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sabato 6 dicembre 2014

Padre Daniel: Il ritorno ai monaci del deserto



da Padre Daniel, Mar Yacoub
Venerdì,  28 novembre 2014

Cari Amici,
l’esercito siriano continua a realizzare in modo costante significative vittorie in tutto il paese, ora anche in Raqqa, la pupilla degli occhi dello Stato Islamico estremista (e di Francia, Turchia,...).  La stampa occidentale continua a presentare quest’avanzamento nel modo più negativo  possibile come un attacco contro civili. Tuttavia, appaiono sempre più i messaggi alternativi  che mostrano chiaramente il vero svolgimento della situazione. C’è speranza, ma tutto va lentamente. 
Per ora, la macchina della guerra dei governanti mondiali continua il suo percorso . 
Inoltre, se arriva la pace, ci sarà per tanto tempo una grande povertà e miseria in Siria. Quando sono arrivato qui nel 2010, ho incontrato un paese ricco di risorse energetiche, una vita a basso costo, un popolo gioioso  ed estremamente ospitale e una sicura ed armoniosa società con tanti gruppi confessionali. Ora quasi tutti sono poveri e bisognosi, l’industria e le infrastrutture sono state distrutte in modo sistematico. Qui nella regione, solo uno su dieci giovani lavora, ma.... c’è rimasta una grande volontà di ricostruire insieme il paese in modo unito. 
Per questo noi continuiamo a fare il possibile e siamo molto grati che tanta gente ci aiuti in modo generoso.

Il ritorno ai monaci del deserto
Ci sono ancora molte interruzioni di corrente ( almeno per 3/4 del tempo). Nello stesso giorno, però, abbiamo ricevuto tre batterie per la luce nella chiesa, il refettorio e il 'salone'. Inoltre, abbiamo ottenuto un generatore con il quale possiamo guardare alla domenica e nei giorni festivi i video alla sera. Qui c’è una vera passione per l'antica vita monastica orientale e le antiche liturgie. Abbiamo imparato il 'Padre nostro' in aramaico con una vecchia melodia. Abbiamo visto molti video impressionanti su monasteri e liturgie antiche. Ora ci siamo appassionati guardando il video: "La luce del deserto", sul monastero di San Macario in Wadi El Natrun in  Egitto, che Padre Matta el Maskien ha ripristinato. Matta el Maskien era un farmacista che visse dal 1948 con alcuni seguaci in caverne fino a quando gli è stato chiesto nel 1969 di far rivivere il monastero di San Macario. 
Avendo completamente fiducia  nella divina Provvidenza, padre Matta el Maskien ha ricostruito con i suoi discepoli un maestoso monastero. Quando arrivò c'erano sei vecchi monaci e quando padre Matta el Maskien morì l'8 giugno del 2006, c’erano 130 monaci, tra cui molti farmacisti, medici, veterinari, ingegneri ... C'è una fattoria con migliaia di mucche, un immenso vivaio di datteri, 55.000 polli da 40.000 uova al giorno e una grande stamperia. Oltre alla creazione di lavoro, hanno diversi progetti per aiutare i poveri. La loro vera ricchezza, però, è l’antica vita monastica. I monaci seguono l’antica liturgia copta e hanno un periodo fisso di grande digiuno e digiunano sempre due volte alla settimana. Padre Matta el Maskien è stato una forza spirituale per la liturgia, la preghiera, la spiritualità e per la vita monastica delle origini . Padre Matta  è stato anche il leader spirituale del papa copto Shenouda III . Se vedete questo video, vi dà la voglia di vivere veramente il Vangelo. 

Preghiamo che Dio ci dia lo spirito dei padri del deserto e che i monasteri del deserto di Damasco possano riprendere vita (una volta c'erano diecimila monaci in Siria, ora ci sono soprattutto rovine).                                                                 
Tu preghi con noi per la rinascita della vita monastica in Siria ?



E così abbiamo celebrato giovedì la festa annuale del nostro patrono, San Giacomo. Era di nobile origine ed era il braccio destro del re persiano Yasdagerd I (399-425). Anche se era cristiano, viveva come un pagano come gli altri e apprezzava la vita e i favori alla corte del re finché sua madre e sua moglie lo rimproverarono severamente. Questo ha cambiato la sua vita, e da allora in poi ha comunicato al re di voler vivere da cristiano. Il re si infuriò e lo  sottopose a una morte orribile. Gradualmente l’ha tagliato in 29 pezzi e alla fine lo ha decapitato, mentre pregava per l'unità di tutti i cristiani. 
Soprattutto ora, vediamo San Giacomo come patrono di tutta la Siria, un paese che è stato ferito e anche pesantemente mutilato. 
San Giacomo ha dato la sua vita per l'unità, come fanno adesso ogni giorno molti siriani, dopo essere uccisi  in modo barbaro.

Nonostante la guerra,  la festa di San Giacomo il Mutilato quest'anno era veramente splendida e molto accogliente. La permanenza della sorella francese-italiana Catherine era ormai finita e  ha dovuto lasciarci durante la mattina. Il suo semplice e spontaneo servizio ha fatto bene a tutti.
Il vescovo ha proposto di celebrare l'Eucaristia, per cui ci ha anche visitato un pomeriggio per discutere lo svolgimento. Purtroppo, la sera prima della festa il vescovo ci ha comunicato di non poter venire perché era stato invitato con urgenza dal suo superiore e non poteva rifiutare. 
E così Abouna George e io abbiamo celebrato la messa festiva per San Giacomo il Mutilato. C'erano alcune famiglie provenienti da fuori e alcuni dei nostri profughi, tutti insieme eravamo circa 35. La piccola Fadia giocava tutto il tempo della messa sui tappeti.  Fuori abbiamo fatto una processione con l'icona di San Giacomo. Questa è stata seguita da una vera e proprio festa popolare nell'atrio. Alcune famiglie hanno anche partecipato alla preparazione del banchetto e cosi c’era cibo più che sufficiente per tutti i visitatori. Nessun protocollo, tutto era molto accogliente come una grande famiglia. E i bambini giocavano all'impazzata... 

Con affetto,  padre Daniel

traduzione di A. Wilking



APPELLO DA ALEPPO: 
LIBERATE ALEPPO DAI RIBELLI 'MODERATI' CHE DISTRUGGONO LA CITTADELLA, PATRIMONIO MONDIALE DELLA CIVILTA' !


giovedì 4 dicembre 2014

L'Italia va alla guerra?




COMUNICATO DEL COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA PACE IN SIRIA
Il governo italiano ha deciso di aderire alla coalizione contro l’Isis creata dagli Stati Uniti. Con questo atto, il nostro paese, dopo aver sanzionato pesantemente la Siria (con esiti devastanti sulla popolazione civile) ed aver rotto i rapporti diplomatici, accetta senza problemi di far parte di una coalizione nella quale sono presenti proprio quei paesi che hanno supportato Isis.
La decisione è stata presa quasi in sordina, con scarso rilievo da parte dei media ma meritava maggiore attenzione: si tratta infatti di un atto preso in spregio alla Costituzione italiana, che recita che l’Italia ripudia la guerra, e senza passare per il Parlamento, in spregio ai principi fondanti della democrazia.
Si inizia con alcuni Tornado, partono con un 'asset bellico' limitato, come 'ricognitori': vedremo come andrà a finire, dal momento che la guerra, metteva in guardia Giovanni Paolo II, è 'avventura senza ritorno'.
E' una decisione grave, dal momento che, oltre al vulnus inferto allo Stato di diritto, trascina l’Italia in un’avventura militare dai contorni ambigui, dal momento che il Califfato è nato ed è cresciuto fino a diventare l’attuale mostro che minaccia il mondo nell’ambito di un progetto di rovesciamento del governo siriano, che segue quello analogo avvenuto in Libia, altro Paese divenuto fucina dello jihadismo internazionale. Armi e soldi provenienti dai Paesi del Golfo e dagli Stati Uniti sono affluiti copiosi in questi anni nella regione tra Iraq e Siria, finanziando il reclutamento di quelle milizie mercenarie che stanno portando il terrore nella regione e minacciano il mondo occidentale.
Ancora oggi è impossibile che il Califfato possa reggersi con mezzi propri: se è vero che ha conquistato risorse energetiche irachene e siriane e le vende di contrabbando grazie alla connivenza di alcuni degli Stati che compongono l’attuale coalizione contro l’Is (vedi Turchia e la cosiddetta regione autonoma curda irachena), è pur vero che le guerre costano tanto (ne sanno qualcosa gli Stati Uniti che stanno dissanguando il loro bilancio), ben più di quanto l’Is incassa con il contrabbando del petrolio. L’accusa mossa ai Paesi del Golfo di continuare a sostenere il Califfato in funzione anti-sciita e anti-Iran, nonostante l’adesione alla coalizione internazionale voluta da Obama, rimbalza su tutti i media, si arricchisce di dettagli e informazioni di giorno in giorno, senza che le autorità di questi Paesi siano mai state chiamate a renderne ragione.
Né si capisce, o forse si capisce fin troppo bene, il ribadito sostegno degli Stati Uniti ai cosiddetti ribelli siriani in funzione anti-Assad: a questi continuano ad affluire armi e soldi Usa nonostante sia cosa risaputa la loro convergenza con l’Is e con Al Nusra (altra funesta banda di tagliagole che insanguina la Siria, legata ad al Qaeda e sostenuta anche dalla Turchia), sia sul piano politico che militare.
Si è già provato a risolvere asseriti problemi internazionali a suon di bombe: lo si è fatto in Iraq, per contrastare la fantomatica minaccia delle armi di distruzione di massa di Saddam; lo si è fatto in Libia, per deporre il Colonnello Gheddafi, prima ospite di riguardo delle cancellerie internazionali poi accusato di essere un tiranno sanguinario. Il risultato è stato la nascita dell’attuale follia jihadista.
Questo approccio si sta ripetendo in Siria e Iraq: senza prendere in considerazione i tragici errori del recente passato. In realtà sarebbe facile eliminare le fonti di sostentamento del Califfato: anzitutto contrastando il traffico illegale di petrolio, ma soprattutto eliminando altre munifiche forme di finanziamento che sembra davvero impossibile possano sfuggire a servizi segreti tanto efficienti quali quelli americani e occidentali in genere (e di Israele)..Il fatto che l’Onu non sia stato minimamente coinvolto in questa opera di contrasto del Califfato getta un’ulteriore ombra sulla vicenda e pone domande sui suoi reali obiettivi.
Tante domande, insomma, su questa spedizione militare. E, purtroppo, tante certezze. La nostra voce è poca cosa, ma si unisce (e ci conforta) alle tante, molto più autorevoli, provenienti dai Paesi martoriati dalla follia del Califfato che più volte hanno messo in guardia l’Occidente dal proseguire su questa tragica strada. Nondimeno non possiamo restare in silenzio, né possiamo accettare che il Parlamento italiano, che dovrebbe quantomeno interrogarsi sulla vicenda, abbia più a cuore i disegni geopolitici altrui che le sorti di interi popoli (e quella dei cittadini italiani).
http://www.siriapax.org/?p=2178


4 dicembre, la festa del patrono di Damasco:
Giovanni damasceno, il consigliere del Califfo,
si fece monaco a San Sabba;
 viene considerato il 'San Tommaso d'Oriente' 

martedì 2 dicembre 2014

Avvento in Siria 2 : Lettera accorata dell'arcivescovo di Damasco Samir Nassar

Natale di desolazione :
Messaggio dell'arcivescovo maronita di Damasco in occasione dell'inizio dell'Avvento 


 "I nostri vicini non ci vogliono, non c'è più spazio per noi"



1) LA GLOBALIZZAZIONE DELLA GUERRA:

Questo quarto anno di guerra in Siria offre al mondo una scena caotica. Alle 85 nazionalità già presenti nei combattimenti, si aggiunge una coalizione di 30 paesi che non fanno altro che espandere la violenza e la morte con il "fine" della lotta al terrorismo.


Questa potente macchina da guerra ha scelto il Medio Oriente come luogo per una terza guerra mondiale? "Una guerra non ferma mai una guerra", ha detto Papa Francesco, il 7 settembre, 2013. Le popolazioni colpite sono oggetto di violenza in nome di Dio.

2) Oltre lo STATO ISLAMICO:

Il 10 giugno 2014 (battaglia di Mosul in Iraq) è nato un nuovo conflitto internazionale. Il sentimento religioso islamico ha attraversato i confini della guerra, dei paesi e delle persone, confondendo le battaglie e conflitti.
 Lo 'Stato Islamico' può perdere la guerra, ma per quanto riguarda la scuola islamica di pensiero che innesca la reazione dei musulmani nel mondo?  Come fare a spiegare questa realtà, analizzare i problemi e cercare di comprendere  e interagire con essi? 
Questa  nuova fonte di preoccupazione per le minoranze del Vicino Oriente è una sfida importante per il dialogo interreligioso, e  per la tolleranza tra i popoli e le religioni.
 La politica di "nascondere la testa sotto la sabbia" non risolve nulla in materia di rapporti con l'islam

3) EROI DELLA FEDE:

I cristiani d’Oriente,  una minoranza che  vive in  un pericoloso crocevia, stanno lottando per prendere la strada della testimonianza. L'ascesa del fanatismo, l'insicurezza, la carenza e limitazioni di ogni genere minacciano la loro presenza e riducono la loro speranza.
 Nonostante questo clima di tensione, il piccolo gregge di fedeli esprime una fede incrollabile, coraggiosa e ferma. Un nuovo rapporto con Dio si afferma nella preghiera silenziosa davanti al Santissimo Sacramento. Hanno il rosario in mano e sono radicati nella loro Chiesa, essi rimangono in solidarietà con i poveri e con una lunga litania dei martiri,  seme di cristiani. 
Questi eroi della fede sono la forza della Chiesa e l'orizzonte della speranza.


4) NATALE IN SOLITUDINE:

Le strade che portano in Giordania, Iraq e Turchia sono chiuse a causa dei combattimenti. L'unica via di fuga che era aperta, fino allo scorso mese di ottobre, era la strada per il Libano. Il Libano, un piccolo paese saturo di un milione e mezzo di profughi siriani, ha cominciato a chiudere le frontiere con la Siria, permettendo l’accesso solo ai casi di emergenza.
Così i nostri fedeli di Damasco si sentono isolati, condannati a vivere in pericolo, e a morire nel loro "buco"  tagliati fuori dai loro parenti e amici che già vivono in Libano. Questa solitudine aggiunge all'angoscia  l'amara esperienza del freddo inverno, la triste sensazione dell' abbandono.

Un Natale solitario attraversa la Siria.
I nostri vicini non ci vogliono mentre noi diamo il benvenuto a tutti i profughi del Vicino Oriente. 
I nostri fedeli trascorrono la loro festa di Natale nel freddo gelido del loro "presepe domestico" affidandosi al calore della loro fede sotto lo sguardo tenero della Sacra Famiglia.

Natale 2014  + Samir Nassar
Arcivescovo maronita di Damasco

lunedì 1 dicembre 2014

Turchia, rifugio inospitale per i cristiani residenti e rifugiati provenienti dall'Iraq e dalla Siria.

vita da profughi a Istambul
  Zenit.org,  Roma, 28 novembre 2014 - 
Sébastien de Courtois, Aiuto alla Chiesa che soffre

  Dall'inizio della guerra in Iraq nel 2003, e soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Siria nel 2011, la Turchia è diventata il percorso di passaggio o la destinazione,  per centinaia di migliaia di profughi. Molti Cristiani di Iraq e Siria, e molti giovani, persone single, disposte a correre grossi rischi. Ai primi di novembre, una nave che trasportava immigrati clandestini provenienti dalla Turchia alla Bulgaria è affondata poco dopo l'ingresso nel Bosforo, nel suo  cammino verso la Bulgaria.
  La maggior parte dei rifugiati finisce in Istanbul, l’enorme  metropoli in grado di ospitare molte persone.
"E 'difficile sapere esattamente quanti cristiani ci sono, dal momento che né l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) nè le stesse Chiese  tengono alcune conteggio delle persone secondo l'appartenenza religiosa. Diamo il benvenuto a tutti coloro che sono nel bisogno e vengono da noi ", racconta  monsignor François Yakan, vicario patriarcale per i Caldei in Turchia, ad  “Aiuto  alla Chiesa che Soffre”.

 Molti rifugiati sognano di iniziare una nuova vita in Europa o in America. Ma ciò può richiedere molto tempo. Nel frattempo, in Turchia per i profughi non esiste il diritto ufficiale di lavorare.
"A volte bisogna aspettare anni, e questo è terribile per le famiglie che sono state divise e disperse in varie parti del mondo. Non posso trovare la soluzione a tutte le situazioni ", dice il vescovo, che lavora a stretto contatto con le Nazioni Unite, il governo turco e con  le organizzazioni umanitarie internazionali e locali.

 I principali paesi che offrono i visti sono USA, Canada e Australia. L'Europa ha chiuso i battenti, se non in circostanze del tutto eccezionali, come è successo questa estate (2014) quando la Francia e la Germania hanno aperto le loro  frontiere ai cristiani e yazidi espulsi da ISIS da Mosul e da altre città della piana di Ninive.

 Amer Bahnan è arrivato da Mosul con la sua famiglia. E’  qui da 18 mesi. "La vita era diventata impossibile per la mia famiglia in Iraq. Sono andato prima in Siria, poi in Libano e  infine sono venuto in Turchia ".  Amer aveva subito quattro operazioni  al cuore.

"Abbiamo vissuto per le strade dal 2008 ... Non sappiamo dove andare. In Iraq siamo stati privati di tutto, derubati; non abbiamo più  casa; né denaro, nè dignità,  niente. "

La maggior parte dei rifugiati vive in periferia, appena fuori la città, stipati in blocchi di appartamenti in affitto, che condividono tra diverse famiglie, spesso in condizioni antiigieniche. Una donna racconta la sua storia: "Sono vedova e ho cinque figli. 16 mesi fa siamo partiti da Duhok. L'ambasciata americana ha appena respinto la mia domanda.". Adesso vuole provare ad andare in Canada, dove  già vivono altri suoi fratelli. Nessuno della sua famiglia è rimasto in Iraq.

  I residenti Cristiani non sono in migliori condizioni
chiesa di Urfa
 Si ritiene che siano solo 100.000 i cristiani che vivono in permanenza in Turchia, una piccolissima frazione del totale di 75 milioni di abitanti del paese, che per la stragrande maggioranza sono musulmani sunniti. La percentuale della popolazione cristiana era molto più alta, ma la quantità è caduta durante il genocidio armeno e l’ omicidio di massa dei cristiani siriaci ortodossi tra il 1895 e il 1915, quando milioni di fedeli perirono. Ancora oggi, ci sono migliaia di chiese e monasteri sparsi in tutto il paese, molti dei quali in rovina e abbandonati.

 Oggi i cristiani in Turchia sono considerati 'stranieri' nel proprio paese, anche se c'è libertà di culto. Negli ultimi anni sono stati uccisi diversi sacerdoti cattolici e protestanti. Hrant Dink, giornalista turco di origine armena, ha subito la stessa sorte. Difensore del riconoscimento del genocidio armeno, e attivista per i diritti delle minoranze in Turchia,  è stato assassinato nel 2007. Una parte importante dell'opinione pubblica in Turchia sta ancora considerando i cristiani col sospetto di voler destabilizzare il paese.

 E’ in questo contesto che  Papa Francesco compie la sua visita pastorale in questo paese, dal 28 al 30 novembre. Certamente uno dei suoi obiettivi sarà quello di attirare l'attenzione sul passato cristiano turco, come testimoniano le città di Efeso e  Antiochia, che hanno  giocato un ruolo chiave nella vita e nella missione di S. Paolo. Inoltre il Pontefice rafforzerà ulteriormente le relazioni con il mondo ortodosso con l’ incontro con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo.
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  Sébastien de Courtois scrive per Aiuto alla Chiesa che Soffre Fondazione della Santa Sede che fornisce assistenza ai sofferenti e perseguitati della Chiesa in oltre 140 paesi.

http://www.zenit.org/en/articles/turkey-is-not-a-welcoming-home-for-christians-neither-residents-nor-refugees

http://www.aed-france.org/actualite/turquie-etre-un-refugies-chretiens-dirak-a-istanbul/

Francesco incontra i profughi: condizioni intollerabili, basta guerre


Istanbul, l'opera dei Salesiani per i rifugiati


sabato 29 novembre 2014

Mons. Audo sollecita Papa Francesco a sollevare la questione della fornitura di armi in Turchia


By Sarah MacDonald
Catholic News Service

  Il presidente della Caritas-Siria ha lanciato un appello a Papa Francesco perchè usi il suo  viaggio  del 28-30 novembre in Turchia per sollevare la questione della fornitura continua di armi che sono inviate attraverso il confine turco alle fazioni ribelli nel nord della Siria .

  Parlando al Catholic News Service a Dublino a fine novembre, il vescovo caldeo cattolico Antoine Audo di Aleppo ha avvertito che non ci potrebbe mai essere  una soluzione al conflitto siriano con la forza militare, come quasi quattro anni di violenza hanno dimostrato.

Si stima che quasi 200.000 persone  sono morte finora nel conflitto siriano. Secondo l'agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite , UNHCR, 9,3 milioni di persone in Siria hanno bisogno di assistenza. Ci sono 6,5 milioni di sfollati interni siriani e altri 2,5 milioni di rifugiati siriani nei paesi confinanti.

  "Aiutateci a realizzare la pace in Siria. Tutti stanno perdendo in questa guerra, ma tutti vinceranno con la pace e la riconciliazione. Aiutateci a trovare di nuovo la bellezza della convivenza",  ha supplicato il vescovo.

  Il sessantottenne presule è nato e continua a vivere in Aleppo, che si trova a soli 25 chilometri dal confine con la Turchia.

  Il vescovo, come molti in Siria, ritiene che gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l'Arabia Saudita, Turchia e Iran devono smettere di vendere armi alle varie fazioni coinvolte nel conflitto.

  Ha avvertito che la mancata promozione della pace e della riconciliazione potrebbe far sì che il conflitto giunga alle porte dei paesi occidentali.

Aleppo era un tempo una metropoli fiorente e uno dei centri più religiosamente variegati della regione. Tuttavia, gli estesi bombardamenti e i combattimenti brutali strada per strada tra i vari gruppi ribelli e le forze governative di Assad l'hanno ridotta a una parvenza di se stessa.

  "Con la guerra abbiamo perso tutto. La morte è diventata una cosa normale. Non vi è alcun valore della vita umana", spiega il Vescovo Audo . La città ha visto più di 3.000 morti da questo gennaio.

  "La povertà è ovunque, non c'è elettricità, non c'è acqua e nessun lavoro. Anche la classe media è povera, ad Aleppo. Medici e ingegneri vengono da me per chiedere un sacchetto di cibo. Ora anche vedere una mela è qualcosa di molto speciale," continua il Vescovo Audo .

 La popolazione cristiana di Aleppo prima del conflitto era di 150.000 suddivisa in 11 comunità.

  "Eravamo sei vescovi Cattolici, tre vescovi Ortodossi, e due denominazioni Protestanti -. Arabe e Armene. Avevamo tutti le nostre aree, ma ora tutto questo è distrutto. Più della metà della popolazione cristiana ha lasciato Aleppo..."

  "E' particolarmente triste per noi vedere i giovani che lasciano la Siria e vanno in Europa, Stati Uniti, Canada e Australia. Non possono rimanere con l'insicurezza, con la crisi economica e la mancanza di lavoro. Ognuno è diventato povero. Se non abbiamo la pace tutti i cristiani lasceranno il paese. Questa è la sfida ", ha avvertito.

Alla domanda se le radici del conflitto sono religiose, il Vescovo Audo ha risposto a CNS, "un sacco di terroristi stanno usando il nome della religione". Ha citato l'influenza dell'Arabia Saudita e dei petrodollari sunniti da un lato, e degli sciiti iraniani dall'altro, che si contendono la leadership del mondo arabo e musulmano.

  "Quindi ciò è religioso se si vuole chiamarlo religioso ... ma di un tipo religioso che è ideologico e politico.  Nell'Islam è tutto mescolato insieme, non fanno distinzione tra religione e politica come  nelle società secolari d'Europa.  Abbiamo questo stesso problema all'interno della Siria ", ha spiegato.

  Ha aggiunto che l'80 per cento del popolo siriano è sunnita, e molti degli elementi più estremisti hanno cercato assistenza dall' Arabia Saudita e dalla Turchia nel loro obiettivo di costituire uno Stato islamico retto con la legge della Sharia.

  Il vescovo ha detto che lo Stato Islamico mira a diffondere la violenza e la paura e terrorizzare la gente, ma ha aggiunto, "Non hanno alcun futuro come uno Stato islamico".

Il  Vescovo Audo ha detto che vede i cristiani come mediatori tra l'Occidente laico e il mondo islamico.
"Sono convinto che il Cristianesimo Orientale ha un grande ruolo da svolgere in Siria e in Medio Oriente, perché è in grado di dialogare con il mondo islamico, perché noi abbiamo un credo".
L'esodo permanente dei cristiani è dannoso non solo per il cristianesimo stesso, ma per quelle società in Medio Oriente che attualmente tendono a non distinguere tra politica e religione".

 Il Vescovo Audo ha affermato che egli crede che il cristianesimo ha un ruolo da svolgere nel fornire una comprensione più sfumata di cittadinanza e una maggiore accettazione delle differenze politiche e religiose.

  Esprimendo la sua preoccupazione per il Metropolita siro-ortodosso Gregorios Yohanna di Aleppo e il Metropolita greco ortodosso Paul Yazigi di Aleppo, che sono stati rapiti nell' aprile 2013 nel nord della Siria, ha detto, "Spero che non siano morti, ma la nostra situazione è così complicata all'interno della Siria - - Temo molto per loro ".

  Per ora, il Vescovo Audo ha detto che progetta di rimanere in Aleppo.
... "Aleppo è la mia città dove sono nato, dove sono cresciuto e ho studiato. Tutta la mia famiglia è di Aleppo. Più volte mi è stato chiesto quando me ne andrò da Aleppo, ma non voglio lasciare Aleppo - è il mio paese. Qui vivo e qui morirò con la mia gente ", ha detto.

http://www.catholicnews.com/data/stories/cns/1404958.htm

Francesco chiama la Turchia a collaborare per la pace


 

Nel suo discorso alle autorità politiche, il Papa auspica che da Ankara possa partire un cammino virtuoso per invertire la conflittualità che coinvolge tutto il Medio Oriente


Papa Francesco in Turchia: “Bandire ogni fondamentalismo e terrorismo”

Francesco ha rivolto il suo sguardo anche ai “gravi conflitti” che persistono in particolare in Siria e Iraq dove “la violenza terroristica non accenna a placarsi. Si registra la violazione delle più elementari leggi umanitarie nei confronti dei prigionieri e di interi gruppi etnici; si sono verificate e ancora avvengono gravi persecuzioni ai danni di gruppi minoritari, specialmente, ma non solo, i cristiani e gli yazidi: centinaia di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e la loro patria per poter salvare la propria vita e rimanere fedeli al proprio credo”. 

venerdì 28 novembre 2014

Avvento in Siria : durare è già adorare

Siria. Nel villaggio cristiano a due chilometri da Al Qaeda. «Se cancelli il Verbo qui, la cristianità non avrà futuro»

Tempi, 25 novembre 2014




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«Vengo in questa chiesa ogni domenica da quando sono nata. Ma ora la situazione è davvero difficile, siamo tutti spaventati perché i jihadisti controllano i villaggi attorno al nostro». Afaf Azam è una cristiana di 52 anni ed è appena uscita dalla chiesa di San Elia, nella piccola città rurale di Izra, provincia di Deraa, nel sud della Siria.

STORIA MILLENARIA. La storia cristiana di Izra è tra le più antiche del mondo. I cristiani sono arrivati in questa città citata anche nella Bibbia 1.500 anni fa, quando faceva parte della Cananea. La chiesa di San Elia è stata costruita nel 542, 28 anni prima che nascesse Maometto. Izra è sopravvissuta ai persiani e all’Impero ottomano ma ora rischia di cadere nelle mani di Jabhat Al Nusra, la milizia di Al Qaeda che ha già conquistato le vicine città di Nawa e al-Sheikh Maskin e che si trova a meno di due chilometri.

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RIBELLI CON I TERRORISTI. 
«È molto semplice: se l’Occidente vuole che la Siria rimanga un Paese per cristiani, deve aiutarci a stare qui e smettere di armare i terroristi», dichiara al Telegraph padre Elias Hanout (foto a destra). 
I paesi occidentali non hanno mai armato lo Stato islamico ma padre Elias non si riferisce ad Al Qaeda o all’Isil quando parla di “terroristi”, bensì ai ribelli che si sono uniti ad Al Nusra e sono pronti ad attaccare la città. Alcuni di coloro che minacciano la millenaria storia di Izra «fanno parte» del gruppo di “ribelli moderati” addestrati e armati dalla Cia in Giordania.

«IL VERBO È PARTITO QUI». 
Domenica alla Messa c’erano poche persone e il coro mancava degli elementi migliori: la maggior parte dei cristiani della città, infatti, è scappata. Mentre padre Elias celebrava, gli spari rimbombavano riempiendo la piccola navata: il timore è che l’esercito di Bashar Al Assad sia presto sopraffatto dai terroristi e che l’invasione sia imminente.
«Il Verbo è partito in questa terra. Se tu cancelli il Verbo qui, allora la cristianità di tutto il mondo non avrà futuro», continua padre Elias, pensando forse anche ai 700 mila cristiani rimasti oggi in Siria. Nel 2011 erano 1 milione e 750 mila.

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CHERUBINI E SACRIFICI. Vicino alla chiesa di San Elia si trova anche quella di San Giorgio. Tra gli edifici più antichi di tutta la Siria, è un tempio pagano convertito dove campeggia ancora questa iscrizione, datata 515 d.C.: «La casa del Male è diventata casa di Dio. Gli inni dei cherubini sostituiscono i sacrifici offerti agli idoli. Dio si è stabilito qui in pace, dove gli uomini erano soliti odiarlo».

CRISTIANI IN FUGA. Sia i cristiani che i musulmani di Izra hanno paura degli islamisti: «Nessuno vuole che quegli uomini avanzino», afferma un residente in via anonima, «[anche i musulmani] sono spaventati». La signora Azam non ha dubbi su chi preferire nella guerra: «Quando il male arriva, devi difendere il tuo Paese. Noi amiamo il nostro governo proprio come amiamo il nostro Paese».Da Izra, come da tante altre città della Siria, sono molti i cristiani che cercano di scappare. Eva Astefan ha fatto richiesta di asilo alle Nazioni Unite: «Mia figlia di 14 anni è stata uccisa da un cecchino dei ribelli nel 2012. Questo è il nostro Paese e noi lo amiamo ma non abbiamo altra scelta [che andarcene]. I terroristi rapiscono e uccidono i nostri uomini, facendo penzolare sui loro cadaveri la santa croce».

«GAMBE E BRACCIA SPEZZATE».
I cristiani non sono gli unici a essere nel mirino dei terroristi islamici. Abu Mohammed è sunnita come i ribelli, ha 60 anni, ma «tutta la mia famiglia» è stata sterminata dagli islamisti: «Sono entrati nella nostra casa ad al-Sheikh Maskin. Hanno attaccato mio figlio, mio fratello e due miei nipoti. Hanno spezzato loro gambe e braccia. Li hanno portati sul tetto e li hanno gettati di sotto. Sono l’unico ad essere sfuggito. Hanno fatto tutto questo solo perché mio figlio era un soldato dell’esercito regolare».

«NON ARMATE I TERRORISTI».
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I ribelli “moderati” su cui gli Stati Uniti contano per sconfiggere lo Stato islamico e Assad sono ormai concentrati solo nel sud della Siria (mappa © Telegraphe sono gli stessi che presto potrebbero attaccare Izra. 
Barack Obama si sta accordando con Arabia Saudita e Turchia per addestrarli e armarli ed è per questo che i cristiani di Izra si sentono traditi proprio dai cristiani occidentali: «Ci avete abbandonati. Per piacere, dite al signor David Cameron che non vogliamo né aiuti né donazioni. Però, per piacere, ditegli anche di smettere di armare i terroristi».

http:///siria-nel-villaggio-cristiano-a-due-chilometri-da-al-qaeda-se-cancelli-il-verbo-qui-la-cristianita-non-avra-futuro#.VHTlVGB0wqR

mercoledì 26 novembre 2014

Béchara Boutros Raї: «L’Occidente, mandando armi e soldi, ha distrutto quello che avevamo costruito noi cristiani in quattordici secoli di storia. In questo modo però sta alimentando il fondamentalismo»

«La guerra mette in fuga i cristiani. L'Occidente smetta di alimentarla»


Terrasanta.net, 24 novembre 2014

di Carlo Giorgi |

«Penso che Papa Francesco a Istanbul farà un appello chiaro per la pace in Medio Oriente. In particolare penso che inviterà la Turchia a collaborare per mettere fine alla guerra in Siria. In questo momento, infatti, la Turchia permette il passaggio a mercenari e fondamentalisti islamici dal suo territorio verso la Siria. Sono quasi due anni che il vescovo  greco ortodosso e quello siro ortodosso di Aleppo sono stati rapiti al confine tra Turchia e Siria … Bisogna invece che la Turchia collabori e inizi a svolgere un altro ruolo».
Il cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei maroniti, guarda con speranza al viaggio che Papa Francesco svolgerà in Turchia dal 28 al 30 novembre. Il patriarca ha inaugurato il 23 novembre la parrocchia di Santa Maria della Sanità di Milano, come luogo di culto per i cattolici maroniti e di rito orientale che vivono nella diocesi ambrosiana. In l’occasione della visita milanese, ha rilasciato questa intervista a Terrasanta.net.

La presenza di una parrocchia maronita a Milano, è un arricchimento per i cattolici locali. D’altra parte, l’emigrazione è anche il segno della crisi in cui si trova oggi il Libano …
Il Paese sta attraversando una crisi gravissima. Una volta il Libano era considerato la Svizzera del Medio Oriente. Nel 1975, all’inizio della guerra civile, un dollaro si cambiava con due lire libanesi. Oggi ce ne vogliono 1500 … Dal ’48 abbiamo sulle spalle il peso di mezzo milione di profughi palestinesi; la guerra in Siria ci ha portato un milione e mezzo di siriani; per non parlare delle migliaia di cristiani iracheni … il totale dei profughi oggi equivale alla metà della popolazione libanese. Per fare un esempio: solo il numero degli studenti siriani, 600 mila, supera quello degli studenti libanesi. Dove li mettiamo? Mancano le strutture. Tutto questo si trasforma in un problema sociale, economico, politico e di sicurezza. Secondo le stime dell’Onu, un terzo della popolazione è sotto la soglia della povertà …

Una situazione che incoraggia l’emigrazione.
È così. Io visito abitualmente le diocesi libanesi all’estero. L’anno scorso, ad esempio, mi sono recato in sette Paesi dell’America Latina. Ho trovato così tanti giovani libanesi. Mi chiedevo: ma chi è rimasto in Libano?  Sono tutti qui! … Abbiamo paesi che si stanno svuotando, un flusso migratorio enorme. È tremendo! E non possono tornare perché ormai hanno lì il loro lavoro, i figli. E chi parte vede che i problemi in Medio Oriente non si risolvono. Anche perché nessuno vuole risolvere il primo dei problemi, quello che teologicamente potremmo definire il «peccato originale» della crisi mediorientale.

Cioè?
Mi riferisco al conflitto israelo-palestinese, che è come una grande fornace da cui dilaga il fuoco della guerra. Fino a quando non si vorrà risolvere il problema palestinese, permettendo ad esempio ai profughi di tornare, il Medio Oriente sarà in guerra. Adesso tocca all’Iraq e alla Siria; domani sarà un altro Paese… e poi un quarto Paese… il problema è che ci sono interessi economici superiori: il petrolio, il gas, il commercio delle armi.

Cosa può fare l’Europa per fermare la guerra?
Deve aiutare alla riconciliazione in particolare tra sunniti e sciiti, perché oggi la guerra è soprattutto all’interno del mondo islamico. E poi deve aiutare l’islam - ma anche l’ebraismo – a separare religione e Stato. Finché non ci sarà separazione tra religione e Stato in Medio Oriente, la pace è molto lontana. E poi deve smettere di vendere armi in Medio Oriente e di finanziare i fondamentalisti. Papa Francesco, che parla in modo diretto, ha detto - riferendosi alla della guerra in Siria-: «Basta commercio di armi!»
Noi cristiani del Medio Oriente, in 1400 anni di vita comune con i musulmani, abbiamo trasmesso dei valori, facendo crescere la moderazione. L’Occidente, mandando armi e soldi, ha distrutto quello che avevamo costruito noi cristiani in quattordici secoli di storia. In questo modo però sta alimentando il fondamentalismo: ma quando il terrorismo si scatena, chi può arrestarlo?

Chi paga le conseguenze di questa situazione?
I cristiani del Medio Oriente. In Iraq abbiamo perso un milione di cristiani, prezzo di una democrazia che non è mai venuta… la loro fuga significa la scomparsa di tutta la cultura cristiana, la storia della salvezza.
Non si possono sacrificare i cristiani del Medio Oriente! Noi vogliamo rimanere nella nostra terra, vogliamo portare i valori cristiani a questo mondo arabo. Adesso più che mai il Medio Oriente ha bisogno dei cristiani, che parlano un altro linguaggio rispetto a quello di oggi. Oggi nei nostri Paesi si parla di guerra, terrorismo, uccidere, distruggere; il nostro linguaggio è Vangelo di Pace, fratellanza, dignità umana, sacralità della vita.
A me pare che l’Europa non abbia coscienza di questo, anzi sembra quasi che si vergogni…

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=7044&wi_codseq= &language=it

 «Il fondamentalismo è foraggiato con armi e i soldi dell'Occidente» 


Vaticaninsider, 22/11/2014

di Andrea Tornielli

«Mi aspettavo un altro ruolo dall'Europa, che è stata trascinata alla cieca prima nella guerra in Irak e poi ora in Siria. È triste constatare che il fondamentalismo è foraggiato con le armi e i soldi occidentali, e che i nemici di oggi erano gli alleati di ieri». Il cardinale Béchara Boutros Raї, Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente dei Maroniti, è a Milano per inaugurare la missione per i fedeli di rito maronita: l'arcivescovo Angelo Scola ha infatti affidato la parrocchia di S. Maria della Sanità per questo scopo. L'intervista con Vatican Insider è l'occasione per un'analisi a tutto campo sulla situazione mediorientale da parte di uno dei più lucidi protagonisti della vita delle Chiese di quella martoriata regione.

L'Isis con il suo auto-proclamato Califfato vuole la guerra di religione: siamo allo scontro finale tra islam e cristianesimo?


«Non bisogna cadere nelle semplificazioni. I fondamentalisti dell'Isis combattono contro tutti quelli che non sono come loro: a Mosul e Ninive hanno perseguitato anche musulmani sunniti e sciiti, e la minoranza degli yazidi. La loro è un'ideologia o chissà che cosa. Sono un movimento ultrafondamentalista, quelli che vengono chiamati "takfiri" cioè quei musulmani che accusano altri musulmani di infedeltà. Ma il Gran mufti libanese mi ha detto: "Non possiamo chiamarli takfiri, perché non hanno fede e combattono tutti!". È vero che anche i cristiani sono stati vittime, ma il numero maggiore di morti è stato tra i musulmani sunniti e sciiti, e tra gli yazidi».

Papa Francesco sta per arrivare in Turchia, molto vicino all'area più calda del conflitto. Che cosa si aspetta dalla visita?

«Spero che sia un'occasione per chiedere alla Turchia di collaborare a mettere fine alla guerra in Siria. Purtroppo i mercenari fondamentalisti di Al Nusra, Al Qaeda e dell'Isis entrano in Siria attraverso il confine turco. Papa Francesco sa parlare con chiarezza e penso che farà un appello per la pace in Medio Oriente».

Come giudica l'atteggiamento dell'Occidente di fronte alla crisi mediorientale?

«Mi aspettavo un altro ruolo dall'Europa, che è stata trascinata alla cieca prima nella guerra in Irak e poi ora in Siria. Alla comunità internazionale chiediamo: basta guerra in Siria e in Irak, basta con la tragedia dei palestinesi. Sono convinto che il conflitto israelo-palestinese sia il grande focolaio da risolvere se si vuole la pace nella regione. E la soluzione non può essere che quella dei due Stati: perché non si fa? Senza Stato palestinese la guerra non avrà fine. Poi c'è il conflitto arabo-israeliano, con le zone occupate in Siria e Libano. Finché non si applicano le risoluzioni dell'Onu non ci sarà la pace. Bisogna mettere fine alla guerra in Siria: il Papa ha parlato chiaramente del commercio di armi. L'Europa deve aiutare la riconciliazione, deve favorire la ricomposizione del conflitto tra musulmani sunniti e sciiti, e aiutare l'islam a separare la religione dallo Stato».

Che cosa chiedono i cristiani?

«Innanzitutto che cosa non chiedono. Non chiedono alcun protettorato! Non chiediamo di essere protetti dall'Occidente. I fondamentalisti ci accusano di essere discendenti dei crociati, ma noi viviamo lì da secoli prima dell'arrivo dell'islam. I cristiani del Medio Oriente in 1400 di vita comune con i musulmani hanno trasmesso valori e cultura. L'Occidente, inondando di armi e di soldi, distrugge quello che abbiamo creato e di fatto fa aumentare il fondamentalismo. È triste constatare, guardando a ciò che è accaduto negli ultimi decenni, che i nemici di oggi erano gli alleati di ieri. Ai cristiani non servono appelli perché lascino il Medio Oriente, servono politiche di investimento per lo sviluppo, per poter dare lavoro».

Ci sono voci musulmane che si levano contro l'Isis?

«Molti musulmani sono contro, ma non osano dichiararsi. Ma ci sono anche voci di condanna. Il 2 e il 4 dicembre, ad all'università di Al Azhar al Cairo, si terrà un vertice tra musulmani al quale sono stati invitati anche i cristiani, per denunciare il fondamentalismo del Califfato».

Quali conseguenze hanno questi conflitti nella situazione del suo Paese?

«Un terzo della popolazione libanese secondo l'Onu è sotto la soglia di povertà. In Libano vivono mezzo milione di profughi palestinesi e un milione e mezzo di profughi siriani. Ormai la metà degli abitanti sono profughi. Molti di loro per sopravvivere accettano di essere pagati di meno per lavorare. Un paese di soli 10mila chilometri quadrati ha possibilità limitate. Ma il Libano, nonostante le difficoltà - siamo uno Stato al momento senza presidente, a motivo dei conflitti tra sunniti e sciiti che riflette quanto sta accadendo nella regione - rimane un modello di convivenza per il Medio Oriente ma anche per l'Occidente. Un modello nel quale i musulmani hanno rinunciato alla sovrapposizione tra religione e politica, e i cristiani hanno rinunciato a quella laicità che finisce per mettere Dio e la religione da parte».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/37679/

lunedì 24 novembre 2014

Intervista (da non perdere) al Gran Mufti di Siria

«Occidente, non tradire il mio popolo»

Lo Stato islamico e il jihad, i cristiani e i musulmani, lo Stato e la religione, il regime di Assad e i ribelli, papa Francesco e Obama.


Intervista a Ahmad Badreddine Hassoun, massima autorità sunnita del paese

di Rodolfo Casadei e Samaan Daoud

TEMPI, 23 novembre 2014

Generalmente gli esponenti della società civile che parlano da Damasco non vengono presi in considerazione in Occidente, perché sono etichettati come portavoce del regime di Bashar el Assad. La voce di Ahmad Badreddine Hassoun, Gran Muftì di Siria dal 2005, merita un ascolto molto più serio per almeno due motivi. Il primo è che si tratta della più alta autorità religiosa sunnita in Siria: se avesse defezionato nei primi tempi della protesta, sarebbe stato accolto con tutti gli onori dall’opposizione e soprattutto dai suoi sponsor nei paesi del Golfo, che gli avrebbero fatto ponti d’oro. Il secondo è che tre anni fa un figlio di Hassoun è stato assassinato per punire il padre per le sue posizioni filogovernative, ma il Gran Muftì non ha invocato vendetta, anzi ha perdonato gli assassini e non ha mai smesso di perorare una soluzione pacifica della crisi. L’intervista con lui comincia proprio da quella tragica vicenda.

«Ho perdonato chi ha ucciso mio figlio non solo davanti ai media, ma di persona», dice a Tempi Hassoun. «Ho parlato con due degli arrestati e ho detto loro: “Se potessi, vi riporterei adesso a casa vostra”. Ma erano accusati anche di altri omicidi, non potevo intercedere per loro. Gli ho detto: “Quando sarete in Cielo e incontrerete Sariah, mio figlio, lì sarete giudicati dal grande Giudice, e il suo giudizio è più grande di quello di chiunque di noi. Per quello che mi riguarda, vorrei portarvi a casa vostra, perché non voglio che altre madri piangano come ha pianto la mamma di Sariah”. Ho perdonato loro con un’unica condizione: che si impegnassero a deporre le armi e a fermare le uccisioni. Io piango non solo per la perdita di mio figlio, ma per tutte le vittime».

Non accetta di essere considerato una marionetta del governo. «Io non rappresento il potere politico in Siria. Sono il Grande Muftì della Republica araba siriana, e questo significa che sono al servizio del popolo siriano: non del governo o del presidente Bashar el Assad. Sono il Muftì di tutti: cristiani e musulmani, comunisti ed atei. È mia responsabilità servire tutti senza guardare alla loro appartenenza politica e religiosa: forse questa cosa in Europa si fa fatica a capirla. Così quando mi chiedono: “Perché non lasci la Siria? Tu puoi farlo”, io rispondo: “Tanti emiri mi hanno invitato a lasciare il paese e mi hanno offerto ospitalità nei loro grandi palazzi, ma questo contraddirebbe la mia missione”. Per questo motivo l’opposizione siriana che vive all’estero mi ha insultato; benché mi conoscano bene, mi accusano di partigianeria perché non ho lasciato la Siria. Allora dico questo per chi non lo sa: io sono stato cacciato sei volte, fra il 1970 e il 2000, dal mio incarico di predicatore perché nei miei sermoni del venerdì criticavo il governo, e nonostante le vessazioni che da questo mi sono derivate non ho lasciato il paese. I religiosi non devono fare parte di nessun partito politico, il loro unico dovere è di rappresentare la vera fede».

Il compito del religioso
Hassoun è sempre stato un sostenitore della separazione fra politica e religione, ben prima che in Siria scoppiasse la guerra. «Il compito del religioso è di portare il messaggio celeste al popolo, e non di servire il governo o l’opposizione. Il suo compito è di riformare sia il governo che l’opposizione, perché né Cristo, né Maometto, né Mosè hanno creato degli stati, ma hanno forgiato degli uomini; e gli uomini, facendo leva sulla virtù e sulla morale, costruiscono lo Stato. Perciò lo Stato è un’opera umana, mentre la religione è opera di Dio. La differenza tra le due realtà sta anche nel fatto che nello Stato c’è un sistema di leggi che tutti devono seguire, e ciascuno è giudicato secondo il suo comportamento e non secondo le sue intenzioni. Invece la religione è fede, moralità e virtù fondate sull’amore e sulla libertà di scelta. Per lo Stato siamo costretti a obbedire alle leggi, che lo vogliamo o no; mentre quando entro in una moschea o in una chiesa lo faccio per amore. I profeti non hanno obbligato nessuno a credere nelle loro parole, invece i re e gli altri governanti costringono la gente a obbedire alle leggi. Noi dobbiamo seguire le leggi degli Stati in cui viviamo, ma nessuno può imporre qualsiasi tipo di fede, perché la fede è una relazione tra me e Dio. Perciò non bisogna creare dei partiti a denominazione religiosa, farsi scudo in politica col nome di Dio. Questo vale anche per gli Stati, perché essi sono stati creati da persone e non da Dio, al contrario delle religioni».

«In forza di questa distinzione fra la religione e la politica, un leader religioso non sarà mai contro o a favore di un sistema politico, ma semmai a favore o contro la morale che emerge dagli atti del governo. Cioè se in un regime c’è ingiustizia, il religioso lo deve denunciare, e se il regime fa il bene, lo deve riconoscere. Questo vale anche per l’opposizione».

Hassoun afferma di avere cercato di dialogare con l’opposizione, ma inutilmente. «A suo tempo ho invitato l’opposizione esterna a venire in Siria per parlare e dialogare col regime, dicendo a loro: “Se il regime non vi ascolterà, io starò dalla vostra parte”. Ma loro non hanno accettato. La Siria è diversa da tutti gli altri paesi arabi perché il regime è laico, mentre ci sono Stati che vogliono imporre a noi un sistema politico religioso settario. Qui è il nodo del problema Siria, che tanti fingono di non capire. Se Bashar el Assad avesse cercato di imporre un sistema religioso settario al paese, io mi sarei opposto e gli avrei chiesto di rinunciare. Ma non con le armi. Io non alzo le armi in faccia a nessuno, né contro il presidente, né contro l’opposizione, perché credo nel dialogo. Ricorrere alle armi è segno che non stai sostenendo una giusta causa, che non sei in grado di convincere l’altro. Per questo ho sempre chiesto: fate del Medio Oriente una zona smilitarizzata, perché è la terra della fede, e da tutto il mondo arrivano pellegrini a visitare la Palestina. Se pretendiamo di fare uno Stato musulmano, oppure cristiano, oppure ebraico, chiudiamo le porte in faccia agli altri. Dio ha riunito le tre religioni monoteiste a Gerusalemme per farci capire che Lui è uno solo e la fede è una sola. Il musulmano che prega nella moschea di al Aqsa, il cristiano nella chiesa della Natività, e l’ebreo davanti al Muro del pianto, tutti quanti pregano lo stesso Dio. Per cui è una vergogna che ci siano dei politici e dei religiosi che dividono la gente creando partiti settari religiosi ed etnici».

Il Gran Muftì sottolinea con forza la sua concezione umanista delle fedi religiose: «Le religioni monoteiste devono sempre chiedersi se stanno agendo per conto del potere oppure per conto di Dio. Se operano all’ombra di Dio, allora non dovrebbe esserci nessun tipo di disaccordo tra me e il Papa, tra me e il leader di un’altra religione monoteista, perché la nostra missione è la stessa: affermare la santità di Dio, difendere la dignità dell’uomo. Chi insulta la dignità dell’uomo insulta la santità di Dio, perché l’uomo è stato creato da Lui. Quando ho parlato davanti al Parlamento europeo nel 2004, ho detto: “Se vedessi la distruzione della pietra nera alla Mecca, o della moschea di al Aqsa a Gerusalemme, o della chiesa della Natività a Betlemme, o del Muro del pianto, per me sarebbe meno doloroso che vedere un bambino che viene ucciso. La moschea di al Aqsa e la chiesa della Natività sono state costruite da noi e se vengono distrutte le rifaremo più belle. Ma se viene ucciso un bambino, chi può ridargli la vita?”. Costruire l’uomo è molto più santo che costruire una chiesa o una moschea. Dio non è prigioniero dentro le nostre chiese e le nostre moschee. Ed è per tutti, non solo per i cristiani o i musulmani».

L’ammirazione per il Papa
Il Gran Muftì ammira papa Francesco per il suo stile evangelico, ed esprime dispiacere per non averlo potuto ancora incontrare, né a Roma né a Damasco. «Ho invitato il Santo Padre a visitare la Siria e ho chiesto di poterlo incontrare in Vaticano. Finora non è stato possibile, e io so che questo dipende anche dalle pressioni di chi mi descrive come un rappresentante del potere. Ma io rinnovo il mio invito e dico al Papa: “Santità, non si lasci strumentalizzare dalla politica, lei che è la guida nell’amore in tutto il mondo, lei che ha infranto tutti i protocolli che allontanavano il Papa dalla gente, venga a incontrare cristiani, musulmani ed ebrei. Forse il nostro incontro permetterà di mettere fine a questa strage, al sangue che viene versato in nome della religione, senza colpa della religione”».

Per quanto riguarda la politica internazionale, Hassoun si iscrive fra i delusi della presidenza Obama. Che è tornato a parlare della necessità di provocare un regime change a Damasco come condizione per sconfiggere l’Isil. «Ciò che è successo nelle ultime due elezioni presidenziali negli Stati Uniti, mi ha molto colpito: il popolo americano ha scelto un presidente di origine africana e il cui padre era un musulmano; gli elettori hanno scelto un uomo non sulla base delle sue origini, ma delle sue qualità: Obama ha studiato legge, è laureato in diritto. Ma la seconda sorpresa è stata negativa: questo presidente non ha fatto niente per la pace, anzi ha continuato le guerre che aveva iniziato il suo predecessore G. W. Bush. Non ha mantenuto la promessa di chiudere la prigione di Guantanamo. Allora mi chiedo: Obama ha veramente il potere di prendere certe decisioni? La sua intelligence lo sta ingannando? La verità è che oggi il mondo non è più sotto il controllo dei leader politici o di quelli religiosi. Stiamo assistendo alla nascita di un’alleanza internazionale, di portata globale, che riunisce politici di governo ed estremisti religiosi. Ma il loro progetto fallirà, per la reazione dell’umanità che ne sta prendendo coscienza».



La profezia inascoltata
«Spesso invito i membri del Congresso americano e i rettori delle loro università a venire in Siria, ma la loro risposta è sempre la stessa: “Verremo solo quando il regime sarà caduto”. Non mi sembra giusto: vogliono la caduta di un presidente che il popolo siriano non vuole cacciare. Se la maggioranza della gente avesse voluto far cadere il presidente, vi garantisco che lo avrebbe fatto nel giro di una settimana. Come lo hanno fatto in Tunisia e in Egitto. Deve essere chiaro a tutti: il popolo siriano fino ad oggi non vuole far cadere il presidente. Avete presente il Daesh (la sigla araba dell’Isil, ndr) e i suoi combattenti jihadisti? Da circa due anni è attivo in Siria e il nostro esercito lo combatte. Ora anche una coalizione militare di 40 nazioni, guidata dall’America, lo sta combattendo, e ha dichiarato che per vincere ci vorranno dai 3 ai 10 anni. Intanto la Siria è riuscita a resistere per due anni non solo all’Isil, ma a Jabhat al Nusra, al Libero esercito siriano, al Fronte islamico e a decine di altri gruppi armati, sostenuti e finanziati anche dagli americani e dall’Europa! Come abbiamo fatto? Grazie al popolo. Senza la resistenza del popolo l’esercito siriano sarebbe finito a pezzi, la Siria si sarebbe divisa su base settaria e i siriani si sarebbero uccisi tutti fra loro. Questa guerra che c’è in Siria non è una guerra civile di religione: venite a vedere con i vostri occhi dove vivono gli sfollati siriani. Cristiani e musulmani, sunniti e alawiti, vivono insieme sotto lo stesso tetto. Gli sfollati sunniti che vengono da Hama e da Homs vivono fra gli alawiti e i cristiani a Lattakia, Tartus, Damasco».

«Questa è la vera Siria, e se il presidente Obama non la conosce sono disposto ad andare in America e parlare davanti al Congresso per spiegarla insieme ai leader religiosi cristiani siriani. Quando tre anni fa fu ucciso mio figlio, davanti a tutto il mondo dissi: “Vi prego, non appiccate l’incendio in Siria, perché questo fuoco si estenderà a tutto il mondo. Si sveglieranno anche le cellule dormienti che sono in America e in Europa”. Solamente oggi cominciano a credermi».

http://www.tempi.it/occidente-non-tradire-il-mio-popolo-intervista-esclusiva-al-gran-mufti-di-siria#.VHJMrmB0wqQ