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mercoledì 1 luglio 2015

La verità emerge

Come gli Stati Uniti hanno alimentato la crescita di ISIS

 in Siria e in Iraq



The Guardian, 12 giugno 2015 (trad. ossin)

Seumas Milne


La guerra contro il terrorismo, la campagna senza fine lanciata 14 anni fa da George Bush, si contorce in contraddizioni sempre più grottesche. Lunedì, il processo a Londra di uno svedese, Bherlin Gildo, accusato di atti di terrorismo in Siria, si è interrotto quando è diventato chiaro che i servizi di informazione britannici avevano armato gli stessi gruppi ribelli nei quali l’imputato aveva militato
Il Procuratore ha ritirato l’accusa, evidentemente per non mettere in imbarazzo i servizi di informazione. La difesa aveva sostenuto che proseguire il processo sarebbe stato un “affronto alla giustizia”, dal momento che vi era la prova anche lo Stato britannico aveva fornito un “appoggio massiccio” all’opposizione armata siriana.

E non si era trattato solo “dell’aiuto non letale” proclamato dal governo (giubbotti antiproiettile e veicoli militari), ma di addestramento, appoggio logistico e approvvigionamento segreto di “armi in grande quantità”. Secondo i rapporti citati nel corso del processo, il MI6 aveva cooperato con la CIA nella realizzazione di una “rete di approvvigionamento” di armi provenienti dagli stock libici e destinati ai ribelli siriani nel 2012, dopo la caduta del regime di Gheddafi.

In tutta evidenza, l’assurdità di sbattere qualcuno in prigione per avere fatto la stessa cosa che stavano facendo i ministri e i loro agenti di sicurezza era eccessiva. Ma si tratta solo dell’ultimo di una lunga serie di casi. Meno fortunato è stato un autista di taxi a Londra, Anis Sardar, condannato due settimane fa all’ergastolo per avere partecipato nel 2007 alla resistenza contro l’occupazione dell’Iraq da parte delle forze statunitense e britanniche. L’opposizione armata ad una invasione e ad un’occupazione illegale non costituisce assolutamente un fatto di terrorismo o un assassinio, secondo le definizioni accettate, ivi compreso dalla Convenzione di Ginevra.

Ma il terrorismo è oramai una questione di punti di vista. E soprattutto in Medio Oriente, dove i terroristi di oggi sono i combattenti contro la tirannia di domani – e gli alleati dei nemici – spesso in base solo ad una incredibile conferenza telefonica di un dirigente occidentale.

L’anno scorso gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e altre forze occidentali sono tornate in Iraq, asseritamente per distruggere il gruppo iper settario terrorista dello Stato Islamico (in passato conosciuto col nome di Al Qaeda in Iraq). Ciò è avvenuto dopo che ISIS aveva invaso enormi porzioni del territorio iracheno e siriano e proclamato un sedicente califfato islamico.

La campagna non va bene. Il mese scorso ISIS ha conquistato la città irachena di Ramadi mentre, dall’altro lato di una frontiera attualmente inesistente, le sue forze hanno conquistato la città siriana di Palmira. Il franchising ufficiale di Al Qaeda, il Fronte al-Nusra, è avanzato anch’esso in Siria.

Alcuni iracheni si lamentano che gli Stati Uniti sono rimasti a guardare mentre accadevano questi fatto. Gli Statunitensi insistono nel fatto che cercano di evitare perdite civili e rivendicano successi significativi. In privato, i responsabili dicono che non vogliono che li si veda bombardare dei bastioni sunniti in una guerra settaria e correre il rischio di destabilizzare i loro alleati sunniti del Golfo.

Un po’ di chiarezza sul modo in cui siamo arrivati a questo punto viene da un rapporto segreto della intelligence USA recentemente declassificato, scritto nell’agosto 2012, che stranamente prevedeva – e addirittura apprezzava – la prospettiva della creazione di un “principato salafita” nell’est della Siria e di uno Stato islamico controllato da Al Qaeda in Iraq e in Siria. 

In contrasto evidente con le affermazione dell’Occidente all’epoca, il documento del Defense Intelligence Agency indica in Al Qaeda in Iraq (poi diventato ISIS) e in altri salafiti i “principali motori dell’insurrezione in Siria” – e dichiara che “i paesi occidentali, gli Stati del Golfo e la Turchia” appoggiano l’opposizione nel tentativo di conquistare l’est della Siria.

Evocando “la possibilità della creazione di un principato salafita dichiarato o meno”, il rapporto del Pentagono prosegue: “quello che davvero vogliono le potenze che appoggiano l’opposizione è di isolare il regime siriano, considerato come la chiave strategica dell’espansione sciita (Iraq e Iran)”.

Ed è esattamente quello che è accaduto due anni dopo. Il rapporto non era un documento politico. Esso è pieno di omissis e di espressioni ambigue. Ma sono chiarissime le implicazioni. Un anno dopo la ribellione siriana, gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno, non solo armato e sostenuto un’opposizione che sapevano essere dominata da gruppi settari estremisti: erano perfino pronti ad approvare la creazione di una sorta di “Stato Islamico” – nonostante il “grave pericolo” che esso rappresentava per l’unità dell’Iraq – come un cuscinetto sunnita destinato ad indebolire la Siria.

Ciò non significa che siano stati gli USA a creare ISIS, ovviamente, anche se qualcuno dei loro alleati del Golfo vi ha giocato un ruolo – e il vice presidente statunitense Joe Bilden lo ha riconosciuto l’anno scorso. Ma certamente, in Iraq, Al Qaeda non c’era prima che Stati Uniti e Gran Bretagna invadessero il paese. E certamente gli Stati Uniti hanno sfruttato l’esistenza di ISIS, come di altre forze estremiste, nel quadro del tentativo di mantenere il controllo occidentale sull’area.

La situazione è mutata quando ISIS ha cominciato a decapitare gli Occidentali e pubblicato queste atrocità on line, e i paesi del Golfo sostengono attualmente altri gruppi nella guerra siriana, come il Fronte al-Nusra. Ma questa abitudine occidentale e statunitense di giocare coi gruppi jihadisti, che poi si rivoltano e mordono, risale almeno alla guerra del 1980 contro l’Unione Sovietica in Afghanistan, quando è nata Al Qaeda originale sotto tutela CIA.

La situazione è stata aggiustata durante l’occupazione dell’Iraq, quando le forze statunitense al comando del generale Petraeus hanno patrocinato una sporca guerra di squadroni della morte alla salvadoregna, per indebolire la resistenza irachena. 

E riaggiustata nel 2011 durante la guerra della NATO contro la Libia, dove la settimana scorsa ISIS ha preso il controllo di Sirte, la città natale di Gheddafi.

In realtà la politica statunitense e occidentale in questa polveriera che è diventata il Medio Oriente rientra nella classica linea del “divide et impera”. Le forze statunitensi bombardano un gruppo di ribelli, mentre ne sostengono un altro in Siria e montano operazioni militari congiunte con l’Iran contro ISIS in Iraq, pur sostenendo la campagna militare dell’Arabia Saudita contro le forze Houthi, sostenute dall’Iran, in Yemen. E tuttavia, per quanto confusa possa sembrare la politica degli USA, un Iraq e una Siria indebolite e divise convengono loro assolutamente.

Ciò che è chiaro è che ISIS e le sue mostruosità non saranno sconfitte dalle stesse potenze che le hanno aiutate a vincere in Iraq e in Siria, le cui guerre dichiarate o clandestine hanno favorito il loro affermarsi. Gli interventi militari senza fine in Medio oriente hanno portato solo distruzioni e divisioni. Solo i popoli della regione possono guarire questa malattia – non coloro che hanno incubato il virus.


http://www.ossin.org/crisi-siriana/la-verita-emerge-come-gli-stati-uniti-hanno-alimentato-la-crescita-di-isis-in-siria-e-in-iraq.html

lunedì 29 giugno 2015

Intervista al vicario apostolico di Aleppo, Georges Abou Khazen: «Ogni giorno combattenti armati e addestrati dall’Occidente arrivano per ucciderci ...»

«Aleppo è davvero la Sarajevo del XXI secolo. Noi cristiani siamo terrorizzati, ma sempre più attaccati alla fede»


Tempi, 29 giugno 2015


«Non siamo sicuri né in casa, né in strada, né in chiesa, né in moschea». Così si vive ad Aleppo, un tempo capitale economica della Siria, invasa nel luglio 2012 dai ribelli e dai jihadisti di Al-Qaeda. Ora la seconda città più importante del paese è divisa in due (Aleppo ovest in mano al governo, Aleppo est sotto il controllo dei ribelli) e ogni giorno le bombe che cadono sui quartieri civili mietono vittime. Nel numero di Tempi in edicola è presente un ampio servizio sulla “Sarajevo del XXI secolo”, con testimonianze dalla città martoriata. Di seguito, riportiamo l’intervista integrale a Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo, che vive nella parte ovest insieme a tutti gli altri cristiani: «I jihadisti stanno cercando di entrare e occupare tutta la città. Noi abbiamo paura».

Monsignor Abou Khazen, di che cosa avete paura? La pioggia di mortai e altri esplosivi continua. Soprattutto dopo la presa di Palmira, la gente è terrorizzata, ha paura che la città cada. Sono tanti quelli che scappano. Ora che gli esami di maturità sono finiti, sempre più persone vogliono lasciare Aleppo.

Quante persone scappano? Ogni giorno ci sono intere famiglie che se ne vanno, perché dal punto di vista della sicurezza e della sopravvivenza, la situazione è sempre più difficile. La disoccupazione e le difficili condizioni di vita fanno il resto.

Confidate in una soluzione pacifica del conflitto? L’inviato speciale dell’Onu, Staffan De Mistura, è stato a Damasco. Siamo molto scettici. Qui si parla di un accordo politico, di una soluzione, quando sul terreno ci sono centinaia di combattenti che ogni giorno entrano dalla frontiera con la Turchia. Questi combattenti sono armati e addestrati dall’Occidente, arrivano dall’Europa e da altri paesi musulmani. Come si concilia questo fatto con l’accordo da trovare? Io non lo so. Voi lo sapete chi li sta armando e allora le parole non valgono niente, bisogna smettere di addestrarli e armarli. Allora sì che si possono obbligare le parti a dialogare, altrimenti è facile parlare, tanto poi è la povera gente che ci rimette la pelle.

Come si favorisce la fine della guerra? Come ho detto. Ogni giorno centinaia di combattenti entrano in Siria da nord e da sud per ammazzarci. Bisogna obbligare le parti in conflitto a non armarli più.

Aleppo è la “Sarajevo del XXI secolo”? Sì, il cardinale Angelo Scola ha ragione a fare questo paragone. Davvero non ci si può immaginare le difficoltà in cui viviamo. La gente è in quotidiano pericolo di vita, eppure continua a vivere, a resistere, anche se tutto ciò che ha viene distrutto.

Che cosa fa la Chiesa locale in mezzo alla guerra?  Prima di tutto bisogna ringraziare la Chiesa universale, a cominciare dal Papa, per l’appoggio e l’interesse che dimostra verso i cristiani del Medio Oriente. Noi cerchiamo di aiutare la povera gente che ancora vive qui, ma anche quelli costretti a scappare con i soli vestiti addosso. Sono migliaia le famiglie che la Chiesa aiuta. Ma c’è anche un altro aspetto.
Quale? La Chiesa offre appoggio morale e spirituale. La presenza qui dei sacerdoti è una grande grazia: nessun vescovo o parroco o religioso ha lasciato il suo posto. Questo per la gente è importante, è un segno di speranza e incoraggiamento. Quando mi chiedono che cosa dovremmo fare, io rispondo: non lo so, non ho una risposta, ma sono qui e resterò qui. Per costruire.
 Che cosa?  
Noi continuiamo a fare programmi per i bambini: abbiamo oratori nelle parrocchie a cui partecipano centinaia di bambini. Così loro possono uscire un po’ dal solito ambiente e vedere qualche cosa di diverso. Questa presenza sta dando i suoi frutti, le persone cambiano.

Può farci un esempio? Io vedo che la gente è sempre più attaccata alla fede e alla pratica religiosa. Questa è una cosa grande, che mi commuove. Non so come sia possibile, ma la Chiesa cerca di trasmettere alla gente la fede in Dio e loro la approfondiscono.

Quali sono le conseguenze di questo approfondimento? Pensi che qui molte persone parlano di perdono. Non appena riconciliazione, ma perdono per tutti. Non è un caso che questi cristiani del Medio Oriente siano figli e nipoti di martiri. Basta pensare alla comunità armena, sopravvissuta a massacri, discendenti di persone che hanno lasciato tutto o hanno dato la vita per la fede. Speriamo che il Signore ci esaudisca e ci dia la pace.

giovedì 25 giugno 2015

Tra Ramadan, condivisione e "la speranza che non viene meno!" : dai Maristi di Aleppo



   Telegramma di cordoglio per la morte, avvenuta questa mattina, del Patriarca di Cilicia degli Armeni, Sua Beatitudine Nersès Bédros XIX Tarmouni, inviato dal Santo Padre Francesco al Sinodo Patriarcale di Cilicia degli Armeni:
    "Avendo appreso con viva commozione dell’improvvisa morte di sua Beatitudine Nerses Bedros XIX Tarmouni, patriarca di Cilicia degli Armeni, porgo le mie più sentite condoglianze al Sinodo e a tutti i fedeli del Patriarcato così duramente provati. Ricordando la nostra stretta collaborazione, di cui la recente proclamazione di san Gregorio di Narek come dottore della Chiesa è uno dei punti culminanti, affido al Padre misericordioso l’anima di questo pastore devoto che, come sacerdote, si è adoperato senza riserve al servizio delle comunità che gli sono state affidate, poi, come vescovo, ha esercitato con fede e zelo il suo ministero, prima ad Alessandria e in seguito come patriarca di Cilicia degli Armeni. Attraverso la preghiera mi unisco a tutte le persone colpite da questa improvvisa scomparsa e di tutto cuore imparto loro la benedizione apostolica, in particolare ai vescovi del Patriarcato di Cilicia degli Armeni, alla famiglia del defunto e a tutte le persone che parteciperanno alla liturgia esequiale."
FRANCESCO

© http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino.html - 25 giugno 2015




Lettera da Aleppo N° 22 (21 giugno 2015)

Dai Fratelli Maristi 


Oggi, 19 giugno 2015 è il primo venerdì di Ramadan…   Questa mattina le strade erano praticamente deserte. Tutti ancora dormivano. I musulmani che digiunano sono rimasti svegli fino a tardi per poter fare colazione prima della preghiera dell’aurora che annuncia l’inizio del digiuno.
Oggi abbiamo distribuito il paniere alimentare mensile alle famiglie sfollate nel quadro del progetto “Il paniere dei Maristi Blu”. La mamma di Douha non è venuta. Infatti la piccola Douha di 5 anni è all’ Ospedale St. Louis da domenica, curata con il progetto “Civili feriti di guerra”. E’ stata colpita gravemente alla testa e alla mano dalle esplosioni di una granata. La sua famiglia abita in uno dei quartieri più caldi della città. Essi sono poveri. Non hanno molti mezzi. In effetti, non ne hanno per niente. Questo quartiere è il meno caro. L’ultima casa in cui hanno abitato fino a domenica mattina è la casa della zia. Questi ultimi tre mesi sono stati sfollati due volte, sempre nello stesso quartiere ad alto rischio… Ad ogni granata che cadeva e distruggeva una parte della casa dovevano rifugiarsi altrove. Douha dovrà tornare nel quartiere e vivere nelle stesse condizioni d’insicurezza!

Per lei e per molti bambini come lei, abbiamo lanciato il progetto educativo “Voglio imparare”. Come lei, molti bambini dei nostri diversi progetti sono minacciati quotidianamente, così come i loro parenti dagli spari. Penso a Hiba che si ritrova con tutta la sua famiglia di 8 persone per la strada. In tutte le famiglie noi troviamo le stesse paure, le stesse minacce, le stesse inquietudini…soprattutto quando sono infiammate dalle voci: ”Quelli vogliono entrare…Hanno già occupato quel quartiere, quella strada…Noi li abbiamo visti , abbiamo visto la loro bandiera, abbiamo sentito il loro grido. Li abbiamo visti passare…” Anche se non sono che voci annunciate da profeti di sventura.

Eh sì, ecco Aleppo, una città immersa nelle voci di una possibile invasione dei gruppi armati. Come se non fosse già abbastanza per la gente vivere sotto la minaccia dei colpi di granata e di mortai che dovesse anche vivere l’inquietudine del domani…
Bisogna cercare una risposta? Bisogna non creare il panico? Bisogna preoccuparsi e mettere in allarme la gente? Cosa fare, come agire, quali parole pronunciare? Quale atto tradirebbe la fiducia? Quale gesto? Tante domande che obbligano, noi Maristi Blu, ad essere portatori di Speranza.

Quando voi, gli amici di tutto il mondo, ci contattate per avere nostre notizie o per mostrarci la vostra solidarietà e il vostro appoggio, noi respiriamo, riprendiamo le forze e siamo incoraggiati a continuare il cammino per quanto sia duro…

Questa sera penso a tutti i nostri amici musulmani per i quali il digiuno è il periodo del ritorno a Dio e all’uomo, ad ogni uomo, soprattutto il più sfavorito ed il più povero. E’ il tempo del “Zakat”, l’elemosina. E’ il tempo in cui ognuno ha diritto all’”ftar”, il pasto che mette fine al digiuno. Io penso ai miei amici musulmani devoti che pregano e convertono i loro cuori. Durante il Ramadan, tutto il ritmo della vita è modificato. Tutti i commerci, tutte le attività culturali e ludiche ruotano attorno al Ramadan… 29 giorni nei quali la vita si trasforma in culto e in fede.
In Siria, il Ramadan è un’occasione di condivisione, di apertura all’altro: i vicini, i parenti gli amici… Sono sempre stato edificato da ogni persona che digiuna…La mamma di Kosai , 5 anni, è venuta a supplicarmi di convincerlo a non digiunare. Un accordo è stato concluso: un giorno su due…..

Nella tradizione dell’Oriente, per augurare ai musulmani un buon Ramadan, noi diciamo ”Mabrouk taaitkon”…”Che Dio benedica la vostra obbedienza”. E’ il tempo di regolare il proprio ritmo di vita al ritmo della fede. Un esempio…un modello in questo terzo millennio.
I nostri amici musulmani hanno sempre rispettato il fatto che i loro concittadini cristiani non digiunino. Nulla è imposto ai cristiani. Questi ultimi sono liberi di vivere la loro vita e la loro fede nella pura tradizione cristiana, senza alcuna minaccia o imposta da pagare.
Noi eravamo lontani dal fanatismo che impone una sola vista, un solo sguardo, una sola via…Come siamo lontani da questo mondo estremista, estraneo alla nostra storia e alla nostra tradizione culturale. Noi abbiamo sempre rispettato la fede, la cultura e le tradizioni dell’altro.
Oggi vogliono convincerci che l’altro sia un nemico. Oggi vogliono convincerci che vivere sia escludere l’altro, non lasciargli posto…Vogliono convincerci che la diversità non dovrebbe esistere… Una sola dottrina, una sola visione, una sola legge e tutti coloro che non aderiscono sono minacciati, perseguitati esclusi ed uccisi.
In questo grande mondo che cerca un senso, proporre Dio, vivere la propria Fede ed impegnarsi per l’uomo sono una testimonianza eloquente dei valori che danno senso.

Il nostro fratello Emili, Superiore Generale, ha voluto presentare i Maristi blu come modello di presenza evangelica nelle frontiere. Noi gli abbiamo detto che non siamo degli eroi e che la nostra scelta risponde ad una chiamata interiore.

La casa dei Maristi è piena di attività per i bambini, i giovani e gli adulti. Noi non chiudiamo per ferie. Le vacanze sono l’occasione per aprire le nostre porte, lanciare delle attività all’aria aperta…permettere agli educatori di fare esperienza dell’altro e permettere ai bambini di respirare l’aria della gioia e dell’amicizia.

Noi vogliamo condividere con voi un nuovo progetto che abbiamo iniziato e di cui siamo i responsabili. In coordinamento con le altre 19 associazioni caritative cristiane di Aleppo , abbiamo lanciato il progetto “Goccia di latte”. Più di 3000 bambini cristiani minori di 10 anni usufruiscono da due mesi di una distribuzione mensile di latte in polvere o del suo equivalente per i bambini sotto l’anno di età.
Gli altri progetti continuano. L’ultimo programma del MIT comprenderà quattro sessioni di formazione. Stiamo preparando i pacchi regalo di abiti nuovi per le 200 famiglie che celebreranno la festa del Fitr (fine del Ramadan). Molti feriti da colpi di mortaio e da proiettili sono curati all’Ospedale St. Louis. I panieri alimentari sono distribuiti regolarmente, tutti coloro che ne usufruiscono apprezzano la quantità e la qualità.

Approfitto dell’occasione per ringraziare tutti i nostri amici e benefattori senza i quali non avremmo potuto sostenere le famiglie più povere di Aleppo.
Nel congedarmi, vi lascio questo testo del nostro amico il Padre Jean Debruynne tratto da “Tre figlie della saggezza”, un gioco scenico scritto per le Guide (Scout) di Aleppo: “Forse sarà oggi.. forse domani… che un giorno nuovo ci dirà “sì” e ci aprirà le sue due mani …Ascoltate, io sento un passo. Verrà questa notte forse Colui che non era atteso. Lo vedremo apparire”.
La nostra speranza non viene meno!
Buone vacanze a voi tutti. Conservate Aleppo e i suoi abitanti presenti nelle vostre preghiere.
Fratel Georges Sabe, per i Maristi Blu di Aleppo
http://aleppohope.blogspot.it/2015/06/lettera-da-aleppo-tra-ramadan.html?spref=fb


Aleppo nuova Sarajevo.«I ribelli ci bombardano  ogni giorno. 

L’Occidente non sia complice: dica la verità sulla guerra»

leggi l'intervista a Nabil Antaki:
 http://www.tempi.it/aleppo-nuova-sarajevo-ribelli-bombardano-ogni-giorno-occidente-complice-verita-sulla-guerra#.VYwWgfntmko

martedì 23 giugno 2015

Tre segni di speranza di Maria per i cristiani d'Oriente

Un Paese intero, una città storica e perfino una moschea rendono omaggio alla Vergine Madre di Gesù

Alateia

Il 13 giugno 2013, il Libano si è consacrato al Cuore Immacolato di Maria. Questa settimana, oltre a celebrare i due anni di questo atto di consacrazione, il patriarca maronita Bechara Boutros Raï lo ha esteso a tutto il Medio Oriente.

In un'omelia coraggiosa e incisiva pronunciata alla presenza di più di 5.000 fedeli nella basilica libanese di Harissa, il patriarca ha denunciato i “mercenari che ricevono sostegno finanziario, politico e militare da Paesi orientali e occidentali”.

Come risposta ai “poteri del terrore”, Raï ha affermato: “Rinnoviamo la consacrazione del nostro popolo e della nostra patria libanese, come di tutti i Paesi del Medio Oriente, al Cuore Immacolato della Vergine Maria, pieno di tenerezza e di amore per gli uomini, fratelli del suo unico Figlio”.

Raccomandando che tutti i fedeli “recitino quotidianamente il rosario per ottenere la pace nel mondo”, il cardinale ha ricordato che da 1.400 anni i cristiani cercano di costruire insieme ai musulmani “una civiltà modello per tutte le società multiculturali e plurireligiose”, e ha chiesto che questo sforzo per la concordia non venga abbandonato tra i conflitti che insanguinano attualmente la regione.

Dopo Beirut, l'immagine pellegrina di Nostra Signora di Fatima passerà anche per il Patriarcato greco-cattolico, per un monastero siro-cattolico e per la sede del Patriarcato armeno-cattolico.


Nel frattempo, anche nella vicina Siria Maria ha dato un segno di speranza ai cristiani: la statua mariana sulla sommità di una collina della località di Maaloula è appena stata ricollocata dopo che l'originale era stata distrutta nel 2013 dagli jihadisti del Fronte Nusra.

Maaloula è una piccola città di 4.000 abitanti, per la maggior parte cristiani, che parlano ancora aramaico, la lingua che parlava Gesù. Si tratta di una delle pochissime comunità del Medio Oriente che mantengono questa lingua destinata all'estinzione. Oltre all'aramaico, Maaloula ha anche conservato per secoli alcuni monasteri e alcune chiese costruiti nei primi tempi della storia del cristianesimo.

Il 6 giugno in Siria è stato inaugurato anche qualcosa di inedito nel mondo islamico: una moschea nella città litoranea di Tartous dedicata alla Vergine Maria, madre di Gesù (cfr. Aleteia). Maria è riconosciuta dall'islam come la madre del profeta Gesù.

Maria interceda per tutti i cristiani provati da un'infinità di sofferenze e persecuzioni in quelle terre in cui il cristianesimo è nato e ha iniziato a diffondersi tra i popoli!

http://www.aleteia.org/it/religione/articolo/tre-segni-di-speranza-di-maria-per-i-cristiani-doriente-5251715037134848



Piccole Note, 18 giugno 2015 

«Una nuova statua della Vergine Maria è stata inaugurata sulla montagna che domina Maalula, l’antica cittadina cristiana nell’ovest della Siria, andando a sostituire quella distrutta dai ribelli nel 2013. Le forze del regime di Assad hanno portato la statua su una macchina e diffuso le immagini su Twitter». Così sul sito del Corriere della sera.

La nota del Corriere stigmatizza come propaganda il gesto compiuto dalle autorità di Damasco. Un’aggiunta alquanto inane: al di là delle intenzioni, di fatto una statua della Madonna torna dopo anni in uno dei pochissimi luoghi al mondo dove ancora si parla l’aramaico, la lingua di Gesù. E non si può che registrare con gratitudine il dato. 
Detto questo, mentre Damasco ha compiuto tale gesto, al di là degli scopi più o meno presunti, non si registra dalla parte opposta, ovvero le varie nazioni che sostengono le forze anti-Assad (dagli Stati Uniti all’Arabia Saudita), una vaga idea similare, nonostante la situazione di Maalula sia ben nota da tempo.
Anzi esse continuano a sostenere con armi, soldi e altro i vari tagliagole che insanguinano la regione, siano essi appartenenti alle presunte forze ribelli o alle varie formazioni jihadiste, che poi sono la stessa cosa.
Questo episodio, tra l’altro, avviene pochi giorni dopo l’erezione di una moschea dedicata alla Vergine Maria a Tartus, segno che non si tratta di gesto estemporaneo ma che risponde a una sollecitazione specifica.
Al di là della propaganda (siriana o nostrana), le autorità di Damasco vogliono riaffermare di fronte al mondo quanto ripetuto dall’inizio della guerra da tutta la comunità cristiana locale e dai loro vescovi e patriarchi: in Siria la convivenza tra cristianesimo e islam diverse appartiene alla storia.
Una storia di destini incrociati che lo tsunami del radicalismo islamico (grazie ai suoi sponsor esterni) vuole e rischia di sommergere.
Possibile anche che il motivo del gesto sia da ricercare nel fatto le forze scatenate in Siria contro Assad (Isis, al Nusra etc.) abbiano chiari riferimenti satanici – tanti i simboli di tal segno usati da questi movimenti -, e che la spiritualità cristiana (o, meglio, anche la spiritualità cristiana) sia vista come un argine, anche a livello simbolico, da quanti vi si oppongono.
Propaganda o meno, resta che la Madonna non è usa a rimanere indifferente a gesti compiuti in suo onore…. Vuoi vedere che fa il miracolo? Almeno è questo quello che si augura e per cui prega il martoriato popolo siriano e quanti, di lontano, partecipano del loro dramma senza fine. 
http://piccolenote.ilgiornale.it/23928/la-madonna-torna-a-maalula

IN MEMORIAM : due anni fa a Ghassaniè padre François Murad veniva ucciso in odium fidei 


lunedì 22 giugno 2015

27 giugno, appuntamento con l'informazione sulla Siria

Molti ricorderanno la preghiera per la pace in Siria indetta a San Pietro da papa Francesco. Fu un momento di speranza che oggi, per chi vive o guarda quel conflitto, appare tanto lontana. Un conflitto oggi più acceso che mai, oggi che ogni tentativo di pacificazione da parte della comunità internazionale è stato abbandonato e la parola è lasciata alle armi. Una guerra che non cessa di proporre il suo orrore quotidiano al mondo intero, oggi che tale orrore ha preso le sembianze dell’Isis, che ha ne fatto un marketing di successo.
Si sa tanto di questo conflitto, ne parlano  Tv e giornali, e a tutti è capitato di leggerne e di carpire qualche brandello di una improbabile chiave di lettura. 

Il prossimo 27 giugno il Coordinamento per la pace in Siria dedica una giornata di riflessioni e di approfondimenti a questa guerra. Non abbiamo chiavi di lettura da offrire, ma fatti e testimonianze dirette, cosa indispensabile per chi voglia capire quanto sta avvenendo al di là della fitta nebbia di disinformazione che lo avvolge - tanti gli interessi in gioco in questa tragica partita internazionale.
Non solo una esigenza di informazione: si deve incominciare a guardare la realtà per poter individuare efficaci vie di pace che a oggi sembrano così impossibili.
Il grido di dolore di quella povera gente, la loro ineffabile speranza conforta e interpella. Non c’è altra soluzione per la Siria che non la pace. La comunità internazionale, da troppo tempo bloccata da ambiguità e interessi, deve intraprendere una buona volta e senza indugi questa strada. 
L’alternativa è folle, il dilagare del terrore, che dopo aver travolto la Siria e l’Iraq si rivolgerà - e già ha iniziato a farlo - contro l’Occidente.



sabato 20 giugno 2015

Papa Francesco e Patriarca Aphrem II: Il sangue dei martiri è seme di unità della Chiesa

Con il patriarca siro-ortodosso di Antiochia il Papa torna a denunciare il martirio dei cristiani 


Osservatore romano, 19 giugno 2015

Di fronte alle «terribili sofferenze provocate dalla guerra e dalle persecuzioni» contro i cristiani in Medio oriente e all’incapacità di «trovare soluzioni» da parte dei potenti del mondo, Papa Francesco torna a levare alta la voce, invitando a pregare «per le vittime di questa efferata violenza». 
Ricevendo in Vaticano venerdì mattina 19 giugno il patriarca siro-ortodosso Aphrem II, il Pontefice ha rilanciato il grido di dolore delle tante vittime innocenti di tutte le situazioni di conflitto presenti in varie regioni della terra. «Chiediamo anche al Signore — ha aggiunto — la grazia di essere sempre pronti al perdono e operatori di riconciliazione e di pace». Perché, ha spiegato, è questo «ciò che anima la testimonianza dei martiri».
Il Papa ha anche ricordato i due arcivescovi cristiani rapiti insieme in Siria più di due anni fa, così come i sacerdoti e le tante persone, di diversi gruppi, private della libertà. Da qui l’esortazione, rivolta al capo della Chiesa siro-ortodossa «in questo momento di dura prova e di dolore», a rafforzare «ancora di più i legami di amicizia e di fraternità», affrettando i «passi sul cammino comune» e scambiando i tesori delle rispettive tradizioni «come doni spirituali, perché ciò che ci unisce è ben superiore a ciò che ci divide».
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A SUA SANTITÀ MOR IGNATIUS APHREM II,
PATRIARCA SIRO-ORTODOSSO DI ANTIOCHIA E TUTTO L'ORIENTE
Venerdì, 19 giugno 2015

leggi qui:


E il patriarca siro-ortodosso gli parla di genocidio, paesi che finanziano il terrorismo, zona franca per i cristiani


Nella sua prima visita ufficiale in Vaticano, il patriarca Mor Ignatius Aphrem II ha portato con sé le tribolazioni e le attese di tutti i cristiani in Medio oriente, in particolare della Siria. «Giungiamo da Damasco — ha detto al Papa — portando con noi la sofferenza e le aspirazioni della gente» che «sta chiedendo a voce alta la pace»
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leggi qui: 

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«Cristiani e musulmani: insieme per contrastare la violenza perpetrata in nome della religione»


 Messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ai Musulmani per il mese del Ramadan e ‘Id al-Fitr 1436 H. / 2015 A.D., 19.06.2015


Cari fratelli e sorelle musulmani,
1. Sono lieto di porgervi, sia a nome dei cattolici di tutto il mondo, sia personalmente, i migliori auguri di una serena e gioiosa celebrazione di ’Id al-Fitr. Nel mese di Ramadan osservate molte pratiche religiose e sociali, come il digiuno, la preghiera, l’elemosina, l’aiuto ai poveri, visite a parenti ed amici.
Spero e prego che i frutti di queste buone opere possano arricchire la vostra vita!
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leggi qui: 

giovedì 18 giugno 2015

Quanto pesano il petrolio e le armi

Alla Roaco il Pontefice torna a denunciare la drammatica situazione dei cristiani in Medio oriente 

Aleppo, 18 giugno 2015

L'Osservatore Romano , 15 giugno 2015

In Medio Oriente c’è bisogno di uno sforzo «per eliminare quelli che appaiono come taciti accordi per i quali la vita di migliaia e migliaia di famiglie — donne, uomini, bambini, anziani — sulla bilancia degli interessi sembra pesare meno del petrolio e delle armi». 
È quanto ha affermato Papa Francesco rivolgendosi ai partecipanti alla ottantottesima Riunione delle opere per l’aiuto alle Chiese orientali (Roaco), ricevuti lunedì mattina 15 giugno, nella Sala Clementina.
Nel ricordare il viaggio compiuto in Terra santa nel maggio 2014 e il successivo incontro di preghiera svoltosi in Vaticano alla presenza dei presidenti israeliano e palestinese, il Pontefice ha constatato che in questi mesi non tutti i frutti di riconciliazione sperati si sono realizzati. «Altri eventi che hanno ulteriormente sconvolto il Medio oriente, da anni segnato da conflitti, ci fanno sentire il freddo di un inverno e di un gelo nel cuore degli uomini che sembra non finire».
Quella terra, ha aggiunto, «è solcata dai passi di quanti cercano rifugio e irrigata dal sangue di tanti uomini e donne, tra i quali numerosi cristiani perseguitati a causa della loro fede».
Cristiane irachene fuggite da Mosul durante una messa celebrata ad Arbil (Afp)Pur riconoscendo che negli ultimi tempi il mondo ha avuto «un sussulto di coscienza» di fronte a questo dramma, Francesco ha invitato a «un ulteriore sforzo», chiedendo alla Roaco di intensificare «il servizio della carità cristiana» e di continuare a «denunciare ciò che calpesta la dignità dell’uomo».
Il Papa ha fatto cenno anche alla situazione di Etiopia, Eritrea e Armenia — all’ordine del giorno dei lavori dell’assemblea — raccomandando di «aiutare queste antichissime comunità cristiane a sentirsi partecipi dalla missione evangelizzatrice e ad offrire, soprattutto ai giovani, un orizzonte di speranza e di crescita». Senza questo impegno, ha ribadito, «non potrà arrestarsi il flusso migratorio che vede tanti figli e figlie di quella regione mettersi in cammino per giungere alle coste del Mediterraneo, a rischio della vita». 

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Il messaggio di sostegno di Madre Agnès-Mariam de la Croix, superiora del  monastero Saint-Jacques le Mutilé a Qara, alla manifestazione  del 20 giugno a Parigi in sostegno dei Cristiani d' Oriente 

Cari amici che parteciperete alla manifestazione,

con tutto il cuore vi ringrazio per la vostra solidarietà con le genti perseguitate del Medio Oriente, e particolarmente le più fragili: quelli che sono morti per odio alla fede o per disprezzo verso la loro umanità; quelli che sono stati scacciati, spogliati di ogni cosa, malmenati, ridotti in schiavitù, venduti come bestiame, violentati o ridotti a oggetto di godimento bestiale.
Famiglie intere hanno dovuto prendere il cammino dell'esilio nell'insicurezza, la paura, la penuria.
Ci si domanda: perché?
Il patrimonio più prezioso dell'umanità è consegnato a delle orde del terrore. È la terra di Abramo, quel patriarca obbediente e così amato da Dio. La nostra regione invece di essere un'oasi di pace, una riserva di spiritualità in cui regnano la pace e la concordia, ecco che  diviene il campo di battaglia della più crudele delle aggressioni che cerca di distruggerla ed instaurarvi il terrore.
Che i martiri, morti in odio alla Fede, intercedano per noi: quelli della Palestina, del Libano, dell'Iraq, dell'Iran, di Siria, di Egitto, di Turchia, di Cipro, della Libia, della Nigeria, del Sudan, eccetera.

Come mai guerre sofisticate lanciate con un grande rinforzo mediatico contro il terrorismo producono l'effetto contrario: non vi è mai stato maggiore terrore che nei nostri giorni?
I dirigenti del 'mondo libero' dicono una cosa e fanno il contrario.
Si appicca un fuoco e si annuncia che lo si spegnerà ed esso non diviene altro che più forte!

È tempo di domandare ai responsabili che uniscano gli atti alle loro parole e che essi facciano passare la dignità della persona umana -creata a immagine di Dio- e la salvaguardia delle risorse dei popoli davanti ai loro interessi materiali.
Senza la loro sovranità i popoli non esistono e non possono optare per la pace nè lavorare al bene comune. E allora, che sia salvaguardata la sovranità dei popoli.
Da quando il Medio Oriente e l'Africa del Nord sono distrutti, la terra è meno bella, più inospitale.

Io so che molti dei nostri fratelli ebrei e musulmani sono solidali con noi perché cessino la discriminazione religiosa e l'uso della religione come un mezzo di dividere per regnare.
Insieme diciamo:
Fermate il flusso di armi e di jihadisti in Siria, in Iraq e ovunque altrove.
No a una coalizione con quelli stessi che finanziano il terrore.
No a quelli che hanno aperto il vaso di Pandora nel Medio Oriente e altrove: esso ha spruzzato il sangue fino al cuore di Parigi.
No ai pompieri piromani.
No a quelli che dicono una cosa e ne fanno un'altra.
No alla disinformazione.
No all'espulsione.
No al primato degli interessi economici sulla vita e sulla dignità delle creature di Dio.

Grazie per la vostra solidarietà e perché voi non avete paura di dire NO!
Mère Agnès-Mariam de la Croix

(traduz. FMG)

mercoledì 17 giugno 2015

Card Scola: "L'Occidente miope davanti al dramma dei cristiani in Medio Oriente"

Incontro con il Sinodo Maronita
Presenza cristiana in Libano e Medio Oriente. Comunione e solidarietà tra le Chiese



Bkerke, 17 giugno 2015


Beatitudine Eminentissima,

desidero prima di tutto ringraziarLa di cuore per l’invito a partecipare a questo Sinodo e con l’occasione salutare tutti i fratelli nell’Episcopato che vi prendono parte. Sono molto grato per la possibilità che mi è offerta di toccare con mano in Libano, e nei prossimi giorni in Kurdistan, la realtà di questa tormentata regione, secondo quello spirito di comunione ecclesiale a cui da sempre s’ispira la Chiesa di Milano e il centro Oasis, del cui comitato promotore Vostra Beatitudine fa parte.
L’ultima volta che mi sono recato in Libano è stato nel giugno 2010, per un incontro dedicato all’educazione. Da allora quante cose sono cambiate, nel giro di cinque soli anni, e purtroppo generalmente in peggio! Il paesaggio umano è sconvolto, tanto da risultare a tratti irriconoscibile, e di fronte alla prova che le comunità cristiane stanno vivendo soprattutto in Siria e Iraq, ma più in generale in tutto il Medio Oriente, mancano le parole. Ma poiché tacere sarebbe fare il gioco dei persecutori, mi arrischio a condividere con voi tre pensieri.

Martirio
Il primo pensiero è una profonda gratitudine per la testimonianza di attaccamento a Cristo che le chiese orientali, cattoliche e non cattoliche, stanno rendendo di fronte al mondo. È una testimonianza che giunge non di rado fino al martirio e i cui effetti, nella Chiesa e fuori di essa, non possiamo ora misurare. I mezzi di comunicazione, che tante volte si trasformano in strumenti di propaganda terroristica, consapevole o inconsapevole, diffondono questi acta martyrum contemporanei con un’immediatezza (e una crudezza a volte) che le narrazioni dei primi secoli ci facevano solo intuire. Quasi un anno fa, presiedendo la messa dei Santi Protomartiri Romani, Papa Francesco già affermava:

Oggi ci sono tanti martiri, nella Chiesa, tanti cristiani perseguitati. Pensiamo al Medio Oriente, cristiani che devono fuggire dalle persecuzioni, cristiani uccisi dai persecutori. Anche i cristiani cacciati via in modo elegante, con i guanti bianchi: anche quella è una persecuzione. Oggi ci sono più testimoni, più martiri nella Chiesa che nei primi secoli1.

Proprio alla luce dei numerosi interventi del Santo Padre in materia, mi sembra essenziale che non vada perduta la memoria del sangue versato. Già la propositio 29 presentata a Papa Benedetto al termine del Sinodo per il Medio Oriente il 26 ottobre 2010, suggeriva di

Istituire una festa comune annuale dei martiri per le Chiese d’Oriente e domandare ad ogni Chiesa orientale di stabilire una lista dei propri martiri, testimoni della fede.

Questa giornata dei martiri mi sembra ora più che mai urgente. Essa non potrebbe che essere una festa comune alle diverse chiese della regione, caratterizzata da due dimensioni: da un lato, celebrare la memoria dei martiri moderni che, nella varietà della loro appartenenza alle diverse chiese e comunità cristiane, pagano con la vita la loro fedeltà a Cristo ai giorni nostri e in questa terra. È l’ecumenismo del sangue di cui parla così di frequente Papa Francesco. Dall’altro, la giornata sarebbe anche un’occasione provvidenziale di domandare perdono per le divisioni tra le chiese, divisioni che nel passato hanno condotto anche a uccisioni tra i fedeli cristiani. Sono convinto che, se ben studiata e spiegata, questa giornata potrebbe preparare la strada per la riconciliazione e assumere un valore esemplare per tutta la Chiesa universale. Una storia passata fatta di contrasti in gran parte politici non deve impedire di godere dei frutti che lo Spirito dona oggi.
È noto l’adagio di Tertulliano: il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani. C’è una cosa, e una soltanto, che può impedire questa generazione: è la divisione tra i discepoli. Il momento tragico che investe la regione può diventare allora un’occasione propizia per accantonare quanto separa e ricercare quello che unisce.

Vittoria
Il secondo pensiero riguarda la parola vittoria. Oggi in Medio Oriente, e non soltanto, si cerca ovunque la vittoria attraverso la sopraffazione e l’annientamento dell’avversario. Ma vediamo bene che questa via conduce solo a morte e distruzione. Molti politici e uomini di religione mirano a costruire una società completamente omogenea. E così in Iraq e Siria i miliziani jihadisti cacciano i cristiani e le altre minoranze religiose, quando non le eliminano fisicamente, e ne distruggono le tracce. Il problema è che il processo di “de-umanizzazione” non si ferma lì. Dopo i non-musulmani, è la volta dei musulmani di diversa confessione (sunniti contro sciiti e viceversa), poi dei musulmani “devianti”, perché magari appartengono agli ordini mistici, infine di tutti coloro che non possono esibire una perfetta ortoprassi, secondo uno schema d’intolleranza progressiva già visto molte volte all’opera.
Di fronte a questo progetto penso che i cristiani, e prima di tutti i cristiani orientali, debbano continuare a dire un chiaro “no!”. Non è questa la strada che Dio vuole per il Medio Oriente. Più omogeneità non significa meno conflitti, perché ci sarà sempre qualcuno “più fondamentalista di me” che cercherà di piegarmi al suo credo. È forse in pace la Somalia, per il fatto di essere al 100% musulmana sunnita? O l’Afghanistan dei talebani? Ha portato bene al Pakistan essersi prefissato l’obiettivo di creare uno Stato islamico? È saggia la politica israeliana che negli ultimi anni accentua a ogni costo l’ebraicità dello Stato? Credo che i cristiani abbiano l’obbligo di chiarire, prima di tutto a loro stessi e ai loro leaders politici, ma poi anche a tutto il resto del Medio Oriente, che non è questa la vittoria a cui tendere, anche sul piano temporale. La nostra vittoria è la Pasqua, è il Crocifisso Risorto che accetta di portare su di sé il peccato del mondo e con la sua obbedienza distrugge il corpo del peccato (cfr. Rm 6,6).
Il Medio Oriente di oggi si erge tragicamente in faccia a tutto il mondo come la prova provata che la politica della volontà di potenza portata agli estremi è fallimentare e che i suoi trionfi sono fallaci, vuoti e illusori. In questo frangente c’è una rilevanza culturale e politica della Croce che attende ancora di essere messa in luce. Questo tra l’altro potrebbe suggerire un modo nuovo di presentare tale punto capitale della nostra fede, da sempre «scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1,23). In realtà infatti, la logica della Croce è l’unica capace di illuminare fino in fondo anche le scelte politiche di oggi. E chi se non i cristiani può e deve dirlo? Chi se non i cristiani orientali?
Non possiamo prevedere quale sarebbe la risposta dei non cristiani, in particolare dei musulmani, a questo invito a ripensare la politica della regione. Ma il Signore ci comanda di rivolgerlo comunque e ci istruisce chiaramente sul comportamento da tenere:

In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. […] Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che in quel giorno Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città (Lc 10, 5-6.8-12)

Occidente
L’ultimo pensiero riguarda l’Occidente e i cristiani che vi vivono. Finora ho parlato di quello che le nostre comunità europee possono ricevere, e già ricevono, dall’eroica testimonianza di tanti fratelli in Medio Oriente e nelle altre regioni di persecuzione. Un tale dono suscita spontaneamente il desiderio di rispondere da parte nostra, facendo quanto è possibile per alleviare la sofferenza. Questo avviene su vari piani: l’aspetto materiale innanzitutto, perché alle chiese occidentali sta a cuore sostenere con ogni mezzo la presenza cristiana in questa regione. Non meno importante è l’aspetto spirituale, che in Italia ci ha visti riuniti in preghiera la vigilia di Pentecoste per tutti i cristiani perseguitati. E infine è fondamentale il compito di sensibilizzazione delle coscienze per arrestare il male, anche secondo il principio ricordato dal Papa per cui «fermare l’aggressore ingiusto è un diritto dell’umanità, ma è anche un diritto dell’aggressore, di essere fermato per non fare del male»2. Ma qui cominciano le difficoltà.
Sapete infatti bene che la chiesa in Occidente (Europa e Stati Uniti), pur conservando in alcune regioni una consistente presenza di popolo, manifesta una debolezza culturale che la rende spesso ininfluente rispetto alle decisioni politiche. Tutto lo zelo degli evangelicals americani per il Vangelo che effetto ha avuto in Medio Oriente? Dobbiamo ben chiedercelo. Sotto Obama non ha spostato di una virgola la politica americana, che solo due anni fa è stata a un passo dal fornire sostegno diretto a ISIS. E prima di Obama, il presidente Bush ha pianificato e guidato la fallimentare invasione dell’Iraq. Di fronte a questi fatti, e alla parallela latitanza dell’Europa, è inutile farsi illusioni: non ci sarà nessuna spedizione per salvare i cristiani orientali, come fu nel 1860 in Libano; al massimo, un misero incrociatore che, come il Guichen nel 1915, raccoglie i superstiti armeni del Mussa Dagh per trasportarli in Europa3. E sarebbe già molto, visti il vento che spira nell’attuale dibattito sui profughi.
Il fatto è che in Occidente esiste una reale difficoltà a comprendere quanto sta avvenendo in questa regione. Si pensa di sapere già, di avere la chiave per interpretare i fatti. E si commettono così errori grossolani di valutazione. Senza andare a scomodare Iraq e Siria, basta citare la persistente incapacità a leggere quanto sta avvenendo in Egitto se non nei termini di “elezioni tradite”. L’occidentale medio non è in grado di pensare una guerra di religione, anche per la sua storia passata, e ragiona unicamente secondo gli assoluti di democrazia e tirannide, senza percepire la necessità di cooperare con tutte quelle forze che si oppongono, per le più varie ragioni, al genocidio fisico e culturale perpetrato da ISIS e dagli Stati che, direttamente o indirettamente, la sostengono nel criminale progetto di un Medio Oriente mono-colore.
Per questo temo sia fatica sprecata cercare di porre la questione, anche con i governi occidentali, in termini di diritto a difendersi. L’unico linguaggio che mi pare resti utilizzabile è quello umanitario: raccontare le sofferenze. Suggerirei pertanto d’individuare alcuni casi particolarmente eclatanti su cui sollecitare un intervento internazionale. Penso in particolare ad Aleppo, che è già diventata la nuova Sarajevo del XXI secolo. La proposta di aprire un corridoio umanitario per alleviare le sofferenze di questa città, prima che finisca anch’essa in mano a ISIS, potrebbe avere qualche possibilità di successo anche a livello mediatico. Di più, realisticamente, non mi pare possibile sperare, nel quadro d’immobilismo internazionale imbarazzante e miope che purtroppo domina.

Spero di non aver abusato del vostro tempo e della vostra pazienza nel presentarvi questi tre pensieri. E vi ringrazio ancora per la possibilità di chinarci insieme a leggere questa drammatica circostanza. Essa è un appello che il Signore rivolge, attraverso di voi, alla Chiesa tutta per la conversione di ciascuno.

+ Card. Angelo Scola
Arcivescovo di Milano


1 Omelia alla S. Messa, 30 giugno 2014.
2 Conferenza Stampa di Papa Francesco nel volo di ritorno dalla Repubblica di Corea, lunedì 18 agosto 2014.

3 Cfr. Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh, prima edizione 1933.