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lunedì 14 agosto 2017

Maria è viva per tutta l'eternità (di san Giovanni Damasceno)

Oggi l`arca santa e vivente del Dio vivo, colei che portò in seno il suo stesso Creatore, riposa nel tempio del Signore, non costruito da mano d`uomo. Davide, suo antenato e progenitore di Dio, trasale di gioia; gli angeli danzano in festa, gli arcangeli applaudono e le potenze del cielo cantano gloria...  Colei che fece scaturire per tutti la vera vita, come avrebbe potuto essere soggetta alla morte? E` vero: anch`essa si piega alla legge promulgata dal proprio figlio e, come figlia del vecchio Adamo, subisce la sentenza emessa contro il padre, poiché neppure suo Figlio, che è la Vita stessa, vi si è sottratto. Ma, come madre del Dio vivente, è giusto che sia portata presso di lui.
  Perché, se Dio ha detto, a proposito del primo uomo creato: Che ora non stenda la sua mano per cogliere il frutto dell`albero della vita e, gustandolo, non viva in eterno (Gen 3,22), colei che ha ricevuto in sé la Vita stessa, infinita e illimitata, la Vita che non conosce né inizio né termine, come non sarebbe viva per tutta l`eternità?
 
  Un tempo, il Signore Dio aveva scacciato dal paradiso dell`Eden e mandato in esilio i progenitori della nostra razza mortale, che erano come inebriati dal vino della disobbedienza, avevano gli occhi del cuore appesantiti dall`ebbrezza della trasgressione, lo sguardo dello spirito oppresso dallo stordimento della colpa, ed erano addormentati nel sonno della morte. Ma ora, il paradiso non riceverà forse colei che ha infranto in sé l`impeto delle passioni e ha portato alla luce il germoglio dell`obbedienza a Dio e al Padre, dando inizio alla vita di tutto il genere umano? Il cielo non le aprirà forse con gioia le sue porte?...   
  Se Cristo, che è la Vita e la Verità, ha detto: Dove sono io, là sarà anche il mio servo (Gv 12,26), a maggior ragione, come non abiterà con lui sua madre?... Poiché il corpo santo e puro che in lei si era unito al Verbo divino, si levò dal sepolcro il terzo giorno, bisognava che anche lei fosse strappata alla tomba e che la madre fosse assunta presso il Figlio.
  Egli era sceso verso di lei: così essa, la creatura amata sopra ogni altra, doveva essere elevata in una dimora più grande e più perfetta, nel cielo stesso (cf. Eb 9,11.24). Era giusto che colei che aveva ospitato nel suo grembo il Verbo divino si stabilisse nella dimora del suo Figlio.  E come il Signore disse che egli doveva essere nella casa del Padre (cf. Lc 2,49), così era necessario che la Madre abitasse nella dimora regale di suo Figlio, nella casa del Signore, negli atri del nostro Dio (Sal 134,2). Perché, se lì è la dimora di tutti quelli che sono nella gioia, dove mai dovrebbe risiedere colei che è la causa stessa della gioia?
   Giovanni Damasceno, Homilia II in dormitionem B.V.M.

giovedì 10 agosto 2017

Quante guerre gli USA possono condurre simultaneamente?

Con oltre 800 basi militari in tutto il mondo, la spesa militare che impegna fino alla metà del bilancio federale, uno stato permanente di guerra sostenuto da una propaganda di guerra pervasiva, i membri del Congresso cosiddetti "neocons" che sostengono, giorno dopo giorno, ulteriori interventi militari, bombardamenti, cambi di regime, sanzioni (di recente contro la Corea del Nord, il Venezuela, l'Iran, la Russia e per conseguenza la Germania e la Francia), armi consegnate per le loro guerre per procura alle forze da essi usate (nei giorni scorsi all'Ucraina occidentale) e per i progetti di future guerre (Iran, Corea del Nord), gli Stati Uniti d'America, la cui economia è strettamente legata alle guerre fin dalla seconda guerra mondiale, cercano di perpetuare il loro sistema ad ogni costo, anche a costo di mettere in pericolo l'intero pianeta. Inoltre, come ogni sistema capitalistico, l'apparato bellico degli Stati Uniti ne implica la crescita. Traduzione: sempre più guerre. Ma fino a che punto e per quanto tempo?
nota introduttiva di Entekelekhia

di Patrick J. Buchanan

Sabato, Kim Jong Un ha testato un missile ICBM di portata sufficiente a colpire il territorio degli Stati Uniti. Ora sta lavorando per migliorarne la precisione e perché possa ospitare una testata nucleare abbastanza piccola, che possa tenere sul missile e rientrare nell'atmosfera.
A meno che non crediamo che Kim sia un pazzo suicida, il suo obiettivo sembra chiaro. Vuole ciò che ogni potenza nucleare vuole: mostrare la capacità di colpire il territorio del suo nemico con un terribile impatto, al fine di dissuadere quel nemico. Kim vuole che il suo regime sia riconosciuto e rispettato, e che gli USA, che hanno pesantemente bombardato il nord dal 1950 al 1953, lascino la Corea.
Dove porta tutto questo? Cliff Kupchan del "Gruppo Eurasia" ha dichiarato: "Gli Stati Uniti sono di fronte a una scelta binaria: o accettare la Corea del Nord nel club delle potenze nucleari o rischiare un'azione militare con la certezza che si tradurrebbe in perdite civili impressionanti. "
Diciamoci la verità. Le sanzioni statunitensi contro la Corea del Nord, come quelle che sono state varate la scorsa settimana non impediranno a Kim di fare progressi con i suoi missili. E' troppo vicino al suo obbiettivo.
Qualsiasi attacco preventivo contro il Nord potrebbe innescare un contrattacco contro Seul che ucciderebbe decine di migliaia di sudcoreani e anche soldati statunitensi di stanza nel paese e le loro famiglie.
Questo equivarrebbe a scatenare una guerra totale contro la Corea del Nord, ed è una guerra che il popolo americano non vuole.
Sabato scorso, il presidente Trump ha "twittato" la sua frustrazione sui fallimenti della Cina a togliere le castagne dal fuoco per gli USA : «non fanno NIENTE per noi con la Corea del Nord, solo parlare. Noi non permetteremo che ciò continui. La Cina potrebbe agevolmente risolvere questo problema. »
Domenica scorsa, i bombardieri B-1B degli Stati Uniti hanno sorvolato la Corea e il comandante della US Air Force del Pacifico, generale Terrence J. O'Shaughnessy ha detto che le sue unità erano pronte a colpire la Corea del Nord con una «forza rapida , letale e travolgente.»
Pertanto sempre Domenica, Xi Jinping ha passato in rivista un'imponente parata militare di carri armati, di aerei, di truppe e di missili, con i funzionari cinesi che deridevano Trump: "un Presidente novizio" e un "bambino viziato" che bluffa contro la Corea del Nord. È vero? Lo sapremo presto.
Secondo il primo ministro giapponese Shinzo Abe, Trump ha promesso di "prendere tutte le misure necessarie" per proteggere gli alleati degli Stati Uniti. E l'ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, Nikki Haley ha mostrato gli artigli dicendo: "il tempo delle chiacchiere è finito."
Stiamo andando verso un confronto militare con il Nord? I mercati, che hanno continuato a registrare i record di lunedi, non sembrano pensarlo.
Dopo che il Congresso ha approvato con maggioranza schiacciante un altro round di sanzioni contro la Russia la settimana scorsa, e che Trump ha firmato la legge che lo priva di qualsiasi diritto di revocare le sanzioni senza l'approvazione del Congresso, la Russia ha abbandonato ogni speranza di riavvicinamento con l'America di Trump. Domenica scorsa, Putin ha ordinato all'ambasciata e al Consolato degli Stati Uniti di ridurre il loro staff di 755 persone.
La seconda Guerra Fredda, iniziata quando gli Stati Uniti hanno posizionato la NATO al confine con la Russia ed hanno aiutato i golpisti a rovesciare il governo filo-russo di Kiev, si va raffreddando ad alta velocità. Stiamo aspettando una risposta da Mosca all'ostilità del Congresso, quando gli Stati Uniti avranno bisogno di assistenza in Siria o con la Corea del Nord.
Le sanzioni varate la scorsa settimana hanno colpito anche l'Iran, dopo che questi hanno testato un razzo destinato a mettere in orbita un satellite, anche se l'accordo sul nucleare vieta solo i test di missili balistici in grado di trasportare testate nucleari. Gli iraniani hanno perciò fermamente replicato che i loro test missilistici sarebbero continuati.
In questi ultimi giorni si sono viste pure navi da guerra degli Stati Uniti e motovedette iraniane in pericolosa prossimità, con le imbarcazioni USA che mandavano segnali di avvertimento e colpi di intimidazione. Aerei e navi degli Stati Uniti si sono incrociati con frequenza sempre maggiore anche con le navi e gli aerei russi e cinesi nel Mar Baltico e nel Mar Cinese Meridionale.
Mentre gli USA sono titubanti a iniziare una guerra contro la Corea del nord, Washington sembra stia sbavando per una guerra contro l'Iran. Di fatto Trump ha minacciato di denunciare l'Iran per violazione dell'accordo sulle armi nucleari e questo suggerisce un possibile futuro confronto.
Ma uno si chiede: Se il Congresso è determinato a confrontarsi con quel cattivo che è l'Iran, perché non annulla la commessa dei Mullah iraniani per l'acquisto di 140 aerei alla Boeing? Perché gli USA vendono aerei di linea al “più grande sponsor del terrorismo del mondo"? Lasciano che Airbus prenda soldi insanguinati?
A quanto pare, le guerre americane in Afghanistan, Siria, Iraq, Yemen e Somalia non sono sufficienti a saziare il Partito della guerra. Adesso vuole istigare i Sunniti del Medio Oriente contro gli Sciti, che sono dominanti in Iran, Iraq, Siria e Sud del Libano e sono una maggioranza in Bahrein e nelle regioni produttrici di petrolio dell'Arabia Saudita.
I militari USA avranno lavoro. Il presidente Trump potrebbe avere bisogno di truppe transgender, dopo tutto...
Uno dei motivi per cui Trump ha sconfitto i suoi rivali repubblicani nel 2016 era che sembrava condividere il desiderio del popolo americano di concentrarsi sulla politica interna. Tuttavia, oggi, i rapporti USA con la Cina e la Russia sono così cattivi come mai sono stati in decenni, mentre si parla di guerra contro l'Iran e la Corea del Nord.
E' questo che l'America ha votato, o è contro questo che l'America ha votato?
Articolo originale in Inglese apparso su Buchanan.org  con il titolo: Shall We Fight Them All? il 31 Luglio 2017
Traduzione dall'Inglese di Gb.P.

martedì 8 agosto 2017

Mons. Abou-Khazen, da Aleppo: "Qui le sfide sono molte e complesse, ma la volontà della gente di vivere e ricostruire trionferà sulle paure e sulle difficoltà"


Comunicato di mons Georges Abou-Khazen – francescano della Custodia di Terra Santa e Vicario apostolico di Aleppo

Pochi giorni prima del Natale 2016, Aleppo è stata liberata ed unificata dopo quattro anni di guerra e violenza. Città divisa, assedio quasi totale, bombardamenti alla cieca sui quartieri che hanno seminato morte e terrore tra i civili, disoccupazione, elettricitá del tutto tagliata e atavica mancanza di risorse idriche. La liberazione della cittá da parte dell’esercito regolare ha segnato una nuova tappa nella guerra siriana: la speranza e l’incentivo di liberare dai gruppi terroristici il resto del Paese, ed in modo speciale ha allontanato la paura della divisione della Siria, nonché la possibilità di creare uno Stato moderno dove i diversi gruppi etnici e religiosi possano vivere in pace ed in armonia.  Il tempo di festeggiare un evento così importante come la liberazione della città deve lasciare ora il posto alle gradi sfide che ci aspettano per il nostro futuro:
1 – Dopo aver liberato e unito tra loro i quartieri attraverso le reti viarie, è necessario ri-unire e riconciliare gli abitanti.
2 – Superare il trauma della guerra e del terrore che ha colpito tutti gli abitanti, in un modo speciale i bambini e i giovani.
3 – Dare assistenza ai minori rimasti orfani dei genitori. Le statistiche,  parlano di più di duemila bambini in questa condizione; il Governo sta cercando di registrarli fornendo loro i documenti necessari.
4 – Molti bambini non hanno potuto frequentare la scuola per quattro o cinque anni. Va colmato questo vuoto di educazione e insegnamento.
5 – C’è da occuparsi di un’intera popolazione rimasta senza lavoro né soldi a causa del perdurante conflitto.
6 – Ricostruzione degli edifici sventrati, compresi i mercati della città vecchia, gli edifici pubblici e religiosi, ad esempio tutto il patrimonio delle chiese di Aleppo, distrutte o parzialmente danneggiate.
7  – A questo problema si lega la necessità di fornire un alloggio alle famiglie rimaste senza casa.
8 – Una grande sfida è quella di far tornare la fiducia nelle persone e allontanare la diffidenza nei confronti delle altre comunità etniche.
9 – Molte famiglie, dopo essere emigrate, stanno già tornando ad Aleppo. Questo fenomeno va incentivato, aiutando chi aveva un’attività a ricominciare.
10 – All’interno della comunità cristiana ci stiamo ponendo interrogativi sul nostro futuro. Una cosa è certa: la Chiesa in Aleppo e  in tutta la Siria non sarà più la stessa. Questo conflitto ha creato un prima e un dopo. Ad Aleppo stiamo pensando di organizzare un Sinodo inter-comunitario che coinvolga tutti i riti cattolici presenti nella città (sei riti con sei vescovi).
Le esigenze e le sfide sono molte e complesse, ma la volontà della gente di vivere e ricostruire trionferà sulle paure e sulle inevitabili difficoltà. Il Signore ci doni la sua Pace per il bene della Siria e di tutta la regione.

venerdì 4 agosto 2017

Siria, che ipotesi si possono fare per il dopo ISIS?

di Mario Villani

A conclusione del mio precedente articolo  ho espresso il timore che la fine dell’ISIS non avrebbe comportato automaticamente la fine del conflitto in corso ormai da sei anni, ma solo il suo passaggio ad una fase differente. Qualche amico mi ha accusato di eccessivo pessimismo (e spero che abbia ragione) e mi ha comunque chiesto di spiegare sulla base di quali elementi ho formulato una simile previsione.
Vedrò di spiegarmi meglio.

In primo luogo devo però fornire alcuni aggiornamenti sulla situazione sui campi di battaglia.
L’offensiva lanciata sul Qalamoun da parte degli eserciti siriano e libanese, ma, soprattutto, dagli Hezbollah si è conclusa con la vittoria di questi ultimi  e la completa disfatta degli islamisti che hanno dovuto abbandonare le loro posizioni attorno ad Arsal ed accettare di arrendersi pur di poter raggiungere incolumi la provincia di Idleb. Contemporaneamente è continuata, da due direzioni, la marcia di avvicinamento dell’esercito siriano alla città assediata di Der Ezzor. Quest’importante centro sull’Eufrate era stato scelto dall’ISIS (ma soprattutto dai suoi ispiratori) come capitale di uno stato wahabita che avrebbe dovuto nascere dalla disintegrazione della Siria. Per questa ragione, da tre anni, l’ISIS ha impegnato su questo fronte i suoi reparti migliori e più determinati lanciando centinaia di attacchi che però non sono riusciti a vincere la resistenza delle truppe siriane trincerate in alcuni quartieri della città ed intorno al suo aeroporto.
Quando su questo fronte tutto sarà finito bisognerà che qualcuno faccia conoscere al mondo come poche migliaia di paracadutisti, appoggiati da qualche volontario locale siano riusciti siano riusciti a tenere le loro posizioni, malgrado la scarsità dei rifornimenti, contro un nemico molto più numeroso e tanto determinato da lanciare centinaia di kamikaze contro le loro linee.

Perchè quindi, malgrado questi sviluppi positivi, continuo a non vedere vicina la fine del conflitto in Siria? Perchè, secondo me ci sono dei nodi che sono ben lontani dall’essere sciolti.
Vediamo quali sono.

Il primo: i Curdi. Di fatto il nord della Siria è in buona parte sotto il controllo di milizie curde che si comportano come se ormai fossero una nazione indipendente, addirittura arrivando a praticare una forma di pulizia etnica soft ai danni della popolazione araba. Se l’enclave curda situata a nord di Aleppo potrebbe forse accettare ancora l’autorità, almeno formale, di Damasco pur di essere difesa dalla minaccia dei Turchi, la più grande enclave situata a nord est è guidata da milizie che, sentendosi appoggiate dagli USA ed essendo protagoniste della presa di Raqqa, puntano senza mezzi termini ad una completa indipendenza che però il governo siriano non è disposto a concedere.

Secondo nodo: i Turchi. Ankara ha oggi in Siria due obbiettivi primari: impedire con ogni mezzo la nascita di uno stato curdo (a meno che non sia governato da sue marionette) e non uscire a mani vuote dal conflitto. Se le milizie che appoggia e finanzia non riusciranno a conseguirle questi due obbiettivi non è escluso che la Turchia decida di intervenire direttamente in maniera molto più massiccia di come ha fatto fin’ora.

Terzo nodo: Israele. Tel Aviv vede con preoccupazione il ritorno dell’esercito siriano (e di Hezbollah) sulle sue frontiere e preferisce di gran lunga che vi siano dei piccoli stati cuscinetto indipendentemente da chi governati. Qualcosa del genere fece, anni addietro, in Libano promuovendo, nelle regioni meridionali, la costituzione di una milizia denominata Esercito del Libano Sud che però si sciolse come neve al sole di fronte all’offensiva di Hezbollah.

Quarto nodo: la provincia di Idleb e regioni confinanti. In questa provincia sono ormai concentrate decine di migliaia di islamisti, fuggiti da altre aree del paese riconquistate dall’esercito siriano. Queste bande hanno i loro protettori internazionali che attualmente sono però in rotta tra di loro. Una eventuale offensiva siriana su Idleb potrebbe però ricompattare Arabia Saudita, Turchia e Qatar e spingerle a riprendere l’aiuto ai loro alleati sul campo.

Ultimo nodo: gli USA. Da anni perseguono in Medio Oriente quella che può essere definita una vera e propria strategia del caos. Non vi sono segni che questa strategia sia stata affossata. Sembrerebbe che Trump non la condivida, ma quanto comanda realmente Trump oggi? E soprattutto per quanto resterà ancora Presidente degli Stati Uniti? Di fatto la presenza (illegale) di truppe americane in Siria non solo non è diminuita, ma anzi negli ultimi mesi si è rafforzata.

A fianco di queste problematiche vi sono quelle che riguardano invece il campo opposto, quello dei sostenitori del Governo di Damasco.

Ne accenno solo a due.

1) Il regime Baatista non è compatto, ma è da sempre diviso in due anime. Una laicista, socialisteggiante, militarista, caratterizzata in passato per l’ammirazione verso l’Unione Sovietica. L’altra moderata, liberista, favorevole a caute riforme sia in campo economico che politico. Se Afez Assad era stato un’esponente della prima anima, Bashar Assad sembrerebbe protendere più verso la seconda. Queste due anime, a fronte del pericolo mortale corso dalla Siria, si sono ricompattate, ma le differenze rimangono ed anzi temo che qualcuno, in particolare nelle Forze Armate che oggi hanno acquisito un enorme prestigio e che hanno una tradizione di “interventi” in politica, mediti già una resa dei conti interna al partito Baath.

2) Per fronteggiare la minaccia delle bande islamiste in molte città e villaggi sono nate e si sono organizzate molte milizie locali. Alcune hanno svolto un’azione efficace e preziosa (basti pensare alle milizie cristiane di Maalula e Qamishli). Altre si sono dedicate più che altro a taglieggiare i propri concittadini suscitando malcontento e rancori. Non sarà facile, al termine del conflitto, far rientrare nei ranghi e convincere a riprendere una vita normale questi miliziani che da anni, di fatto, vivono di violenza.

Ovviamente mi auguro che questi miei timori si rivelino privi di fondamento e che per la Siria il giorno della Resurrezione sia vicino. Per questo ribadisco ci si debba affidare in egual misura a San Marone (che era siriano) ed alle capacità diplomatiche del Ministro degli Affari Esteri della Russia, Lavrov.

    Mario Villani
PS
Il 31 luglio la Chiesa Maronita ha celebrato la Giornata dei Martiri delle Chiese d’Oriente. Qualcuno ha sentito qualcosa sui media mainstream?

http://www.appunti.ru/articolo.aspx?id=957&type=home

martedì 1 agosto 2017

Idlib, futura capitale dello Stato Islamico?

  
158 bus sono pronti a trasferire 9mila jihadisti di alQaeda e le loro famiglie verso Idlib, dopo la sconfitta di AlQaeda in Arsal ( dai campi profughi libanesi che occupavano), a seguito di accordo con Hezbollah

Pubblicato il 27 Luglio 2017 da CHRÉTIENS DE SYRIE POUR LA PAIX
Nel mese di aprile 2015, l'alleanza tra al-Nusra, (poi ribattezzato Fath Al-Sham) e il gruppo islamista Ahrar al-Sham, che è anche il co-fondatore con l'Esercito dell'Islam del "Fronte islamico", ha permesso la creazione dell'Esercito della Conquista. In pochi giorni, questo esercito ha preso il completo sopravvento in questa provincia di Idlib. Come Daesh, entrambe le organizzazioni sostengono la creazione di uno Stato islamico e le loro impronte settarie appaiono su tutti i muri, marcando con le loro mani la conquista della città e dei suoi abitanti. L'Esercito della Conquista è stato ribattezzato: Tahrir al-Sham.
Bisogna sapere che questa provincia è la meta preferita dei "jihadisti" cacciati dalla città di Aleppo e dai villaggi liberati dall'esercito siriano. Si trovano in questa provincia anche gruppi di miliziani di diversi paesi: Turchi, Ceceni, Uighuri, Sauditi, Francesi, Belgi ... Questi gruppi di individui, si sono impadroniti delle case e dei beni dei siriani e vi si sono stabiliti con le loro famiglie. Turchia, Qatar, Arabia Saudita e altri paesi del Golfo, hanno notevolmente facilitato il loro arrivo e hanno fornito tutto il supporto logistico necessario alla loro permanenza. E' in questa provincia che gli abitanti dei villaggi sono stati macinati in frantoi di pietra, sotto lo sguardo silenzioso e benevolo della comunità internazionale che appellava in quel periodo al sostegno ai "ribelli" e ad accogliere i rifugiati!
Ma lì, la coabitazione felice tra questi gruppi non è durata. Negli ultimi mesi, il vento è girato a Idlib e gli alleati di ieri son diventati i nemici di oggi. Le tensioni sono aumentate tra i jihadisti. E domenica, Fath al-Sham (al-Nosra) ha occupato la città e ora controlla totalmente la provincia di Idleb. Questo atto di forza è stato attuato in poche ore, senza combattere e ci ricorda tanto la caduta di Raqqa nel 2013. A quel tempo, la coppia (Al-Nosra / Ahrar al-Sham) si è impadronita della città in 24 ore senza combattere, per renderla poi un anno dopo la capitale di Daesh. I disaccordi mostrati nelle ultime settimane tra l'Arabia Saudita e il Qatar hanno qualche motivazione? O forse è stato l'annuncio della cessazione degli aiuti degli Stati Uniti che ha dato fuoco alle polveri?
Tahrir al-Sham, è classificata come organizzazione terroristica da parte delle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dalla Russia. Dal 2015, la Russia chiede agli occidentali di riconoscere anche altri gruppi islamisti come organizzazioni terroristiche, purtroppo senza successo. E le "teste pensanti" del Quai d'Orsay han voluto forzare l'Unione europea ad aiutare questi "ribelli" nella amministrazione della provincia!
Adesso che la distinzione è chiara, che cosa diventerà la provincia di Idleb? Andrà a sostituire Mosul per diventare il nuovo feudo di uno Stato Islamico?
  traduzione dal francese di GB.P

lunedì 31 luglio 2017

31 luglio “Giornata dei Martiri delle Chiese d'Oriente”






FIDES:   La Chiesa maronita celebra il  31 luglio la "Giornata dei Martiri delle Chiese d'Oriente", nel quadro dell'Anno del Martirio e dei Martiri” proclamato dal Patriarca maronita Bechara Boutros Rai come tema speciale per fare memoria di quanti perdono la vita perchè portano il nome di Cristo. 
La decisione di dedicare l'ultimo mese di luglio alla celebrazione dei martiri delle Chiese orientali e stata confermata venerdì 14 luglio, in occasione dell'incontro tra Presidente libanese Michel Aoun e un comitato patriarcale, ricevuto dal Capo di Stato nel Palazzo presidenziale di Baabda, a Beirut. 
I membri del comitato patriarcale, presieduto da Mounir Khaïrallah, Vescovo di Batrun, si erano recati dal Presidente Aoun per invitarlo ufficialmente all'ncontro in programma domenica 30 luglio presso la sede patriarcale estiva di Diman, in occasione della presentazione dell'Enciclopedia dei martiri delle Chiese d'Oriente, opera di padre Elias Khalil. 

L'Anno del Martirio e dei Martiri, proclamato dalla Chiesa maronita, è iniziato lo scorso 9 febbraio, giorno della Festa di San Marone, e concluderà il 2 marzo 2018.
http://fides.org/it/news/62646-ASIA_LIBANO_
La_Chiesa_maronita_celebrera_il_31_luglio
_la_Giornata_dei_Martiri_delle_Chiese_d_Oriente#.WX8yt4TyiM-

sabato 29 luglio 2017

Aleppo: "La speranza è qui qualunque cosa accada e i Siriani sono forti"

Nonostante la mancanza di clienti e la distruzione, le persone cercano di ritrovare la loro vita di prima, hanno riaperto piccoli negozi, una fabbrica di ghiaccio che la gente va a cercare in blocchi per conservare i cibi, meccanici, sarti, panettieri...

Restano anche molti razzi ed esplosivi nella maggior parte delle strade che non sono state sgomberate, alla liberazione molte persone sono morte sulle trappole collocate dai terroristi.

 Nonostante la calma su una buona parte della città, la situazione è difficile, non solo i terroristi ci sparano ancora addosso, ma soprattutto economicamente a causa delle sanzioni votate da molti paesi (tra cui la Francia- e l'Italia n.d.t.) contro la popolazione Siriana che non ha per molti, altro che la scelta se non la speranza di trovare un nuovo inizio migrando in Europa: su una pietra due colpi per l'Europa in termini di meccanismo di guerra per distruggere un paese. Il bersaglio privilegiato? Le persone.
La speranza è qui qualunque cosa accada e i Siriani sono forti.


La fede cristiana è nata in Oriente, in Siria, e la rinascita cristiana deve partire proprio da lì”.
SIR, 27 luglio 2017

Ne è convinto mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo di Aleppo, che in un appello al Sir chiede ai Paesi occidentali di “incoraggiare i profughi a tornare in Siria”: “Aiutateci a rimanere dove siamo nati e dove la Chiesa è nata”.
Sono vescovo da 22 anni – racconta – e 5 anni fa riflettevo per preparare la mia successione e mettere a posto le cose. Poi è arrivata la guerra e mi sono detto: ‘Non è il mio momento, devo fare qualcosa per aiutare il mio popolo’”.
Un “grandissimo problema” è rappresentato dall’esodo dei cristiani: “La prima Chiesa è stata stabilita in Siria, mentre in Palestina i cristiani erano fuori legge qui si riunivano in pubblico. C’è qualcosa di molto speciale nei cristiani di Siria. Ho consacrato il resto della mia vita alla loro permanenza in questa terra santificata dal sangue di milioni di martiri e dalle reliquie di migliaia di cristiani che sono morti in Siria. Lotto per fare tutto quello che posso contro questa emorragia”.

Il vescovo ha lanciato anche il programma “Aleppo vi aspetta”, per invitare i cristiani a tornare nel loro Paese: “Siamo pronti ad aiutare tutti coloro che vogliono, ma non possono. Paghiamo il viaggio e offriamo una casa per 4 anni, li aiutiamo con il lavoro e ospitiamo i figli nelle scuole cattoliche. Se alcune famiglie cominceranno a tornare, potrà cambiare il ciclo e il futuro sarà migliore. Quando la guerra finirà, il lavoro ci sarà e la gente sarà felice di vivere ad Aleppo”.

mercoledì 26 luglio 2017

Il piano Yinon di Israele, wabbismo e guerre USA: i cristiani arabi spinti all'esodo di massa.

 "Il pericolo reale sta nel fatto che il mondo cristiano perde gli ultimi di coloro che furono i primi cristiani... le ultime anime antiche della terra". Tale è la previsione di uno scrittore per quanto riguarda l'esodo continuo dei cristiani arabi dal Medio Oriente - un esodo innescato dal neocolonialismo occidentale e dall'espansione sionista che si adatta al sistema militare-industriale.
Negli Stati Uniti, la religione è una parte importante della vita pubblica - tanto che spesso trova la sua strada anche in politica. A livello della politica nazionale, è stato storicamente difficile vincere un'elezione, soprattutto a livello nazionale o statale, se si segue una fede non condivisa dalla grande maggioranza degli americani religiosi: il cristianesimo.
Questo fenomeno è ancora più pronunciato dopo l'ascesa della "maggioranza morale" negli anni '80. Ma nonostante l'importanza del cristianesimo nella vita pubblica e privata dei cittadini e dei politici americani, i cristiani americani hanno suscitato pochissima preoccupazione per il destino del cristianesimo laddove esso è nato: il Medio Oriente.
Il paesaggio religioso del Medio Oriente si è spostato significativamente negli ultimi anni, poiché i gruppi religiosi chiave, inclusi i cristiani, stanno allontanandosi da questi luoghi con esodi di massa. Secondo Todd Johnson, direttore del Centro per lo Studio del Cristianesimo globale presso il Seminario teologico di Gordon-Conwell, i cristiani saranno circa il 3,6 per cento della popolazione della regione entro il 2025. Un secolo prima invece, i cristiani rappresentavano il 13,6 per cento della popolazione del Medio Oriente..
La maggior parte degli studi sull'argomento hanno citato l'emigrazione come causa principale del forte crollo della presenza cristiana nel Medio Oriente, mentre alcune notizie citano altri fattori che hanno spinto molti cristiani mediorientali a cercare nuove vite all'estero. Molte delle più importanti indagini del fenomeno hanno accusato i conflitti sciiti-sunniti e il terrorismo a spingere i cristiani e le altre minoranze religiose a partire. Ma hanno anche trascurato di menzionare il ruolo degli interventi stranieri e degli sforzi per cambi di regime condotti dagli Stati Uniti per creare queste crisi. Mentre la maggior parte dei politici "cristiani" negli Stati Uniti sono attenti a non evidenziare questo fatto, i cristiani del Medio Oriente sono molto consapevoli che gli interventi stranieri da parte dei governi occidentali hanno reso quasi impossibile per loro continuare a vivere in Medio Oriente.
Marwa Osman, docente presso l'Università Internazionale del Libano e commentatore politico, lo ha sostenuto con forza in un'intervista con MintPress News: "Le lotte "morali "dei cristiani in Occidente riguardano principalmente l'aborto, il controllo delle nascite, il gender e il matrimonio omosessuale, dove queste convinzioni raramente sono causa della persecuzione politica e fisica (questo era vero fino a qualche tempo fa, ma ora anche qui la questione sta diventando più difficile - ndt). Quando i gruppi etnici o religiosi sono sottoposti a violenze organizzate e persecuzioni a motivo di quello che sono e della loro fede, la loro situazione dovrebbe essere affrontata con urgenza, perché è così che avviene il genocidio, ma proprio questo è ciò che l'Occidente non sta facendo. Anzi, l'Occidente continua a investire in più guerre che portano inevitabilmente ad un esodo cristiano dal Medio Oriente".
L'inizio del cristianesimo è avvenuto in Medio Oriente
Il Medio Oriente è molto più che semplicemente la patria del cristianesimo. E' anche la regione in cui la religione ha attecchito per prima e dove nacque la prima comunità che trasformò gli insegnamenti di Gesù Cristo in una delle fedi principali del mondo. Tutta la regione è costellata di comunità cristiane antiche di mille, o in qualche caso, di duemila anni, alcune delle quali fondate dai primi Padri della chiesa e, in alcuni casi, da discepoli di Gesù Cristo stesso.
Per esempio, la tradizione afferma che il cristianesimo è stato portato in Iraq da San Tommaso e da suo cugino Addai nel primo secolo d.C., diventando poi una roccaforte per un mosaico di gruppi cristiani, compresi gli gnostici. Si crede inoltre che San Pietro e San Paolo portarono il cristianesimo in Siria, dove - ad Antiochia - il termine "cristiani" fu usato per la prima volta per indicare i seguaci di Gesù.
Nei primi secoli dell'ultimo millennio, era nel Medio Oriente che dominava la leadership cristiana e la comunità dei seguaci di Gesù. Quando la chiesa cattolica fu ufficialmente costituita al Concilio di Nicea, in Medio Oriente c'erano più vescovi che in Europa occidentale.
Mentre l'ascesa dell'Islam avrebbe presto modificato drasticamente il paesaggio religioso della regione, il cristianesimo vi ha mantenuto un ruolo importante da allora e nei secoli successivi, specialmente nei paesi in cui ha mantenuto un notevole rilievo, come in Egitto e nel Libano. Anche nelle nazioni con maggioranze musulmane, i cristiani si sono rivelati una minoranza economicamente importante, con conseguenti implicazioni politiche.
Ma i cristiani arabi del Medio Oriente non hanno mai avuto vita facile. Per molti degli ultimi 2000 anni i cristiani della regione sono stati perseguitati da più parti, tra cui l'impero ottomano del XIX° e il XX° secolo, la cui campagna brutale contro i cristiani arabi è costata la vita di oltre 2milioni di persone. Avendo sofferto così tanto, la resilienza e la resistenza dei cristiani del Medio Oriente è diventata leggendaria. Ma furono i musulmani in Siria, in Iran, nel Libano e in Palestina che fornirono rifugio ai cristiani perseguitati dagli ottomani mentre questi stabilivano e ampliavano il loro impero. A causa di questa storia travagliata, la presenza di cristiani arabi in tutta la regione è stata un fattore della proliferazione della laicità araba nei paesi selezionati, vale a dire la Siria, Iraq pre-invasione, Iran e Libano. Dopo tanti secoli in cui sono stati nel mirino e perseguitati, i cristiani del Medio Oriente sono ancora tra i più appassionati sostenitori della laicità del potere, nella regione.
Abdo Haddad, uno scrittore cristiano siriano che ora vive in Europa, ha dato questa spiegazione in un'intervista con MintPress News: "siccome i cristiani dell'Oriente hanno sviluppato un senso politico di sopravvivenza nel corso degli anni, la loro prima scelta è stata quella di assicurare e sostenere uno Stato forte gestito dalle leggi e, preferibilmente, con un'amministrazione laica ".
Ma se i cristiani continuano ad abbandonare il Medio Oriente in gran numero, la laicità stessa potrebbe diventare una reliquia della ricca storia della regione. Come Todd Johnson ha detto al Wall Street Journal, "La scomparsa di tali minoranze lascia campo libero ai gruppi più radicali che dominano nella società. Le minoranze religiose, almeno, hanno un effetto moderatore ". Haddad ha aggiunto che la più grande minaccia è ancora più grave. "Il pericolo reale sta nel fatto che il mondo cristiano perde gli ultimi dei primi cristiani, le ultime guardie, le ultime anime antiche della terra. Se uccidere una comunità così unica e profonda e la civilizzazione che ne è seguita, avviene così facilmente come sembra, immaginate cosa sarebbe accaduto nelle vostre nazioni una volta che voi osaste annunciare la vostra fede o la vostra origine ... ..
Cristianesimo e cambiamento di regime in Iraq, Siria e Iran
È interessante notare che i paesi che hanno protetto le minoranze religiose in nome di una laicità araba sono quelli che si sono trovati a essere gli obiettivi di progetto di cambio di regime condotti dagli Stati Uniti nel corso degli anni. La Siria è il primo esempio, essendo un obiettivo degli Stati Uniti già dagli anni '80. La più recente aggressione si è manifestata in una guerra massiccia in cui i ribelli "estremisti" stranieri hanno cercato di deporre il presidente siriano Bashar al-Assad dal 2011. I cristiani della Siria, protetti dall'impegno verso la laicità del governo siriano, hanno sostanzialmente sostenuto Assad durante tutta la vicenda.
Il presidente siriano Bashar al-Assad, a destra, visita una chiesa danneggiata dai miliziani jihadisti, durante una visita al villaggio cristiano di Maaloula, vicino a Damasco, in Siria. 20 aprile 2014.
Come ha osservato Haddad, quelli che hanno familiarità con la crisi siriana sono ben consapevoli del fatto che i cristiani siriani sostengono con convinzione il governo siriano nella lotta contro le milizie estremiste. "Alla gente siriana, inclusi i cristiani, piace il presidente e vedono in lui speranza per il futuro. Questo non significa che i cristiani non vogliono riforme e cambiamenti, ma le vogliono in modo civile, graduale e progressivo (a differenza di quanto accaduto in Libia)". Osman ha affermato che i cristiani siriani sostengono il governo anche perché le regioni controllate dal governo sono le uniche regioni della Siria in cui i suoi 2,5 milioni di cristiani sono sicuri e trattati come uguali a fianco dei musulmani della nazione. "La caduta del regime sarebbe stata seguita immediatamente da massacri, da nuove ondate di profughi che si sarebbero diretti verso ovest e dall'imposizione di una dittatura islamica. Se questi territori fossero caduti in mano ai jihadisti di al-Nusra affiliato di al-Qaeda piuttosto che all'ormai quasi scomparso ISIS, per i cristiani la differenza sarebbe stata irrilevante perché sarebbero stati assassinati, esiliati o schiavizzati ".
L'alternativa ad Assad offre ben poco ai cristiani della Siria, poiché le forze armate dell'opposizione sono fortemente legate al wahhabismo e all'estremismo islamico, avendo spesso sollecitato l'istituzione di uno stato Islamico che aderisca all'ideologia colonialista finanziata da nazioni occidentali come il Regno Unito e gli Stati Uniti . Ciò finirebbe per metter fine all'impegno storico della Nazione a favore della laicità e metterebbe in pericolo i numerosi gruppi di minoranze religiose che da tempo convivono Siria. Ad esempio, il Fronte al-Nusra, gruppo jihadista con legami con al-Qaeda, ha ripetutamente preso di mira i cristiani in Siria. Al-Nusra è stato recentemente tolto dalla lista nera dei terroristi sia negli Stati Uniti che in Canada dopo aver semplicemente cambiato il proprio nome.
Anche i "ribelli" direttamente armati dagli Stati Uniti, come l'esercito siriano libero (ESL o FSA), hanno massacrato i villaggi di cristiani per tutto il corso della guerra. Nel 2013, l'esercito siriano libero ha bombardato il villaggio di al-Duvair, a maggioranza cristiana, vicino al confine libanese, massacrando tutti i suoi residenti civili, tra cui donne e bambini. Come ha detto Osman a MintPress: "In Siria il governo degli Stati Uniti rimane impegnato a sostenere i "ribelli ", anche se tra queste milizie i "moderati" non esistono: tutte le forze significative sul campo sono fondamentalisti Wahhabiti che perseguitano i cristiani".
L'Iraq è un altro esempio di come il cambiamento di regime operato da USA e Inghilterra abbia influenzato l'esodo dei cristiani provenienti dal Medio Oriente. L'invasione ha fatto sfollare milioni di iracheni, molti dei quali non sono ancora ritornati a casa ed ha cancellato molte delle capacità irachene di procurarsi di che vivere, annientando l'industria agricola, un tempo considerevole risorsa della nazione. Durante e dopo l'invasione, i cristiani sono stati considerati vicini al regime di Saddam Hussein, dato che il suo ultimo ministro degli Esteri, Tariq Aziz, era un cristiano caldeo. La comunità cristiana caldea, che era di circa 1,4 milioni di fedeli, prima dell'invasione del 2003 era molto ben considerata sotto Saddam Hussein. Dopo la sua eliminazione e il caos di quel periodo, la popolazione cristiana irachena è diminuita a meno di 300.000 unità.
Dahlia Wasfi, un'attivista iracheno-americana, ha detto a MintPress News che il regime iracheno, sostenuto dagli USA dopo l'invasione, ha svolto un ruolo fondamentale anche nell'avvio dell'esodo cristiano. Wasfi afferma che "la più grande minaccia, specialmente per le famiglie cristiane (così come per le sunnite) era il governo conservatore sciita portato al potere in Iraq dal governo USA nel 2005 (le elezioni erano gestite dagli occupanti). Negli anni successivi, squadroni della morte sostenuti dal governo, terrorizzavano la popolazione, costringendo molte famiglie cristiane e sunnite ad andarsene". Gli assalti recenti contro le città irachene di Fallujah, Ramadi e la cosiddetta "liberazione"di Mosul in corso, - ha affermato Wasfi - sono una continuazione degli sforzi del governo Sciita conservatore per cambiare la demografia sul terreno e consolidare il proprio dominio". È interessante notare che molte delle squadre della morte, riferisce Wasfi, sono state addestrate direttamente dagli Stati Uniti, suggerendo che l'esercito statunitense ha avuto un ruolo fondamentale nel prendere di mira i cristiani all'interno dell'Iraq.
Oltre agli esempi chiari della Siria e dell'Iraq, l'Iran - dove le comunità cristiane sono fiorenti - è l'ultimo paese obbiettivo dei neoconservatori occidentali, come dimostra la retorica del presidente Donald Trump durante il suo primo viaggio estero.
Mentre l'Iran è stato da tempo dipinto dai media USA, come discriminatorio nei confronti dei cristiani, le sue comunità cristiane caldee e armene sono protette dalla costituzione iraniana e dalla rappresentanza politica garantita loro in parlamento. Anche gli ebrei e gli zoroastriani sono protetti allo stesso modo. Tuttavia, i cristiani evangelici in Iran sono stati perseguitati, in particolare per l'accusa di proselitismo nei confronti dei musulmani e verso membri di altre religioni non cristiane. La popolazione cristiana totale in Iran è difficile da valutare accuratamente, con alcuni gruppi che affermano esservene 450.000, mentre altri sostengono che ce ne sono ben 1 milione.
Mentre la laicità non è al momento il fattore guida per il 'cambiamento di regime' condotto dagli Usa in Medio Oriente, l'obbiettivo dell'Occidente contro le nazioni laiche mediorientali che proteggono i cristiani è un fattore innegabile per far comprendere l'esodo dei cristiani dalla regione.
La persecuzione dei cristiani dilaga in Arabia Saudita e Israele
In ogni caso, altre nazioni del Medio Oriente - soprattutto quelle sostenute dall'Occidente - sono ben note per la loro persecuzione delle minoranze religiose. In nessun posto è più vero che nel Regno dell'Arabia Saudita e nello stato di apartheid in Israele.
In Arabia Saudita, il governo condanna apertamente chiunque non sia conforme alla setta Wahhabita dell'Islam abbracciata dalla Casa Saud ed è il prodotto del colonialismo britannico volto a rovesciare l'impero ottomano. Il Wahhabismo è un concetto religioso e politico puritano che si rivolge non solo a fedi diverse dall'Islam ma anche ad altri musulmani. Come Human Rights Watch ha osservato nella sua relazione mondiale per il 2013: "L'Arabia Saudita non tollera il culto pubblico da parte di religioni diverse dall'Islam e discrimina sistematicamente le sue minoranze religiose musulmane, in particolare Sciiti e Ismaeliti. Il capo mufti in marzo ha imposto la distruzione di tutte le chiese della penisola araba ". Nel 2014, il governo saudita ha imprigionato 28 cristiani a motivo di una celebrazione religiosa in una casa privata nella città di Khafji. Il luogo della loro detenzione rimane ancora sconosciuto. All'epoca, Nina Shea, direttrice del Centro per la libertà religiosa dell'Hudson Institute di Washington, ha detto a Fox News: "L'Arabia Saudita continua la pulizia religiosa che è sempre stata la sua politica ufficiale".
Ma peggio del trattamento saudita delle minoranze religiose all'interno delle proprie frontiere è la loro esportazione all'estero della loro intollerante ideologia wahhabita. Molti gruppi terroristici estremisti - tra cui Daesh (ISIS) e al-Qaeda - sono seguaci del wahhabismo ed entrambi sono i beneficiari principali dei finanziamenti sauditi, ai quali (alla data in cui scriviamo ndt) né il governo saudita né quelli dei suoi alleati in Occidente hanno cercato di porre fine. L'Arabia Saudita è il più grande esportatore e finanziatore al mondo del terrorismo radicale Wahhabita. Questi gruppi, come è stato dimostrato dalle loro azioni in Iraq, in Siria e altrove, tendono a puntare contro le minoranze religiose, in particolare i cristiani.
Un altro alleato principale dell'Occidente in Medio Oriente, noto per la discriminazione dei Cristiani, è Israele, meglio conosciuto per la sua persecuzione dei palestinesi, sia musulmani che cristiani, che mira ai non ebrei a causa di un sistema di apartheid di tipo etnico-religioso. Come Wasfi ha spiegato a MintPress, "l'occupazione militare tramite un sistema di colonizzazione adottato dallo Stato Israele, sostenuta dai governi occidentali" è stato un fattore importante dell'esodo dei cristiani dal Medio Oriente. Il governo di Israele ha una lunga storia di dissacrazione delle chiese e persecuzione dei Cristiani Palestinesi storici. Ad esempio, dopo la cattura di Jaffa da parte delle forze ebraiche sioniste-europee nel maggio 1948, il sacerdote cattolico palestinese padre Deleque, ha riferito: "I soldati ebrei hanno rotto le porte della mia chiesa e hanno rubato molti oggetti preziosi e sacri. Poi hanno gettato le statue di Cristo in un giardino vicino ". Ha aggiunto che, mentre i leader ebrei avevano rassicurato che gli edifici religiosi sarebbero stati rispettati, "le loro azioni non hanno corrisposto alle loro parole ". Nello stesso anno, l'Unione Cristiana della Palestina si lamentava pubblicamente che le forze ebraiche sioniste-britanniche avevano usato diverse chiese cristiane e istituzioni umanitarie a Gerusalemme come basi militari e le hanno dissacrate. Aggiunse poi che tre sacerdoti e più di 100 donne e bambini furono uccisi dai bombardamenti indiscriminati sui loro luoghi di culto dalle forze sioniste-ebraiche europee. La discriminazione di Israele contro i cristiani palestinesi è proseguita fino ad ora. Per esempio, nel 1982, la Chiesa Battista di Gerusalemme fu incendiata e distrutta. Nessuno è mai stato incolpato. Quando i Battisti cercarono di ricostruire la chiesa, gruppi di ebrei dimostrarono contro il progetto e la commissione di pianificazione distrettuale rifiutò di concedere il permesso di ricostruzione. Tre anni dopo, la Corte Suprema israeliana comunicò ai Battisti di lasciare “tutta l'area ebraica". Tali atti continuano tutt'oggi. Il pastore Steven Khoury, cristiano arabo-israeliano, ha dichiarato: "Non c'è persecuzione in Terra Santa ... a meno che non condividi la loro fede", in un'intervista alla Voce dei Martiri, un'associazione cristiana non-profit che mette in evidenza la persecuzione dei cristiani in tutto il mondo. Khoury ha detto di aver assistito in molte occasioni ad attacchi verso membri della chiesa a causa della loro fede.
Guarda '60 minuti di indagine sulla persecuzione in Israele dei cristiani in Palestina': 
I cristiani palestinesi, a causa della loro etnia, sono stati i più colpiti da parte dello Stato israeliano, fuggendo dalla loro patria insieme a migliaia di connazionali non cristiani. Quando le milizie sioniste invasero la Palestina per creare lo stato di Israele nel 1948, i cristiani palestinesi erano circa 200.000. Nel 1995, i cristiani palestinesi che vivevano nella regione erano solo 50.000. Ora, dei circa 400.000 palestinesi cristiani, la maggior parte vive all'estero, soprattutto nelle Americhe.
Il piano Sionista per la superiorità israeliana esclude i Cristiani
Allora, perché l'Occidente ha colpito soprattutto nazioni laiche, sostenendo per contro simultaneamente i Paesi e gruppi estremisti che perseguitano le minoranze religiose, in particolare i cristiani? Mentre l'attacco al laicismo nel mondo arabo potrebbe essere una conseguenza del neocolonialismo occidentale nella regione, i piani a lungo termine per il dominio regionale di Israele - un obiettivo fortemente sostenuto dall'Occidente, in particolare dagli Stati Uniti - mette in luce le potenziali ragioni della riluttanza dell'Occidente a rispettare la diversità religiosa in Medio Oriente.
Il piano Yinon, come è noto, è una strategia intesa a garantire la superiorità regionale di Israele in Medio Oriente, e questo implica soprattutto la riconfigurazione dell'intero mondo arabo in stati settari più piccoli e deboli.
Come ha rilevato Mahdi Darius Nazemroaya in un articolo del 2011 per Global Research: "Gli strateghi israeliani hanno visto l'Iraq come la loro più grande sfida strategica da uno Stato arabo. Ecco perché l'Iraq è stato definito come il punto centrale della balcanizzazione del Medio Oriente e del mondo arabo. In Iraq, sulla base delle visioni del piano Yinon, gli strateghi israeliani hanno chiesto la suddivisione dell'Iraq in uno stato kurdo e due stati arabi, uno per i musulmani sciiti e l'altro per i musulmani sunniti ".
Questo piano è stato ampiamente sostenuto da numerosi politici americani - in particolare dall'ex vicepresidente Joe Biden, che ha spinto per una risoluzione non vincolante attraverso il Senato che ha richiesto di dividere l'Iraq negli stessi Stati previsti dal piano Yinon.
Tuttavia, il piano di divisione dell'Iraq non comprendeva alcun territorio per i cristiani iracheni o per le altre minoranze religiose.
Il piano Yinon prevede non solo la divisione dell'Iraq. Siria, Giordania, Libano, Arabia Saudita e Egitto che dovrebbero essere tutte partizionate, secondo il piano, con parti di alcuni di questi Paesi successivamente assorbite nel "Grande Israele". Ciò può già essere visto nel gioco del conflitto siriano, dove il coinvolgimento di Israele nella guerra in gran parte ruota intorno al suo desiderio di rivendicare le alture occupate del Golan come proprie.
Una suora guarda la Chiesa della Moltiplicazione pesantemente danneggiata dopo un incendio scoppiato durante la notte vicino al mare di Galilea a Tabgha, in Israele, giovedì 18 giugno 2015. Un passo di una preghiera ebraica, che chiede l'eliminazione dell'adorazione degli idoli, fu trovata spruzzata in vernice spray su un muro esterno della chiesa cattolica.
Pertanto, potrebbe benissimo essere l'impegno dell'Occidente verso il Piano Yinon che ha contribuito a modellare la sua politica di finta ignoranza riguardante la situazione dei cristiani della regione. L'impegno dei cristiani mediorientali e la loro forte preferenza per la laicità dello Stato non ha spazio in un Medio Oriente neocoloniale che si costruisce in stati settari destinati a essere tenuti in guerra costante tra loro. Il desiderio di Israele di dominare la regione - un obiettivo sostenuto dai suoi alleati occidentali - può detenere gran parte della responsabilità per il continuo esodo dei cristiani del Medio Oriente.
Ma in definitiva, il continuo esodo dei cristiani è indicativo di una crisi più grande che la regione deve affrontare, come anni di conflitto e guerre odierne che hanno pesato sulle popolazioni e sulla zona. 
Wasfi ha indicato l'aggressione militare degli USA come il principale colpevole di questa crisi crescente. "Nel quadro più grande, l'immane perdita di vite e la devastazione di ciò che storicamente è conosciuto come la "Mezzaluna Fertile" dall'invasione, occupazione e guerra continua occidentale, è la grande tragedia. [...] Prima terminerà l'aggressione militare statunitense nella regione, prima si potrà cominciare la guarigione ".
    traduzione Gb.P. per Ops

venerdì 21 luglio 2017

Libano: offensiva contro i terroristi, dramma dei profughi siriani

 AsiaNews – 20 luglio 2017
 Un territorio di 350 chilometri quadrati, dei quali 250 in Libano e 100 in Siria è il nuovo teatro dello lotta per lo sradicamento del terrorismo islamico di Al Nusra in Medio-Oriente. Per l’esercito libanese è “finalmente giunta l’ora di chiudere il fascicolo dei disordini a Jerud Arsal” nell’estrema Bekaa, nel nord-est del Libano al confine con la Siria.
L’avanzata dei terroristi islamici che intendevano creare una continuità  territoriale di Daesh e Al Nusra da Aleppo, Idleb lungo il nord del Libano fino ad arrivare a Tripoli sul Mediterraneo è fallita, grazie alla resistenza della popolazione, dell’esercito libanese e di Hezbollah. Alcune forze finanziate da Paesi esteri hanno sempre voluto presentare l’invasione di Daesh e Al Nusra con Hezbollah come una guerra interconfessionale. Ma i crimini commessi dai terroristi islamici, fra l’altro lo sgozzamento e il rapimento di soldati di varie confessioni religiose ha subito svelato il loro vero volto.
Ieri l’esercito libanese ha fatto ingresso nei campi profughi siriani con l’intenzione di salvare i civili dagli scontri attesi per i prossimi giorni. La vicenda ha dato luogo a una campagna diffamatoria contro i siriani in generale con forti connotazioni razziali e la chiara intensione di far scoppiare scontri fra libanesi e siriani presenti nel Paese dei cedri (ormai quasi 2 milioni di profughi siriani in Libano su una popolazione di 3 milioni e mezzo di libanesi).
Per disinnescare la mina il presidente della Repubblica Michel Aoun è intervenuto ieri pubblicamente per definire “inaccettabile” la demonizzazione dei siriani come tali, fermando il crescendo delle dichiarazioni anti-siriane e ripuntando la bussola sul vero problema, ossia sulla presenza dei fondamentalisti islamici che da anni trafficano attraverso il confine con la Siria, tentando allo stesso tempo di invadere il nord del Libano e creare un principato di Daesh nella seconda citta libanese, Tripoli e accerchiando cosi la regione alauita con capoluogo Latakia.
http://www.asianews.it/notizie-it/Ore-contate-per-Al-Nusra-di-Arsal-e-Kalamun:-%E2%80%9CArrendersi-o-morire%E2%80%9D-41339.html

Libano, il dramma dei profughi siriani


Terrasanta. net  20 luglio 2017
di Fulvio Scaglione
Con 6 milioni e 200 mila abitanti e un milione e mezzo di rifugiati dalla Siria, il Paese dei cedri non ce la fa più. Il peso dei profughi crea una miscela esplosiva. Lo dicono le cronache degli ultimi giorni.
Era evidente che la situazione del Libano fosse potenzialmente esplosiva. Un Paese con 6 milioni e 200 mila abitanti e un milione e mezzo di rifugiati dalla Siria poteva tirare avanti solo grazie a uno di quei prodigi che ne costellano la storia, dai tempi dei fenici ai giorni nostri. Da anni si tirava avanti a prezzo di due sacrifici complementari: quello della popolazione locale, che aveva comunque accolto i nuovi arrivati; e quello dei rifugiati stessi che, nella speranza di un rapido ritorno a casa, si erano adattati a vivere nei campi sapendosi ben poco amati.   
Adesso il prodigio pare proprio esaurito. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la morte di quattro siriani, tutti uomini, arrestati dall’esercito libanese durante un raid nei campi profughi dell’area di Arsal, una cittadina nei pressi del confine con la Siria che nel 2014 era stata occupata per pochi giorni dai miliziani dell’Isis. I militari andavano a caccia di terroristi, sono stati accolti da un lancio di granate e da alcuni kamikaze che, secondo le fonti non ufficiali hanno lasciato sul terreno dodici morti. A quel punto quattro giovani sono stati arrestati e sono rispuntati solo qualche giorno dopo: morti. Secondo i portavoce dell’esercito, per causa naturali. Secondo le organizzazioni umanitarie, corroborate da impressionanti fotografie diffuse da alcune testate, perché picchiati e torturati.   L’episodio, già atroce in sé, ha fatto saltare il coperchio a una situazione più che precaria. Su Facebook alcuni attivisti dei campi hanno creato una pagina per promuovere una manifestazione di protesta a Beirut. Subito dopo, una manifestazione uguale e contraria è stata convocata, a sostegno dell’esercito, da cittadini libanesi. La prospettiva di uno scontro di piazza era diventata concreta, così il governo ha proibito ogni manifestazione.   
 È ovvio, però, che si tratta di un cerotto. Dal punto di vista dei libanesi, la presenza dei profughi siriani è un dramma. Dall’inizio della guerra civile siriana il loro Paese ha subito decine di irruzioni e attentati da parte dello Stato islamico e di formazioni analoghe che, con ogni evidenza, hanno nei campi profughi informatori e complici. La Banca Mondiale, inoltre, ha calcolato che oltre 200 mila libanesi sono stati spinti nella povertà a causa dell’arrivo dei siriani che, per necessità, accettano anche lavori sottopagati. Sui libanesi, inoltre, agisce anche il ricordo dell’arrivo dei palestinesi. Accoglierli doveva essere una misura temporanea, invece oltre 500 mila di loro sono ancora in Libano. E proprio la presenza dei palestinesi, e le divisioni intorno alla loro causa, fu una delle scintille che accesero la lunga (1975-1990) e terribile guerra civile che quasi distrusse il Paese.    Anche per i siriani, ovviamente, dover vivere sotto le tende in Libano, mal sopportati e duramente controllati, è drammatico. E lo dimostra il fatto che dopo il raid dell’esercito libanese ad Arsal, quasi 500 di loro hanno riattraversato il confine e sono tornati in Siria, preferendo la patria in guerra a un’accoglienza che sa di prigionia. Sempre più si capisce, comunque, che anche i profughi possono essere usati come un’arma. E la destabilizzazione del Libano, da sempre, è un obiettivo che fa gola a molti.

martedì 18 luglio 2017

Siria, sei anni di guerra... (2°parte)

Seconda parte dell'intervento dell' Ambasciatore Michel Raimbaud alla Conferenza organizzata da «  Chrétiens d’Orient pour la paix »  
Traduzione dal francese di Gb.P. per OraproSiria

2/ La Siria vive in un'atmosfera di dopoguerra
Sul fronte delle operazioni militari: dopo la liberazione di Aleppo che è stata punto di riferimento e ha segnato gli spiriti nel mese di dicembre 2016, l'esercito siriano è ovunque all'offensiva sui fronti di Damasco, di Aleppo, a Homs, sul confine con la Giordania, nel deserto siriano. Nonostante le intimidazioni degli Stati Uniti, riconquista poco a poco il territorio nazionale. Anche se la guerra rischia di essere ancora lunga, l'evoluzione favorevole della "Battaglia del deserto" in corso, lascia presagire un'accelerazione dei progressi.
Ignorando le ingiunzioni e le minacce americane, l'esercito siriano ha fatto il suo congiungimento con le forze irachene di "Hachd Chaabi" al confine tra i due paesi, exploit che sembrava improbabile fino a pochi mesi fa. Questa ridefinizione dei confini Sykes-Picot tra Siria e Iraq è un fatto importantissimo, poiché significa la sconfitta ab initio dell' intesa ordita da Tel Aviv e presentata a Trump prima dei suoi viaggi in Arabia e in Israele , che proponeva una nuova base di cooperazione con gli Stati Uniti. Questo piano (defunto) ripreso tale e quale nei vertici di Riyad, prevedeva :
-Il riconoscimento da parte di Washington della sovranità di Israele sul Golan
-Il rifiuto di ogni presenza militare permanente dell'Iran in Syria
- l'inasprimento delle sanzioni contro Teheran a causa del suo "sostegno al terrorismo"
-L'aumento della pressione su Hezbollah
- Un impegno per impedire la creazione di un corridoio Iran - Iraq - Siria - Libano che possa dare all'Iran uno sbocco sul Mediterraneo.
Le molteplici provocazioni (un aereo, poi un drone siriano abbattuto dagli americani, bombardamenti qua e là, attacchi occasionali contro l'esercito siriano..) non cambieranno nulla, tanto che esse appaiono contro-producenti. Lungi dall'intimidire, questa lotta di retroguardia guidata da una potenza in declino (e quindi pericolosa) ha causato un irrigidimento di Mosca per quanto riguarda le condizioni future per la cooperazione tecnico-militare tra i russi e gli americani contro il terrorismo. Ed ha ispirato agli iraniani una grande "première" sotto forma di un missile sparato su Da'esh in Siria dal loro territorio.
Si potrebbe dire lo stesso delle "Forze Democratiche Siriane", che siano curde, o arabe e turkmene, che potrebbero fare un calcolo sbagliato cercando la creazione di un Kurdistan "introvabile" in Siria.
Sul piano politico-mediatico, la Siria sembra aver vinto. Le agenzie di propaganda e coloro che danno lezioni di morale hanno preteso e ancora rivendicano con l'aplomb dei truffatori, che un popolo unanime si erga in piedi contro il "dittatore" o il "tiranno assassino". Dal 2011, tuttavia, non è difficile da vedere, malgrado l'omertà, che la narrazione ufficiale semina ai quattro venti girandole di "false flag" (false bandiere) arma favorita dai terroristi democratici, dei cannibali moderati, dei rivoluzionari del circuito Elizabeth Arden e dei reverendi predicatori dell'Asse del Bene.
Le popolazioni votano sempre con i propri piedi quando ne hanno la possibilità, e questo tipo di scrutinio non necessita di un lungo spoglio. A poco a poco, mentre l'esercito riconquista il proprio territorio nazionale, coloro che ne hanno l'opportunità fuggono dalle zone ribelli e accolgono l'esercito siriano come liberatore.
Per anni era di moda in Francia, nella Navarra e altrove, ripetere come pappagalli che "Bashar se ne deve andare", che "Bashar non ha posto nel futuro della Siria": adesso, non si contano i pappagalli arroganti che sono scomparsi e che non hanno più alcun ruolo da svolgere nel futuro del proprio paese, mentre il loro capro espiatorio è sempre lì. E' che questo presidente, questo capro espiatorio è rimasto per molti, ed è diventato per molti altri, il simbolo della resistenza dello Stato e dell'attaccamento del popolo siriano al proprio modello di società tollerante.
3/ Diplomaticamente gli avvenimenti si stanno rimescolando
La solidità dell'alleanza tra la Siria e i suoi alleati (Hezbollah, Iran, Iraq, Russia, Cina) contrasta con lo sfaldamento della coalizione avversaria:
- Lo sfaldamento del blocco islamista (tra Arabia e la Turchia, tra Arabia e Qatar, la spaccatura all'interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo) è così evidente che parla da sé.
- Il ritiro graduale di Trump nel faccia a faccia con l'Arabia Saudita di Bin Salman e la sua preoccupazione di far pagare a caro prezzo a Riyadh (già centinaia di miliardi di dollari) il mantenimento di una finzione di alleanza per la vita o per la morte è abbastanza trasparente. Bisogna essere inesperti e approssimativi come Mohammed Bin Salman per non vedere che il contratto sicurezza in cambio di petrolio ha dato luogo ad un accordo armi contro dollaro. Allo stesso modo, le sue decisioni ambigue riguardo al Qatar, il suo comportamento ambiguo con i Curdi e la Turchia, non sono decisioni troppo rassicuranti per i diretti interessati. Possiamo usare a questo proposito le parole di qualche umorista : "è pericoloso avere gli Stati Uniti come nemici, ma è ancora due volte più pericoloso averli per amici”.
- La disaffezione tra l'Europa e gli Stati Uniti, evidenziata dal vertice NATO, ha già introdotto una forma di divisione atlantica, sulle stesse basi: "gli Europei vogliono la sicurezza a nostre spese; che ne paghino quindi il giusto prezzo".
- L'intervista accordata dal nuovo Presidente della Repubblica Macron a diversi giornali europei, e dedicata alla sua visione della futura politica della Francia, è stata descritta da molti come una inversione di 180 ° nel caso della Russia, della Siria e riguardo al presidente Bachar al Assad:
- Per Emmanuel Macron, la partenza di Bachar al Assad non sarebbe più un'ossessione. Non c'è un "successore legittimo " di Bachar al Assad. Il capo di stato siriano non è il nemico della Francia.
- L'unico nemico della Francia in Siria è Da'ech (ISIS): Abbiamo bisogno di una soluzione politica, con una tabella di marcia.
- Il Signor Macron ha rispetto per Vladimir Poutin e cerca di avviare una cooperazione con Mosca anche riguardo alla Siria.
- Il Presidente dice che vuole voltare pagina su un decennio di "logica neo-conservatrice" ...
III / Siria è ora a un bivio
1 / "La Siria Invicta" è il titolo di un sub-capitolo di "Tempesta sul Grande Medio Oriente", il mio libro di cui ho accennato sopra. Partecipando nel febbraio scorso a una conferenza a Damasco, avevo ipotizzato che se "la Siria vittoriosa" (questo era lo slogan scelto dagli organizzatori) non aveva ancora vinto, lo avrebbe fatto comunque. Essendo una mia ferma convinzione sin dall'inizio della crisi, sarebbe sbagliato che ci ripensassi, mentre si verificano cambiamenti radicali, in primo luogo militari e poi politici e diplomatici, dall'altro. I segnali ci sono tutti a indicare che la vittoria politica della Siria legale sembra acquisita. Questa prospettiva dovrebbe viaggiare di pari passo con la conferma del Presidente Assad al suo posto e con un "addio alle rivoluzioni arabe", la cui fiamma (si può esserne sicuri) sarà mantenuta ancora per un certo tempo nelle cancellerie occidentali e nei palazzi orientali.
Imbattuta, la Siria è tuttavia devastata. Lei sola conta circa 400.000 morti, senz'altro 15 milioni di rifugiati, sfollati ed esiliati, e 1,5 milioni di feriti con lesioni permanenti e altre gravi disabilità. Quasi due terzi del Paese sono in rovina, con danni stimati intorno a circa 1.300 miliardi di dollari, senza contare i perduranti effetti delle sanzioni, blocchi ed embarghi vari ...
Una questione s'impone: bisogna fermare la guerra? Secondo il parere di esperti russi, ben addentro alla discussione tenendo conto del coinvolgimento del loro Paese nel conflitto siriano, non esiste una soluzione militare alla crisi. Si dovrebbe garantire una soluzione politica attraverso il dialogo con i rappresentanti dell'opposizione, almeno con i più presentabili di loro. Secondo la direttrice delle ricerche del Centro Studi arabo islamico presso l'Accademia Russa delle Scienze, una de-escalation probabilmente consentirebbe il dispiegamento di forze di pace. Secondo Alexander Aksenyonok, membro del Consiglio russo per le Relazioni Estere, l'impegno "necessario" della Russia nelle questioni mediorientali ha avuto risultati positivi nel prevenire l'arrivo al potere a Damasco delle forze radicali. Ma ci potrebbero essere conseguenze negative, come ad esempio il rischio di una competizione militare tra Russia e Stati Uniti: da qui la necessità di mantenere aperti i canali diplomatici e di accettare anche grandi compromessi, come sedersi al tavolo con alcune organizzazioni che lì non sono veramente al loro posto. (Valdai Club, 27 e 28 febbraio 2017 a Mosca).
Questa opzione diplomatica è discutibile e viene discussa, date le esperienze della guerra in Siria. È vero, la guerra non può porre fine alla guerra e solo la diplomazia potrà far terminare la tragedia. Tuttavia, è chiaro che lo Stato siriano deve poter negoziare in posizione di relativa forza: l'evoluzione attualmente osservata non è il risultato di buone intenzioni, ma il risultato della aumentata potenza dell'opzione militare contro le provocazioni .
Il Medio Oriente non sarà mai più lo stesso. E così sarà per la Siria. Prima ancora del dopo guerra, la fine della guerra rischia di essere lontana. Pertanto è tempo di pensare:
- Al perseguimento del difficile dialogo politico che verrà avviato in occasione dei colloqui di Ginevra o di Astana. Con ogni probabilità, non sarà facile per coloro che hanno difeso il loro paese contro l'aggressione accettare le condizioni per discutere "diplomaticamente" con interlocutori che hanno voluto e cercato costantemente l'intervento straniero al fine di distruggere la Siria.
- All'immensa opera della ricostruzione del paese, delle sue infrastrutture, della sua economia, che sono state regredite di diversi decenni per il caos. La scelta dei partner si annuncia delicata.
- Alla riconciliazione della sua società (seriamente scossa nei suoi valori o nelle sue fondamenta), al proseguimento del lavoro discreto ma impressionante guidato dal governo, in particolare il ministero della riconciliazione nazionale. Esperienze come quelle dell'Algeria, serviranno come ispirazione.
- Al riapprendere come vivere insieme di tutte le forze vive, con particolare attenzione per i giovani che sono cresciuti durante la guerra, e che costituiscono sia il futuro della Siria ma anche un bacino di reclutamento per i gruppi terroristici.
- All'incentivo per il ritorno e il reinsediamento di milioni di sfollati, rifugiati, esuli: una questione chiave per il futuro del Paese.
Ma, questa sarà la mia conclusione, sul piano politico e diplomatico, la Francia, all'origine di tante decisioni ostili e devastanti contro la Siria (sanzioni, supporto alla ribellione armata, rottura delle relazioni diplomatiche, sostegno ai regimi islamisti e agli "amici della Siria") e che ha portato l'Europa nella sua scia, dovrebbe ammettere che ha un dovere di riparazione. Come ex diplomatico, posso solo sperare nel ritorno alla grande tradizione della Francia gollista, questa politica di dialogo, di apertura, di riconciliazione nei confronti di tutti gli altri partner della comunità delle nazioni, che ci ha resi orgogliosi, ma che è affondata nelle acque dell'atlantismo.
La priorità delle priorità per la Francia, stante le sue responsabilità, sarebbe quella di decidere la revoca unilaterale delle sanzioni che sono state imposte, in gran parte per sua iniziativa e sotto la sua pressione, al popolo siriano. Ma lo farà? Speriamo, senza crederci troppo, che il signor Macron alle parole faccia seguire i fatti in conformità ai suoi annunci d' effetto; nutriamo la speranza che le sue azioni almeno non contraddicano i suoi discorsi. Nell'atmosfera avvelenata che regna da tanti anni per colpa della nostra diplomazia, per riparare i danni servirà molto più di una dichiarazione.
Michel Raimbaud | 27 giugno 2017