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domenica 13 settembre 2015

Il dramma di Aleppo: manca tutto

Gli scontri, migliaia di morti, 7 milioni di sfollati: è questa la Siria oggi. La città più colpita diventa però il simbolo della rinascita: tre coraggiosi frati francescani aiutano la gente portando acqua, cibo e aiutando gli studenti.

di Maria Acqua Simi

Quattro anni di guerra, oltre sette milioni di sfollati, metà del Paese in balìa di gruppi di briganti e ribelli islamisti o delle milizie dell’ISIS. Mentre l’altra metà - quando non si combatte nelle città, quartiere per quartiere - è ancora sotto il debole controllo dell’esercito regolare del presidente Bashar al Assad. È questa la Siria da cui centinaia di migliaia di persone stanno fuggendo: cristiani, musulmani, curdi. È la Siria di Aylan, il bambino annegato al largo delle coste turche e la cui foto (vedete l’editoriale) ha fatto il giro del mondo.

La grande fuga
Qualcuno cerca di arrivare in Europa, altri in Canada o in Australia. Ma sono i più ricchi. I poveracci muoiono per strada, rimangono intrappolati sui confini o nelle città siriane teatro di violenze indicibili. Senz’acqua, elettricità, lavoro, medicine. Sia le forze di sicurezza che i gruppi “ribelli”  hanno condotto diverse operazioni  su larga scala in villaggi e città, sfociate in esecuzioni di  massa, uccisioni, arresti,  conversioni forzate, rapimenti  e torture. In questo caos molte imprese, specialmente esportatrici  e importatrici, hanno chiuso i battenti.
Le folle di turisti che erano la linfa di un’industria moderna e fiorente che aveva creato milioni di posti di lavoro nei trasporti, nel settore dei servizi e degli alloggi, non vengono più. L’embargo internazionale sta impedendo qualunque possibilità di esportare, mentre i prezzi si sono impennati. Aleppo è forse l’esempio più grande di tutto questo. Proviamo a raccontarlo, con gli occhi di un amico francescano che è laggiù, padre Ibrahim, e che vogliamo provare ad aiutare nei prossimi mesi con una colletta del GdP, proprio come è stato ed è per i cristiani iracheni in fuga dall’ISIS, a Erbil, qualche mese fa.

La vita ad Aleppo
La casa di Bassam e della sua famiglia si trova a Middàn, che in arabo significa “campo”. Da quando è scoppiata la guerra in Siria, quattro anni fa, questo quartiere di Aleppo si è trasformato in un campo, sì, ma di battaglia. La zona è abitata prevalentemente da famiglie cristiane di origine armena, con molti figli ed è un dedalo di strade strette e case costruite una sopra all’altra, i negozi incollati alle abitazioni, le finestre piccole, gli edifici invece alti anche cinque o sei piani.
La casa di Bassam è a metà di una di queste: uno spazio modesto, due stanze e una cameretta dove si possono sedere quattro persone strette strette.  Era così, prima che una bomba di gas, seguita da alcuni colpi di mortaio, distruggesse lo sgabuzzino e incendiasse l’edificio vaporizzando in pochi secondi le povere cose che arredavano gli interni». La zona di Middàn ha subìto e continua a subire la sorte peggiore.
Le famiglie, in maggioranza poverissime, non ce la fanno ad abbandonare le case poiché non hanno altro luogo in cui rifugiarsi. Se ne stanno rintanate nelle loro case a distanza di solo 100 metri dalle milizie armate. la casa di Bassam ora ha un tetto di zinco, perché rifarlo in muratura è troppo rischioso». Ce lo racconta padre Ibrahim Alsabagh, 44 anni, francescano siriano parroco della comunità latina di Aleppo.  È grazie all’amicizia con lui e ai suoi racconti che possiamo entrare nel cuore della città, incontrare la famiglia di Bassam e la gente di Middàn. Che poi sono le famiglie di Maloula, Raqaa, Latakia, Knayeh, Yakoubieh e di altri nomi antichissimi che popolano i villaggi di questa bella e antica terra. Una terra che oggi ha bisogno di tutto.

L’emergenza sanitaria
Ad Aleppo la parrocchia di San Francesco, quella di padre Ibrahim, si trova nel quartiere di Azizìeh, zona ancora sotto il controllo del l’esercito regolare di Damasco. I frati - che in Siria vivono da secoli - sono presenti anche nella chiesa di Sant’Antonio di Padova, e poco lontano a El Ram, nel Convento di San Bonaventura.
Nonostante la linea del fronte sia ad un passo, con bombe e cecchini in ogni angolo, ospitano dalle 7 di mattina alle 20 di sera studenti universitari e liceali che vogliono studiare ma non hanno più un luogo dove farlo. Accolgono tutti: cristiani, musulmani, curdi.
Aiutano a distribuire l’acqua e il cibo, hanno realizzato un oratorio per i bambini, cercano di aiutare la gente a  pagare gli affitti e le rette scolastiche anche se ora si è aggiunta la drammatica emergenza sanitaria.
Occorrono nuovi fondi per fornire cure mediche e comprare medicine: molti medici  hanno abbandonato il Paese o sono stati uccisi e imprigionati. Ad Aleppo molto spesso è quasi impossibile eseguire interventi per la mancanza di acqua ed elettricità.  Per mancanza di farmaci chemioterapici i trattamenti sono sospesi e i prezzi delle operazioni più banali lievitati: oggi una semplice appendicite costa 1500 dollari invece di 400.  Sono in grave aumento le epidemiie e così l’impegno più grande dei francescani di Terra Santa è quello di riparare uno dei pochi ospedali rimasti in piedi nella città. Padre Ibrahim e i suoi fratelli non hanno però paura.

«Nonostante i nostri sensi ci dicano che non c’è più speranza e che Aleppo non avrà un domani, con gli occhi della fede continuiamo a vedere una salvezza per il nostro popolo. Continuiamo a sperare che, là dove gli uomini falliscono nella ricerca della pace, il Signore Risorto riuscirà. Noi saremo lì fino all’ultimo, punto di riferimento per i nostri e forse anche per gli altri. Basta guardare a come siamo diventati amici di tanti musulmani che prima - quasi - non guardavamo in faccia.  E poi tutta la solidarietà internazionale, che ci permette di sopravvivere. Anche se a volte non è sufficiente, ogni giorno sperimento il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci».

«Ne vale la pena»
Chiediamo a Ibrahim se vale la pena di rimanere, se c’è qualche segno di speranza. Ed è con la sua risposta che vogliamo chiudere questo articolo. «Valeva la pena di visitare le case semi-distrutte con gli uomini, le donne, i ragazzi e i bambini  che le abitano? Ho continuato a pormi questa domanda fino a quando il buon Pastore stesso ha mi dato la risposta, con un’altra domanda che spiega tutto: “Valeva la pena di toccare il lebbroso, prima di guarirlo? Non si poteva cioè guarirlo senza toccarlo?”.
Se si tratta di manifestare la tenerezza di Dio che distrugge tutte le divisioni e le barriere fra l’uomo e il suo Dio, se si tratta di manifestare il Suo Amore verso la Sua creatura colpita e martoriata, sì, stare qui vale la pena, perché ci ricorda come anche oggi Gesù non si vergogna di toccare la lebbra, pur di manifestare quanto Lui è presente».

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I 14 frati della Custodia di Terra Santa non hanno mai lasciato il Paese in guerra e operano in diverse zone: Lattakia, Damasco, Aleppo e in alcuni villaggi della valle Orontes.
Portano aiuti alla popolazione locale senza distinzione di appartenenza religiosa o nazionalità. Hanno anche creato quattro centri di accoglienza, che provvedono ai bisogni più immediati dei più poveri della popolazione: acquisto di cibo, indumenti e coperte in vista dell’inverno.  Si cerca anche di tamponare l’emergenza sanitaria dispensando medicine e provvedendo all’assistenza medica fondamentale, specialmente attraverso l’ospedale di Aleppo e i dispensari medici dei monasteri francescani. Cercano poi di offrire  sostegno agli sfollati trovando loro soluzioni di alloggio in caso le loro abitazioni non siano più accessibili, o ricostruendo le loro case.



«Aleppo, i martiri di una guerra che è artificiale»


Appesi alla speranza

Intervista  Padre Rodrigo Miranda
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«La Siria non è divisa. Si mantiene come un blocco e quello è ciò che dà loro forza. Quello fa anche arrabbiare chi la vuole distruggere. Il popolo non ha mai chiesto questa catastrofe in nome di chissà quale libertà. Chi vuole la distruzione della Siria? Gruppi terroristici finanziati e, spesso, composti da stranieri, appoggiati dalle potenze dell’Occidente, con un gruppo manipolato e minimo di siriani. In quelli che vengono chiamati “ribelli” ci sono circa 33 diversi gruppi, composti da quasi 83 Paesi diversi. Dall'altra parte si trova il governo e il popolo siriano. Il conflitto in Siria è stato conformato in questo modo fin dall'inizio e non con l'arrivo di Isis. Per questo dico che è un conflitto “artificiale”, perché è stato creato ad hoc da vari anni, premeditato da amministrazioni di Paesi che oggi tentano di apparire come i salvatori del Medio Oriente, ma che sono i colpevoli (identificati da tutti laggiù) della sofferenza». 
......     LEGGI QUI L'INTERVISTA:
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-aleppo-i-martiri-di-una-guerra-che-e-artificiale-13745.htm

PER SOSTENERE LE OPERE DEL VICARIATO APOSTOLICO DI ALEPPO:
Delegazione di Terra Santa - Banca CARIGE Agenzia 11 - ROMA
Iban:  IT48A0343105018000000155180
CAUSALE: Vicariato Apostolico di Aleppo

mercoledì 9 settembre 2015

Siria, l'errore del regime change ... e delle sanzioni

Yabroud: dopo tante distruzioni, inaugurata una nuova grande statua della Vergine Maria


La Nuova Bussola Quotidiana
Robi Ronza, 08-09-15


E’ una bella ipocrisia, come già ieri veniva ricordato, fare grande sfoggio di compassione per i profughi siriani (tra l’altro a spese di profughi di altra provenienza) mentre non solo non si fa nulla contro la guerra in corso in Siria, ma anzi in un modo o nell’altro si continua ad attizzarla.
Rientra perfettamente in questo orizzonte la notizia recentemente fatta circolare secondo cui il segretario di Stato americano John Kerry avrebbe protestato con il suo collega russo Sergei Lavrov per l’invio da parte di Mosca in Siria di un gruppo di esperti militari in missione esplorativa; e inoltre di alloggi-container nonché di impianti per un centro di controllo del traffico aereo destinati a un campo di aviazione. Secondo Kerry tale iniziativa contribuirebbe ad “aggravare il conflitto” in corso. Frattanto il Dipartimento di Stato ha fatto sapere di non essere certo delle intenzioni russe in proposito, ma di ritenere che grazie a questi materiali la base aerea cui sono destinati potrebbe più facilmente venire impiegata o come punto di arrivo di aiuti militari o come punto di partenza per missioni di bombardamento dell’aviazione governativa. Nell’insieme le due notizie, entrambe fatte deliberatamente filtrare in modo non ufficiale, costituiscono un tipico esempio di minuetto diplomatico. Un minuetto che in pratica si risolve in un ammonimento di Washington a Mosca, cauto nella forma ma molto chiaro nella sostanza. 
Gli Stati Uniti di Barack Obama insomma non abbassano la guardia, non rinunciano alla loro speranza di far cadere Bashar al Assad anche se ci tentano senza riuscirci ormai da quattro anni. E in quattro anni non hanno conseguito altro risultato se non quello di devastare la Siria e di destabilizzare il Medio Oriente. A questo punto occorrerebbe avere il coraggio di ammettere che il tentativo è fallito, e che la permanenza di Assad al potere è se non altro il meglio del peggio. Per far finire la guerra che porta cadaveri di bambini siriani sulle spiagge delle isole greche e migliaia di famiglie siriane all’assalto di treni ungheresi diretti in Germania occorre innanzitutto rinunciare a far cadere Assad. Bisogna mirare a una stabilizzazione della Siria (e quindi anche del Nord Iraq) che parta dal presupposto che, seppur variamente condizionato, Assad resti dove è.
Un primo e relativamente non clamoroso passo in questo senso sarebbe l’annullamento delle sanzioni contro il governo di Damasco che, come sempre accade in casi del genere, pesano innanzitutto sulle spalle del popolo e non del regime politico che così si vorrebbe colpire. Le sanzioni sono davvero l’ipocrisia nell’ipocrisia: a causa di esse tutto quel che resta dell’economia siriana viene ogni giorno sempre più disarticolato e distrutto. Ridotti alla fame dalle sanzioni, prima ancora che dalla guerra, i siriani che lo possono tentano l’esodo dal loro Paese. Molti muoiono nel tentativo ma quelli che, spogliati di ogni loro risparmio da passatori senza scrupoli, dopo sacrifici inenarrabili riescono ad arrivare in Germania vengono (per qualche giorno) accolti a braccia aperte. E tutto questo tra gli squilli di tromba di un circo mediatico televisivo che non vede un palmo oltre ciò che i governi gli rifilano ogni giorno. E va bene sempre tutto, anche se è il contrario di quanto gli rifilavano il giorno prima.
Tra i maggiori Stati membri dell’Unione Europea, l’Italia è quello che più di tutti ha interesse a una soluzione pacifica e fruttuosa delle due crisi aperte nella regione euro-mediterranea, ossia quella della Siria e quella dell’Ucraina. E’ chiaro non possiamo muoverci prescindendo dai vincoli che ci derivano dalle nostre alleanze e dall’appartenenza all’Unione Europea, però il nostro governo potrebbe pur sempre fare delle proposte ad alta voce. Per muovere le acque già basterebbe proporre l’annullamento delle sanzioni contro la Siria, e lanciare l’idea di una soluzione del problema delle aree russofone dell’Ucraina orientale sul modello dello statuto speciale internazionalmente garantito dall’Alto Adige SüdTirol.

Se vincessero i falchi che vogliono rovesciare Assad e vogliono le sue forze smantellate, si creerebbe una situazione simile alla Libia con jihadisti e affiliati di Al-Qaeda a farla da padrone. Ma se la crisi dei rifugiati è ora così drammatica, pensate solo quello che accadrà una volta che le numerose minoranze religiose della Siria inizieranno a fuggire disperatamente dalle nuove norme dei settari e fondamentalisti sunniti, armati fino ai denti con armi occidentali ....  (L'Antidiplomatico)

martedì 8 settembre 2015

Audo: " per noi è un dolore vedere le famiglie partire, è un segno che la guerra non finirà, o che alla fine prevarrà chi vuole distruggere il Paese”.



8 settembre 2015, festa della Natività di Maria 

Agenzia Fides 

L'appello di Papa Francesco affinché le parrocchie e i santuari europei accolgano ciascuno una famiglia di profughi “esprime la sua sollecitudine verso chi soffre, ed è un invito a tutti i cristiani ad aiutare con evangelica concretezza chi si trova in situazioni di emergenza, come quelle vissute da chi veniva respinto alle frontiere”. Nello stesso tempo, “davanti alle guerre che stravolgono il Medio Oriente, il nostro desiderio come cristiani e come Chiesa è quello di rimanere nel nostro Paese, e facciamo di tutto per tener viva la speranza”. 
Così il gesuita Mons. Antoine Audo, Vescovo di Aleppo dei Caldei e Presidente di Caritas Siria, espone all'Agenzia Fides alcune considerazioni in merito all'iniziativa pontificia volta a mobilitare le comunità cristiane d'Europa nell'accoglienza ai profughi provenienti dalle aree di conflitto dell'Africa e dell'Asia. 
Proprio gli emigranti fuggiti dalla Siria e diretti in Germania – che ha aperto loro le porte – sono in questi giorni al centro dell'attenzione mediatica globale. I criteri con cui il Presidente di Caritas Siria guarda a questi fenomeni sono quelli del lucido realismo geopolitico e della sollecitudine pastorale: 
“La situazione di degrado, l'aumento della povertà, la difficoltà a curare le malattie dopo quattro anni e più di guerre” racconta Monsignor Audo “ci stanno logorando tutti. Ad Aleppo l'estate trascorsa, con problemi di rifornimento idrico ed elettrico, è stata terribile. 

Oggi la città è stata avvolta da una tempesta di polvere, non si vede niente, e ci siamo detti tra noi: ci mancava solo questo.... Nello stesso tempo, non ce la sentiamo di dire alla gente: scappate, andate via, che qualcuno vi accoglierà. Rispettiamo le famiglie che hanno i bambini e vanno via. Non dirò mai una parola, un giudizio non benevolo su chi va via perché vuole proteggere i suoi figli dalle sofferenze. Ma per noi è un dolore vedere le famiglie partire, e tra loro tante sono cristiane. E' un segno che la guerra non finirà, o che alla fine prevarrà chi vuole distruggere il Paese”. 
Lo scenario prefigurato dal Vescovo caldeo è quello di una lenta, mortale emorragia che svuota il Paese delle sue forze migliori: “Anche ad Aleppo sento i racconti di giovani che dicono tra loro: facciamo un gruppo e andiamo via, fuggiamo da soli, senza chiedere il permesso alle nostre famiglie.... E' un fenomeno grave, di disperazione. Ma è quello che sta accadendo. Vuol dire che qui rimarranno solo i vecchi”. 

Inoltre, rispetto al fenomeno dei profughi e delle fughe di massa, il Presidente di Caritas Siria denuncia il sistematico occultamento delle dinamiche geopolitiche e militari che lo hanno provocato: “Noi facciamo di tutto per difendere la pace” spiega a Fides il Vescovo Audo, “mentre in Occidente dicono di fare tutto in difesa dei diritti umani, e con questo argomento continuano anche ad alimentare questa guerra infame. E' questo il paradosso terribile in cui ci troviamo. E non riusciamo più nemmeno a capire cosa vogliono davvero”. 

http://www.fides.org/it/news/58321-ASIA_SIRIA_Il_presidente_di_Caritas_Siria_non_possiamo_spingere_la_gente_ad_andare_via#.Ve3m9xHtmko


Se siamo uomini e non bestie

 perché non togliamo

 l’embargo alla Siria?



Qualche domanda al premier dopo la predica umanitaria:
Perché continuiamo a ingrossare l’esercito dei profughi e degli sfollati imponendo l’embargo alla Siria?

Tempi, 8 settembre 2015
di Luigi Amicone

Gentile presidente del Consiglio Matteo Renzi, 
cosa significa ricordarci che «siamo umani, non bestie» adesso che la Turchia ha deciso di aprire le frontiere ai profughi e la Germania di accoglierli? Sono anni che le tendopoli al confine della Siria fungono da copertura ai traffici di armi verso l’Isis e i qaedisti anti-Assad. Adesso Erdogan capisce il disastro a cui ha personalmente contribuito e gira all’Europa la patata bollente.

Dunque, piuttosto che rivolgersi al senso di umanità della gente comune, chi ha responsabilità di governo come le ha Matteo Renzi dovrebbe rivolgersi a se stesso e ai propri partner con domande tipo: perché continuiamo a ingrossare l’esercito dei profughi e degli sfollati imponendo l’embargo alla Siria? Perché continuiamo ad appoggiare i cosiddetti “ribelli” di Damasco e, attraverso i ricchi paesi islamici che fanno shopping in Europa e gonfiano i listini della Borsa newyorkese, continuiamo a sostenere l’avanzata del Califfato che è la principale causa dell’esodo biblico?

Leggi di Più: Renzi, perché non togliamo l’embargo alla Siria? | Tempi.it 

lunedì 7 settembre 2015

A due anni dalla Giornata di Preghiera per la Siria ... Fermiamo questa guerra!


Benvenuti rifugiati siriani. Ma è ora di fermare i tagliagole dell'ISIS


Dopo che ci siamo entusiasmati per le automobili in colonna sulle autostrade europee, abbiamo pubblicato sui social network l’immagine del piccolo Aylan, abbiamo cantato l’Inno alla gioia ai siriani in arrivo nella stazione di Monaco, è ora che tiriamo qualche riga. Perché i profughi mediorientali  non sono sbucati dal nulla: arrivano dai paesi dove imperversano i tagliagole dell’Isis. 
La verità che pochi vogliono sentirsi dire l’ha pronunciata davanti alle telecamere  un ragazzino siriano di tredici anni, Kinan Masalmeh, rifugiato nella stazione di Budapest: «Fermate la guerra in Siria, per favore. Fermatela adesso e noi non verremo in Europa».  
È ciò che ripete ormai da qualche anno qualsiasi vescovo o prete di parrocchia siriano o iracheno. Sono tutti guerrafondai? No, ma hanno a che fare con l’Isis tutti giorni. E quel che chiedono è un aiuto vero e intelligente, diverso da quello messo in campo dall’Occidente con le sanzioni o da Barack Obama che col suo sostegno ai “ribelli moderati” (ipocrita eufemismo) ha finito per aggravare la situazione. 
Come ha detto il patriarca cattolico greco-melkita Gregorio III Laham: «Ai governi occidentali dico che il punto centrale non è accogliere e ospitare i profughi, ma fermare il conflitto alle radici. Tutti devono essere coinvolti, dall’occidente alle nazioni arabe, dalla Russia agli Stati Uniti. Questo è ciò che aspettiamo, la pace. Non parole sui migranti e discorsi sull’accoglienza».

      Tempi, 7 settembre 2015


venerdì 4 settembre 2015

Gregorio III Laham: "Non parole sui migranti e discorsi sull’accoglienza. Mai più la guerra”.


Asianews , 04-09-15
“Tutto il mondo ha visto la foto del bambino curdo siriano” morto sulle spiagge della città turca di Bodrum, e “a questo proposito voglio lanciare un appello: per evitare simili tragedie il punto è fare la pace, garantire la salvezza e il futuro del Medio oriente”. 
È un appello accorato e lucido quello che il Patriarca melchita Gregorio III Laham consegna ad AsiaNews, mentre il mondo guarda ancora con dolore e commozione alla foto del piccolo Aylan, simbolo di questo terribile conflitto che da quattro anni insanguina il Paese.
Ai governi occidentali e all’Europa, prosegue, “dico che il punto centrale non è accogliere e ospitare i profughi, ma è fermare il conflitto alle radici. Tutti devono essere coinvolti, dall’Occidente alle nazioni arabe, dalla Russia agli Stati Uniti. Questo è ciò che aspettiamo, la pace… Non parole sui migranti e discorsi sull’accoglienza. Mai più la guerra”.

In questi giorni il patriarca melchita ha inviato una lettera ai giovani cristiani, chiedendo loro di fermare lo “tsunami” dell’emigrazione, che rischia di svuotare il Paese della presenza cristiana. Una ondata migratoria che investe la Siria, come il Libano e l’Iraq e che la guerra e le violenze dei movimenti jihadisti - fra cui lo Stato islamico - hanno contribuito ad accelerare. 
Secondo le ultime informazioni, dal 2011 almeno 450mila degli 1,7 milioni di cristiani siriani hanno abbandonato le loro zone di origine. Ora vivono all’estero o sono considerati rifugiati interni al loro stesso Paese. Nel vicino Iraq la popolazione è scesa da un milione a meno di 300mila nell’ultimo decennio, e continua a scendere. 

Ad AsiaNews il patriarca melchita racconta di aver scritto la lettera per dire ai giovani siriani “che siamo interessati a loro, siamo interessati alla loro fede, alla loro vita, alla loro educazione, alle loro tradizioni e al loro futuro”. “Noi vogliamo che rimangano - aggiunge - e prenderci cura di loro, ma al tempo stesso vogliamo star loro vicino anche se decidono di andarsene. E fondare nuove parrocchie nei luoghi della diaspora, dove questi giovani trovano rifugio”. 
Gregorio III Laham parla di “pena spirituale e affetto” verso le nuove generazioni, il futuro della Chiesa perché “una Chiesa senza gioventù non è viva”. Egli chiarisce che “non vogliamo proibire loro di andare via, ma diciamo anche di avere pazienza e fiducia, e se partite noi vi siamo vicini”. 
I terroristi distruggono ogni germoglio della società civile, partendo dalle scuole e dagli istituti educativi. “Solo qui, in Siria - conferma il patriarca - sono state distrutte almeno 20mila scuole. E senza istruzione, questi bambini la cui infanzia è stata negata saranno i futuri terroristi, i nuovi membri di Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico]… Questo è il dramma più grande”. Per questo la sfida di noi cristiani, avverte, è quella di “continuare a essere presenti nella regione, anche se il cristianesimo è un bersaglio, per proseguire l’opera di dialogo con i musulmani. Senza i cristiani ci sarebbe un vero e proprio shock di civiltà”. 

Per garantire la vita e il futuro della comunità, la Chiesa siriana si è attivata per sostenere piccole iniziative con la modalità del microcredito. Vi sono a disposizione circa 50mila dollari, che vengono suddivisi in piccole somme a sostegno di progetti mirati. “Realizzare candele, preparare il cibo in casa, costruire un forno per la produzione di pane - conclude il patriarca melchita - sono alcune fra le varie proposte. E poi vogliamo aiutare le famiglie che tornano nei villaggi un tempo distrutti e ora in pace, dando loro almeno una stanza in cui ricominciare a vivere, riprendere a poco a poco il percorso dove era stato interrotto”. 


tweet da @Pontifex: “La guerra è madre di tutte le povertà, una grande predatrice di vite e di anime”


Il piccolo siriano alla polizia ungherese:
 "Fermate la guerra adesso. Semplicemente fermate la guerra. Solo questo"

martedì 1 settembre 2015

Culla del Cristianesimo culla del martirio

Intervista a mons. Georges Noradounguian Dankaye : 
Obiettivo (purtroppo) raggiunto 



RADICI CRISTIANE N°105 - GIUGNO 2015
Secondo mons. Georges Noradounguian Dankaye, rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma, il vero obiettivo della guerra in Siria è già stato conseguito: mandare in frantumi l’equilibrio qui un tempo maturato che spingeva cristiani e musulmani a collaborare. Il proposito di eliminare Assad ha piegato il Paese agli interessi della comunità internazionale. Ma frustrare il più debole può renderlo Caino…


Al quarto anno di guerra in Siria il Paese è ormai allo stremo, senza una prospettiva concreta di pace per il futuro e con il rischio di veder scomparire per sempre l’importante comunità cristiana, da secoli presente sul territorio. Quale scenario e quali dolori devono affrontare i fedeli? Ne abbiamo parlato con mons. Georges Dankaye Noradounguian, Rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma ed Amministratore Apostolico dell’Esarcato Patriarcale armeno cattolico di Gerusalemme ed Amman.


Ci può descrivere l’attuale situazione in Siria ed in particolare della Chiesa Cattolica in Siria?
Le dichiarazioni del Papa sul genocidio armeno hanno provocato un accanimento dei bombardamenti nelle zone a maggior presenza armena, quasi si trattasse di una rappresaglia alle parole del Pontefice. La Chiesa Cattolica ha sempre incoraggiato la popolazione a pazientare ed a resistere nella speranza di una conclusione veloce del conflitto, purtroppo invece si è arrivati ad un punto in cui anche il clero comprende ed accetta il desiderio di molti di andare lontano da questa terra martoriata; una scelta dolorosa con l’auspicio di trovare un luogo di pace e di libertà. Certamente la guerra ha sempre le sue conseguenze, ma in Siria tali conseguenze hanno avuto un effetto maggiore. La Siria negli ultimi decenni ha avuto una certa stabilità economica, politica e finanziaria e si è distinta da altri Paesi per il livello di istruzione offerta ed i servizi nel campo della sanità. Con la guerra tutto ciò è svanito determinando una situazione tragica più di quanto si possa immaginare. I motivi che hanno scatenato la guerra sono essenzialmente politici, è una guerra nella guerra, ma quella più falsa è quella mediatica. All’inizio si è fatto credere nel bisogno di libertà e democrazia del popolo siriano e mi chiedo come si possa concepire un intervento di circa 80 Nazioni per liberare un popolo dal suo dittatore, laddove vi sono Paesi al mondo con dittatori ben più feroci di Assad e le cui genti sono ben più oppresse, per i quali però la comunità internazionale non riesce a coordinare due Stati per organizzare un intervento. Per quanto riguarda le minoranze poi, gli effetti della guerra sono uguali per tutti coloro che condividono la sorte del dolore, ancor più accentuati dalla disgregazione di famiglie, separate o spezzate nei loro legami affettivi.

Secondo Lei, come dovrebbe agire la comunità internazionale?
La comunità internazionale ha sbagliato i suoi calcoli a livello geopolitico e solo adesso lo sta ammettendo in maniera discreta, anche se il silenzio della comunità internazionale è complice per quanto sta accadendo in Siria così come in Egitto, Libia ed altri Paesi. Innanzi tutto, sarebbe necessario fermare l’afflusso di combattenti provenienti da altri Stati, che non c’entrano nulla con la Siria; la politica non ha una religione, ma ha i suoi interessi, vi sono Nazioni, che inviano combattenti per sostenere le proprie motivazioni. I Paesi del Golfo non si esprimono mai ma ritengono di essere esportatori di democrazia, anche se al loro interno vi sono evidenti limitazioni, ad esempio per quanto concerne i diritti delle donne.

Non sarebbe stato più opportuno, per aiutare la popolazione siriana, favorire le purtroppo poche organizzazioni o i tanti istituti missionari da sempre presenti sul posto, anche ad Aleppo, impegnati a distribuire aiuti in modo competente e imparziale alla popolazione?
La cosa migliore sarebbe stata certamente quella di evitare la guerra: è uno scandalo prima vender le armi e poi pensare di inviare aiuti umanitari. Il popolo siriano non aveva bisogno di aiuto, ma si è dovuto sottomettere agli interessi della politica internazionale. Se fosse stato speso per esso solo il 20% di quanto investito in armi, lo si sarebbe potuto aiutare a fare passi da gigante in molti campi, compiendo notevoli passi in avanti. Ma questo, evidentemente, alla politica internazionale non interessava…

Come in Libia, anche in Siria, le potenze occidentali hanno sostenuto le cause dei cosiddetti ribelli con il risultato di generare un caos politico e sociale. Quale soluzione potrebbe portare finalmente ad un cessate il fuoco e ad un minimo di stabilità?
Gli obiettivi di questa guerra sono già stati raggiunti, la laicità siriana è andata a pezzi e ci vorranno decenni per riportare la situazione ad un livello di normalità, in grado cioè di porre un cristiano ed un musulmano sullo stesso livello. Quello che mi domando è: è mai possibile punire una Nazione per un’antipatia verso una sola persona?

Ritiene verosimile la possibilità della definitiva scomparsa dei cristiani dalla Siria e dall’Iraq?
Se la guerra continuerà, certamente non rimarranno molti cristiani, anche se bisogna distinguere fra giovani e anziani: i primi sono demotivati e dunque più facilmente disposti ad andare altrove, mentre i secondi sono ormai legati affettivamente e troverebbero difficile l’idea di spostarsi in un altro Paese.
La comunità cristiana è molto attiva, ma dover ricominciare da zero dopo ogni guerra ha determinato una frustrazione che li ha spinti ad emigrare all’estero. La Chiesa continua la sua opera ove possibile ossia lì ove il governo garantisca il proprio controllo.

Cosa pensa dei giovani provenienti dall’Europa, che si arruolano nell’ISIS ? 
 Purtroppo anche noi, come comunità internazionale, ci siamo lasciati sopraffare dalla nostra presunzione di onnipotenza, lamentandoci della dittatura degli altri senza vedere quella che noi cerchiamo di imporre con le nostre risorse finanziarie. Frustrare il più debole, frustrare una popolazione per molti anni, un giorno potrebbe risvegliare il Caino che ha in sé e spingerla a compiere del male inimmaginabile. Tanti kamikaze sono nati per questo motivo e sono disposti in un certo senso a compiere, dal loro punto di vista, un martirio per vendicarsi della frustrazione subita per tutto questo tempo. 

domenica 30 agosto 2015

Neppure la Madonna è al sicuro a Damasco

Rinviato il pellegrinaggio della Madonna di Fatima in Siria



Il Sismografo- Luis Badilla

Il rettore del Santuario di Fatima ha annunciato che il pellegrinaggio della statua della Madonna di Fatima in Siria, in programma per settembre, è stato rinviato per motivi di sicurezza.
P. Carlos Cabecinhas ha spiegato in un comunicato stampa di aver ricevuto dal Patriarca Gregorio III Laham un messaggio nel quale afferma che a causa di una situazione a Damasco, che si è molto aggravata negli ultimi giorni, "di non ritenere appropriato che abbia luogo la visita di Nostra Signora di Fatima alla diocesi in questo momento". Gregorio III Laham, chiede infine il rinvio a una data successiva "più favorevole". 


P. Carlos Cabecinhas conclude il suo comunicato annunciando che la visita prevista a Damasco dal 7 al 9 settembre sarà quindi rinviata come auspicato dal Patriarca  di Antiochia, di tutto l'Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti.


L'obbiettivo della visita che era stata annunciata il 12 agosto scorso era di manifestare solidarietà e vicinanza ai cristiani in Medio Oriente, uccisi o costretti a fuggire dai militanti del così detto Stato Islamico.
Il vescovo di Leiria-Fatima, mons. António Augusto dos Santos Marto aveva dichiarato che “in questo modo  – vogliamo rispondere all’appello dei vescovi della regione mediorientale, testimoni dello sterminio dei cristiani di fronte all’indifferenza della comunità internazionale”. Ricordando i numerosi appelli lanciati anche da Papa Francesco contro la persecuzione dei cristiani in Iraq ed in Siria, mons. dos Santos Marto aveva invitato a non dimenticare le vittime “dell’intolleranza e del fondamentalismo”. 

“La Siria vive un dramma che reclama una solidarietà urgente, concreta, efficace a livello internazionale”.

http://ilsismografo.blogspot.it/2015/08/portogallo-rinviato-il-pellegrinaggio.html#more

http://www.agencia.ecclesia.pt/noticias/nacional/fatima-visita-da-imagem-peregrina-a-siria-foi-adiada/

venerdì 28 agosto 2015

Se non si fermano le guerre non si fermano neppure i rifugiati.

Sono tanti i cristiani siriani che trovano la morte nel Mediterraneo


Aiuto alla Chiesa che Soffre, 28 agosto 2015

«Molti cristiani hanno cercato un futuro migliore in Europa attraversando il Mar Mediterraneo. Alcuni ce l’hanno fatta, altri hanno trovato la morte in mare. Ma la disperazione continua a spingere i nostri fratelli nella fede a far salire i propri figli su quei barconi».

Al telefono da Damasco, Samaan Daoud racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre il dramma dei tanti cristiani di Siria che in oltre quattro anni di crisi sono stati costretti ad abbandonare il proprio paese, soprattutto a causa della loro fede. Secondo quanto riferito ad Aiuto alla Chiesa che Soffre dall’agenzia Habeshia, tra i tanti profughi che approdano sulle coste italiane, i siriani rappresentano il gruppo maggiormente numeroso. E tra loro è alto il numero di cristiani. La stessa agenzia ha rivelato come negli ultimi anni, la percentuale dei cristiani tra i naufraghi che giungono sulle nostre coste sarebbe aumentata di circa il 30%.

 «Almeno tre volte a settimana un pullman parte da Duelha e Tabbale, due dei principali quartieri cristiani di Damasco, con a bordo venti o trenta ragazzi giovanissimi in cerca di un futuro migliore. Un mio amico ha da poco fatto partire suo figlio, di appena 16 anni». Il viaggio costa almeno 2500 dollari. Dalla capitale siriana si arriva a Beirut, da dove i profughi si imbarcano per raggiungere la Turchia e poi l’Europa. «Chi può permettersi di pagare di più, può viaggiare in navi sicure. Gli altri devono rischiare la vita sui gommoni».

In questi anni, molte famiglie siriane hanno trovato la morte in mare. Un cristiano è naufragato appena due settimane fa assieme alla sua famiglia al largo delle coste turche. L’uomo è stato seppellito in Turchia, mentre i corpi della moglie e dei suoi due figli non sono mai stati ritrovati. «Lo conoscevo bene, viveva nel mio quartiere e frequentava la parrocchia delle suore del Buon Pastore non lontano da casa mia». Altre famiglie cristiane provenienti dal Nord della Siria sono morte nel Mediterraneo qualche mese fa.
«Sono tutti volti a noi cari e conosciuti, come un mio amico farmacista che un anno e mezzo fa è stato accoltellato su un barcone e poi gettato in mare».

Nonostante le molte tragedie, la tragica situazione siriana spinge sempre più cristiani a cercare un futuro migliore all’estero. «Un mio amico ha messo in vendita la sua casa per ottenere il denaro necessario a partire. Come lui molti altri che quasi sicuramente non torneranno più in Siria. E questo è il grande pericolo che affrontiamo tutti noi cristiani d’Oriente».



 di Patrizio Ricci

Sono le notizie più diffuse quotidianamente: quelle sui migranti. Come sempre, ci descrivono tutti i particolari. Cosa indossano, in quanti arrivano, le loro condizioni, i salvataggi in mare. Ci tengono aggiornati delle drammatiche morti durante il tragitto. Ci raccontano le sofferenze, gli abusi subiti, le vessazioni e le percosse durante il viaggio… Ci parlano con disprezzo del governo ungherese che innalza muri, ed esaltano il nostro governo che invece – dicono –  è il migliore. Dicono che il trattato di Dublino va corretto e che gli altri paesi se ne lavano le mani.
Il messaggio si sussegue continuamente durante la giornata sui nostri schermi televisivi, viene ripetuto incessantemente. Lo ha detto l’on Boldrini, lo dicono tutti: «La Ue non sia indifferente, salvare vite è la priorità».  Dichiarazione sacrosanta. Ma solo apparentemente. Sì, perchè noi, proprio noi, europei, italiani, siamo causa del problema.  Ed è scomodo dirlo, perciò un’informazione omologata, cassa di risonanza del potere non può farlo.  Cosicchè nei bollettini di morte e nelle discussioni parlare delle cause di questo sconvolgimento non ha diritto di asilo.
Non ci dicono da cosa fuggono.  La ‘svista’ è troppo clamorosa per pensare che sia casuale e non premeditata. La risposta ci coinvolge come responsabilità di quel male. La principale causa dell’esodo in corso è il caos e la miseria che gli USA e l’Europa hanno portato con la guerra in Libia, Siria, Iraq, Yemen, Somalia.
Qualche accenno in verità c’è, ogni tanto, da parte di qualche politico che ammette laconicamente: ‘è stato un errore la guerra di Libia’ e ‘ si deve trovare una soluzione alla crisi siriana’.  Ma è evidente che è ipocrisia allo stato puro, indegna per un paese (che si dice) libero, democratico, civile.
L’Italia sta ancora contribuendo ad alimentare direttamente o indirettamente  quelle guerre con le sanzioni che affamano il popolo siriano cosicchè alle sofferenze subite da ISIS e fratellanza varia , si aggiungono quelle inflitte dall’occidente.
Per l’Italia i terroristi sono ancora  ‘gli unici rappresentanti del popolo siriano’.  La sua posizione è immutata nonostante la realtà sia cambiata velocemente. Ed allora con una mano si salvano i profughi e con l’altra si creano le condizioni degli esodi di massa dei popoli.

Erano “siriani” i migranti morti asfissiati nel camion in Austria


Il problema sono le guerre che assediano l’Europa non i profughi. Se non si fermano le guerre non si fermano neppure i rifugiati. Le migrazioni da fenomeno di natura essenzialmente economica e sociale sono diventate qualche cosa d’altro, il risvolto inevitabile di questioni irrisolte e che si sono aggravate: dalla Siria all’Iraq e alla Libia, dallo Yemen all’Afghanistan, dal fallimento di Stati come la Somalia a dittature africane come quella in Eritrea.....
Alberto Negri, ilsole24ore:    http://www.siriapax.org/?p=20118

mercoledì 26 agosto 2015

Colpi di mortaio su due chiese di Damasco. Aleppo allo stremo.

L'Arcivescovo maronita: la nostra vita è come una roulette russa


Agenzia Fides 26/8/2015


Nella giornata di domenica 23 agosto, una pioggia di colpi di mortaio provenienti dalle aree in mano alle milizie anti-Assad è caduta nell'area della città di Damasco dove si trova la chiesa maronita. Lo riferisce l'Arcivescovo maronita Samir Nassar, in un appello-comunicato pervenuto all'Agenzia Fides, specificando che i colpi d'artiglieria hanno provocato la morte di nove civili e il ferimento di quasi cinquanta persone, oltre a danneggiare la sua chiesa e una vicina parrocchia cattolica di rito latino. 
"Fa parte della guerra di Siria” aggiunge l'Arcivescovo Nassar nel suo appello “il fatto di vivere sotto bombardamenti indiscriminati, come in una sorta di roulette russa, che è sempre imprevedibile... Di coloro che sono morti” aggiunge l'Arcivescovo, con considerazioni amare “i sopravvissuti dicono: 'Almeno non dovrete più vedere e vivere questa crudele tragedia senza fine. Non vedrete i vostri figli, i vostri amici e i vostri vicini soffrire e morire per la violenza cieca e il fanatismo sanguinario, incapaci di salvarli o di aiutarli, senza capire perché'. I sopravvissuti seppelliscono i morti, senza aver potuto curare i feriti, dal momento che mancano gli strumenti e le competenze necessarie. Essi si immergono in silenziosa preghiera davanti alle reliquie dei martiri, che sono i semi della fede”.

http://www.fides.org/it/news/58241-ASIA_SIRIA_Colpi_di_mortaio_su_due_chiese_di_Damasco_L_Arcivescovo_maronita_la_nostra_vita_e_come_una_roulette_russa#.Vd4rL_ntmko




Padre Alsabagh (Aleppo): vi racconto 

come si vive con i terroristi alle porte


La mancanza di elettricità, gli uomini mutilati, le case distrutte, la gente che vive per strada, i giovani senza un futuro. E soprattutto una città rimasta senz’acqua per un mese e mezzo in un luogo dove d’estate le temperature raggiungono i 50 gradi. Padre Ibrahim Alsabagh, 44 anni, francescano e da nove mesi parroco della comunità latina ad Aleppo in Siria, racconta la dura realtà quotidiana che sta vivendo. Fatta di bombe che piovono dal cielo, ma anche di studenti che si presentano in parrocchia per chiedergli una stanza dove studiare, perché anche se c’è la guerra non vogliono rinunciare a dare gli esami all’università. Oggi, sabato 22 agosto, padre Alsabagh interverrà al Meeting di Rimini, dove porterà la sua testimonianza nel corso dell’incontro “Una ragione per vivere e per morire: martiri di oggi”.

Il Sussidiario, 23 agosto
Perché ha accettato una missione così difficile come quella ad Aleppo?
Prima di essere chiamato vivevo a Roma. Ho accettato perché dietro l’amico che ha bisogno c’è il Signore. Ciò che mi è chiesto è il servizio a un popolo sofferente, e nei momenti più bui e difficili della storia bisogna intensificare il proprio lavoro. Appena ho saputo delle difficoltà e dei bisogni della gente di Aleppo, non ho potuto fare altro che dire: “Eccomi, sono pronto per andare all’istante”.
Che esperienza si vive a essere catapultati da Roma a una zona di guerra?
Ciò cui purtroppo assisto ogni giorno è che la guerra deruba l’uomo della sua dignità. E’ ciò che mi addolora di più, in quanto l’uomo diventa sempre più sofferente e miserabile. Giovanni Paolo II diceva: “La guerra è il male più grande che l’uomo e il mondo abbiano conosciuto”. E’ ciò cui assistiamo ogni giorno ad Aleppo.
Tra i tanti drammi cui assiste quale è più doloroso?
Ultimamente lottiamo ogni giorno con la piaga della mancanza dell’acqua, in una città dove ieri la temperatura è arrivata a 50 gradi. Da un mese e mezzo ad Aleppo manca l’acqua corrente, e si assiste a scene strazianti come l’anziana di 90 anni che ogni mattina viene a rifornirsi al nostro pozzo con un grande secchio. In questo periodo quando al mattino aprivo gli occhi nella mia mente c’era una sola parola: “acqua”.
I cristiani di Aleppo subiscono anche violenze e minacce?
Nelle aree sotto la protezione dell’esercito di Assad esiste piena libertà di culto. Viviamo però nella paura terribile delle bombe che arrivano anche per strada e sopra agli edifici civili. E’ la principale minaccia alla nostra presenza, anche perché i siriani preferirebbero buttarsi a mare piuttosto che continuare a vivere così. Le bombe sono “regali di morte” che arrivano dal cielo e che distruggono tutto, lanciati intenzionalmente contro le zone abitate per terrorizzare la gente e farla evacuare.
Le è capitato anche di assistere a segni di speranza?
Quest’inverno ad Aleppo c’era molto freddo e mancava l’elettricità. Siccome è una città quasi desertica infatti c’è una forte escursione termica. Un giorno mi arriva un giovane e mi dice: “Padre, forse lei ha un angolo nella chiesa dove posso studiare al riparo dal freddo”. Per me le parole di quel giovane sono state come un’illuminazione divina. Subito mi sono deciso a fare qualcosa per lui e per le altre centinaia di studenti che stavano preparando gli esami universitari. Abbiamo attrezzato una sala parrocchiale con i banchi e le sedie e messo una stufa a gasolio. Con sorpresa, il giorno dopo sono arrivati fino a 100 ragazzi per studiare.
L’Isis ha distrutto il monastero di Mar Elian. E’ un segno di quello che accadrà ai cristiani se i fondamentalisti si diffonderanno?
Lo abbiamo visto nella distruzione di tantissime chiese, luoghi di culto anche musulmani e centri artistici. Parliamo di Maaloula ma anche di Palmira, di una cultura antica 5mila anni che purtroppo il fondamentalismo non risparmia. Distruggendo questi luoghi simbolo i terroristi intendono mandarci un messaggio: “Dovunque arriveremo, faremo tornare il mondo allo stato primitivo”. E’ questo il pericolo che corriamo, un pericolo che ogni giorno diventa sempre più imminente. I gruppi jihadisti ad Aleppo sono molto vicini a dove ci troviamo. La nostra paura è che entrino dove siamo noi, perché in quel caso ucciderebbero o rapirebbero centinaia di persone.
Tutto era iniziato con un anelito di libertà e si è arrivati alla violenza. Secondo lei perché?
Tanti sacerdoti sono stati i primi a dire che in Siria c’era bisogno di un vero rinnovamento. La Chiesa però ha sempre insistito sulla necessità di un cambiamento pacifico. Purtroppo queste parole non sono state accettate perché qualcuno voleva fare piazza pulita. Il vero motivo dietro alla Primavera araba era la volontà di distruggere un Paese. L’arrivo di tanti stranieri a combattere animati da un pensiero fondamentalista ha reso impossibile qualsiasi riconciliazione e cambiamento pacifico.

lunedì 24 agosto 2015

L'archeologo Buccellati: "Daesh distrugge perchè i valori rappresentati nel passato sono le radici del presente. Ma non esiste una volontà effettiva di bloccare il Califfato"

ISIS ha distrutto a Palmyra il tempio di Baal


S.I.R. 24 agosto 2015

Daniele Rocchi


“Conoscevo da circa 50 anni Asaad. Abbiamo iniziato la nostra carriera insieme. Khaled aveva appena assunto la direzione delle Antichità di Palmira e insieme avevamo iniziato una ricognizione del sito. Da allora siamo rimasti sempre in contatto. Rappresentava il meglio della tradizione siriana. Un collega serio e preparato che si faceva in quattro per risolvere ogni problema che si poteva presentare sul piano professionale”. 
Giorgio Buccellati, archeologo e professore emerito di Storia e Archeologia del Vicino Oriente Antico alla Ucla (University of California, Los Angeles) ricorda così l’archeologo siriano, il “collega e amico” Kahled Asaad, direttore del sito archeologico di Palmira, torturato e decapitato nei giorni scorsi dai terroristi del Califfato. Una vita dedicata alla scoperta, alla valorizzazione e alla difesa della storia e dell’arte oggi minacciate sempre più dalla furia iconoclasta dello Stato Islamico(Isis). La lista dei siti archeologici, in Siria e Iraq (Mosul, Ninive, Hatka, Nirmud, Homs, Palmira), distrutti dai miliziani del Califfato si allunga ogni giorno di più. L’ultimo della serie è stato il monastero cattolico di Mar Elian a Qaryqatayn, vicino a Homs , costruito nel V secolo d.C e raso al suolo nei giorni scorsi dai bulldozer del Califfo. 

Professore Buccellati, perché tutta questa furia rivolta dall’Isis contro archeologi, siti antichi e reperti storici? 
“Questa furia mostra la capacità dei terroristi di focalizzare l’attenzione su cose che hanno un valore emblematico. Il fondamentalismo teme il lavoro degli archeologi perché i valori rappresentati nel passato sono le radici del presente e per questo devono essere sradicati. L’Isis intende così dimostrare che tutto il patrimonio culturale che apprezziamo non vale nulla. Radendo al suolo i monumenti essi distruggono anche il nostro modo di rapportarci alla cultura. Per questo credo che non basti più scavare per riportare alla luce dei reperti da mettere nei libri di testo ma bisogna consegnarli al senso di identità dei popoli coinvolti”.

Si può parlare di attacco alla modernità? 
“Questo dell’Isis è un modo superficiale e ipocrita di vedere le cose. La modernità è un valore sottoscritto - se vogliamo - anche dal Califfato. Basti pensare alla grande capacità mediatica che hanno e che è parte della modernità. La vittoria dell’Isis, in questo momento, sta proprio nel farci credere che non vale la pena difenderci sul piano dei valori ma solo su quello militare. Sarà questa la vittoria dello Stato Islamico, se glielo permetteremo”.

Come rispondere a questa strategia del terrore? 
“Sicuramente occorre proteggerci ma senza abdicare ai nostri valori. Dobbiamo porre maggiore attenzione ai valori profondi della cultura, ai suoi significati cercando di farli arrivare non tanto all’Isis, che non ha nessuna intenzione di dialogare, quanto a tutti quei giovani chi si uniscono al Califfato. È terribile pensare a quanti giovani occidentali vadano a cercare risposte a dei presunti ideali. Ciò accade perché non diamo, politici e intellettuali in testa, delle risposte. Dovremmo essere più attenti ai valori e meno consumisti e materialisti”.

Non crede che sia giunto anche il momento di porre fine al commercio di opere d’arte trafugate col quale i terroristi finanziano le loro attività criminali? 
“Resta difficile capire come l’Isis - isolato e circondato - possa avere dei canali di vendita di reperti e soprattutto di petrolio. Una statuetta, una tavoletta cuneiforme possono essere trasportate in una valigetta. Ma come si fa a esportare così tanti barili di greggio? C’è una forte ipocrisia nella nostra politica che non riesce, perché non vuole, fermare questo traffico, cosa che sarebbe assolutamente possibile. Lo stesso potrebbe dirsi sul piano militare: la Siria è un Paese completamente aperto, perché allora non vengono fermati i convogli dei quali si vedono facilmente foto.  Da dove arrivano le armi, i camion, i furgoni? Possibile che non si riesca a vedere l’origine di questo traffico? 
Non esiste una volontà effettiva di bloccare il Califfato ma solo una grande ipocrisia, una intenzionale volontà di frammentare la Siria per rendere possibile una vittoria temporanea dell’Isis che porterà di fatto a un stravolgimento della geografia del Paese”.


Una ragione per vivere e per morire: martiri oggi


Meeting 2015
Incontro con:  Douglas Al-Bazi, Parroco di Mar Eillia ad Erbil, Iraq; 
Ibrahim Alsabagh, Parroco della Comunità Latina di Aleppo, Siria.