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sabato 23 dicembre 2017

Auguri di Buon Natale, da Ora pro Siria!


« SPE SALVI facti sumus » – nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi. La « redenzione », la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.
                                                   Benedetto XVI

venerdì 22 dicembre 2017

Messaggio natalizio dei capi delle Chiese a Gerusalemme, 2017

Il Custode di Terra Santa padre Patton: "Gerusalemme deve essere una città condivisa piuttosto che una città divisa, quindi una città condivisa tra due popoli e una città condivisa tra tre religioni. Ovviamente, i due popoli sono il popolo israeliano e il popolo palestinese e le tre religioni sono l’ebraismo, l’islam e il cristianesimo.  Quindi è per questo che spesso si fa riferimento al cosiddetto status quo, cioè a una situazione che evita uno sbilanciamento per così dire in una sola direzione."




«Ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”» (Luca 2, 10).
In questo momento lo sguardo del mondo è fisso su Gerusalemme, una città che è santa per tutte le fedi di Abramo. Noi, i Patriarchi e i Capi delle Chiese a Gerusalemme, mentre ci avviciniamo alla celebrazione del Natale, riaffermiamo la nostra chiara posizione nel chiedere la conservazione dello Status Quo della Città Santa fino a quando non sarà stato raggiunto un accordo di pace tra israeliani e palestinesi sulla base dei negoziati e del diritto internazionale.
I cristiani di Terra Santa sanno che la loro presenza e testimonianza sono strettamente collegate ai Luoghi Santi e alla loro accessibilità come luoghi di incontro e di unità tra popoli di fedi diverse. Sono i Luoghi Santi che hanno dato significato alla regione. Qualsiasi esclusivo approccio politico su Gerusalemme priverà la città della sua vera essenza e delle sue caratteristiche e calpesterà il meccanismo che ha mantenuto la pace attraverso i secoli. Gerusalemme è un dono sacro; un tabernacolo; terreno sacro per il mondo intero. Tentare di possedere la Città Santa Gerusalemme e limitarla con termini di esclusività porterà ad una realtà molto oscura.
In questo momento, mentre attendiamo la venuta della Luce, vi portiamo grandi notizie di gioia, speranza e pace dalla Città della speranza e della pace, Gerusalemme! Anno dopo anno ci uniamo alla Chiesa universale nel celebrare la nascita di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. L’Incarnazione del Verbo fatto carne continua, dopo due millenni, ad essere una fonte di gioia, speranza e pace, nonostante la sofferenza e l’afflizione di molte nazioni e comunità in tutto il mondo.
La proclamazione angelica ai pastori di Betlemme ha portato buone notizie, grande gioia e una promessa di pace a tutte le persone, specialmente a coloro che soffrono e vivono nella paura e nell’ansia di ciò che il futuro riserva a loro e ai loro cari. L’angelo apparve ai pastori che stavano vegliando sul loro gregge di notte, e la gloria del Signore venne per dissipare l’oscurità della loro notte e per annunciare il nuovo giorno che era spuntato con la nascita di Cristo. In quel momento i pastori avevano paura e non potevano comprendere il significato della proclamazione angelica, e come la nascita avrebbe avuto un impatto sulle loro vite e sulla vita della loro comunità.
Queste persone di Betlemme che hanno sofferto sotto l’occupazione romana e il loro compatriota Erode, e soggette alle distinzioni e alle esclusioni dell’economia socio-politica, si sono confrontate con un’economia diversa: la provvidenza di Dio. Il messaggio degli angeli ha rivelato ai pastori – fuori dal loro contesto – una nuova realtà, in cui i concetti di potere e autorità vengono trasformati dall’Incarnazione di Dio in una umile mangiatoia.
I pastori risposero immediatamente a questa teofania e andarono a vedere «questo avvenimento che il Signore ha fatto conoscere [loro]». Il mondo di oggi si confronta ancora una volta con la sfida di rispondere alla proclamazione angelica che richiede la partecipazione all’economia divina nel portare gioia, speranza e pace in un mondo dilaniato da violenza, ingiustizia e avidità.
Continuiamo a mantenere l’intera regione del Medio Oriente nelle nostre preghiere e chiediamo al Principe della pace di ispirare i cuori e le menti di tutti coloro che hanno autorità affinché camminino sulla via della pace, della giustizia e della riconciliazione tra le nazioni. Mentre celebriamo la venuta di Cristo come luce del mondo, siamo ispirati e ci consoliamo con le parole dell’inno di Zaccaria: «Per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra della morte
e dirigere i nostri passi sulla via della pace».
Vi auguriamo un felice Natale e un Nuovo Anno di pace.
Patriarchi e capi delle Chiese a Gerusalemme
+ Patriarca Teofilo III, Patriarcato greco-ortodosso
+ Patriarca Nourhan Manougian, Patriarcato Apostolico armeno-ortodosso
+ L’Arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico, Patriarcato Latino
+ Fr. Francesco Patton, ofm, Custode di Terra Santa
+ Arcivescovo Anba Antonious, Patriarcato copto-ortodosso, Gerusalemme
+ Arcivescovo Swerios Malki Murad, Patriarcato siriano-ortodosso
+ Arcivescovo Aba Embakob, Patriarcato etiope-ortodosso
+ Arcivescovo Joseph-Jules Zerey, Patriarcato greco melchita-cattolico
+ Arcivescovo Mosa El-Hage, Esarcato patriarcale maronita
+ Arcivescovo Suheil Dawani, Chiesa episcopale di Gerusalemme e Medio Oriente
+ Vescovo Munib Younan, Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa
+ Vescovo Pierre Malki, Esarcato patriarcale siriano-cattolico
+ Mons. Georges Dankaye’, Esarcato patriarcale armeno-cattolico

mercoledì 20 dicembre 2017

Pace, casa e lavoro: il dono di Natale per il futuro dei cristiani siriani

AsiaNews, 19 dicembre 2017
La pace in tutta la Siria, la lotta alla disoccupazione che frena la (lenta) ripresa e la riunificazione delle molte famiglie spezzate dalla guerra, che in oltre sei anni di violenze ha trasformato milioni di persone in migranti in cerca di riparo all’estero o sfollati interni. Sono questi i due grandi desideri che animano la popolazione cristiana di Aleppo in queste settimane di Avvento che preparano al Natale, come racconta ad AsiaNews il vicario apostolico dei Latini, mons. Georges Abou Khazen. Ad un anno dalla fine della battaglia per la città “si vive un clima di maggiore speranza”, aggiunge, e “vi è anche molta più sicurezza. Tutto questo induce ad un moderato ottimismo, perché si raggiunga una soluzione che coinvolga tutto il Paese”. 
La migrazione “resta un problema”, sottolinea il vicario apostolico di Aleppo, anche perché “sono partiti soprattutto i giovani” e il loro ritorno è una “priorità” per far ripartire la città. Intanto la Chiesa locale, prosegue il prelato, ha avviato o sostiene con fondi specifici “progetti di micro-impresa a livello locale: adesso la nostra sfida è passare dal sussidio all’autosufficienza”. 
Da qui lo stanziamento di somme di denaro per l’apertura di pasticcerie, negozi di barbieri, falegnamerie, imprese artigiani, fabbri ferrai perché “è dalle piccole attività di ogni giorno che bisogna ripartire”. “Il ritorno dell’elettricità per 13, 14 ore al giorno, insieme alla fornitura costante di acqua - sottolinea mons. Georges - sono i segni più importanti della rinascita”. 
Adesso è possibile tornare a vedere in alcuni punti “una città pulita” e “strade illuminate con pannelli solari”. Dall’oscurità alla luce, aggiunge il vescovo, “è una sensazione nuova, compresa l’illuminazione delle strade di notte”. 
Prima della guerra Aleppo era la seconda città per importanza della Siria, oltre che il suo principale motore economico e commerciale. Dal 2012 è stata divisa in due settori: occidentale, dove hanno vissuto 1,2 milioni di persone, sotto il controllo del governo; la zona orientale, circa 250mila persone, nelle mani delle milizie ribelli e di gruppi jihadisti. La resa dei ribelli, che hanno trattato l’uscita dalla città, e la successiva riunificazione risalgono al dicembre dello scorso anno; la popolazione ha potuto festeggiare con canti e balli la fine dei combattimenti e il Natale alle porte. 
A distanza di un anno è partita l’opera di rimozione delle macerie, le strade sono più pulite, il traffico è aumentato, hanno riaperto alcune officine. “Qualcosa si muove”, racconta mons. Georges, anche se “molta gente resta senza lavoro, sono tantissimi i bambini orfani di guerra o abbandonati che abbiamo scoperto nei mesi successivi all’unificazione della città”. Uno dei grandi ostacoli alla ripresa di Aleppo “è la disoccupazione: vanno riparati i macchinari rubati o trafugati dalle aziende negli anni di guerra, vanno sistemate le abitazioni per consentire il ritorno dei profughi”. 
La Chiesa locale partecipa all’opera di ricostruzione degli edifici, sostiene la piccola impresa, prosegue la distribuzione dei pacchi alimentari. “Quasi tutte le famiglie - racconta il prelato - confidano ancora nei nostri aiuti: si tratta di circa 10.500 nuclei cristiani di tutte le confessioni. E poi vi è l’assistenza sanitaria e la distribuzione di medicine, anche questa una priorità nel contesto di una svalutazione della moneta locale, la lira, il cui valore di acquisto è assai inferiore e lo stipendio medio di un lavoratore, sebbene sia rimasto invariato, non è più sufficiente”. 
Intanto la comunità si avvicina al Natale con “molta più speranza, più sicurezza, con l’augurio che la guerra possa finire presto in tutto il Paese. Le strade vengono addobbate a festa, un municipio guidato da una maggioranza musulmana ha voluto mettere stendardi e simboli della festa cristiana. E ancora, le chiese addobbate con i presepi, le animazioni promosse dai giovani. Si respira - conferma il vescovo - un clima diverso all’anno passato”.
In questi giorni che avvicinano alla festa, il vicario apostolico di Aleppo vuole rivolgere un pensiero finale ai bambini, che rappresentano “il futuro e la speranza” della comunità cristiana e di tutto il Paese. “Come Chiesa abbiamo preparato dei doni da distribuire, insieme a un vestito per la festa che possa servire per tutto l’inverno. A questo si aggiungono dei pranzi di gruppo il giorno di Natale e quello successivo; un'occasione per stare insieme, fare festa, con canti e balli. Ma oltre la festa - conclude il prelato - vi è l’impegno perché possano frequentare la scuola: a oggi paghiamo per intero la retta di 3200 studenti, versando nelle casse degli istituti, in maggioranza privati, fino a 150 dollari all’anno, distribuendo anche libri e quaderni ai più poveri, ma meritevoli”.

Lettera natalizia dall'Ospedale di Aleppo


Aleppo, 18 dicembre 2017

Cari amici,
quest'anno festeggiamo due anniversari: la nascita di Gesù Bambino e quello della liberazione di Aleppo.

Dopo un lungo silenzio, ci piace condividere la nostra vita quotidiana nel cuore di questa città lacerata, martirizzata ...
Dopo questi lunghi anni di guerra, Aleppo si sta risollevando, tornando al normale corso della vita nonostante la fatica di riprendere il suo ritmo prebellico, perché tutte le sue capacità produttive sono state ridotte, così come le infrastrutture. I suoi abitanti dipendono dall'aiuto esterno da ogni punto di vista.
Potete immaginare tutte le tracce indimenticabili che questa guerra ha seminato nei cuori e nelle menti di tutti gli abitanti, specialmente i bambini.

Dopo la sua riunificazione, la città vive in un clima di calma, ma alla periferia ci sono sempre i jihadisti che ci fanno sentire di tanto in tanto, e soprattutto la notte, i colpi di mortai e di cannoni.
Nonostante questo, notiamo che le persone non si arrendono: le strade vengono ripulite, i blocchi stradali sono quasi tutti eliminati, i negozi stanno iniziando a riaprire, molte famiglie stanno tornando nei loro quartieri per ritrovare le loro case e vivono lì, nonostante la loro totale spogliazione (niente porte, niente finestre, niente rubinetti, niente prese elettriche, tutto è stato rubato o saccheggiato).

L'inverno inizia, il freddo si fa sentire, l'acqua e l'elettricità sono migliorate considerevolmente, tranne che in alcuni quartieri dove le tubature dell'acqua e le centraline elettriche non esistono più ...

Il grande problema è che la vita è troppo costosa, il peso delle sanzioni che durano da oltre 6 anni sta diventando insostenibile, l'embargo impedisce l'importazione di attrezzature, macchinari, pezzi di ricambio ecc ... e questo lo sentiamo anche noi molto pressante.

I giovani continuano a fuggire dal Paese per non prestare il servizio militare, altri si rinchiudono nella loro casa per non essere reclutati, da cui consegue che manchino molti tecnici e manodopera.
Chiese, parrocchie, riti, enti di beneficenza locali e internazionali come Caritas, JRS, AED, sostengono i progetti di ricostruzione, (micro progetti, cesti alimentari), vari aiuti per incoraggiare i cristiani a rimanere e non perdere la speranza.

La nostra vita quotidiana nell'Ospedale continua a essere difficile, ogni giorno ci viene chiesto di rispondere alle richieste di pazienti che non possono permettersi di pagare per l'ospedalizzazione. Fortunatamente, le varie Organizzazioni già menzionate sopra aiutano a pagare le cure mediche a prescindere dalle condizioni sociali o religiose.
Una piccola consolazione !!!!: il 29 novembre, in occasione del quinto anniversario dell'inizio del progetto "I civili feriti della guerra", è stata proclamata la sua chiusura, essendo finita la ragione della sua esistenza: Aleppo è stata risparmiata, grazie a Dio, da atti di guerra da 11 mesi. Una cena in famiglia ha riunito i 3 partner del progetto: i medici dell'ospedale St Louis, le suore dell'ospedale e i membri del gruppo dei Maristi Blu. Il dr. Nabil Antaki ha presentato un Power Point che riassume la storia, lo spirito, i risultati e i finanziamenti del progetto. Poi tutti i partecipanti hanno ricevuto un certificato di apprezzamento e una medaglia commemorativa in argento con il logo del progetto su un lato e il logo dei Maristi Blu sull'altro lato.
Ecco la sua dedica: "Cinque anni di dono gratuito per prendersi cura di centinaia di feriti gravi e per salvare le vite di decine, una generosità illimitata nelle procedure mediche e chirurgiche gratuite da parte dei medici, un'assistenza infermieristica esemplare e un amore infinito da parte delle Suore e del gruppo infermieri, un finanziamento senza tetto e amministrazione impeccabile da parte dei Maristi Blu. In chiusura, vogliamo ringraziare Dio per il successo di questo progetto unico ed esemplare e la sua protezione per tutte le persone che vi hanno lavorato. "

Dio continua la Sua opera attraverso la nostra povera presenza. Dal 15 novembre abbiamo risposto al progetto iniziato nel nostro ospedale "Ospedali Aperti - Syria", voluto e incoraggiato da Papa Francesco e da Mons. Giovanni Pietro Dal Toso, segretario delegato del Dicastero per il servizio di sviluppo umano integrale, in collaborazione con il Nunzio Apostolico Cardinale Mario Zenari, che finanzia la cura dei bisognosi, l'acquisto di attrezzature mediche e un bonus salariale per il nostro personale. Questo è stato per loro un grande incoraggiamento per superare le loro difficoltà e soprattutto per rimanere! Questo progetto è in corso di sperimentazione da 3 mesi e dovrebbe durare 3 anni. Ciò ha creato nella città di Aleppo un grande passaparola, tipo telefono senza fili: “andate all'ospedale St Louis, vi curano gratuitamente !!!”.
È una gioia per noi, perché i poveri sono la nostra predilezione, ma ci dà un sovraccarico di lavoro e un rompicapo quotidiano per mancanza di posti, di personale qualificato e persino di Religiose. In un mese, abbiamo ricevuto circa 150 pazienti con questo progetto (senza contare gli altri pazienti !).

Cari amici, ecco il breve riassunto di ciò che abbiamo vissuto quest'anno.
Vi ringraziamo per la vostra vicinanza, il vostro sostegno e specialmente le vostre preghiere che ci hanno dato la forza e il coraggio di sopportare tutte le tempeste e i pericoli che abbiamo subito.
Una stella di speranza sorge sulla città di Aleppo per una Pace duratura, sia essa la nostra guida, la nostra strada per affrontare il nuovo anno e avere il coraggio di credere che con l'Emmanuel, Dio con noi, tutto diventa possibile.

La preghiera rimane la forza che ci unisce. Con tutto il mio cuore, vi abbraccio mentre vi auguro un buon Natale e un Buon, Felice, Santo anno 2018!

Sr. Arcangela
Ospedale St Louis, Aleppo

lunedì 18 dicembre 2017

L'essenza dell'icona: l'Incarnazione del Figlio di Dio

Nel Secondo Concilio di Nicea (787) viene definita la natura e il valore delle icone con l'affermazione che il fondamento di quest'arte sta nell'Incarnazione del Figlio di Dio, è quindi possibile rappresentare Dio, in quanto ha assunto la natura umana, assimilandola in modo inscindibile a quella divina,  come sottolinea san Giovanni Damasceno. Nel Concilio di Efeso l'icona è definita "tempio", cioè un luogo in cui chi è raffigurato è anche misteriosamente presente. Nell'icona il Dio-uomo si avvicina a noi, ricordandoci che anche noi siamo icona di Dio, che quindi il nostro destino è diventare come Lui.

Monastero di Mar Yakub: le icone che dipingiamo

Madre Agnès Mariam è un'iconografa professionista. Ha imparato le antiche tecniche della pittura bizantina nel monastero carmelitano di Harissa in Libano, dove ha vissuto per 21 anni. In questo articolo vi presenteremo come ha conosciuto la Chiesa di Antiochia, la Chiesa Madre delle icone bizantine. Nella seconda parte dell'articolo, leggerete una breve esposizione sull'icona bizantina. 
Madre Agnès Mariam: "Nel 1983 un monaco libanese visitò il nostro monastero, portandoci una grande icona della Vergine Maria (Nostra Signora di Ilige), che aveva sofferto molto durante la guerra. Egli ci chiese di restaurarla. Lavorando sull'icona, ho notato che aveva cinque strati sottostanti (il più antico risalente al X° secolo), e questi strati erano un po' come un riassunto di tutta la storia dei cristiani maroniti nel Medio Oriente. Quando ho iniziato a studiare questi strati ho fatto una scoperta che mi ha sconvolto ed ha determinato il resto della mia vita: avevo scoperto la Chiesa di Antiochia, la mia Chiesa, ed io non sapevo nemmeno che esistesse! È come se qualcuno stesse parlando a un cattolico sulla Chiesa di Roma ed egli rispondesse: "Cosa? Dov'è?”. Ero davvero sconvolta, com'era possibile che avessi lasciato tutto per Cristo entrando nel Carmelo e non conoscessi nemmeno la mia Chiesa?. Mi sono resa conto che i cristiani di questa regione - quindi il Libano, la Siria, la Palestina, l'Iraq e la Giordania- sono chiamati ad una grande missione, ma che la maggior parte lo ha dimenticato. Le persecuzioni e l'atteggiamento ostile nei confronti dei Cristiani li hanno immersi nella stanchezza. Oggi vedono la vita nella terra dei loro antenati piuttosto come un sopravvivere , cioè una sopravvivenza materiale. Per un Cristiano tutto inizia con la propria identità culturale. A Pentecoste lo Spirito Santo ha confermato questa identità. Gli Apostoli, su cui erano discese le lingue di fuoco, cominciarono a proclamare i miracoli di Dio. Tutti i presenti hanno ascoltato il messaggio di Salvezza nella propria lingua! Ciò dimostra l'importanza che lo Spirito Santo conferisce all'identità di ogni persona e di tutti i popoli.
Cosa sono le icone bizantine?
Nella seconda metà del XX° secolo, le icone bizantine hanno vissuto uno spettacolare risveglio sia in Oriente che in Occidente. In Grecia era già iniziato nel 1930, principalmente grazie a Photius Kontoglou. La ripresa fu ulteriormente stimolata alla fine degli anni '80 con il crollo del comunismo nell'Europa orientale. Sorprendentemente, tuttavia, molte persone in "Occidente" non hanno mai sentito parlare di icone bizantine o sanno cosa rappresentano. I paragrafi che seguono hanno lo scopo di colmare questa lacuna.
Le icone bizantine sono raffigurazioni sacre (icone, affreschi e mosaici) del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, della Santissima Madre di Dio, e di angeli e santi. "Bizantino" si riferisce all'Impero Bizantino in cui le icone divennero parte integrante della fede ortodossa. Caratterizzate da colori vivaci, spesso su sfondi dorati, le persone rappresentate nelle icone sembrano fluttuare e sono spesso più lunghe delle loro controparti naturali. Tutto nell'icona è simbolico. Per esempio, le orecchie di nostro Signore Gesù Cristo sono grandi e la sua bocca piccola. Significa che Egli sente tutto, ma parla solo con parole di santa saggezza. Icone e affreschi murali decorano ogni chiesa ortodossa [e cattolica di rito orientale] ad Est e ad Ovest. L'iconostasi è la parte centrale completamente composta da icone.
Significato profondo

Dopo aver contemplato diverse icone, si noterà che le icone sembrano avere solo una larghezza e un'altezza. La profondità, la terza dimensione (fisica), percepibile in quasi tutti gli altri dipinti chiaramente tradizionali (senza includere opere di arte moderna o astratta) sembra essere assente. La "terza" dimensione di un'icona va oltre ciò che l'occhio può vedere, è spirituale. Le icone hanno un significato profondamente spirituale. Un'icona è una finestra sul cielo. Questa finestra sul cielo permetterà alla persona che prega dinanzi alla persona rappresentata nell'icona di connettersi direttamente con essa: sia esso nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo o la Santissima Madre di Dio, un angelo o un Santo. Molte delle icone sono miracolose, visto che molti che pregavano davanti ad esse sono stati guariti dal male che li affliggeva. Un'icona è un modo efficace per conoscere Dio, la Santa Vergine, gli Angeli e i Santi. Un'icona non è semplicemente un'opera d'arte che illustra le Sacre Scritture. Essa costituisce un veicolo di verità religiose. Tenendo conto di quanto sopra, si può facilmente capire che un pittore di icone, o iconografo come viene comunemente chiamato, deve essere più che un artista. Un iconografo è un teologo tanto quanto un artista. Dipingere un'icona, presuppone da parte dell'iconografo uno stile di vita di preghiera, meditazione e digiuno.























Ora diamo uno sguardo al tema della Natività di Cristo, rappresentato in un'icona bizantina (a sinistra)  e in un'immagine sacra (a destra) . È sorprendente vedere come la rappresentazione di questo evento nella Chiesa ortodossa e orientale-cattolica differisca da quella occidentale. In Occidente vediamo la nascita del piccolo Bambino, la bontà e l'umanità di Dio che nasce tra noi. La Chiesa ortodossa e cattolica orientale pongono maggiormente l'accento sul grande mistero della venuta di Dio tra gli uomini, sull'adempimento della promessa della venuta del Messia. C'è un personaggio centrale: che non è il Bambino Gesù, ma la Vergine Maria. Più grande degli altri personaggi, è mostrata al centro, appoggiata su un cuscino rosso. Significa prima di tutto che è lei che ci dà Dio, la Theotokos, la portatrice di Dio, la Madre di Dio. Spesso il suo viso non è rivolto verso il Bambino, ma verso di noi, a significare che lei è la Madre di tutti gli uomini. Un triplo raggio viene dal cielo, a rappresentare la Santissima Trinità. Giuseppe siede sotto a sinistra. Un Vangelo apocrifo dice anche che Satana è venuto a dirgli che è impossibile per un bambino nascere da una vergine. Inoltre, potete vedere che il piccolo Cristo Bambino è rappresentato in una grotta oscura. Questa oscurità rappresenta la nostra umanità decaduta nella quale Egli è nato. Ha scelto di scendere nella nostra miseria, nelle nostre tenebre, per dare la sua vita per tutti i figli di Adamo. Questo è il motivo per cui viene spesso chiamato "l'unico amico degli uomini" nella liturgia bizantina.

venerdì 15 dicembre 2017

La fondazione Agha Khan ricostruirà la Moschea degli Omayyadi e i suq di Aleppo

Il Sussidiario, 15 dicembre 2017
E' l'aprile del 2013 quando in seguito a furiosi combattimenti il minareto della moschea duecentesca degli Omayyadi di Aleppo crolla distrutto dalle bombe. Un danno doloroso per i credenti musulmani e tragico per l'intera umanità, in quanto patrimonio dell'Unesco, risalente addirittura al 1090, uno dei più antichi in assoluto. Originario di Aleppo, anche se in Italia da molti decenni, Radwan Khawatmi, imprenditore di successo, quel giorno di aprile è uno dei tanti che soffre per quanto accaduto. Si rivolge al principe Aga Khan IV, presidente della fondazione che porta il suo nome e che si occupa di oltre 150 progetti di sostegno economico, culturale, sociale in tutto il mondo per i più poveri e lo convince a dare vita a un progetto per la ricostruzione della moschea e dello storico minareto. Domani mattina alle ore 10, presso l'Hotel Ramadà Plaza in via Stamira Ancona a Milano, Khawatmi presenterà ufficialmente questo progetto che è già stato definito il più impegnativo e costoso al mondo per il recupero di un edificio storico. Interverranno anche Giampaolo Silvestri, segretario generale dell'Avsi, i senatori Paolo Romani e Mario Mauro e l'eurodeputato Massimiliano Salini. In questa conversazione Khawatmi ci ha anticipato l'evento.

Dottor Khawatmi, ci può parlare del progetto che presenterà sabato mattina?
E' un progetto che riguarda la città di Aleppo. La guerra, che io non chiamo civile perché non esistono le guerre civili, ha portato alla distruzione della seconda più importante moschea del mondo islamico, ma importante anche per il mondo intero perché patrimonio dell'Unesco, e con essa il suo antichissimo minareto, esempio unico nell'architettura islamica. E' stata una tragedia per tutto il mondo islamico, soprattutto perché coloro che hanno distrutto questa moschea si dichiaravano musulmani, lascio immaginare che devastazione culturale e umana hanno portato queste bande di criminali. Come nativo di Aleppo, non potevo rimanere indifferente.
Cosa ha deciso di fare?
Ho chiamato il principe Aga Khan e gli ho espresso il desiderio di ricostruire il minareto e la moschea. Lui ha accettato e da quel momento è nato un progetto storico unico nel suo genere.
Ci spieghi.
Abbiamo individuato i migliori architetti europei e italiani, dell'Università Statale di Milano e di quella di Macerata. Ho voluto personalmente la presenza di italiani perché l'Italia è l'unico paese al mondo che ha sempre operato per motivi umanitari e di amicizia senza contropartite, a differenza dei francesi che sono andati in Libia solo per conquistare il potere o degli americani e degli inglesi che hanno invaso l'Iraq per qualche barile di petrolio. Io vivo in Italia da decenni e considero essere italiano una conquista, non un certificato che ti regala qualche partito.
A questo punto come avete proceduto?
Ci siamo recati ad Aleppo con ancora i combattimenti in corso, perché temevamo che le pietre crollate venissero rubate dai terroristi come avevamo visto in alcuni filmati. Abbiamo corso enormi rischi ma abbiamo cominciato a lavorare dentro la moschea, abbiamo catalogato tutte le pietre per poter realizzare un progetto architettonico unico nel suo genere.
Questo nonostante la guerra in corso?
Sì e senza voler offendere l'inviato dell'Onu, che non c'è riuscito, con i combattimenti in corso abbiamo riunito a un tavolo il governo, le autorità religiose, le autorità proprietarie dei beni islamici, il governatore della Siria del Nord, l'opposizione, il sindaco di Aleppo e tutti hanno accettato e appoggiato questo progetto. Tutto questo mentre c'era il rischio di essere rapiti dai miliziani dell'Isis.
La cultura e la bellezza sconfiggono anche la guerra…
Abbiamo inviato ad Aleppo i migliori esperti della sezione cultura della Fondazione per catalogare tutte le pietre originali che ancora si possono usare. Da quattro mesi stanno anche insegnando a 30 tra ingegneri e maestranze di Aleppo a lavorare alla ricostruzione, perché vogliamo che anche la popolazione locale sia coinvolta in questo progetto. I lavori di ricostruzione cominceranno il 27 dicembre, ci vorranno circa due anni perché vogliamo ricostruire il complesso con la stessa tecnologia di allora, nel pieno rispetto di com'è stata fatta. Non solo: ad Aleppo esiste il più lungo suq (mercato coperto, ndr) al mondo, 21 chilometri di lunghezza, andato del tutto bruciato. Ricostruiremo anche questo per ridare impulso economico e sociale alla città. Con queste due operazioni è ricominciata la ricostruzione della Siria.
Ma i siriani fuggiti stanno tornando?
Dalla Siria sono fuggiti undici milioni di persone su una popolazione di 22 milioni, la metà del popolo siriano. In Libano su 5 milioni di abitanti c'è un milione di siriani. Non per fare polemiche, ma in Italia le forze politiche si lamentano della presenza di 250mila profughi, meno dell'1% della popolazione. Il problema è che certe città sono andate distrutte al 60% e così le infrastrutture, le scuole, gli ospedali, i ponti, gli aeroporti. Il governo non può  far tornare tutti fino a quando non verrà ricostruito il paese, ma giornalmente rientrano tra 30 e 50mila siriani, il popolo siriano è sempre stato legato alla sua terra. Vogliono tornare a ricostruire la Siria.
La Siria era un esempio di convivenza tra culture e religioni diverse, sarà ancora così?
La convivenza tra le tre religioni ebraica, islamica e cristiana è sempre esistita in Siria. Le sinagoghe erano riferimento per gli ebrei, i musulmani potevano sposare i cristiani e le chiese e le moschee si facevano concorrenza a qual era la più bella. Un esempio di convivenza in tutto il Medio oriente. Per questo io credo che la Siria sia stata punita dal fanatismo islamico. Certamente tornerà la convivenza, è nel nostro dna il rispetto di ogni religione, sono tutti fratelli del Libro. Se apre il Corano leggerà che il più bel versetto è quello che parla della Verginità di Maria, per questo l'Isis ha voluto massacrare gli islamici moderati.
Ci vorrà un lungo lavoro anche di ricostruzione umana, non pensa?
Assolutamente. Purtroppo non avremo più una Siria come quella del 2011, perché 500mila morti lasciano profonde ferite. L'accanimento del terrorismo ha lasciato segni profondi. Avremo una Siria con lo stesso dna, ma una Siria diversa.

giovedì 14 dicembre 2017

Buone Notizie da Aleppo !





In occasione del 5° anniversario dell'inizio del nostro progetto "Civili feriti di guerra", abbiamo proclamato la chiusura del progetto: la ragione della sua esistenza è infatti finita, Aleppo è stata risparmiata, grazie a Dio, da atti di guerra ormai da 11 mesi. 
Durante una cena familiare che ha riunito i 3 partner del progetto: i medici dell'ospedale Saint Louis, le suore dell'Ospedale e i membri della squadra dei Maristi Blu,  il dottor Nabil Antaki ha presentato un power point che riassume la storia del progetto, la sua specificità e scopo, i suoi risultati e il suo finanziamento. Poi tutti i partecipanti hanno ricevuto un certificato di apprezzamento e una medaglia commemorativa in argento su cui compare da un lato il logo del progetto e sull'altro il logo dei Maristi Blu.

Cinque anni di dono gratuito per curare centinaia di feriti colpiti molto gravemente e salvare la vita di decine, una generosità senza limiti in interventi medici e chirurgici gratuiti da parte dei medici, cure infermieristiche esemplari e un amore infinito da parte delle Religiose e dello staff delle infermiere, un finanziamento senza tetto e un'amministrazione limpida da parte dei Maristi Blu.

In conclusione, vogliamo ringraziare Dio per il successo di questo progetto unico e esemplare e per la Sua protezione verso tutte le persone che vi hanno lavorato.

I Maristi Blu di Aleppo 

lunedì 11 dicembre 2017

Una carità per il Natale, per i poveri del Libano



Notiziario di un gruppo di volontari libanesi membri di “Oui pour la vie”, associazione di volontariato con sede a Damour in Libano, legalmente riconosciuta e operante in favore dei più poveri 

Dicembre 2017 n 14
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha da poco comunicato che circa mezzo milione di profughi siriani è rientrato nel proprio Paese. In Libano, nei campi profughi informali dove vivono i siriani più poveri, migliaia di bambini sono costretti a lavorare per aiutare le loro famiglie a sopravvivere.
I nostri volontari di Oui pour la Vie continuano ad animare la cucina di Damour alla quale affluisce un numero sempre crescente di profughi.
Hind, la ragazza siriana che aiutiamo, va meglio e sta terminando la radioterapia. Chiediamo a tutti di aiutare e sensibilizzare davanti a queste urgenze.
Una vedova siriana, rifugiata in Libano e con 2 bambini, purtroppo aveva un cattivo carattere e creava problemi ai vicini e alla sua famiglia, addirittura fin da quando erano in Siria. Nessuno pero’ conosce il motivo del suo cambiamento da quando e’ giunta da noi insieme agli altri profughi, nonostante che anche al momento del suo arrivo, alcuni avevano addirittura sporto denuncia ed era stata espulsa dal sindaco del paese.
Due volontari della nostra associazione di Oui pour la Vie l’hanno visitata nella sua dimora. Hanno dovuto insistere un po’ per entrare perche’ ricevevano insulti e minacce. Poi pero’, conoscendola personalmente, hanno visto la sua poverta’ di sentimenti e la mancanza di amore nella quale lei vive. Dopo diverse visite, la vedova ha cambiato il suo comportamento. Adesso lei conserva sempre il sorriso, aiuta sempre i vicini e talvolta anche noi di Oui pour la Vie.

Quando abbiamo domandato ai volontari come hanno potuto ottenere questo cambiamento, hanno risposto con una sola parola: “lamore, l’amore senza limiti, l’amore senza giudicare, lamore senza domandare niente in cambio. Una persona che vive con una carenza di amore, originata dal fatto che non lo riceve da nessuno, non può essere in grado di donare amore, in quanto lei vive come un corpo senza anima, come un pozzo senza acqua.
Quando bisogna veramente vedere la verità, si deve chiudere gli occhi e guardare attraverso il cuore, per essere sicuri di quello che vediamo. Il cuore può vedere meglio degli occhi!”.

Auguri di un Santo Natale e buon 2018!!


Cosa è 'Oui pour la Vie'? : Il nostro progetto è in favore delle vedove e dei loro figli provenienti sia dalla Siria, in seguito alla guerra civile iniziata 6 anni fa circa hanno dovuto abbandonare la loro terra per fuggire alle distruzioni, che dall’Iraq, a causa del quasi annientamento della presenza cristiana in quel paese ad opera di gruppi islamici integralisti che li hanno in poche ore cacciati dalle loro case commettendo un’infinità di violenze e soprusi. 'Oui pour la Vie' li sostiene nel suo regolare impegno in favore di “tutti quelli che hanno bisogno” per diffondere motivazioni evangeliche di perdono e di accettazione della povertà coinvolgendo nelle sue iniziative di sostegno alle singole famiglie e di animazione, volontari e bisognosi di tutte le appartenenze, tra i più abbandonati del Libano e I profughi di Palestina e Siria e Iraq, la terribile novità di questo periodo.
La nostra opera in generale consiste essenzialmente nel sostegno a situazioni di particolare indigenza individuate tra le donne vedove siriane e i loro figli.  Per loro occorrono: aiuti per vitto e per questo abbiamo organizzato una cucina che offre circa 300 pasti, pagamento di spese per trattamenti sanitari, vestiario, arredamento di base per luoghi di rifugio di prima accoglienza (ad esempio serre dismesse utilizzate per la coltivazione degli ortaggi o abitazioni veramente fatiscenti). 
La nostra associazione è costituita da circa 50 volontari, opera stabilmente nei quartieri più abbandonati delle periferia di Beirut, affrontando situazioni di degrado di ogni genere. 
La situazione di queste famiglie e’ sempre piu’ grave e purtroppo sono costrette a spostarsi continuamente quando vengono cacciate dalle loro dimore per mancanza di pagamento di affitti, (molto esosi) o per abusi subiti. Sono circa un milione e trecentomila in tutto i rifugiati in Libano, legalmente registrati, ma con i clandestini si arriva a circa 2.000.000. La profonda crisi istituzionale del Libano determina gravissime conseguenze a livello economico con una gravissima estensione della disoccupazione e aumento dell’indebitamento delle famiglie. Questo ci ha anche costretti a rivedere le nostre prospettive di aiuto concentrandosi innanzitutto su alcune situazioni conosciute. Se troveremo gli aiuti necessari, cercheremo di aiutare anche le altre che con dolore abbiamo dovuto lasciare da parte.

Chi è interessato a maggiori informazioni o a conoscere le modalità per una testimonianza in Italia o per un contributo in favore della nostra opera può inviare un sms al 333/5473721 o scrivere una email a: info@ouipourlavielb.com
o contattarmi con il mio nome su facebook. P. Damiano Puccini 
o email p Damiano Puccini in Libano: pdamianolibano@gmail.com

E’ possibile sostenere la missione in Libano con versamento su
Conto Corrente Bancario intestato a Puccini Damiano
>> Codice IBAN: IT48E0200870951000103411714 presso Banca Unicredit Codice BIC Swift: UNCRITM1G05
>> Agenzia Cascina (PI): 526

giovedì 7 dicembre 2017

Ave Maria per le figlie di Homs

Dedichiamo l'Ave Maria in arabo alle vittime del vile attentato del 5 dicembre a Homs: l'esplosivo era sistemato sul pulmino del trasporto degli studenti! Qui alcune giovani cristiane, tra le 13 vittime: 


Assalamu alaiki, ya Mariam ya moumtalika neema al Rabbu maaki
Moubaraka anti bayna al nissaa wa Moubaraka samrat batniki Yassuah.
Ya eddissa Mariam ya walidat Allah
salli li aglina nahnou al khataa
alaan wa fi saat maoutina.
Ameen.


nelle immagini del video di RT la città di Homs dopo la battaglia, e la Vergine di Maaloula :
che Dio riceva in Cielo con la Sua Santa Madre le vittime ed abbia pietà dei persecutori

mercoledì 6 dicembre 2017

La lettera a Donald Trump dei Patriarchi e capi delle Chiese di Terra Santa

Gerusalemme, 6 dicembre 2017

Caro Signor Presidente,

siamo pienamente consapevoli e apprezziamo come Lei sta dedicando un'attenzione particolare allo stato di Gerusalemme in questi giorni. Stiamo seguendo con attenzione e vediamo che è nostro dovere indirizzare questa lettera a Sua Eccellenza. Il 17 luglio 2000, abbiamo inviato una lettera simile ai leader che si sono incontrati a Camp David per decidere lo status di Gerusalemme. Hanno gentilmente preso la nostra lettera in considerazione. Oggi, signor Presidente, siamo fiduciosi che anche voi accoglierete il nostro punto di vista considerazione sullo status molto importante di Gerusalemme.
La nostra terra è chiamata ad essere una terra di pace. Gerusalemme, la città di Dio, è una città di pace per noi e per il mondo. Purtroppo, però, la nostra terra santa, con Gerusalemme la città Santa, è oggi una terra di conflitto.
Coloro che amano Gerusalemme hanno ogni volontà di lavorare e farne una terra e una città di pace, vita e dignità per tutti i suoi abitanti. Le preghiere di tutti i credenti in essa - le tre religioni e due popoli che appartengono a questa città- si innalzano a Dio e chiedono la pace, come dice il salmista: "Ritorna da noi, Dio Onnipotente! Guarda giù dal cielo e guarda! "(80,14), ispira i nostri leader e riempi le loro menti e cuori con giustizia e pace.

Signor Presidente, abbiamo seguito con preoccupazione le notizie sulla possibilità di cambiare il modo in cui gli Stati Uniti comprendono e si occupano dello status di Gerusalemme. Siamo certi che tali passi produrranno un aumento di odio, conflitto, violenza e sofferenza a Gerusalemme e in Terra Santa, spostandoci più lontano dall'obiettivo dell'unità e più addentro verso la divisione distruttiva. Le chiediamo Signor Presidente, di aiutarci tutti a camminare verso un maggior amore e una pace definitiva, il che non può essere raggiunto senza che Gerusalemme sia per tutti.

Il nostro solenne consiglio e appello è che gli Stati Uniti continuino a riconoscere il presente
stato internazionale di Gerusalemme. Qualsiasi cambiamento improvviso potrebbe causare danni irreparabili. Noi siamo fiduciosi che, con il forte sostegno dei nostri amici, Israeliani e Palestinesi possano lavorare per negoziare una pace sostenibile e giusta, a beneficio di tutti coloro che desiderano che la Città Santa di Gerusalemme compia il suo destino. La Città Santa può essere condivisa e pienamente goduta quando un processo politico aiuti a liberare i cuori di tutte le persone, che vivono al suo interno, dalle condizioni di conflitto e distruttività che stanno vivendo.

Il Natale è oramai alle porte. È una festa di pace. Gli angeli hanno cantato nel nostro cielo: Gloria a Dio nell' alto, e la pace sulla terra per le persone di buona volontà. In questo prossimo Natale, ci auguriamo che Gerusalemme non sia privata della pace, le chiediamo Signor Presidente di aiutarci ad ascoltare la canzone di gli angeli. Come leader cristiani di Gerusalemme, la invitiamo a camminare con noi nella speranza mentre costruiamo una pace giusta e inclusiva per tutti i popoli di questa città unica e santa.

Con i nostri migliori saluti e i migliori auguri per un Santo Natale.
     (trad. OpS)

Dear Mr. President, 
We are fully aware and appreciative of how you are dedicating special attention to the status of Jerusalem in these days. We are following with attentiveness and we see that it is our duty to address this letter to Your Excellency. On July 17, 2000, we addressed a similar letter to the leaders who met in Camp David to decide the status of Jerusalem. They kindly took our letter into consideration. Today, Mr. President, we are confident that you too will take our viewpoint into consideration on the very important status of Jerusalem. 
Our land is called to be a land of peace. Jerusalem, the city of God, is a city of peace for us and for the world. Unfortunately, though, our holy land with Jerusalem the Holy city, is today a land of conflict. 
Those who love Jerusalem have every will to work and make it a land and a city of peace, life and dignity for all its inhabitants. The prayers of all believers in it—the three religions and two peoples who belong to this city—rise to God and ask for peace, as the Psalmist says: "Return to us, God Almighty! Look down from heaven and see!" (80.14). Inspire our leaders, and fill their minds and hearts with justice and peace. 
Mr. President, we have been following, with concern, the reports about the possibility of changing how the United States understands and deals with the status of Jerusalem. We are certain that such steps will yield increased hatred, conflict, violence and suffering in Jerusalem and the Holy Land, moving us farther from the goal of unity and deeper toward destructive division. We ask from you Mr. President to help us all walk towards more love and a definitive peace, which cannot be reached without Jerusalem being for all. 
Our solemn advice and plea is for the United States to continue recognizing the present international status of Jerusalem. Any sudden changes would cause irreparable harm. We are confident that, with strong support from our friends, Israelis and Palestinians can work towards negotiating a sustainable and just peace, benefiting all who long for the Holy City of Jerusalem to fulfil its destiny. The Holy City can be shared and fully enjoyed once a political process helps liberate the hearts of all people, that live within it, from the conditions of conflict and destructiveness that they are experiencing. Christmas is upon us soon. It is a feast of peace. The Angels have sung in our sky: Glory to God in the highest, and peace on earth to the people of good will. In this coming Christmas, we plea for Jerusalem not to be deprived from peace, we ask you Mr. President to help us listen to the song of the angels. As the Christian leaders of Jerusalem, we invite you to walk with us in hope as we build a just, inclusive peace for all the peoples of this unique and Holy City. 
With our best regards, and best wishes for a Merry Christmas.

 +Patriarch Theophilos III, Greek Orthodox Patriarchate 
+Patriarch Nourhan Manougian, Armenian Apostolic Orthodox Patriarchate 
+Archbishop Pierbattista Pizzaballa, Apostolic Administrator, Latin Patriarchate 
+Fr. Francesco Patton, ofm, Custos of the Holy Land 
+Archbishop Anba Antonious, Coptic Orthodox Patriarchate, Jerusalem 
+Archbishop Swerios Malki Murad, Syrian Orthodox Patriarchate 
+Archbishop Aba Embakob, Ethiopian Orthodox Patriarchate 
+Archbishop Joseph-Jules Zerey, Greek-Melkite-Catholic Patriarchate 
+Archbishop Mosa El-Hage, Maronite Patriarchal Exarchate 
+Archbishop Suheil Dawani, Episcopal Church of Jerusalem and the Middle East 
+Bishop Munib Younan, Evangelical Lutheran Church in Jordan and the Holy Land 
+Bishop Pierre Malki, Syrian Catholic Patriarchal Exarchate 
+Msgr. Georges Dankaye’, Armenian Catholic Patriarchal Exarchate