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venerdì 8 maggio 2015

LA SIRIA DOPO 4 ANNI DI GUERRA E DI DISINFORMAZIONE


abitazioni civili al Mogambo, colpite da missili di al Nusra - 4 maggio
Sulla situazione ad Aleppo ed in Siria vi proponiamo questa intervista di Silvia Cattori al dottor Nabil Antaki.  L' intervista chiarisce finalmente quello che i nostri giornali con 'fiumi di inchiostro' non hanno mai detto. 
Le domande: quelle che tutti si chiedono ma che nessun giornalista di solito rivolge agli intervistati. 
Le risposte: quelle chiare e non ideologiche che solo chi è attaccato all'umano sa dare.
Siriapax 


Fonte: comendonchisciotte –  tradotto da Maria Antonietta Carta Karroum
Il Dr Nabil Antaki parla delle sofferenze quotidiane in Aleppo. La sua testimonianza profondamente umana esprime con dignità ciò che la stragrande maggioranza dei siriani soffre dal 2011. Egli avrebbe potuto lasciare la sua città, Aleppo, e vivere al sicuro. Invece ha deciso di restare, per mettersi al servizio dei più indifesi e per testimoniare sulla gravità della situazione causata dal sostegno dell’Occidente ai gruppi armati venuti da fuori, e che da quattro anni distruggono il suo Paese e terrorizzano la popolazione.

D. Signor Antaki, grazie per avermi accolto. Può dirci come vede la situazione del suo Paese e in particolare di Aleppo, dove lei vive?
R. La situazione quotidiana è molto difficile. Manca il carburante e l’elettricità per il riscaldamento. Chi ha denaro ha costruito un camino e compra la legna. Si soffre per il freddo e per la povertà. Mancano i combustibili e i farmaci sono pochissimi.
Si soffre per l’aumento del costo della vita, da cinque a dieci volte dall’inizio del conflitto. La popolazione è depauperata e mancano le risorse per le necessità quotidiane. L’80% degli Aleppini per sopravvivere dipende dagli aiuti umanitari.
La situazione è davvero molto difficile. Inoltre siamo sottoposti a bombardamenti continui da parte dei gruppi armati che accerchiano la città, e i mortai riversano una pioggia di fuoco sui vari quartieri causando numerosi morti e decine di feriti giornalieri.

D. L’ONU ha chiesto di recente al governo siriano il cessate il fuoco; ma da ciò che lei dice, se ho ben capito, quelli che vi nuocciono sono soprattutto i bombardamenti dei ribelli.
R. Aleppo è divisa in due zone. Quella in cui abito io si trova sotto il controllo del governo siriano. I quartieri periferici, che circondano Aleppo, sono invece in mano dei ribelli dal luglio 2012. L’esercito regolare bombarda i quartieri dei ribelli e i ribelli bombardano i quartieri sotto l’egida del governo. Il bombardamento è reciproco.
Chi abita da questa parte non sa quel che succede dall’altra. Si sentono le cannonate, ma ignoriamo cosa vi accada.  Però quella zona periferica non è più molto abitata. La maggior parte dei residenti si è spostata nell’area controllata dal governo già dal Luglio 2012 e in una seconda ondata nel Gennaio 2014.

D. La sofferenza di cui parla all’inizio di questa intervista si deve a chi? Ai ribelli o al governo? Perché da noi si tende a dire che il governo è l’unico colpevole.
R. Questo avviene perché i Media occidentali disinformano, invece di informare.
Da parte del governo non c’è una volontà deliberata di far soffrire la gente. Il governo non ha alcun interesse a che il popolo soffra.
Se patiamo per la penuria di combustibile, di cibo e farmaci, si deve soprattutto all’insicurezza delle vie di comunicazione. La strada principale che collegava Aleppo al resto del Paese è chiusa da due anni. Esiste solo una strada secondaria resa agibile da un anno circa per permettere l’ingresso e l’uscita dalla città. Anche le derrate alimentari passano da lì. Essa è peraltro poco sicura. Proprio un anno fa vi fu ucciso il mio fratello maggiore, che rientrava da una visita ai figli. Lo uccisero i ribelli, che tutte le settimane rapiscono viaggiatori. Inoltre, essendo molto stretta, non vi possono circolare convogli di camion.
Così i prodotti alimentari arrivano col contagocce. Due mesi fa, durante un mio viaggio in Francia, lessi sui giornali che i 300.000 mila abitanti di Aleppo erano sottoposti a bombardamenti e a un blocco totale. Questo non è vero. 300.000 sono gli abitanti dell’area periferica controllata dai ribelli. Nella parte controllata dall’esercito regolare gli abitanti sono due milioni e soffrono altrettanto o forse più dei 300.000 che stanno dall’altra parte.

D. I 300.00 sono ostaggi dei ribelli, o terroristi? Non so se è giusto chiamarli ribelli.
R. Io li chiamo gruppi armati.  Naturalmente si possono anche definire terroristi, visto che esercitano il terrore.  No. Non sono ostaggi dei gruppi armati. Sono persone che non hanno avuto la possibilità di lasciare i propri quartieri. Un milione ha avuto questa possibilità. Quelli che restano non hanno avuto l’occasione o i mezzi per andar via.

D. Quindi i 300.000 che soffrono non sono vittime di Bashar al Assad, se ben capisco, ma sono rimaste intrappolate nei quartieri in mano ai gruppi armati.
R. Si. Attualmente si patisce da entrambe le parti, ma le ricordo che, dieci mesi fa, la nostra zona fu vittima di un blocco completo fatto dai gruppi armati. Per tre mesi non si poteva uscire da Aleppo né entrarvi, e non arrivava nessun prodotto; mentre nell’area in mano ai ribelli arrivava tutto. Adesso, grazie a questa nuova strada aperta dal governo, non si è più sottomessi a quel blocco.
Le ricordo inoltre che durante i mesi di Giugno e Luglio del 2014 i ribelli hanno tagliato completamente l’approvvigionamento dell’acqua. Durante due mesi e mezzo neppure una goccia d’acqua scese dai nostri rubinetti.  Mentre essa non mancava dall’altra parte. I gruppi armati avevano chiuso intenzionalmente il passaggio dell’acqua per far soffrire la popolazione.  Per quasi due mesi e mezzo, l’occupazione fondamentale fu fare la fila davanti ai pozzi delle moschee, delle chiese e dei giardini pubblici e riempire bidoni d’acqua. Per intere settimane, ci hanno privato anche dell’elettricità. Le centrali elettriche e l’acqua si trovano nella parte in mano ai ribelli ed essi tagliano l’acqua e la luce a loro piacimento, generando grandi sofferenze alla nostra gente.

D. Ciò che lei dice è molto importante. In genere, si tende a dare uguali responsabilità alle due parti in conflitto, mentre i responsabili di tutte le vostre pene sono i gruppi armati. Quindi, la richiesta che si fa ad Assad di ritirarsi in quanto sarebbe un mostro appare falsata.
R. Certo. Fa parte della strategia dell’informazione sin dall’inizio del conflitto demonizzare Bashar al Assad. Lo si descrive come un mostro che massacra il suo popolo, ma non è vero.
Non sono un suo estimatore e non mi interessa seguire i politici, ma posso affermare che se in questo momento si facesse una consultazione popolare sotto l’egida internazionale, Bashar al Assad otterrebbe sicuramente la maggioranza. Innanzitutto è carismatico: moltissimi lo stimano tanto. Anche se prima della guerra iniziata a marzo del 2011 il regime non era sicuramente democratico al 100%. Volevamo più libertà, più democrazia, questo è vero. Il regime non era perfetto.
Ma ottenere un governo democratico al 100% non è una ragione sufficiente per distruggere il Paese, per massacrarne gli abitanti, per giungere al punto in cui ci troviamo. Anche chi non appoggiava il regime adesso condanna quel che è successo. Non si accetta di veder distrutta la Siria per un poco più di libertà, di democrazia.

D. Lei ritiene che Assad vi abbia salvato dal peggio?
R. Si. Non voglio sostenere che non ci siano state delle vittime, uccisi e feriti, da parte dell’esercito regolare. Sarebbe una falsità. Le vittime sono da entrambe le parti. Quando uno Stato è attaccato si difende. Quando si è colpiti da autobombe, dagli ordigni di gruppi armati che decapitano, crocifiggono, lapidano, lo Stato si difende con le armi.
Certo, anche nelle zone controllate dai ribelli ci sono stati e ci sono feriti e morti, non si può negarlo. È conseguenza della reazione difensiva di uno Stato. Io credo che qualunque Stato al mondo, se venisse attaccato si difenderebbe con le armi.

D. Per concludere, vorrei che la sua opinione arrivasse ai Media, ai commissari dell’ONU, agli investigatori e alle ONG. Molto spesso hanno affermato che l’esercito regolare agisce in maniera criminale. Secondo lei, le forze armate sono legittimate dal popolo siriano?
 Le manifestazioni non sono state pacifiche. Testimoni oculari mi hanno raccontato che sin dalla prima settimana del conflitto tra i manifestanti si infiltravano persone armate che sparavano da una parte e dall’altra per provocare lo scontro. Le manifestazioni non erano spontanee.
Anche senza parlare di un complotto, posso affermare che quel che successe non fu spontaneo. Fu ideato e concretizzato, o è ancora in fase di attuazione.
Tutti quelli che incontro, cristiani e musulmani, persone che amano il regime e persone che non lo amano affatto, tutti quelli che incontro nel mio ambulatorio – sono un medico – o nella ONG in cui presto la mia opera, o in strada, mi dicono: ‘’Dottore, non volevamo che accadesse tutto ciò. Desideravamo vivere meglio, avere più libertà, ma non arrivare a questo. ’’ La gente continua a ripetermi: ‘’Vedi cosa ci hanno fatto! ’’ E il ‘’ci’’ si riferisce sempre ai gruppi armati. Ho fatto una piccola statistica con i miei pazienti, l’80% sono degli sfollati e tutti mi ripetono: ‘’ Vedi cosa ci hanno fatto’’ e parlano dei gruppi di ribelli. La maggior parte afferma di non credere alla storia sulla libertà e i diritti umani. Se il Qatar e l’Arabia Saudita volessero veramente la democrazia per il popolo siriano, dovrebbero applicarla prima da loro.
Altri mi dicono: ‘’ Ah ah, i diritti umani… gli Stati Uniti vogliono i diritti umani per la Siria. Farebbero meglio ad applicarli in casa loro. Dove sono i diritti umani. A Guantanamo? Con prigionieri senza diritto a un avvocato. E il rapporto, presentato dal senato americano nel mese di Dicembre, sulla tortura nelle prigioni segrete della CIA in Europa, con migliaia di arrestati in dieci anni. Che l’America non venga a darci lezioni sui diritti umani! ’’
La gente non crede assolutamente che gli USA, l’Europa, la Turchia e i Paesi del Golfo sostengano i gruppi armati per amore dei Siriani, della libertà, della democrazia o dei diritti umani. Nessuno si beve questa storiella. Tutti sanno che esiste un Piano … un progetto per il Nuovo Medio Oriente, sognato da Bush ed i suoi accoliti. Tutti sanno del Caos Costruttivo di Condoleezza Rice. Tutti sanno, e riflettono su queste cose che si stanno concretizzando qui da noi, dopo che si è tentato in Libia. Con successo. Distruggendola. E in Iraq. Anch’esso distrutto. L’Egitto è forse l’unico Paese che sia riuscito a salvarsi la pelle.
I Siriani non amano leggere nei Media ciò che scrivono sul loro esercito: che è l’esercito di Bashar. No. Non è l’esercito di Bashar. È l’esercito siriano. Formato dai nostri giovani, che fanno il servizio di leva. Non è l’esercito di Bashar che si batte contro l’Esercito libero. Semmai c’è stata all’inizio la parvenza di un Esercito libero, ora di sicuro non esiste più. O si riduce al 5% dei gruppi armati, mentre il 95 % di essi è costituito da barbari: Daesh, Al Nusra, Fronte islamico, Esercito islamico … E potete vedere quel che fanno i barbari. Tutti i Media parlano ormai di decapitazioni, crocifissioni, di lapidazioni di donne etc.

D. Non è scioccante per voi che in Occidente, dopo la proclamazione dello Stato islamico, in Giugno 2014, non si sia dato al presidente Assad il sostegno in quanto il vostro Paese, come l’Iraq, era minacciato?
R. Gli Occidentali si sono accorti di questa minaccia soltanto quando gli attentati sono avvenuti in casa loro. Con quattordici morti, credo, a Parigi e quattro a Copenaghen. Le vittime dello Stato islamico qui sono invece migliaia. Noi preferiamo dire Daesh  Rifiutiamo di parlare di Stato islamico, esso presupporrebbe appunto uno Stato e non accettiamo che esista… non si sa dove sia quello stato.
A noi Siriani sconcerta il fatto che in Occidente si associ il Paese a Daesh, quando leggiamo di Occidentali che vogliono fare la Jihad in Siria: come se la Siria fosse terra di Jihad! Come se in terra siriana esistesse una tradizione di estremismo e barbarie! Noi Siriani, tutti noi Siriani: cristiani e musulmani, poveri e ricchi, non abbiamo mai conosciuto questa barbarie. Io sono cristiano, ma la maggior parte dei miei pazienti è musulmana. Tutti loro e tutti i miei amici musulmani mi dicono: ’’ Non abbiamo mai visto una cosa del genere. Per secoli siamo vissuti insieme, musulmani e cristiani. Non c’era alcun problema tra noi. Non abbiamo conosciuto neppure una millesima parte della barbarie a cui oggi assistiamo! ‘’
Quando in Occidente si associa la barbarie alla Siria, quando si parla di fare la Jihad,  appare come se essa fosse predisposta alla barbarie. Ma ciò non fa parte della tradizione siriana. È un’importazione!
Ogni tanto, ricevo pazienti musulmani che ho seguito per molti anni. Essi vengono da Raqqa, da Membij e da altri centri che Daesh controlla da diversi mesi.  ‘’ Dottore, è atroce vivere sotto Daesh! ‘’ mi dicono. ‘’è terribile! Come hanno fatto a impadronirsi delle nostre città?  Soffriamo molto e vorremmo che se ne andassero. ’’ E quando gli chiedo: ‘’ Chi è questa gente? È di Raqqa? ‘’ mi rispondono: ‘’No! No! Sono Ceceni, Afghani, Pakistani, Sauditi, Tunisini, Marocchini. ’’

D. Tutto ciò è accaduto prima del Giugno 2014. Voi soffrivate per questa barbarie ma essa veniva tenuta nascosta.
R. Si. Non si chiamava ancora Stato islamico, né Daech, ma esisteva già. Ricorda che nel Maggio del 2011, due o tre mesi dopo l’inizio degli avvenimenti, nella città di Jisr al Shughour, gruppi armati circondarono edifici delle forze di sicurezza e uccisero tutti le persone che vi si trovavano, erano novanta. Furono fatte a pezzi e gettate dal terzo e dal quarto piano.

D.  Si trattava di soldati?   
R. Si. Erano soldati e personale della sicurezza.

D. Ricordo che all’epoca si affermava che era stato l’esercito siriano a fare a pezzi i propri soldati.
R. Non è vero. Abitanti di Jisr al Shughour che ho incontrato mi hanno riferito che gruppi di ribelli che terrorizzavano i villaggi circostanti, invasero la città, circondarono gli edifici con poliziotti e soldati che gettarono dal terzo piano. Ci fu disinformazione.

D. Fu un pretesto, quindi. Il punto di partenza da cui chiedere un intervento in Siria. Quando si assistette alla incredibile avanzata dello Stato Islamico nel 2014 vi sarete attesi, da parte dell’Occidente, al riconoscimento dell’esercito e del governo Assad come collaboratori nella lotta contro un comune nemico. Perché si sono aiutati soltanto i Curdi siriani? Perché i Curdi che sono stati sostenuti a Kobane sono in Siria. Da una parte, gli angelici Curdi da aiutare, da proteggere. Dall’altra l’esercito siriano sempre considerato orribile. Come avete sentito questa diversa attitudine?
R. Dal nostro punto di vista è inspiegabile. Bisogna entrare nella logica dei dirigenti occidentali che, presumibilmente, pensano alla partizione della Siria, come lei ben sa. L’Iraq è quasi smembrato: Il Kurdistan, in pratica indipendente, è sostenuto da USA e Israele. Chi vi si reca dice che è pieno di Israeliani e Americani.  Dunque è probabile che i piani occidentali mirino alla partizione della Siria.
Per questo hanno sostenuto i Curdi a Kobane e invece non sostengono il regime siriano nella lotta contro Daesh. Daesh è una loro creatura. Sono loro che gli hanno dato i natali. Come nel passato al Qaeda. Ricorda il famoso incontro tra McCain e i generali dell’Esercito libero? Dove anche il futuro califfo di Daesh, al Baghdadi, figurava come ufficiale dell’Esercito libero? McCain lo incontrò in quell’occasione e la gente si domanda, appunto, se Daesh non sia una creatura americana come al Qaeda in Afghanistan.

D. Ciò vuol dire che si continuerà per questa via. Vi sentite minacciati. Vivete nella paura e nell’angoscia?
R. La gente è veramente angosciata. Tutti hanno paura ad Aleppo. Temono che la loro sorte sia uguale a quella degli abitanti di Mosul.  Lei ricorda che fu occupata da Daesh. Apposero sui muri delle case dei cristiani delle nun (n) ordinandogli di convertirsi o lasciare la città, pena la morte. Sono andati via a piedi, incolonnati, come gli Armeni un secolo fa, nel 1915, sterminati dai Turchi.
Gli abitanti di Aleppo, soprattutto i cristiani, hanno paura. Per questo assistiamo a un esodo in massa dei cristiani. Il 50 % sono già fuggiti. Ma non solo i cristiani, tanti tantissimi nostri compatrioti musulmani si sono stabiliti in Libano, in Egitto e in altri Paesi. Tutti hanno paura. Ed anche chi non ha paura è stanco. Hanno perso ogni speranza, assistendo alla distruzione del loro Paese. C’è chi pensa ai figli, i giovani al loro futuro e vanno via. Tutto ciò ci addolora.

D. In un’altra occasione lei mi ha detto che lo Stato Islamico si trova a poca distanza da Aleppo. Cosa significa?
R. Daesh è a 30 km. Da Aleppo, e da diversi mesi non cerca di avanzare. Però non si trova nei quartieri periferici della città. Questi sono controllati da Al Nusra e da altre decine di gruppi armati: uno per quartiere. Per fortuna Daesh non è in Aleppo.

D. A che punto è l’offensiva lanciata dall’esercito regolare? È vero che ha fallito nel tentativo di liberare i villaggi assediati dai gruppi armati? Si dice che sia stato respinto da centinaia di uomini armati giunti dalla Turchia.
R. A dire il vero, gli Aleppini non si sono accorti di questa offensiva. Le notizie arrivano  dalla televisione e da internet. Qui la gente è scettica. Sono trascorsi due anni e mezzo dal primo intervento delle truppe regolari. Ci sono bombardamenti e combattimenti quotidiani, offensive, ma  l’esercito non è avanzato di un solo metro.
Voglio dire che nell’area controllata dai gruppi armati, la parte occupata a Luglio del 2012, la situazione non è cambiata. Né l’esercito regolare ha conquistato un metro in più, né un metro in più hanno preso gli avversari. La situazione è bloccata. Vige uno status quo terribile. Quando sente dire che l’esercito regolare ha lanciato delle offensive e ha preso il controllo dei villaggi, la gente è scettica. L’unica cosa certa è che sono avanzati un po’ a nord e hanno preso il controllo  della prigione centrale, a circa  10-15 km da Aleppo, perchè si sa che i prigionieri che soffrivano enormemente per un blocco completo sono stati portati ad Aleppo. Questa è l’unica cosa sicura. Per il resto sappiamo quello che raccontano i Media.

D. Come spiega il fatto che l’esercito regolare non riesca ad avanzare, a farvi uscire da questa situazione terrificante?
R. L’esercito Siriano non è grande. Sono circa 400.000 uomini. Se però togliamo tutti i soldati che svolgono un lavoro amministrativo, quelli che si trovano negli ospedali militari, gli autisti etc. İl numero dei combattenti effettivi si riduce notevolmente.
In Siria ci sono 30-40 focolai di insurrezione, 20-30-40 zone in cui si combatte. L’esercito non può trovarsi ovunque. Sin dall’inizio vince le battaglie ma non può fermarsi a lungo. Spesso è costretto a ritirarsi per andare da un’altra parte e i gruppi armati ne approfittano per riprendersi un villaggio o un quartiere. Ci sarebbe bisogno di uno-due milioni di combattenti per riconquistare il territorio, occuparlo e restarvi. Per questo motivo la gente è molto pessimista. Si rende conto che la situazione non cambia, e pensa che nessuno dei due campi potrà ottenere una vittoria militare. Peraltro, tutti pensiamo che lo Stato siriano non può vincere se non si chiudono le frontiere turche.
Finché uomini potranno passare dalla Turchia per venire a combattere in Siria, finché passeranno le armi,  lo Stato siriano non potrà vincere. Si protrarrà lo statu quo. 
İnfine, la gente non crede ci sia un’opposizione moderata. Sul campo non esiste un’opposizione moderata. Gli unici moderati sono quelli che vivono all’estero, nei palazzi turchi, negli hotel 5 stelle dei Paesi del Golfo. Essi trascorrono il tempo in discussioni, in talk show televisivi, ma  non hanno nessuna influenza all’interno.
Nessuno in Siria li conosce. La famosa Coalizione nazionale o il Fronte siriano non rappresentano assolutamente il popolo siriano. Il primo Presidente del Consiglio nazionale siriano non era conosciuto neppure da cinquanta persone, prima di essere designato dagli Occidentali. E questo Consiglio nazionale, riconosciuto come legittimo rappresentante dall’Occidente, qui fa ridere. I Siriani dicono: ‘’ Non li conosciamo, vivono all’estero da 30 anni e ci vogliono rappresentare! Non conosciamo neppure i loro nomi.’’ E si chiedono con quale diritto gli Occidentali possano indicare il loro rappresentante legittimo. Insomma ci sono molte domande che restano senza risposta sull’atteggiamento degli Occidentali verso la Siria.
cattedrale greco-melchita di Aleppo colpita in questi giorni

D. L’Onu condanna i bombardamenti del governo. Perchè? Cosa ne pensa? Se il governo non bombardasse le zone occupate dai gruppi armati, come lei li definisce, la popolazione sarebbe esposta a pericoli maggiori. Come si può criticare l’esercito siriano che fa quel che può per farvi uscire da questa situazione catastrofica?
R. Giustamente, il generale De Gaulle aveva definito l’ONU ‘’le machin’’ l’accrocco. Ebbene, qui  la gente non ha fiducia in quell’accrocco. Per fortuna la Russia e la Cina hanno diritto di veto e appoggiano lo Stato siriano. Nessuno si fida dell’Onu, né della Lega araba che nei confronti della Siria, uno dei principali Paesi fondatori, si è comportata in modo abominevole. Il popolo siriano odia i Paesi del Golfo e la Lega araba col suo segretario generale. Li detesta perchè si sono  comportati molto male.  Le relazioni sono distorte. Si guarda solo a quello che succede dalla parte dei gruppi armati. Io dico sempre ai miei amici in Occidente ‘’che i giornalisti, gli investigatori, i rappresentanti dell’Onu visitino le aree sotto il controllo dello stato; che vedano cosa succede alla popolazione, quanti sono i feriti e gli uccisi ogni giorno ‘’ Una settimana fa sono state fatte esplodere ad Aleppo due moschee, uccidendo quattordici persone tra cui quattro studenti che uscivano dalla scuola. L’indomani altre bombe sono cadute causando morti e feriti. Che visitino gli ospedali della nostra regione, che vedano i feriti di guerra. Io lavoro in un ospediale dove è stato creato un programma per i civili feriti di guerra. È un  ospedale privato ma vi si curano gratuitamente i civili feriti da azioni di guerra. Tutti sono feriti a causa dei mortai e delle pallottole dei gruppi armati. Recentemente è stata portata una donna colpita alla testa da schegge di granate e ha perso un occhio. Nello stesso giorno un uomo ha perso una gamba per una granata. I gruppi armati s’infiltrano nei nostri quartieri. Quando i miei amici occidentali m’inviano dei rapporti scritti da Medici senza frontiere o Medici nel mondo, che raccontano le loro esperienze nelle zone controllate dai gruppi armati,  io dico ai miei interlocutori che si tratta di rapporti parziali. Queste persone entrano  illegalmente in Siria attraverso la Turchia o attraverso il Libano per curare i ribelli, uomini feriti nei combattimenti, in dispensari e ospedali. Questi Medici senza frontiere vengano nelle nostre regioni e vedranno maggiore sofferenza, più ammazzati, più feriti che nelle zone dei gruppi armati

D. Signor Antaki, come succederà in futuro?
Nessuno può prevederlo. Le ho gia detto che la gente è pessimista. Molti hanno perso ogni speranza. Molti pensano di lasciare il paese. Non so proprio come evolverà la situazione. Vado dicendo sin dall’inizio che questi avvenimenti non ci porteranno la democrazia o i diritti umani o la libertà. 
Ci  sono tre percorsi di uscita dal complotto ordito contro la Siria. Se gli avvenimenti e i gruppi armati che li hanno determinati vincessero, si arriverebbe a uno stato islamico o al caos o alla guerra civile. Lo scrissi nel giugno del 2011 e penso che le cose andranno avanti in questo senso se  l’Occidente continua a sostenere i gruppi armati e se la Turchia non chiude le frontiere. La Turchia fa un gioco sporco. È il principale sostenitore dei gruppi armati.
Se non  ferma il loro gioco, assisteremo alla nascita di uno stato islamico e allo smembramento della Siria. Non si vede altra soluzione.
L’esercito regolare non può vincere senza la chiusura delle frontiere turche e se gli  Occidentali continueranno ad armare e inviare dei giovani nel nostro paese.  Noi non siamo la discarica dell’Occidente. Tenetevi i delinquenti e gli estremisti. Che non vengano in Siria! 30-40 mila Europei combattono già qui. Sono arrivati terroristi da 80 nazioni. L’immondezzaio dellOccidente. Cosa vengono a fare qua. Che restino a casa loro. Arrestateli a casa vostra.

D. La situazione è terribilmente pericolosa. Mi chiedo come lei possa restare. Non andar via come tanti altri. È la dignità che la induce a restare mentre la sua vita è costantemente in pericolo?   E la sua famiglia, i suoi cari?
Si resta in Siria per diversi motivi. Siamo varie categorie.
Gli abitanti di centri non esposti direttamente, come le città della costa: Latakia, Tartus, e una grande parte di Damasco. Dove non ci sono combattimenti la gente vive normalmente. Molti Aleppini che sono stati a Lattakia la descrivono come un altro mondo, senza combattimenti e prospera.
Altri restano perchè non hanno la possibilità economica o perchè non conseguono un visto. Viaggiare fuori dalla Siria significa possedere denaro, procurarsi un visto. L’unica via d’uscita era il Libano, ma da due mesi ha stabilito condizioni draconiane per l’ingresso. Adesso un Siriano che vuol rendersi in Libano deve avere dei motivi drammatici, passare per un’ambasciata, avere un biglietto per un aereo in partenza dall’aeroporto di Beirut.
Personalmente, col mio gruppo, abbiamo scelto di rimanere in Siria, anche se la nostra vita è in pericolo e i figli che vivono all’estero ci supplicano di andar via, perchè vogliamo aiutare chi non ha scelta ed è obbligato a vivere qui.  Con una Ong, i Maristi blu, aiutiamo la popolazione a sopravvivere, sia fornendogli alimenti, vestiario e scarpe sia curandoli gratuitamente e occupandoci dell’educazione dei bambini. Pensiamo che la nostra presenza aiuti, dia forza. Per questo dobbiamo restare.

Silvia Cattori. Lei è ammirevole. Mi sento quasi a disagio al pensiero di poter vivere confortevolmente e al sicuro sapendola in questa situazione. È difficile pensare che lei viva una condizione così tragica e con lei tutta la popolazione. Ed ecco la sua commovente, sconvolgente testimonianza. Abbia cura di lei. La ringrazio infinitamente. Farò tutto il possibile per trasmettere il suo messaggio il più lontano possibile.
Nabil Antaki:
Grazie, Silvia. Grazie.

Fonte: http://arretsurinfo.ch

martedì 5 maggio 2015

"La crisi in Siria è parte di una guerra mondiale!": mons Arbach

Intervista all'arcivescovo melchita di Homs, mons. Jean Abdo Arbach

 Zenit.org , intervista di Iván de Vargas 

Quattro anni dopo dall'inizio della guerra in Siria, la crisi umanitaria è andata sempre più deteriorandosi, e tuttora non presenta alcun segno di miglioramento. Oltre 200mila persone hanno perso la vita in questi anni, secondo i dati delle Nazioni Unite, e chi è rimasto in vita è in preda ad una sofferenza schiacciante. Su una popolazione totale di 22milioni di abitanti, oltre la metà in Siria necessita di assistenza e di beni primari come acqua, cibo, cure sanitarie. Il resto, circa 6-7 milioni, sono sfollati fuggiti dalle loro case. La maggior parte è rifugiato in Libano (circa un milione), altri 600mila in Giordania.  
A raccontare a ZENIT tutto questo è l'arcivescovo greco-cattolico melchita di Homs, Hama e Yabrud, mons. Jean Abdo Arbach, intervistato in esclusiva a Madrid, in occasione della sua partecipazione alla Giornata sull'Oriente cristiano e il mondo arabo. Nel colloquio, il presule parla dei cristiani che vogliono rimanere in Siria e degli sfollati che vorrebbero tornare a casa; spiega poi che la crisi che attraversa il paese è il frutto di una guerra mondiale che si combatte sul suolo siriano. Al contempo, mons. Abdo interpella la comunità internazionale a trovare una soluzione dignitosa per le famiglie e i milioni di bambini che hanno fame, sono malati e necessitano di una educazione.  

Attualmente ci sono due piaghe in Siria: la guerra civile e le minacce del Califfato islamico. Da quando va avanti questa situazione?
La crisi in Siria, non è una crisi civile. Si tratta di una guerra mondiale combattuta nel territorio siriano. Quando potrà terminare? Parliamo di una domanda internazionale.
La Siria chiede pace e tranquillità. La gente è stanca e vuole tornare a casa. Vuole vivere con dignità. Abbiamo bisogno tutti di pace. Come ha detto il Papa: “Che tacciano le armi!”. Quindi, ripeto, che tacciano le armi!

È possibile trovare una soluzione alla crisi attraverso il dialogo?
Rispondo chiaramente. Nessuno può fermare il dialogo. Proprio oggi, per fortuna, è iniziato un dialogo interno tra il governo e l'opposizione siriana in Russia. Quindi c’è un dialogo. Ma si sta parlando in generale. Se si troverà una soluzione o meno, non lo so... L'opposizione è influenzata dalla comunità internazionale. Non c’è una posizione chiara sulla soluzione. Questo è il problema. Oggi, il Medio Oriente è tutto in fiamme. Non sappiamo chi è il responsabile. Non succede solo in Siria. È necessario che la comunità internazionale, insieme con i governi attuali, trovi una soluzione dignitosa per le persone, per le famiglie, per i bambini... E solo quando ci sarà la libertà e la dignità di dire la verità, si potrà giungere ad un vero dialogo. E la guerra finirà.

Cosa sta facendo la Chiesa per mitigare questa ondata di sofferenza? 
La Chiesa lavora molto. Ci sono riunioni permanenti del Papa con i patriarchi, o dei vescovi della Siria con i patriarchi. La Chiesa aiuta molto. La Chiesa è presente ovunque. La Chiesa dialoga, anche con i leader musulmani. Organizziamo molti incontri per promuovere la riconciliazione tra le due religioni. E per fortuna, siamo riusciti a fare tanto per questo. Il problema non è questo… È che ci sono alcune difficoltà. Ad esempio: cosa fare per far giungere gli aiuti in Siria? Il paese soffre un blocco da pare di Europa e Stati Uniti, e abbiamo quindi grande difficoltà a far entrare materiali in Siria.

L'atteggiamento dell'Occidente influenza la minoranza cristiana?
Il problema che ci si pone è se l'Occidente vuole che i cristiani rimangano nei loro paesi d'origine. Stiamo parlando di paesi che sono le radici stesse del cristianesimo: Siria, Libano, Iraq... Sono la culla del cristianesimo. Oggi, cosa pensa l'Europa dei cristiani? Per esempio, in Iraq prima della guerra del Golfo c’erano un milione e mezzo di cristiani. Oggi ce ne sono appena 200mila. Allora mi chiedo: qual è il futuro dei cristiani in Medio Oriente? Loro vogliono restare, vogliono vivere nella loro terra, dove ci sono le loro radici…
Quali sono le paure del popolo siriano?
In un certo senso, i siriani non hanno paura. Sono spaventati da Daesh [acronimo arabo per lo Stato Islamico, ndr] e dagli estremisti, ma non del Governo. Anzi, al contrario… Il Governo ci protegge. Grazie a Dio, dove permane l’autorità del Governo stiamo bene. Abbiamo festeggiato la Pasqua, possiamo pregare, conviviamo cristiani e musulmani insieme… Il problema sono i luoghi fuori controllo a causa della presenza degli estremisti, di Daesh o del Fronte Al-Nusra. Non permettono di pregare in nessun modo, né di entrare in Chiesa o uscire la notte. Non si può fare nulla. Non c’è libertà, ma solo terrore.
Per rispondere alla sua domanda, una paura per ogni siriano forse è l’interrogativo: quale sarà il mio futuro? Dovrò vivere un’altra guerra più avanti? I cristiani del Medio Oriente già si stanno abituando a vivere così. Ogni 25 anni c’è una guerra.
E le speranze?
Abbiamo una speranza e una fede molto grande, che non sono mai mancate. Per questo siamo vivi. La presenza della Chiesa tra i fedeli è molto importante, soprattutto per sostenere le famiglie cristiane. La mia presenza e quella dei miei fratelli vescovi in questi i luoghi, la presenza dei sacerdoti nelle parrocchie, aiuta tanto i cristiani.

Il Consiglio dei Capi delle Confessioni cristiane di Aleppo ha appena lanciato un vigoroso appello…
Il popolo siriano non ce la fa più. È stanco. Aleppo ha già sofferto tanto in passato. E adesso viene bombardata coi razzi. Questo la comunità internazionale lo sa, ma non sa chi lotta contro chi. È necessario perciò che ci sia un lavoro congiunto per il rispetto, per fermare questi disastri. Chi fornisce le armi ai ribelli? Quante volte i nostri patriarchi hanno detto chiaramente che bisogna smetterla di inviare armi e denaro? Quando uno non viene più alimentato, smette di vivere.

Che messaggio vorrebbe inviare all’opinione pubblica?
Il mio messaggio è chiaro. È quello che dice il Vangelo: lavoriamo per la pace, lavoriamo per la giustizia. Basta armi! Basta violenza! Per Dio, per misericordia, per i bambini… Ci sono milioni di bambini che hanno fame e sono malati, che hanno bisogno che qualcuno si adoperi per dar loro un’educazione.
 Basta violenza! I nostri figli stanno per strada… Questa non è la nostra cultura. La nostra cultura è l’amore, la carità, la riconciliazione.

sabato 2 maggio 2015

Fra Ibrahim e Pizzaballa: «Ad Aleppo noi cristiani siamo sempre meno, ma decisi a resistere»



Terrasanta.net

«Ad Aleppo si muore, la gente diventa ogni giorno più povera e siamo certi che le cose peggioreranno. Ma quello che mi dà speranza è che molti cristiani non vogliono andarsene. L’esercito ha aumentato le difese. Ho la sensazione che la città possa resistere e non cadere nelle mani dei fondamentalisti…».
Stavolta incontriamo fra Ibrahim Sabbagh, parroco latino nella seconda città della Siria, a Milano. È da pochi giorni in Italia per una breve pausa e per raccogliere aiuti per la sua parrocchia, dopo un viaggio avventuroso che lo ha portato prima a Damasco (dieci ore per fare 360 chilometri e lungo il percorso molti posti di blocco, un blindato dell’esercito esploso su una mina e tre soldati uccisi), poi a Beirut e infine nel nostro Paese.

Il racconto di fra Ibrahim, che ad Aleppo ha lasciato altri tre confratelli francescani della Custodia, fotografa una situazione tragica: 
«I nostri “martiri”, cioè i cristiani morti in città negli ultimi tre anni sotto i bombardamenti sono 178 - annota fra Ibrahim -: 20 sono della Chiesa latina, 20 i melchiti, 14 i greco-ortodossi, 9 i siro-ortodossi, 7 i siro-cattolici, 7 i maroniti e 101 gli armeni. Aleppo prima che scoppiasse la guerra contava circa un milione di cristiani. Oggi nessuno sa quanti siamo rimasti: forse un terzo, forse un quarto... Quando facciamo l’incontro periodico tra tutti i responsabili delle Chiese di Aleppo, nessuno dice di conoscere il numero delle famiglie o il numero delle persone della sua Chiesa. Ma alcuni dati possono farci immaginare la situazione: le 9 scuole cattoliche della città due anni fa contavano 10.500 bambini iscritti, adesso il numero è sceso a 2.500. Questo confermerebbe che i cristiani sono diventati un quarto, un terzo in due anni… E quelli che rimangono, diventano più poveri di giorno in giorno. Secondo i dati di cui dispongo, abbiamo sicuramente 442 famiglie iscritte alla nostra associazione di beneficenza parrocchiale. Quando sono arrivato ad Aleppo, a fine 2014, vi erano iscritte soltanto 220 famiglie: in cinque mesi sono raddoppiate. Lentamente credo che tutte le famiglie busseranno alle porte dell’associazione… Secondo i sondaggi della Caritas, il 70 per cento delle persone che vivono oggi ad Aleppo è sotto la soglia della povertà. Diversamente da quanto avviene a Damasco, dove la maggior parte della popolazione lavora, ad Aleppo solo un quinto degli abitanti lavora ancora».

«Il cibo – prosegue il parroco francescano – in città arriva, ma a volte chi lo vende se ne approfitta e il prezzo cresce fino a diventare insopportabile. La gente è davvero molto povera: ultimamente ci capita addirittura di dover pagare tutte le spese dei funerali perché non hanno soldi neppure per questo…  Nonostante tutto, ci sono diverse cose che mi danno speranza: innanzitutto il fatto che molti cristiani di Aleppo sono decisi a non abbandonare la città. Amano Aleppo e sanno in ogni caso che se lasciano la città perderanno tutto. È positivo il fatto che pensino che ci sono ancora le condizioni per restare! Nonostante l’assedio e i bombardamenti la vita non si ferma: la biblioteca che noi frati abbiamo inaugurato alcuni mesi fa per gli studenti universitari, continua a rimanere aperta e i ragazzi continuano a studiare e a dare esami; le classi di catechismo hanno continuato a svolgersi fino all’ultima lezione, a cui erano presenti oltre 170 bambini. E poi mi consola molto vedere come ci sia tanta gente buona: trovo sempre persone disposte ad aiutare con molta facilità, disponibili, pazienti. Tra noi sacerdoti, infine, è meravigliosa la comunione che si è creata proprio in questa situazione di guerra».

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=7471&wi_codseq=SI001%20&language=it

Jisr el Choughour : la bandiera di al-Nusra issata sopra la croce della chiesa



L'intervista al Custode di Terra Santa 

(da Avvenire, 1 maggio)

di Andrea Avveduto

«Aleppo, la solidarietà resiste»


«La situazione umanitaria, in particolare ad Aleppo, è straziante. Mancano elettricità e acqua, la gente vive continuamente sotto i bombardamenti». Fra Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, appena tornato dalla Siria conserva negli occhi tutte le atrocità di una guerra assurda giunta ormai al quarto anno.


Padre Pizzaballa, quali zone ha potuto visitare e quali sono le più colpite dal conflitto? Sono stato a Latakia, Damasco e Aleppo. Non ho potuto andare nei villaggi del Nord perché c’erano dei combattimenti in corso per prendere Jisr al-Shugur, una cittadina che era sotto il controllo governativo e adesso è stata conquistata da al-Nusra. I jihadisti hanno distrutto in poco tempo anche tutte le nostre proprietà, ma non è il problema principale. Sono le tante famiglie sfollate che bussano alla nostra porta a preoccuparci. La città più colpita è Aleppo, dove la popolazione vive in condizioni disastrose e le uniche forme di lavoro che sopravvivono sono le piccole attività commerciali.

Quali sono le principali difficoltà della popolazione? Il costo della vita è aumentato drasticamente, non si può nemmeno quantificare con esattezza. La lira siriana poi non viene più utilizzata e – anche se è proibito – si impiega il dollaro. Il sistema sanitario è insufficiente per rispondere con tempestività ai bombardamenti, e tanti medici sono scappati. C’è un profondo senso di frustrazione, di disorientamento e di angoscia. Ad Aleppo tutti si chiedono se l’Is riuscirà – presto o tardi – a entrare in città.

Cosa significa la vostra presenza per la popolazione? È fondamentale, perché la gente non ha solo bisogno di pane. A volte conta di più una parola di conforto, un abbraccio o una stretta di mano. Non abbiamo la pretesa di cambiare le sorti della guerra, ma in questo conflitto abbiamo davvero la possibilità di cambiare noi stessi, di rimboccarci le maniche e darci da fare, di continuare a credere che l’uomo sia fondamentalmente buono perché creato a immagine di Dio, e non permettere che la logica della guerra diventi anche per noi il criterio con il quale guardare a tutta questa violenza. Anche nella paura, che è grande e innegabile.

C’è spazio per sperare in Siria? Tanti piccoli segni ci dicono che sperare è possibile e – aggiungerei – doveroso. I poveri si aiutano tra loro, in particolare chi ha perso la casa. C’è chi ha ricavato uno spazio nel suo appartamento per accogliere gli sfollati. Ho assistito a un funerale di una madre morta con le due figlie: c’erano tante donne musulmane con il velo che partecipavano alla Messa per piangere assieme ai vicini cristiani. È un grande segno di solidarietà. Le relazioni non si sono spezzate, come vorrebbero farci credere. Sono piccole cose, ma restano segni importanti, in questo mare di odio.

Che cosa chiede all’Occidente e a ciascuno di noi? Chiedo di non dimenticare i nostri fratelli che continuano a morire in Medio Oriente. E poi chiedo di aiutare economicamente le realtà che sono ben radicate nel Paese e che nonostante questa guerra atroce continuano a lavorare per costruire. È importante e necessario non arrendersi, continuare a credere che sia possibile fare qualcosa e conservare quel patrimonio unico che il Medio Oriente ha preservato fino ad oggi.

È possibile sostenere l’attività dei frati francescani in Siria dal sito www.proterrasancta.org


Da AVVENIRE, 1 MAGGIO 2015

mercoledì 29 aprile 2015

Il patriarca Younan: «Ad Aleppo è una tragedia»


Era la Cattedrale dei 'Quaranta martiri', dedicata ai quaranta martiri di Sebaste. appartenente alla Chiesa apostolica armena. Risalente al XV secolo, è situata nel vecchio quartiere cristiano di Jdeydeh, uno dei più antichi della diaspora armena e della vecchia città di Aleppo.
Distrutta il 28 aprile dai missili Jihadisti.





26 aprile : attraverso i tunnel, gli jihadisti hanno colpito con gli esplosivi il centro storico

Suor Marguerite Slim, dell'ospedale Saint-Louis, da Aleppo scrive:


Cari donatori di SOS Chrétiens d’Orient,

oramai da tre settimane non abbiamo più acqua, niente elettricità, niente internet, tutto è nelle mani di vari gruppi islamisti e non possiamo sapere quando tornerà. È quindi difficile per noi comunicare, ma volevamo ringraziarvi, il generatore che ci avete permesso di acquistare è fondamentale in questi giorni veramente difficili.
La benzina è diventata una merce molto rara e molto costosa a causa delle sanzioni internazionali e delle difficoltà a raggiungere Aleppo: il grande generatore che abbiamo usato finora consumava troppo.

La situazione si è aggravata la scorsa settimana a causa di molti missili inviati sui due quartieri cristiani di Aleppo dagli islamisti: noi siamo in sicurezza in ospedale, noi restiamo e ci portano i morti e molti feriti. Ci è possibile curarli, nonostante l'assenza di energia elettrica, grazie alla vostra generosità. Grazie da parte loro, dal profondo del cuore.

Ma abbiamo anche bisogno delle vostre preghiere perché la popolazione è disperata. A volte è così difficile avere fiducia...

La stragrande maggioranza delle persone dei quartieri cristiani è ormai fuggita a Latakia e Tartous, a causa della distruzione immensa causata da questi missili. Ci resta solo Dio.

In ospedale, riceviamo ammalati o feriti. Ci sono anche alcuni membri del personale che dormano qui perché è diventato impossibile per loro, o troppo pericoloso,  tornare a casa.

Sentiamo i combattimenti per tutto il giorno sulla città e la gente è spossata dai combattimenti. Aleppo è circondata da gruppi jihadisti, e i residenti hanno solo una parola in bocca: aiutateci, salvaci!

Facciamo tutto il possibile, e riusciamo grazie a Dio a fare il nostro lavoro nel modo più corretto possibile.

Vi ringraziamo ancora una volta dal profondo del cuore per la vostra generosità e la vostra preghiera, soprattutto non dimenticateci ... Il vostro sostegno è vitale, ora più che mai.

Sœur Marguerite Slim

http://www.soschretiensdorient.fr/2015/04/soeur-marguerite-slim-d-alep-ecrit-aux-donateurs-de-sos-chretiens-dorient/


Questo messaggio toccante è stato inviato da

 Aleppo dal gesuita Padre Sami Halla,  del 

Jesuit Refugee Service (JRS):


martedì 28 aprile 2015

Patriarca Béchara Raï all'UNESCO: “Bisogna smetterla di sostenere i belligeranti con armi e denaro e di proteggere politicamente loro e le organizzazioni terroristiche”

BECHARA RAI: LA BUIA NOTTE D’ORIENTE E LE SENTINELLE DELL’AURORA
da: Rosso Porpora – di GIUSEPPE RUSCONI 
Il patriarca maronita è in questi giorni in Francia: sabato 25 aprile ha pronunciato un discorso veemente davanti all’assemblea dell’Unesco in difesa dei cristiani e di tutti i perseguitati del Medio Oriente. La comunità internazionale deve agire, fermare le guerre; le potenze regionali e mondiali blocchino la fornitura di armi e di denaro ai belligeranti, non proteggano più le organizzazioni terroristiche. Tornino i profughi in patria e siano loro restituiti i beni e i diritti.

Sabato 25 aprile il patriarca Raï è stato in visita all’Unesco, dove ha pronunciato un discorso molto lucido, vigoroso e nel contempo accorato sulla “presenza cristiana nel Medio Oriente e sul suo ruolo nel promuovere la pace”.  Dapprima ha incontrato il direttore generale dell’agenzia onusiana per l’educazione, la scienza e la cultura Irina Bokova, che ha salutato osservando come “la cultura divenga sempre più un’arma di guerra, in nome di un’interpretazione deviata della religione”; con lei ha anche evidenziato come tra i problemi più urgenti del Libano (su quattro milioni di abitanti, due milioni di rifugiati) ci sia quello di far sì che ”i profughi possano ritornare degnamente alle loro terre”.
Davanti all’assemblea il patriarca ha poi svolto un intervento (molti i richiami storici e quelli riguardanti le istituzioni educative e sociali delle Chiese d’Oriente) protrattosi per circa mezz’ora e che nell’ultima parte si è trasformato in un vero e proprio appello veemente. “Bisogna smetterla di sostenere i belligeranti con armi e denaro e di proteggere politicamente loro e le organizzazioni terroristiche”, ha detto Béchara Raï, rilevando che oggi “solo nel Libano i cristiani hanno una presenza politica rispettata in patria e nel mondo arabo”. Del resto proprio “il Libano, grazie alla sua cultura conviviale, resta la sola speranza per la convivenza tra cristiani, musulmani e altri”.
Ha poi proseguito il patriarca maronita, riferendosi alla condizione drammatica dei cristiani in Medio Oriente: “Questa situazione non troverà soluzione se non con la solidarietà della comunità internazionale e con i suoi interventi incisivi per fermare le guerre e per imporre il ritorno degli sfollati nei loro Paesi ma in modo tale che essi possano recuperare i loro beni e i loro diritti”. Con voce incrinata Béchara Raï ha poi affermato davanti all’assemblea: “Io sono venuto qui per dar voce a chi la voce è stata rubata, sono venuto qui per attestare le sofferenze di milioni di rifugiati, di sfollati, di bambini, di anziani, di donne e di uomini cui si sono rubati la propria patria, i propri beni e si è distrutto l’avvenire. Sono venuto qui per testimoniare davanti a voi l’immenso e indicibile dolore di chi è stato perseguitato per la sua fede, di chi si è insultata l’identità in nome di un Dio, ragione invocata da assassini implacabili. Sono venuto qui per sostenere gridando la causa di coloro che attendono la fine della notte e che sperano la loro salvezza da una comunità internazionale che purtroppo tarda a porre fine all’azione di morte di omicidi senza fede e senza frontiere”.
Perciò, prima di congedarsi con un richiamo accorato a “Cristo, principe della pace”, il patriarca Raï ha di nuovo scosso visibilmente l’assemblea: “Dal cuore della notte che ci copre, con le tenebre che ci avvolgono, lancio un appello angosciato a tutte le sentinelle dell’aurora d’Oriente come d’Occidente, d’Europa, del mondo arabo e del mondo intero, della Cristianità come dell’Islam, perché ci aiutino a suscitare la speranza e a confortare popoli abbandonati, sconvolti, perseguitati nella loro tenace volontà di non rassegnarsi alla sventura”.



Conférence à l’UNESCO du Patriarche Card. Béchara Boutros RAI Paris, le 25 avril 2015

Introduction

1. Je voudrais tout d’abord saluer et remercier Mme Irina Bokova, Directrice générale de l’Organisation des Nations Unies pour l’Education, la Science et la Culture et le Conseil Exécutif, ainsi que Dr Khalil Karam, Ambassadeur, Délégué permanent du Liban auprès de l’UNESCO, de m’avoir invité à donner cette conférence à l’occasion du 70ème anniversaire de cette Organisation, autour du thème : "La présence chrétienne au Moyen - Orient et son rôle dans la promotion de la culture de la paix". Je développerai ce thème en trois points :
1) Le parcours historique de la présence chrétienne bimillénaire au Moyen - Orient.
2) Ses espaces de promotion de la culture de la paix.
3) Les moyens pour sauvegarder la présence chrétienne.