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domenica 22 giugno 2014

Voci dalla Siria dopo le elezioni


Nell’ultima settimana prima delle elezioni c’è stata una recrudescenza di aggressioni e minacce intimidatorie da parte dei jihadisti, sostenuti da America ed Europa (ahimè, c’è proprio da vergognarsi : non solo hanno rinnovato l’appoggio in denaro, ecc, ma addirittura hanno vietato ai Siriani rifugiati all’estero di andare a votare per il loro paese).
Aleppo sta molto molto male, adesso la prendono di mira anche con missili, il quartiere Midan specialmente, perché c’è una grossa comunità armena. Ci dicono che erano entrati a migliaia dalle frontiere per bloccare e impedire le votazioni, attaccando specie dal fronte con la Turchia, cioè su Lattakia e Idlib. Martedì, giorno fatidico, qui non volava una mosca. Tutti i negozi chiusi, sospesa ogni attività lavorativa, tutti erano impegnati a svolgere il loro dovere civico, e solo quello. La gente era calma e concentrata, conscia della sua responsabilità verso tutti i Siriani, ma anche di fronte al mondo intero, specialmente quello che …conta (e che già ha dichiarato di voler invalidare queste votazioni). Si è sentita qualche raffica per aria ( qui si spara sempre: quando c’è un morto, per onorare il morto ; quando parla il presidente , per manifestare la propria soddisfazione; quando c’è  qualche evento civile, per dire la propria partecipazione…). A sera, ho sentito nel villaggio canti e danze con il  tipico tamburello, cosa diversa dalle altre sere in cui si sentivano canti patriottici, inneggianti alla Siria (sì, è stata la loro preparazione alle votazioni). Sono rimasta stupita, perché non c’era nessun matrimonio in programma…Ma l’indomani vedendo la faccia radiosa del nostro vicino, ho capito meglio. In questo evento finalmente i Siriani hanno potuto, anche i più deboli ed inermi, dire la loro, prendere in mano il loro destino, affermare la loro volontà, la loro esistenza stessa, in faccia a chi vorrebbe negare loro il diritto a vivere, ad essere un popolo sovrano, in grado di prendere il suo posto nella storia del Medio Oriente. 
Di fatto, di tutti quanti sono coinvolti in queste trattative di pace che finiscono sempre in fallimenti, quanti di loro agiscono negli interessi reali di questo popolo ?  Con evidente fierezza X ci ha comunicato che tutta la Siria ha votato, tranne la provincia di Raqqa, che è completamente in mano ai jihadisti; che tutti, persino ad Aleppo, hanno espresso il loro voto. E che anche per chi poteva essere bloccato da voleri avversi, si è trovato il modo di raggiungerlo per permettergli di esprimere il suo voto (per esempio sono stati creati seggi elettorali alla frontiera col Libano, dato che era stato detto che chi fosse rientrato in Siria per votare avrebbe perduto il permesso di residenza . Anche all’aeroporto di Damasco sono stati istituiti seggi, per quelli che arrivavano in volo e se ne andavano subito dopo aver votato, come è capitato con 4 aerei pieni di siriani provenienti dal Kwait , e varie altre piccole e grandi trovate, per dare il più possibile a tutti gli aventi diritto la possibilità di dire la loro) .
In quest’ultima notte è esplosa la gioia. Canti e danze dappertutto, le sparatorie augurali hanno ceduto il posto a mortaretti e fuochi d’artificio. Si vocifera di gente che cantando sparge riso sui camion dei militari, di altri camion (pieni di gente che suona), che si spostano da un paesino all’altro, si sta entrando quasi nella leggenda… La gente è felice, nonostante tutti i morti, tutte le devastazioni morali e materiali. Tutta l’incertezza per l’avvenire si arrende di fronte a questo fatto : la Siria è unita e vuole procedere unita, con il capo che si è liberamente scelta.
Dati pubblicati dall’Ansa : 73,42 % di affluenza alle urne, 88% hanno votato per il presidente. Ma ormai i dati sono a disposizione di tutti. Y commenta con gli occhi luccicanti : “Hanno votato per Assad 10 milioni e 700mila siriani !”. Ma sapeste quanto è bello vedersi intorno facce fiere e contente. 
Preghiamo che questa quasi unanimità faccia ritrovare ai siriani ciò che si temeva perduto, cioè la fiducia e la convivenza tra genti diverse che si riconoscono tutte in una stessa patria.   

S.M. da Tartous  



Sono passati più di tre anni dall'inizio della crisi siriana. Ora lo stato siriano ha vinto contro tante pressioni che derivavano dall’Occidente e dai paesi dei petro dollari, come l’intervento armato, la divisione settaria del paese. Ha potuto pure stabilire una certa sicurezza in varie zone del paese, e sta vincendo nelle sensibili battaglie contro i fanatici islamisti (ISIS – Fronte Al-nusra – Il fronte islamico…).

Ormai è tempo che il presidente Bashar Al-Assad, dopo la sua vittoria nelle elezioni presidenziali, debba pensare con il nuovo governo che formera’ tra poco ad un' altra battaglia. La battaglia contro la poverta’, contro la corruzione, contro lo sfruttamento del cittadino da parte dei  “coccodrilli commercianti”. La metà del popolo siriano e’ disoccupata ed il 50 % dell’altra metà non riesce ad arrivare alla fine del mese… siamo in questa situazione da anni…. I siriani temono di non potere più resistere davanti alla fame…c'e’ un detto siriano che dice: “nessuno muore dalla fame” forse perchè stavamo cosi bene prima della Guerra, ma ora credetemi c'è della gente che muore veramente dalla fame… 
I prezzi sono volati in aria, e migliaia di famiglie mangiano la carne una volta al mese, e tante altre non mangiano la frutta perche’ talmente cara… Il prezzo del latte e’ aumentato del 600% (da 20 s.p al kilo a 120 s.p)… allora immaginate quanto costa un kilo di formaggio normale (700 s.p). Attualmente lo stipendio medio di uno che lavora nello stato e’ 30.000 s.p (150 euro) e basterebbe per 20 giorni (a comperare solo cibo) sapendo che una famiglia media in Siria consiste di Padre, Madre, 3 figli … non voglio parlare delle bollette ... elettrica, dell’acqua, del telefono, e non parlo dei vestiti per i bambini, e neanche della retta per la scuola … Secondo me la vera battaglia ora e’ contro la malavita, contro il nemico nascosto nella società che si chiama POVERTA’… il grande Imam Ali dice : 'se la povertà fosse un uomo lo avrei ucciso'.
Io capisco tutte le difficolta’ che il governo attualmente affronta, ma quando la pancia ha tanta fame il cervello non ragiona più… soprattutto quando vedi che una certa classe di gente sta diventando troppo piena di soldi grazie a questa guerra. Se all’inizio del 2011 una piccola parte del popolo siriano e’ uscita contro il governo di Assad perchè economicamente era scontenta, ora più della metà del popolo siriano e’ scontenta… 
   La gente è andata a votare con la speranza che Assad porti non solo la sicurezza ma anche per migliorare la vita economica del cittadino siriano. Ora Assad ha la battaglia più dura in assoluto. Una battaglia che non richiede armi... Sì, vi sono le NGO che aiutano, ma questo tipo di aiuto sembra come una medicina per calmare il dolore... tutte le  NGO ti danno cibo, abiti... ma non offrono un lavoro che ti permette di vivere degnamente... 
Si ricomincerà veramente la vita del Paese quando si inizierà a creare dei posti di lavoro e quando il presidente inizierà a pulire il paese dalla corruzione... quando di comincerà a dare più libertà soprattutto ai media locali e meno controllo sul cittadino...
I fratellini Anton Hajjar e Michael, giocavano
sul balcone di casa nel quartiere Jaramana:
uccisi da un razzo dei ribelli

La situazione di Damasco ogni giorno è critica perchè i ribelli buttano colpi di mortaio su di noi. E la vita sta diventando sempre più difficile... la gente e' molto stanca..., c'è tristezza... 
Samaan da Damasco







    Le elezioni presidenziali in Siria vanno analizzate, non condannate a priori






    Appunti, 19-06-14
    di Mario Villani


    Si è votato in Afghanistan, elezioni presidenziali, primo turno il 14 aprile e secondo il 14 giugno......

    Si è votato in Ucraina, elezioni presidenziali. Anche in questo caso le elezioni, per i nostri media mainstream, sono state “democratiche ed un passo significativo verso la normalizzazione della situazione”......

     Si è votato in Siria, elezioni presidenziali. Il 3 giugno undici milioni seicentomila Siriani (su quindici milioni e mezzo che ne avevano diritto) si sono recati alle urne ed hanno riconfermato, dandogli l'88% dei suffragi, Bashar Assad come capo dello stato. Le condizioni in cui si è votato non sono state molto diverse da quelle dei due Paesi prima citati: parte del territorio occupato, violenze diffuse, scarsità di controlli. In questo caso però i media occidentali hanno assunto un atteggiamento ben diverso, bollando le elezioni con termini come “farsa”, “inganno”, “presa in giro della democrazia”. In questo modo, oltretutto, si sono risparmiati la necessità di svolgere un minimo di analisi sui risultati emersi dalle urne..... 

      LEGGI L'ARTICOLO QUI:  

    venerdì 20 giugno 2014

    IRAQ: «Le armi dei terroristi erano dirette ai ribelli siriani considerati moderati»

    2 interviste a Gianandrea Gaiani, direttore di Analisidifesa.it

    Le armi siriane alimentano la guerra in Iraq



    La Nuova Bussola Quotidiana, 19-06-2014


    Obama per ora non si immischia nel conflitto iracheno e nonostante le forze qaediste dello Stato Islamico della Siria e Levante (ISIS) siano ormai a poche decine di chilometri da Baghdad, ha accantonato per ora l’ipotesi di lanciare incursioni aeree contro i jihadisti per sostenere il traballante esercito iracheno. Washington si limiterà a fornire assistenza “politica e d’intelligence” anche se le esigenze di Baghdad sono molto più concrete come dimostra la richiesta ufficiale di raids aerei formulata ieri dal ministro degli Esteri Hoshyar Zebari.

    Sul campo di battaglia le cose vanno male per le truppe irachene. Nonostante qualche contrattacco nell’area di Baqubah e raids di elicotteri a Tikrit e Mosul che sembra puntare soprattutto a distruggere le armi pesanti che l’esercito iracheno in rotta ha lasciato nei giorni scorsi ai qaedisti, che in queste ore puntano ad assumere il controllo della raffineria di Baiji, 210 chilometri a nord di Baghdad. I miliziani sunniti hanno prima distrutto parte delle riserve di petrolio e poi si sono aperti la strada nell'enorme struttura. Secondo le tv panarabe, una parte delle uomini della sicurezza sono fuggiti e i miliziani avrebbero preso il controllo di tre quarti degli impianti. L'esercito iracheno sostiene però di aver respinto l'attacco e di aver ucciso 40 ribelli. Anche più a ovest, verso il confine siriano l’esercito iracheno è in difficoltà dopo aver perso il controllo di Tal Afar, città che il comando iracheno ha annunciato di voler liberare  “entro giovedì”.
    Sul fronte politico si fa più aspro il confronto tra il governo scita di Nouri al Maliki e le monarchie del Golfo. Riad e gli Emirati Arabi Uniti (che ieri hanno ritirato l’ambasciatore da Baghdad) accusano Maliki di aver condotto negli ultimi tre anni una politica settaria che ha emarginato i sunniti e pretendono un governo “inclusivo” di unità nazionale. La stessa richiesta formulata dalla Casa Bianca, che pure solo un mese or sono si era congratulata con Maliki per la vittoria elettorale che gli assicurava il terzo mandato consecutivo. Baghdad invece accusa senza mezzi termini sauditi ed emirati di sostenere i terroristi dell’ISIS. Un’accusa non nuova che si inserisce nell’ormai evidente confronto militare transnazionale tra sciiti e sunniti ma che in questo caso sembra suffragato anche da fatti concreti come la presenza tra i miliziani dell’ISIS di armi croate comprate l’anno scorso dai sauditi per armare i ribelli siriani, ufficialmente quelli “moderati” dell’Esercito Siriano Libero (ESL).

    Come spiega un articolo di Luca Susic sul webmagazine Analisi Difesa che cita fonti serbe e croate, alcune immagini diffuse in rete dall’ISIS non lasciano spazio a dubbi. Molti combattenti dell’ISIS sono armati di lanciagranate RBG-6, i lanciarazzi anti-carro M79 Osa  mentre alcuni veicoli montano  cannoni senza rinculo M60: tutte forniture croate che tra la fine del 2012 e l’anno scorso vennero fatte confluire con un ponte aereo in Giordania per essere distribuite agli insorti impegnati a combattere il regime di Bashar Assad.

    Secondo il quotidiano di Zagabria Jutarnji List, il materiale attualmente utilizzato dai qaedisti in Iraq è stato in gran parte inviato in Siria per mezzo di 75 voli civili partiti dall’aeroporto Internazionale di Zagabria. I cargo avrebbero portato circa 3 mila tonnellate di armi e munizioni per un valore di 50 milioni di dollari acquisite con il via libera degli Stati Uniti, interessati ad appoggiare le fazioni siriane “moderate”. Benché Washington non abbia mai ufficialmente fornito armi ai ribelli siriani il coinvolgimento della CIA al flusso clandestino di armamenti agli insorti è stato più volte segnalato da dettagliati reportage dei media statunitensi.

    Che ci fanno queste armi in mano all’ISIS? Quanto queste forniture sono servite a destabilizzare il nord Iraq invece che a sconfiggere le truppe di Assad i cui successi sul campo di battaglia si sono moltiplicati negli ultimi mesi? Le risposte plausibili non sono molte. I sauditi potrebbero aver fatto il doppio gioco annunciando aiuti ai militari all’ESL ma fornendoli in realtà alle milizie estremiste tra cui i salafiti di Ahrar al-Sham e l’ISIS. Già nel marzo scorso il blogger inglese Eliot Higgins aveva mostrato sul suo sito internet prove fotografiche secondo cui le armi croate destinate al fronte anti-Assad erano giunte in Iraq e venivano utilizzate dall’ISIS contro le forze governative irachene.

    L’Arabia Saudita, in prima linea contro il governo alawita (Sciita) siriano, potrebbe avere tutto l’interesse a mettere in scacco anche gli sciiti al potere a Baghdad. L’operazione potrebbe nascondere anche il doppio gioco di Washington, non a caso restia a farsi coinvolgere nel conflitto, da un lato critica verso Maliki ma pronta ad aprire all’Iran. Improbabile che la CIA non sapesse dove fossero finite le armi croate mentre il sostegno saudita ai ribelli sunniti iracheni non è certo un mistero per nessuno.

    http://www.lanuovabq.it/it/articoli-le-armi-siriane-alimentano-la-guerra-in-iraq-9515.htm



                    


    Le armi con cui i terroristi conquistano l’Iraq arrivano dalla Croazia. «Gliele hanno date i sauditi con il benestare degli Usa»



    TEMPI, 18 giugno 2014

    Dalle foto pubblicate su internet dall’Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante), i giornali croati hanno riconosciuto la provenienza della armi che i terroristi islamici hanno usato per prendere Mosul e altre città irachene.

    Gaiani, come sono finite quelle armi nelle mani dei terroristi?  Queste armi leggere e portatili che provengono dalla Croazia sono state comprate dall’Arabia Saudita per circa 50 milioni di dollari un anno fa. Attraverso il confine giordano, controllato stabilmente dalla Cia, i sauditi hanno dato le armi ai movimenti che combattono in Siria considerati moderati e filo-occidentali. Il tutto con il benestare degli Stati Uniti.
    Ma qualcosa non ha funzionato.  Esattamente: o qualcosa è andato storto nella distribuzione delle armi o paesi come l’Arabia Saudita hanno giocato sporco, dichiarando che avrebbero armato i ribelli moderati mentre hanno fatto tutt’altro.

    Proprio l’altro giorno l’Iraq ha accusato i sauditi di aiutare i terroristi islamici.  Questa è una critica che il governo sciita di Al Maliki rivolge da sempre ai paesi del Golfo. Bisogna ricordare però che i terroristi dell’Isil hanno conquistato molte città irachene con l’aiuto di tribù sunnite stanche di essere emarginate da Al Maliki. È evidente che alcune tribù preferiscono i qaedisti agli sciiti. In questo modo l’Iraq sta rischiando di scivolare in una guerra civile a carattere confessionale, sunniti contro sciiti, e non dimentichiamo che questa spaccatura confessionale era uno degli obiettivi principali di Al Zarqawi, il capo di Al Qaeda in Mesopotamia, il “nonno” dell’Isil che combatteva gli americani e il governo iracheno nel 2004.

    Quanto la crisi irachena è imputabile ad errori americani?  La responsabilità della crisi è al 100 per cento americana ma non si tratta di un errore. Gli Usa hanno lasciato l’Iraq in mano agli sciiti, che con la corruzione hanno distrutto il paese e rovinato l’esercito, visto che le reclute sunnite sono scappate e quelle sciite hanno dimostrato di non avere alcuna intenzione di rischiare la vita per difendere città sunnite del nord. Perché Obama si è complimentato con Al Maliki per la rielezione al terzo mandato e ora gli chiede di realizzare cambiamenti politici in cambio di aiuti, mentre non ha fatto nessuna richiesta fino a un mese fa?

    Perché?  Perché l’obiettivo di Obama è quello di destabilizzare il Medio Oriente, così come tutte le aree di interesse energetico mondiale. Gli Usa hanno armato i ribelli siriani ma non abbastanza da farli vincere contro Assad, si complimentano con Al Maliki ma non lo aiutano a sconfiggere i terroristi, sono intervenuti in Libia in modo assurdo e hanno sostenuto la rivolta ucraina per destabilizzare anche quell’area. Gli ucraini, infatti, non riescono a sconfiggere i filorussi, che a loro volta senza Mosca non possono fare niente.

    E che cosa guadagnano gli americani?  Obama è venuto in Europa a dirci: comprate gas e petrolio da noi. Ecco cosa ci guadagnano. Grazie allo shale oil e allo shale gas gli Stati Uniti sono diventati già una potenza energetica autosufficiente e nel 2020 saranno il più grande esportatore di energia al mondo. È vero che il loro gas e petrolio costa di più ma sarà anche l’unico raggiungibile in maniera sicura. Secondo me è incredibile che l’Europa non si faccia delle domande e continui a pensare che l’America sia un suo alleato. Da quando c’è Obama, purtroppo, non è più così.

    http://www.tempi.it/armi-terroristi-iraq-croazia-sauditi-usa#.U6LfH0aKDwo

    mercoledì 18 giugno 2014

    La situazione dei cristiani siriani : cittadini in uno stato laico

    Fra Firas Lutfi, giovane francescano siriano, racconta di quale cambiamento abbia realmente bisogno il suo paese e la difficoltà di ricostruire l'anima ferita dei suoi connazionali





    Zenit
    seconda parte dell'intervista di Naman Tarcha a fra Firas Lufti



    Qual è la situazione dei siriani cristiani?
    I siriani cristiani hanno goduto da sempre di una libertà religiosa, potevano praticare ed esercitare le loro funzioni liberamente dentro e fuori delle chiese, perfino in affollate processioni nelle strade durante il mese mariano o nella settimana santa. Ovvio che in alcuni casi si chiedono i permessi, come in tutte le parti, avvisando le autorità per proteggere le funzioni, e questo è una cosa molto importante perché esprime la tua fede nel rispetto delle altre fedi. Questa libertà religiosa è garantita perché la Siria è uno stato laico e non uno stato teocratico, perché se lo fosse il siriano di fede cristiana sarebbe cittadino di serie B come in altri paesi arabi. E questo, in uno stato civile, è una questione inaccettabile in uno società che crede nella cittadinanza nel quale io e te siamo pari, e malgrado la nostra diversa appartenenza etnica o religiosa abbiamo gli stessi diritti e doveri. I cristiani in Siria e in tutto il Medio Oriente vorrebbero vivere in questo contesto sociale senza privilegi ma con parità e uguaglianza nella cittadinanza. Nonostante il numero dei siriani cristiani non sia altissimo, crediamo che il numero non è la misura,  non avevano mai subito persecuzioni e minacce quotidiane alla loro vita ed esistenza. Oggi le cose sono cambiate e l'esempio palese è la città di Al Raqaa dove ai cristiani viene richiesto il dazio per lasciarli in vita.

    Tanti accusano i siriani cristiani di avere una posizione ambigua. Cosa vogliono davvero?
    Prima della crisi siriana i cristiani siriani avevano diverse richieste, come ad esempio la questione dell'appartenenza completa al paese dentro la costituzione siriana, la quale indica che il Presidente della Repubblica deve essere esclusivamente di fede mussulmana. Ma se vogliamo uno stato con l'uguaglianza dei cittadini la fede non dovrebbe essere un problema, bensì conta l'appartenenza al paese. Da cristiano la mia storia e radici risalgono a migliaia di anni e ho il diritto di raggiungere la più alta carica dello stato.
    Oggi i cristiani vogliono invece almeno ritornare al passato. Soprattutto vedendo i conventi e le chiese profanate, saccheggiate, bruciate e distrutte, mentre il cristiano viene giustiziato con l'accusa di essere miscredente e infedele, o di essere lealista e vicino al governo. In questa situazione si trovano tanti giovani nell'esercito siriano, che prestano il servizio di leva: il giovane cristiano serve il suo paese convinto che é un suo dovere civile nel difendere la patria ma anche dovere religioso contro un pericolo di Jihadismo ed estremismo. Per questo motivo i cristiani difendono lo stato partendo dal principio della cittadinanza, e se non fosse la cittadinanza la misura della convivenza, qualsiasi misura sarebbe squilibrata. Se la misura é numerica siamo minoranza e si consacrerà il potere di una maggioranza sugli altri; se il criterio fosse settario, allora io mussulmano vengo prima poi gli altri sono di serie B; e allo stessi modo se la misura è su base etnica,  la società viene divisa e vengono esclusi curdi, armeni, cerchesi, turcmeni.
    Sono una persona e non un numero, nè una percentuale; sono nato su questa terra, e vorrei continuare a viverci e l'altro dovrebbe riconoscermi come partner, non come ospite, al quale concede alcuni diritti. La cosa principale è questa: chi si considera amico dei siriani, o che pensa di lavorare per il loro bene, ci lasci decidere noi stessi, e  non decida al nostro posto, senza trattarci come deficienti o incapaci di ragionare. Abbiamo tutto il diritto di decidere il nostro destino. La civiltà siriana ha lasciato le sue impronte su tutto, perciò i siriani sono maturi abbastanza per capire ciò che è il loro bene è il loro male.

    C'è in atto una persecuzione dei siriani cristiani?
    Sì, i cristiani sono presi di mira. All'inizio le cose non erano chiare, oggi invece i siriani conoscono bene l'identità dei combattenti e la loro provenienza e appartenenza, soprattutto dopo quel che é accaduto nelle città cristiane vicino a Idlib. Quelli che parlano oggi del cosiddetto Esercito Libero come forza d'opposizione moderata sanno di mentire, e sanno bene che i diversi gruppi armati sono in un conflitto interno su terreni e sui bottini di guerra. I casi sono infiniti, vorrei ricordare i due arcivescovi siriani di Aleppo, Ibrahim, Siro-ortodosso, e Yazji, greco-ortodosso, ancora nelle mani dei ribelli, insieme ai due giovani sacerdoti Michael Kayal armeno cattolico e Isaak Mahfuz greco ortodosso spariti nel nulla. L'ultimo martire é il padre gesuita Franz Van der Lught, di nazionalità olandese che ha scelto di restare a fianco dei suoi parrocchiani a Homs, e ucciso barbaramente dai gruppi armati dopo aver tentato di prenderlo in ostaggio.
    Quelli che prendono di mira i cristiani non sono siriani, perché un siriano mussulmano che ha vissuto accanto a suo fratello cristiano, non può farlo, sa come vive, a cosa crede e come si comporta, mentre chi viene da fuori, gli estremisti, indottrinati dal pensiero salafita e wahhabita, porta con sè un profondo odio dell'altro, del diverso, e non ha mai conosciuto un cristiano. Per lui la vita inizia e finisce nell'islam e tutti quelli che non appartengono alla sua presunta religione, sono miscredenti ed è lecito ucciderli.


    Ha vissuto un’esperienza molto dolorosa. Cosa è accaduto a Ghassaniye?
    il martire padre François Murad
    Ero in servizio nella provincia di Idlib, dove sono stati assaltati tre villaggi cristiani, e lì viveva padre François Murad, un monaco che ha costruito un piccolo monastero per far rivivere la spiritualità del monachesimo orientale, e quando sono arrivati i ribelli ha aperto le porte a loro, ospitandoli, dopo un breve periodo l'hanno cacciato via occupando casa sua, e abbiamo dovuto ospitarlo nel nostro convento francescano, dove c'erano tre suore che offrivano il servizio di ambulatorio ai civili rimasti.
    I ribelli hanno tentato diverse volte di assaltare il convento, e alla fine sono riusciti. Appena mi hanno avvisato sono corso, trovandomi davanti ad una scena agghiacciante. Avevano rubato e saccheggiato tutto, distruggendo croci e statue, e profanando la chiesa sgozzando il cane del convento sull'altare, e uccidendo padre Francois con sette colpi di pistola. Bastava una per ammazzare un uomo indifeso e disarmato, ma hanno preferito ucciderlo con sette colpi nel petto, e io l'ho sepolto.

    Aleppo, la città più antica al mondo, oggi si trova in una situazione disastrosa...
    Aleppo sta soffrendo in una condizione disumana e tragica, perché l'essere umano può anche supportare le difficoltà e i pericoli, ma quando viene privato dei bisogni primari restando senza acqua e cibo, perde tutta la dignità umana. La gente cerca di sopravvivere malgrado il costo della vita altissimo e la mancanza di introiti, senza benzina nè gas nè corrente e acqua. Anche se i quartieri cristiani della città sono relativamente sicuri, questa zona viene presa di mira dai gruppi armati con lanci continui di colpi di mortaio e missili artigianali, perfino la nostra cattedrale ha subito danni da questi missili. L'ultimo incidente é stato quando i ribelli hanno fatto saltare il palazzo della camera di commercio: è caduto il vetro della chiesa durante la messa, tanta era la forza dell'esplosione. I frati cercano di sostenere e aiutare la gente come possono, aprendo le porte ai bisognosi, e offrendo l'acqua potabile a tutti, mentre la scuola francescana ospita i bambini dell'orfanotrofio islamico. La sfida principale infatti é la sfida morale e spirituale, perché se l'uomo perde la speranza non riesce a superare e sopportare le difficoltà, senza la speranza la vita diventa senza senso nè futuro.

    Ultima parola?
    Durante le Crociate, San Francesco è riuscito ad ottenere il permesso di custodire la terra santa non con la forza delle spade e della violenza, ma con l'intelligenza, la semplicità e il dialogo. Questo conferma che l'unica strada per ottenere ciò che desidero dall'altro è nel riconoscimento e nel rispetto reciproco, senza ammazzare nè farmi ammazzare. Dobbiamo insistere sul dire tutta la verità con amore, e insistere nel dialogo con l'altro, senza questo dialogo saremo  distanti dalla nostra vita.

    http://www.zenit.org/it/articles/la-siria-ha-bisogno-di-evoluzione-non-di-rivoluzione-seconda-parte

    martedì 17 giugno 2014

    L'esercito governativo riprende il controllo di Kessab. Chiese armene profanate dai ribelli


    Agenzia Fides, 16/6/2014

    Tra sabato 14 e domenica 15 giugno, l'esercito governativo siriano ha ripreso integralmente il controllo di Kessab, la città nord-orientale siriana a maggioranza armena che era stata conquistata dalle milizie anti-Assad lo scorso marzo.
    "Alla riconquista di Kessab” riferisce all'Agenzia Fides il Patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX Tarmouni, “hanno preso parte anche i gruppi di autodifesa formati da armeni siriani e le milizie sciite di Hezbollah. Il parroco della chiesa di San Michele ha già fatto un sopralluogo nella sua parrocchia, trovandola devastata: i ribelli hanno danneggiato le icone, divelto le croci, distrutto libri, reso inagibili i locali. Con l'unica intenzione di impedirne l'utilizzo, visto che non c'erano cose preziose da saccheggiare. La stessa sorte è toccata alla nostra scuola”.


     Secondo fonti consultate da Fides, le milizie islamiste hanno divelto le croci anche nella chiesa armena evangelica dedicata alla Santissima Trinità, mentre risulta devastato il Centro culturale armeno Misakyan. 
    Le incursioni delle milizie islamiste – comprese quelle della fazione jihadista Jabhat al-Nusra - erano iniziate lo scorso 21 marzo. 


    Quasi 700 famiglie, in maggioranza cristiane, erano fuggite per trovare riparo nell'area costiera di Latakia. I ribelli erano arrivati dalle montagne al confine con la Turchia, numerosi e ben armati. Le formazioni dell'esercito che presidiavano la città si erano ritirate, così come i giovani armeni che avevano organizzato gruppi di autodifesa armata intorno alle chiese. 
    “Mi ha sorpreso la velocità con cui Kessab è stata riconquistata” sottolinea il Patriarca Tarmouni, “e mi auguro che adesso, con pazienza, gli abitanti di Kessab tornino alle proprie case e ricostruiscano quello che è stato danneggiato. Sarebbe bello poter riaprire la scuola già ai primi di settembre. Occorreranno risorse economiche e l'aiuto di tutti”. 



     Nel contempo, il Patriarca teme che almeno il 30 per cento degli abitanti di Kessab non farà ritorno alle proprie case, avendo trovato sistemazioni più sicure nell'area di Latakia o in Libano. 
    Gli armeni di Kessab sono in gran parte agricoltori. L'area rurale, fino allo scorso marzo, non era stata toccata dal conflitto siriano. 



    La città occupa un posto simbolico nella memoria condivisa del popolo armeno: Nel 1915, quando gli armeni hanno abbandonato la Cilicia dopo il genocidio perpetrato dai turchi, proprio a Kessab era rimasta l'ultima comunità armena dell'area.



    http://www.fides.org/it/news/55416-ASIA_SIRIA_L_esercito_governativo_riprende_il_controllo_di_Kessab_Il_Patriarca_Tarmouni_chiese_armene_profanate_dai_ribelli#.U5_0lEaKDwo

    domenica 15 giugno 2014

    Papa Francesco: non dimenticare la Siria. Testimonianza di una suora

    Da Radio Vaticana
    14/06/2014

    C’è il rischio di dimenticare le sofferenze che non ci toccano da vicino. Reagiamo, e preghiamo per la pace in Siria”. 
    Con questo tweet il Papa torna oggi a richiamare l’attenzione del mondo su un Paese martoriato da più di 3 anni di guerra e che anche dopo le elezioni presidenziali d’inizio mese continua a vivere spaccature e scontri tra ribelli e lealisti. Almeno 30 i miliziani uccisi oggi a Mayaden al confine con l’Iraq. Sull’appello del Papa alla preghiera e a non dimenticare, Gabriella Ceraso ha raccolto il commento di una suora trappista, raggiunta telefonicamente in Siria:

    R. – Penso che il rischio di dimenticare ci sia, anche se ci sono tantissime persone che con molta generosità continuano ad aiutare. Il problema è che certe situazioni si stanno cronicizzando: la divisione del territorio con zone controllate dai fondamentalisti, altre dal governo, il continuo invio di armi… Il rischio che questa cosa diventi cronica e che ci si abitui, è molto forte.

    D. – Il Papa parla proprio di sofferenze: quanto sta ancora soffrendo e in che cosa la popolazione siriana?

    R. – Dipende da zona a zona, ma tutti stanno soffrendo. Nelle zone dove la situazione è un po’ migliore c’è comunque una sofferenza di instabilità, i giovani non hanno prospettive di studio. Poi, ci sono zone come Aleppo, senz’acqua da 15 giorni e senza elettricità, dove la sofferenza è davvero reale. I nostri amici che sono là ci raccontano che sono proprio alla fame, con questi proiettili che cadono continuamente alla cieca, si esce e non si sa se si ritorna, gente a cui manca il necessario per vivere e i salari che non sono sufficienti… Quindi, c’è una sofferenza materiale e una sofferenza morale, molto forti.

    D. – Il Papa dice: “Reagiamo”. La reazione in che termini dovrebbe essere?

    R. – Io direi che la reazione richieda darsi da fare. Non basta reagire con dei luoghi comuni, altrimenti si rischia di fare peggio. Bisogna veramente avere a cuore la situazione, cercare di capire le cose che sono in gioco e che sono complesse, solo così si possono trovare le soluzioni.

    D. – Una preghiera per la pace in Siria, sempre necessaria per il Papa, che ha pregato in una giornata memorabile per la pace in tutta l’area mediorientale con grande coraggio. Vi è arrivata quella testimonianza?

    R. – Direi che arriva, arriva anche a tutti, non solo a noi. Proprio ieri un musulmano mi diceva: “Io sono musulmano, ma penso che il Papa sta facendo tantissimo per noi e per la Siria con immensa gratitudine”. Quindi, direi che arriva proprio a tutti. E' necessario, perché credo che certe cose si risolvano veramente solo con uno sguardo di preghiera, perché la preghiera poi è anche un’azione e cambia il modo di vedere le cose: ti dà modo di capire cosa fare, come intervenire e come ascoltare questa gente.

    D. – Ed è un appello, quello del Papa, valido per tutti?

    R. – Certo, io penso di sì. Ci sembra che ci si ritrovi sempre più insieme davanti al Dio Creatore e davanti al bene che è nel cuore di ogni uomo. Penso che il Papa in questo abbia fatto fin dall’inizio un appello proprio all’uomo in quanto tale.

    D. – Nel vicino Iraq è in atto un’offensiva di tipo integralista islamica, che sta spaventando il mondo intero. Voi siete al confine e gli integralisti sono presenti in alcune località della Sira. Che effetto vi fa questa notizia? C’è timore, ci sono delle reazioni?

    R. – Certamente, la cosa ci ha molto preoccupato, proprio perché si sta creando una zona, una vasta fascia di territorio continuo che ormai è in mano ai fondamentalisti. Questo da una parte non sorprende tanto, soprattutto i siriani, perché già da tempo vedevano questo avanzare, questo modo di frammentare la nazione in zone sotto il controllo di diverse parti. Da una parte non è una sorpresa quindi. Dall’altro preoccupa e spaventa, perché adesso è veramente una presenza imponente e anche molto attiva, i combattimenti si stanno inasprendo. 
    A fronte di questo, c’è stata la grossa sorpresa di questo voto che non era affatto scontato. Poteva essere scontato il risultato, ma non certo il tipo di unanimità. Credo che la gente abbia voluto dire: “Vogliamo insieme ricostruire il nostro Paese! Vogliamo la pace, vogliamo la sicurezza!”.

    D. – Un califfato jihadista in un Paese come l’Iraq mette a repentaglio la vita dei cristiani. Da cristiana, se succedesse una cosa del genere sul suo territorio?

    R. – Quello che conosciamo anche dei sunniti, dei siriani e di tutti i cristiani, musulmani, la Siria non è mai stato un Paese dove il fondamentalismo ha preso piede. La gente ha un’altra anima. Chiaramente, la paura di fronte ad un integralismo c’è, perché è un integralismo reale, evidente ed armato. Però, preghiamo.

    mercoledì 11 giugno 2014

    «Aleppo, la guerra dell'acqua»




    Un religioso racconta a ilGiornale.it i piani ribelli per assetare il popolo assediato

    Gian Micalessin - Mar, 10/06/2014 - 17:14

    È una guerra crudele e spietata. È la guerra dell'acqua. È scoppiata ai primi di maggio e da allora si riaccende a periodi alterni.
    È l'ultima inutile e folle sofferenza imposta ai civili dai ribelli jihadisti che assediano Aleppo. "Ai primi di giugno l'acqua è incominciata a mancare di nuovo. Un mese fa, dopo lunghe trattative, i ribelli avevano accettato di riaprire tubature e stazioni di pompaggio, ma adesso è rincominciata. L'acqua manca già da otto giorni. E non sappiamo quanto ritornerà", racconta in questo colloquio telefonico con ilGiornale.it padre George, un religioso cristiano rimasto in questa città martoriata, abitata - un tempo - da quasi due milioni e mezzo di siriani.
    L'assedio ribelle iniziato nell'agosto del 2012 ha trasformato Aleppo, un tempo il principale centro commerciale della Siria, nell'anticamera dell'inferno. Da allora un milione di aleppini ha dovuto dire addio alle proprie case minacciate da guerra e carestia. La periferia orientale, roccaforte delle milizie al qaidiste di Al Nusra, si è trasformata in una distesa macerie bersagliate dai bombardamenti dell'aviazione governativa. Sui quartieri occidentali cadono invece i colpi di mortaio di un'opposizione armata decisa a punire i civili rimasti nelle aree fedeli a Bashar Assad. Ai primi di maggio i comandanti di Al Nusra - frustati per le sconfitte subite ad Homs e in altre zone del paese - hanno progettato un'altra, più crudele, forma di punizione collettiva. Il piano del gruppo jihadista prevedeva il blocco selettivo di alcune stazioni di pompaggio in modo da mantenere il flusso idrico nei quartieri occupati dagli insorti e ridurre alla sete il versante governativo. Il progetto non teneva conto delle complesse regole dei vasi comunicanti che regolano la distribuzione idrica in un vasto centro urbano e così l'intera Aleppo, quartieri ribelli compresi, si è ritrovata a secco. Ma il problema maggiore, come spiega padre George, è il rischio di gravi epidemie. "Aleppo è una città antica e i vecchi pozzi garantiscono l'accesso alle faglie idriche. Da più di un anno la nostra comunità ha avviato un programma per la riapertura degli antichi pozzi dentro alle chiese e nelle moschee. Ma quell'acqua non sempre è potabile di solito viene usata per lavarsi e ripulire i vestiti. Quando un mese fa i ribelli hanno tagliato l'acqua potabile molti hanno incominciato a dissetarsi con l'acqua dei pozzi. E con quella stessa acqua stiamo sopravvivendo in questi ultimi otto giorni. Quest'acqua, però, non è potabile. Andrebbe bollita e purificata, ma non sappiamo se tutto lo stiano facendo. Il rischio è la diffusione di contagi ed epidemie".

    Il blocco delle forniture, verificatosi alla vigilia delle elezioni presidenziali organizzate nei quartieri sotto controllo governativo, è, fa capire padre George - tutt'altro che casuale. "La sospensione delle forniture - racconta a ilGiornale.it - è stata causata anche stavolta dai ribelli che hanno fatto esplodere un ordigno in un tunnel vicino dalla stazione principale della città dove affluisce l'acqua dall'Eufrate". Come già a maggio anche stavolta la ripresa delle forniture dipende dalle delicate trattative intraprese dalla Mezzaluna Rossa con i capi ribelli. Spetterà ai delegati dell'organizzazione islamica, l'equivalente della nostra Croce Rossa, ristabilire il delicato equilibrio concordato nel corso di questi 22 mesi di assedio durante i quali il governo ha accettato di fornire carburante alle aree ribelli per mantenere in funzione le pompe che garantiscono le forniture idriche a tutta la popolazione civile.

    Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/esteri/aleppo-guerra-dellacqua-1026401.html 

    sabato 7 giugno 2014

    Ebrei, cristiani e musulmani: il perdono via alla pace

    Da: Missionline

    06/06/2014
    Ebrei, cristiani e musulmani: il perdono via alla pace

    di Giorgio Bernardelli

    Nella preghiera con papa Francesco, Peres e Abu Mazen tutte e tre le religioni pronunceranno una richiesta di perdono prima dell'invocazione di pace. Il tutto nei Giardini vaticani, in un nuovo prato vent'anni dopo quello della Casa Bianca




    Durante un briefing questa mattina è stato presentato il momento di preghiera per la pace in Medio Oriente voluto da Papa Francesco in Vaticano insieme al presidente israeliano Shimon Peres e a quello palestinese Abu Mazen, annunciato a Betlemme durante il viaggio in Terra Santa. Come anticipato si terrà domenica a partire dalle 19 nei Giardini vaticani e vedrà presenti anche altre personalità religiose, tra cui il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I: un segno quest'ultimo di continuità con le giornate vissute da Papa Francesco a Gerusalemme e che dice come la riconciliazione tra le Chiese sia il segno chiesto oggi ai cristiani per mostrare a tutti la via della pace.
    Tra le notizie anticipate oggi c'è anche lo schema di questo momento di preghiera, che è molto interessante. Ebrei, cristiani e musulmani pregheranno in maniera distinta, uno dopo l'altro, riprendendo testi del Tanakh (la Bibbia ebraica), del Nuovo Testamento e del Corano. Ma in tutte e tre le preghiere ci sarà un filo rosso ben preciso: un primo testo rivolgerà lo sguardo alla creazione, il disegno originario di Dio e quindi la radice della pace. Un secondo testo sarà una richiesta di perdono per le nostre colpe da cui nascono le guerre e ogni forma di inimicizia. E infine ciascun momento si concluderà con un terzo momento di preghiera, quello vero e proprio dell'invocazione alla pace.
    È bello osservare come in questo schema - pur senza nessuna confusione tra la preghiera delle diverse religioni - ci sono punti di riferimento che accomunano, quasi a rendere visibile una grammatica profonda nello sguardo dell'uomo sul mistero di Dio. Una grammatica più forte di ogni divisione. In fondo è un modo per rendere visibile in un'altra forma quella stessa immagine dell'abbraccio tra il Papa, il rabbino e l'imam davanti al Muro del Pianto a Gerusalemme, rimasta così impressa nel cuore di tutti. L'abbraccio della pace per compiersi ha bisogno di uomini che si riconoscano figli dell'unico Padre e capaci di chiedere perdono. Forse è questa la lezione più grande che arriverà dai Giardini vaticani.
    Insieme a una constatazione: si sottolinea il significato religioso e non politico di questo momento. E molti tendono a leggerlo come un modo per mettere le mani avanti rispetto ai risultati, che nel contesto di oggi è difficile immaginare immediati. Forse invece sarebbe più giusto vedere in questa sottolineatura una direzione ben precisa da dare al cammino verso la pace: troppe volte si è parlato di Gerusalemme pensando che la religione sia la causa del conflitto, illudendosi che solo mettendo da parte la fede sia possibile trovare un'intesa. Questa preghiera ribalta la prospettiva: dice che l'unica pace possibile a Gerusalemme deve per forza essere anche santa. E che non è un sogno impossibile se tutti si riparte da quella stessa grammatica del'umano.
    Vent'anni fa gli accordi di Oslo - in cui erano state riposte tante speranze sulla pace tra israeliani e palestinesi - iniziarono sul prato della Casa Bianca. Domenica questo incontro avverrà su un altro prato, quello dei Giardini vaticani, all'ombra della Cupola di San Pietro. Il simbolismo è forte: dal prato della politica per eccellenza, a un prato simbolo dello sguardo dell'uomo verso il Cielo. La speranza è che - nonostante le difficoltà che tutti conosciamo - questo prato possa segnare l'inizio di una nuova strada di pace per il Medio Oriente.


    giovedì 5 giugno 2014

    E noi, cosa possiamo fare per la Siria? : intervista al Nunzio Zenari. Gli Armeni di Aleppo martoriati.

    «Serve la presenza. E che nessuno ci dimentichi»


    Tracce03/06/2014

    di Anna Minghetti

    Il nunzio apostolico monsignor Mario Zenari racconta la vita a Damasco. Le bombe, i bambini uccisi, la tensione continua. Ma rimanere con quella gente è importante: «Un valore aggiunto, molto prezioso. Molto più di un semplice aiuto»

     «Questo conflitto deve terminare, deve terminare». Lo ripete monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, al termine all’incontro del 30 maggio, promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum per coordinare gli enti caritativi cattolici operanti nella crisi siriana, a cui lo stesso Zenari ha preso parte. Il Nunzio racconta di una situazione in cui purtroppo non si vedono miglioramenti. «Anche a Damasco, dove vivo, c’è insicurezza, ci sono colpi di mortaio che cadono. Prima di Pasqua uno di questi era caduto sul cortile di una scuola elementare armeno-cattolica, proprio prima delle otto, mentre i bambini entravano. Uno è morto, una sessantina sono rimasti feriti. A una bambina di nove anni, che ho visitato all’ospedale, hanno dovuto amputare entrambe le gambe. Il giorno di Pasqua lo stesso. Mentre ero nel mio studio, ho sentito un botto: era un'altra bomba, poco lontano dalla nunziatura. Ha colpito il terrazzo di una casa, dove c’era un papà con due bambini, quattro e dieci anni, morti sul colpo. Quello di quattro, mi dicevano all’ospedale dove l’avevano portato, aveva la testa tagliata. Direi una sofferenza, soprattutto quella dei civili e dei bambini, che fa impressione».

    Qual è il ruolo di un pastore che si trova ad affrontare questa situazione?Io conosco diversi parroci che danno un bell’esempio, una bella testimonianza. Tutti in genere sono rimasti, sacerdoti, religiosi, religiose, e naturalmente aiutano, secondo i mezzi che hanno. Però direi che il valore aggiunto è la loro presenza: avere un parroco, avere una suora, un religioso, in una località, in un villaggio, è una sicurezza, un conforto, per i cristiani e anche, ho visto, per i musulmani che sono in quella zona. Quindi la presenza è un valore aggiunto, direi, molto prezioso, oltre quel che si può aiutare.

    Cosa pensa della giornata di oggi?È stato molto bello l’incontro che abbiamo avuto col Papa. È stato un incontro familiare, perché era fuori programma: ha voluto dedicarci alcuni minuti a Santa Marta mentre stava andando all’ordinazione episcopale. Direi molto familiare, ha insistito su alcune cose, sul far cessare la guerra, che vuol dire far cessare anche il traffico di armi, la vendita di armi. Ha ringraziato per la vicinanza alla sofferenza di tanta gente e per gli aiuti umanitari che devono essere assicurati a tutti.

    E noi cosa possiamo fare per la Siria?
    Purtroppo questo è un conflitto che sta per essere dimenticato. E questa è un’altra disgrazia che si aggiunge alla già grave disgrazia. Quindi direi parlarne e tenere sveglie le coscienze della gente fuori dalla Siria, del mondo. Parlare di questa sofferenza e del non senso di questo conflitto. I media devono avere questo impegno: di non far cadere nell’oblio la dimenticanza a questo conflitto, che sarebbe un altro dramma che si aggiunge a quello già presente.


    Aleppo di nuovo senz'acqua, altri missili sulle zone abitate dagli armeni


    Agenzia Fides, 5/6/2014

    Aleppo – Ad Aleppo il voto presidenziale con cui Assad punta a perpetuare il suo potere si è svolto con i quartieri centrali sottoposti al lancio intenso di missili e dopo che in tutta la città era stata interrotta di nuovo la fornitura idrica. 

    “Da due giorni siamo di nuovo senz'acqua” riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo armeno cattolico Boutros Marayati, dalla residenza patriarcale che alle 13,30 di martedì scorso è stata colpita da uno dei missili piovuti sulla città. 
    “Si trattava di un proiettile abbastanza potente - spiega l'Arcivescovo - che ha danneggiato la scuola e un'ala del palazzo, scardinando le porte e mandando in frantumi molti vetri. Un altro razzo, meno potente, è caduto sulla nostra scuola anche ieri”. 

    Secondo S. E. Marayati il lancio di missili intensificatosi nelle ultime giornate non puntava a colpire obiettivi mirati, ma piuttosto a contrastare l'afflusso dei votanti ai seggi elettorali: “ Nei quartieri sotto il controllo dell'esercito” spiega l'Arcivescovo armeno cattolico “tutti i cittadini sono per vari motivi schierati con Assad. E molti sono andati a votare nonostante i lanci di missili”. 

    Secondo le fonti ufficiali, Bashar el Assad è stato rieletto Presidente con l'88,7% dei suffragi. Secondo le stesse fonti hanno partecipato al voto del 3 giugno (definito “una farsa” dall'opposizione) 11,6 milioni di siriani. Dei due candidati concorrenti, Hassan al-Nouri ha raccolto il 4,3% dei voti e Maher al-Hajjar il 3,2%.



    Armenian Press Office in Aleppo

    Photo: PRESS RELEASE URGENT CALL TO THE ARMENIAN NATION We do hereby declare the Armenian “Nor Kyough” neighborhood in Aleppo a DISASTER ZONE. We appeal to our fellow Armenians all around the world to support the immediate stopping of continuous inhuman rocket attacks on our area. We need your support, by all means, for the physical security of our people. 

    mercoledì 4 giugno 2014

    Elezioni presidenziali, per Assad un trionfo annunciato


    Agenzia Fides 3/6/2014

    Damasco  - Dalle 7 alle 19 di oggi, martedì 3 giugno, la popolazione siriana concentrata nelle aree rimaste o ritornate sotto il controllo del regime di Damasco è chiamata a esprimere il suo voto alle elezioni presidenziali definite “una farsa” dall'opposizione e dalle cancellerie dei Paesi che la sostengono. Il Ministero degli interni ha riferito che i siriani aventi diritto al voto sono 15,8 milioni, compresi i milioni di rifugiati fuggiti nei Paesi confinanti a causa del conflitto. In tutto il Paese sono stati allestiti 9.600 centri di raccolta voti. 
    Fonti locali di Aleppo e Damasco consultate dall'Agenzia Fides confermano che nelle aree urbane sotto controllo dell'esercito il flusso ai seggi è ininterrotto, anche nei quartieri dove è più forte la presenza di cristiani.
    La consultazione elettorale serve di fatto a consacrare il potere del Presidente Bashar al- Assad, destinato a stravincere le elezioni raccogliendo più del 90 per cento dei consensi. L'unico sfidante al Presidente, a parte un suo ministro, è il candidato di estrema sinistra Maher Hajjar. 

    “L'impressione” spiega all'Agenzia Fides la suora francescana Jola Girgis, contattata a Damasco, “è che questi anni di guerra hanno fatto crescere l'appoggio al Presidente Assad anche tra molti di coloro che prima erano contro di lui. In ogni caso, tutti hanno capito che nei grandi giochi del potere politico il bene del Paese sta a cuore solo al popolo siriano, e a nessun altro”. 


    arcivescovado armeno cattolico colpito oggi ad Aleppo dai missili ribelli

    Ad Aleppo la giornata elettorale è stata preceduta dal lancio di missili e granate che nei giorni scorsi sono caduti in particolare sul quartiere di Meidan, abitato da cristiani armeni. “Ci sono stati feriti e case distrutte e tante famiglie sono fuggite dalle loro dimore e hanno pernottato nei saloni delle parrocchie” riferisce a Fides l'Arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati. “Oggi la situazione appare calma” aggiunge l'Arcivescovo, “ma in un minuto può succedere di tutto e non si vede il modo di uscire da questo stato di perenne incertezza. Per questo la gente ha paura, e non sa cosa fare”. 


    http://www.fides.org/it/news/55325-ASIA_SIRIA_Elezioni_presidenziali_per_Assad_un_trionfo_annunciato#.U44ND0aKDw


    LA SITUAZIONE IN ALEPPO  E’ CATASTROFICA


     Due giorni fa ho detto che la situazione di Aleppo è grave
    Oggi è addirittura catastrofica. Nessun quartiere è stato risparmiato dalle bombe di mortaio, causando decine di morti e centinaia di feriti. La metà degli abitanti del quartiere Midan ha lasciato le loro case e non sanno dove andare. Molti ci hanno chiesto di venire al nostro convento marista. Anche se non abbiamo posto, non possiamo non accoglierli. Domani vedremo quanti ce ne sono con noi. 
    Il colmo è che la scuola accanto al convento servirà come seggio elettorale per i tre candidati delle elezioni presidenziali di Martedì, ed è quindi minacciata! 
    Chi vivrà vedrà.. davvero...

     Aleppo, 1 giugno 2014
     Nabil Antaki


    COMUNICATO DEI MARISTI DI ALEPPO:

    Aleppo, 3 giugno 2014


    OSPEDALE SAINT LOUIS

     Alle 02:00 di oggi, 3 bombe di mortaio sono cadute sull'ospedale St Louis, causando danni significativi. Fortunatamente, nessuna vita è stata persa.
    Il servizio di emergenza e 2 sale operatorie sono state danneggiate. I pazienti del 2° piano hanno dovuto essere trasferiti al 1° piano. Molte finestre sono distrutte, comprese le belle finestre della cappella.
    Sempre questa mattina, gli uffici e l'ospedale della Mezzaluna Rossa e il principale ospedale pubblico (Al Razi) sono stati colpiti da mortai. 

    martedì 3 giugno 2014

    Perchè il popolo siriano vuole votare? : la Siria ha bisogno di evoluzione, non di rivoluzione!










    Fra Firas Lutfi, giovane francescano siriano, racconta di quale cambiamento abbia realmente bisogno il suo paese e della difficoltà a ricostruire l'anima ferita dei suoi connazionali





    Sguardo fisso, presenza calma, dialogo franco, una vita dedicata a servire gli ultimi sulle orme di San Francesco. E' una figura che colpisce quella del giovane francescano fra Firas Lutfi. 
    Figlio di Hama, la città che ha vissuto negli anni '80 la distruzione a causa di un colpo di stato fallito, il frate, mentre la sua famiglia si divideva tra Hama e Homs, ha servito la principale parrocchia cattolica dal 2004 fino a che è scoppiata la crisi siriana nel suo amato paese. 

    Zenit,   

    di   Naman Tarcha


    Partono oggi le elezioni presidenziali siriane con una significativa partecipazione dei siriani malgrado le minacce e il terrorismo. C'è tanta voglia di un cambiamento?

    Fra Firas Lutfi: La Siria come tutti i paesi del mondo aveva bisogno di cambiamento, ma per modernizzare il paese non c'era bisogno di una rivoluzione bensì di una evoluzione. L'Europa ha attraversato guerre mondiali devastanti prima di raggiungere una certa democrazia e considerare l'essere umano al centro. Il mio paese è sempre stato in mezzo a conflitti e guerre che hanno colpito la nostra regione dall'inizio dei secoli; é stato oggetto di contese e conflitti tra le forze regionali ed allo stesso tempo una delle regioni dove sono passate più civiltà, con conseguenze negative ma anche positive, offrendo tanta ricchezza e diversità meritando così di essere considerata la culla di tante civiltà. La Siria per 400 anni é rimasta sotto l'occupazione ottomana e poi l'occupazione francese, ottenendo la sua indipendenza solo trent'anni fa. Allora come si può chiedere ad un paese così giovane di essere libero indipendente stabile democratico al 100%?

    Perché l'Occidente ha impedito ai siriani di votare all'estero definendo le elezioni "una farsa"?
    Fra Firas Lufti: L'Occidente non riesce a cogliere due questioni: la prima è che i paesi in via di sviluppo hanno bisogno di tempo necessario per i cambiamenti, non si può chiedere ad un bambino di gareggiare in una maratona o attraversare il mare prima che cresca e possa essere autonomo. 
    La seconda questione é l'indipendenza: oggi tutti i siriani lottano contro la violazione della sovranità siriana e l'ingerenza, perché credono che questa terra benedetta é la loro terra, la terra dei loro antenati, e hanno tutto il diritto di viverci in dignità. Il modello democratico nei paesi arabi é diverso da quello occidentale. La differenza é proprio nella forma mentis. L'Occidente si concentra sulla persona e sull'individualismo mentre nelle società mediorientali si vive ancora con il concetto di Pater Familias, della comunità, delle tribù. La democrazia di cui parliamo é la scelta del leader su cui viene trovato accordo per il bene comune e il meglio per il paese. Perciò dobbiamo rispettare le caratteristiche e le particolarità dei popoli senza voler applicare a loro i sistemi di altri paesi.

    Tutti parlano a nome dei siriani ma cosa vogliono i siriani stessi?  

    Fra Firas Lufti: C'erano da sempre ostacoli che impedivano il cambiamento e la modernizzazione del nostro paese, in primis la questione della liberazione dei nostri territori delle alture del Golan occupato. Fino ad oggi siamo in uno stato di guerra per difendere il nostro paese da un altro vicino che occupa i nostri terreni, malgrado le decine di risoluzioni delle Nazioni Unite che ribadiscono il nostro diritti ad averli. Il cittadino siriano bramava un sviluppo del paese a tutti i livelli, e vedeva nel presidente e nel governo attuale una vera speranza per questo cambiamento in un paese ricco di risorse ma colpito dalla crisi economica mondiale e dalla corruzione come in tanti altri paesi. 
    Il paese di sicuro aveva bisogno di cambiamenti, alcuni già avviati e altri ritardati. Siamo tutti d'accordo sulla necessità di un cambiamento. La domanda però è: "Quale cambiamento?". Per l'opposizione siriana esterna, rappresentata dalla coalizione nazionale e l'opposizione armata, questo cambiamento avviene attraverso la violenza con l'appoggio e l'intervento militare esterno dall'Occidente, mentre per il cittadino siriano, che ha sopportato di tutto in questi tre anni, questo fatto é completamente inaccettabile. Sarebbe violazione della sovranità del paese e del rispetto dell'indipendenza degli Stati sancito dalle Nazioni Unite...

    L'Occidente ancora parla di una rivoluzione del popolo siriano?
    Fra Firas Lufti: I siriani, in modo particolare i cristiani, dopo tutti questi eventi sono convinti che ciò che accade é una distruzione dello stato e non un cambiamento o miglioramento, e che si va verso la trasformazione di un sistema politico, considerato dall'Occidente una dittatura laica, ad una dittatura religiosa di salafiti ed estremista. Forse all'inizio alcuni siriani si erano illusi, ma oggi tutto é più chiaro come rivelano i rapporti internazionali delle Nazioni Unite. Allora io da siriano potrei anche essere scontento di un mio governo, e non essere d'accordo con chi guida il mio paese, ma non capisco cosa c'entrano ceceni, afgani, libici, sauditi, a partecipare alla cosiddetta rivoluzione del mio paese. 
    E mi chiedo pure: quale rivoluzione è questa se ci sono mercenari ed estremisti? Il cambiamento si fa per migliorare non per peggiorare. I cristiani vogliono un vero cambiamento radicale partendo da un riforma costituzionale, che è stata effettuata e approvata con un referendum e poi con una visione moderna del futuro del paese dove la religione é per Dio e il paese é di tutti.

    Nel caso di Homs sono stati raggiunti alcuni accordi e tregue di cui non si ha notizia visto che, questi, sono stati ignorati dai media occidentali. Queste esperienze si potrebbero replicare in altre parti?
    Fra Firas Lufti: Homs é una città famosa per i suoi cittadini pacifici e miti, auto ironici tanto da raccontare perfino barzellette su se stessi. Dopo l'uscita dei gruppi armati dalla città, la gente è ritornata di corsa per controllare le proprie case e abitazioni, ma purtroppo il 90% della città è stata distrutta. In ogni caso i palazzi si possono ricostruire mentre è più difficile ricostruire l'anima ferita e la fiducia nell'altro. Il popolo siriano è solido di natura e questa guerra ha danneggiato lo spirito dei cittadini, soprattutto i bambini, testimoni di una violenza inaudita dove nel nome di Dio si uccide l'altro perché é nemico, essendo diverso per etnia e religione. Ben vengano allora tutti gli sforzi per una riconciliazione, per liberare un rapito o salvare una famiglia... Se sono riusciti a Homs sono sicuro che verranno replicati in altre zone.

    http://www.zenit.org/it/articles/la-siria-ha-bisogno-di-evoluzione-non-di-rivoluzione-prima-parte