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lunedì 14 novembre 2016

"Damasco prisma di speranze": «Oggi la via di Damasco – dice il Patriarca Laham- è diventata la strada per la pace nel mondo intero»


Nell’ambito delle celebrazioni del Centenario del Pontificio Istituto Orientale (P.I.O.), il convegno internazionale “Damasco, prisma di speranze” ha voluto offrire un'opportunità di confronto e dialogo rivolto ai Pastori del Medio Oriente, finalizzato alla ricostruzione di un tessuto di relazioni e di mutuo aiuto ai Cristiani in quelle aree di conflitto e di eroica testimonianza.
Il progetto da realizzare sorge da due domande che arrivano dalla Provincia dei Gesuiti del Vicino Oriente, che si interroga sui concetti di identità e appartenenza e su come educare al futuro dopo 5 anni di un conflitto dove sembra impossibile parlare di speranza. E Damasco è il luogo simbolo di quel conflitto e della realtà dei cristiani in quella parte di mondo. Il Pontificio Istituto Orientale ha voluto porsi come “luogo simbolo” di conversazione, per tematiche come dignità dell’uomo o di un intero popolo/comunità, con un’attenzione particolare ad una visione geopolitica ad ampio raggio, attraverso i contesti educativo-religiosi. Questo è l'orizzonte al quale il convegno è orientato (e che vedrà nel prossimo anno 2017 la seconda sessione) per un futuro di coesistenza e di collaborazione tra le varie anime dei popoli medio-orientali.

Gregorio III° Laham, patriarca della Chiesa cattolica greco-melchita con sede a Damasco, in questi giorni a Roma per il convegno al P.I.O. e è noto per il suo entusiasmo e la sua franchezza. Sua Beatitudine non usa mezzi termini quando si affronta la questione della coesistenza tra cristiani e musulmani, quello della responsabilità internazionale nel conflitto siriano, ma insiste soprattutto su un punto: la presenza cristiana in Oriente non deve essere voluta per se stessa, ma per i compiti richiesti alla comunità cristiana in questa regione di guerra e di occupazioni.
Riportiamo qui alcuni pezzi di interviste, dalle quali emerge con chiarezza il suo pensiero. Non è tipo da farsi intimorire e quando si tratta della sua gente - e per SUA gente non fa distinzione fra musulmani, cristiani o altre confessioni - parla senza peli sulla lingua:

"In Occidente mi si accusa di sostenere il presidente Assad. Ma coloro che danno di queste lezioni vengano sul posto per rendersi conto del terrore che gli islamisti ci incutono". "Non si può far dipendere l’avvenire di un Paese e dell’intero Medio Oriente da una persona sola. Pensarlo è del tutto illogico, anche un bambino piccolo è in grado di capirlo. Mi domando quindi come si possa affermare che tutti i problemi dipendano da Assad, quando è evidente che non è così. Questa è una falsa presentazione del problema."

In un'altra intervista del febbraio di quest'anno pubblicata sul sito “L’Oeuvre d’Orient” nella quale si sofferma sulla crisi siriana, il quasi ottantatreenne patriarca, siriano di nascita, parla del “martirio del suo Paese” e accusa le grandi potenze che si rifiutano, dice, “di combattere Daesh con i mezzi necessari” contrastando invece il governo. “Non temo solo per i cristiani ma per tutto il popolo siriano. Le bombe stanno cadendo ovunque. Gli americani, i russi, gli inglesi, i francesi, i turchi, e anche Israele ci bombarda, come è avvenuto lo scorso dicembre per eliminare un membro di Hezbollah, presente a Damasco. Tutto questo, dicono, per sbarazzarsi di Daesh e portarci la pace. Ma in attesa di questa pace che non viene, ad essere uccisi sono civili siriani. Uomini, donne, bambini che muoiono ogni giorno a decine”.
Le grandi potenze ci accusano di sostenere una dittatura, ma il nemico non è Assad né i suoi alleati, è Daesh con le sue legioni straniere, Ceceni, Giordani, Tunisini, Sauditi, e anche Europei che vengono ed occupano le nostre terre. È da loro che dobbiamo liberarci. Il popolo siriano soffre il martirio. Cinque anni di guerra, e il pedaggio è pesante: tra 250.000 e 300.000 morti, migliaia di feriti, mutilati, sfollati, orfani, e l’Occidente sta ancora parlando e sempre dell’uscita di Assad, ma mai di quella dei terroristi. Sono quelli che scacciano i cristiani dalle loro case e che sgozzano i siriani che osano affrontarli. Per quanto tempo ancora dovremo vivere sotto il giogo di questi assetati di sangue?”.
Devo aiutare tutti i Siriani – conclude – poco importa a quale religione appartengano. Bisogna preparare il dopo guerra e ritrovare la voglia di ricostruire insieme la Siria”.

Attraverso quest'altra intervista, rilasciata l'11 novembre a Radio Vaticana, Gregorio III° Laham dice la sua senza perifrasi su quello che più gli sta a cuore. La sua voce denota stanchezza, per gli anni, ma ancor più per il tanto dolore per una situazione che ancora non vede vicina una soluzione alla tragedia siriana.

Il Patriarca: – La Siria è la colonna vertebrale del mondo arabo. Distruggere la Siria vuol dire distruggere il mondo arabo intero. Nella Siria, tutti i cittadini si sentono appartenenti al mondo arabo e alla Siria senza nessuna distinzione di religione: non c’è musulmano, non c’è cristiano, non c’è druso; sono tutti arabi. E in Siria sono tutti Siriani. E dunque la situazione della Siria è critica, difficile, e innanzitutto la situazione dei cristiani è molto grave. Dobbiamo lavorare affinché la pace del Signore regni nel mondo intero, ma innanzitutto nel Medio Oriente, perché la pace è un tesoro, un capitale, un’energia. Con la pace tutto è possibile, tutto realizzabile; senza la pace non si può fare niente di bene e niente di buono. E siccome Dio è la pace, rivolgiamo i nostri desideri al buon Dio perché – ripeto – è l’unico a poter fare qualcosa, perché salvare la Siria vuol dire salvare il mondo arabo intero.

D. – Che notizie ha della comunità cristiana che è dovuta fuggire dalla Siria?
R. – Purtroppo, sono i cristiani che pagano il prezzo di questa situazione catastrofica. Tantissimi sono già fuori, e quelli che sono rimasti vivono una tragedia, una situazione orribile e stanno pensando di seguire l’esempio di quelli che hanno già lasciato la Siria e sono andati via. E dunque, l’unico modo di poter fare la pace nel mondo arabo è fortificare la Siria affinché il mondo arabo possa di nuovo cambiare.

D. – Sente vicino Papa Francesco?
R. – Oh… abbiamo una benedizione, una grazia del buon Dio, avendo questo Papa: un uomo di preghiera e un uomo pragmatico. E dunque ringraziamo il Signore per averlo come capo della Chiesa, ma anche come esempio per il mondo intero di pace, di giustizia e di fratellanza. Di pace.


Al convegno il patriarca ha ricordato come a Maalula il 60 per cento dei cristiani sia ritornato ed ha spiegato che il progetto 'una camera per una famiglia' ha permesso il rientro di molti. Il Patriarca ha poi lanciato un appello ai governi di tutto il mondo a far tornare gli ambasciatori: "venite e vedete e non usate notizie di terza mano".
"La Chiesa non ha lasciato il suo popolo" ha ricordato, e ha chiesto che l’Occidente dialoghi con l’ Islam, anche con i migranti, tramite una maggiore forza della fede e della identità cristiana.
Essenziale ricordare che i cristiani sono autoctoni in Medio Oriente e la strada della convivenza passa necessariamente per la condanna delle islamizzazioni violente che nulla hanno a che fare con il vero Islam.

Redazione OpS

venerdì 11 novembre 2016

Trump e la fine della battaglia di Aleppo (finalmente)?



Piccole Note, 11 novembre 2016

Solo due settimane fa il dramma di Aleppo occupava gran parte dei giornali. Che ogni giorno ripetevano il consueto mantra teso a dipingere l’esercito siriano e i suoi alleati, russi in particolare, come dei sanguinari stragisti.

Era in corso l’attacco ad Aleppo Est, teso a liberare quella zona della città dai suoi sanguinari, questi sì, occupanti. Sono i cosiddetti ribelli siriani, beneamati in Occidente che ha loro affidato (direttamente o indirettamente) il compito di buttar giù il governo di Damasco.

Beneamati nonostante le milizie che controllano Aleppo Est siano quelle di Al Nusra, o Jaish al-Fatah come si fanno chiamare dopo un’operazione di restyling tesa ad accreditarsi come “buoni”. In realtà restano gli assassini di sempre, tanto da venir indicati come terroristi anche dagli Stati Uniti.

È attorno a questo gruppo militare, il più armato, organizzato e feroce, che si sono strette, in un’alleanza organica e subalterna, le varie milizie che controllano Aleppo Est. I ribelli beneamati appunto.

Eppure e nonostante questo, e nonostante che ogni giorno da Aleppo Est vengano lanciati missili e colpi di artiglieria contro la popolazione civile di Aleppo Ovest, la battaglia di Aleppo non veniva descritta come una guerra di liberazione, alla stregua di quanto avviene a Mosul o Raqqa preda dell’Isis. Ma come un massacro ad opera delle forze governative.

Le operazioni per liberare Aleppo erano iniziate mesi fa, ma all’inizio della campagna elettorale americana avevano subito un’accelerazione.

I siriani, ma soprattutto i russi, temevano che la Casa Bianca potesse essere appannaggio di Hillary Clinton. Cosa che avrebbe comportato il rischio di un conflitto Usa-Russia, dal momento che la signora aveva più volte affermato la necessità di contrastare tali operazioni, sia aumentando il sostegno ai cosiddetti ribelli sia intervenendo direttamente nel conflitto.

Da qui la necessità opposta di conquistare Aleppo prima della vittoria annunciata della Clinton.
Eppure una quindicina di giorni prima del voto americano Putin e il governo siriano avevano cambiato strategia e allentato la pressione.

Le operazioni militari sulla città erano state sospese per diversi giorni, e l’esercito siriano e i suoi alleati si sono limitati a contrastare gli attacchi altrui (ma non in altre zone della Siria, dove il rischio di colpire civili è molto minore).

Una pausa umanitaria ignorata dai media occidentali, che pure aveva un alto valore strategico e militare. Siriani e russi si sono così sottratti al fuoco incrociato della narrazione mediatica d’Occidente, in attesa degli eventi.
Trump, infatti, aveva più volte elogiato la campagna “siriana” dei russi, al contrario della Clinton, in quanto tesa a contrastare il terrorismo di marca islamista.

Un’eventuale vittoria del tycoon poteva infatti aprire la strada a un compromesso alto e virtuoso. Che avrebbe consentito ai siriani di riprendere il controllo della città evitando un bagno di sangue.

Una scommessa, quella di Putin, dal momento che lo stop alle operazioni militari consentiva ai suoi nemici di rafforzarsi, come accaduto per le pause umanitarie del passato. Con tutti i rischi connessi.

Alla fine, però, Putin ha vinto la scommessa. Con Trump presidente sembra altamente probabile che la battaglia di Aleppo abbia termine.

Come ben sanno anche i terroristi asserragliati nella parte orientale della città, che hanno accusato il colpo e appaiono più che confusi. Tanto che sembra abbiano chiesto una tregua, ipotesi da loro finora sempre rigettata.

È possibile anzi che qualcosa evolva, in senso virtuoso, fin da subito. Obama ha ancora cento giorni di regno prima di passare le consegne. Finora ha frenato, come ha potuto e non senza ambiguità, i tanti dottor stranamore che lo hanno ficcato in questa guerra.

Ormai libero dai vincoli oscuri che lo legavano, tra cui l’ipotesi di una presidenza Clinton, potrebbe riservare sorprese. Difficile si riesca a mettere in piedi in così pochi giorni altre iniziative diplomatiche globali sulla Siria.

Potrebbe però ritirare il sostegno americano ai cosiddetti ribelli che tengono Aleppo, imponendo tale scelta anche all’Arabia saudita. Consentendo così a Damasco di riprendere il controllo della città senza eccessivi spargimenti di sangue. Cosa che, di fatto, chiuderebbe la guerra siriana (o almeno una sua fase).

Sui media rimbalza la notizia che gli Stati Uniti abbiano dato ordine di eliminarei capi di Al Nusra. Un’indiscrezione enfatizzata da Mosca, per bocca del vice-ministro degli Esteri. Sergey Ryabkov.

E che andrebbe nella direzione indicata, al dì del rammarico per la funesta sorte di tali terroristi (così purtroppo va il mondo al quale si sono consegnati: quando non servono più…).

Va da sé che la pausa umanitaria decretata unilateralmente da russi e siriani rivela anche altro, ovvero che Putin da tempo avesse contezza delle possibilità di vittoria di Trump.

Al contrario dell’Occidente, che ha dovuto inseguire le fantasie di sondaggisti farlocchi, egli può contare sulle informazioni  della sua intelligence. Evidentemente un po’ più accurate.

mercoledì 9 novembre 2016

Padre Boutros di Aleppo colpito da un cecchino: "ringrazio Dio perchè posso condividere la croce di tante persone che oggi soffrono in Siria"


VATICAN INSIDER ,
8 novembre 2016

Guardare la morte in faccia è un’esperienza che può offrire un sussulto di fede anche a chi non crede in Dio. Tanto più Raban Boutros Kassis, vicario patriarcale siro-ortodosso di Aleppo, oggi dice di vivere un’esperienza di profonda vicinanza a Cristo. E’ scampato per miracolo a un attentato, finendo sotto il fuoco di un cecchino che due giorni fa, mentre era in auto, sulla strada del ritorno tra Homs e Aleppo, lo ha colpito due volte alla spalla. Il suo autista è riuscito a condurlo all’ospedale cattolico di san Luigi ad Aleppo, una delle poche strutture ancora funzionanti, ancorchè oberata di feriti, mutilati, malati. Un intervento chirurgico di urgenza gli ha salvato la vita e oggi i medici lo dichiarano fuori pericolo. Raggiunto al telefono da Vatican Insider, Raban Boutros Kassis racconta come questa esperienza lo abbia cambiato.  

Come si sente e cosa prova oggi, dopo aver rischiato la vita?  
«Nel mio cuore si agitano sentimenti contrastanti. Prima di tutto ringrazio Dio che mi ha protetto e mi ha conservato ancora in vita. Sono un miracolato. E ringrazio Dio perchè, in questa condizione e in questa esperienza, posso condividere la croce di tante persone che oggi soffrono in Siria, specialmente ad Aleppo. Ogni giorno la gente è ferita, vi sono mutilati, malati, ogni giorno si muore. Oggi posso dirmi felice di gustare il calice amaro della croce, in comunione con Cristo e con tanti innocenti che soffrono. Ma nel cuore ho la certezza che la morte non è l’ultima parola: l’ultima parola è la Risurrezione». 

Può raccontare cosa è accaduto?  
«Ero in auto con il mio autista, stavamo rientrando ad Aleppo, percorrendo l’autostrada a Sud della città. All’improvviso abbiamo visto delle persone che ci hanno sparato. Due proiettili di arma da fuoco esplosi da questi cecchini mi hanno raggiunto alla spalla. Dio ha voluto non abbiano colpito organi vitali. Il mio autista mi ha prontamente portato all’ospedale cattolico di san Luigi dove i medici, che ringrazio di cuore, mi hanno sottoposto a un immediato intervento chirurgico. Quella strada è in un’area controllata dalle truppe governative siriane, ma viene chiusa di sera perchè di notte gruppi di terroristi del Daesh e di Jubat Al-nusra nottetempo la infestano di mine. E diventa un luogo di morte». 

Come si vive oggi ad Aleppo?  
«La città è spaccata in due e il conflitto continua, mentre i civili sono quelli che soffrono. Ad Aleppo Ovest ci sono due milioni di persone. Le aggressioni e gli attacchi si susseguono, specie nei nostri quartieri, ogni giorno. Il nostro vescovado, ad Aleppo Ovest, è molto vicino al fronte con la parte Est di Aleppo. Durante bombardamenti con colpi di mortaio siamo stati colpiti diverse volte e siamo sotto il fuoco dei cecchini. Ci sono anche tentativi di sequestri che seminano terrore. Per questo molti cittadini, e tra loro i cristiani, hanno lasciato Aleppo, specie quanti hanno bambini, perchè non vogliono vederli feriti, mutilati o uccisi». 

Cosa vuole dire alla comunità internazionale?  
«Non posso far altro che rinnovare l’appello per salvare questa città martire. E chiedere aiuti umanitari. Aleppo è assediata e da oltre tre anni la gente rimasta soffre per mancanza di acqua, cibo, elettricità, gas.  Il governo siriano fa quel che può per cercare di garantire il minimo di assistenza sanitaria e educativa. Noi restiamo in città come i Pastori che vogliono stare vicini al gregge, per nutrire e dare conforto a chi soffre. La nostra richiesta è che tutti i foreign fighters e i terroristi che oggi alimentano la guerra tornino ai loro paesi di origine. E che le interferenze esterne in questa guerra finiscano». 

Come’è la situazione della comunità cristiana?  
«I cristiani condividono la sorte sofferente di tutti gli altri cittadini. I battezzati che non hanno lasciato Aleppo sono circa 35mila. E hanno fatto questa scelta sopportando con coraggio immani sofferenze e disagi. Dimostrano un attaccamento e un amore sviscerato per questo luogo, questa città santa e martire, e hanno quella forza che solo la grazia di Dio può donare. D’altro canto non possiamo biasimare chi è fuggito per salvare la propria famiglia. Questa settimana ad Aleppo abbiamo registrato, solo tra i cristiani, 20 morti e 40 feriti. Prima della guerra i cristiani di tutte le diverse confessioni ad Aleppo erano, in totale, circa 250mila. Dunque circa l’80% dei fedeli è fuggito: è una vera emorragia».  

Ha un pensiero speciale, vivendo questa sua sofferenza?  
«Vorrei ricordare oggi e affidare nuovamente a Dio i due vescovi rapiti da tre anni e mezzo, Paul Yagizi, Metropolita d’Aleppo per i greco-ortodossi d’Antiochia, e Gregorios Ibrahim, vescovo d’Aleppo per i siro-ortodossi. Con loro ricordiamo anche i due preti Michel Kayyal, della Chiesa cattolica armena di Aleppo, e Maher Mahfouz, sacerdote greco ortodosso. Non sappiamo ancora nulla della loro sorte. Speriamo siano ancora vivi e preghiamo perchè siano presto liberati». 

martedì 8 novembre 2016

La presenza francescana in Siria



Siria,  il paese dove infuria la guerra ormai da oltre cinque anni: i conventi francescani in questo paese, in situazione di guerra, che funzione hanno oggi? Pare che tanta gente in Occidente non abbia idea che ci siano dei cristiani in Siria e nemmeno dell'esistenza dei Frati Minori in quel paese islamico.


Durante il tempo dei crociati tra 1099 -1291 D.C. , religiosi combattenti arrivarono in Siria per proteggere i castelli sorti in quel tempo, gli “Ospedalieri” a differenza di quelli Templari che assunsero il tempio di Salomone in Gerusalemme come base della loro sede, un altro ordine di religiosi - i frati minori fondati da Francesco di Assisi (1182 – 1226 D.c) - arrivò a Dumiat in Egitto a incontrare il governatore il Re el-Kamel figlio del Re el.Adel ayubida fratello di Saladino. Gli storici arabi proclamarono questi religiosi 'frati della corda', in considerazione della corda che si mettono intorno al bacino che contiene i tre nodi simboli della povertà, castità e obbedienza; nei secoli la presenza di questi frati rimase in Siria fino ai giorni nostri, mentre il primo convento di frati ad Aleppo fu fondato nel 1859 nella zona di Aleppo vecchia, in seguito con l’incremento demografico e il numero crescente dei cristiani fu costruita una parrocchia grande dedicata a S. Antonio nel centro moderno di Aleppo.
Per realizzare questo progetto, racconta un anziano, fecero come i frati in occidente che giravano di città in città con una scatola in mano chiedendo offerte. Attualmente ad Aleppo ci sono tre conventi di frati francescani mentre altri tre sono a Damasco, inoltre alcuni in diverse città siriane. I frati di questi conventi sono gente del posto, non ci sono fra loro frati dell’occidente, questi fratelli locali hanno vissuto la guerra, e a conseguenza della tragica situazione condividono la sofferenza con la gente, quotidianamente aiutandoli col distribuire la borsa alimentare e l’acqua e pure un aiuto materiale per comprare il carburante a riscaldare la casa e tanto altro tutti giorni..

In uno dei conventi che vive sotto il controllo dei ribelli non si possono suonare le campane e le donne vanno a sentire la messa velate e tutto viene svolto a bassa voce; in un altro convento di zona diversa pure conquistata dai ribelli il frate del convento ha aperto le porte a quelli fuggiti accogliendo tutti pure essendo di diverse religioni , senza distinzioni il frate procura il cibo per i rifugiati con grave rischio, quindi il frate è stato rapito più volte e poi liberato grazie ai mediatori del posto.
Queste sono alcune delle vicende dei frati francescani in Siria e il loro modo semplice e coraggioso di affrontare la vita durante questa guerra.

Essi seguono le orme dei frati di san Francesco che già nel 1800 diedero la loro testimonianza fino al martirio in terra siriana: ricordiamo i Martiri Francescani di Damasco, un gruppo di 11 martiri dei musulmani, uccisi per la fede il 10 luglio 1860; di essi sei erano Padri Francescani Minori, due erano Fratelli professi Francescani e tre erano fratelli di sangue laici maroniti. Sono conosciuti come ‘Beati Martiri di Damasco’ .


Sempre a Damasco, riposa padre Tommaso da Calangianus, esperto in farmacopea, che divenne famoso per aver curato migliaia di bambini, a prescindere dalle distinzioni etniche e religiose ; fu ucciso con “omicidio rituale” per mano di ebrei, tanto che l’epigrafe mortuaria, fatta incidere sulla tomba in italiano e arabo, testimonia:  “D.O.M. Qui riposano le ossa del padre Tommaso da Sardegna assassinato dagli ebrei il 5 febbraio nell’anno 1840”.
Nella chiesa dei francescani di Terra Santa, a Bab Tuma, il ricordo delle violenze subite sopravvive in due lapidi: una, dedicata al cappuccino padre Tommaso e l’altra ai frati minori.

        
testo di 
Joseph Mistrih 

La croce francescana
È formata da quattro croci ed è il simbolo di quattro stati 'crociati':
Antiochia
Edessa 
Tripoli
Il regno di Gerusalemme

venerdì 4 novembre 2016

DA ALEPPO OVEST (2°parte): testimonianze dei Fratelli Maristi

Estratti dal Diario :

Il 30 ottobre 2016: l'offensiva dei ribelli armati è al suo terzo giorno. Da una parte, avanzando dal lato ovest, hanno preso la Dahiyet al Assad, e dall'altra parte bombardano con mortai tutte le zone di Aleppo da tutti i lati: quello a ovest, da dove provengono gli assalitori, e da est, dove stanno tutti quelli che sono assediati. Gli abitanti di Aleppo sono molto terrorizzati. Soprattutto quelli che abitano in Hamadaniye e ad Halab al Jadida hanno lasciato le proprie abitazioni.

Da venerdì 28 ottobre, ci sono stati molti morti e feriti tra la popolazione civile e l'esercito siriano. Ci dicono che gli ospedali sono sopraffatti dal numero dei feriti. Le autorità della città hanno decretato la chiusura delle scuole per una settimana.





Oggi abbiamo vissuto la nostra "pausa" (incontro) mensile con la squadra dei Maristi blu. Abbiamo organizzato, Leyla ed io, questa giornata sul tema "Chi è il mio prossimo?". Abbiamo iniziato a leggere la parabola del buon samaritano per mettere in rilievo chi è il "prossimo" secondo la visione cristiana. Con tutto il gruppo, 10 persone: i 2 Fratelli George, Margot, Luma, Mirna, Hadi, Kamel, Aline, Leyla ed io, abbiamo iniziato la visita a 3 famiglie tra quelle che vengono da noi e usufruiscono dei nostri programmi.


La famiglia "S." è composta dalla madre e da due fratelli adulti disabili mentali e il papà, anche lui malato mentale che vive presso le suore di madre Teresa. Già, in tempi normali, le piccole stradine di Midane sono brutte, e ora, a causa della guerra, sono terribili: piccole viuzze sporche, cavi elettrici che pendono dovunque e dagli immobili fatiscenti proviene un odore nauseabondo. Saliamo 5 piani per trovarci da questa famiglia. Un piccolo appartamento: una camera da letto per le tre persone e un soggiorno da 8 mq. La madre è anziana e deve fare tutto da sola, finanche portare le taniche d'acqua fino al quinto piano. Z., il figlio, è malato mentale e anche ipovedente. Ci ha parlato in "straniero", lingua composta da parole di sua invenzione. Suo fratello, disabile mentale come lui ma che si muove, non era a casa.

Poi siamo stati ad Achrafiyé, quartiere popolare dei poveri, bombardato dai ribelli-terroristi di Bani Zeid per 4 anni e considerato, prima della guerra, come il quartiere dei curdi. Una grande folla nelle strade, edifici per metà distrutti dalle bombe ma abitati. 

Facciamo visita ai "Sa." Il papà ha un problema di vista con un restringimento del campo visivo che permane nonostante le 2 operazioni chirurgiche che ha subito e non può lavorare, la mamma deve fare tutto e accudire 5 bambini di cui la maggiore ha 12 anni. Abitano in un appartamento infetto, piuttosto un tugurio, senza rubinetti né acqua. Per fortuna che la "Mezzaluna rossa" ha installato 2 grandi serbatoi alla rotonda. Devono fare la spola tutti i giorni per avere dell'acqua. Quando siamo arrivati, non c'erano in casa che i bambini, i genitori erano al funerale del cugino morto durante i combattimenti.
La nostra terza visita ci ha portato dal lato della rotonda Chihane dove vive la famiglia "H.R." una donna con i suoi 9 figli, l'ultimo di 16 mesi non ha conosciuto suo padre che li ha lasciati da più di un anno per andarsene da solo o con un'altra moglie in Turchia. Questa famiglia viveva prima della guerra a Boustan al Bacha. Nel luglio 2012, quando i ribelli hanno invaso Aleppo-Est, è scappata ed è venuta a stabilirsi in una delle scuole di Cheikh Maksoud dove l'abbiamo conosciuta.

Nel marzo 2013, i ribelli avevano invaso il quartiere, quindi se ne vanno una seconda volta per sistemarsi a "1070" un complesso immobiliare incompiuto (a causa della guerra) con delle carcasse di immobili senza pareti né sanitari. Questa famiglia ha quindi cercato di realizzare lì uno pseudo-appartamento. Nel frattempo, la mamma ha fatto sposare 2 delle sue ragazze piuttosto giovani, 15-16 anni. I ragazzi, tra cui quello di 12 anni , lavorano a rovistare nella spazzatura per raccogliere la plastica e il cartone per venderlo al riciclaggio e guadagnare un po' di lire per far vivere la famiglia. Il lavoro di Hammoudé, 10 anni, il nostro protetto, consisteva nel trasportare le taniche d'acqua dal serbatoio centrale del complesso "1070" a "casa" e veniva ogni giorno a casa nostra per prendere alcune porzioni del pasto caldo che serviamo ogni mezzogiorno a più di 800 persone. Che il tempo fosse bello o brutto, sotto il sole o con la pioggia, camminava per più di un'ora per venire da noi e altrettanti per tornare a casa con i secchi di cibo. È biondo con gli occhi azzurri ma spesso così sporco che stava diventando marrone. Allora, si faceva il bagno a casa nostra e i suoi colori naturali tornavano. Da un mese, il "1070" è stato invaso dai ribelli e per la terza volta, la famiglia H.R. l'ha lasciato per rifugiarsi a casa di una delle ragazze sposate. Poi hanno trovato un rifugio al quinto piano di un edificio per metà distrutto alla rotatoria Chihane. Quando siamo tornati alla loro "casa", siamo rimasti sorpresi nel vedere i pezzi mancanti delle pareti sostituiti con assi di legno non fissati; vale a dire, che possono essere spostati con un dito per poi trovarsi davanti il vuoto.

Ecco alcuni esempi della sofferenza e della miseria di qualche migliaio di famiglie che abbiamo in carico e aiutiamo a sopravvivere.
Al nostro ritorno, ci siamo scambiati le nostre impressioni, discusso su chi è veramente il nostro prossimo, di come trasformare una persona diversa da noi nel prossimo, senonché di avvicinarci noi stessi a lei per farne un prossimo a prescindere da una vicinanza familiare, di clan, religiosa o sociale.

Abbiamo parlato molto di dignità da ridare, di rapporto da pari a pari, di uno sguardo d'amore che non giudica ma trasforma il "diverso" nel prossimo. Tutti questi valori sono alla base del nostro lavoro di solidarietà.

Durante la nostra visita ad Achrafiyé, abbiamo incontrato molte famiglie di Halab al Jadida in fuga dal loro quartiere, recanti fagotti, vagando per le strade alla ricerca di un rifugio, di un appartamento in affitto. Achrafiyé è saturo, anche gli edifici distrutti, le cantine, le terrazze, le scale senza inferriate sono abitate. Questa sera, A-H. D. ha telefonato per chiedere aiuto perché hanno finalmente trovato un rifugio a 30.000 Lire Siriane mensili. Gli abbiamo detto di affittarlo e poi il tempo di arrivare a casa sua con la somma dell'affitto per 6 mesi. Un quarto d'ora più tardi, Leyla e i fratelli Giorgio erano sul posto ma l'appartamento era già stato affittato da altri.

Continuiamo a portare all'ospedale persone ferite da arma da fuoco e da colpi di mortaio lanciati sui quartieri civili di Aleppo ovest dai "gentili ribelli moderati". Oggi la famiglia Ghazal al completo: il papà morto sul colpo, le sue figlie con ferite gravi, la più giovane, 20 anni, muore dopo essere stata operata d'urgenza e la maggiore è ancora in terapia intensiva in condizioni critiche. Il fratello aveva trovato la morte già un mese fa, raggiunto da un cecchino.

  dal dottor Nabil Antaki, Aleppo
    (trad OpS)

giovedì 3 novembre 2016

DA ALEPPO OVEST: le toccanti testimonianze degli abitanti in questi giorni terribili


Pierre Le Corf è un giovane volontario francese che ha scelto di trascorrere ad Aleppo alcuni mesi come testimone umanitario tra il popolo, la gente più semplice, e ne racconta la incredibile resilienza, i drammi, gli orrori e le speranze quotidiane su una pagina facebook dal significativo titolo 'We are superheroes'
esplosione di oggi, 3 novembre 2016 
Poiché in questi giorni non c’era connessione Internet, ho scritto questo su un pezzo di carta per eliminare le emozioni: 
"Soltanto un paio di giorni fa, un amico e volontario si è beccato alcuni frammenti di un razzo caduto vicino alla mia casa. Scrivo queste poche righe dal corridoio di casa sua, seduto a terra su alcuni fogli di carta. Nel momento in cui decine di proiettili hanno cominciato a sibilare, la gente per strada si è messa a correre per nascondersi dietro pali e portoni. Odio questo sibilo. I proiettili esplodevano sul marciapiede, sulle automobili e sui muri. Un attacco di una violenza estrema. I terroristi non erano lontani. Esplosioni per ogni dove. Mentre eravamo in auto, all’improvviso il sibilo di una bomba poi esplosa a poche centinaia di metri. Un’altra è esplosa un po' più lontano e le persone che facevano la coda per acquistare il pane hanno iniziato a disperdersi in tutte le direzioni; ma alcuni son rimasti. Di solito bisogna attendere ore per avere un po’ di pane, siamo partiti di colpo. L’auto tremava sotto le cascate di mortai e razzi. Viaggiavamo a tutta velocità, mentre la gente correva per salvarsi e per nascondersi. Il tempo sembra fermarsi. Si ferma la vita. Questa situazione è irreale e terrificante. Ieri, una pioggia di mortai e le vittime sono state oltre cinquanta. La televisione ha trasmesso le immagini all'ospedale pubblico. Le stanno trasmettendo anche in questo istante. È terribile! Non ho parole. Siamo seduti nel corridoio, mentre i terroristi sparano proiettili esplosivi in strada. I bambini stanno accanto a noi. Nonostante l’abitudine a dormire con le esplosioni, durante tutta la notte scorsa esse sembravano oltremodo terrificanti. Lavoro sui programmi sociali, ma sono esausto. Da troppi giorni non funzionano le reti telefoniche e internet. Ci si sente tagliati fuori dal mondo. È una sensazione strana, perché non puoi comunicare neppure con chi ti sta a fianco. Spesso non si può uscire e questo deprime. Potrei scrivere tante cose su quello che sta succedendo, ma gli avvenimenti, le emozioni sono troppe… Spero che torni internet per continuare a pubblicare tutto ciò che le persone stanno attraversando qui.”
Ci aggrappiamo. We are superheroes

dal dottor Nabil Antaki : Messaggio ai media, e a quella parte dell'opinione pubblica disinformata, che parteggiano per i gruppi armati di Aleppo perché li considerano ribelli rivoluzionari e non quel che sono in realtà: terroristi.


Da una settimana, Aleppo ovest (cioè la zona più estesa e popolata della città, sotto il controllo dello Stato siriano) è bombardata brutalmente dai terroristi. Le vittime sono più di cento, il numero dei feriti ancora maggiore, e migliaia di abitanti (per la maggior parte già sfollati da altri luoghi) sono fuggiti verso quartieri più sicuri. Sin dal 2012, i gruppi armati, che occupano la parte orientale della città, bombardano quotidianamente Aleppo ovest con colpi di mortaio e bombole di gas riempite di chiodi ed esplosivo. È vero che queste armi soltanto di rado distruggono completamente gli edifici, ma sono molto letali.
Aleppo è una grande città che al suo interno non ospita caserme o altre sedi militari, quindi tutti i proiettili, da quattro anni, continuano a provocare distruzione e morte nei quartieri residenziali. I raid aerei su Aleppo est mirano a colpire i ribelli armati, che si sono insediati tra i civili, mentre i bombardamenti di Aleppo-Ovest colpiscono intenzionalmente i civili, non essendoci militari.
Perché nessuna voce si è elevata in Occidente per denunciare come terroristi coloro che, da quattro anni, stanno bombardando e uccidendo solo civili disarmati? Perché i media tacciono questa realtà, mentre continuano a trasmettere ossessivamente immagini ripetitive sui danni causati ad Aleppo est dai raid aerei? Dove sono i difensori dei Diritti Umani, che dovrebbero classificare come crimini di guerra i massacri di civili di Aleppo-Ovest da quattro anni? Dov’è quel “Marchingegno" con le sue ‘’Agenzie’’, i suoi ‘’Rappresentanti’’ e il suo ‘’Inviato speciale’’ che spalancano la bocca solo per criticare l'Esercito siriano, che ha l'obbligo di liberare il territorio del suo Paese e un milione e cinquecentomila abitanti bersaglio dei "buoni" terroristi moderati?
È vero! esiste tra i media e i governanti occidentali (non cito l'opinione pubblica perché è disinformata, per non dire manipolata) un doppio standard di giudizio e di valori. L'onestà presso i governanti e l'etica professionale presso i giornalisti sono, purtroppo, soltanto una farsa. Se non stessimo parlando di un Paese distrutto, di centinaia di migliaia di civili uccisi, [e di feriti e di mutilati, N.d.T.] potremmo riderne.

Traduzione di Maria Antonietta Carta


Aleppo est - Sotto il giogo dei terroristi al comando del saudita al Muhaysini.

   il signor Abdel Kaddour, che vive in Aleppo ovest, mi scrive:

"Cara Maria Antonietta, Al Muhaysini è un ufficiale dei servizi segreti Sauditi e si trova nella regione di Idleb, ad ovest di Aleppo. Egli è responsabile diretto per il finanziamento e l'addestramento di tutti i giovani di età compresa tra i 15 e i 20 anni della regione tra Idleb e Aleppo. Le sue truppe si trovano ancora nel centro storico e impediscono agli abitanti di allontanarsi.
Oggi, ho contattato un residente di Aleppo Est e mi ha riferito che sono bloccati nelle loro case e non possono muoversi perché sotto stretto controllo delle milizie, che uccidono chiunque esprima la volontà di allontanarsi. Inoltre, esse si sono impadronite di tutte le provviste e le vendono a 50 volte il prezzo originario. Per i civili disarmati, non c'è più nulla da mangiare e non possono difendersi scappando. Un pacchetto di sigarette costa 15.000 lire siriane un chilo di spinaci 700 lire siriane..."
Maria Antonietta Carta 

mercoledì 2 novembre 2016

Padre Jacques Mourad: Fermare la vendita di armi!

Durante il recente viaggio attraverso il Canada, padre Jacques Mourad,  monaco della comunità di Mar Mousa in Siria, ha parlato con Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Il sacerdote - già rapito e detenuto da Daesh (ISIS) da maggio a ottobre 2015 - chiede ai canadesi di riflettere sull'impatto della vendita di armi, in particolare quelle agli stati della regione del Golfo , che a suo dire, finiscono poi nelle mani dei combattenti in Siria.

31 ottobre 2016, 
 Aiuto alla Chiesa che Soffre Canada.

ACS: Cosa vorrebbe dire alla gente del Canada riguardo alla guerra in Siria?

Padre Jacques Mourad: Come primo punto, desidero ringraziare e trasmettere i miei ringraziamenti da parte dei cittadini della Siria, in particolare dei cristiani in Siria, alle persone canadesi che hanno aperto i loro cuori e il loro paese.

In secondo luogo, ciò che speriamo dai paesi democratici come il Canada, che pur non essendo in grado di fermare questa guerra, continueranno ad accogliere i profughi, così facendo salvano le loro vite, soprattutto la vita di coloro che si trovano nelle zone dove più sono in pericolo (come ad Aleppo tra l'altro).
Tuttavia, dico anche che l'emigrazione della popolazione siriana in Canada non è una buona soluzione.
E' possibile portare fuori l'intero Paese? Per tutti in Siria è pericoloso! Pertanto, lo sforzo necessario da un paese con un buon cuore e che possiede la sua libertà, come il vostro, è quello di fare tutto ciò che è necessario per sensibilizzare l'opinione pubblica, circa le conseguenze della guerra, e convincere il vostro governo a fare tutto quanto è in suo potere per fermare la vendita di armi.

Perché è con queste armi, come quelle che il Canada sta producendo e che vengono vendute nei Paesi del Golfo, è con queste armi, che finiscono nelle mani di tutti coloro che combattono, che la popolazione siriana viene uccisa. Non abbiamo idea del numero di morti, la miseria, ecc...! Il fatto che questo paese continua a produrre e vendere armi, vi rende in parte responsabili della guerra in Siria.
"I canadesi sono invitati a interpellare il loro governo, perché rifletta e prenda in considerazione il fatto che siamo consapevoli di ciò che sta accadendo, che siamo feriti e che stiamo soffrendo."

Padre Mourad invita tutti i Canadesi a pregare per le persone che sono in Siria e per l'avvento della pace . 

Fin dagli inizi della guerra nel marzo 2011, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto tante persone in Siria per mezzo di progetti di emergenza elaborati dalle Chiese locali, sia le necessità di sostegno richieste per l'alloggio di anziani e malati che non possono lasciare il paese, o per la distribuzione di pannolini, cibo e vestiti caldi per i bisognosi. La carità pontificia ha fornito il supporto per un importo di circa 19 milioni di dollari.

I progetti continuano a svilupparsi. Insieme con il rinnovo del progetto per il latte e pannolini per aiutare le famiglie, l'organizzazione sostiene sacerdoti anziani e religiose che stanno vivendo al limite dell'esaurimento, con collette e offerte di messa. Infine, 600 famiglie riceveranno aiuto per pagare il riscaldamento questo inverno, visto che il costo del mazut (un olio combustibile) resta proibitivo.

   (trad. OpS)

martedì 1 novembre 2016

Papa Francesco e mons Audo: "per la Siria e la città di Aleppo, imploriamo la grazia della conversione dei cuori”


“Imploriamo la grazia della conversione dei cuori di quelli che detengono la responsabilità dei destini del mondo e, in particolare, di quella regione e di coloro che vi intervengono”. Il pensiero di Papa Francesco allo stadio di Malmö, dove si sta svolgendo l’incontro ecumenico per i 500 anni della Riforma di Lutero, è stato rivolto alla Siria e alla città di Aleppo “stremata dalla guerra, dove sono disprezzati e calpestati persino i diritti più fondamentali”. 
All’incontro è presente anche monsignor Antoine Audo, vescovo di Aleppo. Il Papa ha detto: “Le notizie ci riferiscono quotidianamente l’indicibile sofferenza causata dal conflitto dell’amata Siria, che dura ormai da più di cinque anni. In mezzo a tanta devastazione, è veramente eroico che rimangano lì uomini e donne per prestare assistenza materiale e spirituale a chi ne ha necessità”. Poi rivolgendosi direttamente al vescovo Antoine, ha aggiunto: “È ammirevole che tu, caro fratello, continui a lavorare in mezzo a tanti pericoli per raccontarci la drammatica situazione dei siriani. Ciascuno di loro è nel nostro cuore e nella nostra preghiera”. E il Papa ha concluso: “Cari fratelli e sorelle, non lasciamoci abbattere dalle avversità. Queste storie ci motivino e ci offrano nuovo impulso per lavorare sempre più uniti. Quando torniamo alle nostre case, portiamo con noi l’impegno di fare ogni giorno un gesto di pace e di riconciliazione, per essere testimoni coraggiosi e fedeli di speranza cristiana”.

http://agensir.it/quotidiano/2016/10/31/papa-francesco-a-malmo-per-la-siria-e-la-citta-di-aleppo-imploriamo-la-grazia-della-conversione-dei-cuori/

La testimonianza del vescovo di Aleppo: “non lasciate morire la  Siria”

“La maggior parte degli ospedali sono stati distrutti e l’80% dei dottori ha lasciato Aleppo. In Siria, 3 milioni di bambini non frequentano più la scuola. Lo sfinimento morale e fisico ha toccato tutti, soprattutto i più poveri e tra loro, bambini, adolescenti, anziani”. 
Comincia con questo “quadro” la testimonianza toccante del vescovo di Aleppo, monsignor Antoine Audo, alla arena di Malmö
“La nostra tristezza più grande è vedere che la cristianità ricca e meravigliosa di questa terra sta scomparendo”, ha detto monsignor Audo che ha concluso con un appello ai “cristiani del mondo, ai musulmani dell’est e dell’ovest, alle persone di buona volontà: non lasciate che la nostra amata Siria sia distrutta e frammentata”. 
Subito dopo la testimonianza di mons.Audo, il vescovo Younan e il cardinale Kurt Koch hanno letto in arabo e in inglese una preghiera per la Siria e l’Iraq perché il Signore della storia “cambia i cuori” e “la pace possa essere stabilita tra le nazioni sul fondamento della giustizia e dei diritti umani. Lo spirito della pace discenda sui popoli della Siria dell’Iraq e Medio Oriente”.

domenica 30 ottobre 2016

Fra Ibrahim: "Ad Aleppo si combatte una guerra totale"

SIRIA. CRONACHE DI GUERRA E DI SPERANZA DA ALEPPOdi IBRAHIM ALSABAGH   Edizioni Terra Santa


Racconta la notte di Aleppo, Padre Alsabagh, “un istante prima dell’alba”. Come il titolo del suo libro, che raccoglie lettere e impressioni della vita del sacerdote dentro “l’apocalisse” del conflitto siriano.

Occhi della Guerra, 28 ottobre

Un istante prima dell’alba”

Racconta il dolore di “aspettare insieme ad una madre, le notizie dei due figli intrappolati sotto le macerie del quarto piano di un edificio, con le lacrime negli occhi ed il Rosario in mano”. Racconta il dolore di “accompagnare, mano nella mano, una madre e un padre al funerale del loro unico figlio di sette anni”. Padre Ibrahim Alsabagh, è, infatti, prima di tutto un sacerdote, che cura le anime afflitte di chi ad Aleppo resta anche solo “perché qui, almeno, ha un posto al cimitero”. Ma è anche un “vigile del fuoco, un infermiere, un badante”. In un posto in cui “la vita è impossibile”. Oggi ad al Shahba, un quartiere occidentale controllato dalle truppe governative, poco distante dalla parrocchia di Padre Alsabagh e dal convento dei frati francescani della Custodia di Terra Santa, sei bambini sono morti ed altri 15 sono rimasti feriti, nel bombardamento di una scuola da parte dei ribelli. Altri tre bambini hanno perso la vita in un altro attacco dei ribelli nel vicino distretto di Al Hamdaniya.

È una situazione impossibile per la vita”, racconta Padre Alsabagh presentando il suo libro ai giornalisti, “viviamo da più di tre anni senza elettricità, per settimane rimaniamo senza acqua, l’80% delle famiglie della nostra comunità sono senza lavoro, il 92% sono sotto la soglia della povertà e il 30% vive nella miseria più totale”. “Mancano ospedali attrezzati, mancano i medici perché la maggior parte sono scappati all’estero, mancano le medicine”, racconta il sacerdote. Sono molti quelli che scappano, “che si buttano nelle braccia dei pirati” pur di avere una possibilità di sopravvivere. “Ad Aleppo sono rimasti solo i più poveri”, spiega il sacerdote, “oppure quelli che sono convinti di rimanere, che sperano in un futuro migliore e pensano che valga la pena, dopo aver aspettato cinque anni, aspettare ancora un po’”. “Davanti al dramma di un popolo in agonia, ci siamo rimboccati le maniche, con la semplicità francescana e ci siamo inchinati davanti alle piaghe dell’umanità, davanti a chi viene privato ogni giorno, centinaia di volte, della propria dignità umana”, racconta Padre Alsabagh, “anche se nessuno, oggi, nel mondo è all’altezza di dare una risposta ad una crisi umanitaria come quella in corso in Siria, ed in special modo ad Aleppo”.

I civili ostaggio dei ribelli ad Aleppo Est

Abbiamo sentito di 12 persone ad Aleppo Est, uccise dai ribelli perché provavano ad uscire dai corridoi umanitari per consegnarsi all’esercito regolare e di un capo religioso musulmano, che aveva organizzato una manifestazione pacifica per chiedere il permesso alle milizie di fare uscire tutti gli innocenti, che è stato ammazzato dai ribelli”. 
Padre Alsabagh testimonia una realtà diversa da quella che siamo abituati ad ascoltare. “Bisogna evitare di fare una lettura parziale della crisi”, afferma il sacerdote. “Nella parte occidentale della città vivono 1,2 milioni di abitanti sotto la protezione di Assad e dell’esercito regolare, mentre la parte Est è un’area più piccola della città, controllata dalle milizie ribelli, dove vivono circa duecentomila persone”, spiega il presule, “da più di tre anni i ribelli bombardano i civili nei nostri quartieri per terrorizzare il popolo, come arma di pressione contro il governo”. Per questo, afferma Padre Alsabagh, “quando i giornali parlano solo dei bombardamenti dell’esercito di Assad o dei russi sulla parte orientale rimaniamo a bocca aperta”. Il sacerdote ha quindi ricordato che “quando si parla di Aleppo, bisogna parlare del martirio dei civili sia ad est, sia ad ovest, perché la violenza è cieca, e a pagare sono sempre gli innocenti, come succede anche in queste ore”.
i missili grad di cui sono appena stati riforniti i terroristi per la battaglia di Aleppo

Ad Aleppo si combatte la Terza Guerra Mondiale”

Nella città siriana il rischio, secondo il sacerdote, è quello di una “guerra totale”. La situazione, infatti, peggiora di giorno in giorno. “La città è divisa in due, a volte si combatte anche a distanza di due metri, con missili di tre metri, di grande potenza”, afferma il presule. Uno di questi è caduto pochi giorni fa nel monastero delle suore carmelitane. La comunità internazionale resta divisa. “Questa divisione si riflette nelle aule delle Nazioni Unite e nelle strade di Aleppo”, dice Padre Alsabagh. “Se la comunità internazionale non mostrerà maturità tutto il mondo sarà come Aleppo”, afferma il sacerdote, perché “la situazione sta precipitando non solo a livello umanitario ma, in generale, sul piano del dialogo internazionale”.

La Guerra Mondiale a pezzi, di cui ha parlato Papa Francesco, è già in atto”, afferma padre Alsabagh, “e noi da Aleppo ne cogliamo i segnali: nelle truppe sul terreno, nei camion carichi di armi, nei missili con enormi capacità distruttive”. “Ora sono i potenti che devono scegliere”, dice il sacerdote. Ed è una scelta netta, tra “continuare questa guerra all’infinito o cercare una soluzione attraverso il dialogo”. Padre Alsabagh è sicuro: “Oggi l’umanità si trova ad un bivio che segnerà la storia del mondo”. “Dove vogliamo andare?”, si chiede il parroco della città martoriata. “Verso una guerra totale?”.

mercoledì 26 ottobre 2016

A un anno dalla morte di monsignor Giuseppe Nazzaro, la testimonianza delle Trappiste dalla sua Siria

Un altro anniversario della morte di Mons. Nazzaro.. un’altra occasione per rinnovare tutta la gratitudine del cuore per quanto abbiamo ricevuto da lui.
Come non rimpiangere la sua capacità di discernimento sui fatti e sulle cose, oggi che le sue opinioni sono rilanciate da tanti, oggi che finalmente -dopo tante vicende- chi vuole può aprire gli occhi sulla realtà di quanto accade in Siria?
Non era certamente ingenuo, o compiacente, Mons. Giuseppe, quando diceva sapendo di esagerare “in quale paese si sta meglio che in Siria?”. Semplicemente, sapeva prevedere il disastro che ora tutti abbiamo sotto gli occhi.
Troppo di parte”, si è detto di lui. Questa affermazione, con cui si chiude la bocca alla testimonianza di tanti cristiani siriani, è ridicola, perché sarebbe interessante sapere chi non è di parte, o può non essere di parte, in tutta questa storia.  All'accusa “ci si ostina a difendere i propri privilegi di cristiani, incuranti di chi paga il prezzo”, rispondeva: la sopravvivenza non è un privilegio, l’ottenere il rispetto come cittadini, come minoranza, non è un privilegio. E non è vero che i cristiani non si curano delle altre minoranze, che si interessano solo a se stessi.
Perchè chi conosce la Siria sa che è un destino unico, per tutti : o la coabitazione o la dissoluzione del paese come tale. Cioè della convivenza e della lunga storia di coesistenza delle differenze, che oggi è un valore sempre più raro nelle nostre società.
Altrimenti come si spiegherebbe che una buona parte di sunniti abbiano scelto comunque di sostenere l’unità nazionale, e che molti abbiano pagato con la vita la loro scelta? A questa domanda una volta o l’altra si dovrebbe pur cercare di dare una risposta...
Ci sono state molte sofferenze e abusi, nel paese, e va tutto il rispetto e il sostegno a chi ha subito violenza ingiustamente. La Siria doveva e deve cambiare, Monsignor Nazzaro stesso lo diceva, e i cristiani di qui non sono così stupidi o cinici da non saperlo o non volerlo. Ma il cambiamento doveva venire dall’interno, dai siriani stessi, non dagli interessi corrotti di paesi stranieri alla Siria.
I cambiamenti veri si fanno offrendo opportunità di crescita, non distruggendo tutto il possibile e rubando le risorse di un paese.. Si fanno creando opportunità di scambio, di contatto con altre realtà…non chiudendo le frontiere con le sanzioni, che tolgono il lavoro e alimentano le mafie… Si fanno con la cultura vera, il pensiero libero, da diffondere e incrementare, non con l’informazione menzognera .
Così replicava a quelli  che gli dicevano "ah, in Siria non era possibile fare nessun progetto educativo, non era permesso.” : forse non si potevano portare libri o scuole.... ma com’è che sono riusciti a far entrare in Siria quintali e quintali di armi, di esplosivi, e quant’altro, a scavare tunnel per anni ... e libri e cultura e progetti niente? Per quelli, sì, forse valeva la pena di infrangere le regole, osare un po’ di più…anche “sfidare" qualcuno se necessario….
Certo, a patto che si avesse a cuore veramente la crescita di un popolo, e non piuttosto il desiderio di trarre profitto dalla sua distruzione.. come sempre denunciava coraggiosamente Monsignor Nazzaro.

Tanti, ormai, stanno dicendo questo, e sono persone più accreditate di noi, siriani e non, cristiani e non… E niente cambia. I nostri paesi occidentali continuano con le loro politiche asservite alla logica di chi tira le fila. Vogliamo liberare la Siria e siamo schiavi. Esiste una informazione che rivela e fa conoscere ormai molte cose…e l’Occidente continua ad aggiungere sanzioni !
Purtroppo, anche in ambito cattolico, si leggono articoli che fanno veramente male al cuore, e per fortuna a noi ne arrivano pochi. E spiace dirlo, ma ci si appella anche ai buoni sentimenti della gente- buoni sentimenti veri, sinceri- utilizzati per una distorsione del giudizio che ci dovrebbe almeno spaventare.
Ad esempio l’orrore - giusto, sacrosanto- di fronte alla morte dei bambini.... che però non sono “tutti” i bambini, ma solo quelli di una parte.. fatti morire così due volte, perché usati e abusati sulle copertine dei giornali. Ed anche gli appelli per il cessate il fuoco ( può sembrare cinico) diventano facilmente equivoci, manipolabili, se non ci si accorge che le armi che si usano le vendiamo noi, passano per la nostre frontiere, sono comprate con i nostri finanziamenti, o in scambio del petrolio che ci fa comodo, e così via…
Dopo aver riempito un paese di armi efficienti e sofisticate, dopo aver acceso il fuoco di un odio reciproco fra fratelli, dopo aver illuso tanti che il miglioramento potesse arrivare dalla lotta armata, dopo aver addestrato ed equipaggiato e ben pagato per far guerra… dopo aver distrutto il futuro di tutti ( perché chi ha lottato e chi ha subìto, che prospettive reali ha davanti a sé, in un paese completamente distrutto?) adesso si dice: cogliete un fiore, e fate la pace, in nome dei principii umanitari?
Dobbiamo cambiare molte molte cose in Occidente se si vuole che cessi il fuoco in Medio Oriente… a partire dalle nostre parole.
Sì, davvero Monsignor Giuseppe sapeva vedere più in là…
E noi, che molte volte gli abbiamo suggerito di essere più diplomatico, se voleva essere ascoltato, lo ricordiamo con gratitudine, perché ci ha aperto gli occhi su molte cose, e per la Siria ha messo tutto il suo cuore di padre. Senza proprio nessun privilegio.
  le sorelle trappiste siriane



Sabato 5 novembre 
presso la chiesa parrocchiale di San Potito Ultra (AV) alle ore 17 
si svolgerà un convegno in memoria di padre Giuseppe Nazzaro, ofm, Vicario Apostolico emerito di Aleppo ; 
al temine vi sarà la benedizione della tomba monumentale in cui egli riposa