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lunedì 22 dicembre 2014

"Cristiani del mondo, tutti quanti: vi chiedo umilmente di pregare per noi, cristiani della Siria."

Lettera di un giovane cristiano di Aleppo


AsiaNews - 22/12/2014
di Giorgio Istifan
Mi chiamo Giorgio Istifan, sono nato ad Aleppo nel 1975 e sono sposato con una giovane donna di nome Miriam, laureata in Scienze dell'educazione, con indirizzo psicologico. Abbiamo una bambina che ha un anno e cinque mesi di età, chiamata Benìta. Appartengo alla parrocchia latina di San Francesco di Assisi, ad Aleppo. Il 5 novembre 2011 io e mia moglie ci siamo sposati. La nostra vita è iniziata con tanta gioia e serenità; avevamo un lavoro e una vita familiare tranquilla. Il 22 luglio 2012 inizia la crisi ad Aleppo. Comincia nelle periferie e nei villaggi dei dintorni per arrivare, in un secondo momento, alla città. All'inizio, nella prima fase, ho visto con i miei occhi l'arrivo di tante famiglie immigrate dai villaggi verso Aleppo. Subito dopo, la crisi ha toccato la città ed è scoppiato così il dramma. Come prima conseguenza ho perso il lavoro e la speranza di una vita normale sembrava essere finita lì. Da quel momento la condizione economica ha iniziato a farsi molto pesante; tuttavia, in famiglia eravamo sicuri che si sarebbe trattato di una crisi passeggera e che sarebbe finita subito. 
La guerra invece si è allargata ed è arrivata fino a noi, fino alle soglie di casa mia: un giorno ci siamo svegliati e abbiamo visto i miliziani arrivati a distanza di 100 metri dal nostro edificio. Subito dopo, l'esercito ha ripreso l'attacco e così si sono allontanati di nuovo. In risposta, hanno cominciato a lanciare bombe sulla nostra zona abitata, sugli edifici e sulle case. La nostra casa ha ricevuto tanti colpi di proiettile e, una volta, solo per miracolo siamo stati risparmiati. 
Le cose non sono però finite lì, il nostro edificio è stato colpito anche da due cannonate e la nostra vicina di casa è stata colpita da una scheggia metallica alla testa. Impauriti, abbiamo abbandonato la casa in tutta fretta e ci siamo rifugiati dai nostri genitori; mia figlia all'epoca non era ancora nata.Al tempo della nascita di Benìta, non c'era né acqua, né elettricità ad Aleppo, né mezzi per riscaldarsi, né gas. Dopo il parto e la sua presentazione al Signore nella chiesa, abbiamo subìto altri missili e bombe; siamo di nuovo scampati tante volte dalla morte. 
La cosa che più mi ha amareggiato il cuore era che, per tanti motivi, soprattutto per la ristrettezza delle case dei nostri genitori e la situazione economica precaria, siamo finiti - mia moglie ed io - ognuno a casa dei rispettivi genitori. Mia figlia è rimasta con la madre e ci siamo ritrovati a vivere lontani l'uno dall'altra. Dove né un litigio, né incomprensione ha potuto separarci, una guerra ha potuto farlo. Purtroppo, da quel momento continuiamo a vivere in questa situazione, che perdura ancora oggi. 

In questo periodo, il Signore mi concesso la grazia di trovare un lavoro nella chiesa, come sagrestano nella mia parrocchia. I nostri problemi come famiglia non si sono risolti, e neanche come comunità cristiana; anzi, sono diventati sempre più grandi: tante famiglie cristiane si sono disperse; abbiamo dato i baci d'addio a tanti amici e tanti familiari che sono andati verso l'ignoto; alcuni sono finiti in un Paese europeo alla ricerca della pace o in una nazione vicina ai confini siriani, in cerca di lavoro. Anche mio fratello è partito per il Libano con la sua famiglia, ma dopo un po' di tempo è ripartito di nuovo verso un altro Paese in cerca di pane da mangiare, e di pace. Tutto questo è dovuto al fatto che, nel nostro amato Paese, la Siria, manca la pace, manca la sicurezza. 
Questo periodo è molto difficile: si esce di casa, ma non si sa mai se si ritorna. Per strada tutto può succedere; ma il pericolo può arrivare anche mentre siamo a casa o in chiesa. Quello che mi è successo, nell'ultimo periodo, vale come esempio. 
Poco più di un mese fa, sabato 8 novembre, alle 19,15, mentre tornavo dal mio lavoro nella chiesa, sono andato a casa dei miei suoceri, per vedere Miriam e Benìta, che non vedo se non due o tre ore al giorno. Mentre andavo per la strada, un colpo di mortaio è caduto vicino a me, a distanza di circa tre metri. A causa dell'esplosione, una parte metallica di piccole dimensioni è penetrata nel lato sinistro e si è infilata fra le costole; ancora pochi centimetri e avrebbe colpito il cuore. Avrei potuto morire in un istante. Il risultato invece è stato "solo" una ferita, che ha continuato a farmi male per un po' di tempo. Il giorno dopo, la domenica, sono tornato, alla chiesa per ringraziare il mio Signore del miracolo e del dono della vita mi aveva donato, ancora una volta, il giorno precedente. Non ho altro che l'inno di ringraziamento tramite la preghiera, che risulta per me l'unica fonte di speranza e di pazienza per sopportare le prove e la sofferenza. 
La vita durante questa guerra in Siria ha insegnato a noi cristiani che la fede è essenziale e, quale frutto di questa fede, vi è la fiducia in Dio. Nonostante tutta la durata e la drammaticità di questa guerra, la nostra fede è aumentata e così anche la nostra fiducia nel Signore. Con gli occhi della fede, vediamo ogni giorno la mano di Dio curare ognuno di noi, occuparsi quotidianamente dei nostri bisogni. Sembra che in questa grande tempesta della guerra, siamo sotto grandi ali potenti, che ci proteggono, anche se sentiamo e subiamo il soffio del vento; siamo sotto le Sue ali, per questo non anneghiamo sotto la pioggia forte, ma sentiamo su di noi solo alcune gocce.  
Siamo negli ultimi giorni di Avvento, la mia preghiera sale a Dio giorno e notte affinché restituisca al mio Paese e alla mia città la pace e la sicurezza. Io spero veramente che, con la preghiera di tutti i cristiani nel mondo, in modo speciale nella santa notte di Natale, la guerra sia seppellita per sempre, che l'odio sia cancellato e che la pace regni sulla terra. Ho però anche un altro desiderio da chiedere a un Dio, innamorato di me, da diventare un piccolo figlio a Betlemme: spero che il Bimbo nato per noi in una famiglia, riporti alla mia famiglia e a tante famiglie che sono state costrette a "separarsi" il caldo di vivere insieme, la gioia di stare uniti come un'unica famiglia. 
Cristiani del mondo, tutti quanti: vi chiedo umilmente di pregare per noi, cristiani della Siria.  Buon Natale dalla mia città di Aleppo.
(Ha collaborato p. Ibrahim Alsabagh, parrocchia latina di Aleppo)

http://www.asianews.it/notizie-it/Aleppo:-Natale-tra-famiglie-cristiane-spezzate-dalla-guerra,-che-pregano-per-la-pace-33022.html

venerdì 19 dicembre 2014

Natale in Siria: solo una piccola culla, per deporre il Re della pace


NEL VILLAGGIO DI KNAYEH
Il Natale in Siria sotto il tallone brutale dei miliziani islamisti


Padre Hanna Jallouf  ( sequestrato con altre persone lo scorso ottobre dai miliziani della fazione jihadista Jabhat al-Nusra, braccio siriano di al Qaeda, e dopo qualche giorno rilasciato)  racconta: "Possiamo celebrare Messe e funzioni ma non possiamo uscire fuori dalla nostra chiesa. A Natale non possiamo abbellire l'esterno della chiesa, fare il presepe, allestire l'albero. Ma questo non ci impedirà di riunirci il 24 dicembre... In chiesa avremo un piccolo presepe, fatto solo di una piccola culla per deporre il Re della pace"
“Sopravviviamo perché vogliamo dire ai fondamentalisti che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte. I nostri avi sono nati e morti qui. Così faremo anche noi”

SIR 17 dicembre 2014 , di Daniele Rocchi


Ci sarà solo una piccola culla sotto l’altare della chiesa parrocchiale di san Giuseppe, nel villaggio di Knayeh, nella valle dell’Oronte, vicino al confine con la Turchia (Siria settentrionale), dove i frati minori della Custodia di Terra Santa sono presenti da oltre 125 anni. Da tempo sotto il controllo della fazione jihadista Jabhat al-Nusra, braccio siriano di al Qaeda, impegnato nella lotta al regime del presidente Assad, il villaggio, e i suoi dintorni, abitato da circa 800 fedeli, si appresta a vivere il Natale tra paura e speranza. Uno stato d’animo che il parroco, il francescano Hanna Jallouf, siriano, 62 anni, racconta con una certa emozione: “La guerra e la violenza hanno spinto molte persone, tra cui tanti nostri cristiani, a partire, a cercare rifugio altrove, anche per permettere ai propri figli di continuare a studiare. Nelle scuole del villaggio, ormai, si insegna solo il Corano”. 
Da quando la zona è in mano alle brigate islamiste vessazioni e soprusi ai danni della popolazione locale sono all’ordine del giorno. A farne le spese lo stesso parroco, sequestrato dai miliziani armati, lo scorso mese di ottobre, insieme ad altri parrocchiani, e dopo qualche giorno rilasciato.
 Nonostante la gravità della situazione la parrocchia è rimasta attiva anche se deve rinunciare a suonare le campane ed è tenuta a rispettare l’obbligo di coprire le statue e le immagini sacre esposte all’aperto. E il Natale imminente acuisce questa sofferenza senza impedire alla piccola comunità cristiana di vivere la nascita di Cristo. “Da giorni - rivela il parroco - i nostri fedeli hanno cominciato a pulire le case, a preparare qualche dolce, per quel che si può, e rendere dignitosa la festa”.

Libertà di culto. “Con tutte le difficoltà che abbiamo, manteniamo una certa libertà di culto - spiega padre Hanna - possiamo celebrare Messe e funzioni ma non possiamo uscire fuori dalla nostra chiesa. A Natale non possiamo abbellire l’esterno della chiesa, fare il presepe, allestire l’albero. Ma questo non ci impedirà di riunirci innanzitutto il 24 dicembre. La nostra Messa di mezzanotte la celebreremo il pomeriggio per motivi di sicurezza. Mancheranno le luminarie, ma non fa nulla. In chiesa avremo un piccolo presepe, fatto solo di una piccola culla per deporre il Re della pace”. 
Pace: una parola che sembra non avere alcun significato in un paese dilaniato da oltre tre anni di guerra, con centinaia di migliaia di morti e milioni tra sfollati e rifugiati. E il futuro non sembra portare nulla di buono. “La situazione è grave. Nel villaggio ci hanno portato via le nostre terre, le nostre case, abbiamo subito espropri. Io sono stato imprigionato - ricorda il parroco - insieme ad altre sedici persone del mio villaggio. Abbiamo passato un periodo davvero triste ma il Signore era con noi e abbiamo sentito la sua mano potente sul nostro capo e sui nostri villaggi. Dio è nostro Salvatore e protettore. Non sappiamo come andrà a finire e, per questo, viviamo alla giornata. Abbiamo paura del futuro ma la speranza è che il Signore ci protegge”. 
Sperare contro ogni speranza. Soprattutto quando si ha a che fare con “tanti ladri in giro”. “Non ci hanno lasciato nulla, hanno portato via tutto - spiega il francescano parlando dei miliziani islamisti - ora stanno cominciando a tagliare gli alberi per fare legna da ardere che rivendono al popolo a prezzi alti. Tagliano anche gli olivi che sono fonte di sostentamento per molti. Ci hanno preso il raccolto di olive, della terra, hanno rubato i nostri attrezzi, trattori, macchine, non hanno lasciato niente. Una cosa orribile”.

Fino alla morte. “Sopravviviamo perché vogliamo dire ai fondamentalisti che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte. I nostri avi sono nati e morti qui. Così faremo anche noi”, ribadisce padre Jallouf. “Con la popolazione locale non abbiamo problemi, viviamo in pace, ci rispettiamo e ci aiutiamo da sempre. Abbiamo paura di questi fondamentalisti venuti da fuori che non conoscono la nostra terra e la nostra tradizione di convivenza. Hanno provato a convertirci ma senza successo. Quando ero in prigione volevano che diventassimo musulmani. Abbiamo detto loro che siamo cristiani e che lo rimarremo fino all’ultima goccia di sangue. In quei giorni di detenzione abbiamo sentito la preghiera della nostra comunità e della chiesa intera. Nel villaggio le case dei cristiani erano diventate tante cappelle di adorazione eucaristica”.

Natale diventa, allora, un’ulteriore prova di testimonianza. “Alla comunità di Knayeh dirò che Cristo è la pace e solo da lui viene questo dono. Da Lui il coraggio e la forza per sostenere tanta sofferenze. Alla mia gente dirò, ancora una volta, di testimoniare pace, gioia e unità. Perché ne siamo certi: la Siria vedrà ancora il sole sorgere. La notte sta passando e una nuova alba è vicina”. 
Parole che assumono un valore particolare. Non una semplice speranza, ma un passaggio di testimone. Una staffetta di fede che corre sulla stessa strada percorsa, duemila anni fa, da san Paolo per andare da Gerusalemme a Antiochia e che dista solo poche centinaia di metri dalla parrocchia di padre Hanna. “In questa strada - conclude - l’apostolo dava forza ai fedeli per perseverare nella fede. Ed è quello che stiamo facendo. La tribolazione di oggi ci permette di dare al Natale il suo vero valore: testimoniare la fede in Cristo fino alla morte. 
Lo diciamo anche ai nostri fratelli in Occidente. È anche per loro che offriamo le nostre tribolazioni. Buon Natale!”.

martedì 16 dicembre 2014

Avvento in Siria 3: Maristi di Aleppo "noi abbiamo scelto di vivere, di servire, di donarci, al servizio dell'uomo"


Ecco la nostra lettera n. 20 da Aleppo
  
E' domenica 14 dicembre 2014. Questa mattina, non siamo stati a messa presso l'ospedale  St Louis come facciamo solitamente. Andremo alla messa delle 17 presso gli armeni cattolici del quartiere di Barbara. Essa sarà celebrata in memoria del giovane Soubhi, di 28 anni, ucciso la settimana scorsa.

L'appuntamento della violenza 

Soubhi è un giovane che abbiamo conosciuto fin dall'infanzia. Egli è stato uno scout del gruppo Champagnat Jebel el Saydé. A un certo punto, era il capo di questo gruppo. Egli era anche uno dei giovani volontari Maristi Blu. E' stato, inoltre, molto attivo nel proprio quartiere. Quando il suo quartiere è stato invaso dai ribelli, e si è trovato ad essere uno sfollato nella propria città, Soubhi, fabbro di mestiere, ha cominciato a vagare, alla ricerca di un lavoro, un impiego, per aiutare la sua famiglia... Lontano da Aleppo, a Kfarbo, villaggio cristiano vicino alla città di Hama, ha tentato di stabilirsi e lavorare perchè  ha detto, "è tempo che mi sposi e mi faccia una famiglia". Purtroppo, la morte aveva, con lui, l'appuntamento della violenza.

Soubhi è uno dei tanti giovani che sono uccisi dalla violenza... Così tanti sogni perduti ... e con loro, quanta speranza sprecata .
E' così vicina, questa morte! Mortai, pallottole vaganti, tante infernali macchine si accaniscono a distruggere l'uomo e la pietra, distruggendo la cultura e la civiltà.
Quante pallottole abbiamo raccolto in cortile, a casa nostra, dove i bambini giocano. A volte, è un miracolo che noi non siamo colpiti.


Quartieri che continuano a svuotarsi 
Questa stessa violenza crea in molte persone la sensazione di dover lasciare il proprio quartiere. Esse vivono l'esperienza quotidiana di un bombardamento. Questo si traduce in danni materiali ( vetri, mobili, automobili e a volte un colpo sulla parete...) e psichici... Quindi intere famiglie sono costrette a lasciare "casa propria" per andare altrove, in un altro quartiere più sicuro... L'edificio si svuota, la strada si svuota e dopo si scopre lentamente che tutto il quartiere è stato abbandonato... Fayrouz canta "Wainon", "dove sono? " E mi permetto di aggiungere, ne rimarrà qualcuno? 

Penso ai genitori di Giorgio, questo bambino ucciso l'anno scorso nel giardino della sua casa dalle schegge di un mortaio. Avevano deciso dopo la sua morte di  non lasciare la loro casa e rimanere lì per mantenere la memoria del loro bambino. Ma due mesi fa, hanno lasciato... si sono trasferiti in un'altra zona...
Lasciando la propria casa, si è costretti in affitto altrove ma gli affitti sono diventati molto costosi e le persone mancano di risorse. 


L'alto costo della vita 

Per il solo fatto di rimanere in Aleppo, le persone devono anche pagare altri tributi: un abbonamento alle reti di generatori elettrici, il gas che viene distribuito con parsimonia, benzina e combustibili per riscaldamento mancanti... Un'altra minaccia è annunciata e avrà conseguenze molto gravi sulla vita quotidiana delle persone: moltissime organizzazioni internazionali stanno riducendo drasticamente la loro assistenza alla popolazione siriana... questo aiuto è essenziale: soprattutto in termini di prodotti alimentari di base...

La minaccia 

Oltre a tutto ciò, noi siamo minacciati... Sua Santità il Papa Francesco, nel discorso rivolto ai profughi cristiani dell'Iraq, l'ha detto chiaramente: "i cristiani sono espulsi dal Medio Oriente, nella sofferenza...Sembra che, lì, non si voglia che ci siano dei  cristiani, ma voi, date testimonianza a Cristo.
Penso alle ferite, al dolore delle madri con i loro bambini, agli anziani e sfollati, alle ferite di coloro che sono vittime di ogni sorta di violenza".

Emorragia 

Molti giovani e famiglie  lasciano il paese, con qualsiasi mezzo... Riferendosi all'esodo in massa dei cristiani, un vicario episcopale mi ha detto ieri: "Da due mesi, trascorro il mio tempo a firmare i certificati di battesimo, in arabo, francese, inglese e altre lingue. Questo certificato verrà aggiunto ad altri documenti quando le persone si presenteranno presso gli sportelli dei consolati..."

La scommessa per la vita 

Di fronte a questa realtà opprimente, noi, i Maristi Blu, abbiamo scelto di vivere, di servire, di donarci, di impegnarci al servizio dell'uomo più colpito, più ferito, il più segnato dalla guerra.

 Il servizio dell'ascolto 
In questi ultimi mesi, io dedico molto tempo ad ascoltare la gente, la loro sofferenza, la loro disperazione, il loro desiderio di andarsene, la loro stanchezza... La gente ha così bisogno di essere ascoltata e soccorsa... Essi perdono la fiducia in un futuro, prossimo, di pace... Del resto, il Presidente siriano l'ha detto nella sua dichiarazione a Paris Match: "Nessuno può prevedere ancora quando finirà questa guerra".
Io non sono l'unico... Nella squadra dei Maristi Blu condividiamo ogni giorno la nostra esperienza di ascolto... A volte sono 
esperienze così dolorose che non possiamo descriverle...

Il servizio delle visite domiciliari 

Un team di volontari svolge delle visite a 'casa':... questa può essere un'aula in una scuola, una cantina, una costruzione in una zona molto pericolosa, un habitat inabitabile, una tenda in un giardino pubblico, un appartamento senza alcun muro e tante altre "case"...
Queste visite ci permettono di essere vicini alla gente. Siamo sollecitati. Essi ritengono che è un onore per loro di essere visitati,  riconosciuti nella situazione in cui si trovano. E per noi, questa è un'occasione non per speculare ma per toccare la miseria...


Verso il Natale 

In questi giorni, tutti i nostri progetti tendono verso Natale... Le distribuzioni di ceste di cibo o i diversi progetti educativi o di sviluppo si fermano intorno al 23 dicembre.
Riprenderemo dopo il Capodanno.

Dio è capace di tutto 

Attraverso questa lettera, vorrei ringraziare tutti i nostri volontari e i nostri benefattori, tutti i Maristi blu. Con loro e grazie al loro sforzo straordinario, la loro dedizione, il loro impegno a vivere nella semplicità e nell'amore, grazie alla loro sensibilità nell'essere attenti ai più bisognosi, arriviamo a supportare 600 famiglie, ad educare diverse centinaia di giovani, a offrire cure a centinaia di civili feriti dalla guerra e salvarne decine, e ad animare tante attività sia di formazione che di sviluppo.

Solo Dio è capace di tutto... Questo è stato il commento di una signora a cui avevo appena consegnato un medicinale vitale per la sopravvivenza del figlio.

Utilizzando queste stesse parole, auguro che il Signore della Pace e dell'Amore ci  faccia scoprire nuovi percorsi, i sentieri della speranza e del dono di sé.



Buon Natale!

Aleppo, 14 dicembre 2014 
fr Georges Sabe, per i Maristi Blu


(traduzione FMG)

venerdì 12 dicembre 2014

Un piccolo gregge. Maaloula. Siria.


Piccolo gregge ... questa la condizione che il Signore ha scelto per la presenza cristiana nei Paesi arabi. Da secoli piccolo gregge. In Siria questa condizione è più chiara che mai, oggi che quel piccolo gregge è attaccato da lupi feroci. Così quella piccola realtà cristiana, così lontana e diversa da quelle che frequentiamo di solito, appare più cara e più prossima di altre. A questa realtà appartiene Maloula, uno sperduto villaggio arroccato su remote pendici nel quale, dolce memoria, si parla ancora l'aramaico, la lingua di Gesù. 

  Di questo remoto villaggio abbiamo accennato spesso. Di come sia diventato bersaglio della follia sanguinaria che abita in Siria solo perché abitato da gente che recita il Padre Nostro usando le stesse parole di Gesù. Di come alcuni dei loro abitanti abbiano reso testimonianza al Signore e al mondo facendo dono della loro povera vita. Una testimonianza di grazia stupenda, che riempie il cuore di commozione e gratitudine.
Ed è anche in questa gratitudine che nasce la piccola iniziativa accennata in precedenza sul sito, volta a dare un qualche aiuto alla comunità cristiana di Maloula, tornata numerosa al proprio villaggio dopo che le truppe di Damasco l'hanno liberata dai feroci tagliagole che l'affliggevano. Si era pensato di offrire alle singole famiglie del paesino una pecora, così da alleviare la loro indigenza e aiutare il ritorno a una vita normale (per quanto possibile in un teatro di guerra continua).  Ci è stato suggerito dal sacerdote responsabile di Mar Sarkis di fare altrimenti, per evitare possibili equivoci o disparità (nel caso non fossimo riusciti a trovare una pecora per ogni famiglia), ovvero regalare un gregge che, gestito dalla cooperativa locale, distribuisca i ricavati e i benefici (latte, formaggio, lana) gratuitamente a tutti gli abitanti del villaggio.


Piace l'idea di questo piccolo gregge e speriamo che i lettori di queste righe possano aiutarci allo scopo, sostenendo economicamente e con le loro preghiera questa iniziativa. Confortano, in questo senso, alcune prime adesioni: una guida turistica della Sagrada Familia, a Barcellona, che ha subito donato di cuore appena ha saputo;  la vivace risposta di una parrocchia di Firenze e dell'amico Berlicche; come la pronta adesione da diversi lettori del nostro sito. Ma forse la cosa più commovente è l'iniziativa di alcuni bambini, che hanno pensato di realizzare e vendere dei loro lavoretti per poter contribuire....

L'iniziativa, quella dei bambini di una scuola di Lecco, si chiama "Per Natale, un agnello per Gesù". Già, per Gesù. «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l'avete fatto a me», dice il Signore nel suo Vangelo. In aramaico, la lingua di Maloula.
Ringraziamo di cuore quanti vorranno aderire a questa proposta.
Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria

http://www.siriapax.org/

martedì 9 dicembre 2014

Vers un nouveau Moyen-Orient. La fin des chrétiens ?

Astérix, l’iPhone et la baleine


Colloque de l’AED
Paris, 5 décembre 2014

Excellences, chers Pères, Mesdames et Messieurs, chers amis,
Nous voici réunis pour réfléchir sur ce qui agite l’actualité depuis quelque temps, et en particulier depuis cet été avec la chute de Mossoul, à savoir le Moyen-Orient. Avec l’émergence de l’Etat islamique et toutes les réactions en chaîne qui en découlent, on ne voyait pas très bien en effet comment faire l’impasse sur cette question qui intéresse bien au-delà de la sphère religieuse. En réalité, tout le monde aujourd’hui se sent plus ou moins concerné par ces événements avec le trouble pressentiment que cette violence pourrait, tôt ou tard, nous rattraper.
Mais avant de penser à notre propre sort, il convient de se pencher sur ce que vivent ces populations emportées comme fétus de paille par la tempête du désert qui semble s’être installée durablement sur le Moyen-Orient depuis l’opération du même nom en 1991.
Bien entendu, nous aurons à coeur de veiller particulièrement au sort de nos frères chrétiens dans cette région, d’autant plus qu’ils paient sans doute un prix proportionnellement bien supérieur aux autres la déliquescence de l’état de droit dans la région. Cela ne nous empêche pas toutefois d’également compatir aux souffrances de l’ensemble de la population car tout le monde y est exposé.
Etre chrétien y est de moins en moins une bonne idée mais mieux vaut ne pas être yézidi non plus, ni chiite dans une région sunnite, ni le contraire, ni même sunnite modéré si vous êtes aux mains de sunnites rigoristes. A ce rythme-là, on se demande bien quel avenir la région pourra avoir et les populations concernées avec.

Pour en revenir aux chrétiens, le simple fait, au niveau du sous-titre, de poser la question de leur fin dans ce nouveau Moyen-Orient est déjà en soi un élément de réponse. Cela signifie que l’éventualité de leur disparition aujourd’hui ne relève plus d’une provocation rhétorique ou d’un scénario exagérément alarmiste mais malheureusement d’une probabilité croissante, reflétée par le titre de la quatrième et dernière partie du colloque, « Entre cercueil et valise ».

Mais avant cela, il nous faudra faire un retour en arrière avec le bilan d’un siècle. Dans sa chute, l’empire ottoman a été aussitôt remplacé par un redécoupage franco-britannique. Arrive-t-on à la fin d’un cycle ? A-t-on réellement digéré ce XXème siècle, que ce soit au Moyen-Orient ou chez nous d’ailleurs ? S’est-on vraiment remis de 1914 et de ce gigantesque suicide continental dont nous célébrons le centenaire ?

Or, pour le Custode de Terre Sainte, le père Pizzabella, cette année 2014 est au Proche-Orient ce que la Première guerre mondiale a été pour l’Europe. « Les anciennes règles n’existent plus » dit-il, « mais nous ignorons encore à quoi ressembleront les nouvelles règles ».
Ce sera la première partie de notre journée. Nous verrons ensuite quel jeu les grandes puissances jouent dans la région (si l’on peut parler de jeu au vu des conséquences dramatiques pour les populations locales). Cette analyse globale entre histoire et géopolitique, économie et diplomatie nous occupera toute la matinée. Dans l’après-midi, c’est plutôt la dimension religieuse qui nous intéressera avec le décryptage de la montée djihadiste dans le monde musulman et son impact sur la présence chrétienne dans cette région du monde.
D’ores et déjà, je tiens à remercier chacun de nos intervenants pour avoir accepté notre invitation et pour nous aider à mieux comprendre le Moyen-Orient dont on a dit qu’il était compliqué. Je remercie tout particulièrement Frédéric Pichon qui nous a aidés à affiner et enrichir le programme de cette journée.
***
En préparant cette introduction, trois mots me sont venus à l’esprit : Astérix, l’iPhone et la baleine. Permettez-moi de développer un peu.

Astérix tout d’abord. Lorsque je réfléchis au Moyen-Orient me revient quasi-systématiquement en mémoire l’Odyssée d’Astérix. Dans cet album, le druide Panoramix n’a plus de potion magique et envoie Astérix, Obélix et Idéfix chercher de l’huile de roche (c’est-à-dire du pétrole, dont nous reparlerons) là où l’or noir se trouve déjà à l’époque, au Moyen-Orient.
Il y a une page où Uderzo, le dessinateur, ne s’est pas foulé : le même dessin revient image après image où l’on voit nos gaulois préférés se prendre un déluge de flèches de la part de Mèdes puis d’un groupe d’Akkadiens puis de Hittites, d’Assyriens et autres Sumériens qui se font la guerre. C’est drôle mais ce que l’on en retire, c’est que la guerre dans la région, c’est une habitude, voire une tradition !
Cela n’enlève rien à l’aspect tragique de l’actualité, d’autant que l’on a certainement gravi des degrés dans la violence mais cela permet de prendre du recul : après tout, les problèmes n’y datent pas d’hier. Rassurez-vous néanmoins, les albums d’Astérix ne sont pas mon unique source de recherches.

Concernant l’iPhone, c’est plus précisément à Siri que je pense. Siri est une application informatique qui comprend les instructions verbales données par les utilisateurs et tente de répondre à leurs requêtes. Qualifiée d' « assistant personnel intelligent », l’application équipe les iPhones depuis trois ans. Si vous dites à votre téléphone « que se passe-t-il au Moyen-Orient ? » par exemple, Siri vous répond en vous proposant une dizaine de tweets qui évoquent le Moyen-Orient dans l’actualité.
Quoiqu’il en soit, la proximité sémantique de Siri avec la Syrie m’autorise de faire un parallèle. Si l'application permet de trouver des explications sur la crise au Moyen-Orient, il va de soi que la Syrie est une des explications de cette crise, et sans doute une des plus importantes.

Il y a eu une sorte d’unanimité internationale à détruire la Syrie, sous prétexte que son Président qui, je le rappelle, était tout de même invité au défilé du 14 juillet à Paris il y a encore six ans, n’était pas assez démocratique. Passons sur le fait que s’il fallait faire la guerre à tous les pays du monde qui ne sont pas démocratiques, on n’aurait pas fini de sitôt et que cet argument, hormis en Occident où il est brandi en permanence par la propagande d’Etat, n’est absolument pas pris au sérieux dans le reste du monde, que ce soit au fin fond de la brousse africaine ou dans les rizières asiatiques.
Il va de soi que cette unanimité recouvrait d’autres intérêts. Pour la péninsule arabique, Arabie Saoudite et Qatar, il s’agissait de punir le régime syrien pour s’être opposé à la construction d’un oléoduc traversant la Syrie en vue du marché européen, mais aussi de briser l’arc chiite qui va de l’Iran au Liban et qui passe par l’Irak et la Syrie, les alaouites au pouvoir à Damas étant apparentés au chiisme. Tout cela est bien cohérent.
Pour l’Occident, il s’agissait de faire plaisir à nos amis de la péninsule arabique, ceux que nous venons de nommer, car il nous faut leur vendre des armes et ils détiennent une partie croissante de notre dette, ce qui nous oblige quelque peu…
Or, la perte de contrôle par le régime syrien d’un partie importante du nord-est du pays a permis à la rébellion, lourdement armée et financée, de prospérer. L’Etat islamique, né en Irak pour combattre les américains, y a trouvé refuge, s’y est aguerri, enrichi, renforcé avant de revenir en Irak cet été et de prendre Mossoul, tombée le 10 juin. La question syrienne est donc bien au coeur de ce nouveau Moyen-Orient.

Après Astérix et l’iPhone, troisième mot : la baleine. Il s’agit bien sûr du monstre marin dans lequel séjourna pendant trois jours le prophète Jonas qui cherchait à fuir la mission que Dieu lui avait donnée, à savoir la conversion de Ninive, l’ancienne Mossoul. Rétrospectivement, on peut se demander si sa mission fut réellement une réussite car, comme nous le voyons encore aujourd’hui, cette ville pose problème.
Toujours est-il qu’à l’époque, Jonas finit par arriver à Ninive et dispose de trois jours pour obtenir le repentir de la population dont l’injustice et l’impiété ont précipité le courroux divin. Or, dès le premier jour, tous, à commencer par le roi, se repentent et demandent pardon à Dieu qui retient ainsi le châtiment préparé. Ninive et la baleine, ça va ensemble.
Comment ne pas imaginer les chrétiens du Moyen-Orient comme étant aux prises du monstre marin ? Comme Jonas, ils veulent fuir. Comme Jonas, ils sont ballotés par la tempête. Comme Jonas, ils sont finalement sacrifiés par les autres et jetés par-dessus bord. Que vont-ils devenir ?
Mais Jonas nous apprend aussi que Dieu veille. Après trois jours, qui annoncent les trois jours de l’ensevelissement du Christ, Jonas est libéré. Dieu fait aussi miséricorde puisqu’il suffira d’un jour de repentance pour sauver Ninive. Même s’il semble parfois tarder, car son temps n’est pas le nôtre, on peut imaginer que Dieu ne reste pas indifférent à cette région d’où il a appelé le premier croyant, Abraham, et où il s’est incarné.

Quel est donc son plan pour le Moyen-Orient ? Et comment va-t-il opérer alors que les intérêts et les appétits des différents acteurs locaux et internationaux ne cessent de se contrarier ? Les cartes sont en train d’être redistribuées, la carte du Moyen-Orient remodelée. En route donc pour cette odyssée, à la recherche de clés pour mieux comprendre les enjeux de cette région et imaginer le scénario du futur
.
Bonne journée à tous !
Marc Fromager, directeur de l’AED.

http://www.aed-france.org/actualite/communique-plus-de-400-personnes-autour-de-la-question-du-moyen-orient/

Le sort des chrétiens au Moyen-Orient n'a intéressé personne en Occident, dénonce Marc Fromager

lunedì 8 dicembre 2014

Papa: "Preghiamo per tutte le vittime del fondamentalismo in Medio Oriente..."

Oggi 8 dicembre 2014 papa Francesco chiede a tutti di pregare per i cristiani e gli yazidi profughi in Iraq e per tutte le vittime del fondamentalismo in Medio Oriente...


VIDEO-MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI CRISTIANI DI MOSUL PROFUGHI A ERBIL

Sabato, 6 dicembre 2014

Cari fratelli e sorelle,
vorrei salutare tutti e ciascuno di voi, insieme al Cardinale Philippe Barbarin, che nuovamente vi porta la preoccupazione e l’amore della Chiesa tutta. Anche io, vorrei essere lì, ma poiché non posso viaggiare, lo faccio così… ma vi sono tanto vicino in questi momenti di prova. Ho detto, nel ritorno del mio viaggio in Turchia: i cristiani sono cacciati via dal Medio Oriente, con sofferenza. Vi ringrazio della testimonianza che voi date; c’è tanta sofferenza nella vostra testimonianza. Grazie! Grazie tante!
Sembra che lì non vogliano che ci siano i cristiani, ma voi date testimonianza di Cristo.
Penso alle piaghe, ai dolori delle mamme con i loro bambini, degli anziani e degli sfollati, alle ferite di chi è vittima di ogni tipo di violenza.

Come ho ricordato ad Ankara, particolare preoccupazione desta il fatto che soprattutto a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente - ma non solo - i cristiani e i yazidi, hanno patito, e tutt’ora soffrono, violenze disumane a causa della loro identità etnica religiosa. Cristiani e yazidi sono stati cacciati con la forza dalle loro case, hanno dovuto abbandonare ogni cosa per salvare la propria vita e non rinnegare la fede. La violenza ha colpito anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e i patrimoni culturali, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro.
In qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani!

Io oggi vorrei avvicinarmi a voi che sopportate questa sofferenza, esservi vicino… E penso a santa Teresa del Bambin Gesù, che diceva che lei e la Chiesa si sentiva come una canna: quando viene il vento, la tempesta, la canna si piega, ma non si rompe! Voi siete in questo momento questa canna, voi vi piegate con dolore, ma avete questa forza di portare avanti la vostra fede, che per noi è testimonianza. Voi siete le canne di Dio oggi! Le canne che si abbassano con questo vento feroce, ma poi sorgeranno!



Voglio ringraziare un’altra volta. Prego lo Spirito che fa nuove tutte le cose, di donare a ciascuno di voi forza e resistenza. E’ un dono dello Spirito Santo. 
E insieme chiedo con forza, come già ho fatto in Turchia, una maggiore convergenza internazionale volta a risolvere i conflitti che insanguinano le vostre terre di origine, a contrastare le altre cause che spingono le persone a lasciare la loro patria e a promuovere le condizioni perché possano rimanere o ritornare. Io vi auguro che voi ritorniate, che voi possiate ritornare.

Cari fratelli e sorelle, siete nel mio cuore, nella mia preghiera e nei cuori e nelle preghiere di tutte le comunità cristiane a cui chiederò di pregare, in special modo per voi, il giorno 8 dicembre, pregare la Madonna perché vi custodisca: Lei è madre, che vi custodisca.
Fratelli e sorelle, la vostra resistenza è martirio, rugiada che feconda. Per favore, vi chiedo di pregare per me, che il Signore vi benedica, che la Madonna vi custodisca.

Vi benedica Dio onnipotente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Papa Francesco

sabato 6 dicembre 2014

Padre Daniel: Il ritorno ai monaci del deserto



da Padre Daniel, Mar Yacoub
Venerdì,  28 novembre 2014

Cari Amici,
l’esercito siriano continua a realizzare in modo costante significative vittorie in tutto il paese, ora anche in Raqqa, la pupilla degli occhi dello Stato Islamico estremista (e di Francia, Turchia,...).  La stampa occidentale continua a presentare quest’avanzamento nel modo più negativo  possibile come un attacco contro civili. Tuttavia, appaiono sempre più i messaggi alternativi  che mostrano chiaramente il vero svolgimento della situazione. C’è speranza, ma tutto va lentamente. 
Per ora, la macchina della guerra dei governanti mondiali continua il suo percorso . 
Inoltre, se arriva la pace, ci sarà per tanto tempo una grande povertà e miseria in Siria. Quando sono arrivato qui nel 2010, ho incontrato un paese ricco di risorse energetiche, una vita a basso costo, un popolo gioioso  ed estremamente ospitale e una sicura ed armoniosa società con tanti gruppi confessionali. Ora quasi tutti sono poveri e bisognosi, l’industria e le infrastrutture sono state distrutte in modo sistematico. Qui nella regione, solo uno su dieci giovani lavora, ma.... c’è rimasta una grande volontà di ricostruire insieme il paese in modo unito. 
Per questo noi continuiamo a fare il possibile e siamo molto grati che tanta gente ci aiuti in modo generoso.

Il ritorno ai monaci del deserto
Ci sono ancora molte interruzioni di corrente ( almeno per 3/4 del tempo). Nello stesso giorno, però, abbiamo ricevuto tre batterie per la luce nella chiesa, il refettorio e il 'salone'. Inoltre, abbiamo ottenuto un generatore con il quale possiamo guardare alla domenica e nei giorni festivi i video alla sera. Qui c’è una vera passione per l'antica vita monastica orientale e le antiche liturgie. Abbiamo imparato il 'Padre nostro' in aramaico con una vecchia melodia. Abbiamo visto molti video impressionanti su monasteri e liturgie antiche. Ora ci siamo appassionati guardando il video: "La luce del deserto", sul monastero di San Macario in Wadi El Natrun in  Egitto, che Padre Matta el Maskien ha ripristinato. Matta el Maskien era un farmacista che visse dal 1948 con alcuni seguaci in caverne fino a quando gli è stato chiesto nel 1969 di far rivivere il monastero di San Macario. 
Avendo completamente fiducia  nella divina Provvidenza, padre Matta el Maskien ha ricostruito con i suoi discepoli un maestoso monastero. Quando arrivò c'erano sei vecchi monaci e quando padre Matta el Maskien morì l'8 giugno del 2006, c’erano 130 monaci, tra cui molti farmacisti, medici, veterinari, ingegneri ... C'è una fattoria con migliaia di mucche, un immenso vivaio di datteri, 55.000 polli da 40.000 uova al giorno e una grande stamperia. Oltre alla creazione di lavoro, hanno diversi progetti per aiutare i poveri. La loro vera ricchezza, però, è l’antica vita monastica. I monaci seguono l’antica liturgia copta e hanno un periodo fisso di grande digiuno e digiunano sempre due volte alla settimana. Padre Matta el Maskien è stato una forza spirituale per la liturgia, la preghiera, la spiritualità e per la vita monastica delle origini . Padre Matta  è stato anche il leader spirituale del papa copto Shenouda III . Se vedete questo video, vi dà la voglia di vivere veramente il Vangelo. 

Preghiamo che Dio ci dia lo spirito dei padri del deserto e che i monasteri del deserto di Damasco possano riprendere vita (una volta c'erano diecimila monaci in Siria, ora ci sono soprattutto rovine).                                                                 
Tu preghi con noi per la rinascita della vita monastica in Siria ?



E così abbiamo celebrato giovedì la festa annuale del nostro patrono, San Giacomo. Era di nobile origine ed era il braccio destro del re persiano Yasdagerd I (399-425). Anche se era cristiano, viveva come un pagano come gli altri e apprezzava la vita e i favori alla corte del re finché sua madre e sua moglie lo rimproverarono severamente. Questo ha cambiato la sua vita, e da allora in poi ha comunicato al re di voler vivere da cristiano. Il re si infuriò e lo  sottopose a una morte orribile. Gradualmente l’ha tagliato in 29 pezzi e alla fine lo ha decapitato, mentre pregava per l'unità di tutti i cristiani. 
Soprattutto ora, vediamo San Giacomo come patrono di tutta la Siria, un paese che è stato ferito e anche pesantemente mutilato. 
San Giacomo ha dato la sua vita per l'unità, come fanno adesso ogni giorno molti siriani, dopo essere uccisi  in modo barbaro.

Nonostante la guerra,  la festa di San Giacomo il Mutilato quest'anno era veramente splendida e molto accogliente. La permanenza della sorella francese-italiana Catherine era ormai finita e  ha dovuto lasciarci durante la mattina. Il suo semplice e spontaneo servizio ha fatto bene a tutti.
Il vescovo ha proposto di celebrare l'Eucaristia, per cui ci ha anche visitato un pomeriggio per discutere lo svolgimento. Purtroppo, la sera prima della festa il vescovo ci ha comunicato di non poter venire perché era stato invitato con urgenza dal suo superiore e non poteva rifiutare. 
E così Abouna George e io abbiamo celebrato la messa festiva per San Giacomo il Mutilato. C'erano alcune famiglie provenienti da fuori e alcuni dei nostri profughi, tutti insieme eravamo circa 35. La piccola Fadia giocava tutto il tempo della messa sui tappeti.  Fuori abbiamo fatto una processione con l'icona di San Giacomo. Questa è stata seguita da una vera e proprio festa popolare nell'atrio. Alcune famiglie hanno anche partecipato alla preparazione del banchetto e cosi c’era cibo più che sufficiente per tutti i visitatori. Nessun protocollo, tutto era molto accogliente come una grande famiglia. E i bambini giocavano all'impazzata... 

Con affetto,  padre Daniel

traduzione di A. Wilking



APPELLO DA ALEPPO: 
LIBERATE ALEPPO DAI RIBELLI 'MODERATI' CHE DISTRUGGONO LA CITTADELLA, PATRIMONIO MONDIALE DELLA CIVILTA' !


giovedì 4 dicembre 2014

L'Italia va alla guerra?




COMUNICATO DEL COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA PACE IN SIRIA
Il governo italiano ha deciso di aderire alla coalizione contro l’Isis creata dagli Stati Uniti. Con questo atto, il nostro paese, dopo aver sanzionato pesantemente la Siria (con esiti devastanti sulla popolazione civile) ed aver rotto i rapporti diplomatici, accetta senza problemi di far parte di una coalizione nella quale sono presenti proprio quei paesi che hanno supportato Isis.
La decisione è stata presa quasi in sordina, con scarso rilievo da parte dei media ma meritava maggiore attenzione: si tratta infatti di un atto preso in spregio alla Costituzione italiana, che recita che l’Italia ripudia la guerra, e senza passare per il Parlamento, in spregio ai principi fondanti della democrazia.
Si inizia con alcuni Tornado, partono con un 'asset bellico' limitato, come 'ricognitori': vedremo come andrà a finire, dal momento che la guerra, metteva in guardia Giovanni Paolo II, è 'avventura senza ritorno'.
E' una decisione grave, dal momento che, oltre al vulnus inferto allo Stato di diritto, trascina l’Italia in un’avventura militare dai contorni ambigui, dal momento che il Califfato è nato ed è cresciuto fino a diventare l’attuale mostro che minaccia il mondo nell’ambito di un progetto di rovesciamento del governo siriano, che segue quello analogo avvenuto in Libia, altro Paese divenuto fucina dello jihadismo internazionale. Armi e soldi provenienti dai Paesi del Golfo e dagli Stati Uniti sono affluiti copiosi in questi anni nella regione tra Iraq e Siria, finanziando il reclutamento di quelle milizie mercenarie che stanno portando il terrore nella regione e minacciano il mondo occidentale.
Ancora oggi è impossibile che il Califfato possa reggersi con mezzi propri: se è vero che ha conquistato risorse energetiche irachene e siriane e le vende di contrabbando grazie alla connivenza di alcuni degli Stati che compongono l’attuale coalizione contro l’Is (vedi Turchia e la cosiddetta regione autonoma curda irachena), è pur vero che le guerre costano tanto (ne sanno qualcosa gli Stati Uniti che stanno dissanguando il loro bilancio), ben più di quanto l’Is incassa con il contrabbando del petrolio. L’accusa mossa ai Paesi del Golfo di continuare a sostenere il Califfato in funzione anti-sciita e anti-Iran, nonostante l’adesione alla coalizione internazionale voluta da Obama, rimbalza su tutti i media, si arricchisce di dettagli e informazioni di giorno in giorno, senza che le autorità di questi Paesi siano mai state chiamate a renderne ragione.
Né si capisce, o forse si capisce fin troppo bene, il ribadito sostegno degli Stati Uniti ai cosiddetti ribelli siriani in funzione anti-Assad: a questi continuano ad affluire armi e soldi Usa nonostante sia cosa risaputa la loro convergenza con l’Is e con Al Nusra (altra funesta banda di tagliagole che insanguina la Siria, legata ad al Qaeda e sostenuta anche dalla Turchia), sia sul piano politico che militare.
Si è già provato a risolvere asseriti problemi internazionali a suon di bombe: lo si è fatto in Iraq, per contrastare la fantomatica minaccia delle armi di distruzione di massa di Saddam; lo si è fatto in Libia, per deporre il Colonnello Gheddafi, prima ospite di riguardo delle cancellerie internazionali poi accusato di essere un tiranno sanguinario. Il risultato è stato la nascita dell’attuale follia jihadista.
Questo approccio si sta ripetendo in Siria e Iraq: senza prendere in considerazione i tragici errori del recente passato. In realtà sarebbe facile eliminare le fonti di sostentamento del Califfato: anzitutto contrastando il traffico illegale di petrolio, ma soprattutto eliminando altre munifiche forme di finanziamento che sembra davvero impossibile possano sfuggire a servizi segreti tanto efficienti quali quelli americani e occidentali in genere (e di Israele)..Il fatto che l’Onu non sia stato minimamente coinvolto in questa opera di contrasto del Califfato getta un’ulteriore ombra sulla vicenda e pone domande sui suoi reali obiettivi.
Tante domande, insomma, su questa spedizione militare. E, purtroppo, tante certezze. La nostra voce è poca cosa, ma si unisce (e ci conforta) alle tante, molto più autorevoli, provenienti dai Paesi martoriati dalla follia del Califfato che più volte hanno messo in guardia l’Occidente dal proseguire su questa tragica strada. Nondimeno non possiamo restare in silenzio, né possiamo accettare che il Parlamento italiano, che dovrebbe quantomeno interrogarsi sulla vicenda, abbia più a cuore i disegni geopolitici altrui che le sorti di interi popoli (e quella dei cittadini italiani).
http://www.siriapax.org/?p=2178


4 dicembre, la festa del patrono di Damasco:
Giovanni damasceno, il consigliere del Califfo,
si fece monaco a San Sabba;
 viene considerato il 'San Tommaso d'Oriente' 

martedì 2 dicembre 2014

Avvento in Siria 2 : Lettera accorata dell'arcivescovo di Damasco Samir Nassar

Natale di desolazione :
Messaggio dell'arcivescovo maronita di Damasco in occasione dell'inizio dell'Avvento 


 "I nostri vicini non ci vogliono, non c'è più spazio per noi"



1) LA GLOBALIZZAZIONE DELLA GUERRA:

Questo quarto anno di guerra in Siria offre al mondo una scena caotica. Alle 85 nazionalità già presenti nei combattimenti, si aggiunge una coalizione di 30 paesi che non fanno altro che espandere la violenza e la morte con il "fine" della lotta al terrorismo.


Questa potente macchina da guerra ha scelto il Medio Oriente come luogo per una terza guerra mondiale? "Una guerra non ferma mai una guerra", ha detto Papa Francesco, il 7 settembre, 2013. Le popolazioni colpite sono oggetto di violenza in nome di Dio.

2) Oltre lo STATO ISLAMICO:

Il 10 giugno 2014 (battaglia di Mosul in Iraq) è nato un nuovo conflitto internazionale. Il sentimento religioso islamico ha attraversato i confini della guerra, dei paesi e delle persone, confondendo le battaglie e conflitti.
 Lo 'Stato Islamico' può perdere la guerra, ma per quanto riguarda la scuola islamica di pensiero che innesca la reazione dei musulmani nel mondo?  Come fare a spiegare questa realtà, analizzare i problemi e cercare di comprendere  e interagire con essi? 
Questa  nuova fonte di preoccupazione per le minoranze del Vicino Oriente è una sfida importante per il dialogo interreligioso, e  per la tolleranza tra i popoli e le religioni.
 La politica di "nascondere la testa sotto la sabbia" non risolve nulla in materia di rapporti con l'islam

3) EROI DELLA FEDE:

I cristiani d’Oriente,  una minoranza che  vive in  un pericoloso crocevia, stanno lottando per prendere la strada della testimonianza. L'ascesa del fanatismo, l'insicurezza, la carenza e limitazioni di ogni genere minacciano la loro presenza e riducono la loro speranza.
 Nonostante questo clima di tensione, il piccolo gregge di fedeli esprime una fede incrollabile, coraggiosa e ferma. Un nuovo rapporto con Dio si afferma nella preghiera silenziosa davanti al Santissimo Sacramento. Hanno il rosario in mano e sono radicati nella loro Chiesa, essi rimangono in solidarietà con i poveri e con una lunga litania dei martiri,  seme di cristiani. 
Questi eroi della fede sono la forza della Chiesa e l'orizzonte della speranza.


4) NATALE IN SOLITUDINE:

Le strade che portano in Giordania, Iraq e Turchia sono chiuse a causa dei combattimenti. L'unica via di fuga che era aperta, fino allo scorso mese di ottobre, era la strada per il Libano. Il Libano, un piccolo paese saturo di un milione e mezzo di profughi siriani, ha cominciato a chiudere le frontiere con la Siria, permettendo l’accesso solo ai casi di emergenza.
Così i nostri fedeli di Damasco si sentono isolati, condannati a vivere in pericolo, e a morire nel loro "buco"  tagliati fuori dai loro parenti e amici che già vivono in Libano. Questa solitudine aggiunge all'angoscia  l'amara esperienza del freddo inverno, la triste sensazione dell' abbandono.

Un Natale solitario attraversa la Siria.
I nostri vicini non ci vogliono mentre noi diamo il benvenuto a tutti i profughi del Vicino Oriente. 
I nostri fedeli trascorrono la loro festa di Natale nel freddo gelido del loro "presepe domestico" affidandosi al calore della loro fede sotto lo sguardo tenero della Sacra Famiglia.

Natale 2014  + Samir Nassar
Arcivescovo maronita di Damasco

lunedì 1 dicembre 2014

Turchia, rifugio inospitale per i cristiani residenti e rifugiati provenienti dall'Iraq e dalla Siria.

vita da profughi a Istambul
  Zenit.org,  Roma, 28 novembre 2014 - 
Sébastien de Courtois, Aiuto alla Chiesa che soffre

  Dall'inizio della guerra in Iraq nel 2003, e soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Siria nel 2011, la Turchia è diventata il percorso di passaggio o la destinazione,  per centinaia di migliaia di profughi. Molti Cristiani di Iraq e Siria, e molti giovani, persone single, disposte a correre grossi rischi. Ai primi di novembre, una nave che trasportava immigrati clandestini provenienti dalla Turchia alla Bulgaria è affondata poco dopo l'ingresso nel Bosforo, nel suo  cammino verso la Bulgaria.
  La maggior parte dei rifugiati finisce in Istanbul, l’enorme  metropoli in grado di ospitare molte persone.
"E 'difficile sapere esattamente quanti cristiani ci sono, dal momento che né l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) nè le stesse Chiese  tengono alcune conteggio delle persone secondo l'appartenenza religiosa. Diamo il benvenuto a tutti coloro che sono nel bisogno e vengono da noi ", racconta  monsignor François Yakan, vicario patriarcale per i Caldei in Turchia, ad  “Aiuto  alla Chiesa che Soffre”.

 Molti rifugiati sognano di iniziare una nuova vita in Europa o in America. Ma ciò può richiedere molto tempo. Nel frattempo, in Turchia per i profughi non esiste il diritto ufficiale di lavorare.
"A volte bisogna aspettare anni, e questo è terribile per le famiglie che sono state divise e disperse in varie parti del mondo. Non posso trovare la soluzione a tutte le situazioni ", dice il vescovo, che lavora a stretto contatto con le Nazioni Unite, il governo turco e con  le organizzazioni umanitarie internazionali e locali.

 I principali paesi che offrono i visti sono USA, Canada e Australia. L'Europa ha chiuso i battenti, se non in circostanze del tutto eccezionali, come è successo questa estate (2014) quando la Francia e la Germania hanno aperto le loro  frontiere ai cristiani e yazidi espulsi da ISIS da Mosul e da altre città della piana di Ninive.

 Amer Bahnan è arrivato da Mosul con la sua famiglia. E’  qui da 18 mesi. "La vita era diventata impossibile per la mia famiglia in Iraq. Sono andato prima in Siria, poi in Libano e  infine sono venuto in Turchia ".  Amer aveva subito quattro operazioni  al cuore.

"Abbiamo vissuto per le strade dal 2008 ... Non sappiamo dove andare. In Iraq siamo stati privati di tutto, derubati; non abbiamo più  casa; né denaro, nè dignità,  niente. "

La maggior parte dei rifugiati vive in periferia, appena fuori la città, stipati in blocchi di appartamenti in affitto, che condividono tra diverse famiglie, spesso in condizioni antiigieniche. Una donna racconta la sua storia: "Sono vedova e ho cinque figli. 16 mesi fa siamo partiti da Duhok. L'ambasciata americana ha appena respinto la mia domanda.". Adesso vuole provare ad andare in Canada, dove  già vivono altri suoi fratelli. Nessuno della sua famiglia è rimasto in Iraq.

  I residenti Cristiani non sono in migliori condizioni
chiesa di Urfa
 Si ritiene che siano solo 100.000 i cristiani che vivono in permanenza in Turchia, una piccolissima frazione del totale di 75 milioni di abitanti del paese, che per la stragrande maggioranza sono musulmani sunniti. La percentuale della popolazione cristiana era molto più alta, ma la quantità è caduta durante il genocidio armeno e l’ omicidio di massa dei cristiani siriaci ortodossi tra il 1895 e il 1915, quando milioni di fedeli perirono. Ancora oggi, ci sono migliaia di chiese e monasteri sparsi in tutto il paese, molti dei quali in rovina e abbandonati.

 Oggi i cristiani in Turchia sono considerati 'stranieri' nel proprio paese, anche se c'è libertà di culto. Negli ultimi anni sono stati uccisi diversi sacerdoti cattolici e protestanti. Hrant Dink, giornalista turco di origine armena, ha subito la stessa sorte. Difensore del riconoscimento del genocidio armeno, e attivista per i diritti delle minoranze in Turchia,  è stato assassinato nel 2007. Una parte importante dell'opinione pubblica in Turchia sta ancora considerando i cristiani col sospetto di voler destabilizzare il paese.

 E’ in questo contesto che  Papa Francesco compie la sua visita pastorale in questo paese, dal 28 al 30 novembre. Certamente uno dei suoi obiettivi sarà quello di attirare l'attenzione sul passato cristiano turco, come testimoniano le città di Efeso e  Antiochia, che hanno  giocato un ruolo chiave nella vita e nella missione di S. Paolo. Inoltre il Pontefice rafforzerà ulteriormente le relazioni con il mondo ortodosso con l’ incontro con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo.
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  Sébastien de Courtois scrive per Aiuto alla Chiesa che Soffre Fondazione della Santa Sede che fornisce assistenza ai sofferenti e perseguitati della Chiesa in oltre 140 paesi.

http://www.zenit.org/en/articles/turkey-is-not-a-welcoming-home-for-christians-neither-residents-nor-refugees

http://www.aed-france.org/actualite/turquie-etre-un-refugies-chretiens-dirak-a-istanbul/

Francesco incontra i profughi: condizioni intollerabili, basta guerre


Istanbul, l'opera dei Salesiani per i rifugiati


sabato 29 novembre 2014

Mons. Audo sollecita Papa Francesco a sollevare la questione della fornitura di armi in Turchia


By Sarah MacDonald
Catholic News Service

  Il presidente della Caritas-Siria ha lanciato un appello a Papa Francesco perchè usi il suo  viaggio  del 28-30 novembre in Turchia per sollevare la questione della fornitura continua di armi che sono inviate attraverso il confine turco alle fazioni ribelli nel nord della Siria .

  Parlando al Catholic News Service a Dublino a fine novembre, il vescovo caldeo cattolico Antoine Audo di Aleppo ha avvertito che non ci potrebbe mai essere  una soluzione al conflitto siriano con la forza militare, come quasi quattro anni di violenza hanno dimostrato.

Si stima che quasi 200.000 persone  sono morte finora nel conflitto siriano. Secondo l'agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite , UNHCR, 9,3 milioni di persone in Siria hanno bisogno di assistenza. Ci sono 6,5 milioni di sfollati interni siriani e altri 2,5 milioni di rifugiati siriani nei paesi confinanti.

  "Aiutateci a realizzare la pace in Siria. Tutti stanno perdendo in questa guerra, ma tutti vinceranno con la pace e la riconciliazione. Aiutateci a trovare di nuovo la bellezza della convivenza",  ha supplicato il vescovo.

  Il sessantottenne presule è nato e continua a vivere in Aleppo, che si trova a soli 25 chilometri dal confine con la Turchia.

  Il vescovo, come molti in Siria, ritiene che gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l'Arabia Saudita, Turchia e Iran devono smettere di vendere armi alle varie fazioni coinvolte nel conflitto.

  Ha avvertito che la mancata promozione della pace e della riconciliazione potrebbe far sì che il conflitto giunga alle porte dei paesi occidentali.

Aleppo era un tempo una metropoli fiorente e uno dei centri più religiosamente variegati della regione. Tuttavia, gli estesi bombardamenti e i combattimenti brutali strada per strada tra i vari gruppi ribelli e le forze governative di Assad l'hanno ridotta a una parvenza di se stessa.

  "Con la guerra abbiamo perso tutto. La morte è diventata una cosa normale. Non vi è alcun valore della vita umana", spiega il Vescovo Audo . La città ha visto più di 3.000 morti da questo gennaio.

  "La povertà è ovunque, non c'è elettricità, non c'è acqua e nessun lavoro. Anche la classe media è povera, ad Aleppo. Medici e ingegneri vengono da me per chiedere un sacchetto di cibo. Ora anche vedere una mela è qualcosa di molto speciale," continua il Vescovo Audo .

 La popolazione cristiana di Aleppo prima del conflitto era di 150.000 suddivisa in 11 comunità.

  "Eravamo sei vescovi Cattolici, tre vescovi Ortodossi, e due denominazioni Protestanti -. Arabe e Armene. Avevamo tutti le nostre aree, ma ora tutto questo è distrutto. Più della metà della popolazione cristiana ha lasciato Aleppo..."

  "E' particolarmente triste per noi vedere i giovani che lasciano la Siria e vanno in Europa, Stati Uniti, Canada e Australia. Non possono rimanere con l'insicurezza, con la crisi economica e la mancanza di lavoro. Ognuno è diventato povero. Se non abbiamo la pace tutti i cristiani lasceranno il paese. Questa è la sfida ", ha avvertito.

Alla domanda se le radici del conflitto sono religiose, il Vescovo Audo ha risposto a CNS, "un sacco di terroristi stanno usando il nome della religione". Ha citato l'influenza dell'Arabia Saudita e dei petrodollari sunniti da un lato, e degli sciiti iraniani dall'altro, che si contendono la leadership del mondo arabo e musulmano.

  "Quindi ciò è religioso se si vuole chiamarlo religioso ... ma di un tipo religioso che è ideologico e politico.  Nell'Islam è tutto mescolato insieme, non fanno distinzione tra religione e politica come  nelle società secolari d'Europa.  Abbiamo questo stesso problema all'interno della Siria ", ha spiegato.

  Ha aggiunto che l'80 per cento del popolo siriano è sunnita, e molti degli elementi più estremisti hanno cercato assistenza dall' Arabia Saudita e dalla Turchia nel loro obiettivo di costituire uno Stato islamico retto con la legge della Sharia.

  Il vescovo ha detto che lo Stato Islamico mira a diffondere la violenza e la paura e terrorizzare la gente, ma ha aggiunto, "Non hanno alcun futuro come uno Stato islamico".

Il  Vescovo Audo ha detto che vede i cristiani come mediatori tra l'Occidente laico e il mondo islamico.
"Sono convinto che il Cristianesimo Orientale ha un grande ruolo da svolgere in Siria e in Medio Oriente, perché è in grado di dialogare con il mondo islamico, perché noi abbiamo un credo".
L'esodo permanente dei cristiani è dannoso non solo per il cristianesimo stesso, ma per quelle società in Medio Oriente che attualmente tendono a non distinguere tra politica e religione".

 Il Vescovo Audo ha affermato che egli crede che il cristianesimo ha un ruolo da svolgere nel fornire una comprensione più sfumata di cittadinanza e una maggiore accettazione delle differenze politiche e religiose.

  Esprimendo la sua preoccupazione per il Metropolita siro-ortodosso Gregorios Yohanna di Aleppo e il Metropolita greco ortodosso Paul Yazigi di Aleppo, che sono stati rapiti nell' aprile 2013 nel nord della Siria, ha detto, "Spero che non siano morti, ma la nostra situazione è così complicata all'interno della Siria - - Temo molto per loro ".

  Per ora, il Vescovo Audo ha detto che progetta di rimanere in Aleppo.
... "Aleppo è la mia città dove sono nato, dove sono cresciuto e ho studiato. Tutta la mia famiglia è di Aleppo. Più volte mi è stato chiesto quando me ne andrò da Aleppo, ma non voglio lasciare Aleppo - è il mio paese. Qui vivo e qui morirò con la mia gente ", ha detto.

http://www.catholicnews.com/data/stories/cns/1404958.htm

Francesco chiama la Turchia a collaborare per la pace


 

Nel suo discorso alle autorità politiche, il Papa auspica che da Ankara possa partire un cammino virtuoso per invertire la conflittualità che coinvolge tutto il Medio Oriente


Papa Francesco in Turchia: “Bandire ogni fondamentalismo e terrorismo”

Francesco ha rivolto il suo sguardo anche ai “gravi conflitti” che persistono in particolare in Siria e Iraq dove “la violenza terroristica non accenna a placarsi. Si registra la violazione delle più elementari leggi umanitarie nei confronti dei prigionieri e di interi gruppi etnici; si sono verificate e ancora avvengono gravi persecuzioni ai danni di gruppi minoritari, specialmente, ma non solo, i cristiani e gli yazidi: centinaia di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e la loro patria per poter salvare la propria vita e rimanere fedeli al proprio credo”.