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lunedì 28 novembre 2016

L'arcivescovo Jacques Behnan Hindo spiega le dinamiche della guerra siriana


Intervista di Rodolfo Casadei

Tempi, 28 novembre 2016

Parla della sua regione e la sua arcidiocesi (o arcieparchia), che si estende da nord a sud dalla città di Qamishli, al confine con la Turchia, fino alla derelitta Der Ezzor non lontano dal confine con l’Iraq occupato dall’Isis, e verso ovest fino a Raqqa compresa, la capitale del califfato di al-Baghdadi.

Stiamo parlando dell’angolo nord-est della Siria, quello incuneato fra Turchia e Iraq. In Europa questa regione è chiamata la Mesopotamia siriana, nel mondo arabofono è nota come la Jazira, parola che significa “isola”: si tratta dei territori compresi fra l’alto corso dei due fiumi che poi entrano in Iraq, il Tigri e l’Eufrate. Gran parte dell’area è fertilissima e rappresentava in tempo di pace il granaio della Siria. Nella parte di questa regione coincidente col governatorato di Hassaké, prima della guerra i cristiani erano numerosi, circa 200 mila pari al 15 per cento di tutti gli abitanti. Appartenenti principalmente a sei chiese diverse: siro cattolici, siro ortodossi, armeni apostolici, armeni cattolici, caldei e assiri orientali. Sia nell’agricoltura sia nell’industria, rappresentavano l’élite sociale: secondo i dati di monsignor Hindo detenevano il 60 per cento del Pil prodotto nel governatorato di Hassaké. Ora la loro presenza è dimezzata, molti sono fuggiti per non restare coinvolti nei sanguinosi combattimenti iniziati nel 2011 e che oggi vedono scontrarsi soprattutto le Forze democratiche siriane (Fds), composte dai miliziani curdi dell’Ypg e da milizie locali beduine, e l’Isis, che ha da queste parti la sua roccaforte siriana. Le principali città sono in parte sotto controllo dei governativi di Damasco, in parte sotto quello dei curdi dell’Ypg o dell’Isis.

Monsignor Hindo spiega qual è stato il ruolo delle Chiese nel momento in cui l’episodio siriano della cosiddetta Primavera araba stava tracimando dalle proteste di piazza alla guerra civile. «Nella nostra regione i cristiani sono sempre stati considerati i mediatori dei conflitti. Quando sono cominciate le tensioni, siamo stati chiamati ad appianare le divergenze politiche sorte all’interno delle tribù beduine e della componente curda. Nei primi tempi ci siamo riusciti, come succedeva spesso in passato, ma in seguito abbiamo perso completamente il controllo della situazione».

Tu paghi, io combatto
Del ruolo delle tribù beduine nella guerra civile siriana parlano solo gli specialisti, letti e consultati da pochi, ma si tratta di uno dei fattori decisivi del conflitto. I beduini, fra nomadi e sedentarizzati, rappresentano il 12-15 per cento della popolazione siriana. Alcune tribù sono fedelissime del governo centrale, altre sono legate all’Arabia Saudita, ma in generale i beduini non nutrono sentimenti di appartenenza a un paese oppure a un altro: si legano ad altri solo per il vantaggio della propria tribù.
«I beduini non hanno patria, sono devoti solo alle loro gerarchie tribali, e anche se sono tutti musulmani sunniti non sono molto religiosi: in Europa li definireste dei credenti non praticanti. In Siria il governo, che negli anni Sessanta ha tolto le terre ai loro capi per darle alle famiglie povere, nei decenni successivi ha cercato di ingraziarseli con politiche assistenziali. Gli anni precedenti il 2011 sono stati caratterizzati da grandi siccità nelle regioni semidesertiche della Siria che loro abitano, e ciò li ha resi disponibili ad aderire alla ribellione. In quegli anni molti di loro si sono trasferiti in città a Damasco, ad Aleppo e a Daraa, e lì sono stati il nerbo delle proteste. All’inizio hanno aderito in massa al Free Syrian Army (Fsa) filo-occidentale, che però pagava solo 10 mila lire siriane al mese (che nel 2012 equivalevano a 185 dollari), ma quando è apparsa Jabhat al-Nusra (l’equivalente siriano di Al Qaeda), sono passati in massa con lei soprattutto perché pagava il doppio! Quindi è arrivata l’Isis, che noi chiamiamo Daesh, e di nuovo molti beduini, parliamo di migliaia di combattenti, hanno cambiato bandiera, perché loro pagavano mille dollari a persona! Una famiglia con sei figli maschi poteva incassare 6 mila dollari al mese, una somma enorme per loro. In quel periodo i beduini hanno cominciato a vestirsi e a comportarsi come pretendeva lo Stato islamico. Poi gli americani, i russi e i curdi hanno cominciato a bombardare e attaccare il Daesh, i suoi pozzi petroliferi e le autobotti con cui il petrolio veniva trasportato al confine. Le loro risorse sono svanite, e adesso i combattenti locali sono pagati solo 200 dollari. Un po’ per questo, e un po’ perché hanno visto che l’Isis era attaccata da tutti e perdeva terreno, i beduini che combattevano per loro sono passati in massa dalla parte dei curdi».
Le divisioni tra i curdi
E così cominciamo a proiettare un po’ di luce sul mistero delle Forze Democratiche Siriane (Fds), coalizione di combattenti curdi dell’Ypg e di milizie arabe. Le milizie arabe altro non sono che le varie tribù beduine che hanno cambiato bandiera e sono passate coi curdi. Anche su questi ultimi Hindo fornisce informazioni molto interessanti: «Non tutti i curdi stanno dalla parte dell’Ypg e del suo braccio politico, il Pyd, che ha come obiettivo l’indipendenza di un vasto territorio sotto il nome di Rojava. I curdi rappresentano forse il 30 per cento degli abitanti della regione, e di questi solo la metà o poco più appoggia la linea politica del Pyd, che ha la stessa ideologia laicista del Pkk di Abdullah Ocalan in Turchia. Molti giovani curdi sono fuggiti nel Kurdistan iracheno per non essere costretti a combattere prima con l’Ypg e poi con le Fds. Fino a un anno fa, quando appunto sono nate le Fds, c’era un accordo di non belligeranza fra i curdi dell’Ypg e le forze governative. Damasco ha pure fornito segretamente armi e risorse ai curdi, ai quali è stato permesso di controllare gran parte dei territori del nord-est. La cosa è cambiata quando gli americani hanno sponsorizzato la nascita delle Fds e hanno cominciato ad armarle e finanziarle con larghezza. Allora i rapporti con le forze governative si sono logorati, e in alcune località, come nella città di Hassaké, ci sono stati aspri scontri, in particolare nel quartiere cristiano delle sei chiese, che adesso è zeppo di check-point. Sono stati otto giorni molto sanguinosi».

Milizie cristiane
Facciamo presente al nostro interlocutore che nel nord-est della Siria i cristiani appaiono divisi politicamente e militarmente: la milizia Sootoro appoggia le forze governative (esercito e Ndf, le milizie popolari di quartiere), la quasi omonima milizia Sutoro sta dalla parte delle Fds. «È vero, c’è questa divisione, ma i cristiani filo-curdi in realtà sono poco numerosi: credo 300 famiglie in tutto, dai cui ranghi provengono gli armati di Sutoro. Si tratta di elementi ideologicamente di estrema sinistra o di nazionalisti etnici assiri e siriaci. Sono pochi anche i cristiani coinvolti in Sootoro. La grande maggioranza di noi o sostiene il governo, o critica il governo ma resta leale al presidente Assad. I Sutoro cercano di farsi valere all’interno delle Fds: recentemente la componente curda ha deciso di requisire tutte le case dei cristiani che sono emigrati a causa della guerra, ma Sutoro ha protestato e ha ottenuto che le case siano affidate alla loro competenza. Stanno cacciando i nuovi residenti, spesso arabi a cui i cristiani avevano venduto o affittato la casa prima di andarsene, e mettono dentro persone che scelgono loro».
Monsignor Hindo classifica se stesso fra coloro che criticano il governo ma riconoscono l’autorità del presidente Assad: «Il 28 giugno scorso ho incontrato il presidente e gliel’ho detto di persona, poi ho scritto una lettera in quattro punti perché restasse agli atti: il governo deve cambiare il suo modo di agire, il partito dominante, il Baath, continua a comportarsi come se vivessimo in tempi normali, e non in tempo di guerra. Nomina le persone sbagliate nei posti sbagliati, seguendo logiche partitocratiche, settarie, di clan, di fazione. Per il 95 per cento, le persone competenti, oneste e intelligenti che ci sono nel partito vengono tenute ai margini e non vengono promosse alle responsabilità che meriterebbero. Il risultato è l’incancrenimento della corruzione amministrativa. L’ho detto anche al governatore militare di Hassaké: “Lei ha tutti i poteri, lei può sradicare la corruzione”. Mi ha chiesto cos’è che vogliamo noi cristiani. Gli ho risposto: “Per noi stessi non vogliamo nulla, vogliamo la giustizia, la pace, la sicurezza personale e comunitaria per tutto il popolo, e vogliamo che siano colpiti coloro che rubano il denaro pubblico”».
Come si vive a Raqqa
Monsignor Hindo ne ha anche per le Nazioni Unite: «Da tempo il governo pratica la politica dell’amnistia e della riconciliazione per chi depone le armi e firma l’impegno a non praticare più la lotta armata. In alcuni casi si è provveduto a trasportare nelle zone controllate dalla ribellione chi voleva continuare a combattere, per poi dichiarare la cessazione delle ostilità in quartieri, villaggi e città dove restano molti ex combattenti che riprendono la loro vita normale. È la strada giusta, è l’unico modo per ricomporre il tessuto della società siriana strappato dalla guerra. Abbiamo una serie di esperienze positive a Homs, Mouadamiya, Daraya, Qudssaya. Quando invece si mettono di mezzo le Nazioni Unite, quando l’Onu entra nelle trattative, le cose si complicano e spesso i negoziati falliscono. Perché? Perché quando vedono rappresentanti degli enti internazionali, i ribelli si sentono molto importanti e alzano il prezzo della resa. Si sentono spalleggiati da autorità di livello mondiale, e allora si irrigidiscono. Dove le trattative si svolgono esclusivamente fra siriani, spesso si arriva a una soluzione negoziata, dove si mette in mezzo l’Onu, le trattative stentano. In parte questo sta succedendo anche ad Aleppo».
L’arcidiocesi di monsignor Hindo si estende fino a Raqqa, ed è una vera sorpresa venire a sapere da lui che nella capitale del califfato vive più di qualche cristiano: «Le sole famiglie siro cattoliche sono 15. Escono di casa solo per andare al lavoro, hanno molta paura a farsi vedere in giro. Ma non si lamentano dell’amministrazione: l’Isis fa rispettare tutte le leggi, non solo quelle di ispirazione religiosa, e dopo che hanno pagato la tassa di sottomissione coranica, la jizya, i cristiani sono trattati come gli altri cittadini. Lo Stato islamico ha fissato il prezzo di tutti i servizi, e fa rispettare rigorosamente le norme: se qualcuno non paga a un cristiano la riparazione effettuata presso la sua officina meccanica, il cristiano va a protestare dallo sceicco e quello rapidamente costringe il cliente a saldare il conto alla cifra fissata. Per i sacramenti, battesimi e matrimoni soprattutto, vengono da noi ad Hassaké: celebriamo il rito e festeggiamo insieme, poi loro tornano a Raqqa. Chi è in regola col pagamento della jizya non ha problemi e può viaggiare».
L’ombelico di Dio
Il vescovo non è mai stato a Raqqa da quando è scoppiata la guerra, e forse è meglio così, sentendo quel che dice quando parla della sua fede cristiana: «Io non credo in un Dio unico, credo in un Dio trino. Perché un Dio unico che ama se stesso sarebbe un Dio narcisista. Non credo in un Dio potente, perché sono creatura debole come debole è tutta la creazione. E non credo in un Dio eterno che eternamente ruota attorno al suo ombelico, perché sarebbe un’eternità vuota. Credo che Dio lo abbiamo conosciuto in Cristo quando è salito sulla croce e ci ha rivelato l’amore di Dio. Dio ha amato tanto il mondo da mandare Suo figlio, e Suo figlio si è fatto sacrificio per noi per aprire al mondo la strada della resurrezione e ci ha inviato il Suo Spirito vivificante. Credo in un Dio che ha una storia, che ha un presente e un futuro, in quanto verrà. Un Dio che non soffre non è un Dio che ama, Dio si è fatto uomo per soffrire e per amarci. Non possiamo conoscere Dio che a partire dal sacrificio di Suo figlio. La Chiesa ci aiuta a diventare uno in Cristo, e quando saremo uno in Lui e con Lui, saremo anche uno con il Padre».

mercoledì 23 novembre 2016

PROGETTO: SOTTO L'ALBERO DI NATALE DEI BAMBINI SIRIANI


Dallo scorso anno sosteniamo una struttura educativa situata a Marmarita, cittadina nell'altopiano della Valle dei Cristiani, al di fuori dei combattimenti, situata tra Homs e la costa mediterranea , gestita dalle SUORE DEL PERPETUO SOCCORSO .
L'afflusso di rifugiati è in costante aumento e, benchè non sia toccata dalle brutture della guerra, la popolazione soffre pesantemente le conseguenze della mancanza di lavoro, l'aumento del costo della vita, le sanzioni che bloccano gli scambi economici e finanziari.

La richiesta che ci viene fatta quest'anno è di operare in duplice direzione: la gioia del dono natalizio per i bambini e l'aiuto al sostentamento di alcune famiglie attraverso una attività lavorativa .
La scuola di Marmarita è frequentata da bambini sfollati, provenienti dalle zone più devastate della Siria, quasi tutti rimasti solo con la madre e i fratelli, alcuni orfani di entrambi i genitori.
Vi sono molte educatrici laiche e la gestione delle attività è accurata , volta a rasserenare i bimbi che hanno vissuto esperienze così traumatiche e dolorose.

I bimbi del gruppo dell'asilo sono così suddivisi:
  • 70 bambini di 3 anni
  • 115 bambini di 4 anni
  • 105 bambini tra i 5 e i 6 anni
per un totale di 290 bambini.

In Marmarita alcuni rifugiati hanno aperto un laboratorio di cucito , dove si confezionano e vendono i capi prodotti in collaborazione con un gruppo di donne che sono rimaste ad Aleppo, la città martire: è una attività preziosa che consente a queste donne di sostentare la famiglia.
Per Natale il gruppo degli artigiani, composto da 2 uomini e 4 donne, confezionerà per i 290 bambini una giacca in tessuto molto caldo con cappuccio.
Ogni bimbo inoltre riceverà nel suo pacco natalizio un po' di dolcetti e cioccolata.
Il costo del dono natalizio è di 17 euro per ogni bambino.

Il denaro non può essere inviato in Siria direttamente a causa delle sanzioni , che bloccano ogni transazione internazionale anche per gli istituti religiosi e i missionari.
Dunque il denaro viene inviato sul conto delle Monache Trappiste in Italia, che appoggiano le loro consorelle in Siria e anche altre Congregazioni ed opere di carità rivolte ai poveri siriani.

QUI IL CONTO CORRENTE SU CUI VERSARE, AVENDO CURA DI INDICARE NELLA CAUSALE : “ BAMBINI SIRIANI ASILO DI MARMARITA”

CC postale: 12421541
CausaleB
ambini Siriani Asilo di Marmarita


(l'offerta è detraibile)

Vi ringraziamo per la vostra amicizia e per tutto ciò che vorrete destinare a questi bimbi e a queste famiglie così duramente provate da questa interminabile terribile guerra, ma soprattutto per la vostra preghiera affinchè ci sia concesso il dono immenso della Pace.

Ora pro Siria

Cari amici, vi invitiamo a sostenere anche l'analoga iniziativa 'Un vestito sotto l'albero' per  donare abiti caldi ai bambini di Aleppo che i Fratelli Maristi hanno nella loro cura.
E' promossa dalla amica ONLUS italiana AIULAS. Qui i riferimenti:
http://www.aiulas.org/i-nostri-progetti/un-vestito-sotto-l-albero/

martedì 22 novembre 2016

Verso la liberazione finale? No alla proposta De Mistura

Nella Conferenza Stampa, il Ministro degli Esteri siriano Al-Moallem ha sottolineato che De Mistura ha parlato di "amministrazione autonoma" nella parte orientale di Aleppo, cosa  categoricamente rifiutata dal Governo.

"In effetti, gli abbiamo detto che siamo d'accordo sulla necessità di far sì che i terroristi siano mandati fuori dalla parte orientale di Aleppo, a prescindere dalle nostre differenti valutazioni circa i loro numeri, ma non ha alcun senso  lasciare che 275.000 dei nostri concittadini rimangano ostaggi di 5- 6 o 7mila militanti. Nessun governo al mondo lo accetterebbe ", ha aggiunto al-Moallem.

"E' possibile che le Nazioni Unite vogliano premiare i terroristi che stanno continuando a sparare proiettili su Aleppo Ovest che causano la morte di migliaia di persone e il ferimento di tanti altri?" , ha detto al-Moallem.
«E oggi un missile è stato sparato sulla scuola al-Furkan , uccidendo 11 studenti . Ha senso premiarli? Inoltre, i terroristi hanno anche bombardato il Palazzo di Giustizia, la Facoltà di Giurisprudenza e al-Bassel Hospital. Quei terroristi non hanno un deterrente morale ", ha aggiunto.
Il ministro ha ribadito che l'idea di "auto-amministrazione" è totalmente respinta "perché mina la sovranità nazionale della Siria e dà un premio per il terrorismo", aggiungendo:
"La Siria ha dato tre opportunità di tregua per evacuare i residenti dai quartieri orientali di Aleppo, ma le organizzazioni terroristiche non hanno permesso loro di uscire attraverso i corridoi sicuri, e hanno bombardato i corridoi con colpi di mortaio e hanno impedito ai civili di uscire nonostante tutti i preparativi effettuati dal Governatorato di Aleppo per garantire la loro uscita in modo sicuro ".
Il ministro ha continuato dicendo che:
 "Sono state date loro più di una possibilità e non le accettano, e ora si parla di dimostrazioni locali circa magazzini alimentari che sono tenuti dai terroristi che stanno vendendo cibo sul mercato nero per la nostra gente di Aleppo orientale."
"Anche ai convogli umanitari è stato impedito di entrare dai mortai. Pertanto, credo che sia il dovere dello Stato siriano di salvare i cittadini dall' essere ostaggi ", ha detto al-Moallem.

"Quando de Mistura stava parlando di un cessate il fuoco, gli abbiamo chiesto garanzie da parte dei paesi che sostengono i terroristi, ma ha detto che non ci sono tali garanzie",  aggiungendo "Non abbiamo visto nulla che aiuti una ripresa del dialogo intra-siriano ... forse [egli] è in attesa di una nuova amministrazione degli Stati Uniti o di un nuovo segretario generale delle Nazioni Unite. " ...

Rispondendo alla domanda di SANA sulle aspettative della Siria circa una nuova amministrazione degli Stati Uniti, al-Moallem ha sottolineato che "E' troppo presto per parlare degli slogan sollevati durante la campagna elettorale ... Nessuna persona onesta che ha esaminato le politiche della scorsa Amministrazione l'ha vista correggere i suoi errori",  aggiungendo: "Quello che vogliamo dalla prossima Amministrazione non è solo di smettere di sostenere i gruppi armati , ma anche di frenare i paesi regionali noti per sostenerli. ".

Circa lo svolgimento di una conferenza che raccolga la"opposizione interna" con figure di "opposizione esterna" a Damasco, al-Moallem ha detto:
"Diamo sempre il benvenuto a qualsiasi riunione siriano-siriano, lontana da intervento straniero, al fine di tenere il dialogo sul futuro, quindi, diciamo che se questa conferenza si terrà a Damasco l'accogliamo, e se si terrà a Ginevra, diremo benvenuto."

Rispondendo ad una domanda sullo spingere i terroristi da Aleppo a Idleb, al-Moallem ha detto:
"Noi non li spingiamo a Idleb, ma il loro centro di comando è lì, ed è un governatorato che confina con la Turchia, il che significa che il loro punto di raccolta logistico e umano è in Idleb, in ogni caso, se scelgono un luogo diverso da Idleb, a noi non importa. ".

  "Non abbiamo alcun dubbio che le nostre forze armate vinceranno la battaglia di Aleppo, e la decisione della dirigenza è che la situazione in Aleppo ritorni alla normalità, e che le nostre famiglie nei quartieri orientali siano liberate da quei terroristi che prendono i civili come scudi umani ".



Una lettera ISIS nel 2013, "per informazioni, visita la nostra sede nell'ospedale dei bambini" .. in Est Aleppo! 


Verso la liberazione finale?


Qara, 18 novembre 2016 
No, non ci siamo ancora, ma ad Aleppo la "madre di tutte le battaglie" è in preparazione. Per la prima volta, dall'inizio di questa guerra ingiusta contro la Siria, possiamo chiederci: ci sarà l’attesa liberazione finale di Aleppo e di tutta la Siria?.  Il presidente Siriano sarà in grado – in un prossimo futuro - di tenere un discorso televisivo alla popolazione da Aleppo per – prima di tutto -commemorare, ringraziare e pregare per le centinaia di migliaia di martiri siriani caduti in questa guerra? Per questo, ci vuole prima la chiusura ufficiale dell'era di Hillary Clinton, cioè, la fine dell’ossessione americana per il controllo dell’intero pianeta. I paesi che la Hillary classificava come nemici, sono stati ridotti nel caos o isolati o puniti. Invece i paesi che lei classificava come amici sono stati promossi. Il 28 ottobre 2016 la Russia è stata espulsa dal Consiglio dei diritti umani dell'ONU, mentre l’Arabia Saudita ha ricevuto un secondo mandato di ufficio. Praticamente nessuno ha protestato. Il 15 novembre, la delegazione saudita per la 3 ° Commissione dell'ONU per la promozione e la tutela dei diritti umani, ha fatto una proposta per una risoluzione in cui è stato denunciata "la situazione dei diritti umani in Siria" (approvata con 116 voti a favore, 15 contrari, 49 astenuti). Ebbene, queste sono situazioni che provocheranno un giorno la caduta totale della Commissione dei diritti umani dell’ ONU, nello stesso modo che l’Americano medio ora ha protestato contro la corruzione dell’élite votando chiaramente per Trump. Al paese (l’Arabia Saudita) in cui le persone valgono meno di animali, è stata concesso - come procuratore generale sul livello venerabile mondiale – di criticare il paese (la Siria) che ha il più alto livello di sviluppo nell' intero mondo arabo anche in materia di uguaglianza e rispetto dei diritti umani. Che rimane della credibilità di tali organizzazioni internazionali? Un giorno tutto questo finirà male! 
In ogni caso, il rappresentante siriano permanente all'ONU ha espresso una risposta schiacciante.. (Bachar al-Jaafari: Quando il terrorista diventa il difensore degli diritti umani, diventa possibile che lo SI presieda le operazioni di mantenimento della pace dell' ONU..., mondialisation.ca, 17 novembre 2016. In francese: Quand le terroriste devient le défenseur des droits de l’homme, ildevient possible que l’EIIL préside les opérations de maintien dela paix de l’ONU..., mondialisation, ca.17 novembre 2016).)

Nel frattempo, la portaerei russa Admiral Kuznetsov è ancorata in Siria per aiutare la distruzione delle scorte armate, le fabbriche di armi e i laboratori di armi chimiche dei terroristi e  liberare il paese dai jihadisti. I cittadini sono pregati di evacuare questa zona e gli ospedali sono forniti di materiale extra. Martedì 15 novembre sono stati fatti bombardamenti, nelle quali sono stati eliminati una trentina di combattenti di al-Nusra, tra cui il comandante Abul Baha al-Asfari. L'intera operazione di liberazione di Aleppo è ora nelle mani della Russia, che attualmente ha installato una zona no-fly per evitare le azioni illegali dell'occidente e i loro vassalli contro la Siria.

Continuiamo a sperare, lavorare e pregare per la pace definitiva in Siria.

Padre Daniel Maes

domenica 20 novembre 2016

I terroristi prendono di mira le scuole elementari di Aleppo


20 novembre: giornata internazionale dei diritti dei bambini
Questa domenica mattina, come ogni giorno, pioggia di colpi di mortaio lanciati dai terroristi di Aleppo-Est sui nostri quartieri. Ma oggi hanno raggiunto una scuola elementare nel quartiere Al Furqan: 10 bambini morti e moltissimi feriti.
I media occidentali segnaleranno questo crimine di guerra?
I governi si indigneranno e protesteranno?
Ma come?! Pensavamo che tutte le scuole fossero nella zona Est di Aleppo, e che la guerra fosse una aggressione unilaterale sui civili?
Tante distorsioni. Vogliono farvi credere che Aleppo Est è fatto solo di ospedali, panifici e scuole . L'esercito è accusato di aver usato barrel bombs che colpiscono a caso, ma ha anche la magica capacità di mirare con precisione gli ospedali segreti. E in qualche modo i ribelli sono riusciti a sfuggire a ogni singola bomba, ma i caschi bianchi sono impegnati a salvare bambini dagli edifici ...
E circa la scuola elementare a Aleppo Ovest, dove 10 bambini sono stati uccisi oggi? DEVE essere il governo .. Non possono essere i caschi bianchi-combattenti per la libertà-ribelli moderati ..! Indovinate di nuovo ...
 dottor Nabil Antaki da Aleppo 

Talvolta, vivere in mezzo alle sofferenze inenarrabili che provoca la guerra, straziati dal lancinante incessante sibilo rabbioso di spari ed esplosioni che accompagnano la morte e la distruzione, diventa troppo faticoso anche per persone risolute e con forti spinte ideali quali Pierre Le Corf. Ma anche quando sembra naufragare nella stanchezza e nello sconforto, egli continua a raccontare, con rara efficacia, la tragedia della gente di Aleppo.

Dalla pagina di Pierre le Corf
‘’Per voi, oggi domenica 20 novembre 2016, una piccola finestra su Aleppo. Non riesco a trovare le parole giuste, in questa situazione. Tante emozioni. Tanti ricordi. Sinceramente... mentre qui, nella zona ovest di Aleppo, continuano a cadere proiettili di mortaio e granate. Essi si mischiano al rumore dei combattimenti nella zona est e sul cielo. I terroristi stanno sparando su di noi in questo momento (proprio di adesso la notizia di razzi che hanno ucciso almeno dieci bambini in una scuola) e cercano di distruggere gli aerei che stanno bombardando le loro postazioni per proteggere – almeno limitando gli attacchi - un milione e duecentomila civili qui ad ovest. Quando gli aerei si allontanano, anche per poco tempo, i razzi e i mortai riprendono a pioverci addosso.
Non mettetemi in difficoltà, non sono qui per fare politica o intavolare dibattiti. Parlo soltanto di ciò che vedo da ormai molti mesi e di ciò che mi raccontano coloro che sono fuggiti, anche recentemente, dalle zone occupate dai gruppi islamici (e non dai ribelli, come li chiamano in Occidente).
Intere famiglie che, durante la fuga, hanno avuto la fortuna di sopravvivere tra cecchini e mine anti-uomo, dato che nessuno ha 300$, il denaro da pagare [preteso dai terroristi, N.d.T.] per essere autorizzati a lasciare Aleppo est, devono allontanarsi in condizioni molto precarie. Come, ad esempio, Mahmud.

Solo vessilli neri intorno alla città. Nessuna libertà di opinione o di partiti. Non è questione di buoni o di cattivi. Questa guerra è mortale qui e dall’altro lato, ma dovete comprendere che la gente muore per gli spari dall’est verso l’ovest e viceversa soltanto a causa dei gruppi islamici armati e prepotenti in mezzo a civili usati direttamente o indirettamente come ostaggi. Sono là e uccidono. Le persone intorno ad essi muoiono. È molto semplice eppure tanto difficile da far comprendere.
Il mio fine è l’essere umano. Prego per tutti gli uomini, le donne, i bambini inermi, ma voglio sottolineare che questa guerra è una tragica messinscena e che ad alimentare veramente la morte sono le ideologie e gli interessi esterni, che distruggono la vita quotidiana, la storia della Siria e la speranza di tutti coloro che la abitano. Scusate se parlo troppo e magari non in maniera sufficientemente chiara … ma dovete capire ciò che accade in realtà e non ciò che raccontano i media, talvolta malevoli talvolta apatici. Dovete capire che voi ne siete i ripetitori …
Sono stanco di assistere alla morte gratuita di tanta gente per gli interessi di alcuni individui. Sono stanco di essere soltanto oggetto di intrattenimento banale (incompreso o deformato) per animare discussioni conviviali tra due bicchieri di vino e apparire intelligente.
"We are superheroes" se volete offrire un contributo per gli interventi di primo soccorso e per materiale medico: https://www.facebook.com/heroesworldtour/videos/1211332675598163/

Traduzione di Maria Antonietta Carta

mercoledì 16 novembre 2016

Jihadisti cinesi in Siria

Proponiamo ai nostri lettori la traduzione di un articolo un po' differente da quelli che solitamente pubblichiamo, inerenti le comunità cristiane....  Ci ha colpito, perchè scritto da una persona che conosce bene gli accadimenti e, soprattutto, perchè ci offre uno sguardo dal di dentro su alcuni temi cruciali.   Agli inizi del 2011, Steven Sahiounie (padre siriano, madre statunitense della California) era uno spensierato ragazzo che abitava a Latakia con la sua famiglia. A marzo dello stesso anno, la Siria fu spinta nel baratro infernale di una sporca guerra per procura. Adesso Steve fa il giornalista e racconta la guerra contro il suo Paese, come in questo interessante articolo sui jihadisti Uiguri, di cui quasi niente si scrive, che stanno in pratica colonizzando alcune località della Siria, ma hanno mire ancora più ambiziose e immaginano una jihad ben più vasta... 
 M.A.C.

Milizie di Al-Qaida composte da jihadisti Uiguri Cinesi, reclutate da Erdogan e inviate in Siria

di STEVEN SAHIOUNIE , 12 NOVEMBRE 2016

Il presidente turco Erdogan ha utilizzato il suo esercito mercenario per lottare contro le forze armate siriane nell'ntento di sovvertire l'ordinamento politico vigente . Questo progetto bellico contro la Siria è stato concepito, sostenuto ed elaborato dagli USA come risulta dal promemoria del 2007, che descrive come “noi distruggeremo sette Paesi in cinque anni, a cominciare dall'raq, poi la Siria, il Libano, la Libia, la Somalia, il Sudan e infine l'Iran”
http://www.globalresearch.ca/we-re-going-to-take-out-7-countries-in-5-years-iraq-syria-lebanon-libya-somalia-sudan-iran/5166

L'esercito mercenario del Presidente Erdogan è costituito da Cinesi Uiguri provenienti dalla regione estremo occidentale della Cina, la provincia autonoma dello Xinjiang (antico Turkestan orientale) con capitale Urumqi. Musulmani sunniti, gli Uiguri sono una delle cinquantasei nazionalità riconosciute ufficialmente dalla Repubblica popolare cinese. Parlano l'antico Turco, da cui deriva la lingua ufficiale che si usa oggigiorno in Turchia.

Durante molti anni, Erdogan ha appoggiato le rivendicazioni degli Uiguri oppressi dal governo cinese, comparandoli agli antenati del popolo turco e sostenendo l'esistenza di uno stretto legame storico ed etnico tra la Turchia moderna e il popolo uiguro. In un suo discorso, egli ha dichiarato che “il Turkestan orientale non è soltanto la patria dei popoli turchi, ma anche la culla della storia, della civiltà e della cultura turca. I martiri del Turkestan orientale sono i nostri martiri.” e per Turkestan orientale egli intende appunto la provincia cinese dello Xinjiang, patria del popolo uiguro [che costituisce la maggioranza relativa della popolazione della regione, 42- 46% N.d.T.]
Erdogan ha dunque utilizzato il suo esercito di mercenari uiguri, a cui ha rilasciato passaporti turchi per l'ingresso in Turchia. I servizi di immigrazione presso gli aeroporti turchi hanno riconosciuto questi passaporti e li hanno confiscati, permettendo, tuttavia, ai loro detentori l'ingresso nel Paese. Il Presidente ha organizzato anche il loro viaggio dagli aeroporti fino all'ingresso in Siria, attraverso la lunga e permeabile frontiera a nord di Idleb, una città di media grandezza della regione nord occidentale.
Nel Distretto di Zeytinburnu a Istanbul, Nurali T., un Turco Uiguro che lavora al trasporto dei terroristi in Siria con il permesso implicito del governo turco e in particolare dei servizi segreti, fornisce passaporti ai militanti di tutto il mondo. Secondo un responsabile dell'ufficio di Nurali T., “oltre 50 000 Turchi Uiguri con passaporti falsi sono arrivati in Turchia, via Tailandia e Malesia, per entrare in Siria dopo aver trascorso una giornata a Istanbul”. Questi militanti trascorrono quindi un giorno in hotels o pensioni, prima di passare in Siria attraverso le frontiere controllate dai terroristi. http://chinamatters.blogspot.com/2015/07/turkey-plays-uyghur-card.html
Idleb divenne un focolaio di violenza e distruzione sin dai primi mesi della crisi siriana nel marzo 2011. Alla fine dell'estate 2011, era stata abbandonata dai suoi abitanti in fuga verso i campi profughi turchi o a Latakia. Fu quindi trasformata in un quartier generale della Free Syrian Army (Esercito libero siriano) e in base operativa.
Quando il senatore repubblicano John McCain, dell'Arizona, fece il suo famoso viaggio illegale in Siria, si incontrò con i comandanti dell'Esercito siriano libero (ASL) presso Idleb. Infine, l'ASL ha reclutato e invitato gruppi di Al-Qaeda di Libia, Afghanistan, Cecenia e di altri Paesi arabi e occidentali: dagli Stati Uniti all'Inghilterra, dall'Europa all'Australia. Poichè la maggioranza dei siriani non sostiene la rivoluzione armata, l'ASL ha scelto di convocare i fratelli jihadisti del mondo intero. L'ufficio statunitense della CIA ad Adana, in Turchia, che dirige il comando e gli approvvigionamenti dell'ASL, non si fa alcun problema nel permettere ad Al-Qaeda ed ai suoi affiliati di rafforzare le truppe assottigliate dell'ASL. Gli Stati Uniti hanno utilizzato l'ASL e filiali di Al-Qaeda come Jibhat al-Nusra, Esercito islamico, Nour-al Din al Zinki e Ahrar al Sham, per combattere contro le forze armate governative siriane, evitando così di dispiegare i loro soldati. In effetti, l'ASL e tutte le altre milizie armate agiscono come 'soldati statunitensi sul terreno'.


Il Partito Islamico del Turkestan (TIP) è un grosso gruppo politico radicale islamico composto da Uiguri. Il loro capo è l'emiro Abd al-Ḥaqq al-Turkistānī.
Dal 2001, il TIP è affiliato ad Al-Qaeda. I capi sul terreno di battaglia del TIP nella provincia di Idleb sono Abu Rida al-Turkestani e Ibrahim Mansur. Nel 2013, il TIP si è alleato con Jibhat al-Nusra, che figura nella lista dei gruppi terroristici vietati negli Stati Uniti. L'Osservatorio siriano dei Diritti Umani ha dichiarato: “I Ceceni che hanno lasciato I'ISIS (Islamic State of Iraq and the Levant) sono stati rimpiazzati dal Partito Islamico del Turkistan uiguro, alleato di Al-Qaeda”.
'Islam Awazi', il celebre centro mediatico del Partito Islamico del Turkestan (TIP), pubblica tre o quattro video mensili nella rubrica 'Un appello dalla prima linea della jihad' che riportano i 'successi' militari dei combattenti del TIP. Inoltre, produce un video mensile 'Turismo dei credenti' che mostra la vita 'pacifica' et 'militare' dei combattenti uiguri in Siria. In particolare, il 22 luglio 2016, il Partito Islamico del Turkestan ha distribuito un video intitolato “Il mio Desiderio”, con fotografie di combattenti uiguri in Siria.
http://thediplomat.com/2016/08/chinas-nightmare-xinjiang-jihadists-go-global/

Oggi, i radicali ispirati dallo Stato islamico ripetono l'esperienza del TIP che ha massacrato i cinesi Han (Gli Han sono il popolo cinese storico) nelle stazioni di Kunming e di Guangzhou con coltelli, asce e machetes nel 2014. In Cina, il TIP ha una lunga storia di attacchi terroristici contro i non musulmani, e adesso che i suoi membri sono numerosissimi in Siria, è diventato un serio concorrente nella jihad mondiale. A Pechino, nell'ottobre 2013, cinque persone sono morte quando un'auto si è schiantata contro un gruppo di pedoni vicino a piazza Tienanmen; e il TIP ha rivendicato l'attacco con un video. Questo fatto ricorda l'attacco con un camion nella Promenade des Anglais a Nizza, con numerosi morti e feriti, durante la festa nazionale francese, il 14 luglio 2016.
I terroristi del TIP a Idleb sono stati molto fieri di distruggere le varie Chiese cristiane nella regione. Come in numerose zone della Siria, la regione di Idleb aveva accolto musulmani, cristiani ed altre sette minoritarie. Il TIP ha ripreso in numerosi video i campanili con il loro vessillo e la distruzione delle chiese.
Gli Uiguri sono una comunità povera e poco istruita, con forti legami familiari, e alcuni di essi hanno risentito l'alienazione politica del governo cinese e della società. Perciò la maggior parte gli Uiguri emigrati a Idleb hanno portato con sé le famiglie al completo: uomini sposati, donne, bambini e parenti anziani: una situazione completamente diversa della maggior parte dei jihadisti, giovani che viaggiano soli. Per questa composizione particolare del jiahdismo in Siria, sono nate nuove esigenze rispetto ai campi terroristi tipicamente maschili.
Il TIP ha occupato un villaggio intero nella provincia di Idleb, Az-Zanbaqi, che ospita oggi
3.500 Uiguri dei due sessi e di ogni età. Essendo i bambini molto numerosi, hanno creato le loro scuole. Il Corano e l'addestramento militare 'dei giovani jihadisti' sono le materie principali che si insegnano a questi bambini. Il loro sogno è sopravvivere alla jihad siriana e affermarsi nei combattimenti terroristici per poi tornare e combattere in Cina per trasformarla in uno Stato islamico.
I petroldollari dell'Arabia Saudita e del Qatar servono per finanziare il progetto di cambiamento di regime in Siria. Il denaro viene distribuito in Turchia da un funzionario saudita. Gli Stati Uniti fomentano la politica di sovvertimento, la Turchia è la base logistica delle operazioni e la Siria il campo di battaglia in cui la maggior parte dei caduti sono civili inermi.
La Turchia è una democrazia moderna che, da molto tempo, si vanta del suo governo laico, ma il AKP, partito al potere, è in realtà un partito islamista. Erdogan ha operato cambiamenti sostanziali nel tessuto sociale e politico del Paese, con lo scopo di orientare la società turca verso un islam radicale. L'islam radicale non è una religione e neppure una setta. E' una ideologia politica. I Fratelli musulmani sono un partito politico mondiale che si fonda sull'islam radicale e per questa ragione illegali in numerosi Paesi, tra cui Egitto e Siria. Il presidente turco invece è un loro partigiano e difensore e, infatti, ha ospitato a Istanbul la Coalizione nazionale siriana (SNC), ala politica dell'opposizione armata siriana.
Anche gli Stati Uniti proteggono i Fratelli musulmani, che hanno appartenenti e uffici in quasi tutte le grandi città. Il Congresso ha dibattuto sulla loro proscrizione, ma la legge non è passata, e membri della Fratellanza islamica hanno occupato cariche importanti nell'amministrazione Obama e in Dipartimenti chiave come il Dipartimento della Giustizia e il Dipartimento della Difesa. Anche in Inghilterra li troviamo ovunque ed hanno forti legami con il governo britannico. Altrettanto può dirsi per l'Australia.

L'Arabia Saudita è la terra di elezione del wahhabismo, il Qatar promuove il salafismo mentre la Turchia, gli Stati Uniti e l'Inghilterra sono basi di Fratelli musulmani. Tutti e tre rivendicano esattamente l'identico islam radicale. Tuttavia, la grande maggioranza dei musulmani nel mondo rigetta l'islam radicale e il 'culto della morte' detto Stato Islamico, nato dalle tre correnti sopracitate.
La Chinatown siriana non è un luogo turistico con sfavillanti lanterne rosse e saporiti piatti di Noodles,... per questo, bisogna andare a San Francisco o a Seattle. La 'Chinatown' siriana è un villaggio tra colli e uliveti, un centro abitato da terroristi non una città turistica. Un giorno, il visto di questi 'turisti' uiguri scadrà e loro avranno due opzioni: affrontare la morte nei campi di battaglia o tornarsene a casa attraverso l'antica e celebre Via della Seta dei loro antenati.
Steven Sahiounie | 5 novembre 2016


Traduzione Maria Antonietta Carta 

lunedì 14 novembre 2016

"Damasco prisma di speranze": «Oggi la via di Damasco – dice il Patriarca Laham- è diventata la strada per la pace nel mondo intero»


Nell’ambito delle celebrazioni del Centenario del Pontificio Istituto Orientale (P.I.O.), il convegno internazionale “Damasco, prisma di speranze” ha voluto offrire un'opportunità di confronto e dialogo rivolto ai Pastori del Medio Oriente, finalizzato alla ricostruzione di un tessuto di relazioni e di mutuo aiuto ai Cristiani in quelle aree di conflitto e di eroica testimonianza.
Il progetto da realizzare sorge da due domande che arrivano dalla Provincia dei Gesuiti del Vicino Oriente, che si interroga sui concetti di identità e appartenenza e su come educare al futuro dopo 5 anni di un conflitto dove sembra impossibile parlare di speranza. E Damasco è il luogo simbolo di quel conflitto e della realtà dei cristiani in quella parte di mondo. Il Pontificio Istituto Orientale ha voluto porsi come “luogo simbolo” di conversazione, per tematiche come dignità dell’uomo o di un intero popolo/comunità, con un’attenzione particolare ad una visione geopolitica ad ampio raggio, attraverso i contesti educativo-religiosi. Questo è l'orizzonte al quale il convegno è orientato (e che vedrà nel prossimo anno 2017 la seconda sessione) per un futuro di coesistenza e di collaborazione tra le varie anime dei popoli medio-orientali.

Gregorio III° Laham, patriarca della Chiesa cattolica greco-melchita con sede a Damasco, in questi giorni a Roma per il convegno al P.I.O. e è noto per il suo entusiasmo e la sua franchezza. Sua Beatitudine non usa mezzi termini quando si affronta la questione della coesistenza tra cristiani e musulmani, quello della responsabilità internazionale nel conflitto siriano, ma insiste soprattutto su un punto: la presenza cristiana in Oriente non deve essere voluta per se stessa, ma per i compiti richiesti alla comunità cristiana in questa regione di guerra e di occupazioni.
Riportiamo qui alcuni pezzi di interviste, dalle quali emerge con chiarezza il suo pensiero. Non è tipo da farsi intimorire e quando si tratta della sua gente - e per SUA gente non fa distinzione fra musulmani, cristiani o altre confessioni - parla senza peli sulla lingua:

"In Occidente mi si accusa di sostenere il presidente Assad. Ma coloro che danno di queste lezioni vengano sul posto per rendersi conto del terrore che gli islamisti ci incutono". "Non si può far dipendere l’avvenire di un Paese e dell’intero Medio Oriente da una persona sola. Pensarlo è del tutto illogico, anche un bambino piccolo è in grado di capirlo. Mi domando quindi come si possa affermare che tutti i problemi dipendano da Assad, quando è evidente che non è così. Questa è una falsa presentazione del problema."

In un'altra intervista del febbraio di quest'anno pubblicata sul sito “L’Oeuvre d’Orient” nella quale si sofferma sulla crisi siriana, il quasi ottantatreenne patriarca, siriano di nascita, parla del “martirio del suo Paese” e accusa le grandi potenze che si rifiutano, dice, “di combattere Daesh con i mezzi necessari” contrastando invece il governo. “Non temo solo per i cristiani ma per tutto il popolo siriano. Le bombe stanno cadendo ovunque. Gli americani, i russi, gli inglesi, i francesi, i turchi, e anche Israele ci bombarda, come è avvenuto lo scorso dicembre per eliminare un membro di Hezbollah, presente a Damasco. Tutto questo, dicono, per sbarazzarsi di Daesh e portarci la pace. Ma in attesa di questa pace che non viene, ad essere uccisi sono civili siriani. Uomini, donne, bambini che muoiono ogni giorno a decine”.
Le grandi potenze ci accusano di sostenere una dittatura, ma il nemico non è Assad né i suoi alleati, è Daesh con le sue legioni straniere, Ceceni, Giordani, Tunisini, Sauditi, e anche Europei che vengono ed occupano le nostre terre. È da loro che dobbiamo liberarci. Il popolo siriano soffre il martirio. Cinque anni di guerra, e il pedaggio è pesante: tra 250.000 e 300.000 morti, migliaia di feriti, mutilati, sfollati, orfani, e l’Occidente sta ancora parlando e sempre dell’uscita di Assad, ma mai di quella dei terroristi. Sono quelli che scacciano i cristiani dalle loro case e che sgozzano i siriani che osano affrontarli. Per quanto tempo ancora dovremo vivere sotto il giogo di questi assetati di sangue?”.
Devo aiutare tutti i Siriani – conclude – poco importa a quale religione appartengano. Bisogna preparare il dopo guerra e ritrovare la voglia di ricostruire insieme la Siria”.

Attraverso quest'altra intervista, rilasciata l'11 novembre a Radio Vaticana, Gregorio III° Laham dice la sua senza perifrasi su quello che più gli sta a cuore. La sua voce denota stanchezza, per gli anni, ma ancor più per il tanto dolore per una situazione che ancora non vede vicina una soluzione alla tragedia siriana.

Il Patriarca: – La Siria è la colonna vertebrale del mondo arabo. Distruggere la Siria vuol dire distruggere il mondo arabo intero. Nella Siria, tutti i cittadini si sentono appartenenti al mondo arabo e alla Siria senza nessuna distinzione di religione: non c’è musulmano, non c’è cristiano, non c’è druso; sono tutti arabi. E in Siria sono tutti Siriani. E dunque la situazione della Siria è critica, difficile, e innanzitutto la situazione dei cristiani è molto grave. Dobbiamo lavorare affinché la pace del Signore regni nel mondo intero, ma innanzitutto nel Medio Oriente, perché la pace è un tesoro, un capitale, un’energia. Con la pace tutto è possibile, tutto realizzabile; senza la pace non si può fare niente di bene e niente di buono. E siccome Dio è la pace, rivolgiamo i nostri desideri al buon Dio perché – ripeto – è l’unico a poter fare qualcosa, perché salvare la Siria vuol dire salvare il mondo arabo intero.

D. – Che notizie ha della comunità cristiana che è dovuta fuggire dalla Siria?
R. – Purtroppo, sono i cristiani che pagano il prezzo di questa situazione catastrofica. Tantissimi sono già fuori, e quelli che sono rimasti vivono una tragedia, una situazione orribile e stanno pensando di seguire l’esempio di quelli che hanno già lasciato la Siria e sono andati via. E dunque, l’unico modo di poter fare la pace nel mondo arabo è fortificare la Siria affinché il mondo arabo possa di nuovo cambiare.

D. – Sente vicino Papa Francesco?
R. – Oh… abbiamo una benedizione, una grazia del buon Dio, avendo questo Papa: un uomo di preghiera e un uomo pragmatico. E dunque ringraziamo il Signore per averlo come capo della Chiesa, ma anche come esempio per il mondo intero di pace, di giustizia e di fratellanza. Di pace.


Al convegno il patriarca ha ricordato come a Maalula il 60 per cento dei cristiani sia ritornato ed ha spiegato che il progetto 'una camera per una famiglia' ha permesso il rientro di molti. Il Patriarca ha poi lanciato un appello ai governi di tutto il mondo a far tornare gli ambasciatori: "venite e vedete e non usate notizie di terza mano".
"La Chiesa non ha lasciato il suo popolo" ha ricordato, e ha chiesto che l’Occidente dialoghi con l’ Islam, anche con i migranti, tramite una maggiore forza della fede e della identità cristiana.
Essenziale ricordare che i cristiani sono autoctoni in Medio Oriente e la strada della convivenza passa necessariamente per la condanna delle islamizzazioni violente che nulla hanno a che fare con il vero Islam.

Redazione OpS

venerdì 11 novembre 2016

Trump e la fine della battaglia di Aleppo (finalmente)?



Piccole Note, 11 novembre 2016

Solo due settimane fa il dramma di Aleppo occupava gran parte dei giornali. Che ogni giorno ripetevano il consueto mantra teso a dipingere l’esercito siriano e i suoi alleati, russi in particolare, come dei sanguinari stragisti.

Era in corso l’attacco ad Aleppo Est, teso a liberare quella zona della città dai suoi sanguinari, questi sì, occupanti. Sono i cosiddetti ribelli siriani, beneamati in Occidente che ha loro affidato (direttamente o indirettamente) il compito di buttar giù il governo di Damasco.

Beneamati nonostante le milizie che controllano Aleppo Est siano quelle di Al Nusra, o Jaish al-Fatah come si fanno chiamare dopo un’operazione di restyling tesa ad accreditarsi come “buoni”. In realtà restano gli assassini di sempre, tanto da venir indicati come terroristi anche dagli Stati Uniti.

È attorno a questo gruppo militare, il più armato, organizzato e feroce, che si sono strette, in un’alleanza organica e subalterna, le varie milizie che controllano Aleppo Est. I ribelli beneamati appunto.

Eppure e nonostante questo, e nonostante che ogni giorno da Aleppo Est vengano lanciati missili e colpi di artiglieria contro la popolazione civile di Aleppo Ovest, la battaglia di Aleppo non veniva descritta come una guerra di liberazione, alla stregua di quanto avviene a Mosul o Raqqa preda dell’Isis. Ma come un massacro ad opera delle forze governative.

Le operazioni per liberare Aleppo erano iniziate mesi fa, ma all’inizio della campagna elettorale americana avevano subito un’accelerazione.

I siriani, ma soprattutto i russi, temevano che la Casa Bianca potesse essere appannaggio di Hillary Clinton. Cosa che avrebbe comportato il rischio di un conflitto Usa-Russia, dal momento che la signora aveva più volte affermato la necessità di contrastare tali operazioni, sia aumentando il sostegno ai cosiddetti ribelli sia intervenendo direttamente nel conflitto.

Da qui la necessità opposta di conquistare Aleppo prima della vittoria annunciata della Clinton.
Eppure una quindicina di giorni prima del voto americano Putin e il governo siriano avevano cambiato strategia e allentato la pressione.

Le operazioni militari sulla città erano state sospese per diversi giorni, e l’esercito siriano e i suoi alleati si sono limitati a contrastare gli attacchi altrui (ma non in altre zone della Siria, dove il rischio di colpire civili è molto minore).

Una pausa umanitaria ignorata dai media occidentali, che pure aveva un alto valore strategico e militare. Siriani e russi si sono così sottratti al fuoco incrociato della narrazione mediatica d’Occidente, in attesa degli eventi.
Trump, infatti, aveva più volte elogiato la campagna “siriana” dei russi, al contrario della Clinton, in quanto tesa a contrastare il terrorismo di marca islamista.

Un’eventuale vittoria del tycoon poteva infatti aprire la strada a un compromesso alto e virtuoso. Che avrebbe consentito ai siriani di riprendere il controllo della città evitando un bagno di sangue.

Una scommessa, quella di Putin, dal momento che lo stop alle operazioni militari consentiva ai suoi nemici di rafforzarsi, come accaduto per le pause umanitarie del passato. Con tutti i rischi connessi.

Alla fine, però, Putin ha vinto la scommessa. Con Trump presidente sembra altamente probabile che la battaglia di Aleppo abbia termine.

Come ben sanno anche i terroristi asserragliati nella parte orientale della città, che hanno accusato il colpo e appaiono più che confusi. Tanto che sembra abbiano chiesto una tregua, ipotesi da loro finora sempre rigettata.

È possibile anzi che qualcosa evolva, in senso virtuoso, fin da subito. Obama ha ancora cento giorni di regno prima di passare le consegne. Finora ha frenato, come ha potuto e non senza ambiguità, i tanti dottor stranamore che lo hanno ficcato in questa guerra.

Ormai libero dai vincoli oscuri che lo legavano, tra cui l’ipotesi di una presidenza Clinton, potrebbe riservare sorprese. Difficile si riesca a mettere in piedi in così pochi giorni altre iniziative diplomatiche globali sulla Siria.

Potrebbe però ritirare il sostegno americano ai cosiddetti ribelli che tengono Aleppo, imponendo tale scelta anche all’Arabia saudita. Consentendo così a Damasco di riprendere il controllo della città senza eccessivi spargimenti di sangue. Cosa che, di fatto, chiuderebbe la guerra siriana (o almeno una sua fase).

Sui media rimbalza la notizia che gli Stati Uniti abbiano dato ordine di eliminarei capi di Al Nusra. Un’indiscrezione enfatizzata da Mosca, per bocca del vice-ministro degli Esteri. Sergey Ryabkov.

E che andrebbe nella direzione indicata, al dì del rammarico per la funesta sorte di tali terroristi (così purtroppo va il mondo al quale si sono consegnati: quando non servono più…).

Va da sé che la pausa umanitaria decretata unilateralmente da russi e siriani rivela anche altro, ovvero che Putin da tempo avesse contezza delle possibilità di vittoria di Trump.

Al contrario dell’Occidente, che ha dovuto inseguire le fantasie di sondaggisti farlocchi, egli può contare sulle informazioni  della sua intelligence. Evidentemente un po’ più accurate.

mercoledì 9 novembre 2016

Padre Boutros di Aleppo colpito da un cecchino: "ringrazio Dio perchè posso condividere la croce di tante persone che oggi soffrono in Siria"


VATICAN INSIDER ,
8 novembre 2016

Guardare la morte in faccia è un’esperienza che può offrire un sussulto di fede anche a chi non crede in Dio. Tanto più Raban Boutros Kassis, vicario patriarcale siro-ortodosso di Aleppo, oggi dice di vivere un’esperienza di profonda vicinanza a Cristo. E’ scampato per miracolo a un attentato, finendo sotto il fuoco di un cecchino che due giorni fa, mentre era in auto, sulla strada del ritorno tra Homs e Aleppo, lo ha colpito due volte alla spalla. Il suo autista è riuscito a condurlo all’ospedale cattolico di san Luigi ad Aleppo, una delle poche strutture ancora funzionanti, ancorchè oberata di feriti, mutilati, malati. Un intervento chirurgico di urgenza gli ha salvato la vita e oggi i medici lo dichiarano fuori pericolo. Raggiunto al telefono da Vatican Insider, Raban Boutros Kassis racconta come questa esperienza lo abbia cambiato.  

Come si sente e cosa prova oggi, dopo aver rischiato la vita?  
«Nel mio cuore si agitano sentimenti contrastanti. Prima di tutto ringrazio Dio che mi ha protetto e mi ha conservato ancora in vita. Sono un miracolato. E ringrazio Dio perchè, in questa condizione e in questa esperienza, posso condividere la croce di tante persone che oggi soffrono in Siria, specialmente ad Aleppo. Ogni giorno la gente è ferita, vi sono mutilati, malati, ogni giorno si muore. Oggi posso dirmi felice di gustare il calice amaro della croce, in comunione con Cristo e con tanti innocenti che soffrono. Ma nel cuore ho la certezza che la morte non è l’ultima parola: l’ultima parola è la Risurrezione». 

Può raccontare cosa è accaduto?  
«Ero in auto con il mio autista, stavamo rientrando ad Aleppo, percorrendo l’autostrada a Sud della città. All’improvviso abbiamo visto delle persone che ci hanno sparato. Due proiettili di arma da fuoco esplosi da questi cecchini mi hanno raggiunto alla spalla. Dio ha voluto non abbiano colpito organi vitali. Il mio autista mi ha prontamente portato all’ospedale cattolico di san Luigi dove i medici, che ringrazio di cuore, mi hanno sottoposto a un immediato intervento chirurgico. Quella strada è in un’area controllata dalle truppe governative siriane, ma viene chiusa di sera perchè di notte gruppi di terroristi del Daesh e di Jubat Al-nusra nottetempo la infestano di mine. E diventa un luogo di morte». 

Come si vive oggi ad Aleppo?  
«La città è spaccata in due e il conflitto continua, mentre i civili sono quelli che soffrono. Ad Aleppo Ovest ci sono due milioni di persone. Le aggressioni e gli attacchi si susseguono, specie nei nostri quartieri, ogni giorno. Il nostro vescovado, ad Aleppo Ovest, è molto vicino al fronte con la parte Est di Aleppo. Durante bombardamenti con colpi di mortaio siamo stati colpiti diverse volte e siamo sotto il fuoco dei cecchini. Ci sono anche tentativi di sequestri che seminano terrore. Per questo molti cittadini, e tra loro i cristiani, hanno lasciato Aleppo, specie quanti hanno bambini, perchè non vogliono vederli feriti, mutilati o uccisi». 

Cosa vuole dire alla comunità internazionale?  
«Non posso far altro che rinnovare l’appello per salvare questa città martire. E chiedere aiuti umanitari. Aleppo è assediata e da oltre tre anni la gente rimasta soffre per mancanza di acqua, cibo, elettricità, gas.  Il governo siriano fa quel che può per cercare di garantire il minimo di assistenza sanitaria e educativa. Noi restiamo in città come i Pastori che vogliono stare vicini al gregge, per nutrire e dare conforto a chi soffre. La nostra richiesta è che tutti i foreign fighters e i terroristi che oggi alimentano la guerra tornino ai loro paesi di origine. E che le interferenze esterne in questa guerra finiscano». 

Come’è la situazione della comunità cristiana?  
«I cristiani condividono la sorte sofferente di tutti gli altri cittadini. I battezzati che non hanno lasciato Aleppo sono circa 35mila. E hanno fatto questa scelta sopportando con coraggio immani sofferenze e disagi. Dimostrano un attaccamento e un amore sviscerato per questo luogo, questa città santa e martire, e hanno quella forza che solo la grazia di Dio può donare. D’altro canto non possiamo biasimare chi è fuggito per salvare la propria famiglia. Questa settimana ad Aleppo abbiamo registrato, solo tra i cristiani, 20 morti e 40 feriti. Prima della guerra i cristiani di tutte le diverse confessioni ad Aleppo erano, in totale, circa 250mila. Dunque circa l’80% dei fedeli è fuggito: è una vera emorragia».  

Ha un pensiero speciale, vivendo questa sua sofferenza?  
«Vorrei ricordare oggi e affidare nuovamente a Dio i due vescovi rapiti da tre anni e mezzo, Paul Yagizi, Metropolita d’Aleppo per i greco-ortodossi d’Antiochia, e Gregorios Ibrahim, vescovo d’Aleppo per i siro-ortodossi. Con loro ricordiamo anche i due preti Michel Kayyal, della Chiesa cattolica armena di Aleppo, e Maher Mahfouz, sacerdote greco ortodosso. Non sappiamo ancora nulla della loro sorte. Speriamo siano ancora vivi e preghiamo perchè siano presto liberati». 

martedì 8 novembre 2016

La presenza francescana in Siria



Siria,  il paese dove infuria la guerra ormai da oltre cinque anni: i conventi francescani in questo paese, in situazione di guerra, che funzione hanno oggi? Pare che tanta gente in Occidente non abbia idea che ci siano dei cristiani in Siria e nemmeno dell'esistenza dei Frati Minori in quel paese islamico.


Durante il tempo dei crociati tra 1099 -1291 D.C. , religiosi combattenti arrivarono in Siria per proteggere i castelli sorti in quel tempo, gli “Ospedalieri” a differenza di quelli Templari che assunsero il tempio di Salomone in Gerusalemme come base della loro sede, un altro ordine di religiosi - i frati minori fondati da Francesco di Assisi (1182 – 1226 D.c) - arrivò a Dumiat in Egitto a incontrare il governatore il Re el-Kamel figlio del Re el.Adel ayubida fratello di Saladino. Gli storici arabi proclamarono questi religiosi 'frati della corda', in considerazione della corda che si mettono intorno al bacino che contiene i tre nodi simboli della povertà, castità e obbedienza; nei secoli la presenza di questi frati rimase in Siria fino ai giorni nostri, mentre il primo convento di frati ad Aleppo fu fondato nel 1859 nella zona di Aleppo vecchia, in seguito con l’incremento demografico e il numero crescente dei cristiani fu costruita una parrocchia grande dedicata a S. Antonio nel centro moderno di Aleppo.
Per realizzare questo progetto, racconta un anziano, fecero come i frati in occidente che giravano di città in città con una scatola in mano chiedendo offerte. Attualmente ad Aleppo ci sono tre conventi di frati francescani mentre altri tre sono a Damasco, inoltre alcuni in diverse città siriane. I frati di questi conventi sono gente del posto, non ci sono fra loro frati dell’occidente, questi fratelli locali hanno vissuto la guerra, e a conseguenza della tragica situazione condividono la sofferenza con la gente, quotidianamente aiutandoli col distribuire la borsa alimentare e l’acqua e pure un aiuto materiale per comprare il carburante a riscaldare la casa e tanto altro tutti giorni..

In uno dei conventi che vive sotto il controllo dei ribelli non si possono suonare le campane e le donne vanno a sentire la messa velate e tutto viene svolto a bassa voce; in un altro convento di zona diversa pure conquistata dai ribelli il frate del convento ha aperto le porte a quelli fuggiti accogliendo tutti pure essendo di diverse religioni , senza distinzioni il frate procura il cibo per i rifugiati con grave rischio, quindi il frate è stato rapito più volte e poi liberato grazie ai mediatori del posto.
Queste sono alcune delle vicende dei frati francescani in Siria e il loro modo semplice e coraggioso di affrontare la vita durante questa guerra.

Essi seguono le orme dei frati di san Francesco che già nel 1800 diedero la loro testimonianza fino al martirio in terra siriana: ricordiamo i Martiri Francescani di Damasco, un gruppo di 11 martiri dei musulmani, uccisi per la fede il 10 luglio 1860; di essi sei erano Padri Francescani Minori, due erano Fratelli professi Francescani e tre erano fratelli di sangue laici maroniti. Sono conosciuti come ‘Beati Martiri di Damasco’ .


Sempre a Damasco, riposa padre Tommaso da Calangianus, esperto in farmacopea, che divenne famoso per aver curato migliaia di bambini, a prescindere dalle distinzioni etniche e religiose ; fu ucciso con “omicidio rituale” per mano di ebrei, tanto che l’epigrafe mortuaria, fatta incidere sulla tomba in italiano e arabo, testimonia:  “D.O.M. Qui riposano le ossa del padre Tommaso da Sardegna assassinato dagli ebrei il 5 febbraio nell’anno 1840”.
Nella chiesa dei francescani di Terra Santa, a Bab Tuma, il ricordo delle violenze subite sopravvive in due lapidi: una, dedicata al cappuccino padre Tommaso e l’altra ai frati minori.

        
testo di 
Joseph Mistrih 

La croce francescana
È formata da quattro croci ed è il simbolo di quattro stati 'crociati':
Antiochia
Edessa 
Tripoli
Il regno di Gerusalemme