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venerdì 25 dicembre 2015

NATALE A DAMASCO

Mons. Zenari: la sofferenza dei bambini mette alla prova la nostra fede 




Il Sussidiario, venerdì 25 dicembre 2015
intervista di Pietro Vernizzi

Aprendo l’Anno Santo, il Papa ci ha invitato a praticare le opere di misericordia corporale. Qui in Siria non ne manca nessuna”. Sono le parole dell’arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, che le ricorda una a una. 
Dare da mangiare agli affamati: in Siria ci sono 13 milioni di persone senza più niente. Dare da bere agli assetati: il 72% della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. Assistere gli ammalati: i bambini con arti amputati non si contano più. Seppellire i morti: in Siria si sono contate 300mila vittime, e spesso per celebrare i funerali i familiari rischiano a loro volta la vita.

Il Natale è la nascita di Gesù. Come ci raggiunge il Mistero di Dio nella Damasco in guerra di oggi? Da questo punto di vista ritengo emblematica la canzone “Tu scendi dalle stelle”, la cui strofa recita “Tu vieni in una grotta al freddo e al gelo”. Ancora oggi viviamo il Mistero della nascita di Cristo in queste condizioni. Nonostante la grave povertà in cui si trovano, le famiglie cristiane a Damasco non hanno perso la fede e la speranza. Pensiamo a centinaia o migliaia di bambini nati lontani dalle loro case, nei campi profughi, a temperature proibitive. E’ questo il Mistero del Natale che viviamo qui a Damasco: Cristo si è unito alla natura umana di tutti i secoli e di tutte le latitudini.
Il Papa ha da poco aperto l’Anno Santo. Che cos’è per lei la misericordia? Il Papa ci invita a praticare le opere di misericordia corporali e spirituali, e l’esercizio delle opere di misericordia qui a Damasco è a 360 gradi.
Vediamole una a una. Dare da mangiare agli affamati … In Siria sono più di 13 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria. In quest’opera di misericordia sono uniti cristiani, musulmani e non credenti.
Dare da bere agli assetati … Secondo le statistiche il 72% della popolazione siriana non ha accesso all’acqua potabile, perché sono state danneggiate le infrastrutture.
Assistere gli ammalati … Qui ci sono un milione di feriti, e i bambini con gli arti amputati non si contano.
Seppellire i morti … In Siria si sono contate 300mila vittime. Ancora all’inizio del conflitto ho assistito al funerale di un papà ucciso mentre stava accompagnando la figlia all’università, ma hanno dovuto aspettare una settimana perché non riuscivano a trovare i brandelli di carne. Per non parlare di quanti hanno rischiato la vita per raccogliere i cadaveri dei loro familiari lasciati per strada, mentre i cecchini sparavano all’impazzata. In Italia quando c’è un funerale si va all’agenzia delle onoranze funebri, mentre in Siria ogni volta si rischia la vita.
Lei per che cosa prega in questo Natale, monsignor Zenari? Pregherò perché sia l’ultimo vissuto in queste condizioni, e perché il prossimo sia celebrato in mezzo agli ulivi. Nelle ultime settimane c’è già qualche segno di germoglio di primavera: spero che germoglino gli ulivi.
Papa Francesco ha detto: “A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona”. Come può essere vero di fronte alle sofferenze del popolo siriano? Qui la fede è veramente messa alla prova: pensiamo soprattutto alla sofferenza dei bambini. Ci è messo tutti i giorni di fronte il mistero di Gesù Cristo in croce, e occorre un bel salto di fede per starci di fronte. Questo è soprattutto vero per la terribile tragedia della sofferenza delle persone innocenti.
Lei che risposte si dà di fronte a tutto questo? Il 28 dicembre celebreremo la festa dei Santi Innocenti, dedicata a qualche decina di bambini uccisi dal Re Erode. In Siria invece la strage degli innocenti ha fatto 100mila vittime tra bambini e ragazzi. Accettare questa sofferenza è una sfida per l’intelligenza e per la nostra fede. Arrestare questa strage di innocenti è il primo dovere per tutti.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2015/12/25/NATALE-A-DAMASCO-Mons-Zenari-la-sofferenza-dei-bambini-mette-alla-prova-la-nostra-fede/665890/


Urbi et Orbi. Papa Francesco: dove nasce Dio, nascono pace e misericordia

Fermare guerre e atrocità, essere vicini ai cristiani perseguitati
Al Signore, Francesco chiede che “l’intesa raggiunta” all’Onu “riesca quanto prima a far tacere il fragore delle armi in Siria e a rimediare alla gravissima situazione umanitaria della popolazione stremata”. È altrettanto “urgente”, prosegue, che “l’accordo sulla Libia trovi il sostegno di tutti, affinché si superino le gravi divisioni e violenze che affliggono il Paese”. Ancora, il Papa chiede alla comunità internazionale di “far cessare le atrocità che, sia in quei Paesi come pure in Iraq, Yemen e nell’Africa sub-sahariana, tuttora mietono numerose vittime, causano immani sofferenze e non risparmiano neppure il patrimonio storico e culturale di interi popoli” ...  “Il mio pensiero va pure a quanti sono stati colpiti da efferate azioni terroristiche, particolarmente nelle recenti stragi avvenute sui cieli d’Egitto, a Beirut, Parigi, Bamako e Tunisi. Ai nostri fratelli, perseguitati in tante parti del mondo a causa della fede, il Bambino Gesù doni consolazione e forza. Sono i nostri martiri di oggi”. ...             http://it.radiovaticana.va/news/2015/12/25/urbi_et_orbi_francesco_dove_nasce_dio,_nasce_la_pace/1196835 

mercoledì 23 dicembre 2015

L’augurio di quest’anno è di percorrere con fiducia la strada verso la misericordia del Padre che ci attende sempre, con fedeltà, anche oggi.

Auguri di padre Pierbattista Pizzaballa, ofm
Custode di Terra Santa

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is. 9,1).
     
Stiamo vivendo un tempo arduo, il cui susseguirsi di tragedie e di violenze ci ha colmato di paure. La descrizione della fine dei tempi, che la Liturgia ci ha proposto prima dell’Avvento (Mc 13, 24-32), è sembrata l’eco di una cronaca attuale, che ci ha reso difficile attendere il Natale con sentimenti di gioia, di festa, di vita.  La paura sembra dettare il nostro agire, anche nelle piccole azioni quotidiane. Ma soprattutto abbiamo paura dell’altro, come se avessimo perso il coraggio di credere nell’altro. Non ci fidiamo più e siamo tentati di rinchiuderci nel nostro piccolo cerchio. Abbiamo paura del musulmano, dell’ebreo, dell’orientale o dell’occidentale, secondo dove ci troviamo. Il nemico è diventato “gli altri”; pensiamo che “gli altri” siano contro di noi, che ci minaccino e ci rubino la speranza di un mondo sicuro, di un futuro migliore.

In Siria, in Iraq, in Terra Santa, in Oriente così come in Occidente, sembra che la forza della violenza sia l’unica voce possibile per contrastare la violenza che ci sovrasta.
Aspettare il Natale in queste circostanze interroga la nostra fede e fa nascere il bisogno di una speranza più grande. Sono questi i sentimenti che ci hanno accompagnato nella partecipazione alle varie cerimonie per l’accensione dell’albero di Natale e la benedizione del Presepe. Spesso, durante la celebrazione della festa, attorno a noi si sentivano le sirene d’allarme, segno certo di scontri e disordini. E, sempre, abbiamo riconosciuto un senso d’inadeguatezza rispetto alla situazione. Ci sembrava di essere fuori dal tempo e dalla storia.
Ma non è così. Il Vangelo ci dice che la pienezza del tempo si è compiuta in un tempo difficile, quando Giovanni nel deserto invitava a preparare la Via del Signore predicando un battesimo di conversione. La festa, le luci, i colori, pur necessari, desiderati e celebrati nelle circostanze che viviamo, ci guidano a pensare con più verità al senso originario del Natale: Dio che entra nel nostro tempo e nella nostra storia. Il nostro tempo e la nostra storia di oggi.

Natale ci dice che Dio ama la vita, che Lui stesso è vita. È questa verità il motivo definitivo e buono per stare su questa terra. Perché è tempo di cercare motivazioni autentiche, ragioni ultime per continuare a vivere e a sperare. Ragioni e motivazioni che rimangano, che tengano, che non subiscano le altalenanti fasi delle nostre angosce o delle nostre esaltazioni, che abbiano il sapore di una misura giusta, di un orizzonte reale. È tempo di cercare domande e risposte, orientamenti, di ritrovare l’Oriente.
E questo Oriente è il Cristo, Uomo e Dio. Il Natale ci richiami, dunque, a questo Oriente.

Natale, ci dice che la nostra vita è Avvento, che camminiamo verso un futuro, forse drammatico, faticoso, ma nel quale – è certo - incontreremo Lui. Natale ci dice che questo futuro, per cui siamo tanto preoccupati, questo futuro che inizia ora, è già iniziato: è Gesù nato, morto e risorto.
Non camminiamo verso il nulla, verso l’ignoto, verso il buio, ma verso qualcosa che è già accaduto e che rimane, che si compie sempre e comunque, che non potremmo distruggere nemmeno se lo volessimo.
Camminiamo verso un incontro.

Allora, questo tempo difficile sarà comunque un tempo buono, se ci restituirà la consapevolezza che è il tempo dell’incontro; se ci renderà - finalmente - bisognosi di qualcosa che sia altro da noi stessi; se ci renderà più attenti a chi abbiamo vicino, perché il futuro verso cui camminiamo potrà essere soltanto il compimento di ogni relazione di cui avremo avuto cura, qui, ora. Anche in queste circostanze drammatiche.
L’augurio di quest’anno è di percorrere con fiducia questa strada, aperta nel deserto di tante nostre vite, verso questo futuro buono,che ha un unico Volto: quello della misericordia del Padre, che ci attende sempre, con fedeltà, anche oggi. 

Buon Natale.

lunedì 21 dicembre 2015

Natale in Siria

Un Paese a “pericolosità variabile”: un giorno tranquillo e un giorno sotto le bombe. I giovani dei Focolari si preparano al Natale andando di casa in casa nel segno della condivisione e della speranza. 
A colloquio con Pascal Bedros, del Movimento dei Focolari in Siria.


21 dicembre 2015

«La vita di ogni giorno varia, perché il pericolo è variabile. In alcuni giorni non succede niente e puoi dimenticarti che c’è la guerra. In altri giorni può succedere che quando vai al lavoro, tu venga colpito da pallottole vaganti, o che ci siano scontri in atto o addirittura bombe sulla gente e su quartieri civili». 
A parlare è Pascal, libanese, del Focolare di Aleppo, che vive in Siria da alcuni anni. Nonostante la guerra.

«Come ci stiamo preparando al Natale? Sia ad Aleppo, che a Kfarbo, che a Damasco, le nostre comunità hanno pensato soprattutto ai bambini, perché le famiglie, nonostante sia una festa  importante e molto sentita in Siria, non riescono più a vivere la gioia del Natale. Così i giovani hanno fatto tante attività per raccogliere fondi che, uniti agli aiuti ricevuti dall’estero, hanno consentito di ampliare il loro progetto di ridare il senso del Natale ai bambini e alle loro famiglie. Ad Aleppo ad esempio si farà una festa per una 70ina di famiglie, a Kfarbo si faranno visite alle case in piccoli gruppi, portando doni e cibo. A Damasco, dove ci sono più potenzialità, hanno organizzato un concerto di Natale e nel frattempo faranno visite alle famiglie portando cibo e regali insieme a canti e giochi…».

E in questi ultimi mesi, con l’escalation di violenza, voi focolarini non avete mai ripensato alla scelta di rimanere in Siria? «No, mai. È così importante la presenza del Focolare! Solo la presenza, anche senza fare niente. È un segno che tutto il Movimento nel mondo è con loro, con il popolo siriano. Non so come spiegarlo…. Noi non siamo obbligati a rimanere, potremmo anche andarcene. Ma in questi anni abbiamo condiviso così tante peripezie che loro sentono che facciamo parte di loro e noi li sentiamo parte di noi. Le ragioni non sono razionali, ma affettive, del cuore, perché per trovare la forza di stare in posti come Aleppo, non c’è niente di razionale. Anche le famiglie siriane che rimangono lo fanno per il legame alla loro terra, alla loro gente, perché tutto potrebbe dire: vai! Lì giorno per giorno le cose si riducono sempre più, viene meno il futuro, soprattutto quello dei tuoi bambini. Ho visto qualcuno rimane per una scelta d’amore, per dare testimonianza. Ad esempio per portare avanti una scuola per i bambini sordomuti, per tutto il bene che questa scuola fa. Vivere per gli altri, ti dà il senso dell’esistenza, dà senso al tuo essere».

domenica 20 dicembre 2015

Angelus del Papa Francesco, domenica 20 dicembre 2015


"Cari fratelli e sorelle,anche quest’oggi mi è caro rivolgere un pensiero all’amata Siria, esprimendo vivo apprezzamento per l’intesa appena raggiunta dalla Comunità internazionale. 
Incoraggio tutti a proseguire con generoso slancio il cammino verso la cessazione delle violenze ed una soluzione negoziata che porti alla pace.  
Parimenti penso alla vicina Libia, dove il recente impegno assunto tra le Parti per un Governo di unità nazionale invita alla speranza per il futuro...."

Mons. Vincenzo Paglia: "Portare la vicinanza fisica del Papa a Damasco, misericordia per le famiglie"


Famiglia Cristiana , 17 dicembre 15
Monsignor Paglia con una famiglia  di cristiani di Damasco.
Mons Paglia con una famiglia di cristiani di Damasco.



Dagli inferni del mondo al calore della fede. Una strada impervia, che ha per posta la speranza, e cheMonsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, ha percorso in prima persona in vista del Giubileo della misericordia che verrà proposto, da Roma, il 27 dicembre, alle famiglie di tutto il mondo. Nelle scorse settimane, infatti, monsignor Paglia è andato a Damasco, capitale della Siria, per quella che i Blues Brothers (e non solo loro) definirebbero “una missione per conto del Papa”.
«Un viaggio», dice lui, «nato dall’Incontro mondiale delle famiglie di Philadelphia. Allora papa Francesco volle consegnare il Vangelo, cioè la buona notizia della misericordia di Gesù, alle famiglie di cinque megalopoli, una per continente: Hanoi, Kinshasa, L’Avana, Sidney e Marsiglia.
 Damasco era la sesta città della lista, perché la Siria è il capitolo più drammatico di quella “Terza guerra mondiale a pezzetti” con tanta efficacia evocata proprio dal Papa.  Il quale, per le famiglie di Damasco, ha voluto aggiungere un primo aiuto economico. Io sono andato a consegnare i Vangeli scritti in arabo e questo aiuto: il primo per scaldare i cuori, il secondo per acquistare un po’ di combustibile per scaldare le case, nell’inverno che a Damasco sa essere terribile».
Che situazione ha trovato?
«È stato come scendere negli inferni del mondo. La periferia di Damasco, pur non essendo al centro del conflitto, è devastata da cinque anni di guerra, blocco economico, bombe che piovono in maniera improvvisa e indiscriminata. Portare in qualche modo la vicinanza “fisica” del Papa è stata una goccia di conforto, che però i cristiani di quella terra hanno gustato fino in fondo. Perché ciò che mi sono sentito ripetere è proprio questo: i cristiani della Siria, come di tutto il Medio Oriente, chiedono la vicinanza, l’affetto delle famiglie del resto del mondo. E noi tutti abbiamo un debito d’amore verso queste persone e questa terra, da cui abbiamo ricevuto la fede».
Restare e soffrire o andarsene e soffrire altrove. Spesso questa è tutta la scelta che hanno...
«I sentimenti dei cristiani sono complessi. Ho trovato famiglie che di fronte a un futuro sbarrato per i loro figli chiedevano di potersene andare. Giovani che, avendo come sola prospettiva la guerra, non possono pensare di restare. Ma una sera, alla distribuzione dei Vangeli, ho incontrato una cinquantina di famiglie che imploravano: aiutateci a restare! Perché loro sanno che una Siria senza i cristiani sarà comunque molto, molto più povera. Come tutto il Medio Oriente».

sabato 19 dicembre 2015

Patriarca Twal: domandate pace per Gerusalemme! La Città Santa è la chiave per la pace in Medio Oriente.

Città Vecchia di Homs : un albero è stato decorato con le immagini di soldati cristiani della zona martiri di quest'anno. (Foto Eva Bartlett)

Per fare guerra a Daesh servono anche sviluppo, cultura, giustizia 

S.I.R. 10 dicembre 2015

Torniamo a Gerusalemme. La Città Santa è la chiave per la pace in Medio Oriente. Lo è per le sue implicazioni umane, politiche e religiose”. In un tempo in cui tutti, leader politici e spirituali, mondo economico e finanziario, seguono con preoccupazione e altrettanto ‘interesse’, le vicende in Siria e in Iraq, la lotta globale contro Daesh e il terrorismo islamico, è il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, a rimettere al centro di ogni disputa la partita di Gerusalemme che, come è noto, si gioca sul terreno minato di un altro conflitto, oggi forse un po’ accantonato, quello israelo-palestinese. 
Il nodo di Gerusalemme. “I negoziati tra israeliani e palestinesi – dice – hanno sempre rimandato la questione della Città Santa”. Un dialogo che non ha prodotto nulla, al punto da far dire a Twal che abbiamo dialogato troppo. Sono oltre 30 anni che si dialoga senza nessun esito. Il popolo non vuole sapere di cosa si è discusso ma vedere i risultati, ovvero libertà di movimento, lavoro, sicurezza, dignità, pace”.
–  aggiunge il patriarca latino – solo così possiamo aiutare i due popoli a costruire una cultura di pace. Gli atti di disperazione – sottolinea riferendosi direttamente alle tensioni di questi giorni tra israeliani e palestinesi – non porteranno mai alla fine dell’occupazione. Possono essere casomai il pretesto per Israele per usare ancor più forza. Israele è il più forte, lo sappiamo, ma alla gente disperata non si possono chiedere cose logiche e normali”.
Siamo umiliati”. A guardare ciò che accade dentro e fuori la Terra Santa sembra che il tanto impegno profuso dalla Chiesa locale per costruire ponti non serva a nulla. Il pensiero di Twal corre alle 100 scuole cristiane sparse per il Patriarcato, ai suoi 75mila studenti, agli ospedali, alle cliniche, alle case di accoglienza per anziani, disabili e rifugiati, dove la pratica della convivenza e della riconciliazione è uno stile di vita. “Siamo umiliati – racconta il patriarca – i nostri fedeli ci chiedono i risultati di tanto impegno. Ci domandano ‘cosa avete fatto?’. Nulla, viene da rispondere. Siamo frustrati in questo. Ciò che ci consola è che il nostro è un lavoro lungo i cui frutti sono destinati a crescere. Noi abbiamo speranza. Crediamo nell’educazione: quando bambini israeliani e palestinesi, siano essi musulmani, ebrei o cristiani giocano, studiano, mangiano insieme, preparano la convivenza”. Per Twal anche la politica è chiamata a fare la propria parte con scelte forti “per evitare di restare nel campo delle buone intenzioni. Ma con questi politici – dice senza mezzi termini – c’è poco da sperare”.
Domandate pace per Gerusalemme”. Pace, lavoro, dignità, giustizia, stabilità, sicurezza: le chiedono anche i rifugiati siriani e iracheni in Giordania, Libano, Turchia. “Sono famiglie che hanno perso tutto: 260mila morti, milioni di sfollati e rifugiati” i cui destini sono legati a quelli dei palestinesi e degli israeliani. “Domandate pace per Gerusalemme”: le parole del Salmo oggi risuonano ancora di più come un grido contro il terrorismo nel mondo.
La comunità internazionale deve farsi un esame di coscienza e ammettere i propri errori”
spiega il patriarca allargando lo sguardo al vicino conflitto siriano e a Daesh, il sedicente Stato islamico. “Per il presidente Obama e il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius in Siria si devono aiutare i ribelli moderati. Ma non esistono ribelli moderati. Inutile girarci intorno. Non ci sono carri armati moderati, non ci sono bombe moderate e distruzioni moderate”. Né in Siria, né in Iraq. “Ci sono, invece, tanti innocenti che pagano con la vita”.
Obama – dichiara Twal – è intervenuto solo perché in ballo vi erano interessi strategici americani. Forse vedere perire le minoranze in Siria e Iraq non era nel suo interesse? Vedere la distruzione di siti storici e archeologici o milioni di rifugiati non era nel suo interesse? Non basta bombardare. Occorre colpire la politica degli interessi, come ricorda il Papa che denuncia la vendita di armi”.
Dal luogo dell’agonia. Il 13 dicembre, a Gerusalemme, presso la basilica del Getsemani, verrà aperta la Porta santa del Giubileo della Misericordia. “La nostra Chiesa del Calvario non poteva che cominciare il suo cammino giubilare dal luogo dell’agonia di Gesù.  Alla sofferenza di Cristo si somma quella di questa Terra, di questa Regione – conclude il patriarca  –la misericordia abbatte i muri, l’odio, l’ignoranza, l’indifferenza, l’insensibilità e il disprezzo.    Torniamo a Dio e al rispetto tra noi. Ci sono uomini, donne, bambini, innocenti che non hanno nulla a che vedere con queste guerre”.
http://agensir.it/mondo/2015/12/10/patriarca-twal-domandate-pace-per-gerusalemme/

giovedì 17 dicembre 2015

Il Diritto Internazionale, il grande ignorato dai bombardieri e dalle Coalizioni contro il terrorismo

Le forze del caos e il diritto internazionale 


Piccole Note, 10 dicembre

La guerra in Siria diventa sempre più intricata. L’aeronautica russa, intenta a bombardare l’Isis, deve fare i conti con quella britannica (e francese) che agisce senza cercare coordinamento con Mosca. Cosa che già avviene tre le forze russe e quelle statunitensi, che in questi giorni, secondo fonti siriane e russe smentite da Washington, avrebbero bombardato l’esercito siriano a  Deir Ezzor (quattro morti, dodici feriti, alcuni blindati distrutti), favorendo un contrattacco dell’Isis in zona.
Complicazioni alle quali si somma la crescente assertività della Turchia che ha inviato truppe in Iraq, provocando reazioni sdegnate nelle autorità irachene, e ripreso i bombardamenti contro il Pkk (forza che si oppone sul campo all’Isis).
Sono tutte azioni alquanto bizzarre per una campagna militare che a parole è diretta contro l’Isis. In realtà il loro risultato è, oggettivamente, quello di complicare, e non poco, la campagna militare anti-Isis condotta finora da siriani, russi, hezbollah e iracheni. Proprio nel momento in cui l’Isis sembrava essere stato messo alle corde.
Complicazioni, tra l’altro, alquanto pericolose per la pace mondiale, dal momento che senza coordinamento si rischiano incidenti ben più gravi di quello che ha visto un caccia turco abbattere un bombardiere di Mosca.
Ma quel che più interessa sottolineare in questa sede è altro: la decisione di entrare in guerra da parte britannica segue un copione già scritto dai suoi alleati Nato in loco, che prevede il disprezzo del diritto internazionale.
Per bombardare un obiettivo all’interno di un Paese sovrano senza mandato Onu, sia esso l’Iraq o la Siria, si deve ottenere l’autorizzazione delle autorità locali, quanto ottenuto dalla Russia.
Una norma ignorata. E una palese contraddizione con quanto sostenuto dalle cancellerie occidentali in occasione dell’abbattimento del bombardiere russo da parte di Ankara, alla quale invece è stato riconosciuto il diritto di tutelare i propri cieli da intrusioni altrui.
Questa erosione del diritto internazionale non è cosa nuova: è prassi normale, anzi dottrina teorizzata in Occidente nel post 11 settembre.
Una prassi che vorrebbe trovare la sua giustificazione nella nefanda efferatezza del nemico contro il quale sono dirette tali azioni: allora al Qaeda e oggi l’Isis. Più il nemico da combattere compie illegalità estreme e perverse, più illegali, estreme e perverse sembra possano, anzi debbano, essere le risposte.
In realtà in questi anni abbiamo visto come risposte illegali, estreme e perverse quali ad esempio la guerra in Iraq e in Libia, oltre alle follie insite nella guerra afghana (dove i droni Usa hanno fatto strage di innocenti), non hanno sanato affatto il mondo dal terrorismo. Hanno prodotto solo più illegalità, estremismo e perversione.
Non è solo una questione di un metodo errato che produce l’esatto contrario di quanto si propone di ottenere, ma anche di principio. Demolire il diritto internazionale non può che produrre caos.
In questo modo Londra, Washington e i loro più o meno estemporanei alleati si trovano dalla stessa parte di quanti in teoria affermano di voler contrastare, dal momento che il terrorismo vive per creare caos e destabilizzazione.
In questo scontro globale, che non è tra terrorismo e anti-terrorismo come da narrativa corrente, ma tra le forze del caos e quelle del diritto e dell’equilibrio internazionale, tra i due supposti antagonisti sembra si siano così stabilite, anche qui nella prassi, delle convergenze parallele che rischiano di disgregare il mondo intero.
Una destabilizzazione mondiale che in Occidente è prodotta, meglio propagandata, in nome della sicurezza globale. «La guerra è pace» era uno slogan del Grande Fratello di orwelliana memoria.

http://piccolenote.ilgiornale.it/26212/le-forze-del-caos-e-il-diritto-internazionale


NOSTRA SELEZIONE DI  COMMENTI (UNANIMI) ALLA ALLEANZA MILITARE ISLAMICA CONTRO IL TERRORISMO  GUIDATA DA ARABIA SAUDITA:

Sceicchi in guerra contro l'Isis. Ma la posta è la Siria
di Gianandrea GaianiLa Nuova Bussola quotidiana, 16-12-2015
La notizia che l’Arabia Saudita si è posta alla testa di una Coalizione araba tesa a distruggere lo Stato Islamico fa sorridere quasi quanto le dichiarazioni di Barack Obama sulla “durezza” delle operazioni aeree condotte contro il Califfato.... 
LEGGI QUI L'ARTICOLO:   http://www.lanuovabq.it/it/articoli-sceicchi-in-guerra-contro-lisis-ma-la-posta-e-la-siria-14698.htm



Una coalizione islamica anti-terrorismo per “salvare la faccia” a Riyadh
Asia News 16 dicembre , di Paul Dakiki


Vi partecipano 35 nazioni a maggioranza musulmana. Sono esclusi Siria, Iraq, Iran e Afghanistan. Dubbi che la lotta al terrorismo sia usata per soffocare i diritti umani delle popolazioni di questi Paesi. L’approvazione di Al-Azhar, che chiede da tempo un impegno a correggere le interpretazioni letteraliste del Corano. Le critiche di Hezbollah.....



I «blocchi» della guerra contro il Daesh
Avvenire, 16 dicembre 2015, di Riccardo Redaelli
Un’alleanza islamica per combattere il terrorismo. Evviva, si potrebbe dire. Quale miglior risposta a chi semina il terrore abusando del nome della religione islamica che una coalizione di Stati islamici? Peccato che dietro la patina della retorica di questa nuova "Santa Alleanza" sunnita la realtà sia ben diversa.....
LEGGI  QUI L'ARTICOLO   : http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/Daesh-i-blocchi-della-guerra.aspx


Summit in Arabia Saudita. La “pace” in Siria fa così: 

«Via Assad, ma niente democrazia»

Tempi, 11 dicembre, di Leone Grotti

Le fazioni più forti che compongono la nuova coalizione di opposizione, tutta sunnita, vogliono uno Stato islamico governato dalla sharia. Estremamente divisa al suo interno, comprende anche gruppi terroristici vicini ad Al-Qaeda, come l’Esercito di conquista e l’Esercito dell’islam, finanziati e armati da Turchia e Arabia Saudita, che hanno come scopo esplicito quello di instaurare uno Stato islamico governato dalla sharia. Inoltre, i delegati islamisti, in maggioranza alla conferenza, si sono rifiutati di inserire nel documento finale il termine “democrazia”. I rappresentanti “laici” non si sono opposti ma hanno almeno fatto inserire nel testo il rispetto di non meglio precisati “meccanismi democratici”.

LEGGI QUI L'ARTICOLO:  http://www.tempi.it/summit-arabia-saudita-pace-siria-assad-democrazia#.VnHkOvnhCM9  

martedì 15 dicembre 2015

Puoi aiutarci ? per chi in Siria tenta di restare

Puoi aiutarci ?

Su 800.000 migranti arrivati in Europa nel 2015 (fine novembre), 400.000 sono siriani. 4 milioni di siriani sono rifugiati nei paesi vicini, 10 milioni su 20 milioni di abitanti sono sfollati all' interno della Siria. 
Nessuna guerra all' Isis bloccherà questa emergenza umanitaria, anzi potrebbe aggravarla se condotta in modo cieco.


LA FABBRICA DI CIOCCOLATO:
UN PROGETTO PER AIUTARE I SIRIANI IN SIRIA


Raccogliamo 7.700 dollari per la realizzazione di un piccolo laboratorio di pasticceria per la produzione di cioccolatini che darebbe lavoro a 5 persone, forse anche qualcuna in più.
I cioccolatini in Siria sono utilizzati, come i confetti nella nostra tradizione, per matrimoni, battesimi e altri festeggiamenti.

Per ulteriori informazioni e per conoscere le garanzie e referenze del progetto

oppure leggi qui sotto:
Chi legge Piccolenote sa la nostra povera prossimità alla Siria, Non solo per raccontare la terribile tragedia che vi si è abbattuta, ma anche per riportare alcune testimonianze, grandi o piccole che siano, di intelligenza e di conforto che quel Paese sta regalando alla Chiesa e al mondo intero. Come anche è capitato, sempre attraverso le nostre pagine, di lanciare alcune iniziative volte a dare, per quel che si può, un qualche conforto a quanti sono stretti in quella terribile tempesta.   
Così anche in questo tempo di Avvento piace proporre ai nostri lettori un piccolo progetto che ci è stato proposto, volto più che a dare sollievo immediato (e di breve durata), a creare una prospettiva più a lungo termine a quanti vi saranno coinvolti. Crediamo che anche l’adesione a questo piccolo gesto di carità, e anzitutto di preghiera, possa aiutare a vivere questo tempo di attesa del Signore.  
Di seguito pubblichiamo parte della testimonianza di una nostra amica che è stata in Siria di recente, e alla quale si deve la proposta che rilanciamo. Può aderire chiunque, sia con donazioni, anche minime, che con una piccola preghiera. Le donazioni vanno effettuate alla San Callisto Onlus e si può fare cliccando qui.  
Joni Ghazzi è sfollato con la famiglia da Aleppo a Kafroun. Joni è ingegnere, ad Aleppo aveva progettato e costruito una piccola macchina per la produzione di cioccolatini, che in Siria vengono utilizzati al posto dei confetti per matrimoni, battesimi e festività varie. Ci racconta con entusiasmo ciò che aveva realizzato ad Aleppo e ci mostra l’esemplare che è riuscito a salvare dalla distruzione del suo laboratorio. Con lui riusciamo a formulare un progetto che non sia di sola sussistenza ma abbia prospettive di micro-impresa che nel tempo possa svilupparsi autonomamente e auto-finanziarsi.Stiliamo un preventivo di spesa, che alla fine prevede un investimento di $ 7700 e darebbe lavoro a una famiglia e altre 5-7 donne.Il prodotto ha uno smercio sicuro e nella misura delle risorse può impiegare anche più persone.




هل بإمكانكم مساعدتنا؟

domenica 13 dicembre 2015

"Un domani che non arriva. Noi osiamo essere insieme fino in fondo": da Aleppo i Maristi

Con la benedizione del Signore, è stata aperta la Porta santa ad Aleppo, nella Chiesa di S. Francesco D`Assisi. Il Celebrante era Mons. George Abou Khazen con la presenza dei vescovi dei vari Riti orientali e con la presenza di un numero elevato di Sacerdoti che hanno poi partecipato alla santa Messa.  Abbiamo iniziato nella Cappella maronita poi siamo arrivati alla Chiesa latina in processione fra i canti e gli inni di lode.   All`entrare dalla porta, i partecipanti hanno riempito la chiesa che si vestiva dei colori di viola e di bianco.

Nella sua Omelia, Mons. George ha illuminato i presenti con il significato del Giubileo e ha spiegato il Logo del Giubileo appeso nella Chiesa, sotto lo sguardo di tutti.

Nonostante che Aleppo viva in questi giorni dei momenti assai difficili a causa dei lanci di missili sulle abitazioni, la Celebrazione ha dato una grande consolazione nei cuori che si manifestava nel brillio negli occhi di tutti, iniziando dai vescovi fino a tutti i laici.
La nostra festa è grande e così anche la nostra gioia perché il Nostro è un Padre misericordioso che elargisce il suo perdono a tutti.


Dai Maristi: 

Questa mattina fa freddo ad Aleppo, un freddo quasi glaciale e noi non possiamo riscaldarci per la mancanza di gasolio… Siamo completamente senza elettricità da più di 50 giorni. Fortunatamente l’acqua, severamente razionata, è tornata dopo un’interruzione di diverse settimane. L’unica strada che collega la città al mondo intero è stata riaperta dopo un blocco di 13 giorni.
Ieri pomeriggio, A.H., un bambino di 9 anni è venuto da noi. Ha impiegato più di un’ora per arrivare. E’ il decimo di una famiglia con 12 figli. Voleva del pane. Sua madre l’ha mandato perché noi gliene dessimo. Non cessava di ripetere: “Spero di non restare deluso”. Non lo sarà. Ritornerà felice. Come lui molti bambini vivono in una situazione precaria: freddo, fame, salute minacciata, insicurezza….
Il 20 novembre il mondo intero ha celebrato la Giornata internazionale dei diritti del bambino. I bambini di Aleppo, come molti bambini del mondo, soffrono le atrocità della guerra nel momento in cui i grandi di questo mondo cercano i loro interessi. Che dire? Che fare? Come sostenere tanti e tanti bambini nella miseria? Come offrire a questi bambini un appoggio psicologico, umano e spirituale che permetta loro di vivere pienamente la loro infanzia?
Abbiamo scelto di assicurare loro un’educazione di qualità, un’educazione nell’autentica tradizione marista, un’educazione che secondo l’auspicio del nostro fondatore san Marcellino Champagnat, fa del bambino nel futuro “un virtuoso cittadino e un buon credente”.
Mentre discutevo, una giovane volontaria mi pone una domanda: “Perché sto perdendo i migliori anni della mia vita? Perché non sono come tutti i giovani del mondo? Perché non ho il diritto di vivere pienamente la mia giovinezza? E’ questa la volontà di Dio? Perché non risponde alle nostre preghiere e alle nostre suppliche? Malgrado tutta la nostra fiducia in Lui, non vediamo la fine di questo tunnel…”
Che risposta dare, a lei e a tanti giovani? Ascoltarli, sostenerli, cercare di balbettare delle parole di fiducia e di fede. Non è sempre facile!
I nostri giovani vivono angosciati…cercano di partire…di lasciare questo inferno senza scampo…I genitori vengono a chiedere consiglio…Cosa dire? Che risposta dare quando il quadro appare sempre più minaccioso e angosciante. Nel cielo di Aleppo, come nel cielo di tutta la Siria, terra di pace e civilizzazione, le grandi potenze si affrontano…Uomini di ogni razza e nazione, armi, aerei…Il nostro paese è diventato una terra e un cielo di scontri.
I genitori sono anch’essi tormentati. Molte delle loro famiglie o dei loro amici si sono già stabiliti altrove, in un altro paese, in un’altra città siriana. Quale futuro li aspetta?
Alcuni amici mi domandano talvolta” Tu, Frère, vuoi restare, non hai voglia di lasciare, partire, andare a vivere in un’altra comunità altrove, lontano da questa situazione drammatica?”
La mia risposta è molto semplice :
” Per noi Maristi blu,
Vivere ad Aleppo è accettare il rischio di attendere…
Attendere la pace, Attendere il ritorno alla vita
Attendere la nascita della civiltà dell’amore…
In questo tempo di attesa, in questo tempo dell’Avvento, per noi tutto assomiglia all’attesa di più di 2000 anni fa.
Un’attesa piena di domande.
Un domani che non arriva.
Noi osiamo essere insieme fino in fondo.”
E’ vero che molte famiglie attorno a noi partono, sono erranti come la coppia e il loro figlio di 2000 anni fa. Essi andavano per le vie del mondo alla ricerca di non si sa quale paese sicuro. Lungo la loro strada scoprono che la sola certezza che potevano vivere è la loro fede in Dio”.
Al giovane che un giorno mi ha chiesto: “Frère, stiamo vivendo la fine dei tempi?” io ho risposto ”spero che stiamo vivendo la fine dei tempi dell’odio”.


Parlare della paura è parlare di Aleppo o di qualunque altra città della Siria…
Parlare della paura è parlare di uomini e donne angosciati ad ogni sorgere del giorno
Noi abbiamo scelto di restare accanto al popolo siriano che soffre, di servirlo, di testimoniargli l’amore di Dio, di essere dei testimoni della luce in un tempo di oscurità, testimoni della pace in un tempo di violenza inaudita.


Le nostre attività continuano…
I Panieri alimentari sono distribuiti ogni mese senza interruzione.
In occasione delle varie feste (Aid Al Adha e Natale), abbiamo anche distribuito scarpe e vestiti a tutti gli adulti e a tutti i bambini delle famiglie di cui ci occupiamo.
Il nostro progetto “goccia di latte” prosegue. Consiste nella distribuzione a tutti i bambini al di sotto dei 10 anni di età di latte in polvere o latte per i neonati.
Rispondiamo positivamente a ogni domanda di aiuto per l’ affitto. Il nostro progetto aiuta completamente più di 100 famiglie sfollate.
Attraverso il nostro programma di aiuto sanitario, offriamo sostegno molti malati che si sono rivolti a noi per un trattamento medico o per operazioni chirurgiche.
Il progetto “Feriti civili di guerra” continua a salvare la vita di numerose persone ferite dalle esplosioni dei colpi di mortai che cadono quotidianamente sui quartieri di Aleppo.
Il nostro centro di formazione, il M.I.T., che riscuote molto successo ha lanciato il suo nuovo programma per i prossimi due mesi.
I tre progetti educativi e di sviluppo “Voglio imparare” “Imparare a crescere” e “Skill School” stanno per giungere alla fine del primo semestre con molte attività che rispondono ai bisogni dei bambini o degli adolescenti.


Vorrei terminare la mia lettera con queste parole dell’Abbé Pierre:
Io continuerò a credere, anche se tutti perdono la speranza.
Io continuerò ad amare, anche se gli altri distillano odio.
Io continuerò a costruire, anche se gli altri distruggono.
Io continuerò a parlare di pace, anche nel bel mezzo di una guerra.
Io continuerò a illuminare, anche in mezzo alle tenebre.
Io continuerò a seminare, anche se gli altri calpestano il raccolto.
E io continuerò a gridare, anche se gli altri tacciono.
E io disegnerò sorrisi sui volti in lacrime.
E porterò sollievo, quando si vedrà il dolore.
E offrirò motivi di gioia dove c'è solo tristezza.
Inviterò a camminare colui che ha deciso di fermarsi ...
E tenderò le braccia a coloro che si sentono esausti. "
(Abbé Pierre)


Buon cammino verso Natale!
Con voi, noi scegliamo la vita.


Per i Maristi Blu
Fr. Georges Sabe

giovedì 10 dicembre 2015

Aleppo, una Porta Santa aperta tra le macerie della guerra

Moalem Arabi school in Souk Mahali west Aleppo, shelled yesterday by the "moderate" terrorist rebels.
Oggi 29 martiri, tra cui 10 bambini, 
e più di 100 feriti 

Questa Porta sarà per noi la difesa dal male che vuole sopraffarci e segno della Provvidenza divina che ci assiste”.


S.I.R.  6 novembre 2015
di Daniele Rocchi

Il 13 dicembre nella città martire siriana, sotto assedio dal 2012, verrà aperta la Porta Santa nella parrocchia di san Francesco, colpita e danneggiata il 25 ottobre da un lancio di granate. Poteva essere una strage se l’ordigno fosse esploso all’interno invece che all’esterno. Nonostante ciò saranno centinaia i fedeli che l’attraverseranno. Il vicario apostolico di Aleppo, il francescano Georges Abou Khazen: “vinceremo questa guerra con la preghiera, la solidarietà tra di noi e con la misericordia”


Una Porta Santa tra le macerie di una guerra. Se la parola “misericordia” può avere ancora un senso in mezzo a centinaia di migliaia di morti e feriti, a milioni di sfollati e rifugiati, acquista un valore esemplare in una città come Aleppo, un tempo la più popolosa della Siria (4 milioni circa di abitanti) e sua capitale economica. Dal 2012 Aleppo è al centro di aspri combattimenti tra l’Esercito regolare del presidente Assad, i ribelli e i miliziani dello Stato Islamico (Isis). Per questo è stata definita la “Sarajevo del XXI secolo”. Prima dell’inizio delle ostilità, la comunità cristiana era formata da poco meno di 200mila membri. Oggi si sono dimezzati, attestandosi intorno ai 90mila, tutti concentrati nella parte di città in mano alle forze governative. La popolazione complessiva, invece, è scesa a circa 1,9 milioni di persone.

Porta chiusa al male… “Siamo senza acqua, senza energia elettrica e senza carburanti. Mancano i generi di prima necessità. Granate, bombe e razzi possono colpirci in ogni momento e in ogni luogo – racconta il vicario apostolico di Aleppo, il padre francescano Georges Abou Khazen –. Il 3 novembre l’esercito regolare ha ripreso il controllo della strada che porta in città e così sono ripresi anche i trasporti di viveri e rifornimenti. Ma non sappiamo quanto durerà”. Nonostante la gravità della situazione gli abitanti di Aleppo resistono. Resistono anche i cristiani la cui fede non appare scalfita dalle bombe, dalla violenza e dall’avanzata dell’Isis. “Sappiamo di essere tutti sotto tiro” riconosce il vicario.
Ad Aleppo tutti sono dei potenziali martiri, in modo particolare i cristiani, nel mirino anche per la loro fede che non vogliono abbandonare per nessuna ragione. Per loro celebrare l’Anno santo della Misericordia rappresenta un motivo ulteriore di speranza.
Non è un caso che la Porta Santa di Aleppo si trovi proprio nella parrocchia di san Francesco, nel quartiere di Aziziyeh, colpita alla fine di ottobre da una granata, sparata dai ribelli, che fortunatamente è esplosa prima di sfondare il tetto, squarciando la cupola, ma ferendo solo sette persone in maniera non grave. Quella di san Francesco è l’unica chiesa della zona ad essere ancora agibile, un rifugio per molti fedeli. Delle 30 chiese attive ad Aleppo prima delle ostilità, oggi metà sono distrutte o inaccessibili. Una Porta Santa aperta tra le macerie di una chiesa che non vuole piegarsi al male e alla disperazione. “La vita della comunità cerca di proseguire in una parvenza di normalità – dice padre George – abbiamo aperto le scuole, gli scout, l’oratorio, il catechismo. Il numero dei ragazzi è molto diminuito ma continuiamo ad andare avanti per dare loro sostegno psicologico.
         Nonostante i rischi. Questa guerra la vinceremo con la preghiera, la carità, la solidarietà tra di noi e con la misericordia”.
 …e aperta al bene. “Il prossimo 13 dicembre apriremo la Porta Santa del Giubileo nella nostra Chiesa – annuncia il Vicario – ma altre due porte saranno spalancate a Damasco e a Latakia. Che la misericordia di Dio avvolga il nostro Paese. Siamo chiamati a far conoscere a tutti l’amore del Padre e ad avere misericordia gli uni degli altri. Questa Porta sarà per noi la difesa dal male che vuole sopraffarci e segno della Provvidenza divina che ci assiste”. Da questa porta passa il messaggio di Aleppo al mondo: “il Signore ci dona la sua misericordia. Egli ci accetta così come siamo, con tutte le nostre debolezze morali e materiali. Dio ci insegna ad avere misericordia verso il prossimo. Che questo Giubileo apra il cuore dell’uomo al pentimento, al perdono e all’accoglienza dell’altro desiderando per lui quello che vogliamo per noi stessi”.
Un messaggio e  la sfida. “La guerra in Siria – afferma padre George – ha deteriorato i rapporti di convivenza e i legami un tempo forti che esistevano tra cristiani, musulmani e le altre minoranze. La paura adesso è perdere del tutto la fiducia reciproca. L’Anno della Misericordia deve servire ai cristiani per ricostruire quelle tessere di convivenza e di amicizia che componevano il ricco mosaico siriano composto da 23 diversi gruppi etnici e religiosi. La misericordia può essere il collante giusto per riconciliare il Paese”. Ma serve uscire dalla guerra e, riconosce il Vicario, “questo purtroppo non dipende dai siriani ma dalle Grandi Potenze che decidono la nostra sorte.
Il conflitto ci è imposto da potenze straniere. A queste dico: lasciate dialogare i siriani che sanno cosa vogliono.   Non lo sanno invece gli Usa, l’Ue, l’Arabia Saudita, il Qatar, la Francia e altri paesi che perseguono solo i loro interessi particolari”.http://agensir.it/mondo/2015/11/06/aleppo-una-porta-santa-aperta-tra-le-macerie-della-guerra/