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mercoledì 26 novembre 2014

Béchara Boutros Raї: «L’Occidente, mandando armi e soldi, ha distrutto quello che avevamo costruito noi cristiani in quattordici secoli di storia. In questo modo però sta alimentando il fondamentalismo»

«La guerra mette in fuga i cristiani. L'Occidente smetta di alimentarla»


Terrasanta.net, 24 novembre 2014

di Carlo Giorgi |

«Penso che Papa Francesco a Istanbul farà un appello chiaro per la pace in Medio Oriente. In particolare penso che inviterà la Turchia a collaborare per mettere fine alla guerra in Siria. In questo momento, infatti, la Turchia permette il passaggio a mercenari e fondamentalisti islamici dal suo territorio verso la Siria. Sono quasi due anni che il vescovo  greco ortodosso e quello siro ortodosso di Aleppo sono stati rapiti al confine tra Turchia e Siria … Bisogna invece che la Turchia collabori e inizi a svolgere un altro ruolo».
Il cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei maroniti, guarda con speranza al viaggio che Papa Francesco svolgerà in Turchia dal 28 al 30 novembre. Il patriarca ha inaugurato il 23 novembre la parrocchia di Santa Maria della Sanità di Milano, come luogo di culto per i cattolici maroniti e di rito orientale che vivono nella diocesi ambrosiana. In l’occasione della visita milanese, ha rilasciato questa intervista a Terrasanta.net.

La presenza di una parrocchia maronita a Milano, è un arricchimento per i cattolici locali. D’altra parte, l’emigrazione è anche il segno della crisi in cui si trova oggi il Libano …
Il Paese sta attraversando una crisi gravissima. Una volta il Libano era considerato la Svizzera del Medio Oriente. Nel 1975, all’inizio della guerra civile, un dollaro si cambiava con due lire libanesi. Oggi ce ne vogliono 1500 … Dal ’48 abbiamo sulle spalle il peso di mezzo milione di profughi palestinesi; la guerra in Siria ci ha portato un milione e mezzo di siriani; per non parlare delle migliaia di cristiani iracheni … il totale dei profughi oggi equivale alla metà della popolazione libanese. Per fare un esempio: solo il numero degli studenti siriani, 600 mila, supera quello degli studenti libanesi. Dove li mettiamo? Mancano le strutture. Tutto questo si trasforma in un problema sociale, economico, politico e di sicurezza. Secondo le stime dell’Onu, un terzo della popolazione è sotto la soglia della povertà …

Una situazione che incoraggia l’emigrazione.
È così. Io visito abitualmente le diocesi libanesi all’estero. L’anno scorso, ad esempio, mi sono recato in sette Paesi dell’America Latina. Ho trovato così tanti giovani libanesi. Mi chiedevo: ma chi è rimasto in Libano?  Sono tutti qui! … Abbiamo paesi che si stanno svuotando, un flusso migratorio enorme. È tremendo! E non possono tornare perché ormai hanno lì il loro lavoro, i figli. E chi parte vede che i problemi in Medio Oriente non si risolvono. Anche perché nessuno vuole risolvere il primo dei problemi, quello che teologicamente potremmo definire il «peccato originale» della crisi mediorientale.

Cioè?
Mi riferisco al conflitto israelo-palestinese, che è come una grande fornace da cui dilaga il fuoco della guerra. Fino a quando non si vorrà risolvere il problema palestinese, permettendo ad esempio ai profughi di tornare, il Medio Oriente sarà in guerra. Adesso tocca all’Iraq e alla Siria; domani sarà un altro Paese… e poi un quarto Paese… il problema è che ci sono interessi economici superiori: il petrolio, il gas, il commercio delle armi.

Cosa può fare l’Europa per fermare la guerra?
Deve aiutare alla riconciliazione in particolare tra sunniti e sciiti, perché oggi la guerra è soprattutto all’interno del mondo islamico. E poi deve aiutare l’islam - ma anche l’ebraismo – a separare religione e Stato. Finché non ci sarà separazione tra religione e Stato in Medio Oriente, la pace è molto lontana. E poi deve smettere di vendere armi in Medio Oriente e di finanziare i fondamentalisti. Papa Francesco, che parla in modo diretto, ha detto - riferendosi alla della guerra in Siria-: «Basta commercio di armi!»
Noi cristiani del Medio Oriente, in 1400 anni di vita comune con i musulmani, abbiamo trasmesso dei valori, facendo crescere la moderazione. L’Occidente, mandando armi e soldi, ha distrutto quello che avevamo costruito noi cristiani in quattordici secoli di storia. In questo modo però sta alimentando il fondamentalismo: ma quando il terrorismo si scatena, chi può arrestarlo?

Chi paga le conseguenze di questa situazione?
I cristiani del Medio Oriente. In Iraq abbiamo perso un milione di cristiani, prezzo di una democrazia che non è mai venuta… la loro fuga significa la scomparsa di tutta la cultura cristiana, la storia della salvezza.
Non si possono sacrificare i cristiani del Medio Oriente! Noi vogliamo rimanere nella nostra terra, vogliamo portare i valori cristiani a questo mondo arabo. Adesso più che mai il Medio Oriente ha bisogno dei cristiani, che parlano un altro linguaggio rispetto a quello di oggi. Oggi nei nostri Paesi si parla di guerra, terrorismo, uccidere, distruggere; il nostro linguaggio è Vangelo di Pace, fratellanza, dignità umana, sacralità della vita.
A me pare che l’Europa non abbia coscienza di questo, anzi sembra quasi che si vergogni…

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=7044&wi_codseq= &language=it

 «Il fondamentalismo è foraggiato con armi e i soldi dell'Occidente» 


Vaticaninsider, 22/11/2014

di Andrea Tornielli

«Mi aspettavo un altro ruolo dall'Europa, che è stata trascinata alla cieca prima nella guerra in Irak e poi ora in Siria. È triste constatare che il fondamentalismo è foraggiato con le armi e i soldi occidentali, e che i nemici di oggi erano gli alleati di ieri». Il cardinale Béchara Boutros Raї, Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente dei Maroniti, è a Milano per inaugurare la missione per i fedeli di rito maronita: l'arcivescovo Angelo Scola ha infatti affidato la parrocchia di S. Maria della Sanità per questo scopo. L'intervista con Vatican Insider è l'occasione per un'analisi a tutto campo sulla situazione mediorientale da parte di uno dei più lucidi protagonisti della vita delle Chiese di quella martoriata regione.

L'Isis con il suo auto-proclamato Califfato vuole la guerra di religione: siamo allo scontro finale tra islam e cristianesimo?


«Non bisogna cadere nelle semplificazioni. I fondamentalisti dell'Isis combattono contro tutti quelli che non sono come loro: a Mosul e Ninive hanno perseguitato anche musulmani sunniti e sciiti, e la minoranza degli yazidi. La loro è un'ideologia o chissà che cosa. Sono un movimento ultrafondamentalista, quelli che vengono chiamati "takfiri" cioè quei musulmani che accusano altri musulmani di infedeltà. Ma il Gran mufti libanese mi ha detto: "Non possiamo chiamarli takfiri, perché non hanno fede e combattono tutti!". È vero che anche i cristiani sono stati vittime, ma il numero maggiore di morti è stato tra i musulmani sunniti e sciiti, e tra gli yazidi».

Papa Francesco sta per arrivare in Turchia, molto vicino all'area più calda del conflitto. Che cosa si aspetta dalla visita?

«Spero che sia un'occasione per chiedere alla Turchia di collaborare a mettere fine alla guerra in Siria. Purtroppo i mercenari fondamentalisti di Al Nusra, Al Qaeda e dell'Isis entrano in Siria attraverso il confine turco. Papa Francesco sa parlare con chiarezza e penso che farà un appello per la pace in Medio Oriente».

Come giudica l'atteggiamento dell'Occidente di fronte alla crisi mediorientale?

«Mi aspettavo un altro ruolo dall'Europa, che è stata trascinata alla cieca prima nella guerra in Irak e poi ora in Siria. Alla comunità internazionale chiediamo: basta guerra in Siria e in Irak, basta con la tragedia dei palestinesi. Sono convinto che il conflitto israelo-palestinese sia il grande focolaio da risolvere se si vuole la pace nella regione. E la soluzione non può essere che quella dei due Stati: perché non si fa? Senza Stato palestinese la guerra non avrà fine. Poi c'è il conflitto arabo-israeliano, con le zone occupate in Siria e Libano. Finché non si applicano le risoluzioni dell'Onu non ci sarà la pace. Bisogna mettere fine alla guerra in Siria: il Papa ha parlato chiaramente del commercio di armi. L'Europa deve aiutare la riconciliazione, deve favorire la ricomposizione del conflitto tra musulmani sunniti e sciiti, e aiutare l'islam a separare la religione dallo Stato».

Che cosa chiedono i cristiani?

«Innanzitutto che cosa non chiedono. Non chiedono alcun protettorato! Non chiediamo di essere protetti dall'Occidente. I fondamentalisti ci accusano di essere discendenti dei crociati, ma noi viviamo lì da secoli prima dell'arrivo dell'islam. I cristiani del Medio Oriente in 1400 di vita comune con i musulmani hanno trasmesso valori e cultura. L'Occidente, inondando di armi e di soldi, distrugge quello che abbiamo creato e di fatto fa aumentare il fondamentalismo. È triste constatare, guardando a ciò che è accaduto negli ultimi decenni, che i nemici di oggi erano gli alleati di ieri. Ai cristiani non servono appelli perché lascino il Medio Oriente, servono politiche di investimento per lo sviluppo, per poter dare lavoro».

Ci sono voci musulmane che si levano contro l'Isis?

«Molti musulmani sono contro, ma non osano dichiararsi. Ma ci sono anche voci di condanna. Il 2 e il 4 dicembre, ad all'università di Al Azhar al Cairo, si terrà un vertice tra musulmani al quale sono stati invitati anche i cristiani, per denunciare il fondamentalismo del Califfato».

Quali conseguenze hanno questi conflitti nella situazione del suo Paese?

«Un terzo della popolazione libanese secondo l'Onu è sotto la soglia di povertà. In Libano vivono mezzo milione di profughi palestinesi e un milione e mezzo di profughi siriani. Ormai la metà degli abitanti sono profughi. Molti di loro per sopravvivere accettano di essere pagati di meno per lavorare. Un paese di soli 10mila chilometri quadrati ha possibilità limitate. Ma il Libano, nonostante le difficoltà - siamo uno Stato al momento senza presidente, a motivo dei conflitti tra sunniti e sciiti che riflette quanto sta accadendo nella regione - rimane un modello di convivenza per il Medio Oriente ma anche per l'Occidente. Un modello nel quale i musulmani hanno rinunciato alla sovrapposizione tra religione e politica, e i cristiani hanno rinunciato a quella laicità che finisce per mettere Dio e la religione da parte».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/37679/

lunedì 24 novembre 2014

Intervista (da non perdere) al Gran Mufti di Siria

«Occidente, non tradire il mio popolo»

Lo Stato islamico e il jihad, i cristiani e i musulmani, lo Stato e la religione, il regime di Assad e i ribelli, papa Francesco e Obama.


Intervista a Ahmad Badreddine Hassoun, massima autorità sunnita del paese

di Rodolfo Casadei e Samaan Daoud

TEMPI, 23 novembre 2014

Generalmente gli esponenti della società civile che parlano da Damasco non vengono presi in considerazione in Occidente, perché sono etichettati come portavoce del regime di Bashar el Assad. La voce di Ahmad Badreddine Hassoun, Gran Muftì di Siria dal 2005, merita un ascolto molto più serio per almeno due motivi. Il primo è che si tratta della più alta autorità religiosa sunnita in Siria: se avesse defezionato nei primi tempi della protesta, sarebbe stato accolto con tutti gli onori dall’opposizione e soprattutto dai suoi sponsor nei paesi del Golfo, che gli avrebbero fatto ponti d’oro. Il secondo è che tre anni fa un figlio di Hassoun è stato assassinato per punire il padre per le sue posizioni filogovernative, ma il Gran Muftì non ha invocato vendetta, anzi ha perdonato gli assassini e non ha mai smesso di perorare una soluzione pacifica della crisi. L’intervista con lui comincia proprio da quella tragica vicenda.

«Ho perdonato chi ha ucciso mio figlio non solo davanti ai media, ma di persona», dice a Tempi Hassoun. «Ho parlato con due degli arrestati e ho detto loro: “Se potessi, vi riporterei adesso a casa vostra”. Ma erano accusati anche di altri omicidi, non potevo intercedere per loro. Gli ho detto: “Quando sarete in Cielo e incontrerete Sariah, mio figlio, lì sarete giudicati dal grande Giudice, e il suo giudizio è più grande di quello di chiunque di noi. Per quello che mi riguarda, vorrei portarvi a casa vostra, perché non voglio che altre madri piangano come ha pianto la mamma di Sariah”. Ho perdonato loro con un’unica condizione: che si impegnassero a deporre le armi e a fermare le uccisioni. Io piango non solo per la perdita di mio figlio, ma per tutte le vittime».

Non accetta di essere considerato una marionetta del governo. «Io non rappresento il potere politico in Siria. Sono il Grande Muftì della Republica araba siriana, e questo significa che sono al servizio del popolo siriano: non del governo o del presidente Bashar el Assad. Sono il Muftì di tutti: cristiani e musulmani, comunisti ed atei. È mia responsabilità servire tutti senza guardare alla loro appartenenza politica e religiosa: forse questa cosa in Europa si fa fatica a capirla. Così quando mi chiedono: “Perché non lasci la Siria? Tu puoi farlo”, io rispondo: “Tanti emiri mi hanno invitato a lasciare il paese e mi hanno offerto ospitalità nei loro grandi palazzi, ma questo contraddirebbe la mia missione”. Per questo motivo l’opposizione siriana che vive all’estero mi ha insultato; benché mi conoscano bene, mi accusano di partigianeria perché non ho lasciato la Siria. Allora dico questo per chi non lo sa: io sono stato cacciato sei volte, fra il 1970 e il 2000, dal mio incarico di predicatore perché nei miei sermoni del venerdì criticavo il governo, e nonostante le vessazioni che da questo mi sono derivate non ho lasciato il paese. I religiosi non devono fare parte di nessun partito politico, il loro unico dovere è di rappresentare la vera fede».

Il compito del religioso
Hassoun è sempre stato un sostenitore della separazione fra politica e religione, ben prima che in Siria scoppiasse la guerra. «Il compito del religioso è di portare il messaggio celeste al popolo, e non di servire il governo o l’opposizione. Il suo compito è di riformare sia il governo che l’opposizione, perché né Cristo, né Maometto, né Mosè hanno creato degli stati, ma hanno forgiato degli uomini; e gli uomini, facendo leva sulla virtù e sulla morale, costruiscono lo Stato. Perciò lo Stato è un’opera umana, mentre la religione è opera di Dio. La differenza tra le due realtà sta anche nel fatto che nello Stato c’è un sistema di leggi che tutti devono seguire, e ciascuno è giudicato secondo il suo comportamento e non secondo le sue intenzioni. Invece la religione è fede, moralità e virtù fondate sull’amore e sulla libertà di scelta. Per lo Stato siamo costretti a obbedire alle leggi, che lo vogliamo o no; mentre quando entro in una moschea o in una chiesa lo faccio per amore. I profeti non hanno obbligato nessuno a credere nelle loro parole, invece i re e gli altri governanti costringono la gente a obbedire alle leggi. Noi dobbiamo seguire le leggi degli Stati in cui viviamo, ma nessuno può imporre qualsiasi tipo di fede, perché la fede è una relazione tra me e Dio. Perciò non bisogna creare dei partiti a denominazione religiosa, farsi scudo in politica col nome di Dio. Questo vale anche per gli Stati, perché essi sono stati creati da persone e non da Dio, al contrario delle religioni».

«In forza di questa distinzione fra la religione e la politica, un leader religioso non sarà mai contro o a favore di un sistema politico, ma semmai a favore o contro la morale che emerge dagli atti del governo. Cioè se in un regime c’è ingiustizia, il religioso lo deve denunciare, e se il regime fa il bene, lo deve riconoscere. Questo vale anche per l’opposizione».

Hassoun afferma di avere cercato di dialogare con l’opposizione, ma inutilmente. «A suo tempo ho invitato l’opposizione esterna a venire in Siria per parlare e dialogare col regime, dicendo a loro: “Se il regime non vi ascolterà, io starò dalla vostra parte”. Ma loro non hanno accettato. La Siria è diversa da tutti gli altri paesi arabi perché il regime è laico, mentre ci sono Stati che vogliono imporre a noi un sistema politico religioso settario. Qui è il nodo del problema Siria, che tanti fingono di non capire. Se Bashar el Assad avesse cercato di imporre un sistema religioso settario al paese, io mi sarei opposto e gli avrei chiesto di rinunciare. Ma non con le armi. Io non alzo le armi in faccia a nessuno, né contro il presidente, né contro l’opposizione, perché credo nel dialogo. Ricorrere alle armi è segno che non stai sostenendo una giusta causa, che non sei in grado di convincere l’altro. Per questo ho sempre chiesto: fate del Medio Oriente una zona smilitarizzata, perché è la terra della fede, e da tutto il mondo arrivano pellegrini a visitare la Palestina. Se pretendiamo di fare uno Stato musulmano, oppure cristiano, oppure ebraico, chiudiamo le porte in faccia agli altri. Dio ha riunito le tre religioni monoteiste a Gerusalemme per farci capire che Lui è uno solo e la fede è una sola. Il musulmano che prega nella moschea di al Aqsa, il cristiano nella chiesa della Natività, e l’ebreo davanti al Muro del pianto, tutti quanti pregano lo stesso Dio. Per cui è una vergogna che ci siano dei politici e dei religiosi che dividono la gente creando partiti settari religiosi ed etnici».

Il Gran Muftì sottolinea con forza la sua concezione umanista delle fedi religiose: «Le religioni monoteiste devono sempre chiedersi se stanno agendo per conto del potere oppure per conto di Dio. Se operano all’ombra di Dio, allora non dovrebbe esserci nessun tipo di disaccordo tra me e il Papa, tra me e il leader di un’altra religione monoteista, perché la nostra missione è la stessa: affermare la santità di Dio, difendere la dignità dell’uomo. Chi insulta la dignità dell’uomo insulta la santità di Dio, perché l’uomo è stato creato da Lui. Quando ho parlato davanti al Parlamento europeo nel 2004, ho detto: “Se vedessi la distruzione della pietra nera alla Mecca, o della moschea di al Aqsa a Gerusalemme, o della chiesa della Natività a Betlemme, o del Muro del pianto, per me sarebbe meno doloroso che vedere un bambino che viene ucciso. La moschea di al Aqsa e la chiesa della Natività sono state costruite da noi e se vengono distrutte le rifaremo più belle. Ma se viene ucciso un bambino, chi può ridargli la vita?”. Costruire l’uomo è molto più santo che costruire una chiesa o una moschea. Dio non è prigioniero dentro le nostre chiese e le nostre moschee. Ed è per tutti, non solo per i cristiani o i musulmani».

L’ammirazione per il Papa
Il Gran Muftì ammira papa Francesco per il suo stile evangelico, ed esprime dispiacere per non averlo potuto ancora incontrare, né a Roma né a Damasco. «Ho invitato il Santo Padre a visitare la Siria e ho chiesto di poterlo incontrare in Vaticano. Finora non è stato possibile, e io so che questo dipende anche dalle pressioni di chi mi descrive come un rappresentante del potere. Ma io rinnovo il mio invito e dico al Papa: “Santità, non si lasci strumentalizzare dalla politica, lei che è la guida nell’amore in tutto il mondo, lei che ha infranto tutti i protocolli che allontanavano il Papa dalla gente, venga a incontrare cristiani, musulmani ed ebrei. Forse il nostro incontro permetterà di mettere fine a questa strage, al sangue che viene versato in nome della religione, senza colpa della religione”».

Per quanto riguarda la politica internazionale, Hassoun si iscrive fra i delusi della presidenza Obama. Che è tornato a parlare della necessità di provocare un regime change a Damasco come condizione per sconfiggere l’Isil. «Ciò che è successo nelle ultime due elezioni presidenziali negli Stati Uniti, mi ha molto colpito: il popolo americano ha scelto un presidente di origine africana e il cui padre era un musulmano; gli elettori hanno scelto un uomo non sulla base delle sue origini, ma delle sue qualità: Obama ha studiato legge, è laureato in diritto. Ma la seconda sorpresa è stata negativa: questo presidente non ha fatto niente per la pace, anzi ha continuato le guerre che aveva iniziato il suo predecessore G. W. Bush. Non ha mantenuto la promessa di chiudere la prigione di Guantanamo. Allora mi chiedo: Obama ha veramente il potere di prendere certe decisioni? La sua intelligence lo sta ingannando? La verità è che oggi il mondo non è più sotto il controllo dei leader politici o di quelli religiosi. Stiamo assistendo alla nascita di un’alleanza internazionale, di portata globale, che riunisce politici di governo ed estremisti religiosi. Ma il loro progetto fallirà, per la reazione dell’umanità che ne sta prendendo coscienza».



La profezia inascoltata
«Spesso invito i membri del Congresso americano e i rettori delle loro università a venire in Siria, ma la loro risposta è sempre la stessa: “Verremo solo quando il regime sarà caduto”. Non mi sembra giusto: vogliono la caduta di un presidente che il popolo siriano non vuole cacciare. Se la maggioranza della gente avesse voluto far cadere il presidente, vi garantisco che lo avrebbe fatto nel giro di una settimana. Come lo hanno fatto in Tunisia e in Egitto. Deve essere chiaro a tutti: il popolo siriano fino ad oggi non vuole far cadere il presidente. Avete presente il Daesh (la sigla araba dell’Isil, ndr) e i suoi combattenti jihadisti? Da circa due anni è attivo in Siria e il nostro esercito lo combatte. Ora anche una coalizione militare di 40 nazioni, guidata dall’America, lo sta combattendo, e ha dichiarato che per vincere ci vorranno dai 3 ai 10 anni. Intanto la Siria è riuscita a resistere per due anni non solo all’Isil, ma a Jabhat al Nusra, al Libero esercito siriano, al Fronte islamico e a decine di altri gruppi armati, sostenuti e finanziati anche dagli americani e dall’Europa! Come abbiamo fatto? Grazie al popolo. Senza la resistenza del popolo l’esercito siriano sarebbe finito a pezzi, la Siria si sarebbe divisa su base settaria e i siriani si sarebbero uccisi tutti fra loro. Questa guerra che c’è in Siria non è una guerra civile di religione: venite a vedere con i vostri occhi dove vivono gli sfollati siriani. Cristiani e musulmani, sunniti e alawiti, vivono insieme sotto lo stesso tetto. Gli sfollati sunniti che vengono da Hama e da Homs vivono fra gli alawiti e i cristiani a Lattakia, Tartus, Damasco».

«Questa è la vera Siria, e se il presidente Obama non la conosce sono disposto ad andare in America e parlare davanti al Congresso per spiegarla insieme ai leader religiosi cristiani siriani. Quando tre anni fa fu ucciso mio figlio, davanti a tutto il mondo dissi: “Vi prego, non appiccate l’incendio in Siria, perché questo fuoco si estenderà a tutto il mondo. Si sveglieranno anche le cellule dormienti che sono in America e in Europa”. Solamente oggi cominciano a credermi».

http://www.tempi.it/occidente-non-tradire-il-mio-popolo-intervista-esclusiva-al-gran-mufti-di-siria#.VHJMrmB0wqQ

sabato 22 novembre 2014

I Paesi del Golfo e il terrorismo islamico

Il recente summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo potrebbe rappresentare una svolta nei rapporti con l'Isis


Zenit.org,  

di Naman Tarcha 

Riordinare la “Casa del Golfo”. È questo l’obiettivo a cui è giunto il Consiglio di Cooperazione del Golfo, riunitosi in un summit a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, lo scorso 16 novembre. Il risultato conseguito è stato il ritorno degli ambasciatori di Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita in Qatar, dopo che i propri governi li avevano richiamati nel marzo scorso.

La crisi diplomatica con Doha può ritenersi dunque appianata. La causa scatenante era stato il protagonismo assoluto ostentato dal Qatar, uno dei Paesi più ricchi della regione, che si è rivelato in una politica estera che gli altri Paesi del Golfo avevano considerato dannosa ai loro interessi e agli equilibri politici dell’area.
Il Qatar, sovente accusato di un silenzioso sostegno a diverse formazioni islamiste, è stato accostato anche al Movimento dei Fratelli Musulmani, messo al bando da diversi Paesi arabi giacché considerato organizzazione terroristica.
Proprio questo rapporto privilegiato con i Fratelli Musulmani é stato uno dei motivi dell'isolamento di Doha, la quale ospita i loro leader. Doha che inoltre rappresenta, insieme al suo principale alleato, la Turchia, una seria minaccia alle politiche saudite a sostegno del potere di Al Sisi in Egitto e in tutto il Medio Oriente. All'interno di questo scacchiere si collocano poi le dichiarazioni dell’Isis secondo cui l’Arabia Saudita sarebbe il loro prossimo obiettivo bellico.
Uno degli elementi che ha particolarmente spinto il Qatar a rivedere la sua politica, è stato la pubblicazione da parte degli Emirati Arabi di una “lista nera” composta di ottantatre enti religiosi e movimenti politici dichiarati organizzazioni terroristiche. In cima compare il Movimento dei Fratelli Musulmani e l’Unione mondiale degli ulema islamici.
http://erebmedioriente.tumblr.com/post/102869959331/islam-emirati-arabi-contro-i-fratelli-musulmani-di

Quest’ultima organizzazione, nata a Londra nel 2004, è guidata dallo sceicco egiziano Yusuf Qaradawi, residente in Qatar, presidente dell’Unione e noto  propagandista di Al Jazeera. Qaradawi aveva dichiarato recentemente illecito combattere l’Isis, rivelando che Al Baghdadi, capo dell’organizzazione terroristica, è affiliato ai Fratelli Musulmani.
La lunga lista comprende 23 brigate legate ad al Qaeda che combattono tra le fila dell’opposizione contro il governo siriano, come Ahrar Al Sham e Al Nusra. Accanto a queste organizzazioni impegnate sui campi di battaglia, ve ne sono altre che sono considerate luogo di raccolta di denaro per finanziare i terroristi con armi o per reclutarli: tra loro spiccano l’Unione delle organizzazioni islamiche in Europa e diverse organizzazioni islamiche europee, tra le quali anche l’Alleanza Islamica d'Italia.
http://www.iltempo.it/cronache/2014/11/18/alleanza-islamica-italia-nella-lista-del-terrore-1.1345956

La pubblicazione di questa lista da parte degli Emirati Arabi e la frattura risanata tra Paesi del Golfo e Qatar, sono due elementi che potrebbero rappresentare una svolta capace di coinvolgere tutto il Medio Oriente.
Un ricco canale di finanziamento nei confronti dei terroristi si avvia verso la chiusura?

http://www.zenit.org/it/articles/i-paesi-del-golfo-e-il-terrorismo-islamico

giovedì 20 novembre 2014

Il video falso di una guerra che vive di disinformazione



Un video che ha avuto cinque milioni di visualizzazioni in tutto il mondo. Un ragazzino che salva la vita a un’altra bambina sotto il fuoco implacabile di un cecchino dell’esercito regolare di Damasco. La voce fuori campo, in arabo, che urla, quando il bambino colpito si rialza dopo esser stato colpito, “Dio è grande”, “è vivo”. Il fanciullo per giorni è assurto a eroe della resistenza siriana contro Assad.

Era un falso, ed è stato girato a Malta dal regista norvegese Lars Klevberg ed è costato 33 mila euro. A rivelarlo gli stessi autori.

Solo un piccolo esempio della grande disinformazione che attanaglia il conflitto siriano (e altri in Medio Oriente e nel mondo arabo).

Il video appare di ottima fattura ed era impossibile per un osservatore normale intuirne la falsità. Un po’ come tante immagini apparse in questi anni su web e giornali riguardanti questa guerra feroce, che hanno contribuito a creare l’alone di mostro sanguinario intorno alla figura di Assad (fino a cinque anni fa era ricevuto in pompa magna da molte cancellerie occidentali).

Grazie a questa disinformazione si alimenta una guerra che uccide bambini veri, quelli che ogni giorno vanno a scuola sotto le bombe della resistenza siriana, alias Al Nusra, alias IS, alias esercito siriano libero (che di libero ha solo la sigla) sotto gli occhi compiacenti e conniventi delle petromonarchie del Golfo e dei governi occidentali.

http://www.piccolenote.it/21180/il-video-falso-di-una-guerra-che-vive-di-disinformazione


Nella 'Giornata Internazionale dei Diritti del Bambino' ..... una preghiera per questi poveri bimbi indottrinati a essere 'martiri' 


martedì 18 novembre 2014

Cosa otterrebbe la 'nuova strategia' di Obama? Un conflitto apocalittico e nefasto che si allargherebbe a tutto il Medio Oriente





La Nuova Bussola quotidiana, 16-11-2014
di Gianandrea Gaiani 

Dopo tre mesi di inconcludente campagna aerea contro il Califfato, Barack Obama ha di nuovo cambiato idea: il nemico torna a essere il presidente siriano Bashar Assad. Come l’anno scorso quando solo le pressioni di Mosca impedirono a Washington di ”punire” il regime siriano, per l’impiego del gas nervino contro i civili, che in realtà era da attribuire ai ribelli salafiti filo-sauditi, che nessuno ha mai però punito per quel crimine. La rivisitazione della strategia statunitense in Medio Oriente continuare a lasciare sconcertati almeno a sentire le indiscrezioni filtrate dalla Cnn secondo cui Obama sarebbe pronto a cambiare strada per "distruggere" l'Is in Siria rimuovendo dal potere Bashar Assad, valutazione ardita considerato che l’Is e i qaedisti di al-Nusra sono nemici del presidente siriano.

Il presidente americano avrebbe chiesto ai suoi consiglieri di mettere a punto un nuovo piano, dopo aver riconosciuto di aver commesso un errore di calcolo sulla dottrina anti-Califfato, che inizialmente prevedeva di concentrarsi sull'Iraq (dove i raid aerei sono iniziati l'8 agosto) e solo dopo sulla Siria (dove le incursioni hanno preso il via il 23 settembre) ma trascurando gli sforzi per abbattere il regime di Damasco. Una valutazione bizzarra dal momento che l’intervento internazionale contro lo Stato Islamico ha preso il via solo dopo l’occupazione jihadista di Mosul e di ampie aree del Nord e dell’Ovest iracheno. Finché le forze di Abu Bakr al-Baghdadi combattevano in Siria contro Assad nessuna Coalizione internazionale è mai stata istituita a conferma che l’attacco all’Is si è esteso “controvoglia” ai territori siriani solo perché è impossibile sconfiggere il Califfato in Iraq senza bombardarlo anche nelle sue retrovie a Raqqa e in altre aree della Siria.


Secondo quanto riferisce la Cnn, nelle scorse settimane il presidente ha convocato quattro riunioni su questo argomento e tra le ipotesi discusse ci sarebbe l'imposizione di una no-fly zone al confine con la Turchia, come richiesto da Ankara che pretende di costituire una zona cuscinetto nel nord del territorio siriano, offrendo in cambio il via libera all’impiego del suo esercito: di fatto l’invasione almeno parziale della Siria. Allo stesso tempo l’obiettivo di Washington è accelerare il programma di reclutamento e addestramento della cosiddetta “opposizione siriana moderata” dell’ Esercito Siriano Libero (Esl), con 2 mila reclute da addestrare, con fondi Usa, a partire da inizio dicembre nella caserma turca di Kirsehi.
Peccato però che l’Esl sia stato recentemente cancellato dal campo di battaglia nel Nord dopo che le forze di al-Nusra hanno occupato l’area di Idlib convincendo le brigate dell’Esl a passare sotto le sue bandiere. I ribelli “moderati” mantengono un minimo di attività nel sud siriano, lungo il confine giordano ma anche lì sono minacciati da qaedisti di al-Nusra che controllano il confine israeliano sul Golan.  Fonti dell'Amministrazione americana hanno riferito alla Cnn che per il momento non vi è una "revisione formale" della strategia in Siria, ma hanno confermato la preoccupazione su alcuni aspetti dell'offensiva contro il Califfato e la discussione per "ricalibrare" la missione.




In effetti, l’offensiva aerea non sta dando grandi risultati sia perché il nemico occulta sul terreno truppe e mezzi (solo un aereo su 4 trova bersagli per le sue bombe hanno riferito al New York Times fonti del Central Command statunitense), ma certo allargare il tiro alle forze di Assad, le uniche a contrastare sul campo le milizie del Califfato, non aiuterà la lotta al jihad. Il Pentagono sembra ancora una volta dissentire dalle strategie “ricalibrate” di Obama e il capo di Stato maggiore interforze, il generale Martin Dempsey, che ieri si è recato a Baghdad per valutare la situazione, si prepara a ribadire al presidente l’esigenza di inviare truppe americane per affiancare le forze irachene per riprendere il controllo di Mosul. «Non prevedo a questo punto di raccomandare che i soldati iracheni siano affiancati dalle nostre truppe nel combattere l'Is, ma stiamo sicuramente considerando l'ipotesi», ha detto Dempsey durante un'udienza alla Camera. 

La nuova strategia di Obama in Siria, se trovasse conferma, lascerebbe aperti molti interrogativi confermando che l’assoluta priorità di Washington anche in Medio Oriente è la destabilizzazione e il caos.

Per rovesciare Assad occorrerebbe innanzitutto privarlo del supporto politico, economico e militare di Mosca. Nei mesi scorsi i sauditi (che sembrano dettare l’agenda mediorientale di Obama) provarono a indurre Putin a lasciare andare a fondo Assad in cambio di una riduzione della produzione petrolifera di Riad che avrebbe lasciato il prezzo del greggio intorno ai 100 dollari garantendo ampie entrate all’economia russa. Putin rispose picche ma oggi, col petrolio sotto gli 80 dollari al barile a causa del massiccio export di “shale oil” statunitense e canadese i russi potrebbero essere tentati dall’accettare quell’intesa? Oltre agli interrogativi politici, far cadere Assad è un’operazione militarmente impossibile con le attuali forze in campo: Obama non vuole inviare truppe americane in Siria a combattere mentre le unità aeree disponibili oggi si sono rivelate insufficienti contro l’Is e lo sarebbero ancor di più in caso di guerra contro Assad. Occorrerebbero quindi più forze aeree Usa e alleate per una guerra convenzionale, con costi maggiori e perdite assicurate considerando che la difesa aerea di Assad è curata da personale russo e incute timore alle potenze occidentali.


Inoltre per annientare le forze di Assad (forze armate, milizie sciite, Hezbollah, pasdaran iraniani) lo sforzo aereo non sarebbe certo sufficiente. E poi chi lo condurrebbe un attacco terrestre? Gli eserciti arabi e turco, oppure le stesse forze ribelli che sono però costituite al 90 per cento dai qaedisti di al-Nusra e i jihadisti dello Stato Islamico?  Anche il solo indebolimento delle forze governative siriane favorirebbe sul campo il successo dei due movimenti islamisti che, se occupassero l'intera Siria provocherebbero il massacro o la fuga di milioni di sciiti alawiti, cristiani e drusi. Anche senza considerare il ruolo della Russia, la guerra ad Assad porterebbe all’intervento iraniano mentre il governo sciita iracheno, amico di Damasco considerato un alleato contro la minaccia comune del Califfato, uscirebbe probabilmente dalla Coalizione cacciando gli americani (con i quali è già ai ferri corti per lo scarso appoggio bellico contro l’IS) e appoggiandosi all’Iran che ha già sue truppe in territorio iracheno come in quello siriano.


In prospettiva quindi la “nuova strategia” di Obama otterrebbe il risultato di definire nitidamente un conflitto totale tra sciiti e sunniti in cui Washington si porrebbe ufficialmente a metà strada (contro Assad e contro il Califfato) ma di fatto dalla parte dei sunniti e soprattutto delle monarchie petrolifere del Golfo che hanno armato e finanziato l’IS e da un mese e mezzo fingono di fargli la guerra in Siria. Un conflitto apocalittico e nefasto che si allargherebbe a tutto il Medio Oriente senza risparmiare un confronto nel Golfo tra Riad e Teheran da cui uscirebbero rafforzati solo i jihadisti.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-contrordine-marines-il-nemico-e-di-nuovo-assad-10951.htm

domenica 16 novembre 2014

Oggetti di morte diventati opere d’arte, oggetti di preghiera


Cari amici,
tutti i giorni, durante questa guerra “ senza nome “, ingiusta ed ingiustificata, ogni Suora della Comunità  ha raccolto sulla terrazza e nel recinto dell’Ospedale delle pallottole, delle schegge, dei frammenti di proiettili esplosivi… che deponiamo in una scatola in Comunità.

Certamente tre anni di souvenirs, ma molto di più, tre anni di prove tangibili della protezione particolare del Signore, perché neppure uno di questi proiettili ha ferito nessuna!
Poi è arrivato il giorno in cui la scatola traboccava. Il Signore mi ha ispirato di fare di questi oggetti che seminano la morte dei simboli di vita:

-Anzitutto una Croce
Strumento di morte presso i Romani, la Croce è diventata il simbolo universale che dice la speranza della Resurrezione, la vittoria totale sulla morte e su questi strumenti di morte destinati a disseminarla.
Al centro, il Cristo nostro Salvatore riconcilia e risolve tutte le opposizioni in un equilibrio perfetto di perdono, di riconciliazione, di giustizia e di amore universale, che la nostra preghiera invoca intensamente ogni giorno.




-Un rosario
Appello vibrante alla Vergine Maria perché Ella interceda presso suo Figlio, per ottenerci la Pace.  Dall’inizio degli eventi, ogni sera il Rosario ci ha riuniti con il personale e coloro che accompagnano i malati.
È grazie a Maria Consolatrice che abbiamo avuto ed abbiamo la forza di restare  in piedi davanti alla croce del suo figlio Gesù .





















Cari amici, con il vostro sostegno di cui vi ringraziamo e la nostra unione nella preghiera, custodiamo la speranza di vivere un giorno - che speriamo sia vicino - la fine di queste atrocità e di queste sofferenze indicibili.

Suor Arcangela Orsetti
Ospedale St Louis- Aleppo , Siria

martedì, 11 novembre 2014

venerdì 14 novembre 2014

I Vescovi siriani e 'il gioco del domino mondiale'

Trattative per la tregua di Aleppo. Il Vescovo Abou Khazen: è utile solo se ci avvicina alla pace vera


Agenzia Fides 12/11/2014

Aleppo  – “Tra la popolazione di Aleppo c'è speranza, ma anche scetticismo davanti all'ipotesi di una tregua che faccia tacere le armi nella regione di Aleppo”: così il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, descrive i sentimenti contrastanti tra gli abitanti della metropoli siriana davanti alle trattative messe in campo dall'Onu per raggiungere in quell'area un cessate il fuoco nel conflitto tra esercito siriano e milizie ribelli.
La possibilità che si arrivi alla fine delle violenze è ovviamente auspicata da tutta la popolazione civile. “Ma tutti - spiega all'Agenzia Fides il Vescovo francescano - desiderano che la tregua rappresenti solo il primo passo per instaurare un processo autentico di pace e di riconciliazione. 
In caso contrario, un cessate il fuoco provvisorio darebbe solo alle parti in lotta il tempo di riorganizzarsi, provare a infiltrarsi nei territori controllati dall'altra parte e riprendere la lotta con ancor più virulenza, come è già capitato altre volte. 
In questo senso - chiarisce il Vescovo Abou Khazen - le espressioni che parlano di 'congelamento' della situazione sul campo non convincono, e finiscono per alimentare scetticismo. La popolazione è esausta, non ce la fa più, vuole la pace vera e duratura. E spera che Aleppo possa fare da battistrada a un processo di pacificazione che si allarghi gradualmente a tutto il Paese”. 

La proposta di una tregua nell'area di Aleppo è portata avanti dall'inviato delle Nazioni Unite in Siria, Staffan de Mistura, che a tale scopo in questi giorni sta svolgendo una missione nel Paese arabo. 
Ieri, durante una conferenza stampa a Damasco, ha parlato di ''interesse costruttivo'' espresso dal governo siriano davanti all'ipotesi di un cessate il fuoco nella metropoli contesa tra esercito fedele a Assad e milizie ribelli.



L'Arcivescovo Hindo: se gli Usa attaccano l'esercito siriano, avremo una seconda Libia



Agenzia Fides 14/11/2014

Hassakè - “Se l'intervento a guida Usa contro i jihadisti dello Stato Islamico finirà per rivolgersi contro l'esercito siriano, in Siria potremmo avere una seconda Libia”. Così l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare dell'arcieparchia di Hassakè-Nisibi, descrive le incognite e i pericoli connessi ai possibili sviluppi delle iniziative militari a guida Usa realizzate anche in territorio siriano contro le postazioni dello Stato Islamico. 
In una conversazione con l'Agenzia Fides, l'Arcivescovo cattolico di rito orientale conferma che per ora le incursioni aeree dell'esercito siriano contro le postazioni dei jihadisti si sommano a quelle compiute contro gli stessi obiettivi dagli aerei Usa. 
Descrive poi, con toni preoccupati, la condizione incerta vissuta dalle popolazioni nella regione che comprende le città di Hassake e Qamishli, nella provincia siriana nord-orientale di Jazira.
 “Più di un mese fa - riferisce a Fides mons. Hindo - l'esercito siriano ha attaccato il quartiere di Hassakè dove si trovavano circa 250 militanti dello Stato Islamico, prendendone il controllo. Da allora, nei due centri abitati si vive una relativa calma. Ma le postazioni dei jihadisti sono solo a 15 chilometri da Hassakè e a una ventina da Qamishli. Se decidono di attaccare, magari coi rinforzi delle loro milizie cacciate dall'Iraq, una loro offensiva su larga scala metterebbe in pericolo la vita di quasi un milione di persone, tra cui 60mila curdi e 120mila cristiani”.
L'Arcivescovo Hindo ridimensiona anche le notizie circolate in rete su presunte “milizie cristiane” in azione nella regione: “si tratta solo di qualche centinaio di assiri, collegati in parte alle milizie curde e in parte alle truppe dell'esercito regolare. Ma è una piccola fazione che non può avere nessun peso determinante nel caso di un'escalation degli scontri armati”.



Siria: il gioco del domino mondiale e la variabile dei gruppi jihadisti

di Patrizio Ricci


Cosa conta veramente in Siria? La vita dei civili e la democrazia? La parola ai fatti, mai ascoltati. 

leggi su: La  Perfetta Letizia  : http://nblo.gs/11mj8F


Isis in Syria: In the shadow of death, a few thousand Christians remain to defy militants

Robert Fisk ,  Qamishli, Wednesday 12 November 2014


Micalessin: "In Siria massacrano i cristiani e Obama si affida a ribelli moderati che non esistono"

     leggi qui

http://notizie.tiscali.it/articoli/esteri/14/11/14/siria-crisi-intervista-gian-micalessin.html 

mercoledì 12 novembre 2014

Papa: il G20 trovi un accordo per fermare il terrorismo in Medio Oriente

Lettera di Francesco al Vertice di Brisbane. 
La risposta alla "ingiusta aggressione" non può essere solo militare ma deve estendersi a chi finanzia, ma anche alle "cause profonde" come la povertà o l'esclusione. I cittadini vanno difesi anche da "altre forme di aggressione", come "gli abusi nel sistema finanziario".

 AsiaNews - 11/11/2014

 La comunità internazionale e in particolare i Paesi del G20 debbono fermare "l'ingiusta aggressione" del terrorismo in Medio Oriente, anche eliminandone appoggi e cause, come la povertà e l'esclusione, ma debbono proteggere i cittadini anche da altre "forme di aggressione" come "gli abusi nel sistema finanziario". Lo scrive papa Francesco in una lettera al Primo ministro dell'Australia, Tony Abbott, in quanto attuale presidente del G20 e in vista del Vertice dei capi di Stato e di governo dei 20 Paesi con le maggiori economie che si svolgerà il 15 e 16 novembre prossimo a Brisbane.

"Il mondo intero - afferma il Papa - si attende dal G20 un accordo sempre più ampio che possa portare, nel quadro dell'ordinamento delle Nazioni Unite, a un definitivo arresto nel Medio Oriente dell'ingiusta aggressione rivolta contro differenti gruppi, religiosi ed etnici, incluse le minoranze".
 La risposta al terrorismo, si legge ancora nel messaggio - non può essere limitata al piano militare, ma "si deve anche concentrare su coloro che in un modo o nell'altro incoraggiano gruppi terroristici con l'appoggio politico, il commercio illegale di petrolio o la fornitura di armi e tecnologia. Vi è inoltre la necessità di uno sforzo educativo e di una consapevolezza più chiara che la religione non può essere sfruttata come via per giustificare la violenza". 
Essa "dovrebbe inoltre condurre ad eliminare le cause profonde del terrorismo, che ha raggiunto proporzioni finora inimmaginabili; tali cause includono la povertà, il sottosviluppo e l'esclusione".

Ma, aggiunge il Papa, "la comunità internazionale, e in particolare gli Stati Membri del G20 dovrebbero anche preoccuparsi della necessità di proteggere i cittadini di ogni Paese da forme di aggressione, che sono meno evidenti, ma ugualmente reali e gravi. Mi riferisco specificamente agli abusi nel sistema finanziario, come quelle transazioni che hanno portato alla crisi del 2008 e più in generale alla speculazione sciolta da vincoli politici o giuridici e alla mentalità che vede nella massimizzazione dei profitti il criterio finale di ogni attività economica. Una mentalità nella quale le persone sono in ultima analisi scartate non raggiungerà mai la pace e la giustizia. Tanto a livello nazionale come a livello internazionale, la responsabilità per i poveri e gli emarginati deve perciò essere elemento essenziale di ogni decisione politica".

"Vorrei chiedere ai Capi di Stato e di Governo del G20 - si legge ancora nella lettera - di non dimenticare che dietro queste discussioni politiche e tecniche sono in gioco molte vite e che sarebbe davvero increscioso se tali discussioni dovessero rimanere puramente al livello di dichiarazioni di principio. Nel mondo, incluso all'interno degli stessi Paesi appartenenti al G20, ci sono troppe donne e uomini che soffrono a causa di grave malnutrizione, per la crescita del numero dei disoccupati, per la percentuale estremamente alta di giovani senza lavoro e per l'aumento dell'esclusione sociale che può portare a favorire l'attività criminale e perfino il reclutamento di terroristi. Oltre a ciò, si riscontra una costante aggressione all'ambiente naturale, risultato di uno sfrenato consumismo e tutto questo produrrà serie conseguenze per l'economia mondiale".

http://www.asianews.it/notizie-it/Papa:-il-G20-trovi-un-accordo-per-fermare-il-terrorismo-in-Medio-Oriente-32671.html


Papa: ci sia nel mondo una "mobilitazione di coscienze in favore dei cristiani perseguitati"


AsiaNews - 12/11/2014

"Accorato appello" del Papa "a quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale, come pure a tutte le persone di buona volontà, affinché si intraprenda una vasta mobilitazione di coscienze in favore dei cristiani perseguitati. Essi hanno il diritto di ritrovare nei propri Paesi sicurezza e serenità, professando liberamente la propria fede".

Papa Francesco ha espresso così, al termine dell'udienza generale di oggi la "grande trepidazione" con la quale segue "le drammatiche vicende dei cristiani che in varie parti del mondo sono perseguitati e uccisi a motivo del loro credo religioso. 
Sento il bisogno di esprimere la mia profonda vicinanza spirituale alle comunità cristiane duramente colpite da un'assurda violenza che non accenna a fermarsi, mentre incoraggio i Pastori e i fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza". 
E "per tutti i cristiani perseguitati perché cristiani invito a pregare un Padre Nostro ...".

http://www.asianews.it/notizie-it/Papa:-ci-sia-nel-mondo-una-mobilitazione-di-coscienze-in-favore-dei-cristiani-perseguitati-32675.html

lunedì 10 novembre 2014

Il Pontificio Consiglio per il dialogo: I crimini e la barbarie del Califfato islamico

I militanti del Califfato responsabili di azioni indegne dell'uomo: esecuzioni pubbliche, umiliazione delle donne, terrore,.. verso cristiani, yazidi e membri di altre religioni. L'invito ai capi religiosi e i governi islamici a condannare e perseguire tali crimini perché sia credibile la loro volontà di dialogo. Potenziare la convivenza fra cristiani e musulmani che pur fra alti e bassi dura da secoli.

 
le ragazze dell'Università a Mosul nello Stato Islamico



Città del Vaticano (AsiaNews) - Il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso denuncia senza mezzi termini la serie di violenze che i militanti del califfato islamico sta compiendo in Medio Oriente, soprattutto in Iraq e in Siria. L'organismo vaticano domanda ai membri di tutte le religioni e della comunità internazionale di unirsi nella condanna. Esso chiede anche ai capi religiosi islamici di condannare l'uso falso della religione come giustificazione al terrorismo, per rendere più vera e più credibile la cultura della convivenza e del dialogo, cresciuta in questi anni. Riportiamo qui di seguito la traduzione integrale della dichiarazione pubblicata  dal Pontificio consiglio.

Il mondo intero ha assistito con stupore a ciò che viene ormai chiamata "la restaurazione del califfato", che era stato abolito il 29 ottobre 1923 da Kemal Ataturk, fondatore della Turchia moderna.
Le critiche di questa "restaurazione" da parte della maggioranza delle istituzioni religiose e politiche musulmane non ha impedito ai jihadisti dello "Stato islamico" di commettere e continuare a commettere azioni criminali indicibili.

Questo Pontificio consiglio, tutti coloro che sono impegnati nel dialogo interreligioso, gli aderenti di tutte le religioni, come pure le donne e gli uomini di buona volontà non possono che denunciare e condannare senza ambiguità queste pratiche indegne dell'uomo:
-      il massacro di persone per il solo motivo della loro appartenenza religiosa;
-      le pratiche esecrabili della decapitazione, crocifissione e l'impiccagione dei cadaveri nei luoghi pubblici;
-      la scelta imposta a cristiani e yezidi fra la conversione all'islam, il pagamento di un tributo (jizya) o l'esodo;
-      l'espulsione forzata di decine di migliaia di persone, fra le quali bambini, vecchi, donne incinta e malati;
-      il rapimento di ragazze e di donne appartenenti alle comunità yezida e cristiana come bottino di guerra (sabaya);
-      l'imposizione della pratica barbara dell'infibulazione;
-      la distruzione dei luoghi di culto e dei mausolei cristiani e musulmani;
-      l'occupazione forzata o la dissacrazione di chiese e monasteri;
-      l'eliminazione di crocifissi e altri simboli religiosi cristiani  e di altre comunità religiose;
-      la distruzione del patrimonio religioso-culturale cristiano, dal valore inestimabile;
-      la violenza abbietta allo scopo di terrorizzare le persone per obbligarle ad arrendersi o a fuggire.

Nessuna causa potrebbe giustificare una tale barbarie e senz'altro nessuna religione. Si tratta di un'offesa di estrema gravità verso l'umanità e verso Dio che ne è il Creatore, come ha spesso ricordato papa Francesco.
Non si può dimenticare comunque che - seppure con alti a bassi - cristiani e musulmani hanno potuto vivere insieme lungo i secoli, costruendo una cultura della convivialità e una civiltà di cui sono fieri. Ed è su questa base che in questi ultimi anni il dialogo fra cristiani e musulmani ha continuato e si è approfondito.
La drammatica situazione dei cristiani, degli yazidi e delle altre comunità religiose ed etniche numericamente minoritarie in Iraq esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà. Tutti devono essere unanimi nella condanna senza ambiguità di questi crimini e denunciare l'appello alla religione per giustificarli.

Altrimenti quale credibilità avranno le religioni, i loro aderenti e i loro capi?

Quale credibilità potrebbe ancora avere il dialogo interreligioso così pazientemente perseguito in questi ultimi anni?

I responsabili religiosi sono anche chiamati a esercitare la loro influenza presso i governanti perché cessino tali crimini, siano puniti coloro che li commettono, si ristabilisca uno stato di diritto su tutto il territorio, assicurando il ritorno degli sfollati a casa loro. Ricordando la necessità di un'etica nella gestione delle società umane, questi stessi capi religiosi non mancheranno di sottolineare che il sostegno, il finanziamento e l'armare il terrorismo è da condannare moralmente.
Ciò detto, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso è riconoscente verso tutti coloro che hanno già levato le loro voci per denunciare il terrorismo, soprattutto quello che utilizza la religione per giustificarlo.
Uniamo dunque le nostre voci a quella di papa Francesco: "Che il Dio della pace susciti in noi un desiderio autentico di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace!".

 http://www.asianews.it/notizie-it/Il-Pontificio-Consiglio-per-il-dialogo:-I-crimini-e-la-barbarie-del-Califfato-islamico-31876.htm


"SPERANDO CONTRO OGNI SPERANZA" :
video dell'incontro con il Patriarca Sako
Milano, 21 ottobre '14





giovedì 6 novembre 2014

Testimonianza di Mons. Nazzaro : La Primavera Siriana - dai prodromi al Califfato

Conferenza di Monsignor Giuseppe Nazzaro, Vicario Apostolico emerito di Aleppo, presso l'Istituto Veritatis Splendor  a Bologna, il 30 ottobre 2014



Mi sia concesso iniziare questa mia presentazione affermando che, prima del 15 marzo 2011 non erano tantissime le persone al mondo che conoscevano dove trovare la Siria sulla carta geografica. Era un problema di pochi addetti ai lavori. Raggiungeva piuttosto certi ambienti colti che si interessavano di archeologia, dei popoli legati alle antiche civiltà assiro-babilonesi o di storia del cristianesimo.
Il mondo intero, oggi, parla della Siria e si interessa di questo paese di circa 185.180 kmq, che si estende sulla costa del Mediterraneo Orientale per circa 80 Kilometri.

I prodromi della situazione
La data del 15 marzo 2011, ufficialmente, coincide con quella che possiamo definire: l’inizio di una rivoluzione nata 'quasi per gioco' al confine con la Giordania, sui muri della città di Dera’a, ad opera di dodicenni che s’erano divertiti a scrivere dei graffiti del seguente tenore: “abbasso il regime”.
Ciò che all’inizio, poteva sembrare un gioco o, meglio, una ragazzata, in realtà, non era altro che l’inizio di una richiesta di maggiore apertura al Governo centrale del paese che, per i non addetti ai lavori o per chi non aveva conosciuto la Siria prima dell’anno 2000, avrebbe potuto anche essere una richiesta legittima. Chi invece vi è vissuto, ha visto e costatato con i propri occhi non solo l’apertura del Governo verso le riforme sociali, ma soprattutto ha visto il benessere che le riforme avevano già portato e continuavano a portare al popolo siriano.
Ora non penso di dire un’eresia se affermo che il giovane dottore Bachar El-Assad, dopo alcuni mesi dalla sua elezione alla Presidenza della Repubblica Araba Siriana, ha iniziato immediatamente una serie di riforme per il benessere del paese e dei suoi compatrioti: commercio con l’estero, turismo interno ed estero, soprattutto libertà di movimento, di istruzione per uomini e donne. Le donne libere professioniste in continuo aumento, l’Università aperta a tutti senza distinzione di sesso. Un paese dove vivevano diverse etnie e 23 gruppi religiosi e tutti si rispettavano e si accettavano in quanto facenti parte, come in realtà si ritenevano, di un’unica realtà e figli di un unico paese che era la Siria, casa e Patria comune a tutti. Dal punto di vista religioso tutti erano liberi di esercitare e vivere il loro credo rispettati ed accettati da tutti.
I cristiani siriani, dopo l’Egitto, costituivano la comunità più numerosa del Medio Oriente. Erano circa il 10-11% su una popolazione totale di circa 23.500.000, godevano di una legislazione propria per quanto riguarda i tribunali ecclesiastici, l’eredità, l’adozione dei bambini (cosa non ammessa dalla Legge islamica), ecc. Le relazioni con tutti erano improntate sul reciproco rispetto. Dobbiamo dire, ad onore del vero che, dopo il viaggio del Pontefice oggi San Giovanni Paolo II, effettuato nel Maggio del 2001, il popolo siriano e gli intellettuali hanno preso una maggiore coscienza riconoscendo ai cristiani siriani un ruolo non irrilevante nel paese ed hanno contribuito in modo determinante al benessere della Siria. Tutto questo si concretizza in maniera pubblica ed ufficiale quando in diverse circostanze il Grand Moufti di Siria, Dott. Badr Ed-Dine Hassoun, dichiara pubblicamente che “i cristiani sono cittadini siriani a tutti gli effetti, la Siria è la loro casa, fanno male ad abbandonarla, dovunque andranno, saranno sempre degli estranei, mentre in Siria no, perchè sono a casa propria”, e questo fu il messaggio che lo stesso Mufti inviò al Sommo Pontefice al momento in cui rientrava in Italia l’allora Nunzio Apostolico, S.E. Giovanni Battista Morandini.

La primavera siriana.
Naturalmente, la polizia si rese subito conto che dietro i graffiti di Dera’a vi era qualcuno e qualcosa di più grosso del semplice gioco o di una ragazzata. Vi era un mandante o dei mandanti, tanto per stare nel clima di quei popoli e della loro mentalità: lanciare il sasso e nascondere il braccio, o se si vuole meglio: servirsi di scudi umani non perseguibili.
Circa una settimana dopo a Damasco vi furono delle manifestazioni di piazza che chiedevano delle riforme, nello specifico si chiedeva: l’abolizione della legge di emergenza (una legge che risaliva agli inizi degli anni 60 ma che in realtà non era più applicata tanto che lasciò molti scioccati chiedendosi se veramente esisteva detta legge); una nuova Costituzione; una Università islamica; il velo alle donne negli uffici governativi e pluripartitismo.
La risposta del Governo ai richiedenti fu immediata, concedendo  ciò che avevano chiesto: abolizione della vecchia legge di emergenza, la creazione di una Commissione di giuristi per riscrivere la Costituzione, l’Università islamica ed il velo alle donne sul lavoro e libertà di unirsi in differenti formazioni politiche.
Con queste risposte il Governo spiazzò i richiedenti. Evidentemente questi non si attendevano un esito positivo a loro favore. Continuarono le manifestazioni di piazza, ma non le fiumane di gente che trasmetteva l’emittente Al-Jiazirah, passando immediatamente ad azioni terroristiche, prima con un attentato di enormi proporzioni in Damasco, contro una caserma in centro città ed in pieno quartiere cristiano, poi con un altro attentato in un crocevia frequentatissimo: entrambi gli attentati lasciarono per terra decine e decine di morti. Dal sud del paese, e precisamente, dalla vicina Giordania entrarono i combattenti Salafiti (dove avevano il loro campo di addestramento) ed attaccarono subito la città di Banias, sulla costa mediterranea, nel cuore della regione a maggioranza Alawita. Combatterono per oltre due mesi; non avendo avuto ragione dell’esercito, abbandonarono Banias e si diressero sulle città dell’interno quali Homs ed Hama.
Nella città di Homs lo scorso 7 aprile è stato ucciso il campione del dialogo e della convivenza islamo-cristiana, P. Franz Van der Lugt sj, oggi la sua tomba è meta di continui pellegrinaggi di cristiani e musulmani.
Il resto del paese, possiamo dire, viveva quasi tutto nella normalità. L’unica cosa che faceva stare allerta la popolazione erano i continui blocchi stradali che i viaggiatori dovevano attraversare: molti erano derubati di quanto avevano, altri fermati finché non venisse pagato per loro un riscatto. In questa sorta di guerra erano presi di mira i cristiani, i religiosi, e le persone facoltose sia cristiani che musulmani ai quali veniva richiesta una somma esosa per il proprio riscatto. Qualche volta il riscatto veniva pagato, ma il prigioniero non era rilasciato ed allora si capiva che era stato eliminato; a questi blocchi stradali si potevano incontrare terroristi Afgani, Pakistani o Ceceni.
Il sottoscritto, come Vescovo della comunità cattolica latina, ha potuto girare tranquillamente per tutta la Siria, eccetto la zona di Homs e di Hama, fino al mese di Agosto 2012. Poi il viaggiare è diventato rischioso, ma usando alcuni accorgimenti di prudenza e in momenti particolari mi potevo muovere anche fuori la zona di Aleppo dove vivevo abitualmente.
La città di Aleppo, come ho potuto costatare, non ha partecipato attivamente alla rivolta contro il Governo. Aleppo e gli Aleppini, che sono sempre stati il motore dell’economia del paese con le più di 1500 fabbriche, tra grandi e piccole, non voleva certamente perdere il benessere che s’era acquistato con sacrifici enormi sia prima che dopo l’apertura economica operata dal Presidente in carica; purtroppo, oggi di questo benessere non esiste più nulla, tutte le fabbriche sono state saccheggiate dei loro macchinari e trapiantate in Turchia. Certamente questo saccheggio non è stato ad opera dei legittimi proprietari, magari per fuggire le tasse come succede altrove, esse sono state saccheggiate dai terroristi che han tutto venduto per finanziarsi, prima che subentrassero i finanziamenti di alcuni stati arabi ben conosciuti ed appoggiati dalla benedizione del grande fratello. (cfr. Corriere della Sera, 24/09/2014- Antonio Ferrari, pag. 3)
Inizialmente si assisteva a delle manifestazioni per le strade che, dopo la preghiera del venerdì, partivano in corteo gridando abbasso il regime. Partecipavano a questi cortei i fedeli delle moschee che avevano un Imam wahabita, cioè pro Arabia Saudita che, tra l’altro, riforniva di dollari questi Imam: 10 dollari a testa distribuiti a chi scendeva per strada almeno per un’ora gridando: “abbasso il regime”.
In molte zone della città di Aleppo la gente invece è scesa in strada a protestare contro questi prezzolati perché turbavano la pace e la tranquillità. La reazione della popolazione si spiega perché in alcune zone si erano formati gruppi di guerriglieri che combattevano contro tutto e tutti, coinvolgendo non solo la polizia locale ma anche l’esercito che, non essendo preparato alla guerriglia cittadina, ha risposto prima con armi semi pesanti e poi con quelle pesanti. In questo modo sono state distrutte molte case e molti quartieri periferici di Aleppo. Dal canto loro i ribelli hanno incendiato, distruggendolo, il famoso souk coperto di Aleppo dopo averlo saccheggiato dei suoi tesori.
Alcuni di questi guerriglieri, venuti dai paesi sopra citati, sono stati fatti prigionieri ed hanno confessato di essere stati inviati a combattere per liberare Gerusalemme, molti di loro erano dei condannati delle prigioni reali dell’Arabia Saudita e liberati, appunto, perché andassero a liberare la città santa di Gerusalemme passando prima per la Siria.
Con l’avvento dei terroristi stranieri compaiono anche le formazioni terroristiche vere e proprie, quali: Jabhat al-Nusra  – Da’esh – Al-Qaeda che si dividono le zone di influenza e competenza. Jabhat al-Nusra  si schiera nel Governatorato di Idleb a sud di Aleppo e controlla il collegamento tra Aleppo e la città portuale di Lattakia. Daesh ed Al-Qaeda si schierano nel governatorato di Raqqa ad est di Aleppo, controllando tutta la zona fino al confine con l’Iraq.
Le Jabhat al-Nusra , agli inizi del 2012 fecero una incursione notturna nel villaggio cristiano di Ghassanieh costringendo gli abitanti a lasciare le loro case altrimenti sarebbero stati tutti decapitati. Sempre loro, il 2 giugno 2012, hanno decapitato 120 poliziotti nella cittadina di Gisser El-Choughour, nella Provincia di Idleb. Testimoni oculari affermano che le teste di questi poliziotti furono affisse sul frontespizio della caserma, altre furono issate sulla torre pubblica ed i loro corpi gettati nel fiume Oronte. In conseguenza di questi avvenimenti la Missione francescana del vicino villaggio di Kanayé fu invasa dai rifugiati, cristiani, sunniti ed alawiti. Il Padre riuscì a sistemare tutti facendo in modo che non si scontrassero l’uno con l’altro, cioè il sunnita con l’alawita, ecc.

Il 23 giugno 2013, sempre i guerriglieri della Jabhat al-Nusra uccisero, nel convento francescano di Ghassanieh, il P. François Mourad. Avevo visitato questo villaggio il venerdì 22 marzo 2013 e vi trovai, dopo l’esodo obbligato da parte dei terroristi, meno di 20 persone tra cui due sacerdoti e tre Suore. Tutti, in seguito all’uccisione di P. François, furono evacuati. Oggi il villaggio è totalmente in mano ai terroristi. 
Come potete notare, le decapitazioni sono iniziate ben due anni prima, nessuno ne ha mai tenuto conto, eccetto il sottoscritto che l’ha denunziato al mondo intero ma non s’è dato credito alle sue parole. Tirate le conclusioni che volete!
L’esempio di Ghassanieh la dice lunga per tutti i villaggi cristiani che si trovano lungo il fiume Oronte. Agli inizi di dicembre 2013 ai terroristi delle Jabhat al-Nusra subentrano, nella Provincia di Idleb, i terroristi dell’organizzazione Daesh che non sono da meno. Il capo di questa organizzazione s’è presentato nel villaggio di Kanayé chiedendo al Missionario, senza mezzi termini, che se voleva vivere doveva farsi musulmano, doveva far sparire la croce dalla Chiesa, le Statue dei Santi, non doveva suonare le campane, le donne uscendo di casa (anche se tutte cristiane in un villaggio cristiano)  velarsi il capo, perché nel califfato non esistono altro che islamici. Chi vuole vivere all’ombra del califfo o diventa musulmano o sarà eliminato. Siccome il Missionario in questione è un sacerdote che conosce la storia del paese e dell’islam, ha apostrofato l’emissario del califfo ricordandogli che lo stesso Omar aveva accettato i cristiani nel califfato. Questi, vistosi spiazzato fece dietrofront, accontentandosi dell’applicazione delle sue richieste. 
Al Missionario che chiedeva: e se non accettassimo le vostre richieste? La risposta fu: in tre giorni mineremo il villaggio e salterete tutti in aria.

Chi è dietro i terroristi?
In parte perché essi stessi l’hanno ammesso, in parte lo si arguisce per i famosi 10 dollari a testa distribuiti ai manifestanti di Aleppo, e per il poco buon sangue che è sempre intercorso tra sciiti e sunniti, in parte per interessi economici tra i potenti della regione che chiedevano alla Siria di far passare sul proprio territorio il gasdotto verso l’Europa ed il pipeline dell’oro nero fino alla Turchia ed il Mediterraneo...
I fratelli ricchi si sono visti rifiutare il passaggio che, per altro, non poteva essere concesso perché anche l’Iran chiedeva altrettanto e l’amica Russia non vedeva di buon occhio queste concessioni, ed oltretutto bisognava anche proteggere il proprio prodotto.
Quindi, si pesca nel torbido malumore che esisteva contro il Governo, come del resto esiste dappertutto. Allora ci si rivolge ai paladini della democrazia soffiando al loro orecchio: "come? voi, paladini della democrazia mondiale, non sapete che vi è un paese al mondo che non è democratico? È una dittatura, e per giunta, non sono neppure rispettati i diritti umani."
C’è da domandarsi però: chi ascoltava e prendeva in considerazione queste accuse si chiedeva se in casa degli accusatori esistevano ed esistono i diritti umani? Vi è a casa loro una Costituzione e questa  garantiva e garantisce i propri sudditi? È sufficiente ricordarsi quanto è successo nel Bahrein al momento delle richieste della maggioranza sciita del paese, quale è stata la reazione dei paesi confinanti il piccolo sultanato ...

Il grande paladino delle libertà democratiche interviene e detta la sua legge che non è rispettata. Allora che fare? si approfitta di un certo malessere che è nel paese, si armano i malcontenti più facinorosi che attaccano con armi in pugno creando la guerriglia tra le strade cittadine. Tra questi vi è gente che si rifà ad Al-Qaeda, Jabhat al-Nusra , Daesh, e gente che non ha nulla da perdere, viene in Siria non solo per soldi, ma anche per trovare in una jihad che non gli appartiene nuove emozioni alla loro vita altrimenti fallita. Oggi, sul suolo siriano, si contano terroristi di circa 80 paesi che contribuiscono alla distruzione di un paese straordinariamente bello e ricco. Bello per i suoi paesaggi naturali, ricco per la sua ricchezza del sottosuolo, la sua storia, ma soprattutto per la sua ricchezza d’animo, per la sua bontà, per la sua ospitalità, ed il rispetto per gli altri.
Tutti fanno del proprio meglio per armare questi signori venuti da lontano. D’altro canto ci sono anche coloro che sostengono il Governo e lo riforniscono di armi. Tutti, in questa bolgia infernale, sparano e ammazzano. Gli armatori stanno a guardare e attendono l’ora in cui non esisterà più nulla della Siria che abbiamo conosciuto. 
Le armi che noi abbiamo regalato han fatto il loro dovere: hanno distrutto tutto col nostro aiuto. È arrivato, così, il momento di uscire allo scoperto per presentarsi da grandi benefattori altruisti: "ricostruiamo il tutto, voi non dovete preoccuparvi di nulla, salvo pagare il conto alla fine.
Noi, sempre generosamente, li esoneriamo dal pagare il conto e chiediamo loro di lavorare per noi per tot numero di anni, nelle fabbriche che abbiamo ricostruito. Noi vi daremo tutto il materiale necessario per la produzione, vi pagheremo pure un salario perché possiate vivere e produrre per noi. Dopo tot anni noi, sì o no, vi diremo grazie lasciandovi le fabbriche già diventate vecchie che necessitano di essere rinnovate perché il progresso ne ha inventate di più moderne."
Tutto questo in nome della democrazia mentre, in realtà, non è altro che una neo colonizzazione.


La città di Aleppo
Ho accennato al fatto che la città di Aleppo e i suoi abitanti non si son fatti trascinare dalla situazione per lungo tempo. In realtà, la città ha goduto di una quasi totale tranquillità, eccetto una parte della sua periferia est, fino quasi alla fine di novembre 2012. Lo stesso aeroporto internazionale è rimasto aperto fino agli inizi di gennaio 2013, quando fu chiuso al traffico perché era continuamente sotto tiro dei terroristi.
La città ha cominciato a soffrire dal novembre 2012. Molti, soprattutto chi aveva beni, hanno portato la famiglia al sicuro nel vicino Libano, mentre in città restavano gli uomini per continuare la loro attività. Questo sistema è andato avanti finché non si son trovate le fabbriche, una dopo l’altra, vuote dei macchinari perché rubati e venduti in Turchia.
I terroristi hanno attaccato in massa alcuni quartieri della città e così abbiamo avuti i primi sfollati che si sono rifugiati, occupandolo, nel campus universitario. Molti commercianti hanno abbandonato i loro esercizi creandosi uno spazio commerciale sui marciapiedi attorno all’Università, s’era creata così una tendopoli nella stessa città.

 Il 15 gennaio 2013, a pochi metri dal Vescovado ci fu una enorme esplosione di due bombe che fece sul posto oltre 90 vittime: tra queste una religiosa, Sr. Rima Nasri, che dirigeva il convitto Universitario per ragazze povere situato soltanto a una decina di metri dall’esplosione. La Suora stava rientrando in casa quando ci fu lo scoppio e di essa non è mai stato trovato neppure un resto....

La città allora ha cominciato a subire interruzioni di acqua potabile, di elettricità, gasolio per il riscaldamento, benzina. I commercianti in nero iniziarono i loro affari d’oro. L’acqua è stata inquinata perché i terroristi hanno fatto saltare le fogne che si sono riversate nei bacini dell’acqua potabile e così molti han dovuto far ricorso agli ospedali con sintomi di colera.
Oggi la città è per buona parte approvvigionata di acqua dai pozzi che già esistevano in alcune chiese e moschee. Lo stesso Vescovo Latino ne ha fatto perforare uno nel recinto del Vescovado ed ha trovato l’acqua ad oltre 150 metri. Coloro che non possono accedere ai pozzi, perché troppo lontani da casa o corrono pericolo per raggiungerli, continuano a dissetarsi con acque inquinate.
L’interruzione di erogazione di gas da cucina, gasolio da riscaldamento, ha indotto la gente a tagliare selvaggiamente gli alberi dei viali e dei giardini pubblici di cui Aleppo andava fiera. Passare un inverno ad Aleppo senza il minimo riscaldamento è qualcosa di terribile, il freddo vi penetra nelle ossa.
Aleppo, una volta città opulenta per le sue fabbriche, per il suo souk ed il suo commercio, oggi è prostrata, la gente è affamata, gli unici che dispongono di qualche soldo sono coloro che lavorano col Governo, tutto il settore privato è morto.
Oggi, non solo Aleppo, ma tutto il paese vive una situazione veramente tragica. La gente teme l’avanzata dei terroristi tagliagole di ISIS. L’esercito governativo è riuscito a creare un varco abbastanza sicuro per approvvigionare la città, ma quanti possono comperare? La Chiesa, grazie agli aiuti economici che riusciamo a raccogliere e far arrivare, riesce a sollevare un po' le pene di tanta gente che, altrimenti, morrebbe di fame.
La comunità cristiana della città si è ridotta del 60% circa. In città sono rimasti coloro che non hanno alcuna possibilità di trasferirsi altrove, perché privi di mezzi o non hanno parenti in altre zone o Paesi su cui appoggiarsi.

In tutto questo disastro, resta salda sempre la presenza dei missionari religiosi siriani e stranieri: francescani, gesuiti, salesiani, lazaristi, cappuccini, religiosi del Verbo Incarnato, Fratelli Maristi di Champagnat; più uno svariato numero di religiose appartenenti a diverse congregazioni, quali Salesiane, suore di San Giuseppe dell’Apparizione, Suore della Carità, Suore di Madre Teresa di Calcutta, Suore del Verbo Incarnato, Suore dei Santi Cuori, Suore di Besançon, Suore Carmelitane Scalze di clausura ed Apostoliche, Suore Francescane Missionarie di Maria e Suore Francescane del Cuore Immacolato di Maria, Suore di Jesus and Mary.
Tutti questi Istituti si dedicano oggi ad assistere e sostenere quanti a loro si rivolgono per usufruire delle mense che sono state create nei vari Istituti: tutti senza distinzione di credo si rivolgono a loro e tutti sono aiutati, perché tutti figli di uno stesso Padre Celeste. Lo stesso Vicariato Apostolico di Aleppo ha ospitato nel pensionato universitario “Gesù Operaio” un Istituto islamico per handicappati e persone anziane.
Ai religiosi siriani e stranieri dobbiamo rispetto e ammirazione perché potevano abbandonare le loro posizioni per lidi più tranquilli, dove non si corre pericolo della vita: invece, sono rimasti al loro rispettivo posto per aiutare e confortare quanti sono nel dolore e nella necessità.

Il califfato.

I mass media, me lo lascino dire, non sempre hanno reso un buon servizio all’umanità a proposito di questa guerra siriana.
Hanno sempre insistito nel colpevolizzare solo e soltanto il dittatore ed il suo esercito: "L’esercito ha ucciso tante persone..., i morti in Siria fatti dall’esercito sono saliti a questa cifra..., l’esercito ha ucciso tanti bambini..., l’esercito ha creato le fosse comuni..";  un mese e mezzo fa alle Nazioni Unite a Ginevra, nell’ambito della Conferenza sui Diritti umani, ho dovuto ascoltare dal rappresentante di un paese occidentale che (solo) l’esercito siriano continuava ad uccidere. Evidentemente, i terroristi, armati da quel paese e dai loro alleati, non sono mai esistiti; oppure, se c’erano, combattevano l’esercito con armi giocattolo, perciò non facevano vittime...
I Media, non potendo discostarsi dal palinsesto voluto dai potenti, non potevano dire che i terroristi si sono serviti di scudi umani, una cosa caratteristica di quei popoli, creando così una totale disinformazione in occidente.
Quanti hanno realmente compreso che fin dal primo anno e mezzo di guerra la cosiddetta opposizione siriana non esisteva più, non aveva più da dire una sua parola? Chi comandava e chi dirigeva le operazioni erano le varie organizzazioni venute dall’estero, tutto andava verso una direzione che dapprima è sfociata nella creazione del califfato del Levante e poi nella organizzazione attuale del Califfato con il proprio califfo El-Baghdadi (ben conosciuto da chi l’aveva prigioniero e lo ha liberato) e l’esercito dei tagliagole di ISIS. L’ISIS ha fatto e continua a fare il bello ed il cattivo tempo in Siria ed in Iraq, creando migliaia e migliaia di sfollati, ha tagliato gole a centinaia di persone: cristiani, yazidi, sciiti, sunniti, che non erano del loro stesso parere, ha venduto le donne come schiave o per altro scopo, soprattutto se vergini.
Noi di tutto questo siamo stati edotti dai Mass Media, abbiamo gridato condannando con ottima retorica questi orrori, però non abbiamo fatto più di tanto, perché non toccavano i nostri interessi.
Quando i tagliagole di ISIS hanno osato avvicinarsi ai nostri interessi, quando hanno assassinato due-tre nostri fratelli occidentali, allora immediatamente s’è gridato allo scandalo: 'questo è inammissibile, dobbiamo agire'. Sì, dobbiamo agire! E le teste tagliate prima, non ci hanno fatto riflettere?
La riflessione che è stata fatta da un personaggio che fino due anni addietro era la stratega incontrastata della politica in Medio Oriente, e ha cavalcato il cavallo delle cosiddette “primavere arabe” a suo piacimento nei differenti paesi dove quel cavallo ha corso, questo personaggio, oggi, dinanzi al potere sfrenato e tanto potente di ISIS, ha dichiarato; “ora dobbiamo combattere ciò che abbiamo creato”.
Nel mondo arabo esiste un proverbio che suona così: “Chi è riuscito a far salire l’asino sul minareto, conosce anche la strada come farlo scendere”.
Sembra che la strada per far scendere l’asino dal minareto debba essere quella della coalizione che include pure gli stati arabi come l’Arabia Saudita, il Qatar ed altri, oltre che armare circa 50.000 siriani della cosidetta opposizione moderata al Presidente Bashar El-Assad.

Io non sono e non intendo essere affatto un politico. Però il progetto accennato sopra per far scendere l’asino dal minareto zoppica fortemente. Zoppica perché i paesi arabi della coalizione, intervenendo in Siria vanno a nozze, perché finalmente hanno una copertura per prendersi la rivincita su colui che non ha concesso loro il passaggio del pipeline e del gasdotto. Hanno tentato di prendersi la rivincita armando e sostenendo ISIS, ma ora, temendo che questo possa arrivare fino a loro, è bene combatterlo a casa di chi ha fatto loro l’affronto del rifiuto, prima che arrivi a casa loro e faccia saltare per aria tutto il loro sistema.
La seconda riflessione è questa: se la scelta è armare circa 50.000 'siriani dell’opposizione moderata' e prepararli a combattere ISIS, signori, ci rendiamo conto che giochiamo ignorando pure il significato del termine moderato? Il moderato è tale proprio perché non ha mai preso le armi in mano. Ha fatto opposizione dialettica e con la propria intelligenza ha tentato di far capire a chi di dovere che le cose dovevano cambiare. Costoro hanno avanzato delle richieste che, come abbiamo già detto, sono state concesse. Il braccio facinoroso ed armato è fin dall'inizio sceso in piazza con attentati, aiutato immediatamente dai salafiti arrivati dalla Giordania, non è certamente l’opposizione moderata che ha fatto salire l’asino sul minareto....
Chi ritiene di essere il padrone del mondo, impari prima ad essere il padrone di se stesso!!!