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giovedì 9 novembre 2017

Libano: Hariri si dimette ... contro l'Iran


Richard Labévière , 06-11-2017

Le dimissioni di venerdì scorso del primo ministro libanese Saad Hariri suonano come un ulteriore colpo di tuono nel cielo già abbastanza tormentato del Medio Oriente. Questa drammatica mossa segue l'invito del presidente americano Donald Trump, lanciato il 20 maggio da Riyad, a "isolare l'Iran". Viene nella fase finale di una rivoluzione di palazzo in Arabia Saudita che ha visto, sabato scorso, l'arresto di trenta principi e uomini d'affari. Infine, si verifica in un contesto strategico dominato dalla riconquista di quasi tutta la Siria da parte dell'esercito governativo e i suoi alleati russi, iraniani e Hezbollah libanesi.

LA DISFATTA DELL'ASSE AMERICANO-ISRAELO-SAUDITA
Con la liberazione di Deir ez-Zor da parte dell'esercito governativo siriano, l'opposizione armata e i suoi sostenitori sunniti -Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, ecc - sono sotto controllo . Riprendendo le regioni orientali della Siria, l'esercito siriano e i suoi alleati non solo liberano le zone ricche di petrolio che saranno essenziali per la ricostruzione del paese, ma soprattutto operano la loro congiunzione con le forze di Baghdad al confine con l'Iraq, una fascia di 650 chilometri tra la Giordania e la Turchia.

"L'incubo di un "corridoio sciita" tanto temuto da Washington, Riyadh e Tel Aviv riemerge come uno spettro di panico", ha detto un ambasciatore europeo di stanza a Beirut "al punto che per ritardare questa inevitabile inversione, le forze speciali statunitensi nella zona hanno spinto dei gruppi Curdi a fare alleanza con le restanti unità di combattenti  ISIS ancora dispiegate nella Siria orientale”.
Deir ez-Zor era l'ultimo centro urbano nelle mani di Dae'ch in Siria dalla caduta della Raqqa a metà ottobre. Dopo aver controllato un terzo del paese, Dae'ch è ora con le spalle al muro nella valle dell'Eufrate. Il 7 ottobre, il generale americano Robert Sofge, numero due della Coalizione internazionale anti- Dae'ch , ha stimato che circa 2.000 combattenti jihadisti si nascondono nel deserto circostante. 
Le due vittorie di Raqqa e Deir ez-Zor certamente non significano la fine di Dae'ch. "Anche se estremamente indebolita, l'organizzazione ha disseminato cellule dormienti nelle zone liberate e già si reindirizza verso azioni di guerriglia tradizionali, con il sostegno di diversi gruppi curdi", dice una fonte militare europea, aggiungendo: "l'asse americano-israeliano-saudita perderà questa guerra e l'Iran e la Russia vinceranno ... ».

Nonostante le proteste degli Stati Uniti, le truppe irachene hanno eliminato dalle zone di confine con la Siria la maggior parte dei gruppi salafiti. Le milizie irachene hanno anche attraversato il confine per aiutare le truppe siriane a recuperare Abu Kamal, l'ultima località controllata da Dae'ch . È certo che questa giunzione promuoverà la collaborazione militare tra Siria e Iraq, un incubo per Washington, Tel Aviv e Riyadh.
Gli Stati Uniti avevano previsto di prendere Abu Kamal con le unità delle Forze Democratiche Siriane (SDF) - le loro forze proxy Curde. Purtroppo per loro, le forze del governo siriano li hanno battuti in corsa. Per diversi giorni di fila, i bombardieri Tu-22M3 a lungo raggio della Russia hanno sostenuto l'offensiva siriana con grandi incursioni effettuate direttamente dalla Russia. Hezbollah ha impegnato diverse migliaia di combattenti.

Sponsorizzato dall'Arabia Saudita in Iraq e Siria, Dae'ch è stato quindi spazzato via, l'Iraq ha ripreso la sua sovranità nazionale e la Siria sta per recuperare la propria. In entrambi i casi, le forze armate governative hanno impedito ai Curdi di appropriarsi di parte del territorio e sventato i tentativi di rilanciare la guerra civile a loro vantaggio. Di fronte al fallimento degli Stati Uniti che puntavano su una "partizione" eufemisticamente chiedendo l'istituzione di un "federalismo", il recupero di quasi tutto il territorio nazionale siriano rilancia una dinamica di riscossa e di nuovi irredentismi.
Le dichiarazioni di Benjamin Netanyahu, il 5 novembre alla BBC, involontariamente confermano questo sviluppo e la sconfitta dell'asse USA-Israele-saudita, "le dimissioni di Saad Hariri significano che Hezbollah ha preso il potere, il che significa che l'Iran ha preso il potere. Questa è una chiamata a svegliarsi! Il Medio Oriente sta vivendo un momento estremamente pericoloso in cui l'Iran sta cercando di dominare e controllare l'intera regione ... Quando tutti gli Arabi e gli Israeliani sono d'accordo su una cosa, il mondo deve sentirlo. Dobbiamo fermare questa presa di controllo iraniana ".  In ogni caso, ogni volta che una nuova minaccia si volge sull'Iran, è il Libano che tintinna.

FINE DI UNA RIVOLUZIONE DI PALAZZO
Ormai, l'Arabia Saudita e i suoi satelliti del Golfo (con la notevole eccezione del Qatar) stanno cercando un altro teatro da cui potrebbero sfidare e indebolire l'Iran per compensare la perdita della Siria. L'urgente desiderio di rovesciare la situazione regionale potrebbe indurli a cercare di riprendere piede in Libano. Gli Stati del Golfo, Israele e gli Stati Uniti non vogliono che l'Iran raccolga i benefici di una vittoria in Siria.

Ironia della sorte: il primo ministro libanese (che ha un passaporto saudita) si è dimesso per ordine dell' Arabia Saudita, in Arabia Saudita, in diretta televisiva sulla TV saudita Al-Arabia . Nella sua lettera di dimissioni, scritta da funzionari del palazzo saudita, accusa l'Iran di interferenze straniere nella politica libanese. Una voce sostiene inoltre che l'assassinio di Saad Hariri era progettato in Libano, il che non ha alcun senso ci hanno confermato vari capi dipartimento della sicurezza interna libanese, anche se i parenti del Primo Ministro sostengono che è il servizio di Intelligence francese che lo avrebbero avvertito.  A Beirut, questi ultimi negano formalmente "queste voci infondate". Altre fonti evocano una montatura del Mossad …

Ancora, le dimissioni del primo ministro libanese in Arabia Saudita sono concomitanti con uno spettacolare arresto di principi e soprattutto di potenti leader della Guardia Nazionale e della Marina. Riyadh ha deciso di bloccare i conti bancari del miliardario principe Walid bin Talal e di dieci altri dignitari sauditi. Trenta ex ministri e uomini d'affari sono stati arrestati la notte tra sabato e domenica in nome della lotta contro la corruzione. I portavoce del Palazzo annunciano che circa mille miliardi di dollari potrebbero essere recuperati. Ma altre voci regionali più informate sostengono che "sotto il pretesto di una improbabile lotta contro la corruzione, si tratterebbe soprattutto per il nuovo potere installato a Riyadh di completare la sua rivoluzione di palazzo eliminando le personalità saudite che non condividono le nuove opzioni di Mohamad Ben Salman, vale a dire un ravvicinamento con Israele e un inasprimento del confronto con Iran, Qatar e i mondi sciiti”.

Le dimissioni a sorpresa di Saad Hariri completano una rivoluzione di Palazzo che accade in piena ripresa dei negoziati internazionali sulla Siria. Durante la visita in Iran il 1 ° novembre Putin ha confermato la sua determinazione a continuare il processo di Astana con una futura riunione dei vari componenti dell'opposizione a Sochi. A Ginevra, il rappresentante speciale dell'ONU Staffan de Mistura ha previsto un altro giro di colloqui tra l'opposizione e il governo siriano il 28 novembre.
All'inizio della settimana, Thamer al-Sabhan, il ministro saudita degli affari del Golfo, aveva minacciato l'Hezbollah libanese e aveva annunciato che sarebbero arrivate sorprese. Facendo riferimento ad uno dei suoi tweets indirizzati al governo libanese, il ministro ha aggiunto: "Ho mandato questo messaggio al governo perché il partito di Satana (ossia Hezbollah) vi è rappresentato ed è un partito terroristico. Il problema non è quello di rovesciare il governo, ma piuttosto di rovesciare Hezbollah ".

HASSAN NASRALLAH FA APPELLO ALLA CALMA
Domenica sera, in un discorso televisivo, il segretario generale di Hezbollah ha rassicurato che "l'escalation politica verbale non cambia la realtà regionale". Egli ha invitato i Libanesi alla calma e a non cedere a tre voci diffuse da coloro che cercano di provocare una crisi costituzionale: un complotto per assassinare Saad Hariri, un attacco israeliano e un piano saudita per attaccare il Libano.
Hassan Nasrallah ha risposto punto per punto spiegando in sostanza: l'annuncio di un progetto di assassinio è "totalmente fantasioso"; l'agenda di Tel-Aviv non è identica all'agenda di Riyad e non può contemplare attacchi militari nel contesto attuale; infine, l'Arabia Saudita non ha i mezzi per attaccare il Libano. Si potrebbe aggiungere ... mentre perde in Siria, si è impantanata in Yemen e reprime le strade in Bahrain, mentre gli ultimi arresti potrebbero provocare reazioni popolari e cristallizzare una crisi di regime latente da diversi mesi!
Inoltre, il leader di Hezbollah reputa che le dimissioni di Saad Hariri non sono la sua decisione personale e che si deve aspettare il suo ritorno in Libano perchè si spieghi davanti ai suoi colleghi, forse questo giovedì, a meno che il primo ministro libanese non sia detenuto in Arabia Saudita - sotto arresto domiciliare o persino in prigione?  Con l'intelligenza politica che sappiamo, Hassan Nasrallah ha accuratamente evitato di infierire su Saad Hariri personalmente, preferendo andare alla fonte di queste dimissioni a sorpresa: l'Arabia Saudita!

Sulla stessa lunghezza d'onda, quelli vicini al presidente del Libano Michel Aoun hanno dichiarato che le dimissioni - annunciate da un paese straniero - sono incostituzionali. Il presidente si rifiuta di prendere atto di ciò prima di aver sentito, dalla bocca dell'interessato, i motivi di tale decisione. All'unisono, i due politici hanno chiesto il ritorno fisico di Saad Hariri sul territorio libanese, per poter adottare le misure appropriate.

Ancor prima dell'annuncio delle dimissioni di Saad Hariri, Samir Geagea, capo delle forze libanesi (FL), aveva anch'egli moltiplicato i suoi attacchi contro Hezbollah. Sempre allineato a Tel Aviv e Riad, il leader di estrema destra cercherà senza dubbio di approfittare della situazione per indebolire i suoi concorrenti in campo cristiano presentandosi come l'unica alternativa possibile alla successione al presidente Michel Aoun .

Altre conseguenze devono essere temute. L'amministrazione statunitense potrebbe cogliere l'opportunità di annunciare nuove sanzioni contro Hezbollah e Libano. L'Arabia Saudita continuerà ad infiltrare alcuni dei suoi combattenti al-Qaeda e Dae'ch in Siria e in Iraq. Come da molti decenni, la monarchia wahhabita finanzierà nuove operazioni terroristiche in Libano e in altri paesi della regione, mirando agli obiettivi sciiti e cristiani. Senza rischiare di lanciare una guerra aperta, Israele probabilmente continuerà a infastidire e provocare Hezbollah lungo il confine meridionale del Libano, nonché le sue violazioni quotidiane dello spazio aereo e delle acque territoriali del Paese dei Cedri.

In risposta ad un articolo molto strano di Médiapart sulle dimissioni di Saad Hariri, Bernard Cornut - collaboratore di prochetmoyen-orient.ch- ha inviato una risposta che merita di essere diffusa: "l'articolo cita i 1,5 milioni di rifugiati come fonte di instabilità in Libano e la guerra in Siria come causa di questi rifugiati. Non menziona la ragione principale per lo scatenarsi e il prolungarsi di questa guerra, vale a dire l'approvazione di Hillary Clinton per il sostegno finanziario e l'armamento massiccio dei ribelli mercenari impegnati in Siria, tramite basi statunitensi in Turchia ( Incirlik e Hatay) e in Giordania, come Hamid Ben Jassem, ex primo ministro e ministro degli Esteri di Qatar, recentemente ha riconosciuto chiaramente in un'intervista televisiva il 25 ottobre. Egli specificava ciò che aveva già ammesso in un'intervista del 15 aprile 2017 al Financial Times, citando la sua visita al re Abdullah di Arabia dall'inizio degli eventi in Siria per garantire questo massiccio sostegno illegale a delle ribellioni illegali.
 L'ex ministro del Qatar dichiara: "Per quanto riguarda la Siria, non appena gli eventi sono iniziati, sono andato in Arabia Saudita per incontrare il re Abdullah. Questo in seguito alle istruzioni di Sua Altezza (padre del principe attuale del Qatar). Gli ho detto che sta succedendo così (in Siria)! Ha risposto: siamo con voi. Occupatevi di questo caso e noi ci coordiniamo con voi ... ma prendete il caso nelle mani ". E lo abbiamo preso in mano! Non voglio dare i dettagli, ma abbiamo molti documenti e prove su questo. Tutto ciò che andava (in Siria) passava in Turchia in coordinamento con le forze americane. Tutta la distribuzione è stata fatta attraverso le forze americane, i Turchi, noi stessi e i nostri fratelli siriani, tutti i militari erano presenti ".

Richard Labévière
    (trad.  OraproSiria)

lunedì 6 novembre 2017

Ricostruire la fiducia sarà la vera sfida della convivenza tra siriani

  CRUX ottobre 2017, John L. Allen Jr.

Sebbene il conflitto sanguinoso in Siria sia ancora incombente dopo sei lunghi anni, la sua fine però potrebbe risultare meno complicata che il ritorno ai rapporti relativamente fiduciosi che una volta esistevano nel Paese tra Musulmani e Cristiani. Molti profughi cristiani siriani dicono che dopo aver visto i loro vicini musulmani unirsi per attaccarli, è impossibile immaginare di potersi nuovamente fidare di loro...

La fine della guerra in Siria potrebbe essere più facile che la ricostruzione della fiducia tra cristiani e musulmani.

Rana, una rifugiata cristiana siriana che vive nella città di Zahle nel centro del Libano, con la sua bambina di un anno. (Credito: Ines San Martin / Crux.)

ZAHLÉ, Libano - Per sei anni, la fine di una sanguinosa guerra civile scoppiata in Siria nel 2011 ha sfidato i migliori sforzi di diplomatici e strateghi militari. Eppure fermare i combattimenti potrebbe rivelarsi la parte più facile, rispetto alla ricostruzione della fiducia tra cristiani e musulmani che, per molti versi, è stata la prima vittima della guerra.
"Non riuscirò mai a perdonarli, mai", dice Victoria, una rifugiata siriana fuggita da Aleppo e madre di due figli, che attualmente vivono in un appartamento sovvenzionato dalla Chiesa a Zahlé, Libano, nella valle della Bekaa. La sovvenzione è resa possibile da 'Aiuto alla Chiesa che Soffre', fondazione pontificia che supporta i cristiani perseguitati in tutto il mondo. Victoria chiede che il suo cognome non venga citato, dal momento che suo marito, Abed, è scomparso mentre era al lavoro in Siria poco prima che la famiglia fuggisse. Nel caso in cui egli sia ancora vivo, teme possa subire ritorsioni. A lungo termine vorrebbe avere un nuovo futuro per sé e per la sua famiglia "ovunque in Occidente", dice, e la sua prima scelta sarebbe verso l'Australia.
"I nostri vicini musulmani quando sono iniziati i combattimenti, ci hanno attaccato", dice. "Non riesco a perdonarli. Hanno distrutto tutto ciò che avevamo.".  Victoria è categorica: anche se la pace tornerà in Siria, lei ritiene "impossibile" vivere con gli stessi vicini senza temere continuamente che la stessa cosa possa accadere di nuovo.
Sana Samia, che è la responsabile per la raccolta di fondi e la gestione del progetto per l'arcidiocesi Greco-Melkita di Zahlé, ha affermato che uno degli obiettivi del loro sostegno ai rifugiati è quello di aiutare i Cristiani che vorranno tornare a casa quando sarà il momento giusto perchè possano riuscire a farlo con successo e, oltre all'istruzione e a un posto di lavoro, significa anche essere disposti a coesistere costruttivamente con i Musulmani. "Devono imparare a fidarsi di nuovo", ha detto Samia, "ma è estremamente difficile a causa di tutto quello che hanno visto e sperimentato".
Secondo i propri standard, l'impegno dell'arcidiocesi per aiutare i rifugiati è enorme, con una cifra di circa 2 milioni di dollari ogni anno, secondo padre Elian Chaar, che sovrintende alle finanze della chiesa.
A sua volta, questo è un riflesso della scala della crisi globale dei rifugiati nel paese, dal momento che il Libano ospita oggi una popolazione di rifugiati ufficialmente stimata a 1,5 milioni (anche se alcuni ritengono che il totale reale sia molto più alto) oltre ad una popolazione autoctona di poco più di 4 milioni. Come ha sottolineato il membro del congresso della California Issa Darrell in una recente udienza sul Libano, è come se gli Stati Uniti fossero costretti ad ospitare 100 milioni di rifugiati.
Padre Chaar ha dichiarato che la spesa di 2 milioni di dollari rappresenta all'incirca un aumento del 65% del bilancio dell'assistenza umanitaria dell'arcidiocesi da sei anni fa, con una gran parte del denaro proveniente dall'Aiuto alla Chiesa che Soffre. La chiesa locale sotto l'arcivescovo Isaam John Darwish sta facendo tutto quello che può per promuovere buone relazioni tra Musulmani e Cristiani. L'ospedale arcidiocesano, Tel Chiha, cura senza distinzione sia i Musulmani che i Cristiani, anche ospitando i pazienti musulmani con le loro esigenze dietetiche e di privacy, e lo stesso arcivescovo Darwish lavora attraverso le ONG che gestiscono i campi profughi retti da musulmani locali per fornire assistenza.
In ogni caso quale che sia il grande impegno che la Chiesa locale e i donatori internazionali attuino, la mancanza di fiducia può essere difficile da colmare.
Rana, che ha anch'essa chiesto di non dire il suo cognome, è una madre di tre figli dell'età di nove, cinque e un anno. In termini di personalità, è una persona solare e felice, nonostante viva in un micro appartamento con una piccola cucina, dove i materassi usurati devono essere messi di notte sul pavimento per permettere a tutti di dormire.  È raro non vedere Rana sorridere e avere una risata pronta. Eppure, quando le si chiede se può perdonare i Musulmani che l'hanno attaccata, si spegne improvvisamente, e il "no" che pronuncia è categorico. "Ci hanno pugnalato nella schiena", dice, riferendosi ai suoi vicini musulmani del suo villaggio siriano, dicendo che è fuggita a Zahlé proprio perché è noto per avere una forte maggioranza cristiana.
"Abbiamo vissuto sempre pacificamente con loro, ma hanno pianificato [l'attacco] sotto il tavolo", dice. "Quando sono incominciati i combattimenti loro ci sono venuti dietro". "Abbiamo vissuto insieme nello stesso posto", dice Rana, "ma avevano odio per noi e ci hanno mentito".
Racconta di aver visto che le persone con cui aveva vissuto e lavorato tutta la sua vita hanno iniziato a partecipare alle manifestazioni, chiedendo che i Cristiani fossero eliminati, e li ha poi osservati saccheggiare case cristiane che avevano preso di mira.  "Non potrò mai fidarmi di nuovo", dice. Inoltre, Rana confessa che la sfiducia è ora generalizzata verso tutti i Musulmani. Per scelta, lei non ha amici musulmani in Zahlé . Indicando la porta del suo piccolo appartamento, ci spiega che la sua vicina di casa è una donna musulmana, ma con lei non parla mai e non ha alcuna intenzione di farlo.
Naturalmente, per ogni storia di Musulmani Siriani che si sono uniti all'assalto anti-cristiano, ci sono anche resoconti di Musulmani che rischiano la loro vita per aiutare i loro vicini Cristiani. I Cristiani sono anche consapevoli del fatto che molti Musulmani stessi sono stati gli obiettivi dell'ISIS ed ora vivono una vita altrettanto difficile come la loro, perché anche quei Musulmani sono stati costretti a fuggire.
Padre Elie Chaaya,, accademico e pastore Greco-Melkita, però dichiara che la diffidenza non è generalizzata: nel villaggio dove si trova la sua parrocchia dice che c'è una popolazione mista di Cristiani e Musulmani sunniti e sostiene che i rifugiati cristiani possono vivere insieme ai musulmani "senza paura". 
 Chaar, tuttavia, per la sua esperienza dice che il sospetto spesso corre abbastanza profondo.
"Quando i Musulmani Siriani cominciarono a venire qui, tutti li temevano, Libanesi e rifugiati allo stesso modo", racconta. "Vuoi sapere, sì o no, se questo ragazzo è infettato con la cultura dell'ISIS? ... Non puoi aiutare preoccupandoti che potrebbero essere estremisti, cosa che rende difficile fidarsi di loro".
Samia dice, che nonostante la china sia ripida da risalire, ricostruire la fiducia è essenziale se i Cristiani vogliono rimanere in Medio Oriente.
"Vogliamo che i Cristiani siano in condizione di poter rimanere qui, nella terra dove nacque Cristo e dove nacque il cristianesimo", dice. "Se vogliamo restare, dobbiamo essere in grado di vivere bene con i musulmani".  “Non abbiamo un'altra scelta", conclude Samia.

giovedì 2 novembre 2017

Storie dalla Siria


di Giampiero Pettenon, Salesiani don Bosco

Abbiamo ascoltato la storia di Juliana, che a diciassette anni è diventata la donna di casa, visto che la madre e il fratello hanno trovato rifugio in Germania, mentre lei ed il papà sono ancora in Siria in attesa di ottenere il visto per il ricongiungimento familiare. Quando, raccontando le sue giornate, ci ha detto che deve far da mangiare al papà perché la mamma non c'è, è scoppiata a piangere. Lacrime di nostalgia. Ha solo diciassette anni e la mamma le manca tanto.
L'ha consolata Nour, una bella giovane di ventiquattro anni, neo cooperatrice salesiana, che due anni fa ha perso il fratello, vittima di una scheggia di bomba caduta sul negozio nel quale era andato a comprarsi il vestito da sposo, perché al suo matrimonio mancavano solo poche settimane. Anche Nour non ha saputo trattenere le lacrime al ricordo di questa morte assurda.
Quanto dolore si sta accumulando in tutte queste persone, quanto!

Anche don Mounir ci racconta che il nonno è stato ucciso dai ribelli. Stava andando in macchina con la nonna, quando hanno cominciato a sparare all'auto. Erano vicino ad un posto di blocco dell'esercito regolare ed hanno cercato di raggiungerlo di corsa. La nonna ce l'ha fatta. Ma al nonno sono arrivate due pallottole sulle schiena ed è stramazzato al suolo. Morto. Lo strazio è stato di non poterlo prendere subito dopo, perché i cecchini dell'ISIS per giorni hanno impedito di avvicinarsi al defunto.

Dove trovano la forza per andare avanti, tutte queste persone?
La risposta semplice e disarmante, per noi abituati a tante riflessioni e razionalizzazioni, viene dalla bocca sia dei salesiani sia dei giovani che intervistiamo. La fede li aiuta ad andare avanti e a sperare in un futuro di pace. Quando si salutano e quando commentano un fatto, sulla loro bocca esce con frequenza una esclamazione di riconoscenza e di fede: grazie a Dio siamo vivi, grazie a Dio ora non sparano più molto, grazie a Dio il viaggio è andato bene.

Grazie a Dio, dico io, ci sono queste persone che portano la loro croce con fede e speranza, dando una testimonianza formidabile di ciò che sono i cristiani veri.





Sposi nel mezzo della guerra e della miseria



La guerra, il terrorismo e la povertà non sono stati un ostacolo per alcune coppie nel decidere di unirsi per sempre in matrimonio .
Storie d'amore che sovrastano le avversità in questo paese.  Essi ricevono assistenza finanziaria dalla Chiesa latina di San Francesco d'Assisi ad Aleppo, in Siria, amministrata dai frati francescani.

Diala e Khalil
Khalil e Diala si sono sposati nel luglio 2016, quando la città di Aleppo era ancora in potere dei terroristi. Khalil ha detto ad ACI Prensa che prima della guerra aveva aperto un panificio con i suoi risparmi, ma ha perso tutto quando la guerra civile è scoppiata nel 2011. Il ragazzo 32enne ha ricordato che quando ha incontrato Diala "aveva solo un dollaro in tasca" e ha detto che entrambi hanno "grande fede e fiducia in Dio e che senza questo non si sarebbero sposati. Il Signore è colui che ci aiuta e ci conduce ".
La coppia sopravvive grazie all'aiuto finanziario della Chiesa latina di San Francesco d'Assisi. Diala, che ha 25 anni, lavora nel segretariato della chiesa e in un laboratorio di abbigliamento.
Khalil è riuscito ad aprire un'altra panetteria insieme a un socio, ma l'attività non aumenta perché la città è immersa nella povertà dopo la sua liberazione nel dicembre 2016.

Jihad e Joumana
Anche Jihad, 36 anni e Joumana, 31, si sono sposati in Siria nel luglio del 2016 e hanno una figlia di tre mesi. Grazie al sostegno finanziario della Chiesa latina di San Francesco a Aleppo hanno affittato un appartamento per un anno, ma non hanno elettricità.
Entrambi hanno detto ad ACI Prensa che non sanno che cosa accadrà a loro in futuro e che "solo grazie all'aiuto della Chiesa possiamo sopravvivere. Non vogliamo lasciare il paese e dobbiamo anche curare i nostri parenti anziani, ma la vita è molto difficile ".
"Stiamo lavorando molto duramente tutto il giorno e con ciò che guadagniamo è difficile sopravvivere", spiegano.

 Mazen e Ewa
Questi giovani si sono incontrati sei anni fa e si sono sposati nell'agosto 2017. Hanno detto a ACI Prensa che "senza l'aiuto della Chiesa non avremmo deciso di formare una famiglia ".
Mazen, che ha 24 anni, lavora nell'esercito siriano dalle 8:00 alle 14:00 e poi lavora nella piccola fabbrica di pantaloni dello zio. Prima di sposarsi, ha vissuto con la sua famiglia in un appartamento della zia perché la sua casa è stata distrutta durante i bombardamenti. Ewa ha 23 anni e ancora non riesce a trovare un lavoro.
La chiesa latina di San Francesco a Aleppo li ha aiutati a trovare un appartamento in cui soggiorneranno per un anno.

Aymad e Mirna
Aymad e Mirna si sono sposati nel 2016 e hanno detto ad ACI Prensa che "viviamo giorno per giorno". Questa coppia ha un figlio di nome Mark, e Mirna è anche a sei mesi di gravidanza.
Aymad, 36 anni, possiede un negozio di gioielli e lavora dalle 8:00 alle 11:00 mentre Mirna, 28enne, è insegnante. Quel poco che guadagnano serve a pagare l'affitto, che sale sempre di più e non sanno se resteranno nell'appartamento perché la figlia del proprietario tornerà in città e lo occuperà.
Questa coppia riceve soldi dal fondo amministrato dai francescani di Aleppo per comprare il cibo. Inoltre, Aymad e sua sorella si prendono cura dei genitori anziani che non ricevono una pensione dallo Stato.

Bassam e Miryam
Bassam e Miryam, rispettivamente di 31 e 29 anni, si sono incontrati nel 2014 e si sono sposati nel 2015 "nel bel mezzo della guerra senza conoscere nessuno che ci potesse appoggiare".
Entrambi lavorano, ma ciò che guadagnano è sufficiente per vivere tre settimane e da due anni ricevono un aiuto finanziario dalla Chiesa latina di San Francesco.
Bassam e Miryam hanno studiato letteratura francese e hanno una figlia di un anno. Hanno detto a ACI Prensa che hanno deciso di rimanere a Aleppo, anche se tutti i loro parenti sono fuggiti all'estero, perché "abbiamo fede in Dio e nella sua provvidenza. Speriamo che la guerra finisca e possiamo vivere del nostro lavoro ".  

martedì 31 ottobre 2017

Oasi di carità a Damasco


il racconto di Andrea Avveduto
ATS pro Terra Sancta

Arriviamo a Damasco dopo il tramonto e lo spettacolo è sorprendente: quello di una città illuminata. Solo sei mesi fa sembrava impossibile, ma da luglio l’elettricità non sembra essere più un grande problema. Mentre ci avviciniamo al convento dei francescani, la cauta impressione avuta all’inizio trova sempre maggiori conferme: la città è tornata finalmente a vivere e le speranze che la guerra finisca in fretta sono palpabili tra le persone che affollano i suq di questa città straordinaria.
Al mercato davanti alla grande moschea si fatica a camminare: i turisti non ci sono, certo, ma i commercianti sono indaffarati ad ascoltare le richieste di chi ha finalmente qualche soldo per comprare una sciarpa, qualche spezia, o solo un pezzo di sapone.

Dopo la liberazione di Aleppo abbiamo cominciato a sperare – ci racconta padre Bahjat, guardiano  del convento francescano di Damasco a Bab Touma – ed è decisamente un’altra vita”. Non è ottimismo ingenuo, e al memoriale di san Paolo (dove secondo la tradizione Saulo di Tarso incontrò Gesù) suor Yola ce lo conferma, mentre ci accompagna a vedere l’asilo che non ha mai smesso di accogliere bambini in questi anni di guerra.
Dentro la scuola materna le sale completamente rinnovate accolgono in tutto 140 bambini, dai 3 ai 5 anni.  Ma solo un anno fa era un edificio fatiscente. “Grazie ai fondi che ci ha inviato l’Associazione pro Terra Sancta abbiamo fatto un lavoro bellissimo. E possiamo accogliere chiunque, anche chi non ha i soldi per pagare la retta già ridotta al minimo”. Questo miracolo della carità è stato reso possibile grazie ai tanti sostenitori che in questi anni non hanno abbandonato il popolo siriano. La riconoscenza di suor Yola e delle maestre è per loro, “per voi che in questi anni non ci avete lasciato soli”, ci dice raggiante.

Nelle classi però si fanno i conti con un’umanità straziata dal dolore. Come Maryam che ha solo cinque anni e ha perso la madre da pochi mesi. È timida, risponde appena. Ci guarda con quei piccoli occhi azzurri ma non si avvicina, anche se suor Yola continua a chiamarla. “Taali, taali!”, che significa “vieni, vieni!”. Niente da fare. Maryam si nasconde tra le sue compagne, un sorriso appena accennato. “Ha perso sua madre il 26 marzo scorso”.
Per lei e sua sorella è stato un colpo terribile. “Da allora parla poco, pochissimo”. Ogni tanto, le sue mani tremano, e il suo sguardo si perde nel vuoto. “Pochi giorni dopo, la domenica di Pasqua, il padre si è suicidato. Prima di ammazzarsi ha chiamato tutti i figli e ha detto a Stefano, il fratello maggiore: “il papà ora starà via per un po’, mi raccomando: abbi cura delle tue sorelle”. Quella fu l’ultima volta che lo videro.
Stefano, quando ha capito che il padre non sarebbe più tornato, per vendicarsi ha smesso di vedere le sorelle. Non voleva obbedire al suo papà, che lo aveva tradito. “Di notte lo sentiamo piangere e urlare”, raccontano gli zii che lo ospitano: “accusa il padre di essere un bugiardo, di averlo deluso. Qualche volta, minaccia anche lui di suicidarsi”. Le cicatrici che la guerra ha lasciato e sta lasciando dureranno ancora chissà quanti anni. “L’unica speranza è che possano sentirsi davvero amati, dopo essere stati abbandonati da tutti”.

È vero per Stefano, per Maryam, ma anche per tutti quei piccolini che la mattina entrano, ordinati, in quelle stanze pulite e sistemate, espressione di una bellezza che la guerra non è riuscita a deturpare fino in fondo. È questo il desiderio di Suor Yola per la sua grande famiglia. Dove, tra i volti timidi e spesso sofferenti, si nasconde la Siria di questi anni, fatta di paure e violenza, ma anche di insospettabile letizia e miracolosa speranza.
È questa speranza che vogliamo sostenere, anche – e soprattutto – con il vostro aiuto. Perché, come san Paolo, possano ancora convertirsi tanti cuori nella Siria dilaniata dal conflitto e che oggi – dopo tanto, troppo tempo – sta tornando a vivere.

venerdì 27 ottobre 2017

Uno scrittore siriano risponde sulle notizie dell'uso delle armi chimiche da parte del Governo Siriano

Pubblichiamo la risposta che lo scrittore siro-francese Jean Claude Antakli scrive ad un amico canadese a proposito delle accuse rivolte da un panel dell'ONU alle Forze Governative Siriane sull'uso del gas sarin a Khan Sheikhoun


Jean-Claude... ho una domanda che mi tormenta da diversi anni, da 3 o 4 precisamente. Ammetto e mi scuso di non aver tempo per leggere i tuoi libri sulla miseria in Siria. Non mi piacciono particolarmente le lunghe letture di natura politica. D'altra parte, tu non mi hai mai detto che il vostro Presidente era responsabile degli attacchi di gas sarin nel paese e che questi attacchi erano stati denunciati dall'Occidente, bisogna dirlo. I tuoi scritti recenti accusano in modo abbastanza diretto che è piuttosto l'Occidente.., gli USA, ad essere i vostri nemici. Quando tu parli dell'Occidente, e il Canada ne fa parte, io credo che noi non abbiamo alcuna responsabilità per le disgrazie che hanno avuto luogo nel tuo Paese. Sarebbe invece importante in particolare constatare come il mio Paese sia aperto ad accogliere i migranti. Il nostro Primo Ministro se ne è fatto un punto d'onore simulando in un certo senso un venditore immobiliare che fa i fine settimana aperti! E sei stato a conoscenza dell'ospitalità data ai migranti degli USA che erano lì temporaneamente durante il mandato di Obama? Quindi, mi dici per piacere perché i Russi appoggiano il tuo Presidente mentre vogliono allontanare gli Americani che sono da voi per aiutarvi a liberare la Siria dai fondamentalisti assassini? Grazie e buon fine settimana.
Léo.”
Rispondo a tutti i nostri amici canadesi e non solo, alla ricerca della verità sull'uso o meno di armi chimiche da parte dell'Esercito Siriano ( e non del «Régime», termine improprio ed infondato che io rifiuto a motivo della sovranità delle Nazioni di decidere del loro destino - Carta delle Nazioni Unite).
Caro amico Léo,
rispondo alla tua domanda e alla tua preoccupazione per l'uso o meno di armi chimiche in Siria da quello che coralmente viene chiamato e descritto da tutti i media mainstream che speravano nella caduta del "Regime di Assad!". Questo argomento così pubblicizzato, sfruttato per scopi geopolitici che non hanno nulla a che vedere con la verità. Soprattutto con quella vissuta dai miei compatrioti (medici, infermieri, direttori degli ospedali di Aleppo e della sua Regione) con i quali siamo stati costantemente in contatto fin dalla creazione del nostro Istituto di Infermieristica Francese nel 2009, prima della guerra, e fino al 2012 quando abbiamo dovuto lasciare Aleppo sotto le bombe, perchè la nostra sicurezza non era più assicurata. Tutto questo per dirti che gli operatori sanitari sapevano distinguere la natura e la possibile origine delle armi chimiche utilizzate sulle vittime ospedalizzate.
Questo preambolo dovrebbe essere interessante per te e per tutti i tuoi compatrioti che soffrono di un flusso migratorio senza precedenti come conseguenza del terrorismo diventato internazionale: come è che da 6 anni, 2000 giorni e 500.000 vittime in Siria, nessuno dei media mainstream è stato in grado di menzionare una sola volta l'ipotesi della responsabilità dei jihadisti stessi, nell'uso di gas chimici (Sarin in particolare)!??
Questi jihadisti, detti anche ribelli moderati, secondo la famosa espressione del nostro ex Ministro degli Affari Esteri (Laurent Fabius) che diceva a loro riguardo: "fanno un buon lavoro"! Va ricordato che oggi questo ex ministro soprannominato "lo straniero agli affari esteri" è perseguito per crimini contro l'umanità e complicità con il caso Lafarge che non ha smesso di spargere tanto sangue quanto inchiostro, con flagranti e angoscianti rivelazioni, degne dei peggiori momenti del nazismo!
Come risposta per facilitarti potrei consigliarti di leggere e rileggere i nostri ultimi due libri “Siria, una guerra senza nome”, pubblicata nel 2014 da Artège, lodato dalla stampa indipendente a Parigi e dal giornalista e saggista Éric Naullau che è venuto appositamente da Parigi per presentarlo con me presso il CUM (Centro Universitario di Nizza). Ti proporrei anche il gruppo mediatico "Renaissance" che dopo averci ascoltato ha scritto una recensione che è stata inviata a tutti i deputati francesi, con la speranza che possano rivedere la loro posizione sulla Siria. “Syriapocalypse” pubblicata da Harmattan nel 2016, è solo il seguito cronologico sul “Siria, una guerra senza nome”!
Tre anni di scrittura per 6 anni di guerre, 70 anni di guerre israélo-arabe dalla creazione dello stato d'Israele nel 1948 e con bilancio provvisorio l'esodo di 20 milioni di cristiani d'Oriente, patrimonio mondiale della cultura massacrato sull'altare degli interessi dei poteri di questo mondo, per il petrolio, per il gas e soprattutto per ciò di cui si parla così poco, l'acqua, questa materia indispensabile alla vita! Più di 6 milioni di morti ed altrettanti handicappati in questa regione del mondo, chiamata Terra Santa, dopo tutte queste guerre che non hanno più niente da invidiare a lei: la " Shoah" !
La vita, a seconda che si sia in Occidente o in Oriente, non ha lo stesso valore: la prova se n'è avuta quando hanno chiesto a Madeleine Albright nel 2003, riguardo al rischio di sacrificare circa 500.000 bambini iracheni per spodestare Saddam, se ciò ne valesse la pena... direttamente senza tentennare rispose: "Sì, per questo ne vale la pena!". E se ci si riferisce ai cantori del jihadismo che gridano alto e forte da tutti i minareti del Qatar e dell'Arabia Saudita: "Sgozzateli (parlando dei miscredenti, di preferenza cristiani), ma fate attenzione che il loro sangue non coli ovunque, ma solo nei canali di scolo perché è sangue impuro!". Da allora come non congratularsi con l'ex Presidente Hollande per aver decorato con la Legione d'onore il Re di tutta questa mascherata intrisa del sangue dei veri martiri, in nome di Allah, di colui che spinge ai massacri dei bambini e dei vecchi senza difesa, colui che garantisce impunità per gli stupri collettivi in nome di un, io non so quale, islam radicale ed assurdo....
Bush, Obama, Trump, sono su questa stessa linea, rossa di sangue e di denaro!
Mia moglie francese, io stesso Franco-Siriano originario di Aleppo, città martire ma sempre ospitale ed aperta al mondo, consacrando tanto tempo alla scrittura avevamo in mente un solo obiettivo: difendere la sovranità dei popoli e particolarmente quelli della Siria di disporre del loro destino, ricordandoci di ciò che diceva George Orwell, uno dei più grandi scrittori del nostro tempo: "In questi tempi di inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario".
Abbiamo semplicemente detto la verità, senza mai ergerci noi stessi a verità, parlando di una vita, la nostra dal 2008 al 2012 quando vivevamo le giornate ad Aleppo, a Damasco, a Raqqa, a Deir el Zor, a Homs, e ad Hama, sulle rive dell'Eufrate e dell'Oronte, non abbiamo smesso di attraversare tutte le città e i villaggi della Siria dei quali mia moglie si era ancora più innamorata di me. Per mostrare loro la nostra solidarietà, abbiamo dato loro voce attraverso tutti i nostri libri e i nostri scritti, perché erano loro le vittime, e vittime senza voce! Quanto a me, non è mai stata questione di difendere un partito o un Presidente, ma piuttosto, tutti i valori che la Siria, il Libano e la Francia mi hanno potuto inculcare già dalla mia infanzia più tenera, vale a dire l'amore della patria, della libertà e della pace.
Mio caro Léo, dando la parola a due eminenti esperti di geopolitica, l'uno grande reporter, l'altro ex ambasciatore di Francia, entrambi specialisti del Grande e Medio Oriente, tu avrai un assaggio dei più eloquenti su ciò che il generale De Gaulle definì a suo tempo, con questa formula diventata famosa: "verso l'Oriente complicato, son volato con idee semplici." Era il tempo della liberazione a Parigi (1944) ma anche della fine poco gloriosa (1945) della presenza militare francese in Siria e Libano iniziata con la macelleria dell'Impero ottomano organizzato nel 1918 da Londra e Parigi.
Jacques Marie Bourget, grande reporter di guerra (Vietnam, Libano, Iraq, Iugoslavia, Palestina, Siria,..) ha coperto tutti questi avvenimenti per conto di numerosi giornali: L'Aurore, Le Canard Enchaîné, L'Express, VSD et Paris Match, ecco qui alcuni brani del suo servizio apparso il 13 Aprile 2017 sull'argomento che ti preoccupa tanto, dal titolo   “Siria-Washington: Gas e menzogne a tutto spiano”:
La storia della guerra è quella della menzogna. L'ultima proposta americana, di una serie che risale -perlomeno- al XIX° secolo: vetrifichiamo la Siria. E' difficile sopravvivere quando, con giudizio inappellabile, il mondo del bene vi classifica nel campo dei mascalzoni. Di quelli che ridono nei cimiteri dei bambini venendo a ostentare la realtà di un bombardamento al gas sarin operato dall'esercito siriano. Bisogna imparare a conviverci con questo marchio intimo: quello dell'infamia. La nostra. Ciò che ci deve confortare è l'essere in compagnia di coimputati che sono pure uomini esperti e stimati. Quello che intendo dire è che hanno passato la loro vita cercando di salvare il mondo, almeno un po'. L'altro conforto deriva dalla natura di coloro che ci descrivono come compagni di viaggio degli aguzzini. Essere accusati di disumanità da un campione di questa, il presidente USA, è come una medaglia della Resistenza. Sulla lista di coloro che ci hanno messo all'indice, potrei aggiungere i leader politici europei, ma è inutile, per contratto sono tenuti ad obbedire a Washington....
Due ricordi forti mi tornano agli occhi e alla memoria. Il 13 febbraio 1991 sono a Baghdad per coprire la guerra del Golfo. Un amico mi sveglia all'alba, "gli Americani hanno bombardato un rifugio nel distretto di al-Amiria". Salto nelle mie scarpe per arrivare di fronte a un pesante edificio di cemento armato mezzo interrato. I muri stanno bruciando come una fucina. Posso solo salire una scala per pochi metri prima di fare mezza rampa, si soffoca. Trascorro due giorni e due notti qui. Il tempo nel quale i vigili del fuoco estraggono da questa fornace solo corpi carbonizzati. Ce ne sono almeno quattrocento. Donne, bambini e anziani, venuti qui per proteggersi dalla guerra.
Ascoltando la BBC, RFI le radio del Mondo libero che posso captare, apprendo che questo "shelter" è stato bombardato perché Saddam Hussein si trovava all'interno.. ah bene.. Saddam è morto? Ovviamente è una farsa, una cattiva scusa per i top gun decisi a testare, dal vero, l'efficacia del loro aereo Stealth e di questi nuovi missili perforanti. Il fatto è che quei 400 morti non fanno colare le lacrime dei popoli della Comunità Internazionale. Madeleine Albright ce ne ha dato la misura, indicando che i bambini morti in Iraq valevano bene il prezzo della democrazia. (*)
Oggi, digitate Al-Amaria su Google.. Non troverete niente! Nessun crimine, nessun rifugio, niente bimbi assassinati. Alcuni anni più tardi, sul Kosovo, leggendo i titoli di Le Monde che ci informava "delle decine di migliaia di morti", io ho cercato e non trovato una riga. I morti erano latitanti.. scomparsi.. Magari questo è normale. Questi due esempi sono quelli di due menzogne. Delle parole, delle voci, vengono fatte girare per giustificare l'attacco, la guerra che è raramente "giusta". Ricco di questa esperienza, e di alcune altre, come un gatto che si è scottato, temo e diffido dei comunicati ufficiali; quelli che pretendono di darci le buone ragioni per i morti, le giuste ragioni dei missili e delle bombe...
Nell'agosto 1995, a Sarajevo fa un caldo tremendo, quando una granata cade sul mercato di Markale. Nel flash d'agenzia i Serbi sono designati come autori della carneficina. L'ONU dopo essersi presa del tempo per indagare asserisce chiaramente che il tiro è partito dalla zona controllata dai Bosniaci. Che quindi si tratta di una provocazione (false flag) con la quale dei provocatori sparano sul loro proprio popolo. Ma poco importa. La Corte della Comunità Internazionale pilotata dalla NATO fa ribaltare la guerra verso il lato che le conviene: i Serbi, anche se più tardi forniranno buone ragioni ai loro avversari, dovranno renderne conto.
Ultimo quadro della nostra esposizione: "Dottor Folamour", il 5 febbraio 2003 davanti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, Colin Powell, Segretario di Stato, agita una provetta che conterrebbe un elemento chimico delle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein. Conoscete il seguito, i milioni di morti, un Paese spezzato, poi Daech, ed una regione frantumata. Forse presto il mondo sarà come quello che ci mostra ogni sera Pujadas, (cf la mia lettera aperta alla stampa), non "Una guerra contro il terrorismo", bensì la prima marcia militare di una guerra globale.
Mercoledì, 5 aprile, nello stesso luogo dove Powell ha agitato la sua provetta, Nikki Haley, ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, sventola grandi foto di bambini, "morti in Siria durante un attacco chimico" a Khan Cheikhoun. Potrebbe essere vero, ma, come si dice nelle stazioni di polizia, la sua fedina penale non è affatto immacolata. Fuori dall' affermare l'evidenza, perché Bachar Al Assad che risaliva la china diplomatica e militare, si sarebbe lanciato in un'impresa tanto pazza? A tutt'oggi non ho trovato né letto una risposta convincente....
"Paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, che hanno iniziato la guerra in Siria sei anni fa, non si fermeranno davanti a nulla. Anche la Carta delle Nazioni Unite non sarà sufficiente per fermarli. Essi conducono la guerra nel modo che sappiamo. In conflitti che essi stessi hanno creato. Lo sappiamo almeno dalla guerra in Jugoslavia. Dal 1990, ci sono state un sacco di menzogne. E' un modello quello che vediamo nella politica estera statunitense... Allora, o noi fermiamo tutto questo o ci dobbiamo aspettare problemi! " (Willy Wimmer, ex vicepresidente dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE e ex segretario di Stato per il ministero della difesa tedesco).
Michel Raimbaud, ex ambasciatore di Francia in Siria, batte sullo stesso chiodo in "Africa-Asia": "Il momento unipolare americano (1991/2011) ha permesso al "più potente Impero che sia mai esistito sulla superficie della Terra" di distruggere le basi della legalità internazionale, stabilendo il nuovo ordine mondiale voluto dai falchi di Washington. Questo si tradurrà a tempo di record nell'abbandono dei principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite: sovranità, non ingerenza, diritto dei popoli all'autodeterminazione, diritto di ogni Stato a scegliere liberamente la propria forma statuale e politica non condizionato da interferenze straniere, obbligo di negoziare in caso di conflitto prima di ricorrere all'uso o alla minaccia dell'uso della forza. La "comunità internazionale" atlantica troverà la sua lampada di Aladino in un concetto miracoloso, la "responsabilità di proteggere" (R2P): la versione riveduta del diritto di interferire dalle connotazioni troppo colonialiste. Le Nazioni Unite (ONU) verranno strumentalizzate, o ignorate quando il motore unipolare sperimenterà i suoi primi fallimenti: si farà grancassa sulle deliberazioni del Consiglio di Sicurezza quando dice "sì, sì, sì", ma si farà finta di niente quando dirà di no".
Dare razionalità alla follia di Trump è difficile, tranne forse per gli esegeti dell'amministrazione americana che notano che un certo KT Mc Farland è ora vice-consulente della sicurezza nazionale a Washington. In passato, al fianco del criminale di guerra Henry Kissinger, era uno dei campioni della politica "dell'uomo folle". Nel senso che è necessario fare le cose meno prevedibili per sorprendere l'avversario ...
Oltre alla tentazione di fare il pazzo, Trump ha altri motivi che lo hanno indotto a dimenticare la sua promessa di stabilire buone relazioni con la Russia. Wall Street ha fatto notare alla Casa Bianca che l'annuncio di una politica pacifica con Mosca ha, in poche ore, pesantemente trascinato verso il basso gli indici della Borsa. Per continuare a produrre, vendere, sfruttare, uccidere, la lobby militare-industriale americana ha bisogno di un nemico pericoloso per i cittadini americani e per Hollywood, quindi occorre rinverdire la leggenda: Putin e Stalin stessa battaglia.
Un secondo affare di denaro, enorme, cade a fagiolo sull'Ufficio Ovale. Durante la sua visita del 14 marzo a Washington il vice-Principe ereditario saudita Mohammed Ben Salman Al Saud, che è anche ministro della difesa del Regno, ha promesso investimenti per 600 miliardi negli Stati Uniti al fine di migliorare le infrastrutture. Ecco un tema della campagna elettorale di Trump finanziato, con accessorio l'odioso muro al confine messicano. Come contropartita il principe della dittatura saudita ha chiesto che Washington riveda la sua politica in Siria. Che sparisca Bashar al Assad e che la Siria sia una Repubblica islamica.
A proposito dei corpi del reato, il Sarin e missili Tomahawks, l'indagine è sottile. Di 59 missili sparati dal mare, 36 sono scomparsi durante il volo. I Russi lodano la qualità del loro dispositivo di protezione S 300 ... Inoltre, il Tomahawk, salvo essere lanciato su obbiettivi vicini, è più caricato di combustibile che di esplosivo. I suoi effetti (li ho visti in Iraq e a Belgrado) non sono così distruttivi. Così l'aeroporto militare siriano di Sharan, che ne era l'obiettivo, è rimasto pressoché intatto. Nel suo gesto "da uomo folle", Trump sembra aver fatto solo un po' di scena. Come la Francia vittima del 1983, dopo l'esplosione del Drakkar, quando ha bombardato il deserto della Bekaa per uccidervi un pastore e il suo asino. Per quanto riguarda la "vera ragione" per cui gli Stati Uniti hanno attaccato la Siria e che stiamo cercando, l'ex deputato statunitense Ron Paul dice che è stata più un'azione del "Deep State" contro il presidente Donald Trump che non una decisione del presidente stesso. Questa è la spiegazione di Ron Paul per il quale l'amministrazione ha ingannato Trump: «Che cosa è successo quattro anni fa nel 2013, si sa, e tutto a motivo del superamento della "linea rossa"? Da allora, i neocon ululano e urlano, e parte dell'amministrazione ha urlato e ululato contro Assad e i suoi gas tossici (come per Saddam e le sue armi di distruzione di massa). Non è mai stato dimostrato che Assad li abbia usati, e il funzionario delle Nazioni Unite, Carla Del Ponte, ha detto che l'attacco chimico di 2013 è stato probabilmente fatto dai ribelli. Non ha alcun senso, per Assad, l'improvviso uso di gas tossici. Penso che non vi sia alcuna possibilità che abbia fatto questo deliberatamente.»
Ma cosa si può arguire dalle osservazioni provenienti dal campo di battaglia stesso? Alcuni dettagli. Esperti neutrali, in particolare una ONG svedese con competenza in materia di gas tossici, hanno messo in discussione le modalità dei primi soccorritori e altri "Caschi bianchi". I corpi o i feriti colpiti da Sarin non sono da manipolare a mani nude. Le iniezioni fatte ai bambini sono inadeguate.
La seconda osservazione esterna ci viene dalla personalità del medico, quello che ha lanciato l'allarme per questo evento e quella del suo media satellite. Qui diamo la parola a "Zero Hedge", un organo d'informazione rispettato con sede a New York, come vedremo, il sito include alcune delle informazioni sopra riportate:
Gli osservatori hanno anche notato che il 1° aprile 2017, un medico sul campo a Khan Sheikhoun, il dottor Shajul Islam, aveva ricevuto diverse spedizioni di maschere antigas nei giorni precedenti all'incidente chimico. Il Daily Mail ha riportato che il Dr. Shajul Islam era ricercato dal governo britannico nel quadro del rapimento di due giornalisti in Siria, ed i servizi di sicurezza hanno dichiarato che Shajul Islam e suo fratello avrebbero avuto dei legami col boia dell'ISIS 'Jihad John'. Inoltre, le sequenze hanno mostrato che i Caschi Bianchi "soccorrevano le vittime" in un modo che non era affatto conforme al protocollo stabilito sul come trattare i corpi contaminati dal Sarin. Le immagini mostrerebbero che i "caschi bianchi" maneggiano le vittime sospette di avvelenamento da Sarin con le loro mani nude, piuttosto che con i guanti, che sono necessari per impedire al soccorritore di essere danneggiato dalla stessa sostanza chimica. Inoltre sembrano usare le semplici mascherine anti-polvere, che non danno alcuna protezione nel caso dell'attacco con il Sarin.”
Per far conoscere "la situazione sul campo", i Caschi Bianchi e gli uomini come il dottor Shajul Islam devono utilizzare i media. Nessun problema. Cacciato da Aleppo, il buon medico ha un mago a portata di mano: Bilal Abdul Kareem (1) pratico di video, fotografia e scrittura. Un sogno per una redazione! Questo attore fallito, prima di essere un imam a Brooklyn, ha lasciato gli Stati Uniti dopo aver approvato un attacco islamista contro una base dei Marines negli USA.
Dopo aver girato il mondo in Sudan, Ruanda, Egitto, è diventato un cameraman per un canale televisivo religioso saudita. Poi è partito per la Jihad in Siria. Ad Aleppo, la sua messa in scena dei famosi "Caschi bianchi", appena premiati a Hollywood, ha fatto miracoli. La CNN lo ha anche assunto come freelancer ed ha ottenuto anche un Premio per Corrispondenti di Guerra in Francia a Bayeux! Quando non sta filmando, Kareem, su Facebook, dà consigli ai giovani Musulmani di tutto il mondo affinché possano al meglio rispettare la Sharia.  E' fare torto a questo esimio collega supporre che sarebbe una recluta di grande qualità per la CIA...
Rimane oggi, per i cervelli che non vanno più veloci della musica, per gli esperti militari, e quelli che combattono coi gas, esprimere un verdetto. Se questo è ancora possibile. Se cade, Trump avrà già vetrificato Damasco e affondato in mare la Corea del Nord. Peccato che François Hollande non sia più all'Eliseo per applaudire a tutte queste meraviglie.
Jacques-Marie Bourget

Briefing «SYRIAN CHEMICAL DOSSIER: THE RUSSIAN VIEW: http://russiaun.ru/en/news/br_scd

Per concludere chiamerei alla sbarra uno dei più ardenti difensori della libertà di espressione, nel mondo, e tra i più grandi giornalisti del XX° secolo: John Swinton redattore capo del New York Times. A New York, nel corso di un banchetto, il 25 settembre 1880, il celebre giornalista si arrabbiò quando gli si propose di brindare alla libertà della stampa :
" Non esiste, oggi, in America, una stampa libera ed indipendente. Lo sapete bene quanto me. Non uno solo tra voi oserebbe scrivere le sue opinioni oneste e voi sapete molto bene che se lo fate non saranno pubblicate. Io non sono pagato affinché pubblichi le mie opinioni e noi sappiamo tutti che se ci azzardassimo a farlo, ci ritroveremmo immediatamente sulla strada. Il lavoro del giornalista è la distruzione della verità, la menzogna patente, la perversione dei fatti e la manipolazione dell'opinione al servizio dei Poteri del Denaro. Siamo gli strumenti obbedienti dei Potenti e dei ricchi che tirano i fili dietro alle quinte. I nostri talenti, le nostre facoltà e le nostre vite appartengono a questi uomini. Siamo delle prostitute dell'intelletto. Tutto ciò, lo sapete bene quanto me! "
Se tutti i giornalisti del mondo servissero la verità con imparzialità, coraggio e integrità, il mondo migliore che vorremmo lasciare ai nostri figli sarebbe il sogno che si avvera!
Se questa risposta ad un amico canadese, interessato alla verità e alla pace, vi tocca, spetta a voi di diffonderlo senza moderazione, in modo che insieme riusciremo un giorno a far avanzare la pace nel mondo! 
Jean Claude Antakli
N.B. Mio caro Léo, riguardo al giornalista David Pujadas citato dal nostro grande cronista, leggi la lettera aperta che gli ho indirizzato dopo aver seguito il suo programma sul terrorismo,

Jean Claude Antakli. Scrittore-biologo. Ex-corrispondente de l'Est-Républicain. Sito. www. diaporamistes (1) Francia.
  (trad. dal francese di Gb. P) 

mercoledì 25 ottobre 2017

IL PENSIERO POLITICO DI MONSIGNOR GIUSEPPE NAZZARO RIGUARDO ALLA SIRIA (2° parte)

UNA LETTURA STORICO- POLITICA DELLA MISSIONE DI MONSIGNOR NAZZARO IN TERRA ARABA
  Relazione presentata al convegno in memoria di Padre Giuseppe Nazzaro o.f.m, a san Potito Ultra, il 5/11/2016
  di Benedetta Panchetti


1 I rapporti islamo- cristiani: fermezza nella fede, ecumenismo del quotidiano
Uno dei temi fondamentali del suo pensiero che emergeva in relazione al mondo arabo, ed alla Siria in particolare, era la necessità di un dialogo franco con i musulmani, che partisse dalla fermezza nell’affermazione dei principi della fede e dell’identità cristiana e dal rispetto di quelli della religione musulmana e delle sue autorità. Grazie alla profondissima conoscenza del Corano e dei testi religiosi islamici ha sempre potuto dialogare personalmente e liberamente, soprattutto nelle vesti di Vicario Apostolico ad Aleppo, con le autorità musulmane e con i semplici fedeli, affermando la necessità, da un lato, del rispetto dovuto alle comunità cristiane nelle diverse espressioni del proprio credo, e, dall’altro, del rafforzamento del dialogo quotidiano, tra amici, conoscenti, colleghi di lavoro e compagni di classe di fedi diverse.
In questo aspetto vedeva l’elemento più positivo e prezioso della società siriana degli ultimi anni: il periodico ripetersi di incontri con il gran Mufti della Repubblica e con altre autorità musulmane, la pacifica convivenza negli stessi villaggi o quartieri di cristiani e musulmani.
E questo sottolineava anche quando si riferiva all’Egitto, dove raccontava i grandi pericoli corsi dai cristiani durante la Presidenza di Morsi a causa degli attacchi contro chiese e case cristiane da parte di gruppi fondamentalisti islamici ma allo stesso tempo sottolineava anche i casi in cui semplici cittadini egiziani musulmani erano accorsi a protezione dei loro vicini cristiani.
Se già questa sua posizione lo poneva al centro di una delle tematiche più scottanti della nostra epoca, ancor di più ciò può essere rilevato quando affrontava il problema del rapporto con i governi.
2 I rapporti tra comunità cristiane e governi arabi
Anche in questo caso il centro del suo pensiero era la tutela della libertà della Chiesa, sia come istituzione cui doveva essere garantita la libertà di conservare e di trasmettere la fede pubblicamente sia come insieme del clero e dei fedeli, cui doveva essere riconosciuta la libertà di professare il proprio credo senza subire limitazioni nel godimento dei diritti umani, politici e sociali e discriminazioni nelle possibilità di accesso all’istruzione, al mondo del lavoro, alla pubblica amministrazione. Per questo ricordava spesso le limitazioni vissute come parroco nell’Egitto del presidente Mubarak, quando la ristrutturazione o la nuova costruzione di una chiesa, formalmente permesso dalla legge, in pratica era reso impossibile dalle autorità statali che non concedevano i permessi necessari e i cristiani erano sistematicamente estromessi dalle cariche pubbliche più alte e dagli incarichi più prestigiosi nella pubblica amministrazione. Allo stesso tempo, però, ha denunciato con forza il peggioramento delle condizioni di vita dei cristiani e di tutti gli egiziani quando nel 2012 le elezioni democratiche hanno portato al potere il primo presidente proveniente dal gruppo islamico fondamentalista dei Fratelli Musulmani. Infatti, spesso ha indicato questo fallimento del processo democratico in Egitto come un esempio per il futuro della Siria, affermando che i siriani, soprattutto i cristiani ma anche i musulmani non fondamentalisti, avevano ben compreso quale effetto distorto possa avere il tentativo di formare un governo democratico secondo standard occidentali che però non tengono conto delle specificità storiche e sociali dei popoli del medio-oriente. L’analisi di quel periodo diventava nel suo pensiero una triste riproposizione dell’esempio dell’Iraq, anch’esso ben conosciuto dai siriani: in Egitto come in Iraq, sottolineava spesso Sua Eccellenza, la democrazia aveva portato al potere governi incapaci di tutelare la vita dei non musulmani, spesso oggetto di attentati contro le Chiese e i luoghi di ritrovo, colpiti anche con rapimenti e omicidi mirati.
Come affermato a durante la conferenza tenuta all’Università degli studi di Pisa nell’aprile 2015 con il professor Marcello Mollica e successivamente a Livorno, in una delle sue ultime interviste pochi mesi prima della morte, il popolo siriano aveva accolto fino al 2010 ben 1 milione di profughi iracheni, tra i quali moltissimi cristiani, fuggiti dal loro paese a causa della guerra iniziata nel 2003 e ad oggi mai veramente conclusa, che aveva avuto tra le prime conseguenze la nascita di innumerevoli gruppi armati islamici dediti al rapimento e all’uccisione di cristiani e al saccheggio delle loro case e chiese. Ben prima della nascita e dei successi militari dello stato islamico, infatti, i cristiani iracheni erano fuggiti da Baghdad e dall’Iraq, dopo l’uccisione di due vescovi cattolici e alcuni sacerdoti a Mosul ed il rapimento di decine e decine di laici.
3 La posizione sulla Siria
Proprio per questi motivi, avendo vissuto in Siria sia sotto il regime del Presidente Hafez al Assad sia sotto quello del figlio Bashar, ha sostenuto la necessità per l’Europa e l’America di supportare e incoraggiare le prime timide riforme economiche messe in atto da Bashar all’inizio della sua presidenza, nel 2010, nel corso della breve “Primavera di Damasco”. Pur consapevole della necessità che il regime implementasse alcune riforme politiche, si è opposto fino alla fine della sua vita all’idea che l’appoggio indiscriminato a formazioni di ribelli, finanziati da paesi esteri, fosse la strada per costruire una Siria ancora unita, democratica e pluralista. Anzi, in virtù della conoscenza approfondita e di lungo periodo della realtà siriana, era ben cosciente degli antichi piani di divisione del paese, messi in atto per la prima volta dalla Francia nel 1920 e poi ripresi dalla Turchia e negli anni più recenti da Arabia Saudita e Qatar, come ben descrisse agli studenti delle facoltà di scienze politiche e giurisprudenza a Pisa nell’aprile 2015. Fin dal 2011 con grande amarezza e dolore constatò l’appoggio europeo e americano a quei gruppi di ribelli, armati dai paesi sunniti quali Arabia Saudita e Qatar e legati ad Al Qaida, che intendevano- ed intendono tutt’oggi- trasformare la Siria in uno stato islamico, dividendo il paese in aree omogenee religiosamente ed etnicamente.
Con la stessa amarezza e con altrettanta lucidità denunciò sempre anche le mire occidentali su quella parte di Siria nei cui sottosuolo si trovano giacimenti di gas e petrolio, e i piani del governo turco di trarre vantaggi commerciali dallo smantellamento del sistema industriale di Aleppo: oggi ne abbiamo le prove, grazie addirittura a fotografie aree che hanno ripreso ribelli jihadisti che hanno trafugato verso la Turchia i macchinari industriali un tempo ad Aleppo.
Il suo pensiero politico, complesso e articolato e per questo controcorrente rispetto alle semplificazioni di chi voleva individuare subito e definitivamente lo schieramento “dei buoni” da aiutare contro l’esercito dei cattivi, è stato talvolta ridotto ad uno schierarsi pro o contro il Presidente, senza valutare invece che egli aveva a cuore prima di tutto la tutela del diritto a vivere in un paese unito, non preda degli interessi corrotti di altri paesi, capace di dare un futuro ai suoi giovani, cristiani e musulmani, insieme, come insieme spesso vivevano, nel rispetto delle differenze religiose di ciascuno.
La necessità che fossero i siriani dall’interno del loro paese e senza l’imposizione di paesi stranieri a percorrere lo stretto e tortuoso cammino per la democratizzazione dello Stato gli era già risultato evidente nella primavera del 2013, quando, nell’imminenza della conclusione del suo mandato episcopale, sfidò i vari gruppi armati già presenti nella valle dell’Oronte, tra Aleppo ed il confine turco, e effettuò la sua ultima visita pastorale in villaggi in cui ormai quasi tutta la popolazione cristiana era fuggita. Ha visto la valle dei cristiani di san Paolo vivere l’esodo delle sue comunità più antiche, scacciate da milizie straniere.
Eppure, già preoccupato per il suo popolo costretto a andare a cercare l’acqua potabile nei pozzi delle parrocchie e privo di elettricità, deluso dall’Europa e dagli USA che appoggiavano chiunque incrementasse il conflitto invece di spendersi per serie e concrete trattative diplomatiche di pace, riuscì a passare indenne le linee del fronte a nord di Aleppo e a portare per l’ultima volta la propria testimonianza di fede in Cristo a quella parte di gregge che non aveva voluto abbandonare i propri villaggi nemmeno quando i ribelli avevano trasformato in stalla la Chiesa greco-ortodossa di uno di questi luoghi.
La sua lucida analisi politica sulla Siria ed anche sull’esportazione della democrazia con le armi e sulla necessità dell’effettiva tutela dei diritti delle minoranze religiose nei paesi arabi sono oggi condivise da molti di coloro che hanno a cuore il popolo siriano ed i popoli vicini più che tornaconti politici.
Ritengo che oggi del suo pensiero politico rimanga, infatti, la certezza che la tutela dei diritti delle minoranze religiose sia una sfida importante per tutti i paesi arabi e che se essa da sola evidentemente non basta per definire uno Stato come democratico, come nel caso siriano, è altrettanto vero che senza di essa nessuno Stato può essere definito democratico.
In particolare, appare sempre più necessaria per la vera pacificazione di questa area di mondo la sua posizione di franchezza e di fermezza nel dialogo con le autorità religiose islamiche e con quelle civili, il rifiuto del principio politico del sovvertimento armato di qualsiasi Stato e l’incessante richiamo all’implementazione di qualsiasi forma di trattative diplomatiche tra i diversi attori politici.
Oggi che la splendida città di Aleppo vive i suoi mesi più drammatici la sua lucidità e lungimiranza politica si aggiungono ai molti motivi che acuiscono la mancanza della sua persona.
 qui la prima parte dell'intervento