di mentire. Siamo stati liberati, sia la parte Ovest che quella Est.
Ora si tratta di avanzare verso il futuro, un immenso lavoro di ricostruzione, di scommesse sul futuro... ma la gente è ferita. I bambini, i giovani con cui lavoro hanno vissuto così tanto dolore... hanno visto famigliari e amici morire, alcuni sono scappati, alcuni sono annegati in mare, e se con la mia esperienza di vita io ho imparato a convivere con i bombardamenti dei terroristi, quando in certi giorni ci toccava correre per vivere, gli incubi di notte... l'impatto su di loro è stato enorme. "Facciamo finta di no, ma la guerra c'è, lei brucia di dentro ed io brucio vivo" è una frase di un ragazzino di 12 anni su una delle sue pagine.
Come in qualsiasi Paese, l'opposizione che ha imperversato durante questi ultimi anni esiste in tutto il mondo e supera le frontiere, un'opposizione che ha le sue ragioni per detestare questo governo, non tutti sono terroristi ... ma sul terreno, qui in Siria è diverso, la gente dell'Est per la maggior parte era ostaggio di questo attivismo asservito al puro profitto militare. Ognuno è libero di avere un'opinione, ma quello che certi di voi non sembrano realizzare è che qui, da una parte e dall'altra siamo stati ostaggi delle vostre opinioni che non erano altro che benzina usata per una guerra telecomandata a distanza dove la vostra approvazione era essenziale. Io rispetto ogni storia e ogni opinione, ma se mai avevate sperato di vedere un giorno Aleppo presa dai gruppi armati, al di là della vostra posizione o opposizione politica, la vostra speranza era criminale nei confronti delle persone, della loro realtà ... e non dell'immagine stereotipata che vi è stata venduta da commentatori e giornalisti seduti dietro le tastiere tesi al perseguimento di un'agenda o di scoop sensazionalistici. 
L'unica cosa sperata qui è la pace, e se qualcuno ha dei dubbi, venite a vedere di persona e parlate con persone che hanno vissuto da entrambe le parti; non ho nulla da guadagnare pubblicando tutto ciò, se non spingervi a rimettere in discussione la vostra percezione di ciò che è stato studiato e finanziato per ficcarsi più facilmente nella vostra testa e spingervi a legittimare questa guerra che non ha altro scopo che quello di far cadere il Paese, come tutti gli altri prima della Siria.
Pierre Le Corf   We are superheroes

martedì 26 dicembre 2017

Dai Salesiani, l' "Oasi di pace" di Damasco

Intervista a padre Mounir Hanashy di Paolo Vites
Sono i siriani, quelli veri, quelli nati e cresciuti in questo martoriato paese e che per anni hanno sofferto il martirio della guerra, a sbatterci davanti il vero significato di fake news e informazione politicamente manipolata. Quando infatti senti padre Mounir Hanashi, sacerdote salesiano nato ad Aleppo e da qualche anno parroco a Damasco dire che "il fondamentalismo islamico non è nato in Siria, è stato portato qui dai paesi del Golfo e da Stati Uniti e Francia" capisci qual è la realtà dello sporco gioco fatto su mezzo milione di morti e undici milioni di profughi dalle nostre democratiche potenze occidentali. Padre Munir è il direttore del centro salesiano della parrocchia di San Giovanni Bosco a Damasco, un oratorio che ospita 1300 giovani dalla seconda elementare all'università, "per concedere loro qualche ora al giorno di serenità, di servizi essenziali come l'acqua e l'elettricità che in casa non hanno. Ecco perché ci siamo chiamati Oasi di pace". Al contrario di quello che ci dicono anche su questo i media occidentali, alla periferia di Damasco si continua combattere contro l'Isis e i missili continuano a piovere sulla città.
Padre Munir, da quanto tempo voi salesiani siete a Damasco? Di cosa vi occupate sostanzialmente?
Siamo stati invitati a Damasco nel 1992 dalle suore salesiane che già erano qui, loro sono responsabili di un ospedale italiano e di un asilo, anche se la presenza dei salesiani in Siria risale al 1948. Ci hanno chiesto aiuto e noi siamo venuti. Io sono originario di Aleppo, mi sono trasferito qui quattro anni fa e sono il direttore e l'economo di questo centro giovanile che abbiamo costruito intorno alla parrocchia.
Durante gli anni di guerra il vostro quartiere e la vostra parrocchia sono stati colpiti da bombardamenti?
Grazie a Dio bombe dirette su di noi non ce ne sono state, anche se scoppiavano nelle vicinanze e capitava che schegge e pallottole entrassero nella nostra struttura.
Adesso come è la situazione a Damasco? E' pacificata?
Assolutamente no. La situazione a Damasco è ancora complicata, l'Isis è ancora nei dintorni, colpi di mortaio e missili arrivano in città anche se non se ne parla più in occidente, ma questo non vuol dire che in Siria e a Damasco la guerra sia finita. L'esercito nazionale siriano sta facendo sforzi in tutta la Siria, e speriamo che possa finire presto. A Damasco si combatte ancora nelle periferie, la situazione non è assolutamente tranquilla. Recentemente ho dovuto chiudere l'oratorio più volte per questi missili che vengono sparati sulla città, non posso mettere a rischio la vita dei ragazzi.
Ci dica qualcosa del vostro centro.
E' uno dei più frequentati di Damasco, più di 1300 ragazzi dalla seconda elementare fino agli universitari vengono qui da ogni parte della capitale per vivere in serenità qualche ora in modo normale. Grazie a due generatori siamo in grado di avere sempre luce ed elettricità, c'è sempre l'acqua, cose che a casa mancano. Cerchiamo di costruire un ambiente accogliente, per questo l'abbiamo chiamata "Oasi di pace": un posto dove il giovane può stare qualche ora in serenità. Ogni giorno offriamo a tutti un pasto perché anche il cibo nelle loro famiglie è poco.
La Siria era famosa prima della guerra come esempio di convivenza fra religioni e culture diverse. Adesso è ancora così?
La Siria è sempre stata lodata come esempio di convivenza pacifica fra minoranze diverse, anche Benedetto XVI ci ha lodati per questo. Da siriano cristiano nato e cresciuto in Siria, posso testimoniare che è così. Il problema sono i fondamentalisti, che non sono siriani ma sono stati portati qui dai Paesi del Golfo col sostegno di Stati Uniti e Francia (per sconfiggere il presidente Bashar al Assad, ndr). Sono certo che piano piano questo fondamentalismo sparirà, i veri siriani nati e cresciuti qui desiderano solo convivere in pace fra tutti.
Tanti siriani sono fuggiti. I giovani che vengono da voi cosa aspettano dal futuro? Sperano di restare qui e costruirsi una vita o vogliono andare via anche loro?
Il nostro lavoro è aiutare per quel che possiamo a difendere la  presenza cristiana in Siria. Tanti hanno lasciato il paese per tanti motivi, cerchiamo di essere presenti e aiutare le famiglie in tutti i modi possibili. Non possiamo dimenticare che la guerra è un peso molto grande, tanti sono morti, tanti sono stati rapiti. Non puoi dire a un giovane di non partire dopo sette anni di guerra, questo punto interrogativo c'è ancora. Negli ultimi anni si vedono passi forti del governo: è stata liberata Aleppo e altre parti della Siria insieme ai russi. Anche economicamente stiamo male, una volta non ci mancava nulla, c'era lavoro, si viveva bene. Noi preghiamo che tutto questo finisca anche se ci vorranno anni per ricostruire il paese.
In questi anni sentivate vicina la Chiesa di Roma?
La Chiesa ci è sempre stata vicina, oltre che con aiuti economici. Tutti i siriani, anche i musulmani, ringraziano la Chiesa e papa Francesco che ci ha sempre chiamati la Madre Siria, per le preghiere e i digiuni per la pace. E' stata segno di vicinanza per tutti i siriani, segno di presenza del Santo Padre e dei nostri fratelli cristiani.
Se potesse dire con una battuta il cuore, il senso della vostra missione, anche pensando al Natale, cosa direbbe?
La nostra grande sfida è l'aspetto educativo. Dare ai giovani grandi valori educativi e incoraggiarli a vivere in questi momenti così difficili. Così come anche un aiuto spirituale personale. Vi chiediamo di pregare per noi e credere che la sfida più grande nel mondo di oggi è l'educazione, che sia la prova che in queste terre di violenza il valore educativo è quello che più vale su ogni altro aspetto.

sabato 23 dicembre 2017

Auguri di Buon Natale, da Ora pro Siria!


« SPE SALVI facti sumus » – nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi. La « redenzione », la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.
                                                   Benedetto XVI

venerdì 22 dicembre 2017

Messaggio natalizio dei capi delle Chiese a Gerusalemme, 2017

Il Custode di Terra Santa padre Patton: "Gerusalemme deve essere una città condivisa piuttosto che una città divisa, quindi una città condivisa tra due popoli e una città condivisa tra tre religioni. Ovviamente, i due popoli sono il popolo israeliano e il popolo palestinese e le tre religioni sono l’ebraismo, l’islam e il cristianesimo.  Quindi è per questo che spesso si fa riferimento al cosiddetto status quo, cioè a una situazione che evita uno sbilanciamento per così dire in una sola direzione."




«Ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”» (Luca 2, 10).
In questo momento lo sguardo del mondo è fisso su Gerusalemme, una città che è santa per tutte le fedi di Abramo. Noi, i Patriarchi e i Capi delle Chiese a Gerusalemme, mentre ci avviciniamo alla celebrazione del Natale, riaffermiamo la nostra chiara posizione nel chiedere la conservazione dello Status Quo della Città Santa fino a quando non sarà stato raggiunto un accordo di pace tra israeliani e palestinesi sulla base dei negoziati e del diritto internazionale.
I cristiani di Terra Santa sanno che la loro presenza e testimonianza sono strettamente collegate ai Luoghi Santi e alla loro accessibilità come luoghi di incontro e di unità tra popoli di fedi diverse. Sono i Luoghi Santi che hanno dato significato alla regione. Qualsiasi esclusivo approccio politico su Gerusalemme priverà la città della sua vera essenza e delle sue caratteristiche e calpesterà il meccanismo che ha mantenuto la pace attraverso i secoli. Gerusalemme è un dono sacro; un tabernacolo; terreno sacro per il mondo intero. Tentare di possedere la Città Santa Gerusalemme e limitarla con termini di esclusività porterà ad una realtà molto oscura.
In questo momento, mentre attendiamo la venuta della Luce, vi portiamo grandi notizie di gioia, speranza e pace dalla Città della speranza e della pace, Gerusalemme! Anno dopo anno ci uniamo alla Chiesa universale nel celebrare la nascita di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. L’Incarnazione del Verbo fatto carne continua, dopo due millenni, ad essere una fonte di gioia, speranza e pace, nonostante la sofferenza e l’afflizione di molte nazioni e comunità in tutto il mondo.
La proclamazione angelica ai pastori di Betlemme ha portato buone notizie, grande gioia e una promessa di pace a tutte le persone, specialmente a coloro che soffrono e vivono nella paura e nell’ansia di ciò che il futuro riserva a loro e ai loro cari. L’angelo apparve ai pastori che stavano vegliando sul loro gregge di notte, e la gloria del Signore venne per dissipare l’oscurità della loro notte e per annunciare il nuovo giorno che era spuntato con la nascita di Cristo. In quel momento i pastori avevano paura e non potevano comprendere il significato della proclamazione angelica, e come la nascita avrebbe avuto un impatto sulle loro vite e sulla vita della loro comunità.
Queste persone di Betlemme che hanno sofferto sotto l’occupazione romana e il loro compatriota Erode, e soggette alle distinzioni e alle esclusioni dell’economia socio-politica, si sono confrontate con un’economia diversa: la provvidenza di Dio. Il messaggio degli angeli ha rivelato ai pastori – fuori dal loro contesto – una nuova realtà, in cui i concetti di potere e autorità vengono trasformati dall’Incarnazione di Dio in una umile mangiatoia.
I pastori risposero immediatamente a questa teofania e andarono a vedere «questo avvenimento che il Signore ha fatto conoscere [loro]». Il mondo di oggi si confronta ancora una volta con la sfida di rispondere alla proclamazione angelica che richiede la partecipazione all’economia divina nel portare gioia, speranza e pace in un mondo dilaniato da violenza, ingiustizia e avidità.
Continuiamo a mantenere l’intera regione del Medio Oriente nelle nostre preghiere e chiediamo al Principe della pace di ispirare i cuori e le menti di tutti coloro che hanno autorità affinché camminino sulla via della pace, della giustizia e della riconciliazione tra le nazioni. Mentre celebriamo la venuta di Cristo come luce del mondo, siamo ispirati e ci consoliamo con le parole dell’inno di Zaccaria: «Per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra della morte
e dirigere i nostri passi sulla via della pace».
Vi auguriamo un felice Natale e un Nuovo Anno di pace.
Patriarchi e capi delle Chiese a Gerusalemme
+ Patriarca Teofilo III, Patriarcato greco-ortodosso
+ Patriarca Nourhan Manougian, Patriarcato Apostolico armeno-ortodosso
+ L’Arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico, Patriarcato Latino
+ Fr. Francesco Patton, ofm, Custode di Terra Santa
+ Arcivescovo Anba Antonious, Patriarcato copto-ortodosso, Gerusalemme
+ Arcivescovo Swerios Malki Murad, Patriarcato siriano-ortodosso
+ Arcivescovo Aba Embakob, Patriarcato etiope-ortodosso
+ Arcivescovo Joseph-Jules Zerey, Patriarcato greco melchita-cattolico
+ Arcivescovo Mosa El-Hage, Esarcato patriarcale maronita
+ Arcivescovo Suheil Dawani, Chiesa episcopale di Gerusalemme e Medio Oriente
+ Vescovo Munib Younan, Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa
+ Vescovo Pierre Malki, Esarcato patriarcale siriano-cattolico
+ Mons. Georges Dankaye’, Esarcato patriarcale armeno-cattolico