Traduci

mercoledì 17 febbraio 2016

AIUTATECI A RESTARE. Concluso il Progetto 'Fabbrica di Cioccolato'

la "Fabbrica di cioccolato"
.... Poi Fiorenza ha detto che l’Isis non può uccidere noi perché noi amiamo la vita, loro amano la morte, ma se noi amiamo la vita allora vogliamo viverla fino in fondo.”
“ Mi ha colpito quando Fiorenza ha raccontato che in Siria l’Isis sta distruggendo tutte le opere sante e per questo i cristiani devono fuggire. Ma i cristiani scappano anche perché l’Isis vuole far convertire le persone dalla vita alla morte e distruggere tutte le loro case. I cristiani riusciranno a respingere l’Isis così: credendo in Dio, pregando e cercando di convertire la morte alla vita.”


Questi sono due brani tratti dai testi scritti dagli alunni di una scuola di Lecco che ha invitato Fiorenza a parlare del suo viaggio in Siria e ha poi promosso una raccolta di fondi, in occasione delle feste natalizie, per questo scopo.

All'appello per sostenere il progetto di micro-credito ideato a partire dall'incontro con l'ingegner Joni Ghezzi , cooperatore salesiano aleppino oggi rifugiato a Kafroun (nella Valle dei Cristiani), hanno risposto moltissimi privati, Parrocchie, gruppi e Associazioni: nel giro di due mesi siamo riusciti a raccogliere 9.098 euro  tramite il supporto di AIULAS-Aiutiamo la Siria e la campagna promossa da Piccole Note attraverso San Callisto ONLUS.  

Abbiamo così potuto rispondere pienamente ai bisogni indicati da Joni, che aveva ricevuto un primo acconto con cui ha fatto le spese iniziali ed ora potrà completare gli acquisti necessari ad avviare il lavoro.





Joni il 7 febbraio ci scrive :
Grazie per la vostra generosità per questa piccola nostra intrapresa. Dio vi dia la salute, pace e gioia. Per l'avanzamento del progetto ho avuto qualche difficoltà nel garantire il reperimento del cioccolato e trovare i materiali dalla fabbrica, quindi mi dispiace per il ritardo, però oggi ho ricevuto la prima quantità di cioccolato. Ho comprato tutti gli stampi per cioccolatini di cui avremo bisogno, sono 163 in varie forme.  Ho anche ho comprato un primo frigorifero.  Ecco i costi: 
163 Kg di cioccolato: 1073 €  
          165 modelli : 1304 euro
          Frigo: 488 €   
Dopo queste prime spese, comprerò: .un secondo frigo.carta per imballaggio cioccolatini.attrezzature per il lavoro.generatore di energia elettrica, necessario a causa della carenza e dei frequenti tagli di corrente elettrica fornita dallo Stato.Inoltre l'affitto di un paio di locali per il lavoro.
State sicuri che i preparativi vanno avanti bene, nonostante le difficoltà con i materiali e l'elettricità, ed ho già fatto un buon cioccolato. 
Quindi grazie e pregate sempre per la Siria!




A tutti voi amici sostenitori, grazie di cuore!
Che il Signore nella sua generosità vi renda il centuplo e che questo piccolo seme di speranza sia l'inizio di un futuro migliore per la nostra coraggiosa 'amata Siria'

da Fiorenza e staff Ora pro Siria



domenica 14 febbraio 2016

APPELLO PER ALEPPO dal Vicario Apostolico mons Abou Khazen

scuola dei Gesuiti
missili sul quartiere di Sulaymaniyya



il martire cristiano Elias Abiad, uno dei 4

martire Vikene Voskergian































          Cari amici : Pace e Bene  
Vi scrivo da Aleppo dove siamo da qualche giorno sotto continui bombardamenti  sui civili causando morti, feriti e distruzione, solo la notte scorsa abbiamo avuto  nei nostri quartieri 4 quattro morti e più di quindici feriti, oltre le case e gli appartamenti danneggiati! 
Questi bombardamenti vengono effettuati dai gruppi chiamati 'opposizione moderata' e come tali difesi , protetti ed armati ma in realta'  non differiscono dagli altri JIHADISTI se non col nome solamente. 
Sembra che abbiano avuto il fuoco verde per intensificare i loro bombardamenti sui civili. Forso vogliono fare fallire i negoziati di pace?! O fare intervenire delle forze  regionali ed impedire l' esercito regolare di avanzare e liberare la regione dal terrorismo e dai Jihadisti?! 
Facciamo appello di fare cessare questi bombardamenti ed incoraggiare le parti a sedere sul tavolo delle trattative e che i siriani risolvano col dialogo i loro problemi tra di loro.  
Il Signore ci dia la sua Pace. 
Grazie e saluti.  
+Georges-Abou-Khazen Vicario Apostolico di Aleppo 

(ricevuto via mail, domenica 14 febbraio alle ore 17,50)

venerdì 12 febbraio 2016

In attesa del grande incontro tra Francesco e Kirill: il sogno del 'cessate il fuoco' e ... "tra la popolazione prevale apprezzamento per il ruolo giocato dai russi”.

Il Vescovo di Aleppo: l'incontro tra Francesco e Kirill è anche il frutto delle nostre sofferenze. E questo ci consola


Agenzia Fides 12/2/2016

“I cristiani di qui si sono accorti che le loro sofferenze non cadono nel nulla: l'incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill lo percepiscono come il frutto della croce che stanno vivendo. La sofferenza di tutti i cristiani del Medio Oriente porta il frutto dell'unità, e ne potrà portare anche altri. Questo per noi è una grande consolazione e ci aiuta a andare avanti, anche se dobbiamo ancora soffrire”. Così il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, descrive all'Agenzia Fides i sentimenti che registra in questi giorni tra i cristiani della sua città, mentre le notizie sull'incontro a Cuba tra il Vescovo di Roma e il Primate della Chiesa ortodossa russa si mescolano a quelle su un possibile, imminente cessate il fuoco nei teatri di guerra siriani. 
“Qualche giorno fa” aggiunge il Vescovo francescano “un alto rappresentante del Patriarcato di Mosca ha detto esplicitamente che a rendere urgente l'incontro di Cuba è stata la comune sollecitudine per le sofferenze dei fratelli cristiani del Medio Oriente. Di questo abbiamo parlato anche nelle omelie e nei nostri incontri: i fedeli ritrovano coraggio, quando si accorgono che le loro sofferenze hanno a che vedere in maniera misteriosa con l'unità tra i fratelli separati, dove Cristo ci abbraccia e ci consola tutti”.
Il Vicario apostolico di Aleppo riporta anche le attese suscitate nella popolazione dalle notizie su un possibile, imminente cessate il fuoco imposto alle parti coinvolte nel conflitto siriano: “Per noi” dice a Fides il Vescovo Abou Khazen “sarebbe un sogno. Rimane l'incognita dei gruppi jihadisti. Sappiamo che per buona parte sono stranieri: chi li comanda? A chi rispondono? Aderiranno alla tregua?”. 
Il Vicario apostolico fornisce anche notizie di prima mano sulla situazione di Aleppo: “L'esercito regolare avanza con l'aiuto dei russi, e nei quartieri liberati ricomincia a funzionare l'acqua e la luce, riaprono le scuole. In molte situazioni si offre la possibilità di riconciliazione ai siriani che si erano legati coi gruppi di ribelli. Sono le milizie combattenti controllate da stranieri che impongono ancora le resistenza e la guerra. 
E tra la popolazione prevale apprezzamento per il ruolo giocato dai russi”.



Patriarca Laham: L'accordo sulla   Siria un passo positivo, 

ora uniti contro lo Stato islamico


Gregorio III auspica che l’accordo “possa dare benefici al Paese e al suo popolo”. Egli esorta a mantenere in vita l’alleanza contro Daesh e gli altri gruppi jihadisti. Ora devono mediare “il governo siriano e la vera opposizione interna”. Solo i combattenti mercenari stranieri non vogliono la pace. Dall’incontro fra Francesco e Kirill la speranza di una Pasqua unita e fissa. 
Asianews, 12-02.2016
Una notizia “positiva”, che “tutti noi speriamo possa dare benefici al Paese e al suo popolo”. La decisione di cessare il fuoco “era già contenuta nella risoluzione Onu 2254 del dicembre scorso”, poi vi sono stati “i dialoghi, subito interrotti” di Ginevra; ora “speriamo che mettano in pratica questi propositi e lavorino per la pace”. È “felicissimo” il patriarca melchita Gregorio III Laham, che conferma “l’importanza” dell’accordo per la “fine delle ostilità” in Siria entro una settimana raggiunto nella notte da Usa e Russia, insieme ad altre 15 nazioni. Alla cessazione delle operazioni militari decisa dal Gruppo di sostegno internazionale per la Siria (Issg) sono escluse le battaglie contro i gruppi jihadisti di al Nusra e dello Stato islamico.  
....     “Per raggiungere una vera pace - prosegue Gregorio III - è necessario che si incontrino il governo siriano e la vera opposizione interna. In realtà l’opposizione è fatta di molti gruppi e schieramenti, almeno 28, ma non dobbiamo prendere in considerazione in questo panorama variegato i gruppi terroristi. Essi non devono essere parte delle discussioni”. 
L’altro aspetto “essenziale” per il patriarca melchita è che “gli aiuti arrivino a tutta la popolazione che versa in stato di bisogno”. Tuttavia, aggiunge, “i militanti in molti casi non fanno arrivare gli aiuti, ma confiscano tutto quello che arriva. Questo è successo per molto tempo a Yarmouk, dove lo Stato voleva mandare aiuti, che venivano confiscati dai miliziani”. 
Gregorio III conferma quanti affermato nei giorni scorsi dal vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, secondo cui i siriani non vogliono più la guerra, ma “sono gli stranieri a fomentarla”. In Siria operano bande di mercenari, jihadisti, estremisti e criminali comuni che trovano nel conflitto una fonte di sostentamento. “Il Paese è diventato un mercato - spiega il patriarca melchita - e i combattenti agiscono per denaro, guadagno materiale, e questa è una delle ragioni della presenza numerosa di stranieri”. 
.....

mercoledì 10 febbraio 2016

Le giravolte della Merkel e la guerra siriana e irachena


Piccole Note, 9 febbraio '16

In un articolo di oggi, la Repubblica riporta la notizia, ripresa da un’agenzia di stampa curda, che in questi giorni in Iraq l’Isis ha giustiziato trecento innocenti. «Hanno sentito avvicinarsi l’attacco delle truppe governative e i bombardamenti della coalizione a guida Usa e hanno reagito nel modo più sanguinoso», ha commentato Giampaolo Cadalanu nel suo scritto.
Riportiamo questa notizia come corollario alla nota riguardante l’indignazione di Angela Merkel riguardo i raid russi in Siria. Un po’ di indignazione per quanto fa l’Isis alle popolazioni che ha schiavizzato sarebbe quantomeno equa… ma tant’é, ne abbiamo già accennato in una Nota.

La vendetta  dell’Isis colpisce anche ad Aleppo, dove i miliziani del terrore stanno bombardando in maniera più assidua i quartieri sotto il controllo del governo, come riporta in una sua commovente missiva padre Ibrahim Alsabaghalla quale rimandiamo (inutile aggiungere parole).

Si può notare che anche in Iraq, come spiega l’articolo di Repubblica, si bombarda, e anche qui la gente fugge dalle bombe, ma in questo Paese le bombe sono della Nato e forse per questo non fanno indignare nessuno.
  Al momento l’ondata di profughi iracheni è meno consistente (e inesistente sui media per i quali sembrano importanti solo i profughi siriani), anche perché i combattimenti vanno a ralenti, ché sembra che detta coalizione non abbia alcuna fretta di liberare il Paese dal cancro del terrorismo (si attende l’evoluzione della vicenda siriana, il vero nodo della vicenda).
  Si fa notare, inoltre, che anche tra le milizie che imperversano in Iraq, tantissimi, molto più che in Siria dove incarognisce la legione straniera tirata su da turchi e sauditi, sono iracheni (ex componenti del partito Baath di Saddam).
Solo che in Siria per questo motivo vengono chiamati ribelli, in Iraq, a quanto pare, ci sono solo terroristi… bizzarrie del linguaggio…
Invece la categoria dei ribelli siriani è alquanto elastica. Abbraccia gruppi di jihadisti provenienti da mezzo mondo. E molto aperta, dal momento che miliziani di una formazione passano all’altra con facilità. Se serve propalare il terrore diventano dell’Isis, quando devono trattare passano a milizie più moderate. Come frequenti sono i passaggi di armi dall’una all’altra, come dimostrano i moderni equipaggiamenti che hanno in dotazione tutti indistintamente.
  I “ribelli” siriani in realtà sono davvero pochini, basta considerare ad esempio che, per ammissione degli stessi Stati Uniti d’America, l’ultima leva è andata malino: dei 1500 ribelli siriani previsti ne hanno tirati su solo 54, quasi tutti poi uccisi nella loro prima missione dai miliziani di al Nusra, formazione legata ad al Qaeda e, dicono anche i media mainstream quando se ne ricordano, ad Ankara.
Già, Ankara. Da tempo martella senza tregua i villaggi curdi in Siria e Iraq. Bombardamenti indiscriminati, che la Turchia propaganda come eliminazione di pericolosi terroristi. Domenica scorsa, ad esempio, hanno bombardato il villaggio di Cizre, uccidendo sessanta civili, come denuncia il blog dell’Ufficio informazioni del Kurdistan in Italia (secondo loro anche usando armi chimiche, come dimostrerebbero le foto pubblicate; chi ha cuore forte, può vedere sul loro sito).
Solo uno dei tanti bombardamenti sui civili ad opera di Ankara. Tanto che monsignor Rabban al-Qas, vescovo caldeo di Amadiya nel nord Kurdistan, ha commentato alcuni di tali raid con queste parole: «Bisogna avere il coraggio di dirlo: questo è terrorismo bello e buono!».

Ma al di là dell’indignazione della Merkel, che paga così il suo tributo al Califfo di Ankara per trattenere nei suoi confini i milioni di profughi destinati al Vecchio Continente, val la pena accennare alle incognite future.
La vicenda dei profughi, che resta una tragedia, viene usata come una clava contro i russi, nel tentativo di frenarne la campagna militare, la quale, con Aleppo ormai  praticamente accerchiata, tra poco sarà a un punto di svolta. Tante però le incognite, non solo quelle legate alle mene di sauditi e turchi per entrare direttamente in guerra (con possibile allargamento del conflitto alla Nato).
Anzitutto il problema dei profughi, che andrà aumentando con l’avanzata di russi e siriani. Più volte  gli americani e la Ue hanno chiesto alla Turchia di serrare le frontiere per chiudere i rifornimenti all’Isis.  Richiesta non accolta: troppo ampio il confine. Invece in questi giorni le ha chiuse ai profughi in fuga dai villaggi vicini ad Aleppo. E ha annunciato che creerà un campo di accoglienza alla frontiera, un modo come un altro per alimentare l’emergenza a fini anti-russi e mettere un piede in terra siriana.

  C’è il rischio che usi di questo stratagemma per creare un corridoio “umanitario” in territorio siriano per portare aiuto agli jihadisti asserragliati dentro Aleppo. Con rischi di escalation. 
D’altra parte Damasco e i suoi alleati hanno fretta di chiudere la partita, per tornare a sedersi sul tavolo dei negoziati con Aleppo ormai liberata (o conquistata secondo il punto di vista del mainstream, che annovera gli jihadisti tra i campioni della democrazia). Una fretta, però, che non giova a condurre una campagna militare cittadina, dove l’alta densità abitativa rende i civili più a rischio che altrove.
   Gli jihadisti potrebbero profittarne per tentare di aumentare al massimo le vittime civili, usando anche delle consuete strategie stragiste atte a incolpare gli avversari. Per mettere in seria difficoltà il nemico e macchiare di orrori indicibili, e per sempre, questa campagna militare.

Servirebbe una trattativa seria. Ma l’indignazione unilaterale della Merkel rischia di complicarla. Di fatto è una presa di posizione a favore di quanti hanno armato e finanziato le Agenzie del terrore, turchi e sauditi in testa, che, forti di tali appoggi, non hanno alcuna intenzione di abbandonare i propri pupilli (cosa che metterebbe subito fine al conflitto).
Non resta che sperare nella consueta ambiguità dell’Angela teutonica, usa a giravolte politiche e diplomatiche (come successo per i rifugiati, ai quali prima ha spalancato le porte e ora cerca finestre dalle quali buttarli di sotto).
http://piccolenote.ilgiornale.it/27094/le-giravolte-della-merkel-e-la-guerra-siriana-e-irachena

Vicario apostolico di Aleppo: I siriani non vogliono più la guerra, sono gli stranieri a fomentarla


AsiaNews, 10 febbraio '16

L’esercito regolare siriano, con la collaborazione dei russi, "ha iniziato la campagna di liberazione della regione di Aleppo. Fra i civili in fuga, vi sono anche combattenti del fronte dei ribelli con le loro famiglie, la gente ha paura. Ma l’obiettivo dei militari è ripulire il territorio e far rientrare i civili; e in alcune aree questo è già successo”. È quanto riferisce ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, raccontando gli ultimi sviluppi della guerra nella “capitale del nord” della Siria. “L’obiettivo è liberare la zona dai miliziani estremisti - spiega il prelato - e permettere alle persone di rientrare nelle loro case. In alcune aree hanno riaperto le scuole ed è tornata parte della fornitura di luce e acqua”. 
Secondo fonti Onu l’assedio dell’esercito ad Aleppo, un tempo hub commerciale e industriale della Siria, potrebbe privare fino a 300mila persone degli aiuti. Dal 2012 la città è divisa in due, con la zona ovest sotto il controllo di Damasco e il settore orientale ai ribelli. Le Nazioni Unite chiedono alla Turchia di aprire i confini e consentire l’ingresso di 30mila rifugiati, accampati alla frontiera. 
In una situazione di tensione, mons. Georges Abou Khazen intravede spiragli positivi: “Molti dei combattenti locali, dei guerriglieri siriani, chiedono di mettere fine alla guerra, vogliono anch’essi la riconciliazione e il dialogo con esercito e governo. Dove invece - aggiunge - vi è una prevalenza di miliziani stranieri e jihadisti, legati a potenze straniere della regione e fuori dalla regione, vincono le armi. È un dato di fatto che i locali vogliano trovare una via per il dialogo, cercando di evitare altre battaglie sanguinose per città e villaggi”. 
.....
http://www.asianews.it/notizie-it/Vicario-di-Aleppo:-I-siriani-non-vogliono-pi%C3%B9-la-guerra,-sono-gli-stranieri-a-fomentarla-36646.html

martedì 9 febbraio 2016

Mercoledì delle ceneri, 10 febbraio, giornata mondiale di preghiera e digiuno per la Pace in Siria e in Iraq

«Pregate e digiunate affinché il Signore abbia misericordia di noi».



Aiuto alla Chiesa che Soffre promuove una giornata mondiale di preghiera e digiuno per la Pace in Siria e in Iraq, invitando tutti i cristiani del mondo ad aderire all’iniziativa che porta il titolo: 
«Porterai la loro Croce per un giorno? Nel mercoledì delle ceneri prega e digiuna per Iraq e Siria»
È possibile prendere parte alla campagna anche attraverso i social network, utilizzando gli hashtag #fastandpray #carrythecross e #AshWednesday.
imposizione delle Ceneri lunedì 8- 02-2016 ad Aleppo


«Da cinque anni ormai continuiamo a camminare nel deserto – scrive il patriarca Gregorios III – ed il vostro costante aiuto è stato per noi come la manna che il Signore ha fatto scendere dal cielo per gli Israeliti». Il patriarca pone l’accento sulla drammatica situazione in cui versano la sua comunità e l’intero popolo siriano. «Assistiamo alle atroci sofferenze dei bambini, all’agonia dei loro genitori e siamo costantemente circondati dall’odio e dalla morte. L’unico nostro desiderio è di tornare a vivere in pace».
mercolediceneriIl prelato siriano chiede a tutti i cristiani del mondo di pregare e digiunare per aiutare i loro fratelli nella fede mediorientali. «In questa Quaresima, portate la nostra Croce come Simone di Cirene ha fatto con Gesù».
Un appello cui si unisce il patriarca Sako, denunciando la sofferenza della sua comunità. «Chi poteva lasciare l’Iraq lo ha già fatto. Milioni di bambini nei campi profughi hanno fame, ma hanno soprattutto sete di futuro: vogliono una scuola ed una casa. Avete fatto tanto per noi, ora vi chiedo: pregate e digiunate perché possiamo rimanere nella nostra amata patria e perché chi l’ha già lasciata possa farvi ritorno. Così che in questa Pasqua, nella terra di Abramo, i cristiani possano finalmente, risorgere dalle ceneri».

Signore e Sovrano della mia vita, non darmi uno spirito di ozio, di curiosità, di superbia e di loquacità.
Concedi invece al tuo servo uno spirito di saggezza, di umiltà, di pazienza e di amore.
Sì, Signore e Sovrano, dammi di vedere le mie colpe e di non giudicare il mio fratello; poiché tu sei benedetto nei secoli dei secoli. Amin.
O Dio, sii propizio a me peccatore e abbi pietà di me.
Sì, Signore e Sovrano, dammi di vedere le mie colpe e di non giudicare il mio fratello; poiché tu sei benedetto nei secoli dei secoli. Amin.

domenica 7 febbraio 2016

Angelus papa Francesco domenica 7 febbraio: " Ora tutti insieme preghiamo a Maria per l'amata Siria"




"Con viva preoccupazione seguo la drammatica sorte delle popolazioni civili coinvolte nei violenti combattimenti nell'amata Siria e costrette ad abbandonare tutto per sfuggire agli orrori della guerra. Auspico che, con generosa solidarietà, si presti l’aiuto necessario per assicurare loro sopravvivenza e dignità, mentre faccio appello alla Comunità internazionale affinché non risparmi alcuno sforzo per portare con urgenza al tavolo del negoziato le parti in causa. 
Solo una soluzione politica del conflitto sarà capace di garantire un futuro di riconciliazione e di pace a quel caro e martoriato Paese, per il quale vi invito a pregare molto, anche adesso.
 Ora tutti insieme preghiamo a Maria per l'amata Siria (Ave Maria)."


 











Mentre l'esercito siriano avanza e libera  territori ai sobborghi  di Aleppo per raggiungere i confini turchi, i distretti cristiani di Aleppo ricevono una pioggia di proiettili lanciati dalle bande armate che fanno grande distruzione e vittime innocenti.



giovedì 4 febbraio 2016

#syriaconference e la risposta alla speranza del popolo siriano : la voce delle Monache Trappiste in Siria

La guerra in Siria e la tragedia delle sanzioni


Piccole Note, 3  febbraio 2016

Da Tibhirine ad Azeir. Questo l’itinerario spirituale che ha portato alcune suore trappiste in Siria, come lo racconta suor Marta, la superiora del monastero Vergine Fonte della Pace di Azeir. Ce lo racconta in una sua breve visita romana, durante la quale la incontriamo – al Santuario delle Tre Fontane – per avere notizie su quella tragedia siriana nella quale lei e le sue sorelle sono coinvolte da ormai cinque anni.

Quando avvenne il massacro dei monaci trappisti in Algeria, un eccidio controverso, attribuito gli islamisti ma sul quale si deve ancora fare luce, l’ordine cistercense si fece interpellare dall’accaduto. Fu allora che diversi fratelli e sorelle si offrirono per seguirne le orme, chiedendo di andare in Algeria. Non una sfida da raccogliere, come racconta oggi suor Marta, o una bandiera da rialzare dopo esser stata ammainata da feroci assassini. Semplicemente si trattava di seguire un itinerario cristiano avvincente che aveva fatto breccia nei cuori di tanti monaci e monache: quello di costituire una presenza cristiana nel mondo arabo, minoritaria e aperta al dialogo.

Una presenza di preghiera, ché questa è la caratteristica dei “trappisti”, abitata dalla speranza e dalla carità cristiana verso tutti. Ma le condizioni non erano favorevoli per l’Algeria, così, dopo aver scartato altre opzioni, alcune di quelle suore approdarono in Siria, in un paesino a due passi dalla frontiera con il Libano.
«Quando siamo arrivate, dieci anni fa», spiega suor Marta, «era tutto diverso: la convivenza tra islamici e cristiani era normale, un qualcosa di quotidiano che passava dalle minime cose piuttosto che un astratto dialogo culturale. Certo, il regime aveva le sue rigidità e i suoi limiti, ma grazie ad esso era possibile tale convivenza tra diversi e si viveva tranquillamente.
Si poteva ad esempio girare a qualsiasi ora senza nessun timore. C’era un profondo rispetto, aiuto reciproco, fondato sul fatto che si era tutti davanti a Dio nonostante le diversità del proprio credo. Ricordo che quando giravo per strada, per andare a fare la spesa o altro, gli autobus si fermavano a tirarti su anche al di fuori delle fermate ordinarie. Insistevano, dovevi salire per forza: “Per una benedizione”».
Un piccolo ricordo tra i tanti, che fa intravedere una stagione altra, ormai passata. Perché poi tutto è precipitato.

«Sulla Siria si è abbattuta questa immane tragedia», riprende suor Marta, «che ha fatto scorrere moltissimo sangue e che ci ha fatto scoprire un mondo nuovo, quello della disinformazione. Quando leggevo i giornali o vedevo in Tv i servizi dei media occidentali su quanto avveniva in Siria mi sentivo impotente: tutto veniva manipolato! La foto di una manifestazione pro-Assad veniva presentata come una contestazione del regime, le stragi chimiche fatte dai ribelli come eccidi delle forze governative… che, certo, avevano le loro responsabilità, ma in tutt’altra prospettiva di quella raccontata dai media.. se non fossi stata qui, non avessi visto e ascoltato da così vicino, non avrei mai immaginato si potesse arrivare a tanto».

Azeir e il suo circondario non hanno subito gli orrori del conflitto, se non in alcune circostanze e in piccola parte.
Nondimeno le strette di quanto sta avvenendo nel resto del Paese si sentono. «Non sappiamo come e quando finirà questa guerra. Quel che è certo è che la comunità internazionale non sta aiutando, anzi. Se all’inizio c’erano davvero alcuni ribelli siriani, da subito nella guerra ad Assad si sono infiltrate le  milizie straniere che hanno portato il terrore. Provengono da moltissime nazioni, cosa che ripetono le autorità e che colpisce la gente comune: hanno la consapevolezza di trovarsi nell’epicentro di una sorta di guerra mondiale, e che stanno resistendo a una pressione che proviene da mezzo mondo. “Più di centosettantasei Paesi contro di noi”, ripetono. Un’esagerazione, forse, ma non troppo».

Non che non ci sia un’opposizione siriana tra i tanti movimenti armati che circolano nel Paese, aggiunge suor Marta, ma i moderati ormai sono una presenza residuale. E la gente percepisce Assad come l’unica alternativa al caos e alla dissoluzione violenta della Siria. «Assad è un freno oggettivo al dilagare del terrore, questo è il sentimento comune basato su un fatto semplice: il Paese è talmente pieno di armi e mercenari, che un vuoto di potere di mezz’ora comporterebbe stragi e faide a non finire», spiega suor Marta.

«In questi anni si sono fatti alcuni tentativi di riconciliazione sponsorizzati dalla comunità internazionale. – aggiunge – Però sono state cose calate dall’alto: i cittadini siriani non avevano alcuna fiducia nelle figure che gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali immaginavano come nuovi dirigenti del Paese: è gente che vive all’estero, dicevano tutti, mentre qui ci ammazzano. “Fantocci”, era il termine con il quale venivano indicati. Oggi c’è una nuova possibilità, ci sono nuovi negoziati… preghiamo, speriamo, che altro possiamo fare?».

Già, la speranza. Nel luglio scorso, il suo monastero si era fatto portatore di un appello accorato perché fossero abrogate le sanzioni contro la Siria. Una esile voce ripresa, alcuni giorni fa dall’Avvenire, ovviamente senza alcun seguito. «Le sanzioni non servono a niente. Anzi. Il governo di Damasco non ne ha alcun danno, mentre stanno fiaccando la povera gente.
L’Occidente si commuove per la sorte dei profughi siriani o quando vede immagini di siriani denutriti a causa dell’assedio di alcune località, ed è giusto. 
Eppure nessuno parla del fatto che tutti i siriani si trovano da cinque anni sotto assedio da parte della comunità internazionale a causa delle sanzioni: soffrono la fame, la malattia a causa di queste. Gli adulti e i bambini muoiono per mancanza di medicine… che civiltà è quella che fa questo?».

«La speranza non si uccide solo con il fucile, ma anche con le sanzioni», continua suor Marta. «La nostra gente non solo è stata privata dei propri beni; non solo ha visto uccidere familiari e amici, ma viene depredata anche del suo futuro. Le sanzioni hanno spinto alle stelle i prezzi di tutti i beni. Senza energia, senza combustibile, privati del necessario, per la gente è impossibile intraprendere una qualsiasi attività lavorativa, tentare una pur piccola ripresa. 
E va tenuto presente che, ad aggravare la situazione, ci sono i tanti rifugiati che hanno trovato riparo all’interno del Paese: persone che hanno perso tutto e non possono far nulla per ricominciare».

«Le sanzioni non colpiscono chi è al potere», conclude suor Marta, «ma stanno abbattendo un intero popolo. O forse si vuole proprio questo: creare disperazione tra la gente per fiaccarne la resistenza e costringerla ad accettare un cambio di regime imposto dall’esterno, senza rispettare l’autodeterminazione, uno dei pilastri della democrazia».

martedì 2 febbraio 2016

Il cantico di Pascale

TEMPI, 2 febbraio 2016
di Rodolfo Casadei

«Il giorno più bello da quando sono in Francia è stato quando, al termine di una testimonianza in un liceo, è venuta da me una ragazza marocchina velata e mi ha detto: “La ringrazio. Lei oggi mi ha insegnato ad amare il profeta Gesù e ad amare i cristiani”. Per un attimo ho visto in lei mia figlia. O forse era mia figlia che guardava lei attraverso di me».
Claude Zerez ha 60 anni e da due vive come rifugiato in Francia con la moglie e due figli maschi di 23 e 25 anni. Viene da Aleppo, dove faceva la guida turistica specializzata in antichità cristiane; insegnava pure arte cristiana all’università Saint-Esprit de Kaslik a Jounieh in Libano. Come tutti i siriani, di ogni religione ed etnia, ha avuto la vita sconvolta dalla guerra civile cominciata nel marzo 2011.

Il peggiore degli incubi di un padre è diventato realtà un giorno d’autunno. Era il 15 ottobre 2012 e una corriera di linea correva lungo la strada che da Hama porta ad Aleppo. Dentro, gente di tutte le professioni e di tutte le età. Di tutte le fedi religiose che si trovano in Siria. Fra loro una ragazza dalla lunga chioma scura. I capelli sono scoperti, come quelli della maggior parte delle donne siriane prima della guerra. Lo sguardo è radioso, gli occhi profondi e scuri brillano perché, nonostante la Siria sia discesa da alcuni mesi nell’inferno della violenza fratricida alimentata dall’esterno, la vita sta sorridendo a questa giovane donna: ha concluso con successo gli studi medi superiori, sta per entrare all’università, ma soprattutto ha da poco celebrato le nozze. Pascale, 18 anni e pochi mesi, è una sposa. Lei che è di Aleppo vivrà col marito che è di Homs a Tartus, sulla costa del Mediterraneo, là dove la guerra ancora non morde.

A Homs infuriano battaglie strada per strada nei quartieri di Baba Amr e della città vecchia già da un anno e mezzo, ad Aleppo le ostilità sono scoppiate nel bel mezzo dell’estate, e i ribelli già stanno conquistando posizioni. La corriera esce dalla città di Hama e non imbocca la strada principale per Aleppo, ormai impercorribile, ma quella che passa più a oriente. Nei pressi della cittadina di al-Manara uomini armati arrestano la marcia del veicolo. I genitori e i fratelli di Pascale non sapranno mai di quale gruppo. Salgono e controllano i documenti dei passeggeri. Cristiani e alawiti vengono fatti scendere. Per Pascale non c’è bisogno nemmeno di controllare: quei capelli al vento, il rossetto sulle labbra e l’abbigliamento giovanile sono altrettante prove a carico contro di lei.

Sono in 13 a subire angherie, uomini e donne, succedono le cose che potete immaginare. Vengono uccisi tutti a colpi di arma da fuoco. I guerriglieri si dileguano rapidamente, abbandonano i cadaveri in strada senza nemmeno derubarli. Probabilmente temono di essere intercettati dall’esercito se si attardano sul posto.
Quando lo hanno chiamato, a Claude è cascato addosso il mondo: «Un’ora prima che la assalissero ci avevo parlato al telefono. Era contenta, aveva concluso la telefonata: “Preparatemi qualcosa di buono da mangiare, sto arrivando!”. Non siamo nemmeno potuti correre all’obitorio dell’ospedale di Hama, dove hanno composto i cadaveri, perché la strada era diventata troppo pericolosa. Il corpo di mia figlia ce l’ha portato un musulmano, che s’è preso il rischio di attraversare i posti di blocco dei ribelli per riportare i resti di una figlia cristiana alla sua famiglia. L’ho abbracciato e ringraziato come un fratello. Mi ha anche portato queste cose, che è tutto ciò che mi resta di Pascale». Claude mostra un cellulare col dorso di un fuxia squillante, e una catenina grigio argento che porta al collo. Il telefonino sembra appena uscito da un negozio.

Di Pascale restano anche due filmati che si possono trovare in rete, impaginati uno di seguito all’altro. Nel primo c’è lei con la corale che aveva creato, impegnata a cantare e suonare un organo elettrico in parrocchia durante una liturgia accompagnata dai suoi coristi. 

Non era ancora maggiorenne e aveva composto musica e testo di un inno struggente dedicato ai martiri di Siria. «Non l’ha pensata solo per i martiri cristiani, ma per tutti i siriani innocenti che stavano morendo per la guerra». Le note romantiche e il canto lancinante creano un’atmosfera di indicibile tristezza, quasi un presagio di morte.

                  
Piccolo bambino in questa guerra
il cannone ha ruggito, destate i cuori,
egli di pochi mesi, morto
Il suo cuore bianco gridò AHHHHHHHH
Oh i grandi, dove è il giorno
Il mio cuore è diventato a pezzi e lacrime
Oh i grandi, dove è la pace
Il mondo ha voltato le spalle, i cuori sono morti.
(Canto per i martiri, parole di Pascale Zerez)

Il filmato seguente comincia con una bara bianca, ricoperta da un immenso velo da sposa, che sovrasta una piccola folla in movimento. Portata a spalle da quattro uomini, entra per la porta d’ingresso della stessa chiesa che s’è vista nel filmato precedente. Pascale sorride da una foto incollata sul lato anteriore della bara. Risuona ovattato il motivo portante dell’inno per i martiri composto da lei. Poi le immagini si spostano sugli interventi al microfono dei vescovi presenti al funerale. Claude Zerez e la sua famiglia sono melkiti, ma in chiesa ci sono praticamente tutti i vescovi di Aleppo, cattolici e ortodossi. Al termine della cerimonia, quando la bara esce in un sottofondo di pianti e grida materne, si mettono in fila e rendono omaggio a papà Claude abbracciandolo e baciandolo tre volte sulle guance. Si sentono improvvisamente colpi di arma da fuoco. La gente si gira a destra e a sinistra ma non fugge. La sparatoria continua a lungo, mentre i presenti si scambiano le condoglianze, in un’atmosfera surreale.
«Dopo quella tragedia ho vissuto sei mesi di buio. Niente aveva più senso», racconta Claude. «Sprofondavo ogni giorno di più nella depressione. Mi ha salvato la preghiera. Ho pregato di poter accettare quello che era accaduto alla mia famiglia, di poter trovare la pace del cuore. Allora ho cominciato a sognare Pascale, ed erano sempre sogni sereni, belli. Lei mi diceva “Sto bene, qui è bello”, “Sono sempre con voi”, oppure “Vi voglio bene”. A poco a poco la sua assenza fisica che mi angosciava è diventata una presenza spirituale che mi confortava».

«Smettila o morirai ammazzato»
La vita continua e Claude, persona molto rispettata in città, entra a far parte del Comitato di riconciliazione di Aleppo, che si occupa fra le altre cose di scambi di ostaggi e della liberazione tramite trattative di persone rapite dalle bande armate. Del consiglio fanno parte imam e sacerdoti, notabili e altre personalità indipendenti dal governo e dal partito dominante. Ma dopo poco cominciano ad arrivare minacce di morte da parte ribelle. «A me sono arrivate telefonate minatorie: “Devi smetterla oppure morirai ammazzato”, ad altri lettere anonime. Ho cominciato a temere per la mia vita e per quella dei miei figli».
Jabhat al Nusra, Jaysh al Islam e altri gruppi islamisti della ribellione armata vogliono impedire a tutti i costi la riconciliazione, vogliono la radicalizzazione del conflitto. Nel caso dei ragazzi di Claude si presenta un altro problema: sono in età di militare, potrebbero essere chiamati sotto le armi. Ma nell’esercito stanno succedendo cose tremende: il quartiere di Jebel el Seide cade nelle mani dei ribelli grazie al tradimento del comandante delle truppe che erano stazionate lì per difenderlo, che si lascia corrompere per denaro: decine di soldati vengono massacrati mentre lui fugge. Reparti passano dalla parte degli insorti dopo aver ucciso i militari alawiti e cristiani e altri lealisti, mentre altri reparti cadono in imboscate frutto di tradimenti.

La fuga da Aleppo
Per tutte queste ragioni la famiglia Zerez decide di emigrare. Ha i mezzi e ha i contatti in Francia per organizzare l’uscita dal paese in modo legale. Il problema è un altro: fra Aleppo e il confine col Libano ci sono una serie infinita di posti di blocco, sia delle forze governative che dei ribelli. I rischi sono grandissimi, superarli senza danni quasi impossibile. Molti amici ritengono di fare un favore a Claude scongiurandolo di non partire per non fare la stessa fine della figlia. Che sembra voler comunicare. «Mi è apparsa ancora una volta in sogno. Mi ha detto: “Partite, andrà tutto bene”. Mi sono fidato di quel sogno e mi sono messo per strada. Ho superato 90 barrage per arrivare in territorio libanese sicuro! In tempo di pace per compiere quel percorso ci vogliono meno di tre ore. Noi ce ne abbiamo messe ventuno!».

L’arrivo in Francia
In Francia, dove arriva nel gennaio 2014, la famiglia Zerez fa una grande esperienza di accoglienza: non solo gli amici, ma famiglie cristiane completamente sconosciute si prendono cura di loro. «In casa mia non c’è nemmeno un mobile che non mi si sia stato donato!», racconta Claude. In questa atmosfera di fraternità cristiana continua il suo cammino di approfondimento della fede seguito all’assassinio di Pascale. Comincia a essere invitato a tenere incontri e testimonianze. Parla delle sofferenze della Siria e dei suoi cristiani, ma soprattutto parla della conquista del perdono. «Grazie a mia figlia sono diventato un messaggero della pace e del perdono. Ho perdonato, senza dimenticare. Mi rivolgo a Dio come Gesù sulla croce s’è rivolto a Dio Padre: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Il cammino del perdono è il cammino della pace e della riconciliazione nel mio paese. Senza perdono non ci sarà nessun ritorno alla pace e nessuna possibilità di ricostruire la Siria; e noi cristiani dobbiamo essere i primi a perdonare, perché ci vorrà del tempo prima che quelli che si sono macchiati le mani di sangue arrivino alla conversione del cuore. Hanno imparato a uccidere, e gli ci vorrà del tempo per imparare a non farlo più, dobbiamo insegnarglielo noi».
Quella che Claude definisce «la chiamata di Dio» si traduce in 86 testimonianze pubbliche che lui ha reso nel corso dell’ultimo anno e mezzo. Vincendo ogni volta la diffidenza di chi sospetta nei cristiani siriani degli emissari e dei sostenitori acritici del regime al potere. «Io cerco di anticipare gli attacchi politici. Dico: “In Siria ci sono tante cose che non vanno: la corruzione, lo stato d’emergenza che dura da trent’anni, l’analfabetismo, la diseguaglianza economica. Ma la guerra civile non l’hanno voluta i siriani, l’hanno voluta l’Arabia Saudita e il Qatar. Se cambia il regime non avremo la democrazia, avremo una dittatura religiosa. Prima della guerra avevamo la sanità e la scuola gratuite, il pane e la benzina a prezzi calmierati, la sicurezza pubblica. Chi ha aderito alla ribellione credeva di poter avere un futuro migliore, invece ha perso tutto quello che aveva prima”. Alla fine nessuno mi dà torto».

I musulmani mi dicono “grazie”
Al contrario, tutti gli sono grati per la mansuetudine e la totale mancanza di odio con cui racconta la sua tragedia personale, con cui distingue le responsabilità degli estremisti da quelle della gente comune musulmana e con cui testimonia la convivenza pacifica fra cristiani e islamici prima della guerra. «I musulmani mi dicono: “Grazie, qui dopo il 13 novembre tutti ci guardano come mostri, con le sue parole lei ci sta veramente aiutando”. Alcuni cristiani mi si avvicinano come se fossi un santo. Uno mi ha detto: “Vorrei baciarle le mani e i piedi, perché non ho mai incontrato un cristiano come voi. Voi siete la luce dei cristiani”».
Ma Claude ha chiaro che la strada del cristiano non è fatta di successi e applausi umani, anche se talvolta sembra così. La cosa più importante è la conversione personale, che permette di avvicinarsi alla santità: «Il perdono non è umano, è divino. E allora o crediamo che Dio può operare il miracolo in noi, oppure non ci crediamo. Se ci crediamo, la prospettiva che abbiamo è quella di accettare di salire il Calvario per giungere alla Resurrezione. Il Calvario è il cammino da percorrere per la Resurrezione».