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mercoledì 6 dicembre 2017

La lettera a Donald Trump dei Patriarchi e capi delle Chiese di Terra Santa

Gerusalemme, 6 dicembre 2017

Caro Signor Presidente,

siamo pienamente consapevoli e apprezziamo come Lei sta dedicando un'attenzione particolare allo stato di Gerusalemme in questi giorni. Stiamo seguendo con attenzione e vediamo che è nostro dovere indirizzare questa lettera a Sua Eccellenza. Il 17 luglio 2000, abbiamo inviato una lettera simile ai leader che si sono incontrati a Camp David per decidere lo status di Gerusalemme. Hanno gentilmente preso la nostra lettera in considerazione. Oggi, signor Presidente, siamo fiduciosi che anche voi accoglierete il nostro punto di vista considerazione sullo status molto importante di Gerusalemme.
La nostra terra è chiamata ad essere una terra di pace. Gerusalemme, la città di Dio, è una città di pace per noi e per il mondo. Purtroppo, però, la nostra terra santa, con Gerusalemme la città Santa, è oggi una terra di conflitto.
Coloro che amano Gerusalemme hanno ogni volontà di lavorare e farne una terra e una città di pace, vita e dignità per tutti i suoi abitanti. Le preghiere di tutti i credenti in essa - le tre religioni e due popoli che appartengono a questa città- si innalzano a Dio e chiedono la pace, come dice il salmista: "Ritorna da noi, Dio Onnipotente! Guarda giù dal cielo e guarda! "(80,14), ispira i nostri leader e riempi le loro menti e cuori con giustizia e pace.

Signor Presidente, abbiamo seguito con preoccupazione le notizie sulla possibilità di cambiare il modo in cui gli Stati Uniti comprendono e si occupano dello status di Gerusalemme. Siamo certi che tali passi produrranno un aumento di odio, conflitto, violenza e sofferenza a Gerusalemme e in Terra Santa, spostandoci più lontano dall'obiettivo dell'unità e più addentro verso la divisione distruttiva. Le chiediamo Signor Presidente, di aiutarci tutti a camminare verso un maggior amore e una pace definitiva, il che non può essere raggiunto senza che Gerusalemme sia per tutti.

Il nostro solenne consiglio e appello è che gli Stati Uniti continuino a riconoscere il presente
stato internazionale di Gerusalemme. Qualsiasi cambiamento improvviso potrebbe causare danni irreparabili. Noi siamo fiduciosi che, con il forte sostegno dei nostri amici, Israeliani e Palestinesi possano lavorare per negoziare una pace sostenibile e giusta, a beneficio di tutti coloro che desiderano che la Città Santa di Gerusalemme compia il suo destino. La Città Santa può essere condivisa e pienamente goduta quando un processo politico aiuti a liberare i cuori di tutte le persone, che vivono al suo interno, dalle condizioni di conflitto e distruttività che stanno vivendo.

Il Natale è oramai alle porte. È una festa di pace. Gli angeli hanno cantato nel nostro cielo: Gloria a Dio nell' alto, e la pace sulla terra per le persone di buona volontà. In questo prossimo Natale, ci auguriamo che Gerusalemme non sia privata della pace, le chiediamo Signor Presidente di aiutarci ad ascoltare la canzone di gli angeli. Come leader cristiani di Gerusalemme, la invitiamo a camminare con noi nella speranza mentre costruiamo una pace giusta e inclusiva per tutti i popoli di questa città unica e santa.

Con i nostri migliori saluti e i migliori auguri per un Santo Natale.
     (trad. OpS)

Dear Mr. President, 
We are fully aware and appreciative of how you are dedicating special attention to the status of Jerusalem in these days. We are following with attentiveness and we see that it is our duty to address this letter to Your Excellency. On July 17, 2000, we addressed a similar letter to the leaders who met in Camp David to decide the status of Jerusalem. They kindly took our letter into consideration. Today, Mr. President, we are confident that you too will take our viewpoint into consideration on the very important status of Jerusalem. 
Our land is called to be a land of peace. Jerusalem, the city of God, is a city of peace for us and for the world. Unfortunately, though, our holy land with Jerusalem the Holy city, is today a land of conflict. 
Those who love Jerusalem have every will to work and make it a land and a city of peace, life and dignity for all its inhabitants. The prayers of all believers in it—the three religions and two peoples who belong to this city—rise to God and ask for peace, as the Psalmist says: "Return to us, God Almighty! Look down from heaven and see!" (80.14). Inspire our leaders, and fill their minds and hearts with justice and peace. 
Mr. President, we have been following, with concern, the reports about the possibility of changing how the United States understands and deals with the status of Jerusalem. We are certain that such steps will yield increased hatred, conflict, violence and suffering in Jerusalem and the Holy Land, moving us farther from the goal of unity and deeper toward destructive division. We ask from you Mr. President to help us all walk towards more love and a definitive peace, which cannot be reached without Jerusalem being for all. 
Our solemn advice and plea is for the United States to continue recognizing the present international status of Jerusalem. Any sudden changes would cause irreparable harm. We are confident that, with strong support from our friends, Israelis and Palestinians can work towards negotiating a sustainable and just peace, benefiting all who long for the Holy City of Jerusalem to fulfil its destiny. The Holy City can be shared and fully enjoyed once a political process helps liberate the hearts of all people, that live within it, from the conditions of conflict and destructiveness that they are experiencing. Christmas is upon us soon. It is a feast of peace. The Angels have sung in our sky: Glory to God in the highest, and peace on earth to the people of good will. In this coming Christmas, we plea for Jerusalem not to be deprived from peace, we ask you Mr. President to help us listen to the song of the angels. As the Christian leaders of Jerusalem, we invite you to walk with us in hope as we build a just, inclusive peace for all the peoples of this unique and Holy City. 
With our best regards, and best wishes for a Merry Christmas.

 +Patriarch Theophilos III, Greek Orthodox Patriarchate 
+Patriarch Nourhan Manougian, Armenian Apostolic Orthodox Patriarchate 
+Archbishop Pierbattista Pizzaballa, Apostolic Administrator, Latin Patriarchate 
+Fr. Francesco Patton, ofm, Custos of the Holy Land 
+Archbishop Anba Antonious, Coptic Orthodox Patriarchate, Jerusalem 
+Archbishop Swerios Malki Murad, Syrian Orthodox Patriarchate 
+Archbishop Aba Embakob, Ethiopian Orthodox Patriarchate 
+Archbishop Joseph-Jules Zerey, Greek-Melkite-Catholic Patriarchate 
+Archbishop Mosa El-Hage, Maronite Patriarchal Exarchate 
+Archbishop Suheil Dawani, Episcopal Church of Jerusalem and the Middle East 
+Bishop Munib Younan, Evangelical Lutheran Church in Jordan and the Holy Land 
+Bishop Pierre Malki, Syrian Catholic Patriarchal Exarchate 
+Msgr. Georges Dankaye’, Armenian Catholic Patriarchal Exarchate
    

lunedì 4 dicembre 2017

Padre Daniel: le menzogne crollano, la realtà rimane



Lettera di padre Daniel Maes
da Mar Yakub
novembre 2017

 Soffocare la verità con ridondanti bugie sembra oggi più che mai la linea-guida della stampa occidentale, riguardo alla Siria. Da diverse parti ho ricevuto articoli sull'Esercito Siriano che presumibilmente costringeva la popolazione a partire o morire, dopo averle affamate naturalmente. La Siria e l'Iraq hanno completamente pulito il loro Paese dai terroristi in pochi giorni, ma di questo non si trova alcuna notizia nella stampa occidentale. La nostra stampa infatti non ci parla neanche dell'eroismo dei soldati Siriani, o dei sacrifici del popolo Siriano, o dei grandi sforzi di fornire tutti i possibili aiuti umanitari ai bisognosi, o dell’inferno, dell'orrore, della distruzione da parte dei terroristi, o dei massacri effettuati dalla nostra Coalizione su civili innocenti, o sul modo in cui proprio gli USA portano in salvo i leader prominenti dell’IS, o sull'entusiasmo dei Siriani al momento della liberazione da parte dell'Esercito, o sulla ricostruzione a cui partecipa oggi tutto il Paese, o sui 440.000 Siriani che sono già ritornati dall'inizio dell'anno , e sui paesi che cercano di ristabilire relazioni con Damasco... No, questa verità deve rimanere nascosta e sepolta sotto le bugie perchè la nostra stampa non può perdere la faccia e deve continuare il suo “lavoro”. Una follia che continua a trascinarsi, sorretta da una folla di “drogati” che diminuisce ogni giorno.

 Qui alcune dichiarazioni toccanti che illustrano in modo preciso la realtà che noi sperimentiamo qui in prima persona:
 "La vera guerra contro il terrore è nascosta dalla stampa occidentale. Ciò non è sorprendente. Dopo tutto, la vera guerra contro il terrore è stata compiuta da Damasco, Russia, Hezbollah, i consiglieri militari di Iran, Baghdad, le milizie Shiite, cioè dai 4 + 1 e non da questi pupazzi-coalizione guidata dagli USA, tra cui la casa dei Wahabiti e gli Emirati Arabi Uniti. Si tratta di azioni che hanno schiacciato le storielle laconiche di Washington" (Pepe Escobar, 12 novembre 2017, https://www.mondialisation.ca/leiil-vaincu-en-syrie-et-en-irak-mais-les-medias-de-masse-lignore-totalement/5617947)

 Sì, la Siria è il vincitore. "La Siria ha ampiamente meritato di vincere questa battaglia! Che popolo ammirevole e che esercito eccezionale, nonostante tutte le bugie deformative. E si cederà alla tentazione di dire: se c’è uno statista che merita la sua presenza sulla terra è proprio il presidente Bachar-al-Assad, che ha sempre dato speranza al suo popolo ed è anche rimasto fedele ai suoi doveri e ha condotto il suo paese verso la vittoria. Secondo tutti gli auspici, la Siria ha vinto la guerra. Ora la Siria deve ancora vincere la pace. Questo paese coraggioso ha combattuto per noi. La Siria dispone di tutti i requisiti necessari per conquistare con successo la nuova sfida della pace in modo che questa guerra non sia stata invano. Che Dio ci aiuti! Sarà la ricompensa che - molto meglio che la vendetta – ripagherà tutti i sacrifici delle innumerevoli vittime, dei morti e dei vivi. "(Michel Raimbaud, 7 novembre 2017: https://www.mondialisation.ca/la-benediction-syrienne/5616995.).
 Vale veramente la pena di leggere questo articolo toccante. Michel Raimbaud fu ambasciatore di Francia in diversi paesi. Il suo ultimo libro: "Tempête sur le Grand Moyen-Orient", Edizioni Ellipses, Parigi 2017).

Cinismo occidentale per le catastrofi umanitarie
L’attuale disordine mondiale deve servire ad imporre un Nuovo Ordine Mondiale. E questo disordine è niente meno che un disastro umanitario per diversi popoli per tanti decenni. Tra poco IS sarà sradicata. Come ratti, i quadri superiori dei terroristi hanno lasciato la loro nave che affondava o sono stati portati in sicurezza dagli USA. I capi terroristi israeliani sono ritornati in Israele. I francesi di al-Nusra e successivamente Fath al Sham in Francia, gli inglesi in Inghilterra, i soldati americani appositamente addestrati verso le loro basi illegali, i consiglieri militari della NATO alle loro basi, i Wahabiti in Arabia Saudita, i Qatari al Qatar, e i curdi di Barzani, sottoposti al Mossad israeliano, non sanno dove andare dopo la loro delusione di una nuova patria.
 Il popolo siriano sanguina ma rimane in piedi in un paese che è stato devastato dalla coalizione occidentale criminale, che ha creato IS per i suoi propri interessi. E che cosa fa l’Occidente e l'UE? Stanno zitti o fanno grande chiasso perchè da qualche parte in una rivista russa hanno trovato un’immagine sbagliata. Cosa fanno USA e la Francia in questa situazione catastrofica? Ad alta voce i politici prominenti dichiarano che Bachar-al-Assad non era degno di vivere sulla terra. Nel frattempo il presidente Bachar-al-Assas è stimato e amato e sostenuto dal suo stesso popolo. Questi politici superano tutti i confini della decenza umana: prima hanno armato, pagato e sostenuto i terroristi. I combattenti siriani sono stati incoraggiati in modo implicito con l' informazione dei servizi segreti. Adesso questi politici provano a conquistare l’opinione pubblica dicendo apertamente che sarebbe meglio che i terroristi rimasti crepino in Siria. Nel frattempo restano migliaia di donne e bambini dei combattenti IS, abusati dagli USA.

 L’Occidente ha – come progettato – seminato il caos e ha – come sperato – raccolto catastrofe. I terroristi traditi, che non hanno più nulla da perdere, ora organizzeranno di propria iniziativa gli attacchi in Occidente. E' il boomerang del terrore che ritornerà verso le sue origini. E ancora una volta sarà la gente comune che pagherà il prezzo pesante e sarà la vittima, mentre i politici prominenti (cioè l’elite) che hanno seminato fuoco e sangue , pensano solo ai propri interessi.



Ideologia e realtà
 L'attuale evoluzione in Siria sta costringendo i politici e i giornalisti occidentali a riconoscere la realtà sempre di più, ma non sono ancora pronti a rinunciare alle loro false ideologie. È come se volessero fare un giro nel loro percorso, ma poi provare tutto per andare nella direzione sbagliata. Fortunatamente, le ideologie crollano, la realtà rimane. L'ideologia viene dall'idea greca (idea, rappresentazione) e logos (dottrina), la dottrina della performance. Puoi andare in molti modi con questo. Con ciò intendiamo un'esecuzione che non corrisponde alla realtà. Per giustificare una guerra contro la Siria, l'Occidente aveva bisogno di pretesti. Forti ideologie sono state per questo sviluppate e martellate nell'opinione pubblica. 
Ciò ha avuto successo per sedici anni, per essere in grado di fare la guerra (contro l'Afghanistan, l'Iraq, la Libia ...). Per la Siria la narrativa era di una dittatura terribile sotto un macabro dittatore. In effetti, la Siria non è uno Stato ideale con un governo ideale. C'era molta mancanza di comprensione sulle libertà politiche personali. Ora c'è un sistema multipartitico. C'è ingiustizia, corruzione a tutti i livelli, ma quale Paese europeo può dimostrare di esserlo molto meno? Ogni turista ha potuto sperimentare la società armoniosa prima della guerra, prosperità e sicurezza che non esiste in nessun altro paese occidentale.  Un oftalmologo amichevole a Londra che a causa della morte di suo fratello doveva diventare presidente, non era conosciuto da nessuno. All'inizio della guerra improvvisamente piccoli e grandi in Occidente pensavano tutti di sapere che cosa l'uomo stava facendo tutto il giorno: torturare persone fino alla morte, usare bombe e armi chimiche per uccidere la sua stessa gente. Ora sappiamo qual è l'obiettivo di una tale diabolizzazione. Saddam Hussein fu impiccato tra gli applausi e Khadafi fu massacrato come un animale. Non un giornalista del mainstream è andato alla ricerca della verità dietro questa immagine di questo presidente che, sebbene alawita, era sostenuto dalla grande maggioranza della popolazione e ora ottiene ancora più apprezzamento grazie ai suoi sforzi determinati.

 Un'altra ideologia riguarda la pacifica rivolta disarmata, che è stata brutalmente repressa dal "regime", da cui sarebbe scaturita una "guerra civile". Abbiamo visto qui come bande armate provenienti dall'esterno hanno devastato e sparato ai servizi di sicurezza, cosa che ha peggiorato la violenza. I siriani sono stati in grado di attestare la stessa cosa in tutto il paese.
Un'altra ideologia era il National Syrian Council   o Coalition . È stato riconosciuto in Occidente come un rispettabile governo legittimo invece del cosiddetto regime totalmente corrotto e inaccettabile. In una conferenza stampa a Bruxelles fui attaccato bruscamente da un gentiluomo in nero, perché presumibilmente insieme ai cristiani ho impedito la liberazione e la democrazia del popolo siriano sostenendo un macabro dittatore. Immediatamente una vecchia si alzò e disse: " Padre, questo ragazzo è il mio vicino di casa, lo conosco da quando non era in grado di camminare, non è stato in Siria da 30 anni e ora è pagato dal Qatar per perturbare il suo stesso paese.". Era un membro del Consiglio nazionale siriano. 

 Altre ideologie riguardavano le imprese della "liberazione" del cosiddetto Esercito Libero Siriano , che in realtà non era né libero né siriano né esercito. D'altra parte, si diffondevano le storie circa l'esercito siriano che bombarda gli ospedali, bombarda villaggi e affama la sua stessa gente ... La realtà si è rivelata un tentativo dell'Occidente di ripudiare i propri crimini.
  E poi quell'intera comicità isterica sugli attacchi chimici, con conseguenze purtroppo tragiche per la popolazione. Dalle infermiere ospedaliere abbiamo appreso sin dall'inizio che i terroristi stavano bombardando civili innocenti con gas velenoso. I siriani sapevano bene che il loro esercito non li usava. Tuttavia, il mulino continuò a funzionare. A Lattakia, un gran numero di bambini sono stati rapiti (all'inizio di agosto 2013) per diventare vittima di un massiccio attacco di gas velenoso a Ghouta il 23 agosto 2013, proprio nel momento più alto dell'esposizione mediatica. E non un giornalista del mainstream ha fatto una domanda critica.

 A proposito dell'attacco con gas velenoso del 4 aprile 2017, una commissione ha prodotto un rapporto, in Turchia! Nessuno di questi ricercatori è stato sul posto, ma senza alcuna prova dicono con certezza che la Siria è colpevole. Ogni proposta dalla Siria e dalla Russia per condurre un'indagine indipendente e venire sul posto è stata continuamente affossata. Non ci sono ancora prove dell'uso di armi chimiche da parte dell'esercito siriano. Inoltre, come l'esercito siriano sarebbe così stupido quando è dalla parte dei vincitori, da lanciare il mondo e i suoi alleati leali contro se stessi con l'uso di tali sostanze pericolose?
 In Turchia, un membro dell'opposizione ha dimostrato che il governo turco ha contribuito a garantire la fornitura di materiale chimico ai terroristi in Siria. L'uomo è stato condannato, non per aver mentito ma per alto tradimento!

 Quando sono state trovate nei covi dei terroristi fabbriche per la produzione di armi chimiche e gas, fornite dalle compagnie statali americane e britanniche (Federal Laboratories e Chemring Defense) , anche il più esausto giornalista mainstream non ne ha sentito parlare.  E anche le proteste contro i "rapporti ufficiali" dell'esperto professor Theodore Postol del prestigioso MIT e l'ampia relazione della madre Agnes-Mariam de la Croix si dimostrano a loro sconosciute. Non c'è un giornalista libero con un po' di cervello?
    
padre Daniel Maes 
    (trad.  A. Wilking)

giovedì 30 novembre 2017

"Una gigantesca prigione" : come influiscono le sanzioni sui cittadini siriani?

Proprio oggi il Segretario di Stato USA Tillerson ribadisce l'intento di rafforzare le sanzioni contro il Governo siriano: ma guardiamo l'efficacia di queste sanzioni sulla vita quotidiana in Siria.... 


 FONTE: alahednewstraduzione per OraproSiria di Gb.P. 

Le sanzioni internazionali privano gli ospedali siriani di macchinari essenziali, dei pezzi di ricambio e anche dei medicinali, e questo ha un impatto significativo sulla popolazione siriana, ma pochissimo effetto sul loro obiettivo dichiarato, ossia spingere Bashar al-Assad a un cambiamento politico, hanno detto medici, uomini d'affari e donne siriane a 'Middle East Eye'.
"Non possiamo importare il protossido di azoto, che è necessario per l'anestesia, perché dicono che può essere usato per fabbricare bombe. Abbiamo bisogno dell'elio per raffreddare i nostri scanners IRM, ma non abbiamo il diritto di importarlo. Molti centri di risonanza magnetica in tutta la Siria sono fuori uso ", ha detto al MEE il dott. Joseph Fares, direttore dell'ospedale italiano di Damasco.
Questo ospedale fu costruito più di cento anni fa per aiutare i missionari cattolici di rito romano in Siria; oggi serve migliaia di Siriani senza distinzioni religiose ogni anno.
Precedentemente in parte finanziato con donazioni dall'Italia, l'ospedale "non può più ricevere denaro dall'Italia, perché non possiamo trasferire fondi alle banche siriane", continua il Dr. Fares. "Le sanzioni erano dirette contro il governo siriano, non capisco perché tutti i siriani debbano soffrirne".
Sanzioni unilaterali
Le sanzioni imposte alla Siria sono unilaterali. Derivano da decisioni prese dalla Gran Bretagna e dal resto dell'Unione Europea, oltre agli Stati Uniti.
Non solo queste sanzioni non sono mai state legalmente autorizzate da alcuna risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma sono anche state esplicitamente condannate da una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2013, che afferma che "l'applicazione di misure economiche coercitive unilaterali ha un impatto negativo sulle economie e sugli sforzi di sviluppo dei paesi in via di sviluppo in particolare". "Tali misure costituiscono una flagrante violazione dei principi del diritto internazionale e dei principi fondamentali del sistema commerciale multilaterale", continua la risoluzione.
La Gran Bretagna e l'UE hanno imposto le prime sanzioni nel 2011, all'inizio della guerra in Siria, e le hanno rinforzate più volte. Queste includono un embargo sull'importazione di petrolio siriano, il congelamento di beni, restrizioni sui servizi finanziari e divieti all'esportazione su determinate forniture "a duplice uso". Le sanzioni statunitensi vanno oltre: impongono un embargo globale su tutte le esportazioni verso la Siria.
Sebbene la legislazione sulle sanzioni preveda eccezioni per il lavoro umanitario, l'effetto pratico delle restrizioni è di bloccarlo in gran parte, nella misura in cui le agenzie di aiuto umanitario devono coprire i costi e i tempi legali per il lavoro necessario a districarsi nel complesso processo di ottenimento dei permessi di esportazione. Essi sono anche scoraggiati dal timore di essere accusati di violare la legislazione europea o americana se gli articoli esportati non sono riconosciuti come legittimi dalle autorità governative (del Paese esportante). "in pratica, non possiamo comprare nuove macchine," ha lamentato il Dr. Fares.
Il Dr. Mazen Hadad, direttore dell'ospedale dei bambini di Damasco, mi ha raccontato di una situazione simile. “Centinaia di madri sono state in coda per ore davanti all'edificio fino a quando sono arrivato pochi minuti prima che le porte si aprissero per le ore di ambulatorio. All'interno, il personale mi ha mostrato quello che potrebbe essere un museo di vetuste macchine mediche che non poteva essere migliorato o che non aveva pezzi di ricambio, specialmente il software che le controlla. I bambini giacevano in vecchie incubatrici. Le macchine per la TAC erano obsolete.”
Poiché le sanzioni non sono state approvate dalle Nazioni Unite e sono state imposte solo dai paesi occidentali, ora l'ospedale importa circa il 30% delle sue medicine da altri paesi, tra cui l'Iran, l'India e la Cina. L' istituzione si coordina anche con l'Organizzazione Mondiale della Sanità, che è autorizzata a portare medicinali in Siria in determinate circostanze.
Un «effetto dissuasivo»
L'effetto nefasto delle sanzioni sulla Siria è stato evidenziato in un rapporto commissionato l'anno scorso dall'Agenzia svizzera per lo sviluppo e la cooperazione per la Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l'Asia occidentale (ESCWA), con sede a Beirut. Originariamente destinato alla pubblicazione, è stato divulgato dal sito web The Intercept e da allora è stato ritenuto documento interno dell'ONU, sebbene le copie cartacee siano ampiamente disponibili nella regione e una di esse è stata data al Middle East Eye (MEE)..
Il rapporto descrive le sanzioni statunitensi ed europee come il "più complicato ed esteso regime di sanzioni mai imposto". A causa delle sanzioni imposte alle maggiori banche siriane, inclusa la Banca centrale, solo poche banche possono operare. Il rapporto afferma tuttavia che le sanzioni hanno un "effetto dissuasivo" sulle aziende del settore privato che potrebbero voler lavorare anche con queste banche più piccole, ma sono preoccupate per le possibili involontarie violazioni tecniche delle normative.
L'esportazione del software per le attrezzature mediche richiede licenze, ma le complicazioni incontrate per ordinarlo sono "particolarmente paralizzanti" e "le esenzioni per motivi umanitari sono troppo limitate", afferma il rapporto. Il rapporto include tredici studi, su casi che descrivono i problemi affrontati da associazioni di beneficenza e organizzazioni umanitarie non identificate. Una grande organizzazione europea di aiuti umanitari si è lamentata del fatto che i costi legali per ottenere una licenza statunitense per l'invio di un computer in Siria erano tre volte superiori al costo del computer stesso.
"Le sanzioni si faranno sentire più intensamente quando lavoreremo alla riabilitazione di centrali elettriche, servizi sanitari, pompaggio di acqua e il resto", ha dichiarato Khaled Erksoussi, coordinatore logistico per la Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa a Damasco.  "Se vogliamo impedire alle persone di essere sfollati o rifugiati e se vogliamo incoraggiarli a tornare a casa, dobbiamo capire che i cessate il fuoco non sono sufficienti. Le persone non solo sono fuggite a causa dei combattimenti, ma anche per la mancanza di servizi, benefici per la salute, mezzi di sussistenza e posti di lavoro. Non siamo ancora nel pieno della ripresa, ma anche nelle fasi iniziali, le persone hanno bisogno del sostegno, della pianificazione e dell'impegno di donatori e governi stranieri. 
Un'altra organizzazione europea di aiuto umanitario, che ha un volume annuale di oltre 100 milioni di dollari, ha cercato di trasferire fondi ai suoi partner in Siria mandandoli a una banca di un Paese vicino, in modo che i suoi funzionari possano riscuoterli da questo Paese; ma quando l'organizzazione ha rivelato, per motivi di trasparenza, qual era la destinazione finale dei fondi, la banca estera ha rifiutato di eseguire il trasferimento.
Una grande organizzazione non governativa internazionale che è diventata subappaltatrice di un programma delle Nazioni Unite è stata un incredibile esempio degli effetti delle sanzioni. Questa organizzazione doveva comprare e distribuire carburante in Siria, ma per farlo era necessaria una licenza europea. La licenza doveva essere ottenuta attraverso il governo nazionale delle ONG, dove diversi ministeri erano preposti all'approvazione dopo aver negoziato tra loro. Secondo il rapporto dell'ESCWA, "questo dipendeva dall'identificazione della provenienza del carburante. Le circostanze prevalenti in Siria, l'inaffidabilità delle fonti private di carburante e la durata dei negoziati, hanno comportato il continuo aggiornamento della richiesta, che ha richiesto esami più approfonditi all'interno di ciascun ministero. Infine, l'opportunità del programma si è perduta prima che fosse raggiunto un accordo di licenza." Anche se il rapporto non ha specificato la destinazione d'uso del carburante, molti progetti comportano l'uso di generatori quando le centrali elettriche e le linee elettriche convenzionali sono state distrutte o danneggiate.
Le sanzioni colpiscono anche gli enti di beneficenza,
 è difficile inviare denaro alle organizzazioni
benefiche partner. Le sanzioni, che hanno avuto
un effetto catastrofico negli ultimi sei anni di guerra,
avranno probabilmente un effetto ancora maggiore
ora che la guerra sta giungendo al termine
e che le organizzazioni umanitarie e il governo siriano
si stanno orientando verso la ricostruzione
di infrastrutture gravemente danneggiate nel paese

L'impatto sul quotidiano
Oltre alle organizzazioni di aiuto umanitario, le sanzioni hanno un grave impatto sulle imprese private e sui cittadini siriani. Nessuna carta di credito americana o europea è accettata in Siria. È impossibile ottenere una lettera di credito da una banca straniera. Le compagnie di assicurazione occidentali si rifiutano di assicurare le merci destinate alla Siria.
Elia Samman gestisce un'attività di import-export a Damasco. Egli ha creato una società separata in Libano che importa merci, alcune delle quali vengono poi esportate in Siria. "È difficile avere i documenti approvati dai produttori se sanno che i prodotti vanno in Siria. Ciò carica di circa il 35% il costo totale delle merci, che naturalmente, è a carico dell'utente finale ", dichiara Samman al MEE.
Le sanzioni furono rafforzate con l'intensificazione della guerra in Siria. Sotto la pressione degli Stati Uniti, le banche libanesi non consentono più ai siriani di aprire conti in dollari. Chi aveva già un conto può trovarlo bloccato. Anche andare in Libano è difficile.
La Dott. Noha Chuck è Presidente e CEO del Syrian Enterprise and Business Center. Ha una doppia nazionalità siro-canadese e può facilmente viaggiare in Libano con il suo passaporto canadese. "Se hai un passaporto siriano, devi mostrare al confine libanese che hai una prenotazione in un hotel e spesso chiamano l'hotel per controllare. Devi anche avere con te almeno 1000 dollari in contanti. Perché dovresti avere bisogno di così tanti soldi se vi resti solo per una o due notti?" ha spiegato. "Se sei siriano e lavori per un'organizzazione internazionale in Libano e vieni pagato con un assegno in dollari, non puoi incassarlo. Tutto quello che puoi fare è farlo intestare a un amico libanese o di un altro Paese, che può incassarlo e mandarti i soldi.
Inevitabilmente, l'embargo è diventato fonte di criminalità. "È emersa una nuova generazione di evasori di sanzioni", ha affermato la dott Chuck. Ad esempio, le merci scaricate a Latakia (porto siriano sul Mediterraneo) vengono dichiarate come scaricate in Libano nella documentazione ".
Rateb Shallah, banchiere e presidente del Syrian Enterprise and Business Center, ha approfondito la questione: "Le sanzioni non sono il modo giusto per indurre le persone a comportarsi diversamente. L'obiettivo era quello di colpire il governo siriano, ma semmai ciò avrebbe potuto essere stato valido una volta, oggi non è più così. Le sanzioni colpiscono le persone comuni. La sofferenza che causano è globale. Hanno un impatto su tutte le transazioni in Siria. I Siriani sono condannati a vivere in una gigantesca prigione”.

mercoledì 29 novembre 2017

Aiuto alla Chiesa che Soffre: tre progetti per Natale per la città di Aleppo

Tre progetti per far rinascere la città di Aleppo. Tre doni che i benefattori italiani potranno lasciare “sotto l’albero” dei cristiani aleppini.
Quest’anno la campagna di Natale di Aiuto alla Chiesa che Soffre è infatti interamente dedicata alla comunità cristiana di Aleppo. 

 Il primo dono permetterà di rinnovare il sostegno al progetto Goccia di latte, che garantisce latte in polvere a 2850 bambini al di sotto dei 10 anni. Un regalo che, spiega il vicario apostolico di Aleppo e referente del progetto monsignor Georges Abou Khazen, non soltanto permette ai bambini - "le prime vittime del conflitto" - di crescere sani e forti, ma dona anche ai genitori la serenità di offrire nuovamente ai propri figli del latte, un alimento che, a causa della forte svalutazione della lira siriana, ha oggi un costo proibitivo per la maggior parte delle famiglie.
Il secondo intervento da sostenere è in favore dell’Ospedale Saint Louis, affidato alle suore di San Giuseppe dell’Apparizione. La Fondazione pontificia contribuirà all’acquisto di materiale sanitario e di generatori elettrici che consentiranno alle apparecchiature di funzionare nelle ore di blackout che ancora si verificano ad Aleppo.
Infine il terzo regalo di Natale permetterà di ricostruire l’asilo delle suore di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, danneggiato dalla guerra. Una volta tornato in funzione, almeno 50 bambini potranno di nuovo giocare e avere un luogo dove crescere, finalmente, nella pace.
"Le bombe e i combattimenti che in questi anni hanno distrutto Aleppo – afferma il direttore di ACS-Italia, Alessandro Monteduro – sono finalmente cessati, ma tanto resta ancora da fare nella martoriata città, un tempo roccaforte della cristianità in Siria. Quest’anno abbiamo voluto rivolgere il nostro pensiero alla comunità cristiana aleppina, affinché questo possa essere un Natale di rinascita. I progetti sono realmente essenziali. Garantiranno alimentazione, salute ed educazione e vedranno coordinatori, tra le più belle figure della grande famiglia cristiana. Il nostro augurio, e il nostro impegno concreto, è che le migliaia di fedeli partiti in questi anni possano tornare a casa, assieme agli altri, per vivere finalmente in pace e perpetuare la presenza cristiana in uno dei suoi luoghi simbolo. L’invito dunque è a sostenere numerosi i nostri fratelli nella fede in difficoltà".
QUI il LINK per donare: http://acs-italia.org/campagna-natale-aleppo-tw/

domenica 26 novembre 2017

In Libano sale la tensione tra rifugiati siriani e libanesi

                      foto JC Antakli
 Nell'articolo di S.I.R. che sotto riportiamo, padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano, esprime gravi preoccupazioni per la situazione nel Paese, in particolare a causa della presenza di due milioni di rifugiati siriani, il 35% della popolazione. Preoccupazioni che ci sono state ampiamente riferite anche da vari interlocutori durante il nostro recente viaggio in Libano. 
E con doloroso sconcerto abbiamo anche sentito nei discorsi dei Libanesi un diffuso sentimento di esasperazione verso i Siriani ...
 E' evidente come l'arrivo massiccio dei rifugiati abbia avuto un impatto destabilizzante per il Paese dei Cedri, già fragile dal punto di vista politico e socioeconomico.  Ma pensiamo che del dramma, foriero di tensioni, dei profughi siriani in Libano occorra cogliere anche altri aspetti. Infatti, i rifugiati non sono solo un onere finanziario che pesa sulle casse dello Stato libanese: rappresentano anche un'entrata economica, da parte di innumerevoli organizzazioni internazionali e a favore di enti assistenziali nazionali, che hanno inoltre l'opportunità di assumere personale libanese per i loro progetti.  Quanto al deterioramento del mercato del lavoro, i responsabili non sono i Siriani sottopagati ma piuttosto gli imprenditori libanesi che assumono i rifugiati senza contratto e con condizioni orarie e di lavoro irregolari.  E gli endemici problemi di traffico, blackout di energia, smaltimento dei rifiuti, risalgono a ben prima dell'arrivo dei rifugiati. I delitti sessisti contro le donne non sono appannaggio dei soli criminali siriani....
 E, soprattutto, davanti alle miserrime condizioni di vita della maggioranza dei Siriani nei cosiddetti 'campi profughi', abbiamo l'obbligo morale di ricordare chi ha causato questa situazione. Sono i Paesi e le entità che negli anni hanno sostenuto il terrorismo, alimentando in tal modo una devastante guerra. Una tragedia che ha distrutto un Paese, la Siria, dal quale ben pochi fino al 2011 avrebbero pensato di andar via...
      La redazione di OraproSiria


S.I.R., 24 novembre 2017

Libano, “un Paese accogliente e generoso che sta pagando a caro prezzo la sua generosità. Ne risentiamo in termini di infrastrutture, lavoro, servizi e welfare. Oggi il 36% della popolazione libanese vive sotto la soglia di povertà, con meno di due dollari al giorno. Il 60% di questo 36% è composto da giovani di età compresa tra i 16 e 27 anni. Crescono i disoccupati tra i libanesi a vantaggio dei rifugiati siriani che lavorano in nero, senza tutele e senza aggravio di tasse”.
È una disamina che va dritta al cuore del problema quella che padre Paul Karam, presidente della Caritas Libano, traccia della situazione nel Paese del Cedri, dove dal 2011, anno di inizio della guerra siriana, sono affluiti 1,2 milioni di rifugiati (dato Unhcr) “ma sono almeno 1,8 milioni, perché vanno calcolati quelli che non vogliono essere registrati, soprattutto tra i cristiani”. Ciò equivale a dire che “il 35% della popolazione libanese è composto da siriani, senza dimenticare circa 500mila palestinesi e 70mila iracheni e altre centinaia di migliaia di lavoratori stranieri”.

Bomba demografica. Complice una “frontiera porosa e scarsi controlli, almeno nella fase iniziale della guerra, i rifugiati sono entrati dalla Siria e oggi non c’è una località nel Paese dove non siano presenti con tutto il loro carico di bisogni” che rispondono al nome di istruzione, lavoro, sanità, casa, infrastrutture.
Non è facile per un Paese di 4 milioni di abitanti far fronte a queste emergenze, in particolare il lavoro che scarseggia per la crisi economica, i servizi sociali ridotti all’essenziale, le infrastrutture divenute insufficienti (scuole e ospedali). Per esempio, per permettere ai bambini siriani di andare a scuola è stata stabilita l’apertura pomeridiana delle aule con un ulteriore aggravio di spese di gestione e manutenzione scolastica”.
Crescono nel contempo anche le tensioni sociali tra libanesi e siriani, questi ultimi già accusati di “rubare il lavoro ai siriani” e al centro, sempre più spesso, di gesti di criminalità e di reati gravi come furti e rapimenti.

Ma la vera bomba a orologeria per il Libano è rappresentata dalla demografia che rischia di far saltare il confessionalismo, sistema che premia le 18 confessioni presenti nel Paese e riconosciute dalla Costituzione che affida a ciascuna ruoli e incarichi istituzionali, Presidenza della Repubblica ai cristiani, Capo del Governo ai sunniti, presidente Parlamento agli sciiti e via dicendo. “Solo negli ultimi tre anni – secondo dati di Caritas Libano – sono nati circa 150mila bambini che non sono stati registrati né in Libano né in Siria. Ufficialmente non esistono, non hanno carta di identità, ma provengono da famiglie in larghissima maggioranza sunnite.
Questi nuovi nati sono destinati ad alterare i rapporti di forza delle confessioni.
Sunniti, infatti, sono anche i palestinesi che già vivono nel Paese dei cedri”.
                                                 foto JC Antakli

Quale soluzione?
È tempo di programmare il ritorno dei siriani in patria, almeno nelle zone pacificate”, sostiene padre Karam, per il quale il rientro dei rifugiati è una  delle risposte principali da dare per alleggerire il carico dell’accoglienza sulle spalle dei libanesi. “Si tratta – afferma – di un lavoro da pianificare nei prossimi anni, concertato tra organismi internazionali e nazionali con l’ausilio di Ong, agenzie umanitarie impegnate sul terreno come la stessa Caritas”.

Questo non significa, sottolinea il presidente di Caritas Libano, “un passo indietro nella scelta dell’assistenza e dell’accoglienza ai rifugiati. Tutt’altro. Bisogna però dare anche spazio a quei libanesi, e sono tanti, che hanno bisogno di aiuto materiale”.
A tale scopo la Caritas ha proposto che “il 30% di ogni progetto o programma di solidarietà destinato ai siriani vada ai libanesi quindi alla comunità ospitante”. Un’istanza che dovrà essere presentata ai donors. Nel caso venisse accettata “finanziare progetti di sviluppo per la comunità locale diventerebbe più facile e la popolazione, specie dei villaggi, sarà spinta a restare”, dice padre Karam. “Cosa che non accade oggi. Ai nostri centri di ascolto, infatti, sono sempre di più i libanesi che vengono a chiedere aiuto di ogni tipo, pagamenti bollette, cibo, vestiario, e anche visite mediche. Le richieste sono praticamente raddoppiate in ogni Centro. In collaborazione con Caritas straniere abbiamo attivato delle cliniche mobili che servono separatamente libanesi e siriani. Sono sempre più frequenti, infatti, le tensioni tra i due gruppi con i primi che accusano i secondi di non pagare nessun ticket sanitario. Oggi i libanesi vogliono essere considerati alla stregua dei rifugiati”.
Una guerra tra poveri che, per padre Karam, “va assolutamente evitata, anche perché a rimetterci per primi sono soprattutto i giovani che scelgono così di emigrare privando il Libano delle sue leve più forti e istruite”.

Un miracolo. “Come il Libano abbia potuto fino ad oggi sostenere tutto il peso dell’accoglienza dei rifugiati si può spiegare solo con un miracolo. E devo dire – aggiunge il presidente della Caritas – che molto aiuto è arrivato dai libanesi della diaspora che hanno inviato aiuti e denaro ai loro connazionali qui. Grazie alle loro rimesse anche lo Stato è rimasto in piedi. Ma tutto questo sarà vano se non si trovano vie diplomatiche per dare soluzione giuste e sostenibili ai conflitti che si avvitano uno con l’altro in questa area mediorientale. Senza pace e giustizia il rischio di implosione di questa Regione è dietro l’angolo. Con effetti tragici per tutto il mondo”.

mercoledì 22 novembre 2017

Parla il parroco della città martire Maloula, padre Eid Tawfik: «Noi cristiani dobbiamo perdonare ma se i musulmani non riconoscono gli errori commessi non ci potrà essere riconciliazione»

di Leone Grotti

«Noi cristiani di Maloula dobbiamo perdonare, perché il perdono è il cuore della nostra fede. Ma per la riconciliazione questo non basta». Non c’è traccia di odio nelle parole di padre Tawfik Eid e non è scontato. Il parroco di Maloula, città martire siriana, si trova in Francia per un ciclo di conferenze e ha rilasciato una lunga intervista video a Tv Libertés. Padre Eid ricorda i giorni del settembre 2013, quando i jihadisti di Al-Nusra entrarono nella città, vicina a Damasco, e la conquistarono uccidendo tre cristiani (dichiarati martiri), sequestrandone altri sei (cinque sono stati ritrovati morti), distruggendo case, chiese e rubando preziose icone di santi. In quei giorni i musulmani si unirono ai jihadisti, rivoltandosi contro i vicini di casa cristiani e partecipando alle sevizie.

«VENUTI PER UCCIDERVI». La vicenda è drammatica. All’inizio delle proteste antigovernative, due terzi dei musulmani di Maloula hanno preso le parti del Free Syrian Army e si sono presentati come protettori dei residenti cristiani di fronte ai jihadisti di Al Nusra a condizione che i cristiani non si organizzassero in una milizia di difesa locale e facessero pressioni sui militari per rimuovere il posto di blocco che era stato istituito nei pressi del monastero dei Santi Sergio e Bacco. Cosa che poi è avvenuta, col risultato di consegnare alture e monastero a Jabhat al Nusra sin dal marzo 2013. In seguito i musulmani antigovernativi di Maloula hanno appoggiato le operazioni militari dei jihadisti o addirittura si sono uniti a loro. Su una parete del salone polifunzionale della parrocchia di San Giorgio, accuratamente razziato, si legge una grande scritta verniciata su di una parete: «Cristiani, alawiti, sciiti, drusi: siamo venuti per uccidervi».

LA RICONCILIAZIONE. Dopo che Maloula è stata riconquistata dall’esercito nel 2014, la vita in città sta lentamente tornando alla normalità. Tutto è da ricostruire, soprattutto i rapporti e la fiducia reciproca. «Per tornare a vivere come prima i musulmani devono prima riconoscere i loro errori. I cristiani non possono coltivare l’odio nel loro cuore, altrimenti saremmo uguali ai terroristi. Però non può esserci riconciliazione senza il pentimento da parte loro». Dalle parole e dai silenzi di padre Eid si capisce che il processo è in corso ma è ancora lontano dalla conclusione.

«COME GESÙ SULLA CROCE». Tra i cristiani rapiti e ritrovati sgozzati c’era anche il sagrestano di padre Eid, che però ha perdonato. Ma il sacerdote è il primo a imparare la fede dai suoi parrocchiani, che come tutta la popolazione del villaggio parla ancora un dialetto aramaico molto simile a quello di Gesù: «Come Gesù sulla croce, anche noi abbiamo gradito: “Dio, perché ci hai abbandonato?”. Ma poi abbiamo scoperto che non ci aveva affatto lasciati soli e la dimostrazione sono le poche perdite che abbiamo subito. La città, pur avendo passato dei mesi terribili, non è stata distrutta e oggi siamo tornati. La nostra fede oggi non solo non è stata minata, ma è più forte e sono i miei parrocchiani a dirmelo per primi».

«CRISTIANI, IMPEGNATEVI IN POLITICA». Il sacerdote, invitato in Europa dall’associazione francese SOS Chrétien d’Orient, che sta aiutando a ricostruire Maloula, ha rivolto al termine dell’intervista un appello alla Francia e all’Occidente: «Prima di tutto devo ringraziare di cuore chi ci sta aiutando a tornare a vivere. Ma voglio anche dire una cosa a tutti i cristiani, a tutti i cattolici e agli uomini di buona volontà: voi dovete affrontare una sfida più dura della nostra. Noi abbiamo subìto l’offensiva dei terroristi, voi dovete combattere contro ateismo e laicismo. Per farlo non potete limitarvi a lamentarvi delle cattive leggi che vengono approvate in Europa, dovete impegnarvi di più in prima persona nella vita pubblica e innervarla con la vostra esperienza di fede. Non basta dire che gli altri sono cattivi. Se non lo fate, se non vi impegnate in politica, nessuno lo farà al posto vostro».

domenica 19 novembre 2017

Padre Bahjat, parroco a Damasco: "la Siria può tornare ad essere un luogo in cui si può vivere, dialogare... Più che timore oggi ho molta speranza per il futuro del mio Paese"

 No alla soluzione militare alla crisi siriana e  impegno a sostenere la “sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Siria”.  È quanto emerge dalla dichiarazione congiunta del presidente russo, Vladimir Putin, e di quello Usa, Donald Trump, diffusa dopo un colloquio al vertice Apec che si è svolto in Vietnam. Per i due leader mondiali  “la soluzione politica definitiva del conflitto deve essere trovata nel processo negoziale di Ginevra”.
  Un auspicio condiviso da padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa. Originario di Aleppo, dal 2016 padre Karakach è il guardiano del convento della Conversione di San Paolo, a Damasco, e parroco della locale comunità latina composta da circa 250 famiglie, frequentata anche da molti cristiani appartenenti ad altri riti. Con lui proviamo a fare il punto sulla crisi siriana, che dopo la sconfitta militare dell’Isis, pare essere giunta ad una svolta. 
        S.I.R. 14 novembre 2017
Padre Karakach, sembra che la guerra stia lentamente finendo e che la Siria possa riprendere a vivere. È davvero così? Qual è la situazione nel Paese?
Oggi c’è più speranza rispetto a un anno fa, abbiamo un orizzonte. La svolta si è consumata dopo la presa di Aleppo (dicembre 2016, ndr.). Oggi avvertiamo un miglioramento della vita quotidiana, a Damasco, per esempio abbiamo di nuovo l’erogazione di energia elettrica per 24 ore, alcuni servizi pubblici stanno tornando alla normalità e questo rende più facile la vita quotidiana della popolazione. Tuttavia bisogna dire che 
la ripresa è lenta perché i nostri giovani sono ancora al fronte.  Ci sono infatti ancora zone del Paese dove sono presenti gruppi terroristici.

L’Isis, con la caduta della sua ex roccaforte, Raqqa, sembra sconfitto militarmente. Resta aperto l’altro fronte quello del conflitto tra governo e ribelli, una partita importante per il futuro della Siria.
Lo Stato islamico è stato sconfitto militarmente ma la sua ideologia terroristica è ancora piuttosto diffusa e in futuro potrebbe trovare spazio in altre sigle e nomi. Questa è la vera guerra che avvertiamo quotidianamente.
Infondere e promuovere una mentalità di apertura e di accoglienza dell’altro è un compito di tutti, anche di chi si ritiene un oppositore aperto, civile, che non imbraccia le armi e che sa dialogare e negoziare per una Siria migliore.

Molti analisti sostengono che in Siria si combatte una guerra per procura, dove a fronteggiarsi sono gli interessi di potenze regionali e non. Cosa prova nel vedere la sua terra trasformata da altri in un campo di battaglia?
Sicuramente rabbia. Vedere questo mi fa capire quanto sia importante la Siria che per secoli ha rappresentato un modello di convivenza e di tolleranza. Ora 
qualcuno ha deciso che  il mosaico deve essere rotto.
Per evitare questa tragedia confido molto nei tanti siriani, uomini e donne di buona volontà, capaci e coscienti, che hanno una visione buona e positiva per costruire una Siria migliore.

Visti i grandi interessi in gioco non teme per la sovranità futura della Siria?
Un timore di questo tipo lo abbiamo avvertito maggiormente qualche anno fa.
Oggi mi pare che la Siria abbia vinto in termini di sovranità.
C’è una verità innegabile ed è quella che il terrorismo si sta riducendo e che la Siria, nonostante tutto, può tornare ad essere un luogo in cui si può vivere, dialogare grazie a persone capaci di farlo. Più che timore oggi ho molta speranza per il futuro del mio Paese.

Bisogna riconoscere che se lo Stato islamico è stato sconfitto militarmente questo lo si deve anche agli interventi – da sponde opposte – di russi e americani. Non crede che le due potenze vorranno qualcosa in cambio, a questo punto?
Nei giochi politici ci sono spese da pagare. Indipendentemente da ciò, permane forte la volontà dei siriani di continuare a vivere in un Paese libero. Su questo non nutro alcun dubbio.

Prima ricordava come la Siria sia sempre stata un  crocevia di fedi e culture. Cosa avete fatto in questi anni di guerra come comunità cristiana per preservare questo mosaico?
Quello che abbiamo sempre fatto in tanti secoli di presenza in Siria:  
essere aperti e accoglienti verso tutti, senza distinzione di fedi, etnie, culture. Così facendo speriamo di essere un segno profetico non solo per la Siria del futuro, ma per tutto il Medio Oriente.
La Siria potrebbe tornare ad essere un modello di convivenza adottabile da tanti altri Paesi della regione.

Parlando di accoglienza non si possono dimenticare i milioni di rifugiati e di sfollati interni provocati dalla guerra. Torneranno tutti? Vede un futuro per i cristiani, e le altre minoranze, nella Siria che verrà?
Bisogna essere realistici: non tutti torneranno. Ma c’è già chi comincia a fare rientro nelle proprie abitazioni.
La dispersione provocata da anni di conflitto potrebbe diventare una risorsa per il Paese se venisse sfruttata in termini di apertura culturale, sociale e religiosa. Quel mosaico che è la Siria potrebbe così arricchirsi di nuovi pezzi e ampliarsi ulteriormente.
Molti siriani che ora sono all’estero nutrono un forte desiderio di tornare e di aiutare per ricostruire una Siria migliore.

Da dove cominciare per ricostruire una Siria migliore?
Ricominciare dai bambini. Bisogna ripartire dall’educazione, dall’istruzione, dalla formazione perché un Paese che ha subito una tale violenza ha anche difficoltà a rimettere in piedi un sistema educativo. Mi auguro che anche noi, come comunità cristiana, possiamo dare il nostro contributo per guarire le ferite causate dalla guerra. Molti dei nostri bambini sono traumatizzati, hanno visto scene inaudite di violenza, sono nati durante il conflitto. Nel nostro santuario della Conversione di san Paolo abbiamo portato avanti un progetto di sostegno psicologico per i più piccoli. Il 70% di loro erano musulmani. Lo scopo era riportarli ad una vita normale, ma ci vorrà tempo.
Ripartire dai bambini è la garanzia migliore per il futuro della Siria. E poi  dal dialogo.

Stiamo pensando ad una sorta di centro in cui persone di fedi ed etnie diverse possano dialogare e condividere momenti di vita anche in campi come l’arte, la musica, il teatro. Tutti quei valori umani che possono garantirci una vita migliore.

mercoledì 15 novembre 2017

«Lo sporco segreto di Raqqa» e della guerra siriana


Piccole Note, 15 novembre

«Lo sporco segreto di Raqqa», questo il titolo di un reportage della Bbc «che documenta l’accordo dei curdi siriani per l’uscita indenne da Raqqa di 4mila jihadisti armati, foreign fighters compresi, con l’avallo americano e britannico. Un’intesa “segreta” ma già denunciata dai russi ai quali la coalizione a guida Usa avrebbe impedito di bombardare le colonne jihadiste». Così Alberto Negri sul Sole 24ore del 15 novembre.
«La lotta al terrorismo è una realtà a geometria variabile», spiega ancora il cronista del Sole. «Viene condotta dagli alleati degli americani e da Washington a seconda degli interessi tattici e geopolitici che guidano i rapporti tra le potenze occidentali e i loro partner arabi».
Nel reportage della Bbc, che hanno intervistato diversi testimoni del fatto, si dettaglia che i miliziani dell’Isis hanno portato con sé non solo familiari, ma anche «tonnellate di armi e munizioni […] il convoglio era lungo sei-sette chilometri. Comprendeva quasi 50 camion, 13 autobus e più di 100 veicoli del gruppo islamico. I combattenti dell’Isis, con i loro volti coperti, sedevano in modo sfacciato su alcuni dei veicoli».
«I combattenti dell’Isis», si legge ancora, «hanno preso tutto quello che potevano portare. Dieci camion sono stati caricati con armi e munizioni». Uno degli autisti del convoglio ha spiegato: «C’erano tanti stranieri: della Francia, della Turchia, dell’Azerbaigian, del Pakistan, dello Yemen, dell’Arabia Saudita, della Cina, della Tunisia, dell’Egitto…».
Particolare che spiega, semmai ce ne fosse bisogno, che la narrativa che vuole la guerra siriana come una guerra civile è alquanto bizzarra. Non è stata un’evacuazione, spiega ancora la Bbc, ma un vero e proprio «esodo».
Interessante un altro particolare riportato dai testimoni: «c’erano aeromobili della coalizione, a volte droni, che seguivano il convoglio». Tanto è vero che dalla coalizione hanno poi dovuto spiegare che hanno «monitorato» la fuga. E che combacia con le accuse dei russi, che affermano che le forze della coalizione hanno impedito loro di attaccare il convoglio.
Questa operazione coperta, ancora negata nelle sue dimensioni e nel coinvolgimento dei militari Usa e britannici, è stata portata alla luce grazie alla testimonianza degli autisti del convoglio. Ingaggiati per far uscire alcuni uomini da Raqqa, si sono visti invece catapultati in uno scenario da incubo. Peraltro non sono stati pagati e hanno spifferato tutto.
Una sporca faccenda, che ha permesso a molti miliziani dell’Isis di disperdersi nel territorio siriano, come spiega la Bbc, rafforzando l’opera di contrasto a Damasco.  Uno dei miliziani, intervistato dalla Bbc, ha affermato: «nel nostro gruppo ci sono fratelli francesi che sono partiti per la Francia per compiere attacchi in quello che sarà chiamato “‘day of reckoning”. Val la pena ricordarselo alla prossima strage…
Val la pena accennare che quanto descritto stride con i numeri ufficiali ammessi successivamente dal comando della coalizione, che ha dovuto correggere il minimalismo iniziale, che limitava l’evacuazione a qualche decina di miliziani (peraltro non stranieri), agli attuali 250. Che ci fanno 250 miliziani con «tonnellate di armi e munizioni»?
Bugie su bugie, purtroppo. Lo sporco segreto di Raqqa non è che la punta dell’iceberg dell’enorme «sporco segreto» che abita la «sporca guerra» siriana. Da questo punto di vista, mescolare le carte, come fanno alcuni cronisti, spiegando che accordi simili sono stati fatti da siriani e libanesi è erroneo (blando eufemismo).  Un conto sono gli accordi che gli aggrediti possono stipulare con gli aggressori, siano essi jihadisti, al Qaeda o Isis, che hanno uno scopo strettamente strategico e limitato. Un conto sono gli accordi stipulati da quanti stanno conducendo una asserita campagna contro il Terrore in terra straniera, come appunto le forze della coalizione, che invece di combattere il Terrore, lo propagano. È tutt’altra cosa.
In questi giorni, le forze del Sdf, milizie curde-islamiche guidate dalla coalizione internazionale, hanno preso il controllo del campo petrolifero di al-Tanak, il secondo bacino petrolifero della Siria. L’Isis sarebbe scappato dopo i primi scontri con le milizie anti-Terrore.
Sull’Agenzia di stampa iraniana Fars, invece, si parla di un accordo tra l’Isis e la coalizione, «che prevede la cessione delle posizioni alle forze degli Stati Uniti».
Fonte di parte, certo (anche se le fonti della coalizione non si sono rivelate molto attendibili). E però forse può spiegare un particolare non secondario di questa sporca guerra:  mentre l’Isis combatte alla morte contro russi e siriani, davanti alle forze della coalizione scappa senza colpo ferire, per trovare riparo in aree di attrito con le forze di cui sopra. Tale il mistero di questo Terrorismo a geometria in-variabile.