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domenica 14 maggio 2017

Aleppo, dialoghi e sogni

«... e quando vi descrivono la Siria come il più grande fra i piccoli paesi del mondo, è che la storia dell’umanità là si riassume sotto i vostri occhi, in una continua e stupefacente scoperta»
Dalla guida illustrata Syrie, Ministero del turismo della Repubblica araba siriana, 2008

di  Marinella Correggia 
ordine.laprovincia.it   30 aprile 2017

Gli sguardi che si posano sul mercato antico e sulla cittadella di Aleppo, ormai, sono molto diversi da quelli di «prima»: «Prima di tutta questa distruzione, prima del 2012, qui era un andirivieni di turisti da tanti paesi; adesso vedi solo noi aleppini. Viviamo in altri quartieri della città, quelli non distrutti dalla guerra, e veniamo a scuotere la testa su questa povera città vecchia, che fino a pochi mesi fa era sulla linea del fronte»: Yaser, tecnico elettronico che non è disoccupato di guerra solo perché ha un lavoro statale, inforca gli occhiali per vederci meglio mentre entra con suo zio Hassan nel buio dissestato e bruciato di quello che era il luccicante suq coperto della seconda città della Siria. « I suq di Aleppo, dieci chilometri di lunghezza, i primi delle città arabe musulmane per bellezza, dimensioni e autenticità, ogni area specializzata in un tipo di artigianato, dai profumi ai tessuti, dagli argenti ai saponi, dalle spezie alle ceramiche» (descrizione nella guida Syrie).

Zio e nipote si inoltrano, attenti a dove mettono i piedi fra montagnole di terra e detriti; dentro non c’è altro. Rivedono luoghi sfigurati, rimasti per anni inaccessibili: nei cunicoli, decine di negozi erano stati dati alle fiamme già nell’ottobre 2012; in altri, fino alla riconquista di Aleppo da parte dell’esercito nazionale lo scorso dicembre, si erano trincerati i miliziani dell’opposizione armata. «Terroristi venuti da fuori, ci hanno mandato questa feccia l’Arabia saudita, il Qatar, i turchi…»: per Mahmoud, un ex commerciante tornato a vedere il suo negozio - ormai solo uno spazio annerito -, il giudizio sui jihadisti è senza appello: «Volevano che ci convertissimo all’Islam? Ma noi, siamo già musulmani; loro no, sono criminali». Nella mancanza di lavoro che affligge ormai tanti come lui, la ricca cultura alimentare del paese sopravvive zoppicando e gli ha dato una provvisoria fonte di reddito: «Faccio l’ambulante, vendo zaatar» (la pizza libanese al timo e sesamo).

Yaser e Hassan escono a rivedere il cielo terso sopra la Cittadella. «Believe in Aleppo», invita un enorme pannello davanti alla maestosa fortezza di pietra sulla collina, rimasta sotto il controllo dell’esercito, che vi manteneva l’accesso tramite tunnel sotterranei. E’ miracolosamente in piedi, solo un bastione è lesionato: del resto, « nella storia la Cittadella non fu mai espugnata dagli assalitori, i Mongoli la presero solo con l’inganno », spiega l’ex guida turistica Joseph Mistrih, autore di La cittadella di Aleppo, saggio ante-guerra.

Quanti fotografi, quanti turisti hanno immortalato l’imponenza del luogo? Poi, dal 2012, la guerra è entrata nel cuore di Aleppo. Nelle immagini scattate in questi ultimi anni, la zona della Cittadella appare sfigurata, il cielo polveroso di detriti da scoppi, i pendii della collina senza più erba.

Ora va meglio. La piazza di accesso alla fortezza è circondata da edifici distrutti ma è ripulita e netta; un po’ di erba è tornata; pietre sparse fanno da sedile a donne più o meno velate, ragazzini girano in bici. Tutti aleppini. Salvo Marguerite, detta Margot, una signora libanese che però vive da tempo nella città siriana, se ne sente parte e non se ne è mai andata: «Povera Aleppo, tirata per i capelli. Tutta questa tragedia, questi morti, per cosa alla fine? Sulle teste dei siriani, una guerra voluta da fuori…».

Mohamed, 12 anni, abbronzato dall’aprile mediorientale, si aggira vendendo merendine industriali made in Syria, si legge «senza Ogm» – là sono vietati. Costano 100 lire siriane trattabili. Per un confronto, una corsa in bus ne costa 50; 50 lire anche 1,5 kg di pane arabo sovvenzionato dallo Stato; 225 lire un litro di benzina; 500 un pacchetto di sigarette (vizio nazionale che alcuni sono riusciti a mantenere). «Dall’Italia, eh?», chiede Mohamed; alla risposta accenna il tipico sorriso di chi immagina cose fuori dalla propria portata. Credendosi non più osservato, il piccolo venditore bacia la banconota da 500 lire; non ne vede quasi mai.

In quella scena da quiete dopo la tempesta passa un’auto incongrua, musica a tutto volume, «scommetto che sono quelli andati a passare la guerra sulla costa dove tutto era tranquillo, e ora sono tornati, freschi e senza danni»: Haydar, critico -come molti- verso chi non è rimasto ad Aleppo nei tempi duri, alla Cittadella portava i turisti, era una guida in inglese. Alcuni suoi colleghi si sono riciclati in accompagnatori per giornalisti; altri sono andati via. Insomma anche le guide non sono più le stesse e così, nel quartiere Salahuddin, in parte distrutto perché sulla linea del fronte, in parte popolato e resiliente, chi ci accompagna per pura cortesia e curiosità è un ragazzino, Yasen. Grazie a questa piccola guida di guerra si possono fare incontri surreali. Un internet point spartano, un assemblatore di computer, un venditore di materiale edile. E Mona, rientrata nel suo appartamento in una via malandata e bruciacchiata; così non paga più affitti altrove. Suo figlio ha scritto sul muro annerito: «Che la vita e il mondo siano più teneri».

Non lontano dal minareto della moschea degli Omayyadi, XI secolo, distrutto da una carica esplosiva o da tiri di cannoni (chissà), una bella porta storica non ha più la sua casa ed è appoggiata sulle macerie. Per contrasto viene in mente il film – premiato al Torino Film Festival - Houses without Doors, Case senza porte, di Avo Krapealian. Regista siriano di origini armene, dalle finestre di casa nel quartiere al Midane - per anni bersagliato da razzi e mortai provenienti da Aleppo Est - ha sbirciato le strade a partire dal 2012, mentre la guerra si impadroniva della città.

Ad Aleppo la vita sembra ripresa, in certi quartieri è anche tornata l’acqua corrente. Verrebbe da pensare a una prossima ricostruzione, e alla ripresa delle attività culturali. Anche alla riapertura del museo: i suoi reperti sono stati trasferiti tempo fa, per evitare il saccheggio stile Baghdad o Mosul - per non dire di Palmyra. All’esterno dell’edificio, le grandi strane statue della civiltà di Mari con gli occhi sgranati sono protette da enormi assi.

Ma prima di toglierle deve finire la guerra. E invece. Pochi giorni fa, nel sobborgo di Rashdien un’auto al tritolo ha ucciso oltre centoventi civili evacuati dalle cittadine di Foua’ e Kafraya. E a Salahuddin, il quartiere della guida improvvisata Yasen, e di Mona, un’esplosione ha fatto sei morti e trenta feriti. Aveva detto Yaser a mo’ di congedo, là davanti all’antica fortezza aleppina: «Finché arriveranno soldi e armi a califfi e terroristi, la pace sarà un sogno e la realtà un incubo».

venerdì 12 maggio 2017

Aleppo consacrata alla Madonna di Fatima, per la pace in Siria

“Chiedo a tutti di unirsi a me quali pellegrini della speranza e della pace. Le vostre mani in preghiera continuino a sostenere le mie. Voglia la più grande e la migliore delle Madri, vegliare su ognuno di voi lungo tutti i vostri giorni, fino all’eternità”: papa Francesco, udienza 10 maggio 2017

Asianews, 9 maggio 2017

Sarà un momento di speranza per i cristiani, la testimonianza di una fede che resta salda nelle difficoltà e di un sentimento comunitario condiviso, alimentato da anni di guerra sanguinosa che ha rafforzato l’unità fra le varie confessioni. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Antoine Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo, presentando la tre giorni di celebrazioni che la comunità cristiana della seconda città per importanza della Siria dedica alla Madonna di Fatima, alla quale consacrerà la città. Un appuntamento che giunge in concomitanza con il viaggio apostolico di papa Francesco nella cittadina portoghese del 12 e 13 maggio prossimo, per il centenario delle apparizioni della Vergine ai tre pastorelli. 
“Va detto - afferma il prelato - che tutto il mese di maggio è importante per le comunità cristiane di Aleppo. Tutte le chiese sono gremite di fedeli che pregano il Rosario, si accostano all’eucaristia, recitano le litanie. Questo è un momento molto importante di preghiera e di comunione attorno a Maria, una tradizione piacevole e radicata nel tempo”. Difatti la gente di Aleppo ama molto la devozione popolare, desidera partecipare e perpetrare una tradizione profonda che unisce le chiese e le famiglie, attorno a Maria. Questo, prosegue, “è molto bello perché crea un’atmosfera di serenità. Maggio è il mese privilegiato per pregare per la pace, per la fine di tutti i conflitti”. 
La tre giorni di celebrazioni dedicata alla Madonna di Fatima ad Aleppo - su iniziativa della parrocchia latina di san Francesco - inizierà giovedì 11 maggio, con una preghiera comunitaria in programma alle 5 del pomeriggio. A seguire, e per tutta la giornata seguente, vi saranno recite del Rosario, invocazioni per la pace alla Madonna, film e proiezioni dedicati alla Vergine e messe comunitarie. 
Il momento culminante della festa è previsto per sabato 13 maggio, in concomitanza con la messa del papa a Fatima, quando si terrà una solenne concelebrazione eucaristica cui parteciperanno tutti i vescovi e i sacerdoti presenti ad Aleppo. Alla funzione sono invitati i fedeli di tutti i riti cristiani della metropoli del nord della Siria, a lungo considerata epicentro del conflitto. Infine, è prevista la processione con la statua della Madonna di Fatima e la consacrazione della città di Aleppo alla Madonna di Fatima. Un gesto dal forte valore simbolico, nella speranza che possa contribuire a restituire la pace non solo in Siria ma in tutta la regione mediorientale insanguinata da conflitti decennali. 
“L’evento culminante - racconta mons. Audo - sarà la solenne concelebrazione eucaristica nella cattedrale dei francescani, alla quale sono invitate tutte le denominazioni cristiane, e in comunione con papa Francesco. Poi vi sarà la processione all’interno e all’esterno della chiesa, con in testa la statua della Madonna regalo del santuario di Fatima. La statua è arrivata in città nei giorni scorsi. Sarà una bella funzione, un momento di festa cui dovrebbero partecipare fino a tremila fedeli”. “La consacrazione di Aleppo a Maria, il tema della pace - aggiunge il vescovo caldeo - sono fonte di speranza e sono un segno della nostra presenza."

mercoledì 10 maggio 2017

Papa Francesco ha accettato la rinuncia del Patriarca melkita Gregorio Laham "zelante servitore del Popolo di Dio"

“Pace e amore. Sono le parole con le quali ho iniziato il patriarcato nel duemila e che rinnovo ancora oggi “con maggior vigore. Non abbiamo tempo che per amare e per ricercare la pace”. È quanto racconta ad AsiaNews l’ormai ex patriarca melchita Gregorio III Laham, che dopo 17 anni lascia la guida di una delle comunità più numerose e ricche della Chiesa d’Oriente. “Questa è la mia eredità - prosegue - e voglio ribadirla una volta di più nella giornata di oggi, 8 maggio, in cui la Chiesa orientale ricorda san Giovanni Evangelista il quale ha affermato con forza che ‘Dio è amore’”.
Lo scorso fine settimana papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Chiesa greco-melkita presentato da sua beatitudine Gregorio III Laham, patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti. In una lettera il pontefice lo ha definito un “servitore zelante del popolo di Dio” e ha riconosciuto il suo impegno per la pace in Siria, sconvolta da un conflitto sanguinoso.  “La speranza - afferma il prelato - è che ora potrò avere più tempo per essere al servizio degli altri, come ha detto Giovanni Paolo II: essere per gli altri, che siano cristiani, musulmani o giudei… io sono per voi!”.
Alcuni fonti interne alla comunità parlano di un malumore dell’ormai ex patriarca per i modi e tempi che ne hanno dettato la fine del mandato. Tuttavia, lo stesso Gregorio sottolinea a più riprese la comunione con il pontefice e il desiderio di unità all’interno della Chiesa. Secondo quanto prevede il codice, ora l’amministrazione è ora affidata a mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo di Aleppo, in qualità di vescovo più anziano per ordinazione del Sinodo permanente.
Gregorio III Laham è nato il 15 dicembre 1933 a Daraya, sobborgo di Damasco. Patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, egli è stato eletto nel novembre del 2000 dal sinodo della sua Chiesa, ricevendo la “comunione ecclesiastica” da san Giovanni Paolo II, e ha guidato la comunità negli ultimi 17 anni. Il prelato ha vissuto in prima persona il dramma del conflitto nella sua terra natale, di cui ha denunciato a più riprese violenze e crimini, e ha lanciato a più riprese appelli alla pace e alla preghiera.
“Ho amato il mio popolo - dice ancora - e mi sento padre di tutti, dei vescovi e del mio popolo. In questi anni ho potuto avviare e vedere realizzati molti progetti a Gerusalemme, in tutta la Terra Santa, in Egitto. Ho visitato i Paesi dell’emigrazione, Nord e Sud America, e poi l’Europa; e poi vi è anche il cammino in chiave ecumenica con i patriarchi delle diverse comunità”. Fra i molti progetti promossi o ancora allo studio egli ricorda la costruzione di una chiesa dedicata a san Paolo a Damasco di cui “avrò la possibilità di benedire la prima fase di realizzazione il prossimo 13 giugno”. E ancora, la costruzione “di una scuola e di un ospedale a sud di Damasco, oltre che l’allestimento di un’altra struttura nei quartieri poveri della capitale siriana”. “Anche se non in qualità di patriarca - aggiunge - continuerò a vegliare perché questi progetti possano prendere forma”.
La nota dolente di questi anni è invece la guerra in Siria, un conflitto sanguinoso iniziato nel 2011 che ha sconvolto il Paese, provocando centinaia di migliaia di vittime e milioni di rifugiati. “Oggi ho incontrato il presidente del Libano Michel Aoun - conclude - e abbiamo parlato dell’avvenire della Siria. Sono Russia e Stati Uniti che si devono mettere d’accordo, perché non vi è possibilità alcuna di vincere con le armi. Un successo potrà essere raggiunto solo attraverso un consenso internazionale fra le grandi potenze, compresa l’Unione europea, sconfiggendo Daesh e preparando un futuro migliore per la nazione e il suo popolo”.
Durante il suo patriarcato, Gregorio III Laham ha accolto in Siria il pontefice polacco che il 6 maggio 2001 ha fatto il suo ingresso - primo papa della storia ad entrare in un luogo di culto musulmano - nella Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco. Nell’area la tradizione suole collocare la tomba di san Giovanni Battista. Alla morte di Wojtyla è stato proprio Gregorio III a benedirne la bara, durante i funerali a Roma l’8 aprile 2005.
Il nome melkita (o greco-cattolica) indica i cristiani orientali di rito bizantino, legati a Roma dal 1724, che dispongono di un clero proprio e di un capo spirituale. Essa annovera fedeli non solo in Medio oriente (Siria, Libano, Giordania, Palestina), ma anche in Africa (soprattutto Egitto), in America del Nord, in Brasile e in Francia.

sabato 6 maggio 2017

Una visita alle sedi dei Caschi Bianchi di Aleppo


di Pierre Le Corf
Aleppo, 1 maggio 2017

Io credo di averne già parlato abbastanza, fatene quello che volete, è una delle mie ultime note a proposito dei Caschi Bianchi. Vi chiedo solo vivamente di tenerlo presente nel caso che qui inizi una nuova guerra.
Gli Stati Uniti hanno iniziato a posizionare le proprie truppe lungo il confine con la Turchia nel nord della Siria e non dubito un solo secondo che il nostro governo (francese ndt) dopo tutto quello che ha investito per rovesciare la Siria non esiterà un attimo a passare in seconda marcia se questa guerra incominciasse.
Volevo essere sicuro di ciò che sto dicendo, quindi sono partito per incontrare parecchie famiglie nei pressi di 3 centri dei Caschi Bianchi ad Aleppo Est.
Anche se alcuni abitanti ammettono che non sono tutti terroristi, non hanno paura di dire che la stragrande maggioranza erano e appartenevano (o appartengono essendo tutt'ora a Idlib) a vari gruppi jihadisti.

Lascio constatare a voi stessi attraverso le foto che mostrano questi diversi ambienti con la presenza di molte cose che non lasciano adito a dubbi circa la loro appartenenza terrorista: munizioni (Doshka, proiettili esplosivi che sono caduti sulla città), la bandiera di Jesh al Hur con 3 stelle (Bandiera del Free Syrian Army, sotto la quale hanno combattuto una serie di gruppi islamici, che vien fatta passare come la bandiera per la libertà, ma è una bandiera per la rivoluzione islamica), bandiere di Jabhat al Nosra (al Qaeda in Siria), documenti e oggetti appartenenti a Jabhat Islamyé, Liwa al Tawhid, Ahrar al-Sham... 
 Se questi nomi non vi dicono niente è perché vi è stato insegnato solo a temere Daesh (ISIS); beh dovete sapere che qui ognuno di questi gruppi è l'equivalente di Daesh, solo il marketing è diverso, ma il numero di morti di cui sono responsabili è anche maggiore di quello di Daesh.
Ho incluso le foto, vicino all'ultimo centro: l'ospedale del 'grande mufti' che era stato occupato dai terroristi e finanziato da MSF ("Medici senza frontiere" molto impegnati politicamente in questa guerra), dedicato alla cura dei combattenti islamici, dove compaiono ancora i loghi di organizzazioni francesi (ma tenute dai siriani-arabi vicini ai gruppi armati) ai lati i loghi di gruppi terroristici.
Molte persone in tutto il mondo celebrano e osannano gli White Helmets. Ma lo sapevate che nonostante il loro incredibile marketing, non sono nati dalle macerie? Sono gestiti in Turchia e sono stati fondati da un ex ufficiale dei servizi segreti inglesi. Ogni loro gruppo, almeno i responsabili, alla luce dei documenti che ho trovato, non percepiscono i loro stipendi (sì, un salario) se non realizzano una quota di contenuti video trasmessi attraverso strumenti tecnici avanzati, finanziati e messi a disposizione (sì, una rete internet costa enormemente qui, quindi in una città sotto assedio, avere delle reti satellitari, non è dato a chiunque. Neppure io ce l'ho)! Un Gruppo fondato con una dotazione maggiore di 200 milioni di dollari ricevuti da non meno di 6 governi compreso quello francese, sostenuto da circa 30 organizzazioni specializzate in "transizione democratica", è un gruppo dove non c'è neppure una donna; formato solo da salafiti, non da altre comunità religiose come gli sciiti ecc. (che loro chiamano infedeli, come chiamano me del resto, solo perché viviamo da questa parte della città). Ebbene, solo con un quarto di tale somma (50 milioni di dollari), potremmo sostenere umanitariamente tutta la popolazione siriana per diversi anni, invece dove pensate che vadano questi soldi?
Per la verità, ci tengo a ricordare che il loro lavoro è reale, aiutano davvero delle persone in pericolo a causa dei bombardamenti dell'aviazione siriana e russa, per questo io ero uno dei primi loro sostenitori, avevo anche pensato di farne parte... Poi qui sul campo ho capito, e sono passato dall'ammirazione al disgusto. Perché? Perché abbiamo affrontato la morte tutti i giorni a causa di questa gente, per i bombardamenti con tutti i tipi di proiettili, sparati con il solo obiettivo di uccidere o ferire la popolazione civile (non c'era esercito presente nel centro della città, eppure centinaia di feriti e morti tutti i mesi, così, gratuitamente..), ho visto gente morire, ho fatto il bagno nel loro sangue, ho visto la morte cadere dal cielo, pezzi di persone per terra... e alla fine mi sono reso conto che questi (W.H.), sono gli stessi che vengono a "salvare" le persone a beneficio della telecamera, gli stessi che qui ci uccidono tutti i giorni, gli stessi che tenevano in ostaggio la popolazione per uccidere e torturare dopo un giudizio sommario dei tribunali islamici quelli che contestavano la loro presenza o cercavano di scappare, gli stessi che faranno di tutto per convincere che loro sono i buoni di fronte ai cattivissimi (esercito siriano e alleati), fino a creare delle messe in scena, sparare sulla popolazione per poi accusare il regime siriano, mentre invece lavorano sotto il controllo totale e principale di al Nusra (Al Qaeda), nonché di numerosi sponsor che lavorano presso governi stranieri.
Quindi ricapitolando: la maggioranza di loro erano combattenti di giorno e soccorritori la notte, di giorno uccidevano, la notte prestavano soccorso alle persone sulle quali avevano portato la morte. Questa a voi sembra grossa, ma lascio a ognuno giudicare e farsi la propria opinione; questo cinema non è facile da capire all'esterno con i confini di questo paese che sono stati chiusi (opportunamente) ermeticamente; loro, che poi fanno 10 conferenze al mese, ma qui si vede la porcheria molto da vicino. Io non dico che essi sono molto cattivi e che hanno di fronte avversari gentili: è una guerra, ed è brutta come ogni guerra, non è tutto bianco né tutto nero, ma non avete idea dell'inganno (dei W.H.). Guardate Aleppo: niente più terroristi all'interno della città (sono a 3 km da qui tuttavia), niente più aerei, la popolazione è stata presa in carico e assistita dal governo (130.000 civili hanno scelto di venire dalla parte controllata dal governo, anche da coloro che non hanno particolari affinità o simpatia per il governo, quando avrebbero potuto andarsene liberamente verso Idlib), non ci sono più combattimenti, basta civili in ostaggio, basta bombe, fine delle morti... Niente più White Helmets! Logico no? A parte i razzi che continuiamo a ricevere dai terroristi alle porte della città, la gente sta tornando a vivere veramente, e se tu fossi qui, chiedendo a chiunque, capiresti subito.
Non ho niente da guadagnare a fare quello che faccio e a dire ciò che dico, al contrario, scrivere e condividere tutto questo da mesi e andare in questi posti è pericoloso, se scrivo queste righe è perché mi prendo la responsabilità di ciò che affermo per aver fatto un controllo incrociato con le testimonianze di molte persone che hanno vissuto con loro. Lo faccio perché chiunque vorrà leggere quello che scrivo abbia la possibilità di conoscere quella parte della storia che è stata accuratamente nascosta e che costa molte vite finché la guerra rimarrà il campo da gioco di queste minoranze sostenute dall'esterno.
Vi chiedo semplicemente di sviluppare un senso critico, non vi chiedo di credermi, vi chiedo di tenere a mente queste cose, magari in un piccolo angolo della vostra testa.. Un giorno vi aiuterà forse a capire e a sostenere che questa guerra deve finire.
Un video che ho fatto in uno dei più grandi centri dei caschi bianchi https://www.facebook.com/pierrelecorf/videos/10155306223359925/

Foto di gruppi e infrastrutture che gestivano sul campo, alcune sono le stesse organizzazioni umanitarie che noi sosteniamo ...
https://www.facebook.com/pierrelecorf/videos/10155508420759925/
 
 (traduzione OpS)

mercoledì 3 maggio 2017

Rifugiati siriani che sprofondano nell'orrore dei trafficanti di organi

Alla vigilia dei nuovi colloqui di Astana: si prenderà in considerazione la condizione dei rifugiati siriani?

Qualcuno la considera addirittura beneficenza, mentre in realtà si tratta di una delle cose peggiori che si possono fare ad una persona: sto parlando della "scelta" di tanti profughi rifugiati in Turchia o in Libano di vendere uno dei propri organi (perlopiù un rene o una cornea) per racimolare soldi per sopravvivere, per sé o per la propria famiglia.
Sono fatti orribili testimoniati da trafficanti e dalle stesse "volontarie" vittime.
I numeri per quanto imprecisi sono elevati e in aumento, e testimoniano il grado di sofferenza e povertà in cui versa la quasi totalità dei profughi "ospitati" nei campi di raccolta.

Lo aveva documentato Chiara Cruciati lo scorso anno:
Difficile dare numeri certi. Hussein Nofal, capo del dipartimento di medicina forense all’Università di Damasco, ci prova: 18-20mila siriani hanno venduto un organo negli ultimi quattro anni. La maggior parte di loro vive nei campi profughi in Libano e Turchia, nelle zone siriane di confine e nelle province di Aleppo e Idlib, dove il territorio è controllato dai gruppi islamisti. I prezzi, aggiunge Nofal, variano: se il rene viene venduto in Turchia, si riescono ad ottenere anche 10mila dollari; in Iraq non più di mille.”

Una allucinante intervista della BBC assai recente lo conferma :
'Incontrando un trafficante di organi che va a caccia di rifugiati siriani'


E non si quantifica la pratica del lavoro minorile ...
'Profughi minori siriani utilizzati in modo illegale nelle industrie del tessile. Due milioni di bambini vengono sfruttati nel mercato del lavoro minorile in Turchia'

L'altra faccia della medaglia è costituita dai rapimenti di bambini, di donne e di uomini siriani, spesso con la tecnica dell'ambulanza usata per "soccorrere" feriti da bombardamenti o attentati, che vengono trasportati in cliniche in Turchia dove vengono loro espiantati gli organi.
Il sito Asianews lo aveva denunciato mesi fa  :
'Dopo i reperti archeologici e il petrolio, la nuova frontiera di arricchimento per i movimenti estremisti in Siria è il traffico di organi. Segnalati diversi casi di sparizioni di minori nei villaggi della provincia. I bambini trafficati oltreconfine in Turchia. Un fenomeno che gli stessi media di Ankara avevano denunciato in passato, prima della censura imposta da Erdogan. '

Nella stessa Aleppo dopo la liberazione sono emerse le prove del traffico:
 'Dopo la liberazione di Aleppo sono venuti alla luce i crimini dei terroristi. Ancora una volta è stata confermata l'esistenza di un mercato nero di organi umani attraverso il confine turco. Gli abitanti dei quartieri in mano ai ribelli islamici avevano paura di finire nella cosiddetta "ambulanza", alla ricerca di potenziali donatori.'

Sono migliaia i bambini scomparsi: il caso più recente è quello dei ragazzini caricati sui pick-up dopo l'attentato di Rashidin dove hanno perduto la vita 126 persone, di cui almeno 70 bambini: alcuni di loro feriti o orfani dei genitori mancano all'appello e non se ne è saputo più nulla.

Pensate che gli Elmetti Bianchi con questo traffico non abbiano nulla a che fare? Basterebbe chiedersi di chi sono le ambulanze o i mezzi di fortuna usati per raccogliere questi feriti e perché anche in quell'occasione fu impedito ad altre ambulanze di intervenire...
    Gb. P.

lunedì 1 maggio 2017

Suor Yola e la speranza invincibile

Sono circa sei milioni i bambini che in Siria hanno subito il trauma della guerra, una iniziativa dei cristiani di Damasco per aiutarli a riprendere fiducia. L'intervista a suor YOLA GIRGIS

"Per favore, riporti tutto come le ho detto, non come fanno sempre i giornali quando parlano della Siria, ribaltando tutto e inventandosi le cose" dice suor Yola Girgis, superiora della Comunità di Damasco delle Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, a Roma per la presentazione del progetto di collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II e l'Ospedale Bambin Gesù rivolto ai piccoli siriani colpiti da disturbi post-traumatici da stress. Ha ragione da vendere suor Yola, che accusa i media occidentali di perseguire gli obiettivi delle loro leadership politiche: indicare in Assad il diavolo da abbattere e sostenere gli jihadisti. "Le bombe americane? Senta: Damasco esiste da 7mila anni, ha una storia e una civiltà che hanno resistito a tutte le guerre, pensa ci faccia paura un paese che non ha neanche 500 anni di storia?" dice ancora, mostrando il coraggio da vendere che ha permesso a questo popolo di resistere a sei anni di carneficina. Il progetto, che accoglie bambini cristiani e musulmani ("Perché noi abbiamo vissuto sempre di amore dei concordia e lo facciamo ancora adesso nonostante le bombe") si rivolge a quei 6 milioni di bambini siriani che vivono sotto i bombardamenti. Di questi, circa 3 milioni sono cresciuti vedendo solo la guerra (fonte UNHCR). Una generazione di bambini colpiti dalla guerra e dalle sue conseguenze come gravissimi disturbi post-traumatici da stress.
Suor Yola, ci spiega di cosa si tratta questo progetto che siete venuti a presentare all'Ospedale Bambin Gesù di Roma?
E' un progetto già iniziato che grazie alla Fondazione San Giovanni Paolo II ha adesso le risorse per continuare. Noi accogliamo bambini dai 6 agli 8 anni dando loro un sostegno psico-sociale attraverso metodi come il disegno, la recitazione, la condivisione. Abbiamo preparato dei giovani istruttori che aiutano i bambini a esprimere i loro sentimenti riguardo al trauma subìto per via della guerra. Purtroppo la guerra e la violenza lasciano nei bambini segni devastanti. Con il nostro lavoro li aiutiamo a esprimere le loro paure, le loro gioie, li aiutiamo a riavere fiducia in se stessi.
Molti di loro saranno anche orfani.
Alcuni sono orfani, altri hanno il padre che è al fronte a combattere. Vedendo tanti soldati morti la notizia che aspettano ogni giorno, invece di sapere se il padre sta tornando a casa, è se il loro papà è morto. E' questo che si aspettano, la morte del loro papà.
Sono bambini sia cristiani che musulmani?
Certamente, non facciamo alcuna differenza. Anzi, visti i risultati straordinari sui bambini musulmani l'anno prossimo aumenteremo ancora la loro quota, facendo 50 più 50 per cento. Per loro cose come l'oratorio, il campeggio, la condivisione guidata non esistono, i musulmani non hanno queste cose, stanno in strada da soli. Abbiamo visto come il nostro modello educativo li abbia colpiti e affascinati.
Ed è la possibilità di ricostruire un dialogo?
Questa realtà condivisa in Siria è sempre esistita. Io sono nata qui, i musulmani per noi cristiani sono siriani e niente altro. Abbiamo giocato insieme, abbiamo fatto le stesse scuole. Adesso cerchiamo di ricucire questa ferita che la guerra ha cercato di produrre per dividerci, ma senza riuscirci.
Come è la situazione adesso a Damasco? 
La gente continua a fare le sue cose, a vivere la sua vita, ma c'è sempre l'attesa che accada qualcosa di brutto. Tranquilli non lo siamo mai. Spesso di notte mi affaccio alla finestra del convento e prego perché ho paura che un terrorista entri nel convento, loro vogliono prendere Damasco. Però la vita va avanti, le scuole sono sempre rimaste aperte e le attività delle chiese vanno avanti anche sotto i missili. 
Quando l'America vi ha bombardati vi siete sentiti traditi?
Tutto il mondo ci ha abbandonati. Anche l'embargo di medicine è una cosa orribile, la gente muore di cancro perché non ci sono medicine. Ringraziamo l'Italia che con iniziative come questa ci sta vicino, ci dà speranza, ci dice che Dio è vicino.
E il papa?
Il papa è la voce di Dio. A volte io dico: Dio perché stai in silenzio, perché non fermi questa guerra? Ma ogni volta che sento il papa sento la voce di Dio, che dice: non preoccupatevi io sono sempre con voi. Possono distruggere le nostre case ma la nostra cultura non la distruggerà neanche Trump.
(Paolo Vites) 

venerdì 28 aprile 2017

Papa di pace in Egitto di pace

C'è grande attesa, e tanta preghiera, per la visita del Papa in Egitto.

Sono molte le aspettative legate a questa visita: nel segno dell'abbraccio ecumenico, i Cristiani Copti, come la sparuta minoranza Cattolica, sperano fortemente che attraverso le parole di Francesco passi un messaggio capace di cambiare il clima di violenza di cui sono l'obbiettivo e smuovere il cuore di tanti musulmani che hanno abbracciato una visione fondamentalista intrisa di odio, pretendendo di attingerla dalla religione di Maometto.

Muovere il cuore, i sentimenti genuinamente umani che ognuno ha in sé come semi piantati originariamente, che le erbacce dell'ideologia fondamentalista ha soffocato. La speranza è quella che anzitutto l'abbraccio empatico e poi le parole del Papa possano almeno in parte rimuovere la zizzania e consentire di guardare ai Cristiani e al loro messaggio con occhi diversi e più benevoli. 
In ogni caso i Cristiani Egiziani vivono già un senso di gratitudine per questo viaggio. Attraverso di esso percepiscono la vicinanza e l'amore del Pastore e la consolazione di un Padre che condivide la sofferenza dei figli feriti e se ne lascia a sua volta confortare.

C'è anche l'attesa di Al Sisi che vede in questa visita la possibilità di un attutimento delle tensioni che pervadono l'Egitto.
Un'attesa condivisa anche da quei Musulmani che anelano a vivere la propria religione con spirito di tolleranza e di collaborazione con i Cristiani e con qualsiasi altra religione.
Ma molte sono le forze e anche gli interessi geopolitici che osteggiano una vera pacificazione.

Rimandiamo alla lettura di tre articoli apparsi in questi giorni, contenenti tra le altre considerazioni alcune argomentate correzioni alla generalizzazione di 'islam-religione-di-pace':

- Padre Samir Khalil Samir attraverso un'intervista rilasciata al sito www.rossoporpora.org offre molti spunti di riflessione sulla visita papale e sulla situazione dei Cristiani Copti, il ruolo di Al-Azhar e il mondo Islamico Egiziano.

- Un'intervista dell'Osservatore Romano al gesuita Henri Boulad sui problemi interni all'islam dîn wa dawla e la sfida che l'islam pone anche alla moralità nostra.

- Il contributo ad AsiaNews di un giovane amico musulmano in merito al rapporto tra islam e Daesh e la necessità urgente di riforma interna all'islam.

  Gb. P.

mercoledì 26 aprile 2017

Gli sceneggiatori sono stanchi


7 giugno 2011: «Arrestata in Siria la blogger di “A gay girl in Damascus”». «Era la voce della libertà in un Paese in cui ogni diritto è calpestato. Era una donna, era lesbica. Amina Abdallah Arraf cercava di gridare al mondo il disagio e i soprusi che le persone ogni giorno vivono in Siria. Lunedì un'auto dei servizi segreti l'ha prelevata e di lei si è persa ogni traccia». Pochi giorni dopo si scopre che Amina, che da mesi teneva banco col suo blog, era Tom McMaster, un americano che scriveva da Edimburgo.
Quando si parla di “fake news” teniamo in mente questa vicenda: un isolato come Tom McMaster ha imbrogliato l’intero sistema mediatico. E quindi chi davvero gestisce l’informazione non ha difficoltà a creare notizie false.
I vaccini contro le fake news sono tre: un ampio archivio di notizie certe, una memoria viva e allenata, un uso continuo della logica. E poi ci sono alcune linee guida:
  1. Un video o una foto non sono mai una notizia; chi li usa vuole spesso trasmetterci una notizia falsa.
  2. Dipendere solo da rilanci d’agenzia equivale a non avere informazioni o ad avere informazioni false.
  3. Quando un’informazione scatena una reazione immediata, le probabilità che sia falsa sono alte. Perché? Perché una persona con un minimo di cervello verifica prima di agire. E per verificare occorrono giorni o mesi. Se reagisce subito, significa che vuole cavalcare l’onda emotiva, per cui è probabile che la notizia sia stata costruita ad arte.
  4. Sono preziose le informazioni fornite in tempi non sospetti e riguardanti altri scenari. Ad esempio all’attacco chimico di Halabja del 1988 Wikipedia attribuisce l’uccisione di 5000 curdi.
Seguendo queste linee è possibile costruire una “macro notizia” attendibile sulla Siria.

C’era una volta la Siria, paese che godeva di una relativa pace, di un relativo benessere, di una ragionevole convivenza tra minoranze. Mangiare, curarsi, muoversi, lavorare, studiare, viaggiare, era la norma. Il paese era senza debiti e senza emigrazione. Il tutto grazie anche a Bashar al-Assad, che aveva imposto il pugno di ferro sull’islamismo radicale.
Oggi la Siria è un paese distrutto e affamato, con 400.000 morti e milioni di sfollati.
In mezzo cosa c’è stato? Una guerra di ribellione dell’islamismo radicale contro l’ordine e il benessere. Nel remoto inizio ci furono manifestazioni di piazza per avere “più democrazia” (come se uno Stato a maggioranza islamica potesse davvero avere democrazia), ma la regìa occidentale (quel mix dove USA Francia e Gran Bretagna lavorano insieme a paesi dittatoriali della Penisola Arabica) aveva già predisposto l’apparizione dei “ribelli moderati” in armi. Moderati per i media, islamisti radicali nella realtà.

In Siria gli stanchi sceneggiatori ci ripropongono lo stesso copione libico: il dittatore contro il suo popolo, i bombardamenti di ospedali, gli orrori generici attribuiti ad Assad. E quando la popolazione festeggia la liberazione di Aleppo, non sanno più cosa dire. Ci propinano allora la bambina senza famiglia che corre tra le macerie, hashtag #Save_Aleppo: poco importa che l’immagine sia tratta da un videoclip del 2014 di una cantante libanese.

Arriva poi l’attacco“chimico” da 70 morti, ridicolo sia rispetto ai morti totali della guerra di Siria sia rispetto alla realtà di un vero attacco chimico. Ma la responsabilità di Assad è “certa” e Trump tira i missili.
Solerte si accoda il nostro ministro Alfano, dicendo che la reazione è “proporzionata”. Naturalmente anche Alfano dipende solo da rilanci d’agenzia, avendo rinunciato a usare la logica. L’unica cosa assodata è che “Assad se ne deve andare”. Perché mai? Forse la Siria creata da Assad era peggiore della Siria creata da questo orrendo conglomerato di occidentalismo e islamismo?
Nel 2011 un ministro libico commentava: «Una commissione ONU che fosse venuta a verificare cosa stava davvero accadendo il Libia vi sarebbe costata meno del lancio di un solo missile». In Siria non sarebbe stato diverso. Ma perché muoversi e indagare? E’ tanto comodo dipendere da rilanci d’agenzia e ripetere le cose che gli stanchi sceneggiatori hollywoodiani ci dicono di credere.

«Un paese che non si indebita fa rabbia agli usurai». La finanza internazionale vuole sempre degli “Stati mendicanti”, bisognosi dei loro soldi. Uno Stato che riesce a farcela da solo prima o poi finisce male. Non so se è una regola generale, di certo vale per la Libia e la Siria.
    Giovanni Maria Lazzaretti  
    Taglio Laser, Vita Nuova, 21 aprile 2017

domenica 23 aprile 2017

Maaloula piange i suoi cinque nuovi martiri

Papa Francesco si è recato sabato nella basilica di san Bartolomeo all’Isola Tiberina, divenuta, dopo il Giubileo del 2000, 'Memoriale dei testimoni della fede del XX e del XXI secolo'.  Durante  la liturgia ha dichiarato:
 “Se guardiamo bene, la causa di ogni persecuzione è l’odio del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione. Nel Vangelo Gesù usa una parola forte e spaventosa: la parola ‘odio’. Lui, che è il maestro dell’amore, al quale piaceva tanto parlare di amore, parla di odio. Ma Lui voleva sempre chiamare le cose con il loro nome. E ci dice: ‘Non spaventatevi! Il mondo vi odierà; ma sappiate che prima di voi ha odiato me’. Gesù ci ha scelti e ci ha riscattati, per un dono gratuito del suo amore. Con la sua morte e risurrezione ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: poiché noi siamo salvati da Gesù, e il principe del mondo questo non lo vuole, egli ci odia e suscita la persecuzione, che dai tempi di Gesù e della Chiesa nascente continua fino ai nostri giorni. Quante comunità cristiane oggi sono oggetto di persecuzione! Perché? A causa dell’odio dello spirito del mondo”.
Da venerdì 21 aprile, l'annuncio è ufficiale: i cinque Cristiani rapiti dal villaggio di Maloula sono stati ritrovati uccisi [I loro resti rinvenuti in una grotta a Arsal, cittadina libanese al confine siriano]. Erano ostaggi di Al-Nusra dal settembre 2013.
Il giorno in cui la notte si abbattè su Maaloula è il 7 settembre 2013: il villaggio è circondato, i colpi risuonano e gli obici colpiscono ovunque. I combattimenti sono di una violenza inaudita! Il gruppo terroristico al-Nusra (branca siriana di Al Qaeda) penetra in Maaloula. Sono Siriani, Tunisini, Marocchini, Giordani ma anche qualche abitante di Maalula e si infiltrano come una scia di polvere tra le abitazioni.
Mikhail, Antoun e Sarkis, tre abitanti cristiani, vengono giustiziati sommariamente con una pallottola in testa, traditi dai loro vicini abituali. Questo è il prezzo da pagare per chi vuole restare fedele alla propria patria e a Cristo. Nella stessa giornata Ghassan, Jihad, 'Taef, Shadi, Daoud e Moussa vengono prelevati.
Con la liberazione di Maaloula da parte dell'esercito arabo siriano, il Fronte al-Nusra si ritira sulle montagne libanesi con gli ostaggi. Agli abitanti viene poi ingiunto di permettere che i musulmani tornino nel villaggio. Senza condizione, accettano. Ma le richieste di Al Nusra non finiscono qui: 100 milioni di sterline siriane, l'equivalente di 200.000 dollari, sono da versare come riscatto. Ancora una volta, accettano e pagano. Poi, per due anni, dei rapiti non si ha più alcuna notizia.
Tutti i volontari di  SOS Chrétiens d’Orient  , in Siria conoscono questa storia. I ritratti dei tre martiri da tempo campeggiano sulla piazza del paese. Ma gli altri, i sei ostaggi, che fine hanno fatto? Una questione rimasta in sospeso da oltre 3 anni e mezzo, per le famiglie ferite, in attesa di un possibile ritorno, che non arriverà mai!
Infine, su sei, cinque corpi sono stati trovati... sgozzati. La loro morte risalirebbe a più di un anno fa. Questi eroi cristiani avevano un nome e un volto, una storia, un futuro. Per tutti, erano dei padri, dei fratelli, degli amici e sono andati via per sempre.
Ghassan 48 anni, lavorava nella fabbrica di Debess che stiamo aiutando a ricostruire, aveva tre figli. Suo fratello Moussa 43 anni il cui corpo non è stato ritrovato, possedeva un negozio di spezie. Jihad, 48 anni, era un muratore, suo nipote Shadi (il cui padre è uno dei tre martiri) era uno studente all'università di Damasco. Taef, 43 anni, era pasticciere. Daoud, 31 anni, era l'autista del taxi.
Vi invitiamo a unire le vostre preghiere alle nostre, soprattutto martedì in occasione del ritorno dei corpi nel villaggio per i funerali.
 SOS Chrétiens d’Orient en Syrie