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lunedì 25 settembre 2017

Vescovi rapiti in Siria: Giovanni X “preghiamo sempre per loro con speranza”

da S.I.R.
La speranza in Siria non muore. Nonostante la violenza sanguinosa che si è abbattuta sul Paese. Nonostante il silenzio indifferente e l’inerzia colpevole della comunità internazionale. E sperare qui significa rimanere radicati come cristiani su questa terra, fedeli a una storia che affonda le sue radici ai tempi degli Apostoli. Tutto questo si legge negli occhi di Sua Beatitudine  Giovanni X, patriarca greco ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente... 
Sono 4 anni che il patriarca Giovanni X non ha più notizie di suo fratello, il vescovo Paul Yazigi.  È stato rapito il 22 aprile 2013 insieme al metropolita di Aleppo della Chiesa siro-ortodossa Mor Gregorious Yohanna Ibrahim, mentre si trovavano a bordo di un’auto proveniente dal confine turco. Erano diretti ad Aleppo, ma sono stati fermati da uomini armati che hanno intimato a loro e all’autista di scendere dall’auto. Dopo aver ucciso l’autista sul posto si sono dileguati portando con sé i due vescovi in un luogo sconosciuto. Da allora si sono susseguite solo notizie contraddittorie, intercalate da lunghissimi silenzi. E niente più.
"In the beginning of year 2011, some people started what was called the Arabic Spring. I can assure you that, as Christians of the Levant, all that we ever saw of that “spring” was the anemone red of our son’s, our elderly’s, and our martyrs’ blood. From its first moments, they only saw the desperation of wars: violence, displacement, kidnapping, dying on sea coasts, terrorism, extremist movements, destroying churches, targeting people living safely, and dismantling states and systems.
All this, and the world boasts, or simply ignores what is happening, knowingly or unknowingly. All this and the world either falls down or compromises. It blockades food and bountifully dispenses weapons. Sometimes it really cries, and sometimes it turns on the waterworks....
I am here in the heart of Europe to share the sighs of my people with those who hear me from every kind of culture and nation, and to make with all of you, dear brothers and sisters, a sincere call for peace, a call which I place in the ears of this world’s politicians and great powers. Syria has had enough of the wars on its land! Syria has had enough of everyone getting dim and ignoring the facts, satisfied with enthralling false information from the media.
I am here to put forth and whisper into the ears of Christian Europe a handful of the Levantine Christian’s agony, together with their brothers of other communities. Among the killing and displacement that these have suffered because of the present atrocious times is the case of our brothers the Bishops of Aleppo John Ibrahim and Paul Yazigi of the Syrian and Greek Orthodox communities, who have been kidnapped more than four years now in the absence of any information and an international suspicious silence.
Today we call for the peace in Syria and for the stability in Lebanon, in the Middle East and in the whole world, who are paying a very high price, unfortunately, for a restless and wiggly terrorism.
Lord, grant us the spirit of Your righteousness peace, to descend on us as a balm for the long-awaited and sought earthly peace."


Beatitudine, come si vive con un dolore così forte, nella sospensione di non avere più notizie di suo fratello?
Questo rapimento è una cosa molto dolorosa per noi e rappresenta anche un fatto molto pericoloso perché loro sono messaggeri di pace. Purtroppo, sembra che tutto il mondo stia guardando a quanto sta accedendo in Siria con un indifferente silenzio internazionale.
Secondo lei, i due vescovi sono morti o nutre ancora la speranza che siano vivi?  Noi siamo sempre in una preghiera continua per loro. Abbiamo sempre la speranza. Oltre a questi due vescovi, sono stati rapiti tanti preti e laici. Abbiamo pagato un prezzo molto pesante per quello che sta succedendo nel mondo ma rimaniamo fissi nella speranza.
Che cosa significa per lei e per il suo popolo non perdere la speranza?
Significa rimanere fedeli alla nostra Chiesa e radicati nella nostra terra. Come cristiani d’Antiochia, abbiamo plasmato il nostro cristianesimo sulle parole degli Apostoli. Abbiamo succhiato la fede con il latte delle nostre madri e siamo stati iniziati alla vita cristiana insieme a un amore appassionato per la nostra patria. Siamo radicati qui, in tutto l’Oriente, da duemila anni! Siamo nati qui, abbiamo vissuto qui e qui moriremo.
Come vivono i cristiani in Siria?
Vivono la loro fede ed esprimono il loro culto religioso. La nostra terra è ricca di monasteri, tenuti vivi da monaci e monache. Le Chiese sono vive. Accogliamo questa opportunità per chiedere al mondo il dono della pace. Non basta parlare della presenza cristiana in Medio Oriente.
Il mondo deve fare tutto il possibile per costruire la pace in queste terre. Abbiamo sentito in passato e sentiamo ogni giorno tante dichiarazioni che arrivano da tutto il mondo, contro il terrorismo, contro il radicalismo, la guerra e lo spargimento di sangue che colpisce gli innocenti. Ma siamo stanchi delle dichiarazioni, vogliamo vedere qualcosa di concreto. Sono venuto qui nel cuore dell’Europa proprio per questo.
Che cosa chiede alla comunità internazionale?
Innanzitutto sono venuto per condividere il dolore del mio popolo. Il nostro appello è: fermate questo terrorismo e ridateci la possibilità di continuare a vivere nella nostra terra e nel nostro Paese e di poterlo fare in pace.
Secondo lei, Papa Francesco può fare qualcosa di concreto per la Siria?
Papa Francesco sta svolgendo un grande ruolo. Abbiamo fatto tante cose insieme per aiutare la pace. Sì, lui può fare tanto.

domenica 24 settembre 2017

Da Aleppo all'Italia, le parole di speranza del Vescovo Abou Khazen

 Spiragli di pace in Siria. Dopo 6 anni di guerra civile, 6 milioni di sfollati interni e almeno 5 di rifugiati all’estero su 22 milioni di abitanti, il vescovo di rito latino di Aleppo Georges Abu Khazen intravede uno squarcio di luce. Grazie all’accordo di Astana fra la Russia, la Turchia e l’Iran, affiorano piccoli sintomi di ritorno alla normalità in parte delle quattro aree di riduzione delle ostilità. Il vicario apostolico, francescano libanese di 70 anni, li mette in fila come piccole pepite inattese. “In duemila villaggi – spiega – le parti in conflitto hanno fatto praticamente la pace, sono tornati i contadini e hanno riaperto le scuole che erano chiuse da 3 o da 4 anni. Insomma la de-escalation sta funzionando”. Le truppe di Assad hanno lanciato l’assalto finale a Deir Ez Zour  vicina al confine con l’Iraq e capoluogo di una provincia ricca di petrolio e di gas. Il carburante è tornato nei distributori di Aleppo. “La guerra – ammette l’alto prelato – non è ancora finita, ma è calato il livello del pericolo. L’obiettivo dell’esercito siriano è arrivare fino al confine con l’Iraq e non so se gli Stati Uniti lo permetteranno. Si era ridotto al 26 per cento del territorio nazionale, adesso non controlla solo il 16 per cento”.
Se le truppe di Assad arrivassero fino alla linea di demarcazione con il territorio di Baghdad si ricostituirebbe infatti il corridoio sciita del Medio Oriente che parte dall’Iran, attraversa l’Iraq e la Siria e arriva fino al Libano, il Paese degli Hezbollah che hanno combattuto duramente al fianco delle truppe di Assad pagando un prezzo elevato di vite umane. E’ una è prospettiva che Israele vede come il fumo negli occhi e che, di conseguenza, dispiace anche al presidente americano Donald Trump.   “Nel nord del Paese – ricorda il vescovo di rito latino della seconda città siriana – c’è il problema dei curdi. Che cosa succederà se reclameranno l’indipendenza?”. Hanno combattuto l’Isis con forza, coraggio e alte perdite umane, di sicuro hanno accumulato un debito di riconoscenza. Trump li ha aiutati concretamente autorizzando , a partire dal 9 maggio, la fornitura di armi pesanti.  “Infine – elenca Abu Khazen – c’è il problema della provincia di Idlib, una zona occupata dai miliziani (qaedisti ndr.) della ex Jabhat al Nusra. Sono decine di migliaia di combattenti. Io però sono ottimista. C’è il lavoro dei russi in quell’area. I turchi sono coinvolti come garanti dell’accordo. Credo che la riconciliazione sarà possibile per i siriani. Resta invece il problema delle migliaia di combattenti che sono arrivati lì da altri Paesi”.
Il vicario apostolico racconta la rinascita della sua città, alla quale hanno contribuito anche 200 famiglie della Parrocchia della Collegiata di Lugo (Ravenna), che versando ogni mese 20 euro sono riuscite a farne avere al prelato e alla Caritas 74 mila. E’ un rivolo prezioso in una metropoli che cerca di risorgere. Prima della guerra aveva 4 milioni di abitanti. La popolazione si è dimezzata nonostante il flusso dei rientri. “Siamo una nazione senza giovani”, è la sintesi sconsolata del vescovo al quale risulta che nella sola Turchia dal 2012 i giovani profughi del suo Paese abbiano messo al mondo ben 250 mila bambini. Il prelato calcola che nella sua città almeno duemila piccoli (ma secondo altre stime sarebbero seimila) siano abbandonati a se stessi perché non hanno più nessun parente.”Vivono – spiega Abu Khazen – per strada, in case distrutte o accuditi da un fratello maggiore, spesso più vecchio di loro di appena un anno”.  “I figli di donne violentate – rincara – sono moltissimi”. E c’è l’ulteriore complicazione che la religione islamica non prevede l’adozione. Molti anziani sono confinati nei piani alti delle case perché non possono fare le scale. Il richiamo dei riservisti fino ai 45 anni di età ha privato molte famiglie dell’unica fonte di reddito. Tutti gli operai disponibili hanno superato quell’età”.
Sullo schermo della sala della Collegiata si inseguono immagini di macerie, di distruzione, di missili atterrati nel cortile dei francescani. C’è perfino la foto di un rosario fatto con le pallottole che monsignor abu Khazen raccoglieva ogni mattina. La parrocchia del vescovo latino di Aleppo aveva un laboratorio per le donne provvisto di computer e di macchine da cucire. “Ho convinto il Comune- ricostruisce e documenta con foto – a rimuovere le macerie e a riportarci la corrente elettrica”.  Dietro il rosario di proiettili spiccano un mattone della Porta Santa di Roma e la citazione del profeta Isaia che esorta a trasformare le spade in aratri e le lance in falci.

«Stiamo organizzando un sinodo tra tutte le sei Chiese cattoliche, dei diversi riti, presenti ad Aleppo. Come logo dell’incontro abbiamo scelto l’immagine dei discepoli di Emmaus, che vengono confortati dalla presenza di Gesù».

Nell'incontro pubblico a Lecco, Mons Georges Abou Khazen ha soprattutto invitato a una preghiera che nasca dalla consapevolezza di appartenere alla unica chiesa cattolica. 

  di Giulio Boscagli :  leggi qui: http://www.resegoneonline.it/articoli/il-vescovo-di-aleppo-a-lecco-dalla-siria-parole-di-speranza-20170922


«Ci aspettavamo l’invasione da un momento all’altro. E ci chiedevamo che cosa avremmo potuto fare e che cosa avremmo subito. Io ho sempre mantenuto la speranza, perché davvero il Signore aiuta quando viene invocato, e dicevo a tutti: sopravvivremo così come stanno sopravvivendo i nostri fratelli a Idlib».
 di Leone Grotti : leggi qui Aleppo. Guerra e miracolo della riconciliazione | Tempi.it 

mercoledì 20 settembre 2017

Una storia eccezionale: la spedizione organizzata dal team umanitario del monastero Mar Yakub di Qara il 7 settembre, per portare aiuti nella città di Deir ez-Zor, assediata dai gruppi jihadisti per tre anni.

"La loro storia è quella di un incredibile coraggio, e fede in Dio, e il trionfo dello spirito umano."

La prima parte della narrazione è di Frère Jean Baudouin, membro della spedizione.  Il monastero di Mar Yakub in Siria, è stato il primo a fornire assistenza umanitaria il 7 Settembre 2017 alla città di Deir ez-Zor dopo l'arrivo dell'ISIS nel 2014.  
Deir ez-Zor è la città più grande della Siria orientale e la settima città più grande del Paese, situata a 450 km a nord est della capitale di Damasco, sulle rive del fiume Eufrate. Per tre anni la città è stata circondata da forze terroristiche e pertanto è stata tagliata fuori dal mondo esterno. Molte persone sono morte di fame. Altri sono sopravvissuti grazie ai ponti aerei della Mezzaluna Rossa e bevendo acqua inquinata purificandola con cloro. L'esercito siriano ha aperto una strada nel deserto a Deir ez-Zor il 7 settembre. Lo stesso giorno, il monastero di Mar Yakub ha inviato 5 veicoli con aiuto umanitario alla popolazione sofferente.
In questa relazione, presenteremo la spedizione umanitaria in due parti. In primo luogo, la cronologia degli eventi. Cominceremo la cronologia dicendo come abbiamo viaggiato in mezzo al nulla, una strada deserta abbandonata che l'ISIS ha controllato per quattro anni fino a che l'esercito non l'ha riconquistata il 7 settembre. Poi spiegheremo com'è avvenuta la distribuzione degli aiuti umanitari. La seconda parte, di Frère David Johnson, riguarderà le storie delle persone che abbiamo incontrato in Deir ez-Zor e come sono sopravvissute a questo assedio.

CRONOLOGIA DEGLI AVVENIMENTI
6 settembre 2017
A. Sulla strada verso Deir ez-Zor
Alle 7:20 usciamo da Homs con 2 ambulanze, un camion con 5 tonnellate di patate e circa 4000 uova, un camion di forniture mediche, un altro camion riempito con latte in polvere, della farina per neonati, delle tettarelle e dei biberon, un camion con 6000 bottiglie d'acqua e un bus con 2 medici per assistenza medica e una decina di giovani per garantire la distribuzione. Intorno alle 10:30 arriviamo ad un ceck point sulla strada per Raqqa. Lì veniamo fermati. L'esercito ci dice che non possiamo continuare fino a quando la strada per Deir ez-Zor non sarà stata del tutto sminata. Così, aspettiamo fino alle 16:30 quando ci danno il permesso di continuare il nostro viaggio. Dopo di che, a circa 100 km di distanza dalla meta, il nostro camion con patate e uova si è fermato per un guasto ed ha richiesto riparazioni.
Già prima della guerra, alla gente non piaceva avventurarsi sulla strada che da Homs porta a Deir ez-Zor. È una strada asfaltata, solitaria, senza stazioni di servizio. Se la vostra auto si rompe, dovete cercare un meccanico nella città più vicina. Fortunatamente, il nostro autocarro che trasportava uova e patate ha potuto essere riparato rapidamente e unirsi a noi a Deir ez-Zor il giorno dopo. Lungo la strada abbiamo potuto notare diversi muri dipinti con il logo dell'ISIS.
Intorno alle 20, ci siamo fermati ad un altro posto di blocco dell'esercito, dove siamo riusciti a rifornire i mezzi di carburante. Dopo di che, lo stato della strada è andato sempre peggiorando. Ogni 200 mt. circa, era interrotta o aveva un cratere di almeno 1,5 mt. di diametro. Allora abbiamo zigzagato attraverso il deserto abbandonato finché ad un tratto: bam! ... uno pneumatico scoppia. Il camion che portava il latte in polvere e la farina d'avena aveva colpito una grande pietra non vista, che purtroppo stava sulla strada. Tutto il convoglio si ferma, prendiamo le chiavi e il necessario per smontare la ruota, in parecchi tentano di svitare i bulloni... niente da fare, tutti gli sforzi sono inutili, impossibile smontare la ruota. Circa 12 persone attorniavano il camion nell'oscurità del deserto. Fortunatamente, c'era luna piena. Abbiamo poi deciso di lasciare il camion, svuotare il suo contenuto spostandolo sulle due ambulanze in modo da non sprecare troppo tempo. Il conducente sarebbe rimasto al posto di controllo militare più vicino.
L'intera operazione è durata circa un'ora. Alle 22 eravamo pronti a ripartire. Poco più tardi, le persone che ci guidavano ci hanno avvertito che stavamo avvicinandoci alla strada molto malmessa che entra a Deir ez-Zor. Così, siamo costretti a lasciare il grande camion prendendo delle bottiglie d'acqua, temendo di rimanere bloccati nella sabbia. Di tutto il convoglio, sono rimaste solo le 2 ambulanze e il piccolo autobus con i giovani volontari. Ci siamo avventurati sulla strada del deserto. Abbiamo pregato la Vergine Maria di guidarci; salire su e giù per le piccole colline, premendo un po' sul pedale dell'acceleratore per cercare di rimanere sulle tracce della jeep dell'esercito di fronte a noi. Fortunatamente, una sola ambulanza si è bloccata nella sabbia e una jeep ha dovuto tornare indietro per tirarla fuori. Infine, siamo arrivati su una strada del deserto ancora peggiore e in discesa, dove abbiamo dovuto guidare tra barili vuoti che servivano da segnali: questi delimitavano un percorso obbligato per impedire di entrare in una zona pericolosa piena di mine.
B. Arrivo a Deir ez-Zor
All'una di notte, finalmente entriamo in Deir ez-Zor. Siamo stati i primi civili a entrare in città dopo tre anni di assedio. Siamo stati guidati attraverso piccole strade fino all'ospedale generale. Abbiamo incontrato il direttore dell'ospedale che ci ha aperto un corridoio del suo ospedale per trascorrere la notte. Ci ha detto che non si è mosso da Deir ez-Zor da 6 anni e che lui e alcuni altri medici (mentre la grande maggioranza sono fuggiti) stavano facendo quello che potevano per aiutare la popolazione locale. L'ospedale era circondato dall'ISIS, ma è rimasto una zona libera durante tutta la guerra. Mancano di tutto. A causa della carenza di medici e farmaci, spesso sono costretti ad amputare. Il dottore ha anche spiegato che si sentivano molto abbandonati dal mondo esterno, ma ha subito espresso la sua gioia per il nostro arrivo. Così abbiamo trascorso la notte lì e immediatamente ci siamo trovati di fronte al problema principale che la popolazione ha dovuto affrontare: la carenza di acqua. Ogni due giorni l'acqua viene fornita attraverso le tubature. L'acqua però non è pulita e la gente la "purifica" con il cloro. Quasi tutta la popolazione ha calcoli renali a causa dell'acqua sporca e molto carica di minerali. Anche andare prendere l'acqua dal fiume Eufrate è considerata una "mission impossible" perché i terroristi dell'ISIS sparano anche a donne e bambini che osano avventurarsi alla riva del fiume.
7 settembre. La distribuzione
Alle 10.30 abbiamo cominciato a consegnare le forniture mediche all'ospedale generale. I medici e gli infermieri aprivano le scatole per ordinare bende, pillole contro la febbre o farmaci contro i pidocchi. Dopo mezz'ora, siamo andati alla clinica di Khaled Ben Walid nella zona di Qussur, molto ricca prima della guerra. Deir ez-Zor è una delle città più ricche della Siria a motivo delle sue grandi risorse di gas e petrolio, mentre adesso ogni famiglia è ridotta alla povertà e alla fame. Ad ogni famiglia abbiamo distribuito latte in polvere, farina d'avena, delle tettarelle e un biberon. Purtroppo, alcuni teppisti sono arrivati al punto di distribuzione provocando caos e risse tra di loro. La gente ci diceva: "scusate questa gente, sono molto affamati".
Intorno alle 11:30 siamo andati alla clinica di Thawra nel quartiere dallo stesso nome. Gli abitanti ci hanno detto che la "zona di sicurezza" in cui vivono conta circa 70.000 persone ed è divisa in due grandi quartieri. "Zona di sicurezza" però è un eufemismo perché vengono bombardati quotidianamente dai terroristi e devono prestare attenzione ai cecchini. Non sanno mai quando escono dalle loro case se torneranno alla sera.
A mezzogiorno, abbiamo iniziato la nostra distribuzione presso la clinica Thawra, in mezzo alle difficoltà. Le persone erano così affamate e desiderose di ricevere latte in polvere che hanno iniziato a litigare tra loro. Il sistema di registrazione e distribuzione è stato sopraffatto e abbiamo dovuto trasferirci per problemi di sicurezza. Una squadra scriveva i nomi della gente mentre gli altri distribuivano le forniture attraverso la porta posteriore dell'ambulanza. È andata bene finché c'erano solo donne e bambini, ma quando gli uomini si sono uniti alla folla, erano troppo aggressivi. Così siamo stati costretti a spostarci dietro un cordone di polizia e a chiedere ai soldati di aiutarci a separare la folla e formare delle code ordinate. Sulle foto, potete vedere che tutte le persone devono prima scrivere i loro nomi. Soltanto dopo aver fornito un'identità valida e un'età valida dei propri figli, possono ricevere latte in polvere, farina d'avena , una tettarella e un biberon. Inoltre, le immagini mostrano la distribuzione e il momento in cui la folla inizia a spingere in modo tale che abbiamo dovuto interrompere la distribuzione.
Verso le 12.30 siamo stati informati che il camion con le patate e le uova era arrivato. Ma quando la folla ha visto il camion, lo ha circondato e le persone hanno cominciato ad arrampicarsi da tutte le parti. Anche il camion ha dovuto raggiungere rapidamente la nostra ambulanza al punto di controllo dell'esercito. Lì abbiamo fatto un altro tentativo e la distribuzione è stata riavviata. Ma ancora una volta è scoppiata una rissa. Alla fine, andando ulteriormente all'interno della base militare, siamo riusciti a completare la distribuzione in pace. Queste povere persone erano così affamate che erano quasi disperate. Alle 16 abbiamo finito la distribuzione. La popolazione era felice di aver visto gente venire dall'esterno. E mentre stavamo andando via, abbiamo incrociato altri camion che portavano ancora aiuti per la popolazione di Deir ez Zor, gente così affamata ma anche buona e coraggiosa.

2ª PARTE
Storie degli abitanti di Deir ez-Zor: la loro storia è quella di un incredibile coraggio, di fede in Dio e del trionfo dello spirito umano. Da Frère David Johnson, Monastero di Mar Yakub, squadra di aiuti umanitari.
Per un giorno abbiamo assistito a qualcosa di inimmaginabile per noi: le lacrime di sofferenza e le grida di gioia degli abitanti dell'amata città di Deir ez-Zor, cuore del territorio dominato dall'ISIS a est della Siria. E per un giorno essi sono stati testimoni di qualcosa di impensabile per loro: la rottura del loro assedio di tre anni, l'assedio che ha devastato tutte le famiglie di Deir ez-Zor.
Qualsiasi storico ve lo dirà, gli assedi possono essere terribili. 2000 anni fa, l'assedio romano di Gerusalemme annientò la città che Davide chiamava: "Lo splendore della perfezione, la gioia di tutta la terra, il monte Sion, la città del grande Re" (Sal 48,2 ). L'assedio di Deir ez-Zor nella Siria moderna è una tragedia di proporzioni altrettanto epiche, uno dei più grandi crimini del nostro tempo. Ha ridotto la città di un milione e mezzo di abitanti, una delle più ricche in Siria con le sue famiglie di signori del petrolio, in cadaveri e in profughi affamati e in sciacalli senza un soldo erranti per le strade.
Per tre anni, questi 100.000 normali cittadini siriani hanno subito tre ondate di accerchiamento da parte dei terroristi. Il direttore dell'ospedale ha detto al nostro team umanitario la sera in cui siamo arrivati, il 6 settembre 2017: "Per primi, il Free Syrian Army, poi Al-Nusra e infine ISIS hanno bloccato la città e ci hanno circondato. La maggior parte delle persone è fuggita dalla città. Noi abbiamo preferito la neutralità e siamo rimasti nell'area protetta dall'esercito ". "ISIS si trova a 100 metri dalla parete del mio ufficio. E a causa loro, mio figlio ha perso tutta la fede in Dio". Ci ha servito caffè mentre stava preparando le nostre camere. "Ho fiducia", ha scherzato, "ma siamo così abituati al rumore degli spari durante la notte che non riusciamo a dormire senza di esso. Se c'è una notte senza fuoco, noi mettiamo una registrazione di spari solo per riuscire ad addormentarci."
"Non ho visto un fazzoletto di carta da anni!"
I primi cittadini di Deir ez-Zor a raccontarci la loro storia sono Anis e Anis, due amici di 26 e 19 anni. Il più giovane Anis era felice di avere un fazzoletto di carta. Sigaretta in mano, ci dice: "Voi siete la prima gente dall'esterno di Deir ez-Zor che abbiamo visto in 3 anni. Questa città era una volta la regione più ricca della Siria. Ma l'assedio ci ha riportato nella vita nel primo secolo, facendoci uscire a tagliare rami di alberi per cucinare, come la gente d'altri tempi!"
L'Anis più grande ci ha voluto spiegare come le cose si sono svolte fin dall'inizio dell'assedio: "Nulla è entrato o uscito per due anni e nove mesi. Immaginatevi: niente carne, niente verdura, niente farina, nessun cibo cotto o acqua pulita ". Circa l'80% del milione e mezzo di abitanti di Deir ez-Zor è fuggito: "Noi siamo i 100.000 cittadini che sono rimasti", ha detto, "e noi sopravviviamo con il cibo che ci ha paracadutato la Croce Rossa ".
Nella foto Muhannad e i giovani del quartiere Qusur con Frère David

"Grazie per il panino, non ho mangiato pane da tre anni!" dice Muhannad, studente di scuola superiore molto magro ma allegro, mangiando lentamente e con attenzione un panino con pollo. "Wow! con pomodori e cetrioli!" "Tutto quel che ci vuole," dice, "sono così deliziosi, ho dimenticato il sapore che avevano." Indossa la maglietta "Hungry Moose (Alce affamato)", allora gli domando: “Sei un alce affamato?” . Lui mi chiede: "Beh, sai cosa vuol dire avere fame?". "Sì, so a cosa assomiglia il digiuno … per motivi religiosi", dico io. "Ma sai cosa vuol dire avere veramente fame?" mi domanda. "Sai cosa significa guardare la tua famiglia morire di fame?". Ho solo guardato con stupore al suo magnifico sorriso.
Muhannad è così gentile, voleva solo essere mio amico. "Quando la morte e la distruzione sono dovunque, è la fede nella grazia di Dio che ci sostiene". Orgogliosamente, mi ha accompagnato nel salone da parrucchiere di suo padre e mi ha dato dell'acqua fresca, una merce molto preziosa, e voleva radermi, ma non c'era più tempo. Muhannad ha mantenuto i suoi buoni sentimenti studiando: ha appena conseguito il suo baccalaureato ed ha scelto di fare i suoi studi di ingegneria all'università.
"Io sono il pane di vita disceso dal cielo", dice Nostro Signore Gesù Cristo. Il pane è il cuore e l'anima della cucina mediorientale servito ad ogni pasto. Tuttavia, in Deir ez-Zor, ci hanno detto: "Come avremmo potuto mangiare pane? La fila per il pane è così lunga che bisogna aspettare due giorni e dormire davanti alla panetteria per ottenerne solo un po' “.

"Vede quel buco nel muro? E' da là che ci hanno bombardati la scorsa notte ".
Incontriamo Majed, 24 anni. Majed è uno studente intelligente e curioso della Thawra Medical Clinic. "Che lavoro fate al monastero?" chiede. "Frère John si prende cura degli alberi. Ed io sono un pastore ", rispondo. "Le pecore sono fantastiche!" dichiara Majed, "mi sono appena laureato presso il College of Veterinary Medicine." "Cosa? C'è una vita universitaria a Deir ez-Zor?", "Sì, dopo 3 anni di assedio, rimangono solo 17 studenti. Ma abbiamo continuato a studiare all'università e recentemente mi sono laureato".

Il fiume Eufrate attraversa il centro della città, ma è controllato dai terroristi, così che la gente non poteva usare l'acqua nè per irrigazione nè per bere, pena la morte.
Uno dei dipendenti della clinica medica, Samira, ci ha spiegato: "Nessuno può bere dal fiume perché è inquinato e anche a causa dei cecchini ISIS. Quindi non c'è buona acqua da bere. L'acqua che beviamo viene pompata dal sottosuolo una volta alla settimana. A causa della scarsa qualità dell'acqua, moltissimi a Deir ez-Zor hanno calcoli renali, il contenuto minerale dell'acqua è molto elevato ". E' stato molto difficile vivere senza cibo e acqua decente: "Circa un anno fa, alcuni uomini hanno cercato di rompere l'assedio lasciando la città per andare a procurarsi del cibo", spiega un altro volontario "ma hanno avuto la testa tagliata dai terroristi dell'ISIS ". Il bombardamento della clinica è avvenuto la sera prima del nostro arrivo. Oltre alla carenza di cibo, c'è uno sbarramento costante di bombardamenti. "La scorsa notte, la nostra clinica è stata bombardata dall'ISIS", mi raccontano, "guarda! C'è il loro razzo ancora intero nel muro! Grazie a Dio nessuno è rimasto ucciso ".
L'amico di Majed, Khaled, ha spiegato con un'immagine poetica come sono sopravvissuti col cibo inviato dal paracadute: "Come saidna Isa (Gesù) mandò maida (una tavola di cibo) dal cielo ai suoi discepoli nel Santo Corano, riceviamo anche noi cibo dal cielo, inviato dai paracadute della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa ".
 "Ciao, sono Shady Tuma", un giovane hippy di circa 30 anni, viene da noi e dice con orgoglio: "Io sono l'unico cristiano che è rimasto in Deir ez-Zor durante questo assedio. Dopo che ISIS ha distrutto le nostre chiese, la mia famiglia e tutti i cristiani sono partiti. Ma io amo qui, l'assedio non è così insopportabile"..."Quindi, Abuna, quando puoi venire a celebrare la Messa per noi? ".
Ecco le cose di cui a Deir ez-Zor hanno ancora grande bisogno:
1. Forniture mediche di base
2. Sistemi di depurazione dell'acqua
3. Alimenti che non necessitano di cottura
4. Latte in polvere
5. Scarpe
6. Prodotti per l'igiene personale
7. Abbigliamento per neonati
8. Una buona stretta di mano amichevole e una tazza di tè.
Con un'immensa gratitudine ringraziamo tutti i nostri benefattori senza i quali questa spedizione sarebbe stata impossibile. Dio vi benedica! Ora speriamo di poter preparare un'altra spedizione di aiuti umanitari molto più grande nei giorni a venire per la città di Deir ez-Zor.
   Traduzione Gb.P.
https://www.maryakub.net/2017/09/10/first-humanitarian-aid-convoy-to-deir-ez-zor-syria-since-three-years-siege/

domenica 17 settembre 2017

Siria SOS: i cuori da consolare, le case da ricostruire.

SOS Chrétiens d’Orient
"Perché venite in Siria? ". questa è una delle domande che spesso ritornano nel corso delle conversazioni tra volontari e Siriani, perché i cantieri di Homs sono solo la parte visibile di un lavoro di ricostruzione molto più profondo, molto più importante: quello dei cuori da consolare.
"Perché venite?" è la domanda di Abu Elias, un vecchio che ha sempre vissuto nel quartiere cristiano di Hamadyié, proprio accanto alla chiesa di st. Maroun. E' che lui ha visto le atrocità; e i suoi occhi azzurri, teneri e un po' stanchi, hanno difficoltà a capire oggi questo slancio di carità che spinge i volontari ad impegnarsi e rimboccarsi le maniche per ricostruire la sua chiesa e il suo paese. Di fatto, le richieste affluiscono e i progetti non mancano a Homs: qui si tratta di una chiesa dove i "ribelli" hanno saccheggiato l'interno e danneggiato la Via Crucis, là c'è uno che ha bisogno di aiuto per rimettere in piedi la sua casa, altrove è un commerciante che vorrebbe rilanciare la sua attività. Non ci sono priorità particolari tra le richieste: partecipare alla ricostruzione della cattedrale di Nostra Signora della Pace, usata dall'esercito ribelle come ospedale e gravemente danneggiata dai bombardamenti al momento della liberazione, è essenziale perché è simbolicamente forte, ma i piccoli servizi resi a destra e a manca lo sono altrettanto. Otto case ricostruite nel quartiere di Hamadyié significano otto famiglie che hanno ritrovato un po' di conforto. E molta speranza!
Perché si tratta, pietra dopo pietra, di ridare ai Siriani nuove prospettive per il futuro. Proprio per questo, la gioventù di Homs costituisce l'altro grande cantiere di ricostruzione. Ora, i bambini e i giovani si divertono a ridere e a giocare per strada come se nulla fosse, ma una parte della loro spensieratezza è stata rubata e la loro istruzione è stata spesso messa da parte a causa della guerra. Quindi, ancora una volta, ci si rimbocca le maniche: sia che si tratti di rendere agibili le aule o organizzare campi estivi con i giovani, la ricostruzione è in corso.
"Il vostro progetto di asilo è il migliore!" dice entusiasta Giuseppe, giovane siriano (e non è l'unico!) che aiuta l'associazione come volontario. "Perché i bambini qui hanno conosciuto solo la guerra, la morte e la distruzione. Quindi è necessario dare loro la possibilità di divertirsi e di sognare un po' ". Muri per accogliere bambini e giocattoli per divertirsi: e se fosse anche questo, lottare contro la guerra?


 E di seguito, il racconto delle squadre dei volontari nell'incantevole villaggio di Maaloula.

" Ogni mattina è uno stupore perpetuo di fronte a queste colline desertiche, l'aria è pura, gli odori deliziosi, le stradine ripide dei sentieri di terra cosparsi di frammenti in pietra.

  Stiamo lavorando alla ricostruzione della casa di Lawandios, un siriano con la faccia sorridente e l'umorismo burlone. Impariamo a conoscerci reciprocamente, a lavorare insieme. Ogni pietra, ogni pezzo di legno fissato, ogni betoniera svuotata ci rende orgogliosi.
  I bambini del villaggio vengono a trovarci: "tea-time" gridano, per dirci che gli abitanti ci aspettano per prendere il tè. Una tazza, poi una seconda che non si può rifiutare tanto la loro gioia di averci tra di loro si percepisce sulle loro facce.
  Il sole continua a battere, ma ci rimettiamo al lavoro. Restano delle pietre da posare e delle case da ricostruire. Come tutti i giorni, Lawandios lavora con noi. Questo affiatamento e l'assistenza reciproca tra Siriano e Francese non fanno che sostenere la nostra motivazione quotidiana e la nostra voglia di portare la nostra pietra alla ricostruzione della Siria. "

   Emmy e Jean-Remi, volontari in Siria.
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Dall'inizio della nostra azione, grazie alle vostre donazioni, 800 famiglie sono tornate a vivere a Maaloula.  26 case sono state completamente ricostruite per trasferire queste famiglie esiliate. Molte altre sono state restaurate. 
" Grazie a voi, noi ricostruiremo questo villaggio, come la Siria, con la fede, la speranza e la carità”, dice Padre Toufic, parroco della Parrocchia Melkita Greco-cattolica di San Giorgio.
Ma ricostruire ha anche costi notevoli: rimettere porte e finestre su una casa in ricostruzione costa mediamente 500 €..... Se volete aiutarci a guarire le ferite della guerra, qui potete fare una donazione a SOS Cristiani d' Oriente:   http://www.soschretiensdorient.fr/donner/

sabato 16 settembre 2017

Siria: Siamo alla fine della partita


N.E.O. 12.09.2017 , di  Tony Cartalucci*
Mentre le forze siriane raggiungono il fiume Eufrate, rompendo l'assedio della città siriana orientale di Deir ez-Zor, Damasco e i suoi alleati, insieme agli stati sponsor che alimentano la militanza che ha consumato la Siria negli ultimi 6 anni, stanno disponendo i pezzi finali nell'avvicinarsi della fine dei giochi.
Le forze siriane avevano già ripreso la città settentrionale di Aleppo e mentre continuano a proteggere il confine meridionale della Siria con la Giordania e l'Iraq ad ovest dell'Eufrate, lasciano le milizie principali sostenute da Washington, dai suoi alleati europei e dalla NATO, nonché dai suoi partner del Golfo Persico tutti ma sconfitti.
Rimane ancora la città settentrionale di Idlib. Questa è diventata la destinazione finale per i militanti mentre fuggivano o venivano evacuati con operazioni governative da altre aree contestate in Siria. La città e gran parte della provincia circostante si collegano direttamente al confine siriano-turco dove i militanti stanno ancora ricevendo forniture, armi e rinforzi dal territorio della NATO.
Ora che la natura dei militanti sponsorizzati dall'Occidente è pienamente scoperta e con le forze russe e iraniane presenti sul campo di battaglia e profondamente coinvolte nella vittoria di Damasco, è inevitabile che praticamente tutto il territorio a ovest dell'Eufrate ritornerà sotto il controllo di Damasco.
I tentativi politici di preservare Idlib come una fortezza jihadista saranno difficili, considerando la natura terroristica dei gruppi che occupano la città, compresi quelli che operano apertamente sotto la bandiera di Al Qaeda.
  [Vedi anche questo aggiornamento:    "Si sbriciola il fronte islamista in Siria: psicosi di una sconfitta a Idleb  http://m.asianews.it/index.php?art=41800&l=it ]
A est dell'Eufrate
A est dell'Eufrate si trova la città di Raqqa che adesso è campo di battaglia tra le forze Curde sostenute dagli USA e i terroristi dell'ISIS armati e finanziati dai US-Sauditi. Oltre Raqqa, un territorio molto vasto viene rivendicato e controllato da queste forze Curde, mentre l'esercito siriano continua ad occupare delle aree sotto il suo controllo in Qamishli e Al Hasakah.
Di là dell'Eufrate, a est di Deir ez-Zor, è in corso un'offensiva recentemente lanciata da combattenti Curdi dell'SDF probabilmente volta a prevenire l'attraversamento del fiume da parte delle truppe siriane.
L'agenzia Reuters in un articolo intitolato "L'esercito Siriano e le forze sostenute dagli Stati Uniti convergono sullo Stato Islamico in offensive separate", avrebbe riferito che: Le SDF (alleanza militare composta prevalentemente dai Curdi e da altre milizie arabe sostenuti dagli USA) hanno dichiarato di aver raggiunto la zona industriale di Deir ez-Zor, a poche miglia ad est della città dopo aver lanciato le operazioni in zona nei giorni scorsi. L'articolo ha anche riferito che: i progressi di domenica significano che le forze sostenute dagli Stati Uniti e l'Esercito Arabo Siriano coperto dal supporto militare russo, sono separate solo da circa 15 km di terra e dal fiume Eufrate a Deir ez-Zor.
Le forze siriane attraversando il fiume - prendendo e occupando il territorio a est dell'Eufrate - renderanno i tentativi degli Stati Uniti e delle sue proxy di balcanizzare la nazione, ancora più deboli. Con le posizioni dei governativi sparse in territorio tenuto dalle milizie Curde e con una solida posizione a Deir ez-Zor, a est dell'Eufrate, i combattenti Curdi sarebbero costretti a intraprendere una campagna pericolosa e costosa per respingere le forze siriane allo scopo di dividere la nazione. Essa richiederebbe un'assistenza militare americana diretta, rischiando un confronto diretto tra USA e l'esercito siriano e i suoi alleati russi e iraniani. Non è ancora chiaro finora quanto gli Stati Uniti siano disposti a coinvolgersi per ottenere il proprio piano B di balcanizzare la Siria.
Quali carte ci sono ancora sul tavolo?
I responsabili delle politiche statunitensi, da quando il conflitto è iniziato nel 2011, hanno cercare di dividere la Siria e ricavare "paradisi sicuri" che potrebbero essere utilizzati per perpetuare l'instabilità e tentare un cambiamento di regime a Damasco nel lungo periodo, appurato che il cambiamento immediato del regime non si è realizzato. Per gli Stati Uniti, la prospettiva di usare a questo scopo il territorio a ovest dell'Eufrate ora sembra molto improbabile. Anche i tentativi di prendersi il territorio a sud di Damasco lungo il confine siriano-giordano e siriano-iracheno sembrano falliti. Tuttavia, a est dell'Eufrate tramite le SDF, "paradisi sicuri" e permanenti sono molto più probabili. Tuttavia, la loro utilità nell'effettuare un cambiamento di regime a Damasco è trascurabile. I tentativi da parte degli Stati Uniti e dei suoi proxy di controllare nella maggior misura possibile il territorio prima della fine della partita, potrebbero anche non riuscire a materializzare i vantaggi a lungo termine.
Nonostante il il fallimento di cambiamento del regime, gli USA hanno indebolito in modo significativo la Siria. Con gran parte della Siria orientale minacciata di balcanizzazione (una regione in cui risiede gran parte della ricchezza petrolifera della Siria) il recupero socioeconomico sarà indubbiamente lungo e complicato.
Tuttavia, le zone in cui i combattenti Curdi supportati dagli USA si sono trasferiti includendo Raqqa e ora Deir ez-Zor, non sono casa per popolazioni curde. La capacità dei combattenti Curdi di sopraffare sul campo di battaglia i militanti dell'ISIS non si traduce automaticamente nella capacità di mantenere e amministrare il territorio. Nonostante gli Stati Uniti affermino che i combattenti Curdi stanno collaborando con i militanti arabi, dopo il conflitto la tenuta di questa alleanza resta tutta da verificare. Il dubbio degli USA per la "costruzione della nazione" è anche un fattore importante da considerare per quanto riguarda le proposte di divisione e controllo della Siria orientale.
Due possibilità per la Siria orientale
Gli Stati Uniti hanno solo un conflitto perpetuo da offrire ai loro alleati Curdi e Arabi nella Siria orientale: sia con il governo siriano stesso, o con la Turchia, o con conflitti etnici senza fine tra gli stessi alleati americani Curdi ed Arabi. In aggiunta, la nozione di uno Stato Curdo "indipendente", totalmente dipendente dal sostegno e dalla protezione statunitensi, è a ben vedere un paradosso. La probabilità che i Curdi della Siria finiscano per essere subordinati ai Curdi del nord dell'Iraq (supportati dagli USA) mina anche la nozione stessa di "indipendenza".
La Siria e i suoi alleati, d'altra parte, hanno un futuro più sostenibile da offrire alla minoranza Curda. È una certezza di stabilità all'interno dei confini di uno Stato Siriano unificato. Si tratta di un'offerta di protezione dall'aggressione Turca nel nord e contro l'instabilità dovuta a tensioni continue tra i Curdi filo-americani in Iraq e Baghdad nel sud-est. La Siria e i suoi alleati Russi e Iraniani sono anche in una posizione molto più forte nella regione per garantire loro un'offerta che non gli Stati Uniti, un invasore straniero.
Che cosa aspettarsi
Nelle prossime settimane e mesi, a seconda di quanto lontano l'Esercito Siriano andrà e quanto siano sostenibili le sue riconquiste prima di raggiungere i limiti della sua portata tattica e strategica, sarà stabilito per certo la fattibilità del progetto USA di balcanizzare permanentemente il Paese.
Tentativi di inserire dei cunei tra Damasco e i suoi alleati russi e iraniani sono in corso, in particolare con i raid israeliani all'interno della Siria per tentare di spostare le forze russe a vigilare sulle operazioni israeliane. L'uso di Israele come provocatore per fare pressione su Damasco e per deviare il capitale politico, finanziario e militare lontano dalle battaglie critiche, continuerà.
Sono in corso anche dei tentativi per alienare la minoranza Curda della Siria per quanto possibile, per avvelenare qualsiasi tentativo da parte di Damasco di offrire loro un futuro più attraente che non servire come agenti degli Americani nel progetto di balcanizzazione della nazione.
Infine, continuano anche i tentativi di isolare la Siria e i suoi alleati dalla comunità internazionale: in particolare con ripetute accuse sull'uso di armi chimiche. Nonostante la mancanza di successo nell'uso di questa tattica, gli Stati Uniti, attraverso l'ONU, hanno accusato più volte la Siria di utilizzare armi chimiche, con l'obiettivo di giustificare un conflitto più ampio direttamente con Damasco.
Oltre alle battaglie e alle campagne fulminee che si sviluppano sul territorio siriano, gli analisti dovrebbero aspettarsi di vedere anche manovre diplomatiche a tutto campo, avvicinandosi il finale di partita.
 *Tony Cartalucci, ricercatore e scrittore geopolitico di stanza a Bangkok, specialmente per la rivista online "New Eastern Outlook".
  (trad. Gb.P.)

giovedì 14 settembre 2017

Le croci di suor Arcangela

 Aleppo, 14 settembre 2017
Festa dell'Esaltazione della Santa Croce

  Contemplando questo volto, con quelle scie di sangue, riviviamo la passione, una passione attuale, silenziosa, che si è consumata nel giro di sei anni di Via Crucis, con la guerra in Siria.
 I proiettili facevano un orribile fragore, cadevano senza sosta senza misurare dove arrivavano, ferendo persone di tutte le età, sembrava non avessero una meta da raggiungere.
 Quel Volto misterioso aveva una meta, è rimasto sempre lì, le cartucce ferivano i volti umani causando spesso la morte, ma Quel Volto è rimasto sempre lì, per un solo obbiettivo: rinnovare l'adesione di amore al Padre, di gridare con la Sua Voce "Perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
 Quel corpo mutilato indica che era in mezzo al popolo Siriano, ne condivideva le lacrime, le ferite e l'attesa di una nuova speranza, che c'è... lo indica quell'unico braccio rivolto verso il Cielo.
 Quel volto delicato sereno, quel corpo insanguinato, ha raccolto, come i proiettili, il grido degli innocenti, ridando perdono, amore e speranza.
  Buona festa della nostra salvezza, in Cristo Crocifisso dimora la nostra forza!
Suor Arcangela, ospedale Saint Louis - Aleppo 

Chi è suor Arcangela:  "Ad Aleppo, Siria, suor Arcangela Orsetti coltiva una forma di arte dal riciclo che potremmo definire anti-bellica. Religiosa lucchese delle suore di San Giuseppe dell’Apparizione, vive nella città siriana da più di 40 anni e con cinque consorelle gestisce l’ospedale Saint Louis. Nel suo inesistente tempo libero in lunghi anni di guerra, suor Arcangela si è ingegnata a «trasformare oggetti di morte in simboli di vita e riscatto». Un enorme bossolo metallico contiene un ramo d’ulivo. Le mani della suora («fervide come la sua fantasia», osserva sorridendo suor Thèrese) hanno unito proiettili a formare scritte di pace in varie lingue, simboli cristiani classici, rosari, una colomba. Arredi sui muri e sulle finestre dell’ospedale. Pezzi di ordigni e ferraglia assortita si sono trasformati in portacandele, assai utili in questi ultimi anni di black-out, quando l’ospedale era interamente affidato al generatore a diesel – e nelle settimane più difficili non arrivava nemmeno quello, in città..... ( leggi qui : http://oraprosiria.blogspot.it/2017/06/suor-arcangela-e-le-altre-le-eroine-di.html  )

martedì 12 settembre 2017

Padre Daniel da Qara: un nuovo coraggio, come mai prima


Lettera di Padre Daniel
Mar Yakub, 8 settembre 2017

Uno strano senso di sicurezza  
  La catena montuosa dei Monti anti-Libano, i nostri vicini incrollabili e impressionanti, è sempre stata testimone silenziosa della nostra vita quotidiana. Ai piedi dei Monti i nostri compaesani avevano i loro alberi da frutto. Le ciliegie di Qara erano conosciute in tutto il Medio Oriente per la loro qualità superiore. Questo paradiso è andato subito perduto appena i terroristi vi hanno fatto la loro tana. Tutto è stato distrutto, e da allora la nostra vita quotidiana minacciata. Infatti da quel momento il ritornello quotidiano era: "oggi non si può andare al campo grande", "oggi non si può lavorare in giardino", "oggi per la sicurezza è meglio non mangiare fuori”... Dalla scorsa settimana, i terroristi e ISIS provenienti dalla regione di confine e in tutto il Qalamoun sono stati cacciati via. Ci sono alcuni soldati presenti per togliere le mine e per controllare le frontiere, ma sono finite le sparatorie, i colpi di cannone, nelle vicinanze o nelle lontananze, e sono finiti anche i movimenti di truppe. Uno strano silenzio. È come ci mancasse qualcosa. Invece no, dobbiamo adattarci di nuovo a quella deliziosa pace e armonia siriana che abbiamo conosciuto prima della guerra.
   E all'improvviso la situazione è di nuovo come prima della guerra. Già due gruppi vogliono visitarci durante il weekend. Sono 70 persone, uomini e donne. Solo che al momento non ci sono camere disponibili nel nuovo edificio, tutto è pieno di aiuti umanitari che escono ed entrano continuamente. E' vero che abbiamo ampi spazi e che abbiamo tanti materassi e possiamo liberare qualche camera. Possiamo provarci, tutti sono benvenuti se accettano le limitazioni della situazione. Tutto è preparato al meglio. All'ultimo momento tuttavia i 2 gruppi decidono di aspettare e di rimandare la loro visita. Accipicchia.
   Nel frattempo, in Deir Ezzor c’è già un'atmosfera di festa dopo la liberazione repentina, ma allo stesso tempo c'è un urgente bisogno di aiuto. Viene caricato un camion con aiuti umanitari e i nostri due confratelli partono mercoledì mattina per diversi giorni per aiutare la popolazione martirizzata di Deir Ezzor.
  Allo stesso tempo, si lavora non-stop nelle piccole “imprese” di Qâra. Le 35 donne che hanno iniziato lavoretti con l’uncinetto e la maglia, producono oggi vestiti creativi. I loro prodotti sono distribuiti all’estero. Anch'io porto ogni volta una borsa piena, quando possibile. Alcuni dicono che è stupido perché ci sono tanti negozi con bei capi a buon prezzo. Eppure noi continuiamo la distribuzione in modo legale. Infatti regaliamo tutto ai nostri amici e benefattori, e loro ci donano liberamente un po’ di soldi: alla fine abbiamo abbastanza soldi per poter pagare queste donne. La prossima volta potrete leggere sul nostro sito internet commoventi testimonianze di donne che hanno perso tutto e talvolta anche i loro mariti e che ora vivono in Qâra con i loro genitori o suoceri, e possono sopravvivere solo grazie a questo loro lavoro a maglia creativo.

Il convoglio di primo soccorso a Deir Ezzor    I nostri due fratelli sono partiti mercoledì mattina verso Deir Ezzor con un convoglio di aiuti umanitari e un equipaggio di Mar Yakub: cinque camion e due ambulanze. Erano anche accompagnati da due medici, due infermieri e un gruppo di ragazzi e ragazze, che indossavano una giacca rossa con il segno della nostra comunità. Venerdì sera sono ritornati esausti. Per due ore abbiamo ascoltato senza fiato ciò che hanno visto e sperimentato. Hanno guidato le macchine per ore nel deserto ardente. Avvicinandosi al Deir Ezzor, la strada, appena liberata, era piena di profonde buche. Lungo la strada c’erano alcuni cadaveri dei terroristi. C’erano anche grandi bossoli vuoti di mine disseminate. Un camion ha bucato una gomma e un altro ha avuto altri problemi e cosi sono stati costretti a trasbordare tutto in un'altra vettura. Tutti hanno aiutato, anche i due medici e le due infermiere che erano sulle ambulanze. Alla fine, quando il convoglio è arrivato davanti alle porta della città, ha dovuto aspettare: Asmaa al-Assad, la moglie del presidente, aveva provveduto a inviare decine di camion di aiuti umanitari ed era inteso che questi camion dovevano entrare per primi in città. Dopo un tempo di attesa e di informazioni avanti e indietro, al nostro convoglio era finalmente consentito di entrare fino al centro della città. La popolazione e i soldati, che erano da tre anni assediati da IS, per tutto questo tempo erano stati riforniti solo via aerea. La Mezzaluna Rossa aveva fornito cibo attraverso paracadute. Nonostante questi aiuti, tanti sono morti, soprattutto bambini, a causa di sottoalimentazione o infezioni.  Il primo soccorso è stato caotico. Migliaia di persone, molte di loro visibilmente affamate, si spingevano fra loro mendicando per cibo e bevanda. Infine l'esercito è dovuto intervenire per riportare l'ordine. Così ad ognuno è stato consegnata una borsa con dieci patate, cinque uova, una scatola di latte in polvere, acqua ... Le decine di camion della moglie del presidente hanno provveduto che finalmente ogni persona fosse in grado di mangiare e bere. Inizialmente c'era una tanica di acqua e una sola tazza per dissetare una decina di persone. Nonostante il fatto che tante case ed edifici sono stati distrutti, la ricchezza che aveva questa regione è visibile nelle numerose ville e case belle, circondate da palme.  
  La miseria in cui queste persone sono sopravvissute per anni ci fa porre la domanda: perche’ noi ci preoccupiamo di tante cose così futili?
    (trad. A Wilking )

domenica 10 settembre 2017

Cosa ne è stato della comunità cristiana di Palmyra?

L'antica città di Palmyra fu sede di una piccola comunità cristiana che ora vive in esilio. L'arcivescovo siro-cattolico di Homs, accompagnato da alcuni sacerdoti, è tornato alle rovine della parrocchia distrutta.
 di Vincent Gelot, di ritorno dalla Siria
Un segno della croce, qualche preghiera sussurrata in punta di labbra e un rosario appeso allo specchietto retrovisore. "Non dimenticate di prendere da bere" ricorda l'arcivescovo siro cattolico Philippe Barakat di Homs ai sacerdoti che lo accompagnano. L'automobile si avvia a passo d'uomo. Gli sguardi dei passeggeri sono ansiosi. "La strada per il deserto sarà lunga e questa è la prima volta che siamo tornati a Palmyra da quando l'esercito siriano l'ha riconquistata." confida il prelato barbuto, accendendo freneticamente la prima sigaretta del viaggio. "Non sappiamo su cosa andremo a cascare", mormora. Conquistata dall'organizzazione Stato Islamico (ISIS o Daech in arabo) nel maggio 2015, la città emblematica era stata ripresa nel marzo 2016 da parte dell'esercito siriano, sostenuto dai suoi alleati russi e iraniani, prima di cadere nuovamente nove mesi più tardi in mano a Daech. Riconquistata ai jihadisti nel marzo di quest'anno, alla città è ancora vietato l'accesso, i permessi di accesso sono complicati da ottenere, e la distanza di 160 km. in linea d'aria da Homs permane pericolosa.
Una cappella discreta ma colorata
Celebre per il suo antico sito archeologico, Palmyra (o Tadmor come gli Orientali la chiamano) lo è molto meno per la sua piccola comunità cristiana e per la sua modesta chiesa. "La parrocchia è dedicata a Santa Teresa del Bambin Gesù e risale al periodo del mandato francese. I Francesi l'avevano donata alla diocesi siriaco cattolica di Homs alla fine del mandato ", spiega il vescovo Barakat.
Situata nel cuore della città moderna, lungo la Via Regale decantata dalle guide turistiche, dove alberghi-ristoranti rivaleggiavano con i negozi di souvenir, la chiesa, la cui comunità parrocchiale era composta da cinque famiglie siriache e centinaia di fedeli di tutti i riti, "era una parrocchia molto colorata", ricorda padre Georges Khoury, il sacerdote di Palmyra. "Durante la Messa della Domenica, c'erano albergatori armeni, mercanti greci, soldati, lavoratori ... e persino turisti stranieri di passaggio!” Il cellulare dell'abuna (Padre) vibra. Uno dei suoi parrocchiani gli ha chiesto di fotografare la condizione della sua casa. Dopo la riconquista di Palmyra nel marzo scorso, la zona è ancora sotto controllo militare e nessun civile ha potuto tornare sul posto.
Il deserto, ocra e grigio, si stende a perdita d'occhio. L'auto prosegue la sua corsa lungo l'antico percorso, una volta utilizzato da carovane e cammelli, adesso trasformato in un asfalto deformato dal calore soffocante di agosto e malridotto dal passaggio continuo dei camion militari. La monotonia del viaggio è a volte interrotta dai posti di blocco dell'esercito siriano, dal passaggio di carri armati russi, auto blindate con mitragliatori e pickup recanti la bandiera gialla e nera della divisione "Fatimidi" una milizia sciita composta da combattenti afghani. D'un tratto, la strada si trova a correre a lato di un aeroporto militare per diversi chilometri. "Si tratta della base aerea T4, che ha svolto un ruolo chiave nella seconda riconquista di Palmyra" commenta il vescovo. "I terroristi hanno tentato più volte di prenderla senza mai riuscirvi." Inseguiti dopo una feroce battaglia, le milizie di Daech sono state respinte indietro di un centinaio di chilometri a est verso Deir-ez-Zor, dove i combattimenti continuano.
"Ho pianto molto"
Le ore passano, l'orizzonte si apre e le lingue si sciolgono. Incollando le sigarette, Padre Georges ricorda quel 21 maggio 2015 quando gli uomini di Daech entrarono in Palmyra: "L'esercito governativo è venuto ad avvisarci che i jihadisti stavano avvicinandosi. Ho noleggiato autobus e automobili malridotte per evacuare le nostre famiglie verso Homs. Sette ore più tardi, Daech prese possesso di Palmyra.". Poi, saranno gli anni dell' esilio, ancora di guerra e di privazioni, dove anche la sua comunità ha trovato rifugio nella frazione di Meskané alla periferia rurale di Homs: "Le famiglie sono rimaste parecchi mesi ad abitare nei locali della parrocchia. Ma la situazione si trascinava e non c'era lavoro, per cui le famiglie hanno finito per trasferirsi altrove o emigrare". La popolazione cristiana della Siria, che contava due milioni di anime prima dell'inizio della insurrezione nel 2011, adesso sarà all'incirca un terzo di allora.
A tutt'oggi, Padre Georges ha in cura la Parrocchia di Meskané mentre fa il "commesso viaggiatore" per visitare i suoi fedeli di Palmyra sparsi in tutta la regione: "Io porto loro cesti di cibo, medicine, vestiti, garantendo nel contempo la cura pastorale. Ho anche celebrato diversi battesimi e alcuni matrimoni!" Nel corso di questi anni bui, ha assistito da lontano, impotente e inorridito, alla messa in scena delle esecuzioni nel teatro antico, dove secondo l'OSDDH circa 280 persone sono state massacrate, e alla distruzione di monumenti storici. "Palmyra era la perla dell'Oriente e l'orgoglio di tutti i Siriani. Il giorno in cui han fatto saltare i templi di Baalshamin e di Bêl ho pianto molto ", ammette Padre Georges, che - sulla quarantina - ha vissuto a Palmyra per dieci anni ed era diventato un familiare dell'antico sito al quale L'UNESCO ha attribuito un "valore universale eccezionale".
Improvvisamente, la cittadella araba di Fakhr-Ed-Din, una fortezza del XII° secolo, appare in cima al suo picco roccioso. Le bocche si zittiscono. Entriamo in Palmyra.
Il perdono degli antenati
La città moderna di Palmyra potrebbe assomigliare a un castello di carte collassato o a un villaggio fantasma del far-west dopo l'OK Corral. Barricate tra edifici rovinati, minareti abbattuti in mezzo a veicoli bruciati, ovunque tracce di saccheggi e combattimenti stradali, ma non un'anima viva ad eccezione dei soldati di pattuglia. Adiacente ad una piazzetta con la fontana a secco, dove gli abitanti amavano alla sera prendere il fresco dell'oasi, fumando un narghilé, un "caffè turistico" in agonia è in attesa del cliente. "La città è in condizioni molto peggiori della prima volta", dice abuna Georges che era ritornato a vederne lo stato dopo la prima riconquista di Tadmor nella primavera del 2016. "Non promette niente di buono", sbotta.
Il prete invita il conducente a fermarsi. Il veicolo parcheggia davanti a quella che, prima del suo visibile stato miserabile, doveva essere una cappella. All'interno, l'altare è devastato, le lastre del pavimento sono state strappate e le pareti sono carbonizzate. Padre Georges è prostrato: "Dopo la prima partenza degli islamisti, la chiesa era stata saccheggiata ma non bruciata. Ho anche pensato di rimetterla in uso almeno simbolicamente. Ma adesso è distrutta!" lamenta. Adiacente al santuario, la casa di accoglienza ha subito lo stesso destino. Sostenuto dall'Oeuvre d'Orient, questo Centro con una dozzina di camere aveva come obbiettivo la creazione di posti di lavoro e stimolare la comunità cristiana locale accogliendo i visitatori e i pellegrini. "Abbiamo iniziato i lavori del centro nel 2010. Il sito stava per essere completato. Che spreco!" si rammarica Monsignor Barakat e conclude: "Che i nostri antenati e i nostri figli perdonino ciò che abbiamo fatto della Siria!". 
Prima di lasciare i luoghi, facciamo un salto all'antico sito. Il veicolo passa davanti al museo archeologico, completamente saccheggiato e devastato. Dalla pista di ciottoli, l'ippodromo e i primi colonnati sfilano... "L'ottanta per cento del sito dovrebbe essere ancora in piedi" ha giudicato a lume di naso padre Georges, prima di aggiungere "Il sito rimane impressionante. Prima lo era due volte di più”. Veniamo bloccati dall'esercito nei pressi delle torri funerarie, anch'esse vittime della follia distruttiva dei jihadisti. Subito la strada è interrotta: “non potete andare oltre" ci avverte un uomo in armi, indicandoci di svoltare. Su un colonnato crollato per i tre quarti, di fronte alle immensità desolate e brucianti, lo stendardo dei "Fatimidi" vincitori, sormontato da una bandiera russa slavata, galleggia nel vento.
  Vincent Gelot, capo dei progetti per il Medio Oriente dell'Œuvre d’Orient
     traduzione: Gb.P.