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venerdì 8 aprile 2016

Il ricatto islamista: di Samir Khalil Samir S.I.

da IL FOGLIO del 6 aprile 2016 riprendiamo la riflessione di padre Samir Khalil Samir "L’Europa è stata troppo tollerante con la radicalizzazione che cresceva nelle sue città. E’ banale dire che il fondamentalismo è causato dalla disoccupazione...."



Vorrei partire da un dato di fatto, come premessa. Siamo in presenza di un fenomeno sociologico “normale”: le città sono già occupate. Trovare un posto nel cuore dei grandi agglomerati urbani è difficile per chiunque, se non è già installato lì. Man mano che arrivano, gli immigrati vanno a stabilirsi attorno alla città e la conseguenza più banale è che si formano dei quartieri abitati solo da immigrati: cercano una casa dove hanno un parente, un amico, una persona del proprio luogo. Così si costituiscono, ovunque nel mondo, dei quartieri che sono contraddistinti da una certa prevalenza culturale. Può essere un quartiere di spagnoli, di italiani. Negli ultimi tempi, l’emigrazione massiccia – e la più diffusa – è quella che ha come luogo d’origine i paesi musulmani. Il problema è che questi sono oggi più di 16 milioni nell’Unione europea, secondo l’Istituto centrale tedesco degli archivi sull’islam (Zentralinstitut Islam Archiv Deutschland). Ecco perché esistono molti quartieri massicciamente musulmani. Ecco perché dico che è un fenomeno culturale. Questo è un primo fatto, sociologico.

Poi però, c’è un secondo problema. Dobbiamo capire che l’islam non è una religione nel senso cristiano della parola. Almeno, non è solo questo. Per noi, la religione è un rapporto personale tra me e Dio, con annesso qualche legame religioso spirituale con altre persone. Nel sistema islamico, la religione è tutto. E’ un progetto globale: spirituale, sociale, intellettuale, familistico, economico, politico, militare; include il modo di mangiare, di vestirsi, di stare con gli altri, di vivere. L’islam entra in ogni cosa. Non c’è un campo che sia esterno all’islam. Pensiamo al modo di relazionarsi agli altri: se parlo con un uomo o con una donna, è l’islam a deciderlo. Se frequento uno straniero, prima mi assicuro che lui sia credente e musulmano. L’islam penetra in tutto. Le scelte sociali, politiche, commerciali sono fatte a partire dall’islam. La religione penetra ogni aspetto.

Dunque è normale che, trovandosi tutti assieme, man mano la libertà personale venga a essere limitata, perché ci saranno sempre persone – diciamo “specialisti” (imam o semplicemente persone che pretendono di aver studiato l’islam) – che verranno a dire  “tu ti comporti male, devi agire così”. C’è una propaganda che porta a dire che un determinato quartiere deve essere gestito in modo islamico. Si pensi, poi, che c’è anche un modo “islamico” di vendere e comprare le cose. La conseguenza di questo sistema è che, con l’andare del tempo, si creano delle unità a se stanti, isole dove è più facile indottrinare la gente.
Inoltre, negli ultimi tempi, la tendenza – che esiste da decenni nel mondo islamico, almeno dagli anni Sessanta – è quella di una diffusione di una visione dell’islam sempre più integralista, fondamentalista, collettiva; una visione della vita che si impone lentamente alla maggioranza. E’ il sistema wahhabita o salafita, o dei Fratelli musulmani. Tutti vanno nella stessa linea, e cioè di imporre un modo di essere musulmano. E questo determina che un quartiere, una città o un paese intero divenga sempre più diretto da questo gruppuscolo che ha un progetto chiaro e determinato, nonché spesso finanziato dai ricchi paesi petroliferi. Al centro di questa isola si metterà la moschea. Si dirà: “Ci sono tante chiese e noi non abbiamo neanche un piccolo luogo di preghiera”. Si faranno pressioni sui comuni cittadini, per dire “rispettateci”. Allora, o l’amministrazione pubblica dice “va bene, vi regaliamo quel terreno”, oppure loro lo acquisteranno, aiutati dai paesi petroliferi.
 Costruiranno allora un piccolo centro, che pretenderebbe di essere solo per la preghiera, ma che subito vedrà sorgere librerie con volumi fatti a mero scopo propagandistico. Nascono così i centri islamici. 
Il fatto è che gli europei pensano che una moschea sia come una chiesa. Ma nella chiesa si prega, non si fa politica. Forse, una volta se ne faceva un po’, ma oggi chi va in chiesa lo fa per pregare. Nella moschea no. Il discorso ufficiale durante la preghiera del venerdì è solo in parte religioso. La parte preponderante, invece, è socio-politica. Questo è il sistema stabilito e chi lo pratica fa bene, è un buon musulmano e un buon imam.

La Francia “laicarda”
In Francia, i comuni hanno il diritto di concedere un terreno o una costruzione per 99 anni in cambio di 1 euro simbolico: è ciò che si chiama un bail emphytéotique. Questo sistema risale a una decisione di secoli fa, ma ora è divenuto il metodo più diffuso in Francia per dare ai musulmani un terreno per costruire una moschea. E questo perché il diritto che lo permette risale al diritto romano, benché esso sia molto cambiato nel frattempo. Le comunità si presentano dicendo: noi siamo poveri, non abbiamo luoghi decenti per pregare, mentre i cristiani hanno da secoli delle chiese, e noi non abbiamo niente. Allora dateci questo, visto che la legge vi autorizza a farlo. La conseguenza? I comuni e i governi si lasciano convincere da tali motivazioni e regalano il terreno. Solo dopo, quando ormai è troppo tardi, si scopre che lì si fa  propaganda islamista, jihadista, e si crea così un quartiere islamico, dove la polizia non ha sempre la possibilità di accedere.
La Francia è sempre più non solo laica, ma (come si dice in francese) laicarda. Ha cioè un progetto laico, che è in realtà anti religioso e anti cristiano. Anzi, essenzialmente anti cattolico. Basta vedere l’atteggiamento dell’attuale Primo ministro Manuel Valls, e quello di Vincent Peillon (ex ministro dell’Istruzione) che diceva in televisione “dobbiamo uccidere la chiesa cattolica”. Per lui, “non si potrà mai creare un paese di libertà con la chiesa cattolica” . Ma la chiesa non ha mai usato, nella nostra epoca, mezzi politici e illegali. La chiesa dice la sua, come ogni uomo ha il diritto di fare. Non ha possibilità concrete di fare pressione sulla gente. La prova è che ogni anno ci sono sempre meno persone che si dichiarano cristiane. Ma Valls e Peillon ritengono che il cristianesimo ha un influsso troppo forte. Al contempo, il governo francese ha bisogno di voti e cerca i musulmani, dando loro piccoli o grandi vantaggi in cambio di consenso.
Penso alla preghiera musulmana del venerdì, fatta per strada: è inammissibile, qualunque sia il motivo. Se voglio utilizzare il luogo pubblico (la strada) per un atto religioso, anche io cattolico devo chiedere il permesso. Penso a un caso eccezionale, la processione per la festa del Corpus Domini: non si può fare senza prima ottenere il via libera dlle autorità, non si può decidere di scendere liberamente in strada. Se non c’è il permesso, lo Stato ha il diritto di impedire che si blocchi la strada. Invece, ogni settimana, ogni venerdì, lo si fa. Con il pretesto che – dicono – non hanno moschee o che le moschee sono troppo piccole. Io l’ho visto a Parigi: fanno venire i musulmani dalle periferie nel centro della città per dire “vedete, le moschee sono troppo anguste”. C’è una sorta di ricatto, uno scambio: usano tutto a fini politici. Ed è per questo che l’islam si “arrangia” bene con lo stato.
Anche a Milano, in viale Jenner, lo rivendicavano come diritto. La verità è che siamo incoscienti: se si impedisce di occupare le strade, passa l’idea che si sia anti musulmani. Invece è solo una norma di buon senso. Gli islamisti, i fondamentalisti islamici usano tutti i mezzi per imporsi. Poniamoci per un attimo su un piano più profondo, andiamo a vedere come un quartiere si trasforma in un quartiere più islamista (non dico islamico). I gruppi radicali hanno come scopo principale di diffondere la loro visione dell’islam, perché per loro è quello l’autentico islam, il più veritiero, e quindi va imposto a tutti i musulmani. Di conseguenza, questi quartieri che un tempo erano misti, diventano quartieri musulmani radicali, dove i non musulmani – oppure i musulmani moderati – se ne vanno. Così il quartiere non è più integrato nella città.

Accoglienza e falsa tolleranza
Spesso si critica lo stato accogliente. A mio giudizio, dobbiamo accogliere lo straniero che si trova in estrema difficoltà (come spesso accade di questi tempi). Ma dobbiamo anche aiutarlo a integrarsi realmente. Lo stato deve spiegare agli immigrati che ci sono delle condizioni necessarie da rispettare, prima fra tutte la necessità d’imparare la lingua nazionale. Si dovrebbe spiegare che non si può rimanere qui, in Europa, se non ci si comporta non solo conformemente alle nostre leggi, ma anche in secondo le norme e le usanze delle nostre società.  Ma cosa significa “integrare”? Significa far sì che l’altro sia uno di noi. Perché se l’altro non si integra, per esempio con la lingua, avrà difficoltà a trovare anche determinate occupazioni. C’è troppa falsa tolleranza e disorganizzazione, mancanza di riflessione su ciò che significa “accogliere”. E’ un compito molto delicato e impegnativo. Ma si deve aggiungere che, se i flussi migratori rappresentano un peso per lo stato e per le comunità, si deve riconoscere anche che l’Europa, con la sua demografia estremamente bassa, ha bisogno anche di loro, persone dal valore umano indispensabile a questo continente.
E’ banale ricondurre l’ondata integralista nelle banlieue a problemi socio-economici. Riflettiamo sulla disoccupazione: sono disoccupati perché non hanno imparato un mestiere in modo corretto, in modo da essere ricercati e non rigettati. L’ho notato in Francia: i ragazzi di questi quartieri, anziché studiare, facevano chiasso per le strade, andando in giro per gruppi alla sera, anzichè studiare. La gente, anche musulmana, aveva paura. Invece le ragazze erano a casa, facendo i compiti, lavorando. Personalmente l’ho constatato nella banlieue di Parigi, dove andavo ogni sabato sera a riflettere con una ventina di giovani musulmani: che tutte le ragazze avevano un lavoro. I ragazzi invece molto di meno, con anche poche possibilità di avere un buon lavoro. Perché non erano stati seri a scuola. Perché il ragazzo è libero, mentre la ragazza è controllata, e questo è un principio islamico. C’è la volontà di marginalizzarsi.
Bisogna confrontarsi con un fatto chiaro: l’europeo (generalmente di tradizione, se non di fede, cristiana) è diverso dal musulmano nella sua mentalità. La causa di ciò non è lo Stato: la causa sono io, giovane musulmano che rifiuta l’integrazione in nome della fede. Ecco perché le famiglie dovrebbero aiutare in questo senso, favorendo l’integrazione; dire “voi siete responsabili di voi stessi, ma per questo dovete integrarvi a tutti i livelli”, non andando a intaccare la fede musulmana, ben radicata nel profondo del cuore e nei comportamenti.

Molenbeek spiega le bombe di Bruxelles
Quanto avvenuto a Bruxelles non è una sorpresa. Nel quartiere di Molenbeek, ma non solo in questo, io ho visto scene con uomini che dicevano alla polizia: “Che venite a fare qui? Questo non è campo vostro”. E la polizia, trovandosi in tali situazioni, preferivano andarsene. Uomini che, pure non intenzionati a fare uso della forza, avevano un aspetto intimidatorio. Non si deve accettare nessuna eccezione, mai:  sia italiano da mille anni o da un anno. Ci sono delle norme, e devono essere rispettate. I tedeschi hanno un’espressione molto bella e sempre applicata: Ordnung muss sein!, cioè “l’ordine deve esistere, tutto deve essere fatto secondo l’ordine previsto!”. Per questo sono più avanzati in questo campo. In Germania non ho mai visto, in trent’anni, un gruppo di musulmani come ho visto a Birmingham o a Parigi, che vanno in giro a fare pressione sulla popolazione musulmana. In Germania hanno infatti imparato che ognuno può ottenere diritti solo se rispetta le norme comuni del paese dove vive e che ha scelto per se stesso.

Samir Khalil Samir S.I. è un islamologo gesuita, docente al Pontificio Istituto Orientale di Roma. Già Pro rettore dell’istituto, è stato anche consigliere di Benedetto XVI riguardo i rapporti con l’islam.

giovedì 7 aprile 2016

'Frans tu sei una palma per la Siria, tu sei un vero agnello per la pace in Siria'

Ricorre il 7 aprile il secondo anniversario dell'assassinio del padre gesuita Frans van der Lugt a Homs


Tu sei il vero testimone della risurrezione
Questa è la tua PASQUA
Con pazienza ... tu hai rotolato la pietra... Con la tua umanità hai rotolato la pietra .. Con la tua fede hai rotolato la pietra..
Sei testimonianza alla verità. Tu ci dici oggi e domani: "Non abbiate paura voi che state cercando Gesù di Nazareth .. , di Homs, di Siria, del mondo intero, il Crocifisso , perché egli è risorto, Egli è accanto a me, un giovane uomo vestito di bianco che vi ama ... ".

Sì, per favore, Frans: dì al giovane uomo vestito di bianco accanto a te : i siriani e le persone di tutto il mondo, di ogni razza e colore hanno bisogno di lui per la pace. Amen

La testimonianza di  padre Nouras Sammour:
 http://oraprosiria.blogspot.it/2015/11/viaggio-in-siria-2-homs-ya-rabb.html

martedì 5 aprile 2016

Qaryatayn: 'Intorno alla memoria dei santi fiorirà di nuovo la vita di grazia'


Agenzia Fides 
5/4/2016

 A Qaryatayn, la città siriana da poco tornata sotto controllo dell'esercito siriano, i jihadisti dello Stato Islamico (Daesh) se ne sono andati lasciando macerie e devastazione nel santuario di Mar Elian, dove fin dai primi giorni di occupazione, nell'agosto 2015, avevano profanato brutalmente la tomba del Santo, per cancellare quello che anche ai loro occhi rappresentava il cuore del complesso monastico. Ma le reliquie di Mar Elian, sparse intorno al sepolcro del Santo, non sono andate perdute: potranno essere raccolte e ricomposte, e intorno a esse potrà di nuovo raccogliersi la vita e la devozione dei cristiani della regione. 

Sulle mura del monastero di Qaryatayn hanno scritto:
'I leoni del califfato sono venuti a divorarvi'
All'Agenzia Fides la notizia del ritrovamento viene confermata con commosso entusiasmo da padre Jacques Murad, il Priore della comunità monastica - affiliata al monastero di Deir Mar Musa al Abashi - che negli ultimi anni aveva fatto rifiorire l'antico Santuario del V secolo, collocato alla periferia di Qaryatayn. Padre Jacques Murad era stato lui stesso preso prigioniero da un commando di jihadisti che il 21 maggio 2015 aveva fatto irruzione nel santuario e lo aveva sequestrato, e ha potuto ritrovare la piena libertà soltanto lo scorso 11 ottobre. 

“Davanti a tutto quello che è successo e che sta succedendo” rimarca padre Murad “preferisco stare in silenzio, perchè oggi proprio il silenzio mi appare come la parola più giusta e adeguata”. Poi, con poche parole semplici, esprime il consolante sguardo di fede con cui lui e i suoi compagni hanno vissuto anche questo tempo travagliato. “Che le reliquie di Mar Elian non siano andate perdute” confida a Fides padre Jacques “è per me un segno grande: vuol dire che lui non ha voluto lasciare quel monastero e quella terra santa. Sappiamo che i santi sono in cielo, e noi possiamo sempre invocarli e chiedere il loro aiuto. Ricordo che il 9 settembre, nel giorno della memoria liturgica di Mar Elian, avevo celebrato la Messa con gli altri cristiani a Qaryatayn, mentre eravamo sotto il dominio del Daesh. Avevo detto loro: non è importante che il monastero sia distrutto, non è importante nemmeno che la tomba sia stata distrutta. L'importante è che portiate Mar Elian nel vostro cuore, dovunque andrete, anche in Canada, o in Europa, perchè lui vuole rimanere nel cuore dei suoi fedeli”. 

Adesso, la speranza cristiana di padre Jacques già assapora di veder rifiorire la carità di Cristo anche nel luogo da dove lui stesso e i suoi amici monaci erano stati strappati a forza: “ieri” racconta padre Murad all'Agenzia Fides “mi hanno mandato le foto delle ossa che hanno trovato intorno alla tomba devastata di Mar Elian. Negli anni passati, io stesso avevo fatto delle ricognizioni su quelle reliquie, così ho potuto riconoscerle subito da dei segni inconfondibili, come le parti di pelle mummificata che ancora rivestono una mano e i piedi”. 
Nella giornata di domani, un sacerdote della arcieparchia siro-cattolica di Homs, insieme a alcuni monaci di Dei Mar Musa, andranno a Mar Elian per verificare le condizioni in cui versa il santuario. “Ho chiesto loro” riferisce ancora a Fides padre Jacques “di raccogliere le reliquie e di portarle a Homs per custodirle. Sappiamo che il vecchio santuario è stato raso al suolo, che il sito archeologico è stato devastato, mentre la chiesa nuova e il monastero sono state incendiate e in parte bombardate. Quando, in futuro, torneremo a lavorare a Mar Elian, rimetteremo anche le reliquie del Santo al lor posto. Intorno alla memoria dei santi fiorirà di nuovo la vita di grazia. E sarà un grande segno di benedizione, per tutta la nostra Chiesa”.

http://www.fides.org/it/news/59755-ASIA_SIRIA_Nel_santuario_devastato_dai_jihadisti_ritrovate_le_reliquie_di_Mar_Elian_Padre_Jacques_Murad_cosi_il_monastero_rinascera#.VwPz7fmLSM8

domenica 3 aprile 2016

Perché diciamo NO alla partizione della Siria


 Piccole Note 
2 aprile 2016

Non esiste una «soluzione militare» alla questione dell’estremismo islamico, del quale l’Isis è la rappresentazione più mostruosa: è quanto si legge in un articolato editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 2 aprile. Che spiega come un’eventuale vittoria sul piano militare contro l’Isis non basterà a chiudere la partita: «Alla sconfitta militare dello Stato islamico dovrà accompagnarsi una conferenza di pace, presenti tutte le potenze interessate, che dia vita, sulle ceneri del vecchio Iraq e della vecchia Siria, a nuove organizzazioni statali (rispettivamente dei sunniti, degli sciiti e dei curdi) e a nuovi confini.
E sapendo comunque nella futura carta geopolitica del Medio Oriente, se si formeranno, come è probabile, Stati mono-religiosi o mono-etnici, non ci sarà spazio, purtroppo, per altre minoranze, cristiani in testa. L’Europa dovrà allora accoglierli con la necessaria generosità».

Nota a margine. Panebianco ha il dono di parlare chiaro. Quello della ripartizione di Iraq e Siria secondo confini etnici o religiosi è una vecchia idea dei neocon (ne abbiamo accennato più volte). Un progetto che avrebbe dovuto compiersi per via militare, tale il motivo del sostegno delle «potenze interessate» ai vari movimenti jihadisti che hanno portato l’orrore in Iraq e Siria (e in Europa). Si parla di Arabia Saudita, Turchia, ma anche di influenti ambiti interni a Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e altri.
 L’imprevisto intervento militare russo ha fatto fallire l’opzione militare. Ora sembra si voglia provare attraverso la via diplomatica: le stesse «potenze interessate» spingeranno in tal senso al tavolo dei negoziati, almeno questa è la tesi di Panebianco.
Invero non si capisce a cosa siano davvero «interessate» tali potenze: se al petrolio sul quale galleggiano i due Stati o all’influenza che potranno avere sui micro-stati che nasceranno da tale frammentazione. 

Ma al di là, si nota lo strano rovesciamento della dottrina neocon, un tempo basata sull’idea di esportare la democrazia a suon di bombe: nel caso specifico i principi fondanti della democrazia, ovvero il rispetto della sovranità e della volontà popolare, non sono neanche presi in considerazione.
 
Val la pena, infine, ricordare come nel dicembre del 2015, l’Onu ha votato una risoluzione  nella quale ribadiva «il suo forte impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale della Repubblica araba siriana». C’è un modo di arginare la follia del caos ed è quello di rispettare la legalità internazionale, della quale le Nazioni Unite dovrebbero rappresentare un punto di riferimento.

Diversa e altrettanto bizzarra la soluzione prospettata per le minoranze cristiane: si prevede una loro deportazione (soft) di massa, a prescindere dalla loro volontà e da quella delle popolazioni dei futuri (ed eventuali) micro-stati nati da tale frammentazione.
 
Tra le aspirazioni dei vari movimenti jihadisti, sostenuti, finanziati e armati dalle «potenze interessate», c’era anche questa: un Medio Oriente svuotato dalla presenza cristiana.
Tra l’altro restano fuori le altre minoranze – ad esempio agli yazidi massacrati dall’Isis – escluse dal “generoso” abbraccio europeo: le mandiamo al Polo?

http://piccolenote.ilgiornale.it/27996/quale-futuro-per-iraq-e-siria

Kerry’s Plan at Balkanising Syria

.....  Ma alcuni potrebbero non comprendere appieno le implicazioni del federalismo e di come è intrinsecamente legato alla balcanizzazione. Alcuni citano il fatto che la Russia e gli Stati Uniti sono federazioni riuscite, come prova del fatto che dalla federazione non c'è nulla da temere. Tuttavia, il punto che rende queste dichiarazioni sul federalismo così pericolose è che secondo il piano Yinon i confini di una Siria federale sarebbero tracciati lungo linee confessionali, non sul ​​fatto che uno stato possa sostenere la sua popolazione. Ciò significa che una piccola quantità di persone otterrà tutte le risorse, e il resto della popolazione della Siria sarà lasciato morire di fame. Inoltre, la Russia e gli Stati Uniti sono alcune delle più grandi nazioni del mondo così che il federalismo può avere senso per loro. In contrasto, la Siria è un piccolo Stato con risorse limitate. A differenza di Stati Uniti e Russia, la Siria si trova in Medio Oriente, il che significa che l'acqua è limitata. Nonostante il fatto che la Siria è nella cosiddetta mezzaluna fertile, la Siria ha subito massicce siccità da quando la Turchia ha prosciugato  i fiumi che scorrono in Siria e Iraq. Le risorse idriche della Siria devono essere razionate tra i suoi 23 milioni di persone. In Medio Oriente, le guerre sono anche lotte per l'acqua .  Le aree che il piano Yinon intende ritagliarsi della Siria, sono le zone costiere di Latakia e della regione di Al Hasake. Si tratta di aree in cui si trovano  notevoli quantità di risorse di acqua, agricoltura e olio. L'intenzione è quella di lasciare la maggioranza della popolazione siriana senza uno sbocco sul mare e creare una situazione in cui la guerra perpetua tra siriani divisi è inevitabile.  Ironicamente i promotori del Piano Yinon cercano di dipingere il federalismo come una strada per la pace. Tuttavia, l'Iraq che è stato spinto nel federalismo nel 2005 dall'occupazione degli Stati Uniti ora è tutt'altro che pacifico.     Molto semplicemente, 'divide et impera' è il piano.

.....  http://journal-neo.org/2016/03/29/kerry-s-plan-at-balkanising-syria/

giovedì 31 marzo 2016

L’attentato in Pakistan e la liberazione di Palmira

Piccole Note,
30 marzo 2016

Il feroce attentato in Pakistan, che ha causato 72 vittime innocenti, ha oscurato la notizia della conquista di Palmira ad opera delle forze di Damasco. È proprio quanto si riproponevano gli autori della strage di Pasqua, d’altronde le Agenzie del terrore conoscono a menadito le tecniche della propaganda e le sanno manipolare in maniera più che sofisticata, come hanno ampiamente dimostrato in questi anni.
Già, perché la conquista di Palmira è ormai derubricata a episodio secondario, mentre invece ha una rilevanza geopolitica di primaria importanza, sotto diversi profili.
Anzitutto strategici, perché ha dimostrato che nonostante la ritirata dei russi la controffensiva di Damasco contro le milizie jihadiste, e l’Isis in particolare, non si è affatto conclusa e anzi continua con efficacia (mentre in Iraq la fantomatica coalizione internazionale guidata dagli Usa continua a latitare).

Di immagine, perché ha strappato all’Isis una città che era diventata simbolo della barbarie identificativa di tale movimento terrorista, che attraverso l’odiosa quanto inutile distruzione delle antichità archeologiche amplificava nel mondo il suo messaggio apocalittico (altro esempio di propaganda sofisticata).

Infine, la riconquista di Palmira toglie all’Isis un ulteriore mezzo di finanziamento, dal momento che il business dei reperti archeologici, rivenduti in Occidente ha fatto entrare nelle casse dell’Agenzia del terrore e dei suoi capibastone milioni di euro (nessuno degli acquirenti di tali reperti è stato ancora identificato, nonostante le indagini in tal senso non siano affatto impossibili) .
Il fatto poi che Palmira sia stata riconquistata nel giorno di Pasqua non è affatto casuale: sarebbe potuta cadere il giorno prima o quello dopo. Invece si è scelto proprio questo giorno, per lanciare un messaggio di speranza al mondo. Da qui anche la pronta reazione delle forze del caos in Pakistan, che anzitutto vogliono annichilire la speranza.

Aver lasciato ad Assad il merito della liberazione della città è stato un capolavoro tattico di Putin: rafforza il presidente siriano sia in patria che all’estero, favorendo così la chiusura dei negoziati di Ginevra, Questi, infatti, potranno avere un esito positivo solo se i suoi avversari internazionali capiranno che lo spazio per un regime-change in Siria si è definitivamente chiuso.
Il fatto che la conquista di Palmira sia avvenuta poco dopo gli attentati di Bruxelles indica chi davvero sta contrastando l’Agenzia del terrore, nonostante tanta narrativa occidentale tesa a dipingere Assad e Putin come dittatori sanguinari, figure pericolose per la pace del mondo.

L’Isis, e chi lo supporta a livello internazionale, sa invece perfettamente chi sono i suoi veri avversari. Tanto che con la bomba in Pakistan ha inteso inviare un ulteriore segnale: il terrorismo può colpire in Asia e dilagare fino ai confini della Russia. Un progetto che le agenzie del terrore coltivano da tempo .

Non solo: il tentativo di far dilagare il caos in Pakistan punta anche a destabilizzare il governo di Nawaz Sharif, che sta tentando di chiudere il decennale contrasto con l’India attraverso la mediazione russa. Una riconciliazione necessaria per restringere gli spazi di manovra alle forze del caos nel cuore dell’Asia.
In tutto questo, e nonostante tutto questo, le cancellerie occidentali continuano a considerare Mosca un nemico più che un partner indispensabile per porre un argine al terrore globale. Una scelta folle, che condanna l’Europa a dispiegare un’azione di contrasto al terrorismo totalmente inadeguata.
Urgono correttivi, ma l’élite europea (culturale, economica e politica) da tempo ha dimostrato una scarsa propensione alla lungimiranza. 
Del simbolismo esoterico della strage di Pasqua  potete leggere  qui.

http://piccolenote.ilgiornale.it/27950/lattentato-in-pakistan-e-la-liberazione-di-palmira


PALMIRA LIBERATA MA NON È MERITO DELL’OCCIDENTE

Danni gravissimi con stime di almeno 5 anni per ristrutturare quanto è stato distrutto secondo Maamoun Abdelkarim, responsabile per le antichità e i musei siriani.

di Gianandrea Gaiani 
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La liberazione di Palmira rappresenta lo specchio più nitido dell’ambiguità dell’Occidente, incapace o privo della volontà di combattere davvero lo Stato Islamico e prono di fronte alle pretese dei regimi islamisti di Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti pretenderebbero di sostituire il regime di Assad con la dittatura della sharia.
Neppure i rapporti stilati negli ultimi dieci anni da diversi servizi d’intelligence (e resi noti da Wikileaks) che denunciano la massiccia infiltrazione di imam Salafiti in Europa ad opera dei sauditi (o dei Fratelli Musulmani finanziati da turchi e Qatar) ha indotto le cancellerie europee ad aprire gli occhi sulla natura di alcuni “alleati”.....

.... leggi l'articolo completo qui : 

martedì 29 marzo 2016

La tragedia dei cristiani uccisi in Oriente


Cari fratelli e sorelle, ieri, nel Pakistan centrale, la Santa Pasqua è stata insanguinata da un esecrabile attentato, che ha fatto strage di tante persone innocenti, per la maggior parte famiglie della minoranza cristiana – specialmente donne e bambini – raccolte in un parco pubblico per trascorrere nella gioia la festività pasquale. 
Desidero manifestare la mia vicinanza a quanti sono stati colpiti da questo crimine vile e insensato, e invito a pregare il Signore per le numerose vittime e per i loro cari. Faccio appello alle Autorità civili e a tutte le componenti sociali di quella Nazione, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza e serenità alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili. 
Ripeto ancora una volta che la violenza e l’odio omicida conducono solamente al dolore e alla distruzione; il rispetto e la fraternità sono l’unica via per giungere alla pace. La Pasqua del Signore susciti in noi, in modo ancora più forte, la preghiera a Dio affinché si fermino le mani dei violenti, che seminano terrore e morte, e nel mondo possano regnare l’amore, la giustizia e la riconciliazione. 
 Papa Francesco, al Regina Coeli del 28 marzo

La lezione di speranza dal dramma dei nuovi martiri

I nuovi martiri ci invitano a guardare al Crocifisso per trovare rinnovata speranza a livello personale, ecclesiale e sociale. La loro vicenda infatti, come ogni testimonianza autentica, possiede un’imponente dimensione pubblica, culturale e sociale, che attende ancora di essere raccolta e adeguatamente valorizzata. Con la sua stessa esistenza il martire denuncia il culto della violenza che si è diffuso in ampie parti del Medio Oriente e di cui oggi si raccolgono i tragici frutti. Ma soprattutto smaschera la contro-testimonianza dell’uomo bomba.

Il jihadista che pensa di poter imporre la «sua verità» attraverso la sofferenza delle sue vittime è l’opposto del martire, è l’anti-martire. I martiri non sono andati a cercarsi la loro fine, ma nel momento della scelta non hanno avuto esitazioni: hanno creduto che il male non ha l’ultima parola. Ed è a questa certezza che noi ora abbiamo così bisogno d’attingere. Nel frastuono di commenti sui dolorosi fatti di Bruxelles, sono ancora queste umili voci a dirci la parola più vera.
Angelo Scola,  Arcivescovo di Milano 

sabato 26 marzo 2016

Cos'è questa Speranza che voi proclamate?

Ai nostri lettori e amici auguriamo buona e Santa Pasqua, 
riproponendo la lettera dei fratelli Maristi di Aleppo


La forza invincibile della compagnia di Gesù è la vittoria possibile oggi, in ogni circostanza.
"Oggi è la festa della nostra Speranza" 
( papa Francesco, omelia della veglia pasquale)
Christus vincit!

“Cristo risorto indica sentieri di speranza alla cara Siria, Paese dilaniato da un lungo conflitto, con il suo triste corteo di distruzione, morte, disprezzo del diritto umanitario e disfacimento della convivenza civile. Alla potenza del Signore risorto  affidiamo i colloqui in corso, affinché con la buona volontà e la collaborazione di tutti si possano raccogliere frutti di pace e avviare la costruzione di una società fraterna, rispettosa della dignità e dei diritti di ogni cittadino”. (Papa Francesco Urbi et Orbi Pasqua 2016)


Lettera da Aleppo n° 25
dai Maristi Blu,
13 marzo 2016


Fa bel tempo in questa domenica mattina di marzo, un cielo blu, un sole radioso che riscalda: il cessate il fuoco entrato in vigore da due settimane ha spinto la gente all'ottimismo .
Nei primi giorni esso è stato rispettato: il cinguettio degli uccelli al risveglio ha sostituito il rumore delle bombe. L' elettricità e l'acqua sono ritornate per due giorni, dopo un'interruzione totale di parecchi mesi. Gli abitanti di Aleppo hanno trascorso notti bianche a fare il bucato, farsi un bagno, a riempire i serbatoi di acqua per la paura che l'approvvigionamento di acqua e di elettricità sia solo temporaneo come già è successo più volte nel passato . Purtroppo la ripresa non è durata che pochi giorni. Poi i cecchini hanno ripreso il loro sporco lavoro uccidendo civili innocenti . Poi i colpi di mortaio hanno ricominciato a piovere su alcuni quartieri, il gruppo terrorista che tiene la parte est della città non essendo interessato alla tregua. L'approvvigionamento di acqua e di elettricità è stato di nuovo interrotto. Anche se dovrebbe essere ripristinato, gli aleppini sanno che il regime di razionamento ricomincerà, l'acqua verrà erogata un giorno alla settimana e l'elettricità due ore al giorno. Malgrado tutto, questa mattina, tutti hanno il sorriso sulle labbra e la speranza nel cuore.

In questi ultimi tempi, gli avvenimenti si sono susseguiti: l'esodo dei Siriani a centinaia di migliaia verso l'Europa che causa tensioni tra i paesi europei e tra gli abitanti di uno stesso paese; l'offensiva dell'armata siriana nel governatorato di Aleppo per liberare la nostra città assediata da tre anni e mezzo dal gruppo terrorista al Nusra; il cessate il fuoco proclamato, ma non sempre rispettato, in vigore da 15 giorni: esso riguarda lo Stato siriano e un centinaio di gruppi ribelli ma non i due principali considerati unanimemente come terroristi; il taglio dell'unica strada ( attaccata dai gruppi armati ) che collega Aleppo al resto del paese per la durata di otto giorni ha avuto come conseguenza l'interruzione dell'approvvigionamento della città dei prodotti essenziali, e ciò a pochi giorni dal triste quinto anniversario dell'inizio della guerra in Siria.

Questo è l'inizio della fine dell'incubo? Il cessate il fuoco è il preludio a una soluzione politica prossima? I paesi occidentali, sommersi dai milioni di rifugiati, hanno deciso di accelerare la soluzione politica per fermare il flusso migratorio? Ci lasceranno finalmente vivere di nuovo in pace tra noi, siriani, come l'abbiamo fatto per secoli? Bisogna essere ottimisti e sperare, o realisti e aspettare? Queste domande, per il momento senza risposte, i siriani in generale e gli aleppini in particolare se le pongono per tutto il giorno.

Nel frattempo, noi, i Maristi blu, continuiamo il nostro lavoro di solidarietà con le famiglie sfollate e/o senza risorse. Rami, uno dei nostri volontari, mi domandava l'altro giorno: “ perché voi insistete a dire che noi siamo un'associazione di solidarietà e non un organismo umanitario?” La risposta è ovvia. Per noi, Maristi blu, i beneficiari non sono dei numeri su degli elenchi; essi non sono esseri virtuali da sfamare, da accogliere e da curare; essi hanno un nome. Dietro ad ogni nome, c'è un volto, c'è una persona umana con il suo passato, spesso infelice o in lutto, con i suoi drammi, le sue sofferenze, i suoi sogni spezzati, il suo futuro ipotecato; una persona che ha anche dei desideri e dei progetti. Noi vogliamo stabilire con loro un rapporto che permetta ad essi di mantenere, nonostante tutto, la loro dignità, la loro umanità ed una certa speranza.

La famiglia di S.B. non è un numero. Ha ricevuto, un mese fa, una granata nel suo appartamento; Soubhi ha avuto una frattura del cranio e del braccio ed ha perduto il suo naso. Sua moglie Gina ha perduto gli occhi e le palpebre e tutte le ossa del viso: questo non è che un magma di carne bruciata; e il loro figlio è stato ucciso sul colpo.

La famiglia H.R. non è solamente una “beneficiaria”. Essa ha un passato doloroso, un presente troppo difficile e un avvenire incerto. La mamma Lina e i suoi nove figli, sfollati e sistemati in una carcassa di palazzo, dentro una camera senza muri e senza sanitari, sono delle persone umane. Il marito è scomparso da mesi. Per sopravvivere, i figli più grandi raccolgono la plastica e il cartone per venderli per il riciclaggio e i più piccoli raccolgono il pane dai bidoni della spazzatura per seccarlo e venderlo come alimento per il bestiame.

M.K., vedova, madre di cinque figli, due volte sfollata, il marito ucciso da un cecchino all'inizio della guerra, una delle sue due figlie morta un anno fa a seguito dell'esplosione di una granata, un figlio studente in medicina che cerca faticosamente di studiare nella cantina in cui abitano. M. o sua figlia vengono a piedi tutti i giorni a casa nostra (due ore per andata e ritorno ) per prendere un pasto caldo per la famiglia. Forse che M. è solo un numero sulla lista dei beneficiari del pasto di mezzogiorno? Non ha forse bisogno che la si guardi con amore, che la si ascolti con rispetto e che la si accompagni con discrezione?

Questi sono alcuni esempi, tra molti altri, dei drammi vissuti dalle famiglie sfollate e/o senza risorse che sono supportate dai Maristi blu.

I nostri diversi progetti continuano e si sviluppano

Abbiamo creato un nuovo “ Paniere” per 244 nuove famiglie che abbiamo accettato di prendere in carico su richiesta di un'associazione che non ha più i mezzi per proseguire la sua attività. In totale sono 800 famiglie sfollate che ricevono un aiuto mensile: un cesto alimentare sostanzioso, un cesto sanitario completo, e recentemente il costo per un abbonamento mensile a “1 AMPERE” presso i generatori privati che sono spuntati ovunque in città per supplire l'elettricità “ufficiale” che non è più fornita. Per Pasqua, ogni famiglia riceverà un buono per l'acquisto di un chilo di carne, genere diventato talmente costoso che le nostre famiglie non possono pagarlo.

I Maristi blu per l'alloggio degli sfollati” prosegue il suo aiuto per ospitare le famiglie in piccoli appartamenti: 150 famiglie sono già state soccorse, alcune da tre anni.
Vestiti, materassi, coperte, taniche di acqua e utensili da cucina sono forniti su richiesta quando c'è un bisogno. Un pasto caldo è distribuito tutti i mezzogiorno a 550 persone.

L'interruzione totale dell'approvvigionamento di acqua ci ha spinto a comprare un quarto furgone. Dotati di un serbatoio, di un piccolo generatore, di una pompa e un tubo, fanno il pieno del loro serbatoio di acqua alle centinaia di pozzi artesiani un po' ovunque in città e poi vanno a percorrere la città per riempire i serbatoi di 250 a 500 litri che abbiamo fornito alle nostre famiglie, Questo progetto, “Ho sete” è molto apprezzato dalle famiglie.

La disoccupazione, l'aumento vertiginoso del costo della vita e gli spostamenti fanno sì che la maggior parte degli aleppini non abbia più i mezzi per curarsi. Con il progetto medico dei Maristi blu aiutiamo le famiglie a comperare una ricetta, a pagare il costo delle radiografie o degli esami di laboratorio, a pagare le spese dell'ospedalizzazione per un trattamento o per una operazione chirurgica: un centinaio di cure mediche sono finanziate ogni mese da noi.

Il nostro programma “Civili feriti di guerra”, grazie al volontariato di medici e chirurghi e alla cooperazione delle suore di San Giuseppe dell'Apparizione, continua a curare gratis i civili feriti di guerra nell'ospedale Saint Louis.

Il nostro progetto “ Goccia di latte”, distribuisce ogni mese del latte in polvere a 2700 bambini da 1 a 10 anni e del latte per neonati a 275 bebè di meno di un anno che non sono allattati al seno dalle loro mamme. Presto inizieremo un nuovo progetto “I Maristi blu per l'eliminazione dell'analfabetismo”. Di fatto, avevamo constatato che gli adulti di molte famiglie sfollate non sapevano né leggere né scrivere, Questo progetto permetterà loro di sfruttare questo periodo di guerra, di disoccupazione, di vuoto, per il proprio sviluppo.
“Imparare a crescere” per i bambini da tre a sei anni; “ Voglio imparare” per i bambini da 6 a 13 anni e Skill School per gli adolescenti, proseguono il loro percorso con un numero sempre maggiore di richieste di iscrizione da parte dei genitori o dei giovani.

Quanto al nostro centro di formazione, il MIT,  i suoi seminari sono molto apprezzati. Purtroppo non possiamo accettare che 20 candidati su 50- 60 richieste di iscrizione per ogni workshop. Ne facciamo due al mese, della durata di tre giorni, destinati a giovani adulti da venti a quarant'anni per consentire loro di acquisire delle conoscenze e su vari argomenti, come, recentemente, “ come realizzare un PowerPoint ... Come utilizzare il programma Excel ... Come valutare il rendimento di un progetto” , eccetera.

La nostra equipe di direzione, i nostri 50 volontari, i nostri dipendenti, i medici, in breve tutti i Maristi blu lavorano alacremente perché tutti questi progetti siano pensati, pianificati, guidati ed eseguiti nel miglior modo possibile: in una maniera Marista. Vale a dire: conoscere “ i beneficiari”, trattarli sempre con rispetto e amore, ascoltarli nel bisogno ed essere per loro una fonte di speranza. Noi vi dobbiamo molto, cari amici, che ci sostenete con i vostri messaggi di solidarietà, le vostre preghiere e le vostre donazioni.

Presto festeggeremo la Pasqua, la festa della resurrezione, la festa della Speranza. Rami, ancora lui, mi ha interrogato dicendomi: che cos'è questa speranza che voi proclamate mentre noi viviamo da cinque anni nel buio più completo? Gli ho risposto: per noi, i Maristi blu,
“ Sperare è rimanere attaccato quando tutto trema
è accettare il rischio quando tutto è consegnato.
È proporre una presenza quando tutto è non-senso.
Sperare è rimanere abitato dall'amore,
nutrito dalla tenerezza,
animato dalla pace.
Sperare è andare avanti quando tutto sembra bloccato
quando tutto sembra finito
quando tutto è condannato.
È vivere al limite, alla frontiera, all'estremo
di una scelta essenziale:
“ Non temere niente,
Io ti porto nel palmo della mia mano
Io faccio di te il mio amico”.

Sperare è dire Magnificat
Tu sei nella mia vita
e io sono nella tua
un eterno poema di Amore.
È la Speranza che ci aiuta a superarci nel dono e nella dedizione, ad amare di più di quanto potessimo immaginare, a credere con tutto il nostro cuore e non solamente con tutta la nostra ragione.

La Speranza vuol dire che Gesù che si è incarnato e morto sulla croce per noi, è risuscitato, ed Egli vive in noi.

Dopo la sua resurrezione, Gesù mandò a dire ai suoi discepoli che lo attendessero in Galilea. I discepoli erano tristi e disperati perché Gesù era morto. Essi avevano perduto ogni speranza. Il loro appuntamento in Galilea, con Gesù resuscitato, ha dato loro la Speranza. Hanno saputo che dopo la morte c'è la resurrezione, e dopo le tenebre ci sarà la luce”.

Buona Pasqua!
Nabil Antaki
per i Maristi Blu

E' possibile sostenere uno dei progetti dei Maristi Blu di Aleppo inviando il contributo a  AIULAS-Aiutiamo la Siria :  http://www.aiulas.org/i-nostri-progetti-1/gasolio-per-aleppo/

venerdì 25 marzo 2016

Siria: «È come un Calvario in attesa di Pasqua»

Monsignor Vasil'di ritorno dalla Siria : "Una sofferenza che però porta in sé speranza della risurrezione"

Vescovi Cattolici di Siria

Terrasanta.net

di Carlo Giorgi | 23 marzo 2016

«Pochi sanno che tre delle quattro suore di Madre Teresa trucidate in Yemen, avevano svolto un lungo 
servizio in Siria. A Damasco ho incontrato le loro consorelle e ricordo bene le loro parole. Mi hanno ricordato il loro impegno per i siriani nonostante le difficoltà e, anzi, contro ogni speranza…». 
L’arcivescovo Cyril Vasil’, segretario della Congregazione per le Chiese orientali, è appena tornato dalla Siria dove si è recato per incontrare, prima della Pasqua, i cattolici locali. 
Il 17 marzo ha partecipato all’Assemblea dei vescovi cattolici di Siria, nella città costiera di Tartus. Nei giorni precedenti però si è recato, grazie a una scorta militare, a Damasco, nelle città di Saydnaya e Yabrud; riuscendo a visitare anche il monastero di Mar Musa, del cui fondatore, padre Paolo Dall’Oglio, rapito dai fondamentalisti nel 2013, non si hanno purtroppo ancora notizie.
«Il Papa parla sempre de “la mia amata Siria” e anche il prefetto della Congregazione delle Chiese orientali, il cardinal Leonardo Sandri, è sempre in contatto con clero e vescovi del posto – spiega mons. Vasil’ –. Così il mio viaggio è stato solo la conferma di questa attenzione della Santa Sede per i cristiani siriani.
Oltre ai vescovi, ho potuto incontrare sacerdoti, religiosi e laici. Ho trovato molto interessante poter parlare coi sacerdoti dei problemi pastorali in questa situazione di guerra: ad esempio, i pastori della diocesi di Bosra e Horan, a sud di Damasco, guidano piccole parrocchie di una zona abbastanza povera. Molti loro fedeli per via della guerra sono andati all’estero o si sono rifugiati nelle grandi città. Questo li pone in una situazione del tutto nuova».
Qual è l’atteggiamento dei cristiani oggi in Siria? Nella comunità cristiana convivono due desideri contrastanti. Da una parte c’è il desiderio di rimanere e continuare a vivere in patria nel modo più normale possibile. Dall’altra non si può negare che c’è una tendenza allo scoraggiamento. Si fatica a trovare una prospettiva per il futuro, non solo a causa delle persecuzioni dirette, ma anche per una situazione di tensione nei confronti dei cristiani che perdura da molto tempo. Così i cristiani sono portati a emigrare. Si tratta di due tendenze presenti in tutte le comunità parrocchiali, diocesane e nelle famiglie stesse… Spesso gli anziani preferiscono rimanere, ma al tempo stesso desiderano un futuro per i loro figli. Questo provoca grande sofferenza.
I cristiani siriani vedono la convivenza con i musulmani ancora possibile? Ci sperano ancora perché nel recente passato non hanno mai avuto difficoltà di convivenza con i musulmani; anzi, la società siriana è stata contrassegnata da una fraterna e pacifica convivenza. Adesso una radicalizzazione del fondamentalismo islamico, spesso di radice straniera, ferisce questo tessuto. L’equilibrio di un tempo è danneggiato e purtroppo è difficile dire cosa avverrà in futuro.
Che impressione generale del Paese ha riportato? Gli effetti della tregua in atto si vedono? Ero stato in Siria anche un anno fa e ricordo che sopra Damasco sentivo continue esplosioni, mentre in cielo sfrecciavano aerei militari. Questa volta sono stato in zone sotto il controllo del governo centrale e tutto mi è sembrato sicuro e pacifico. Anche per la tregua, che sembra reggere, non ho visto alcun tipo di ostilità. La vita nelle grandi città sembra normale, se non fosse per i continui check-point della polizia e dell’esercito. Certamente la situazione non è così nelle zone in cui il conflitto è vivo. Non ho potuto verificare di persona, ma la testimonianza delle persone che vengono da zone periferiche conferma che la situazione è molto precaria sia per aspetti umanitari come cibo, acqua e corrente elettrica, sia per il pericolo immediato di essere feriti o rapiti anche dalla criminalità comune.
Mar Musa, il monastero di padre Paolo Dall’Oglio, è ancora abitato? 
Sì. Questa volta ho potuto visitare anche fisicamente il monastero di Mar Musa, dove mi ero recato diverse volte anche prima della guerra. I monaci e le monache sono ancora presenti e svolgono la loro attività nella vicina cittadina di Nebeq. Ho potuto incontrarli assieme agli altri religiosi siriani.
Via Crucis a Homs
I cattolici siriani quest’anno riusciranno a celebrare la Pasqua? 
Nelle grandi città, dove c’è libertà di culto e tranquillità, spero che il triduo si riesca a celebrare normalmente. Ricorderò sempre una frase che mi disse lo scorso anno il parroco della cattedrale siro-cattolica di Homs. Erano appena finiti i combattimenti e si cercava un luogo in città dove fare la via crucis. “Dove farla? Un luogo vale l’altro - diceva il parroco - tutto qui è un calvario”. All’epoca era tutto segnato da quella sofferenza che ricorderemo in questi giorni.
Una sofferenza che però porta in sé speranza della risurrezione. Una risurrezione che vogliamo per la Siria, per l’intera nazione e per i cristiani in modo particolare.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=8229&wi_codseq=%20%20%20%20%20%20&language=it



Fra Ibrahim da Aleppo: La Pasqua è pace e misericordia per una comunità ferita dalla guerra

AsiaNews, 25 marzo 2016

La comunità cristiana di Aleppo si avvicina alla Pasqua “preparando le liturgie”, abbellendo le chiese “con fiori e addobbi preparati dai giovani; stiamo cercando di coinvolgere tutti i fedeli, soprattutto quanti hanno sofferto, persone che hanno avuto dei morti, famiglie spezzate che abbiamo cercato di curare dal punto di vista materiale, psicologico e spirituale”. È una festa all’insegna della pace, della misericordia e della riconciliazione quella che si apprestano a vivere i cristiani di Aleppo, città martoriata da cinque anni di sanguinoso conflitto.
Come racconta ad AsiaNews p. Ibrahim Alsabagh, 44enne francescano, guardiano e parroco della parrocchia latina di Aleppo, la “fragile tregua” nel conflitto siriano, che “funziona in parte”, ha permesso alla gente “di respirare, infondendo una nuova speranza”. Dopo mesi è tornata l’elettricità e anche sul fronte dell’acqua la situazione è migliorata, e questo ha portato sollievo fra gli abitanti.
Nel periodo di Quaresima e nella Settimana Santa la parrocchia ha coinvolto “bambini e giovani” nell’organizzazione delle celebrazioni: “Ieri hanno preparato l'adorazione - racconta p. Ibrahim - e i più piccoli hanno seguito con attenzione il gesto della lavanda dei piedi fatta dal vescovo. Un rito che insegna loro il senso dell’autorità e il valore della responsabilità”. Sempre ieri si è svolta una processione, con i bambini “contentissimi” nel “portare le candele”. Un gesto che hanno compiuto anche “in occasione della festa delle Palme. Oggi celebreremo la Via Crucis - aggiunge - mentre domani ci saranno i battesimi, per far sentire anche i bambini partecipi delle iniziative della comunità”. 
Per rendere ancora più gioiosa la festa di giovani e piccoli, fra quanti hanno sofferto di più per la guerra, la parrocchia ha deciso di distribuire dolci e alimenti legati alla festa: “Due settimane fa - sottolinea il sacerdote - abbiamo realizzato che nelle case non ci sono cioccolatini, uova, carne. Per questo abbiamo organizzato una piccola festa nella sala parrocchiale, in cui verrà riservato un angolo ai bambini per dipingere le uova e preparare gli addobbi, sotto la guida attenta degli scout”. 
Nell’anno della Misericordia, anche la comunità di Aleppo ha voluto insistere sull’importanza del sacramento della riconciliazione: “I fedeli - spiega p. Ibrahim - si sentono chiamati a tornare ad attingere alla fonte della misericordia, accostarsi alla lavanda dei piedi, l’adorazione e le confessioni. A ogni funzione le chiese sono gremite di fedeli”. 
Certo, prosegue, i fedeli “aspettano tempi migliori” ma “sono pieni di gratitudine” per quanto è stato fatto. “La gente da sola non riesce a sostenersi - prosegue - perché manca il lavoro, i prezzi sono alti, non sempre vi è l’elettricità. Il sostegno che ha dato la Chiesa in questi mesi è immenso e loro ce ne sono grati, lo vedono come segno e gesto di misericordia. Fra le molte iniziative vi sono la riparazione di case danneggiate dalla guerra, il pagamento di debiti bancari, la distribuzione di cibo, cisterne di acqua, etc… tutte cose rese possibili grazie all’impegno della Chiesa e il contributo di molti benefattori”. 
In queste settimane il vicariato latino di Aleppo ha insistito sul fatto che è necessario coinvolgere i fedeli nella preparazione delle feste, per far comprendere il valore del sacrificio, della partecipazione. Per questo durante la Quaresima i parrocchiani “hanno visitato anziani e malati, messo da parte piccoli quantitativi di denaro e altri beni, per offrirli ai più poveri”, all’insegna dello slogan: “C’è sempre un piatto, un oggetto o un bene in più da donare. Tutti, anche i poveri, devono essere partecipi e donare a chi è ancora più povero”. 
Lo scorso 21 marzo si è celebrata la festa della mamma. Per l’occasione i giovani hanno distribuito più di 200 pacchi di dolci alle madri del quartiere. Mamme che vivono da sole perché i figli sono scappati e il marito non c’è, e poi le vedove, alcune delle quali giovani e con figli. Una distribuzione che ha coinvolto tutte le mamme, senza distinzioni fra cristiane e musulmane perché “la mamma è di tutti” afferma il sacerdote. 
Domenica, infine, è prevista la solenne celebrazione presieduta dal vicario apostolico dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, alla quale parteciperà l’intera comunità, cui seguirà il tradizionale scambio di auguri. Il giorno successivo, dopo alcuni anni in cui l’iniziativa era “sospesa per via della guerra”, le classi del catechismo e le loro famiglie (600 persone) andranno al Collegio di Terra Santa, dove vi è “un grande spiazzo all’aperto in cui si celebrerà la messa; poi un pranzo al sacco in comune”. La guerra, la crisi, hanno “distrutto molte famiglie e persone”, conclude p. Ibrahim, ma al contempo “hanno fatto tornare tante famiglie al Padre, alla Chiesa, al valore della misericordia. Ha risvegliato in loro qualcosa di dimenticato e abbandonato, per questo godiamo di questa gioia e siamo contenti di vivere la comunione e la testimonianza”