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venerdì 22 maggio 2015

Il rapimento di padre Jacques Mourad e l'orrore di Palmyra


Rapito padre Jacques Murad, della stessa comunità di padre Paolo Dall'Oglio

Agenzia Fides  22/5/2015

Homs 
 Il sacerdote Jacques Murad, Priore del Monastero di Mar Elian, è stato rapito da alcuni sequestratori che lo hanno prelevato dal Monastero sotto la minaccia delle armi. Secondo alcune fonti locali, contattate dall’Agenzia Fides, il sequestro sarebbe avvenuto lunedì 18 maggio, mentre altre fonti sostengono che il sacerdote è stato rapito nella giornata di giovedì 21 maggio. La notizia è stata confermata oggi dall’arcidiocesi siro cattolica di Homs, che ha chiesto a tutti i fedeli di invocare il Signore nella preghiera affinchè padre Jacques sia liberato e possa tornare alla sua vita di preghiera, al servizio dei fratelli e di tutti i siriani. Secondo alcune fonti locali, insieme a padre Jacques sarebbe stato prelevato dai rapitori anche il diacono Boutros Hanna. Ma tale indiscrezione non è stata al momento confermata dall’arcidiocesi siro-cattolica di Homs.
Secondo le prime ricostruzioni, il rapimento è stato realizzato da uomini armati giunti in moto al Monastero di Mar Elian. I sequestratori hanno costretto padre Jacques a mettersi alla guida della propria auto e, sotto la minaccia delle armi, gli hanno imposto di dirigersi verso una destinazione sconosciuta. 
Fonti locali consultate da Fides ipotizzano che dietro il rapimento ci siano gruppi salafiti presenti nella zona, che si sono sentiti rafforzati dai recenti successi dei jihadisti di al-Nusra e dello Stato Islamico in territorio siriano.
Padre Jacques Murad è Priore del Monastero di Mar Elian e parroco della comunità di Qaryatayn, 60 chilometri a sud est di Homs. L'insediamento monastico, collocato alla periferia di Quaryatayn, rappresenta una filiazione del Monastero di Deir Mar Musa al Habashi, rifondato dal gesuita italiano p. Paolo Dall'Oglio, rapito anche lui il 29 luglio 2013 mentre si trovava a Raqqa, capoluogo siriano da anni sotto il controllo dei jihadisti dello Stato Islamico. 
Negli anni del conflitto, la città di Qaryatayn era stata più volte conquistata da miliziani anti-Assad e bombardata dall'esercito siriano. Proprio padre Jacques, insieme a un avvocato sunnita, avevano assunto la funzione di mediatori per garantire che il centro urbano di 35mila abitanti fosse risparmiato per lunghi periodi dagli scontri armati. 
Nel Monastero sono stati ospitati centinaia di rifugiati, compresi più di cento bambini sotto i dieci anni. Padre Jacques e i suoi amici hanno provveduto a trovare il necessario per la loro sopravvivenza anche ricorrendo all'aiuto di donatori musulmani. 
Bastano questi pochi cenni a far intuire quale oasi di carità rappresenti il Monastero di Mar Elian per tutto il popolo siriano, massacrato da una guerra assurda, alimentata dall'esterno. 


Vive inquiétude après l’enlèvement d’un prêtre syrien près de HOMS

.....   « Alors que je lui proposais de quitter un moment Qaryatyan avec le rapprochement du DAECH il m’a répondu « comme prêtre et pasteur je ne quitterai jamais le lieu tant qu’il y a des gens, sauf si on ne chasse » nous confie-t-il .....


Se una colonna vale più di un uomo

In queste ore l'Isis compie massacri spaventosi nelle stesse aree, ma a quegli orrori ci stiamo abituando ....  Piangiamo per le pietre, ma non muoviamo un dito per gli umani. E forse per questo rischiamo di venir sconfitti.

Il Giornale, Ven, 22/05/2015
di Gian Micalessin 

Ormai c'indigniamo per una statua ridotta in briciole, ma rimaniamo impassibili di fronte ad una, dieci, cento teste umane mozzate. Un giorno storici e antropologi lo chiameranno, forse, il paradosso di Palmira.


Ma per il momento non è una sindrome antica o esotica. È solo una tragedia orribile e crudele. Pronta a compiersi. Sotto i nostri occhi. Sempre più avvezzi all'orrore. Sempre più indifferenti. Succede ora. Adesso. Mentre leggete questo pezzo centinaia di uomini in divisa e in abiti civili sono costretti ad inginocchiarsi davanti ai boia dello Stato Islamico. Quando avrete finito di leggere il loro urlo sarà solo un gorgoglio di sangue e fiato spento.
Succede a Palmira. Succede a poco più di duecento chilometri a est di Damasco. Lì sono entrati mercoledì notte i tagliagole del Califfato. Lì il Califfato ha creato la sua nuova roccaforte pronta a congiungersi in linea retta con Ramadi in Iraq e con Raqqa più a nord. Una roccaforte da cui avanzare verso Homs per stringere in una morsa implacabile Damasco e quel che resta della Siria di Bashar Assad. Mentre i militari governativi fuggivano, mentre i responsabili di musei e siti archeologici caricavano sui camion le ultime statue loro già rapivano e massacravano.
Samaan, l'amico cristiano compagno di tanti viaggi nella disgraziata Siria in guerra, me lo racconta al telefono. «Sono andati casa per casa. Quelli dell'Isis si sono fatti guidare dai jihadisti di Palmira. Si sono fatti indicare tutti quelli che collaboravano con il governo, con l'esercito o con le milizie. Un mio amico, uno che conoscevo da tanti anni, l'hanno decapitato subito assieme a una decina di altri civili e a tanti soldati. Gli altri attendono la sentenza della Corte islamica. Ma lo sappiamo tutti, per loro non ci sarà pietà. Tra poche ore anche le loro teste rotoleranno nella sabbia».
Palmira Samaan la conosce bene. Ci ha lavorato per anni come guida turistica. Ci ha portato migliaia di turisti italiani. A Palmira ha ancora tanti, troppi amici. «Non so neanche per chi preoccuparmi. A uno hanno già tagliato la testa, lo so per certo. Un altro è prigioniero e probabilmente verrà mandato a morte. Ma gli altri dove sono? Che fine hanno fatto? Non riesco a sentirli, i telefoni hanno smesso di funzionare. Non so più nulla di loro».
È la tragedia di Palmira. Quella vera. Quella di centinaia di migliaia di esseri umani inermi di fronte alla barbarie e alla crudeltà che avanza. Uomini e donne destinati alla morte o alla schiavitù. Certo l'antica «porta del deserto», la millenaria tappa della via della seta è anche un patrimonio dell'Unesco. È anche una distesa di reperti d'inestimabile valore. Non a caso per lei si è mobilitata la direttrice generale dell'Unesco, Irina Bokova, assieme a decine di intellettuali e artisti occidentali.
Eppure la tragedia vera, quella per cui nessuno qui in Occidente sembra più voler piangere, è quella dei suoi civili, dei militari colpevoli soltanto di averla difesa. Il loro destino è segnato. Nelle prossime ore le loro teste verranno passate a fil di coltello dai tagliagole con le bandiere nere mentre un lugubre e roco «Allah Akbar» consacrerà l'ennesima barbarie. È già successo a Mosul con yazidi e cristiani. Sta succedendo, sempre in queste ore, a Ramadi dove le vittime sono migliaia di civili e militari sciiti. Continuerà a succedere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi ovunque arriverà la legge del Califfato.
Eppure questo nuovo mattatoio ci appare ormai un dettaglio, un appendice rispetto al destino di opere d'arte e siti archeologici destinati, come già successo a Ninive, Hatra e Nimrud a subire la furia distruttrice e iconoclasta dei fanatici di Allah. Solo questo ormai c'impressiona. Piangiamo per le pietre, ma non muoviamo un dito per gli umani. E forse per questo rischiamo di venir sconfitti.

giovedì 21 maggio 2015

padre Samir Khalil: per fermare l'Isis




ilsussidiario.net  mercoledì 20 maggio 2015
INT. Samir Khalil Samir


Dopo Ramadi, libereremo Baghdad e Karbala”. E’ l’annuncio di Abu Bakr Al Baghdadi in un video diffuso dai media dello stato islamico. In un video si mostrano le cartine dei nuovi territori irakeni ora controllati dall’Isis e si lodano i mujaheddin per le loro vittorie nella regione dell’Anbar, la cui capitale è Ramadi. Al Baghdadi aggiunge significativamente che la capitale irakena sarà conquistata contro “crociati e sciiti”. Per padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e uno dei massimi studiosi del mondo islamico, “il progetto di conquista portato avanti dall’Isis è mondiale e per contrastarlo occorre un’iniziativa mondiale che coinvolga anche l’Iran”.

Che cosa ne pensa dell’ultimo annuncio del “califfo” Al Baghdadi?
E’ un proclama dal chiaro valore simbolico per rivendicare che l’Isis conquisterà il centro del mondo islamico. Baghdad ne è stata la capitale per cinque secoli, durante il grande periodo abbaside che va dal 750 al 1258. Non a caso il numero uno dell’Isis ha preso il nome di Al-Baghdadi, cui ha aggiunto Abu Bakr, cioè il primo califfo dopo Maometto. Karbala è inoltre la città santa degli sciiti che adesso governano l’Iraq.


Secondo lei quelle di Al Baghdadi sono solo farneticazioni?
Nei sogni di Al-Baghdadi l’intero islam sarà nelle sue mani, e il mio auspicio è che il mondo si svegli per fermare la realizzazione di questo progetto. L’idea dell’Isis è infatti conquistare Siria e Iraq per poi passare ad altri Paesi fino ad arrivare all’Europa, che agli occhi del califfato rappresenta il cristianesimo. Non a caso l’intera galassia fondamentalista chiama l’Occidente “i crociati”. Dopo avere sottomessi gli sciiti, l’Isis intende passare ai cristiani. Tocca a noi fare in modo che rimanga solo un sogno e che non si tramuti in realtà.


Che cosa si può fare in concreto?
Occorre una collaborazione globale per impedire che le grandi monarchie petrolifere sunnite, come Arabia Saudita e Qatar, continuino a fornire soldi e armi senza cui l’Isis non potrebbe continuare la sua guerra. Le armi maneggiate dei miliziani del Califfato sono state tutte fabbricate in Occidente. C’è un coinvolgimento globale, e si dovrebbe prenderne atto per dire “D’ora in poi non si fornisca una sola arma al Medio Oriente”. Occorre fare pressioni sui Paesi Arabi alleati degli Stati Uniti quali Arabia Saudita, Qatar e Dubai. Il progetto che l’Isis intende realizzare è mondiale, e la risposta deve essere dunque mondiale.


La prima mobilitazione intanto è stata quella delle milizie sciite legate all’Iran….
In questa risposta il coinvolgimento di Teheran è indispensabile. Contrariamente all’immagine diffusa in Occidente, l’Iran è un Paese piuttosto pacifico. Io lo ho visitato a lungo, sono stato anche invitato a Qom insieme agli imam. Gli sciiti non hanno una visione radicale dell’islam, sono molto più aperti e hanno una concezione della religione molto più mistica e filosofica rispetto ai sunniti.


Com’è la politica estera del presidente egiziano Al Sisi nei confronti dell’Isis?
La posizione del presidente Al Sisi è chiaramente contro i movimenti fondamentalisti e contro gli stessi estremisti come Isis, anzi è assolutamente agli antipodi. Lo ha dimostrato con l’attacco aereo contro le basi Isis in Libia dopo la decapitazione dei 21 copti. Il presidente Al Sisi e la maggioranza degli egiziani sono contrari al fondamentalismo islamico e buona parte del popolo non è con i Fratelli musulmani. Questi ultimi godono di un sostegno per il fatto di aiutare le classi più povere, dando loro da mangiare durante il Ramadan e offrendo loro assistenza medica.


La minaccia del Califfato è anche strumentalizzata da Al Sisi per usare la mano pesante in politica interna?
Può darsi che da parte di Al Sisi ci sia anche la volontà di giustificare la sua posizione agli occhi dell’Occidente. Fratelli musulmani e Isis sono però espressione della stessa tendenza, con la differenza che lo stato islamico è passato al terrorismo. Nello stesso movimento dei Fratelli musulmani c’è anche un gruppuscolo passato ad azioni terroristiche, e ciò è avvenuto anche nel 2013 dopo la deposizione di Morsi, quando persone armate uscite dalle moschee uccisero militari e civili. Alla base di Isis c’è infatti un’ideologia che è la stessa dei Fratelli musulmani.


In molti si sono chiesti se la condanna a morte di Morsi non sia stata una sentenza politica…
Non sono felice di questa condanna a morte, anche se i Fratelli musulmani rappresentano un grande pericolo per l’Egitto, e durante i dodici mesi della presidenza di Morsi lo hanno dimostrato. A un anno dalla sua elezione, 30 milioni di egiziani sono scesi per strada contro di lui e il popolo ha preso il potere per cacciare il presidente. Appena eletto con il 51,7% dei consensi, in un voto durante il quale sono avvenute delle manipolazioni, Morsi ha iniziato a islamizzare il Paese.


In che modo?
Ha nominato nove governatori per altrettante province, scegliendoli tutti tra i Fratelli musulmani. Uno di questi governatori al momento della nomina era in prigione per avere compiuto un attentato contro un autobus di turisti francesi, nel corso del quale erano morte più di 30 persone. Si è quindi islamizzata la tv, in un mese sono stati riscritti tutti i programmi scolastici per inserire il Corano in ogni materia e si è cambiata la Costituzione. Probabilmente alla fine la condanna a morte di Morsi, che personalmente non condivido, sarà cambiata in una sentenza all’ergastolo. Ma in questo verdetto del tribunale vedo soprattutto la decisione di esprimere un giudizio sul suo operato giudicandolo della massima gravità.


Come valuta invece la canonizzazione delle due suore palestinesi?
Queste suore erano due donne semplici, dedite alla preghiera e al lavoro. Anche questa canonizzazione ha un forte valore simbolico, perché esprime il fatto che il mondo arabo non coincide con l’Islam. La cultura araba precede l’Islam, tanto è vero che la maggior parte della Penisola Arabica prima di Maometto era cristiana. 

Oggi noi arabi abbiamo anche due sante e non soltanto dei terroristi. Quanto avvenuto in Vaticano è dunque un forte appello alla pace e alla riconciliazione, e dovunque in Medio Oriente ci sono dei cristiani questo è un aiuto e un fattore di progresso per l’intera società araba.
(Pietro Vernizzi)

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2015/5/20/ISLAM-Samir-per-fermare-l-Isis-l-occidente-parli-con-l-Iran/609832/



Sventola Bandiera Nera

Missioni Consolata, febbraio 2015
di Angela Lano
L'Islam e la guerra del Califfo. 
Dietro lo «Stato islamico» (Is - Islamic State)


Nessuna compassione per gli «infedeli»
L’islamismo radicale si sta diffondendo in molte regioni. Gli attori sono molti, ma oggi il principale si chiama «Stato islamico» (Is). Guidato dal califfo (autoproclamato) al-Baghdadi, l’Is si basa su alcuni concetti chiave: l’Islam è la soluzione e l’Is ne è l’unico vero custode; i paesi occidentali, guidati da miscredenti, sono responsabili dei problemi in Medio Oriente; i governanti locali sono agenti cooptati dall’Occidente. In queste pagine cercheremo di capire perché e come nasce l’Is. Tra alleanze cangianti e propaganda mediatica, le sorprese non mancano. 

Azioni di guerra, conquiste territoriali, decapitazioni, esecuzioni, rapimenti, violenze di ogni genere. L’islamismo radicale e conquistatore, si potrebbe dire «colonizzatore», si sta diffondendo nel Maghreb, nell’Africa subsahariana e in ampie regioni mediorientali, dalla Siria all’Iraq.
Il network di al-Qa‛ida (per comodità, d’ora in poi: al-Qaida) e le sue nuove filiazioni, comprese le antagoniste (come vedremo), stanno diventando un potentato, grazie alla conquista dei pozzi petroliferi in varie aree e alle armi ricevute dai paesi occidentali (Stati Uniti, Europa) e sunniti (Turchia, Qatar, Arabia Saudita).

In particolare, il 2014 è stato segnato dalle gesta del gruppo che, lo scorso giugno, ha annunciato la nascita dello «Stato islamico di Iraq e Siria»1 (Is, da Islamic State, come si legge anche in Dabiq, la rivista in lingua inglese e grafica moderna edita dall’organizzazione), e ha invitato al-Qaida e altri gruppi a stipulare un’alleanza per una «nuova era di jihad internazionale».
Quello attuale è un caso complesso di fondamentalismo, nel quale si mescolano religione (nella sua visione più oscurantista, arretrata e reazionaria), un uso sfrontato dei mezzi di comunicazione di massa (video, internet, social network, riviste come il già citato Dabiq), un ampio arsenale bellico, ingenti capitali provenienti anche dall’accaparramento delle fonti petrolifere, rabbia e aggressività verso l’Occidente invasore e «infedele» (kafir), odio settario contro le minoranza religiose e etniche, e contro gli apostati (kuffar e murtadin) musulmani (tutti coloro, cioè, che non condividono la linea politico-religiosa dell’Is), lotte interne, vendette e orgoglio sunnita dopo anni di dominazione sciita e alawita in Iraq e Siria, e altro ancora. Si tratta di un fenomeno aggressivo, spettacolare fino alla teatralità più macabra che riscuote successo sia nel mondo arabo-islamico sia in Occidente, in particolare tra le giovani generazioni di immigrati musulmani.

Così, tra i jihadisti, troviamo: benestanti e laureati (molti arrivano dall’Europa e dagli Usa); giovani emarginati delle periferie urbane occidentali e arabe alla ricerca della propria identità e dai progetti di integrazione falliti; poveri e disperati delle città e villaggi del mondo arabo-islamico invaso dalle truppe americane; oppressi da regimi dispotici locali o stranieri; notabili e membri di tribù sunnite che vogliono vendicarsi dei loro vicini o di leader di altre fazioni islamiche; ovviamente mercenari e larghe schiere di criminali e psicopatici. È un «melting pot» trasversale a luoghi, censo e età, e catalizzatore di sentimenti e aspirazioni contrastanti e differenti. Indubbiamente, ciò che li contraddistingue è la rabbia e la ferocia con la quale si abbattono su città e villaggi e su chi osa rifiutarli, e contro le minoranze etniche e religiose.
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     continua a leggere qui: 
http://www.rivistamissioniconsolata.it/new/articolo.php?id=3472

martedì 19 maggio 2015

Gregorio III: paghiamo gli errori dell'Ue e di Obama


Intervista a Gregorio III Laham






ilsussidiario.net
 18 maggio 2015



La Conferenza Episcopale Italiana ha deciso di dedicare la Veglia di Pentecoste del 23 maggio ai “martiri di oggi”, cioè ai cristiani perseguitati in tutto il mondo. Un dramma che non conosce confini geografici, anche se è particolarmente grave nelle aree di Siria e Iraq controllate dallo stato islamico. 
Dopo avere ucciso o costretto alla fuga migliaia di cristiani, yazidi e altre minoranze religiose, il califfato ha lanciato un’offensiva per la conquista della città irakena di Ramadi. Sempre ieri i caccia dell’aeronautica militare di Damasco hanno bombardato i sobborghi di Palmira, città siriana dove sono in corso violenti scontri tra l’esercito regolare e i miliziani dell’Isis. I resti del periodo greco e romano fanno di Palmira una delle meraviglie dell’umanità, che ora rischiano di scomparire se la città dovesse essere conquistata dallo stato islamico. 
Per Gregorio III Laham, patriarca cattolico siriano con sede a Damasco, “chi vuole distruggere le vestigia della civiltà sumera, il sito storico di Palmira e le chiese siriane non va contro questa o quella religione ma contro gli stessi valori umani”.

Il 23 maggio si pregherà per tutti i “martiri di oggi”. Com’è la situazione dei cristiani in Siria?
La guerra in corso in Siria è una tragedia per tutti, in quanto a essere sotto attacco sono cristiani e musulmani, sunniti e sciiti, drusi e yazidi. La situazione è particolarmente tragica ad Aleppo, le cui chiese sono state tutte distrutte o gravemente danneggiate. L’intera città si è trasformata in una grande prigione dalla quale non è possibile né uscire né entrare.


Com’è invece la situazione nella capitale e nelle zone circostanti?
Damasco non rischia incursioni di terra ma teme per i bombardamenti dal cielo. La situazione nei villaggi cristiani come Maalula in questo momento è calma. Ora la battaglia è particolarmente violenta intorno a Palmira, e anche il Nord è in pericolo.


Sono quattro anni che la Siria è attraversata dalla guerra. I cristiani come vivono questo momento?
I cristiani vivono l’aspirazione forte alla pace di tutti i siriani di buona volontà. Non si può dire che quella che sta avvenendo in Siria sia una persecuzione contro i cristiani. Quest’ultima sta avvenendo in Iraq, mentre i cristiani siriani sono vittime della guerra e non della persecuzione. Anche se noi cristiani, poiché siamo un gruppo più debole degli altri, siamo più esposti a questa tragedia.


Che cosa possono fare i cristiani occidentali per i loro fratelli siriani?
C’è bisogno di un aiuto materiale affinché le chiese in Siria possano essere vicine ai loro fedeli, e soprattutto ai rifugiati. Il mio patriarcato a Damasco per esempio deve spendere tra i 40 e i 50mila dollari ogni mese per i profughi. Ma c’è bisogno anche di un contatto continuo tra le conferenze episcopali dei principali Paesi europei e la Chiesa locale in Siria.


In che modo?
Invito i vescovi italiani a venire a pregare con noi a Damasco, perché sarebbe un gesto simbolico dal valore enorme. Aiutare i cristiani significa inoltre lavorare per la pace. La chiesa cattolica, quella ortodossa, le chiese orientali, gli anglicani e i protestanti dovrebbero sottoscrivere una dichiarazione comune per la pace in Siria, in Iraq e in Palestina.




Come valuta l’avanzata dell’Isis su Ramadi e Palmira?
E’ una domanda che dovrebbe rivolgere a un generale, non a me. La guerra è guerra, si avanza e poi ci si ritira. L’Isis è forte in quanto è sostenuta da tante nazioni, sia arabe sia europee. Gli stessi Stati Uniti dovrebbero essere più seri e aiutare il governo siriano.


In che senso?
La Siria è una nazione, non un regime. Non capisco perché Washington aiuti le cosiddette fazioni “moderate” dei ribelli, che poi sono moderate per modo di dire. Oggi dobbiamo riconoscere tutti che non abbiamo alternative. Questa opposizione siriana è divisa e corrotta, ed è quindi inutile aiutare un elemento così debole perché significa far sì che ci siano soltanto più vittime tra la popolazione siriana.



Che cosa intende dire quando afferma che l’Isis è aiutata dai Paesi europei?
Sappiamo che ogni giorno ci sono giovani italiani, inglesi e francesi che partono per la Siria con l’obiettivo di infittire le file dei gruppi fondamentalisti. Formazioni che non definirei islamiche, perché sono gruppi puramente militari. E la guerra non è tra islam e cristianesimo, bensì è una lotta per i valori umani. Chi vuole distruggere le vestigia della civiltà sumera, il sito storico di Palmira e le chiese siriane non va contro questa o quella religione ma contro gli stessi valori umani.


Quale responsabilità hanno gli Stati europei per i giovani che si arruolano nell’Isis?
Il punto è che manca una posizione unica dell’Unione Europea, la quale non si sta dando da fare in modo serio per favorire la pace in Medio Oriente. L’Ue è indecisa e non fa patti efficaci per fermare la guerra. Se i 28 Paesi Ue avessero un’unica posizione forte, ciò permetterebbe di fermare l’influenza dell’Isis in Medio Oriente. Il mondo arabo è diviso perché l’Europa è divisa. 

Il baluardo più efficace contro l’Isis è il governo siriano, e quindi se l’Ue si schiera chiaramente a fianco di Damasco può veramente contribuire a fermare l’Isis. Questo occorre, una dichiarazione comune dell’Ue a favore del governo siriano.
(Pietro Vernizzi)

sabato 16 maggio 2015

Veglia di Pentecoste, sabato 23 maggio 2015, dedicata ai martiri nostri contemporanei: un contributo dalla Siria

«Esiste un legame forte che già ci unisce, al di là di ogni divisione: è la testimonianza dei cristiani, appartenenti a Chiese e tradizioni diverse, vittime di persecuzioni e violenze solo a causa della fede che professano».  Con queste parole il Santo Padre ha ricevuto i membri della Commissione internazionale anglicana-cattolica (30 aprile 2015). Si tratta solo dell’ultimo intervento del Papa in ordine alla tragedia di tanti cristiani e di tante persone i cui diritti fondamentali alla vita e alla libertà religiosa vengono sistematicamente violati. 
Questa situazione ci interroga profondamente e deve spingerci ad unirci, in Italia e nel mondo, in un grande gesto di preghiera a Dio e di vicinanza con questi nostri fratelli e sorelle. Imploriamo il Signore, inchiniamoci davanti al martirio di persone innocenti, rompiamo il muro dell'indifferenza e del cinismo, lontano da ogni strumentalizzazione ideologica o confessionale.Da qui la proposta di dedicare, in Italia e in tutte le comunità del mondo che vorranno aderire, la prossima Veglia di Pentecoste, sabato 23 maggio 2015, ai martiri nostri contemporanei. 
A questo scopo si sta inoltre lavorando ad un progetto di diffusione - attraverso i social media - di testimonianze e storie, dai diversi paesi: racconti di fede e di amore estremo, eventi di condivisione, fatti di carità. Sono moltissimi i cristiani e gli uomini di ogni confessione capaci di testimoniare l’amore a prezzo della vita. Tale testimonianza non può passare sotto silenzio perché costituisce per tutti una ragione di incoraggiamento al bene e di resistenza al male.                                                                   
 La Presidenza della CEI


“Dobbiamo perdonare, questo infatti è il prezzo per la pace!” 





Omelia di Padre Daniel Maes, nella celebrazione dei suoi 50 anni di sacerdozio, il 23 aprile 2015


"Nel Vangelo (Luca 22, 31-38) Gesù avverte i discepoli che la battaglia sta arrivando. Satana metterà alla prova i seguaci di Gesù e li percuoterà. Pietro è audace e dice che sicuramente non mollerà. Ma Gesù gli dice: "Io ti dico, Pietro: il gallo non canterà prima che tu mi abbia rinnegato tre volte.” Quando, infatti, Pietro aveva negato Gesù per la terza volta, scoppia a piangere. Questo lo porta alla realtà e sarà la strada per il perdono e per la sua liberazione. Inoltre, nel Vangelo Gesù mostra la differenza tra l'inizio della sua vita pubblica e il periodo seguente. All’inizio c’era un periodo beato di predicazioni in Galilea. Una moltitudine di gente lo seguiva e lo cercava. Gesù guariva molti malati, esorcizzava spiriti immondi ed era molto stimato. Anche gli apostoli godevano della sua fama. Ora Gesù predica ai suoi apostoli che dovranno affrontare una dura battaglia, per la quale devono prepararsi. Gesù dice loro: "Ora chi ha una borsa se la porti con sé, e anche una bisaccia. E chi non possiede queste cose, deve vendere il suo mantello e procurarsi una spada. Ci sarà da combattere.” Immediatamente gli apostoli tirano fuori due spade, ma Gesù fa riferimento qui a una lotta spirituale, senza la forza delle armi. Gesù risponde: “Basta."

C'è un grande pericolo anche per noi, come per Pietro che pensava che questi tempi probabilmente non sarebbero arrivati e che sarebbero stati capaci di resistere. Invece è meglio prendere l’ avvertimento di Gesù molto seriamente. Siamo infatti entrati nella battaglia finale decisiva in cui due superpotenze si trovano una di fronte all'altra. Mi riferisco all'immagine di Giovanni, dal libro dell'Apocalisse, capitolo 13: la Bestia contro l'Agnello. Da un lato c’è il regno di Satana, dove sono le tenebre e le menzogne. Questo impero ha i suoi complici dappertutto. E dall’altra parte c'è il regno di Dio, cioè il regno di Cristo, l'Agnello di Dio, che ha anche seguaci in tutto il mondo. Paolo dice: “La nostra lotta non è contro sangue e carne ma contro i poteri di queste tenebre”. E Giovanni scrive nella sua prima lettera: “chi vuole amare e seguire il mondo, non possiede l'amore del Padre. O ci attacchiamo al mondo con tutto il suo potere, beni e onori, che sono tutte cose passeggere, o scegliamo consapevolmente Dio in Cristo e il suo regno, l'unica cosa che rimane. Il risultato finale è certo. Alla fine Cristo sarà il Vincitore. Prima ci sarà un grande combattimento al quale dobbiamo prepararci.”


Tutta l'umanità è testimone e nello stesso tempo anche vittima della stessa lotta tra il bene e il male. Nel Medio Oriente e in Siria, le potenze occidentali e i loro alleati – in modo concorde- combattono ferocemente per impossessarsi delle enormi risorse energetiche di questo paese con la sua posizione centrale. Per la popolazione Siriana, che rimane molto unita, questa guerra è un calvario doloroso. Ma qui, in Occidente stesso, sta infuriando anche una pesante battaglia per la distruzione dei valori cristiani e anche umani. Forse questa battaglia è perfino peggiore che quella in atto in Medio Oriente.
Si tratta di una battaglia contro la dignità dell'uomo, cioè un processo di disumanizzazione. Si tratta di un’alienazione multipla, che vuole separare l'uomo da Dio, dalla sua cultura e dal suo paese, dalla sua famiglia e da se stesso. Voglio presentare tre di questi movimenti in breve.


La prima e la più importante battaglia è la lotta diretta contro Dio. Forze oscure vogliono tagliare il legame tra l'uomo e Dio. Dove si toglie Dio, non c’è più gioia per l’uomo. Dove più nulla è sacro, non c'è più niente di sicuro. In tutto il mondo, la fede cristiana è la più combattuta. Ora ci sono più martiri cristiani che mai: i cristiani sono perseguitati, espulsi o uccisi. Il cristianesimo mesopotamico di 2000 anni è quasi sterminato. Se continua così, tra poco possiamo celebrare l’ultimo martire cristiano iracheno. Nella Siria stanno cercando di fare la stessa cosa. L'obiettivo finale è di espellere o sterminare tutti i cristiani dei paesi che formarono la culla della fede cristiana. Alla fine di tutto, quando le radici dell'albero (cristianesimo in Medio Oriente) saranno tagliate, l'albero (in Occidente) appassirà automaticamente.

Ma i cristiani pongono una resistenza coraggiosa. In Ma’aloula, la città cristiana – a 40 km da noi – dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù, sono arrivati i ribelli e hanno preso in ostaggio alcuni giovani. Hanno puntato una pistola contro le loro gole e hanno loro ordinato di diventare musulmani. Il primo ragazzo ha risposto: "Sono cristiano, sono nato cristiano e morirò come cristiano." Gli hanno sparato insieme con i suoi cugini. Ora, essi sono venerati come martiri. Prima di partire per il Belgio, ho incontrato un cristiano di Ma’aloula che mi ha raccontato che già la metà delle famiglie è ritornata a Ma’aloula, nonostante la grande distruzione. E ci sono anche musulmani che danno un esempio di un comportamento veramente cristiano. Un giorno, Fawad, figlio unico di una famiglia musulmana di Homs non tornava dall'università. I genitori si resero conto, dopo averlo cercato in modo frenetico, che il loro figlio era stato rapito. Dopo mesi di trepidante attesa, hanno ricevuto una telefonata: "Vuoi rivedere tuo figlio?" I genitori hanno risposto di far di tutto. Il giorno dopo, alle 8 del mattino hanno suonato alla porta d'ingresso e una macchina è partita a tutta velocità. Davanti alla porta c’era un sacco di plastica con il corpo del figlio, tagliato in pezzi. Il padre ha testimoniato che in quel momento si accendeva in lui una tale rabbia che voleva impugnare un coltello per ammazzare tutti. Dopo è ritornato in sè. In una riunione di riconciliazione, la Mussalaha, a Homs, questo padre ha detto di aver perdonato gli assassini di suo figlio e ha anche aggiunto : “dobbiamo perdonare, questo infatti è il prezzo per la pace!” Ecco, qui c’è un musulmano, un sunnita che ha capito l'essenza della fede cristiana e la mette in pratica.

L'Europa ha cancellato le radici cristiane dalla sua Costituzione, anche se la sua grandezza è fondata quasi esclusivamente sulla fede giudeo-cristiana. La battaglia attuale in Occidente si concentra ora contro tutto il segno restante della fede cristiana. Il nostro compito sarà di testimoniare e vivere con orgoglio la ricchezza della nostra fede cristiana. Di fronte alla rimozione dei crocefissi e alla demolizione di edifici ecclesiastici, dobbiamo contrapporre un rinnovamento interiore della fede, aumentare la nostra devozione al Padre e Creatore, a Gesù il Salvatore e allo Spirito Santo, il Santificatore. Rinnoviamo anche il nostro amore per la Chiesa, che ha visto nascere tutte le istituzioni e i paesi europei e che vedrà anche la loro fine. La Chiesa stessa è umana e divina allo stesso tempo. La Chiesa ci dà la Parola di Dio, e i Sacramenti che ricreano e la guida necessaria. La Chiesa muore insieme con ogni cultura in cui è cresciuta, ma la Chiesa è l'unica realtà che si rialza sempre, perché porta in sè il germe indistruttibile del Regno di Dio sulla terra. In breve, quest’attacco mondiale, in particolare contro la fede cristiana e contro la Chiesa di Gesù Cristo, è una sfida per noi per diventare cristiani più autentici e più ferventi.

Un secondo attacco riguarda la famiglia. A livello globale, c’è una distruzione graduale e sistematica della famiglia. La sessualità è diventata una cosa banale, solo per il piacere personale, staccato da qualsiasi responsabilità. I matrimoni sono ridotti a un vivere in modo libero e in tutte le combinazioni possibili. Le famiglie si disgregano, c'è una proliferazione di tecniche di fertilità che sono disumanizzanti e ci sono manipolazioni con embrioni. Nel frattempo viviamo un invecchiamento drammatico della popolazione e un’implosione demografica. Sono felice e grato per le varie famiglie, rappresentate qui, che per mezzo secolo lavorano instancabilmente per la conservazione o per la ristrutturazione della famiglia cristiana. La famiglia cristiana, dopo tutto, presenta tutti i valori umani e cristiani per risolvere i grandi problemi del nostro tempo. La famiglia è il nucleo protettivo per poter resistere alla distruzione di tutti i valori umani e cristiani. Nella famiglia si concentra, infatti, la nostra lotta principale: motivare i giovani e aiutarli per poter creare una famiglia stabile e felice, dove i bambini possono imparare la fede, la sicurezza, l’amore e l'impegno generoso.

Infine c’è una lotta globale contro la dignità della persona umana stessa. Vogliono distruggere l’uomo nella sua più profonda identità come uomo o donna e come ragazzo o ragazza. Vogliono con forza ridurre l’uomo a un genere neutro, un “gender”, fuori da ogni realtà. E’ una follia, che riduce l’uomo a un individuo neutro e senza volontà,  programmato per fare nient'altro che piacere a se stesso, consumare e divertirsi. Siamo quasi costretti a negare la ricchezza della differenza tra uomini e donne e a dichiarare apertamente che gli uomini e le donne sono completamente identici. E’ vero, gli uomini e le donne sono uguali in dignità, ma nello stesso tempo l’uomo e la donna sono anche fondamentalmente diversi ed esattamente questa è la ricchezza della società, com’era l’intenzione di Dio. Le donne possono partorire figli e gli uomini no. Le donne portano una più grande responsabilità, impegni ed anche gioie nella procreazione e nell’educazione dei figli. Ogni essere umano è creato ad immagine e somiglianza di Dio, giustamente per poter partecipare un giorno alla felicità eterna di Dio. Siamo tutti equivalenti, ma allo stesso tempo siamo tutti diversi.




La guerra contro la Siria ci ha fatto apprezzare in modo migliore il valore insostituibile della fede cristiana. Gesù stesso, come Agnello innocente e come il Santo di Dio ha subito in tutta libertà e solo per amore la terribile morte di crocefissione. Gesù era dalla parte delle vittime innocenti. In lui sono rappresentate tutte le vittime innocenti, dalla creazione del mondo fino alla fine dei tempi. E Gesù è risorto. Anche per noi, solo attraverso la sofferenza e la morte si può partecipare alla risurrezione. Inoltre, nessuna sofferenza e morte è mai senza la speranza della risurrezione. In ogni notte buia c'è sempre da qualche parte una stella luminosa. Nella guerra più orribile ci sono sempre santi ed eroi accanto ai criminali. E noi li troviamo anche tra i musulmani intorno a noi. Fino adesso, insieme a famiglie musulmane, siamo sopravvissuti alla guerra in modo più che miracoloso. Quando celebriamo l'Eucaristia nel convento, ci sono spesso musulmani presenti. Anche loro ascoltano e pregano, e talvolta fanno la prima lettura, e al momento della comunione vengono avanti per chiedere la benedizione. I poteri delle tenebre sono ovunque, ma anche il regno di Dio è sorprendentemente attivo, anche in modo inaspettato. E, infatti, questa è la nostra speranza indistruttibile. Quando Gesù annuncia guerre, disastri e atrocità per l’umanità, dice: "Quando vedrete che accade tutto questo, alzate i vostri capi, perché la vostra salvezza è vicina!" .  
Gesù ci chiama a essere vigilanti. Allora, dimostriamo che siamo degni di vivere la nostra vita con tutte le sue difficoltà, lotte e sofferenze. Qui ognuno di noi ha la sua insostituibile missione. Ringraziamo in questa Eucaristia Dio in Cristo e chiediamo a Lui di darci la forza per compiere la nostra missione fino alla fine, solo per l’onore e la gloria di Dio e per la salvezza degli altri, e questo sarà anche la nostra gioia. 

(traduzione di A. Wilking)

lunedì 11 maggio 2015

Mons Audo: "è in atto una guerra psicologica contro il governo, orchestrata anche a livello internazionale con l'uso pilotato dell'informazione."




Agenzia Fides  8/5/2015

Aleppo “Siamo ogni giorno sotto le bombe. Credo che tanti cristiani fuggiranno da Aleppo e cercheranno riparo nell'area costiera, ma lo faranno solo quando saranno chiuse le scuole e le università, dopo gli esami. E' paradossale, ma nel disastro in cui viviamo, anche quest'anno nei quartieri centrali di Aleppo le scuole e l'università sono rimaste aperte. E chi poteva non ha rinunciato ad andare a lezione e a fare gli esami, mostrando di credere ancora che lo studio è importante per il futuro. E tutto questo, mentre si vive in una città che non sembra avere futuro”. 
Così il gesuita siriano Antoine Audo, Vescovo caldeo di Aleppo, racconta all'Agenzia Fides i sentimenti condivisi tra le famiglie cristiane della città martire.



Nelle ultime ore, secondo notizie rilanciate dalle agenzie internazionali, nella regione di Aleppo le milizie jihadiste avrebbero consolidato le loro posizioni, intimando la resa anche a duemila soldati dell'esercito governativo rimasti intrappolati nell'area dell'aeroporto militare. “In realtà” riferisce il Vescovo Audo “da più di tre anni per uscire da Aleppo non usiamo gli aeroporti, che si trovano tutti in aree contese. L'impressione è che sia in atto una forte propaganda e guerra psicologica contro il governo, orchestrata anche a livello internazionale con l'uso pilotato dell'informazione. 
Parlano di un attacco prossimo su Aleppo, dicono che Aleppo è finita. Forse stanno preparando qualcosa”. 

8 maggio: nuovo bombardamento di al-Nusra sulla cattedrale maronita di Aleppo

Anche le notizie riguardanti i cristiani, secondo il Vescovo caldeo di Aleppo, vengono spesso utilizzate in chiave strumentale : “tre settimane fa” sottolinea mons Audo “sono stati compiuti dai gruppi armati anti-governativi dei pesanti attacchi mirati ai quartieri dove sono concentrate le Cattedrali cristiane e poi anche al quartiere di Sulaymaniyah, dove abitano molti cristiani. Forse l'intento era proprio quello di impressionare l'opinione pubblica internazionale e giustificare reazioni militari. 
Fin dall'inizio, hanno fatto di tutto per presentare questo conflitto come uno scontro religioso tra cristiani e musulmani, o tra sciiti e sunniti. Certo, i cristiani sono il gruppo più inerme, non hanno armi, hanno paura. Ma certi slogan e certe chiavi di lettura pilotate servono solo a nascondere le vere ragioni e le vere dinamiche della guerra. C'è chi vuole dividere tutta l'area in piccole entità settarie, come hanno provato a fare anche in Iraq, per mettere gli uni contro gli altri e continuare a dominare tutto”.

http://www.fides.org/it/news/57589-ASIA_SIRIA_Il_Vescovo_caldeo_di_Aleppo_nelle_guerre_sporche_del_Medio_Oriente_c_e_chi_strumentalizza_le_sofferenze_dei_cristiani#.VVCUffntmko

venerdì 8 maggio 2015

LA SIRIA DOPO 4 ANNI DI GUERRA E DI DISINFORMAZIONE


abitazioni civili al Mogambo, colpite da missili di al Nusra - 4 maggio
Sulla situazione ad Aleppo ed in Siria vi proponiamo questa intervista di Silvia Cattori al dottor Nabil Antaki.  L' intervista chiarisce finalmente quello che i nostri giornali con 'fiumi di inchiostro' non hanno mai detto. 
Le domande: quelle che tutti si chiedono ma che nessun giornalista di solito rivolge agli intervistati. 
Le risposte: quelle chiare e non ideologiche che solo chi è attaccato all'umano sa dare.
Siriapax 


Fonte: comendonchisciotte –  tradotto da Maria Antonietta Carta Karroum
Il Dr Nabil Antaki parla delle sofferenze quotidiane in Aleppo. La sua testimonianza profondamente umana esprime con dignità ciò che la stragrande maggioranza dei siriani soffre dal 2011. Egli avrebbe potuto lasciare la sua città, Aleppo, e vivere al sicuro. Invece ha deciso di restare, per mettersi al servizio dei più indifesi e per testimoniare sulla gravità della situazione causata dal sostegno dell’Occidente ai gruppi armati venuti da fuori, e che da quattro anni distruggono il suo Paese e terrorizzano la popolazione.

D. Signor Antaki, grazie per avermi accolto. Può dirci come vede la situazione del suo Paese e in particolare di Aleppo, dove lei vive?
R. La situazione quotidiana è molto difficile. Manca il carburante e l’elettricità per il riscaldamento. Chi ha denaro ha costruito un camino e compra la legna. Si soffre per il freddo e per la povertà. Mancano i combustibili e i farmaci sono pochissimi.
Si soffre per l’aumento del costo della vita, da cinque a dieci volte dall’inizio del conflitto. La popolazione è depauperata e mancano le risorse per le necessità quotidiane. L’80% degli Aleppini per sopravvivere dipende dagli aiuti umanitari.
La situazione è davvero molto difficile. Inoltre siamo sottoposti a bombardamenti continui da parte dei gruppi armati che accerchiano la città, e i mortai riversano una pioggia di fuoco sui vari quartieri causando numerosi morti e decine di feriti giornalieri.

D. L’ONU ha chiesto di recente al governo siriano il cessate il fuoco; ma da ciò che lei dice, se ho ben capito, quelli che vi nuocciono sono soprattutto i bombardamenti dei ribelli.
R. Aleppo è divisa in due zone. Quella in cui abito io si trova sotto il controllo del governo siriano. I quartieri periferici, che circondano Aleppo, sono invece in mano dei ribelli dal luglio 2012. L’esercito regolare bombarda i quartieri dei ribelli e i ribelli bombardano i quartieri sotto l’egida del governo. Il bombardamento è reciproco.
Chi abita da questa parte non sa quel che succede dall’altra. Si sentono le cannonate, ma ignoriamo cosa vi accada.  Però quella zona periferica non è più molto abitata. La maggior parte dei residenti si è spostata nell’area controllata dal governo già dal Luglio 2012 e in una seconda ondata nel Gennaio 2014.

D. La sofferenza di cui parla all’inizio di questa intervista si deve a chi? Ai ribelli o al governo? Perché da noi si tende a dire che il governo è l’unico colpevole.
R. Questo avviene perché i Media occidentali disinformano, invece di informare.
Da parte del governo non c’è una volontà deliberata di far soffrire la gente. Il governo non ha alcun interesse a che il popolo soffra.
Se patiamo per la penuria di combustibile, di cibo e farmaci, si deve soprattutto all’insicurezza delle vie di comunicazione. La strada principale che collegava Aleppo al resto del Paese è chiusa da due anni. Esiste solo una strada secondaria resa agibile da un anno circa per permettere l’ingresso e l’uscita dalla città. Anche le derrate alimentari passano da lì. Essa è peraltro poco sicura. Proprio un anno fa vi fu ucciso il mio fratello maggiore, che rientrava da una visita ai figli. Lo uccisero i ribelli, che tutte le settimane rapiscono viaggiatori. Inoltre, essendo molto stretta, non vi possono circolare convogli di camion.
Così i prodotti alimentari arrivano col contagocce. Due mesi fa, durante un mio viaggio in Francia, lessi sui giornali che i 300.000 mila abitanti di Aleppo erano sottoposti a bombardamenti e a un blocco totale. Questo non è vero. 300.000 sono gli abitanti dell’area periferica controllata dai ribelli. Nella parte controllata dall’esercito regolare gli abitanti sono due milioni e soffrono altrettanto o forse più dei 300.000 che stanno dall’altra parte.

D. I 300.00 sono ostaggi dei ribelli, o terroristi? Non so se è giusto chiamarli ribelli.
R. Io li chiamo gruppi armati.  Naturalmente si possono anche definire terroristi, visto che esercitano il terrore.  No. Non sono ostaggi dei gruppi armati. Sono persone che non hanno avuto la possibilità di lasciare i propri quartieri. Un milione ha avuto questa possibilità. Quelli che restano non hanno avuto l’occasione o i mezzi per andar via.

D. Quindi i 300.000 che soffrono non sono vittime di Bashar al Assad, se ben capisco, ma sono rimaste intrappolate nei quartieri in mano ai gruppi armati.
R. Si. Attualmente si patisce da entrambe le parti, ma le ricordo che, dieci mesi fa, la nostra zona fu vittima di un blocco completo fatto dai gruppi armati. Per tre mesi non si poteva uscire da Aleppo né entrarvi, e non arrivava nessun prodotto; mentre nell’area in mano ai ribelli arrivava tutto. Adesso, grazie a questa nuova strada aperta dal governo, non si è più sottomessi a quel blocco.
Le ricordo inoltre che durante i mesi di Giugno e Luglio del 2014 i ribelli hanno tagliato completamente l’approvvigionamento dell’acqua. Durante due mesi e mezzo neppure una goccia d’acqua scese dai nostri rubinetti.  Mentre essa non mancava dall’altra parte. I gruppi armati avevano chiuso intenzionalmente il passaggio dell’acqua per far soffrire la popolazione.  Per quasi due mesi e mezzo, l’occupazione fondamentale fu fare la fila davanti ai pozzi delle moschee, delle chiese e dei giardini pubblici e riempire bidoni d’acqua. Per intere settimane, ci hanno privato anche dell’elettricità. Le centrali elettriche e l’acqua si trovano nella parte in mano ai ribelli ed essi tagliano l’acqua e la luce a loro piacimento, generando grandi sofferenze alla nostra gente.

D. Ciò che lei dice è molto importante. In genere, si tende a dare uguali responsabilità alle due parti in conflitto, mentre i responsabili di tutte le vostre pene sono i gruppi armati. Quindi, la richiesta che si fa ad Assad di ritirarsi in quanto sarebbe un mostro appare falsata.
R. Certo. Fa parte della strategia dell’informazione sin dall’inizio del conflitto demonizzare Bashar al Assad. Lo si descrive come un mostro che massacra il suo popolo, ma non è vero.
Non sono un suo estimatore e non mi interessa seguire i politici, ma posso affermare che se in questo momento si facesse una consultazione popolare sotto l’egida internazionale, Bashar al Assad otterrebbe sicuramente la maggioranza. Innanzitutto è carismatico: moltissimi lo stimano tanto. Anche se prima della guerra iniziata a marzo del 2011 il regime non era sicuramente democratico al 100%. Volevamo più libertà, più democrazia, questo è vero. Il regime non era perfetto.
Ma ottenere un governo democratico al 100% non è una ragione sufficiente per distruggere il Paese, per massacrarne gli abitanti, per giungere al punto in cui ci troviamo. Anche chi non appoggiava il regime adesso condanna quel che è successo. Non si accetta di veder distrutta la Siria per un poco più di libertà, di democrazia.

D. Lei ritiene che Assad vi abbia salvato dal peggio?
R. Si. Non voglio sostenere che non ci siano state delle vittime, uccisi e feriti, da parte dell’esercito regolare. Sarebbe una falsità. Le vittime sono da entrambe le parti. Quando uno Stato è attaccato si difende. Quando si è colpiti da autobombe, dagli ordigni di gruppi armati che decapitano, crocifiggono, lapidano, lo Stato si difende con le armi.
Certo, anche nelle zone controllate dai ribelli ci sono stati e ci sono feriti e morti, non si può negarlo. È conseguenza della reazione difensiva di uno Stato. Io credo che qualunque Stato al mondo, se venisse attaccato si difenderebbe con le armi.

D. Per concludere, vorrei che la sua opinione arrivasse ai Media, ai commissari dell’ONU, agli investigatori e alle ONG. Molto spesso hanno affermato che l’esercito regolare agisce in maniera criminale. Secondo lei, le forze armate sono legittimate dal popolo siriano?
 Le manifestazioni non sono state pacifiche. Testimoni oculari mi hanno raccontato che sin dalla prima settimana del conflitto tra i manifestanti si infiltravano persone armate che sparavano da una parte e dall’altra per provocare lo scontro. Le manifestazioni non erano spontanee.
Anche senza parlare di un complotto, posso affermare che quel che successe non fu spontaneo. Fu ideato e concretizzato, o è ancora in fase di attuazione.
Tutti quelli che incontro, cristiani e musulmani, persone che amano il regime e persone che non lo amano affatto, tutti quelli che incontro nel mio ambulatorio – sono un medico – o nella ONG in cui presto la mia opera, o in strada, mi dicono: ‘’Dottore, non volevamo che accadesse tutto ciò. Desideravamo vivere meglio, avere più libertà, ma non arrivare a questo. ’’ La gente continua a ripetermi: ‘’Vedi cosa ci hanno fatto! ’’ E il ‘’ci’’ si riferisce sempre ai gruppi armati. Ho fatto una piccola statistica con i miei pazienti, l’80% sono degli sfollati e tutti mi ripetono: ‘’ Vedi cosa ci hanno fatto’’ e parlano dei gruppi di ribelli. La maggior parte afferma di non credere alla storia sulla libertà e i diritti umani. Se il Qatar e l’Arabia Saudita volessero veramente la democrazia per il popolo siriano, dovrebbero applicarla prima da loro.
Altri mi dicono: ‘’ Ah ah, i diritti umani… gli Stati Uniti vogliono i diritti umani per la Siria. Farebbero meglio ad applicarli in casa loro. Dove sono i diritti umani. A Guantanamo? Con prigionieri senza diritto a un avvocato. E il rapporto, presentato dal senato americano nel mese di Dicembre, sulla tortura nelle prigioni segrete della CIA in Europa, con migliaia di arrestati in dieci anni. Che l’America non venga a darci lezioni sui diritti umani! ’’
La gente non crede assolutamente che gli USA, l’Europa, la Turchia e i Paesi del Golfo sostengano i gruppi armati per amore dei Siriani, della libertà, della democrazia o dei diritti umani. Nessuno si beve questa storiella. Tutti sanno che esiste un Piano … un progetto per il Nuovo Medio Oriente, sognato da Bush ed i suoi accoliti. Tutti sanno del Caos Costruttivo di Condoleezza Rice. Tutti sanno, e riflettono su queste cose che si stanno concretizzando qui da noi, dopo che si è tentato in Libia. Con successo. Distruggendola. E in Iraq. Anch’esso distrutto. L’Egitto è forse l’unico Paese che sia riuscito a salvarsi la pelle.
I Siriani non amano leggere nei Media ciò che scrivono sul loro esercito: che è l’esercito di Bashar. No. Non è l’esercito di Bashar. È l’esercito siriano. Formato dai nostri giovani, che fanno il servizio di leva. Non è l’esercito di Bashar che si batte contro l’Esercito libero. Semmai c’è stata all’inizio la parvenza di un Esercito libero, ora di sicuro non esiste più. O si riduce al 5% dei gruppi armati, mentre il 95 % di essi è costituito da barbari: Daesh, Al Nusra, Fronte islamico, Esercito islamico … E potete vedere quel che fanno i barbari. Tutti i Media parlano ormai di decapitazioni, crocifissioni, di lapidazioni di donne etc.

D. Non è scioccante per voi che in Occidente, dopo la proclamazione dello Stato islamico, in Giugno 2014, non si sia dato al presidente Assad il sostegno in quanto il vostro Paese, come l’Iraq, era minacciato?
R. Gli Occidentali si sono accorti di questa minaccia soltanto quando gli attentati sono avvenuti in casa loro. Con quattordici morti, credo, a Parigi e quattro a Copenaghen. Le vittime dello Stato islamico qui sono invece migliaia. Noi preferiamo dire Daesh  Rifiutiamo di parlare di Stato islamico, esso presupporrebbe appunto uno Stato e non accettiamo che esista… non si sa dove sia quello stato.
A noi Siriani sconcerta il fatto che in Occidente si associ il Paese a Daesh, quando leggiamo di Occidentali che vogliono fare la Jihad in Siria: come se la Siria fosse terra di Jihad! Come se in terra siriana esistesse una tradizione di estremismo e barbarie! Noi Siriani, tutti noi Siriani: cristiani e musulmani, poveri e ricchi, non abbiamo mai conosciuto questa barbarie. Io sono cristiano, ma la maggior parte dei miei pazienti è musulmana. Tutti loro e tutti i miei amici musulmani mi dicono: ’’ Non abbiamo mai visto una cosa del genere. Per secoli siamo vissuti insieme, musulmani e cristiani. Non c’era alcun problema tra noi. Non abbiamo conosciuto neppure una millesima parte della barbarie a cui oggi assistiamo! ‘’
Quando in Occidente si associa la barbarie alla Siria, quando si parla di fare la Jihad,  appare come se essa fosse predisposta alla barbarie. Ma ciò non fa parte della tradizione siriana. È un’importazione!
Ogni tanto, ricevo pazienti musulmani che ho seguito per molti anni. Essi vengono da Raqqa, da Membij e da altri centri che Daesh controlla da diversi mesi.  ‘’ Dottore, è atroce vivere sotto Daesh! ‘’ mi dicono. ‘’è terribile! Come hanno fatto a impadronirsi delle nostre città?  Soffriamo molto e vorremmo che se ne andassero. ’’ E quando gli chiedo: ‘’ Chi è questa gente? È di Raqqa? ‘’ mi rispondono: ‘’No! No! Sono Ceceni, Afghani, Pakistani, Sauditi, Tunisini, Marocchini. ’’

D. Tutto ciò è accaduto prima del Giugno 2014. Voi soffrivate per questa barbarie ma essa veniva tenuta nascosta.
R. Si. Non si chiamava ancora Stato islamico, né Daech, ma esisteva già. Ricorda che nel Maggio del 2011, due o tre mesi dopo l’inizio degli avvenimenti, nella città di Jisr al Shughour, gruppi armati circondarono edifici delle forze di sicurezza e uccisero tutti le persone che vi si trovavano, erano novanta. Furono fatte a pezzi e gettate dal terzo e dal quarto piano.

D.  Si trattava di soldati?   
R. Si. Erano soldati e personale della sicurezza.

D. Ricordo che all’epoca si affermava che era stato l’esercito siriano a fare a pezzi i propri soldati.
R. Non è vero. Abitanti di Jisr al Shughour che ho incontrato mi hanno riferito che gruppi di ribelli che terrorizzavano i villaggi circostanti, invasero la città, circondarono gli edifici con poliziotti e soldati che gettarono dal terzo piano. Ci fu disinformazione.

D. Fu un pretesto, quindi. Il punto di partenza da cui chiedere un intervento in Siria. Quando si assistette alla incredibile avanzata dello Stato Islamico nel 2014 vi sarete attesi, da parte dell’Occidente, al riconoscimento dell’esercito e del governo Assad come collaboratori nella lotta contro un comune nemico. Perché si sono aiutati soltanto i Curdi siriani? Perché i Curdi che sono stati sostenuti a Kobane sono in Siria. Da una parte, gli angelici Curdi da aiutare, da proteggere. Dall’altra l’esercito siriano sempre considerato orribile. Come avete sentito questa diversa attitudine?
R. Dal nostro punto di vista è inspiegabile. Bisogna entrare nella logica dei dirigenti occidentali che, presumibilmente, pensano alla partizione della Siria, come lei ben sa. L’Iraq è quasi smembrato: Il Kurdistan, in pratica indipendente, è sostenuto da USA e Israele. Chi vi si reca dice che è pieno di Israeliani e Americani.  Dunque è probabile che i piani occidentali mirino alla partizione della Siria.
Per questo hanno sostenuto i Curdi a Kobane e invece non sostengono il regime siriano nella lotta contro Daesh. Daesh è una loro creatura. Sono loro che gli hanno dato i natali. Come nel passato al Qaeda. Ricorda il famoso incontro tra McCain e i generali dell’Esercito libero? Dove anche il futuro califfo di Daesh, al Baghdadi, figurava come ufficiale dell’Esercito libero? McCain lo incontrò in quell’occasione e la gente si domanda, appunto, se Daesh non sia una creatura americana come al Qaeda in Afghanistan.

D. Ciò vuol dire che si continuerà per questa via. Vi sentite minacciati. Vivete nella paura e nell’angoscia?
R. La gente è veramente angosciata. Tutti hanno paura ad Aleppo. Temono che la loro sorte sia uguale a quella degli abitanti di Mosul.  Lei ricorda che fu occupata da Daesh. Apposero sui muri delle case dei cristiani delle nun (n) ordinandogli di convertirsi o lasciare la città, pena la morte. Sono andati via a piedi, incolonnati, come gli Armeni un secolo fa, nel 1915, sterminati dai Turchi.
Gli abitanti di Aleppo, soprattutto i cristiani, hanno paura. Per questo assistiamo a un esodo in massa dei cristiani. Il 50 % sono già fuggiti. Ma non solo i cristiani, tanti tantissimi nostri compatrioti musulmani si sono stabiliti in Libano, in Egitto e in altri Paesi. Tutti hanno paura. Ed anche chi non ha paura è stanco. Hanno perso ogni speranza, assistendo alla distruzione del loro Paese. C’è chi pensa ai figli, i giovani al loro futuro e vanno via. Tutto ciò ci addolora.

D. In un’altra occasione lei mi ha detto che lo Stato Islamico si trova a poca distanza da Aleppo. Cosa significa?
R. Daesh è a 30 km. Da Aleppo, e da diversi mesi non cerca di avanzare. Però non si trova nei quartieri periferici della città. Questi sono controllati da Al Nusra e da altre decine di gruppi armati: uno per quartiere. Per fortuna Daesh non è in Aleppo.

D. A che punto è l’offensiva lanciata dall’esercito regolare? È vero che ha fallito nel tentativo di liberare i villaggi assediati dai gruppi armati? Si dice che sia stato respinto da centinaia di uomini armati giunti dalla Turchia.
R. A dire il vero, gli Aleppini non si sono accorti di questa offensiva. Le notizie arrivano  dalla televisione e da internet. Qui la gente è scettica. Sono trascorsi due anni e mezzo dal primo intervento delle truppe regolari. Ci sono bombardamenti e combattimenti quotidiani, offensive, ma  l’esercito non è avanzato di un solo metro.
Voglio dire che nell’area controllata dai gruppi armati, la parte occupata a Luglio del 2012, la situazione non è cambiata. Né l’esercito regolare ha conquistato un metro in più, né un metro in più hanno preso gli avversari. La situazione è bloccata. Vige uno status quo terribile. Quando sente dire che l’esercito regolare ha lanciato delle offensive e ha preso il controllo dei villaggi, la gente è scettica. L’unica cosa certa è che sono avanzati un po’ a nord e hanno preso il controllo  della prigione centrale, a circa  10-15 km da Aleppo, perchè si sa che i prigionieri che soffrivano enormemente per un blocco completo sono stati portati ad Aleppo. Questa è l’unica cosa sicura. Per il resto sappiamo quello che raccontano i Media.

D. Come spiega il fatto che l’esercito regolare non riesca ad avanzare, a farvi uscire da questa situazione terrificante?
R. L’esercito Siriano non è grande. Sono circa 400.000 uomini. Se però togliamo tutti i soldati che svolgono un lavoro amministrativo, quelli che si trovano negli ospedali militari, gli autisti etc. İl numero dei combattenti effettivi si riduce notevolmente.
In Siria ci sono 30-40 focolai di insurrezione, 20-30-40 zone in cui si combatte. L’esercito non può trovarsi ovunque. Sin dall’inizio vince le battaglie ma non può fermarsi a lungo. Spesso è costretto a ritirarsi per andare da un’altra parte e i gruppi armati ne approfittano per riprendersi un villaggio o un quartiere. Ci sarebbe bisogno di uno-due milioni di combattenti per riconquistare il territorio, occuparlo e restarvi. Per questo motivo la gente è molto pessimista. Si rende conto che la situazione non cambia, e pensa che nessuno dei due campi potrà ottenere una vittoria militare. Peraltro, tutti pensiamo che lo Stato siriano non può vincere se non si chiudono le frontiere turche.
Finché uomini potranno passare dalla Turchia per venire a combattere in Siria, finché passeranno le armi,  lo Stato siriano non potrà vincere. Si protrarrà lo statu quo. 
İnfine, la gente non crede ci sia un’opposizione moderata. Sul campo non esiste un’opposizione moderata. Gli unici moderati sono quelli che vivono all’estero, nei palazzi turchi, negli hotel 5 stelle dei Paesi del Golfo. Essi trascorrono il tempo in discussioni, in talk show televisivi, ma  non hanno nessuna influenza all’interno.
Nessuno in Siria li conosce. La famosa Coalizione nazionale o il Fronte siriano non rappresentano assolutamente il popolo siriano. Il primo Presidente del Consiglio nazionale siriano non era conosciuto neppure da cinquanta persone, prima di essere designato dagli Occidentali. E questo Consiglio nazionale, riconosciuto come legittimo rappresentante dall’Occidente, qui fa ridere. I Siriani dicono: ‘’ Non li conosciamo, vivono all’estero da 30 anni e ci vogliono rappresentare! Non conosciamo neppure i loro nomi.’’ E si chiedono con quale diritto gli Occidentali possano indicare il loro rappresentante legittimo. Insomma ci sono molte domande che restano senza risposta sull’atteggiamento degli Occidentali verso la Siria.
cattedrale greco-melchita di Aleppo colpita in questi giorni

D. L’Onu condanna i bombardamenti del governo. Perchè? Cosa ne pensa? Se il governo non bombardasse le zone occupate dai gruppi armati, come lei li definisce, la popolazione sarebbe esposta a pericoli maggiori. Come si può criticare l’esercito siriano che fa quel che può per farvi uscire da questa situazione catastrofica?
R. Giustamente, il generale De Gaulle aveva definito l’ONU ‘’le machin’’ l’accrocco. Ebbene, qui  la gente non ha fiducia in quell’accrocco. Per fortuna la Russia e la Cina hanno diritto di veto e appoggiano lo Stato siriano. Nessuno si fida dell’Onu, né della Lega araba che nei confronti della Siria, uno dei principali Paesi fondatori, si è comportata in modo abominevole. Il popolo siriano odia i Paesi del Golfo e la Lega araba col suo segretario generale. Li detesta perchè si sono  comportati molto male.  Le relazioni sono distorte. Si guarda solo a quello che succede dalla parte dei gruppi armati. Io dico sempre ai miei amici in Occidente ‘’che i giornalisti, gli investigatori, i rappresentanti dell’Onu visitino le aree sotto il controllo dello stato; che vedano cosa succede alla popolazione, quanti sono i feriti e gli uccisi ogni giorno ‘’ Una settimana fa sono state fatte esplodere ad Aleppo due moschee, uccidendo quattordici persone tra cui quattro studenti che uscivano dalla scuola. L’indomani altre bombe sono cadute causando morti e feriti. Che visitino gli ospedali della nostra regione, che vedano i feriti di guerra. Io lavoro in un ospediale dove è stato creato un programma per i civili feriti di guerra. È un  ospedale privato ma vi si curano gratuitamente i civili feriti da azioni di guerra. Tutti sono feriti a causa dei mortai e delle pallottole dei gruppi armati. Recentemente è stata portata una donna colpita alla testa da schegge di granate e ha perso un occhio. Nello stesso giorno un uomo ha perso una gamba per una granata. I gruppi armati s’infiltrano nei nostri quartieri. Quando i miei amici occidentali m’inviano dei rapporti scritti da Medici senza frontiere o Medici nel mondo, che raccontano le loro esperienze nelle zone controllate dai gruppi armati,  io dico ai miei interlocutori che si tratta di rapporti parziali. Queste persone entrano  illegalmente in Siria attraverso la Turchia o attraverso il Libano per curare i ribelli, uomini feriti nei combattimenti, in dispensari e ospedali. Questi Medici senza frontiere vengano nelle nostre regioni e vedranno maggiore sofferenza, più ammazzati, più feriti che nelle zone dei gruppi armati

D. Signor Antaki, come succederà in futuro?
Nessuno può prevederlo. Le ho gia detto che la gente è pessimista. Molti hanno perso ogni speranza. Molti pensano di lasciare il paese. Non so proprio come evolverà la situazione. Vado dicendo sin dall’inizio che questi avvenimenti non ci porteranno la democrazia o i diritti umani o la libertà. 
Ci  sono tre percorsi di uscita dal complotto ordito contro la Siria. Se gli avvenimenti e i gruppi armati che li hanno determinati vincessero, si arriverebbe a uno stato islamico o al caos o alla guerra civile. Lo scrissi nel giugno del 2011 e penso che le cose andranno avanti in questo senso se  l’Occidente continua a sostenere i gruppi armati e se la Turchia non chiude le frontiere. La Turchia fa un gioco sporco. È il principale sostenitore dei gruppi armati.
Se non  ferma il loro gioco, assisteremo alla nascita di uno stato islamico e allo smembramento della Siria. Non si vede altra soluzione.
L’esercito regolare non può vincere senza la chiusura delle frontiere turche e se gli  Occidentali continueranno ad armare e inviare dei giovani nel nostro paese.  Noi non siamo la discarica dell’Occidente. Tenetevi i delinquenti e gli estremisti. Che non vengano in Siria! 30-40 mila Europei combattono già qui. Sono arrivati terroristi da 80 nazioni. L’immondezzaio dellOccidente. Cosa vengono a fare qua. Che restino a casa loro. Arrestateli a casa vostra.

D. La situazione è terribilmente pericolosa. Mi chiedo come lei possa restare. Non andar via come tanti altri. È la dignità che la induce a restare mentre la sua vita è costantemente in pericolo?   E la sua famiglia, i suoi cari?
Si resta in Siria per diversi motivi. Siamo varie categorie.
Gli abitanti di centri non esposti direttamente, come le città della costa: Latakia, Tartus, e una grande parte di Damasco. Dove non ci sono combattimenti la gente vive normalmente. Molti Aleppini che sono stati a Lattakia la descrivono come un altro mondo, senza combattimenti e prospera.
Altri restano perchè non hanno la possibilità economica o perchè non conseguono un visto. Viaggiare fuori dalla Siria significa possedere denaro, procurarsi un visto. L’unica via d’uscita era il Libano, ma da due mesi ha stabilito condizioni draconiane per l’ingresso. Adesso un Siriano che vuol rendersi in Libano deve avere dei motivi drammatici, passare per un’ambasciata, avere un biglietto per un aereo in partenza dall’aeroporto di Beirut.
Personalmente, col mio gruppo, abbiamo scelto di rimanere in Siria, anche se la nostra vita è in pericolo e i figli che vivono all’estero ci supplicano di andar via, perchè vogliamo aiutare chi non ha scelta ed è obbligato a vivere qui.  Con una Ong, i Maristi blu, aiutiamo la popolazione a sopravvivere, sia fornendogli alimenti, vestiario e scarpe sia curandoli gratuitamente e occupandoci dell’educazione dei bambini. Pensiamo che la nostra presenza aiuti, dia forza. Per questo dobbiamo restare.

Silvia Cattori. Lei è ammirevole. Mi sento quasi a disagio al pensiero di poter vivere confortevolmente e al sicuro sapendola in questa situazione. È difficile pensare che lei viva una condizione così tragica e con lei tutta la popolazione. Ed ecco la sua commovente, sconvolgente testimonianza. Abbia cura di lei. La ringrazio infinitamente. Farò tutto il possibile per trasmettere il suo messaggio il più lontano possibile.
Nabil Antaki:
Grazie, Silvia. Grazie.

Fonte: http://arretsurinfo.ch