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lunedì 14 luglio 2014

Maaloula non morirà, save Maaloula!

'Save Maaloula' è il movimento nato dagli abitanti della cittadina, sfollati internamente alla Siria o all'estero, per il recupero delle abitazioni, dei luoghi di culto e del patrimonio unico al mondo di questo luogo sacro : civili e religiosi si sono messi all'opera per poter tornare un giorno nelle case e nei monasteri bruciati e devastati. 







http://www.frommaaloula.com/more_about_maaloula


Il Sole 24Ore, 

di Alberto Negri


Incastonata nelle falesie della catena strategica del Qalamoun, Maloula, dove si parla ancora l'aramaico, la lingua di Gesù, era uno dei patrimoni dell'umanità con migliaia di anni di storia. Oggi è una città fantasma, dove pochi cristiani sono tornati a raccogliere le suppellettili salvate dal saccheggio o per adattarsi a vivere in abitazioni sgretolate, quasi delle grotte, senza acqua né luce. I guerriglieri islamici di Jabat al Nusra, sostenuti dai finanziamenti sauditi e qatarini, hanno sfregiato quadri e icone, incendiato libri sacri e codici antichi di chiese che che risalgono al quarto secolo. Anche le reliquie di Santa Tecla, dove c'è il convento greco ortodosso, sono state profanate e disperse: vediamo le pietre che le custodivano abbandonate in un angolo salendo scalinate macchiate dal sangue dei combattimenti.



«Provo una grande gioia a tornare ma anche un'enorme tristezza nel vedere come è ridotta la mia piccola e bellissima città», dice la signora Ama Mahallam, moglie di un miliziano cristiano. «I jihadisti- spiega Lan Haddad, che vive con la famiglia accanto all'orfanotrofio incendiato - erano presenti qui da almeno un anno, si erano infiltrati come visitatori, ospitati da famiglie musulmane che conosciamo benissimo: quando hanno ricevuto l'ordine di attaccare erano già potentemente armati e avevano avuto tutto il tempo di conoscere perfettamente questo territorio impervio e pieno di insidie».

Maloula è un esempio della ferocia e delle contraddizioni della guerra civile siriana. Qui si è combattuto per otto mesi dal 9 settembre a maggio. I jihadisti di Jabat al Nusra nei mesi precedenti avevano occupato la città appoggiati da una parte della popolazione musulmana ( il 30%, il 70% sono cristiani di rito greco cattolico), si era però raggiunto un accordo di tregua ma i ribelli quando hanno ricevuto nuovi rinforzi hanno attaccato le postazioni dell'esercito e messo in fuga i 10mila abitanti cristiani; poi hanno rapito le suore del convento di Santa Tecla e le hanno rilasciate a Yabroud in cambio di prigionieri dell'opposizione. Quindi è iniziata la parte più feroce della distruzione, con combattimenti durissimi mentre l'aviazione siriana bombardava l'area per stanare la guerriglia.

Per riprendere Maloula sono intervenuti gli Hezbollah sciiti libanesi, alleati dell'appena rieletto presidente Bashar Assad, che hanno sconfitto gli integralisti sunniti: questo spiega perché ovunque, insieme alla bandiera siriana, sventola anche quella gialla degli Hezbollah con il ritratto di Nasrallah, diventato ormai un eroe dei cristiani siriani, non solo qui ma anche a Damasco e Homs.

Ma ora sulla montagna di Maloula dove il monastero di Mar Sarkis, dedicato ai Santi Sergio e Bacco, dominava l'orizzonte, tutto è avvolto nel silenzio, spazzato dal vento.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-06-05/maloula-migliaia-anni-storia-rovinati-sempre-guerra-162541.shtml?uuid=ABb7YMOB

RITORNO A MAALOULA CITTA’ FANTASMA DEVASTATA DALL’ODIO E DALLA GUERRA


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I ribelli islamisti si sono accaniti soprattutto sui simboli religiosi. Il famoso monastero di Santa Tecla, simbolo della città con i suoi dipinti antichi e icone della Vergine Maria, di Gesù e dei Santi è irriconoscibile. Tutte le raffigurazioni sacre sono state profanate, con scritte offensive. Molte immagini hanno fori bruciati al posto degli occhi. 
Nelle stanze delle monache custodi del luogo santo rapite in dicembre nulla è stato risparmiato, anche i libri, i piatti, i vasi e gli oggetti da cucina sono stati distrutti. La stessa sorte è toccata all’orfanotrofio gestito dalle religiose.
Sulla strada che conduce al monastero di Mar Sarkis, si notano ancora le antiche grotte dei trogloditi, trasformate in depositi di armi e rifugi. Il santuario, che domina la città è servito ai ribelli come postazione da tiro contro l’esercito. L’albergo As-Safir, un tempo luogo di villeggiatura è uno scheletro di cemento. Secondo i residenti molte icone e oggetti sacri preziosi sono stati rubati, segno che i ribelli sanno cosa vale sul mercato.

Intanto la popolazione attende la fine della guerra per tornare e ricostruire la propria vita. 

http://erebmedioriente.tumblr.com/post/86292834591/ritorno-a-maaloula-citta-fantasma-devastata-dallodio

giovedì 10 luglio 2014

Gaza e Siria: le tragedie infinite del Medio Oriente, i martiri e le voci di chi è sul campo



Il Medio Oriente non conosce tregua. Le emergenze umanitarie continuano su più fronti, il numero dei morti e dei feriti cresce ogni giorno di più, e si fa fatica a vedere uno spiraglio oltre la spirale di violenza.

Il cielo di Gaza è di nuovo illuminato dalle bombe. Ieri un ordigno è esploso a pochi chilometri dal campo estivo organizzato dalle Suore del Santo Rosario a cui partecipano 157 bambini. P. Mario, del Patriarcato latino di Gerusalemme, racconta: “Eravamo al telefono con le suore di Gaza e abbiamo assistito a un’esplosione in diretta, udendo l’urlo dei bambini che si trovano in parrocchia per il campo estivo”. Secondo il sacerdote gli alunni sono stati subito rimandati a casa dalle proprie famiglie, accompagnati dagli animatori che hanno approfittato di un momento di tregua per uscire dagli edifici della parrocchia e percorrere le strade della città. “I bambini – aggiunge p. Cornioli – sono terrorizzati, così come tutta la popolazione di Gaza”.

Anche nella vicina Siria la situazione continua a essere grave: “La Siria è un paese devastato, non esiste più nulla, la gente è allo stremo delle forze – ci dice fra Simon, responsabile della Regione San Paolo per la Custodia di Terra Santa. Dagli ultimi report del Syrian Network for Human Rights, sono stati documentati un milione e centomila feriti dal marzo 2011, data di inizio del conflitto. Il 45% sono bambini. 120.000 persone sono costrette a vivere con una disabilità permanente e con complicanze dovute all’amputazione di arti. Il numero di morti è salito a 133.586, di cui 15.149 bambini.

Poco tempo fa è caduto un mortaio sulla testa di un bambino di 5 anni, che veniva al nostro catechismo – continua a raccontare p. Simon – “Il piccolo è morto, mentre poco dopo un nostro giovane frate è rimasto vivo per miracolo, quando un altro mortaio gli è caduto a un metro e mezzo di distanza. La gente vive nel terrore, si sente continuamente in pericolo, ogni secondo. Anche io, che mi devo spostare per portare aiuti e visitare i nostri parrocchiani, mi sento continuamente in pericolo. Ma so che non devo perdere la speranza. Noi frati vogliamo restare e continuare ad aiutare chi è rimasto in quella terra martoriata”.

Per quanto possiamo, restiamo vicini alle vittime di questi conflitti.

http://www.proterrasancta.org/2014/07/gaza-e-siria-le-tragedie-infinite-del-medio-oriente-e-le-voci-di-chi-e-sul-campo/



Beati Emanuele Ruiz e compagni Martiri Francescani di Damasco 

† Damasco (Siria), 10 luglio 1860

Si tratta di un gruppo di 11 martiri dei musulmani, uccisi per la fede il 10 luglio 1860; di essi sei erano Padri Francescani Minori, due erano Fratelli professi Francescani e tre erano fratelli di sangue laici maroniti. Sono conosciuti come ‘Beati Martiri di Damasco’ Versarono il loro sangue come tanti altri prima di loro in quelle terre che videro sempre, dal tempo di s. Francesco, lo sforzo missionario dei Francescani nel mondo islamico.

 Essi si trovavano nel loro convento di Damasco in Siria, svolgendo la vita comunitaria, estesa all’apostolato fra la popolazione locale.
Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1860, furono attaccati dai Drusi di Damasco, che in preda al loro fanatismo di insofferenza religiosa, scoppiato negli anni 1845-46 e specialmente nel 1860 contro il cristianesimo, percorsero la città facendo stragi di cristiani.
Gli otto francescani si rifugiarono fra le solide mura del convento, con loro si trovavano tre fratelli cristiani maroniti; purtroppo ci fu un traditore, forse fra gli inservienti locali, che introdusse gli assassini per una piccola porta, cui nessuno aveva pensato, e così furono tutti massacrati, con la ferocia che distingue i fondamentalisti islamici e che in tanti secoli ha fatto migliaia e migliaia di vittime nel mondo cristiano.
Si riportano i loro nomi:
 
Padri francescani:
Emanuele Ruiz, nato a Santander (Spagna) il 5 maggio 1804, 56 anni, superiore della Comunità;
Carmelo Volta, nato nella provincia di Valencia il 29 maggio 1803, 57 anni;
Engelberto Kolland, nato a Salisburgo (Austria) il 21 settembre 1827, 33 anni;
Ascanio Nicanore, nato nella provincia di Madrid nel 1814, 46 anni;
Pietro Soler, nato nella Murcia (Spagna) il 28 aprile 1827, 33 anni;
Nicola Alberga, nato nella provincia di Cordova il 10 settembre 1830, 30 anni;
 
Fratelli professi francescani:
Francesco Pinazo, nato nella provincia di Valencia il 24 agosto 1802, 58 anni;
Giovanni Giacomo Fernandez, nato in Galizia (Spagna) il 29 luglio 1808, 52 anni;
 
E poi i tre fratelli, laici di religione maronita:
Francesco, Abd-el-Mooti e Raffaele Massabki.
 
Furono tutti beatificati da papa Pio XI il 10 ottobre 1926 e la loro festa fissata al 10 luglio.





Un mese fa i capi di Palestina ed Israele hanno pregato uniti a Papa Francesco e al Patriarca Bartolomeo per la pace in Terra Santa . Riprendiamo l'articolo di Terrasanta.net , facendo nostra di nuovo  in queste drammatiche ore la preghiera di Papa Francesco.

Per una pace tra uguali e fratelli, l'invocazione a più voci in Vaticano

di Carlo Giorgi | 9 giugno 2014
«Siamo fratelli, figli di uno stesso Padre: solo se lo riconosciamo potrà arrivare la pace». Il pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa si conclude in Vaticano, domenica 8 giugno, festa di Pentecoste, con queste parole che suonano come un lascito universale per i credenti di tutti i tempi. Solo due settimane prima, il 25 maggio, il Papa aveva invitato «nella sua casa» il presidente palestinese Mahmoud Abbas e quello israeliano Shimon Peres, a pregare insieme per la pace. L’invito era stato accolto da entrambi e il Papa aveva incaricato il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, di curare i dettagli organizzativi dell’incontro di preghiera.
Il clima tra i presenti è incoraggiante: a Santa Marta, la «casa» del Papa, Peres ed Abbas incontrandosi pochi minuti prima, si sono abbracciati di slancio.
«La storia ci insegna che le nostre forze non bastano . Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla. Per questo siamo qui, perché sappiamo e crediamo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo alle nostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli. Abbiamo sentito una chiamata, e dobbiamo rispondere: la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, a spezzarla con una sola parola: “fratello”. Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un solo Padre». 
Nel suo intervento Francesco insiste sulla fratellanza che unisce i credenti e sull’appartenenza alla comune famiglia umana, fatta di padri e figli: 
«Signori presidenti, il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli : figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino. Molti, troppi di questi figli sono caduti vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. È nostro dovere far sì che il loro sacrificio non sia vano. La loro memoria infonda in noi il coraggio della pace, la forza di perseverare nel dialogo ad ogni costo, la pazienza di tessere giorno per giorno la trama sempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica, per la gloria di Dio e il bene di tutti».
«Per fare la pace ci vuole coraggio , molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo».

Papa Francesco ha poi recitato una preghiera per la pace che riportiamo integralmente:
Signore Dio di pace, ascolta la nostra supplica! Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi; tanti momenti di ostilità e di oscurità; tanto sangue versato; tante vite spezzate; tante speranze seppellite… Ma i nostri sforzi sono stati vani. Ora, Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “Mai più la guerra!”; “Con la guerra tutto è distrutto!”. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace. Signore, Dio di Abramo e dei Profeti, Dio Amore che ci hai creati e ci chiami a vivere da fratelli, donaci la forza per essere ogni giorno artigiani della pace; donaci la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino. Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono. Tieni accesa in noi la fiamma della speranza per compiere con paziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione, perché vinca finalmente la pace. E che dal cuore di ogni uomo siano bandite queste parole: divisione, odio, guerra! Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, perché la parola che ci fa incontrare sia sempre “fratello”, e lo stile della nostra vita diventi: shalom, pace, salam! Amen.
Anche il presidente israeliano, che parla subito dopo il Papa, insiste sull’idea di famiglia comune: «Due popoli - gli israeliani e i palestinesi - desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali (…) Noi tutti siamo uguali davanti al Signore. Siamo tutti parte della famiglia umana. Senza la pace non siamo completi e dobbiamo ancora raggiungere la missione dell’umanità. (…) La pace non arriva facilmente. Dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze per raggiungerla. Per raggiungerla presto. Anche se ciò richiede sacrifici o compromessi».
«O Signore, porta una pace completa e giusta al nostro Paese e alla regione – ha pregato infine il presidente Abbas – così che il nostro popolo e i popoli del Medio Oriente e di tutto il mondo possano godere il frutto della pace, della stabilità e della convivenza. Noi desideriamo la pace per noi e per i nostri vicini. Cerchiamo prosperità e tranquillità per noi come per gli altri. O Signore, rispondi alle nostre preghiere e dà successo alle nostre iniziative perché tu sei il più giusto, il più misericordioso, Signore dei mondi».

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6590&wi_codseq=HL007 &language=it

lunedì 7 luglio 2014

Padre Daniel : del sionismo e dei 'Palazzi d'Avorio'.....

"Come la maggior parte di noi, sono cresciuto nel rispetto verso gli alti funzionari e le Istituzioni internazionali. Tre anni di  guerra hanno profondamente influenzato le mie convinzioni. Capisco quello che il profeta Amos dice, che l'ingiustizia è basata su "Palazzi d'avorio"e "sulle grandi case". Ho anche capito che ognuno di noi sia preoccupato della verità e giustizia è decisivo per la vita o per la sofferenza e la morte di altri sulla nostra terra. O noi stiamo dalla parte degli assassinio a fianco delle vittime innocenti. Con un atteggiamento 'neutrale', noi sosteniamo i  primi." 

Padre Daniel





Mar Yakub   
venerdì 4 luglio 2014 

di  P. Daniel





Dalla festività calcistica fino al Ramadan

Grazie al bricolage dei nostri frati sulla nostra vecchia TV, abbiamo potuto seguire qualche partita del campionato mondiale di calcio durante il weekend. Tutti lo hanno seguito mentre facevano altri lavoretti. Naturalmente complimenti per i Belgi. Era molto emozionante finché non cadeva l’elettricità e cosi la vita normale riprendeva il suo ritmo.
Due domeniche fa, abbiamo organizzato per la prima volta un barbecue nell’ atrio, come abbiamo fatto tante volte prima della guerra. Il nostro prete bizantino ha procurato la carne. Questa domenica, nel pomeriggio, venivano dei musulmani a chiederci se potevano usare il nostro barbecue. E’ una semplice graticola portatile. Cosi sapevamo che il Ramadan era iniziato veramente, nel quale il musulmani possono mangiare solo la sera.
Con il Ramadan, i musulmani festeggiano finalmente la notte del “Al-Qadr”, cioè la notte della “destinazione” nella quale tutto è dato. Il Corano parla di “una notte benedetta” nella quale gli angeli e lo Spirito Santo sono discesi. E' la notte più importante di tutte le notti, cioè la notte della misericordia di Dio e anche della pace, dove la Parola di Dio è scesa in terra. Non sembra piuttosto come Natale per noi? La tradizione maomettana collega questa notte con la discesa del libro del corano su Maometto, anche se non viene espresso così chiaramente. 
Dagli studi dei nostri frati sull’ islam e il corano abbiamo capito che infatti il Ramadan è ispirato dal nostro Natale più di quanto pensassimo. Ai suoi tempi Maometto ha rimproverato agli ebrei di non aver riconosciuto Gesù come loro Messia. Quello che viene ufficialmente detto nel corano sul ramadan è molto simile alla fede cristiana del Natale e anche alla nascita di Gesù come la Parola vivente di Dio. 
(Speriamo di pubblicare un giorno questi studi: “Islam in the Christian Scripture” e “ Les musulmans dans la lumière du Christ”).

Non – democratico?

La Siria continua a lavorare alla sua rinascita in modo faticoso e doloroso. L’esercito continua ad eliminare, sistemare ed espellere centri di ribelli. Comunque, spesso, ci sono gruppi di ribelli che si arrendono. Nel mondo intero i Siriani mostrano la loro solidarietà con l’esercito, il governo e il presidente. La collaborazione con paesi alleati viene quotidianamente rinforzata. Si lavora duramente per ricostruire le infrastrutture devastate. Scuole, ospedali ricominciano a funzionare al massimo della loro capacità. 
Il movimento “mussalaha” continua a crescere…
All’estero si reagisce qualche volta con una frase molto tagliente: ”Si, ma la Siria non è per niente un paese democratico!” . Voglio replicare molto chiaramente: E’ vero che la Siria non ha una società ideale. Ed è anche vero che ci sono ancora molti difetti e molti  elementi non-democratici. 
Il modo tuttavia in cui  oggi si sta lavorando a questa società è molto meglio di ogni paese europeo “democratico”. Come il fatto che il 13 % della popolazione della Cecoslovacchia ha votato alle elezioni europee ..., e vi sembra tanto democratico che oggi hanno capi europei che sono in gran parte agenti dell’ America? Per me, democrazia implica governare il popolo con un governo scelto dal popolo e per il popolo. 
 Invito ONU e  EU a studiare la situazione qui in Siria, dove stanno provando a costruire una società armoniosa per tutti nonostante una situazione molto difficile.


dopo una settimana di sofferenze, è morto anche Robert Kosma, per il colpo di mortaio che ha colpito il centro sportivo della zona Kassa, dopo gli altri due ragazzini cristiani morti sul colpo. Un nuovo angelo salito per incontrare Gesu Cristo.

Lacrime di coccodrillo per la situazione umanitaria

Sia l’ ONU che l’ EU sono molto preoccupate per la situazione umanitaria catastrofica in Siria. Almeno, è quello che ci vogliono far credere. Si lamentano che ci sono  160.000 morti e che ci sono milioni di rifugiati all’interno del paese e all’estero, e che i diritti umani delle persone sono violati e che l’eredità culturale e religiosa viene distrutta. 
L’ ONU tenta di imporre sanzioni e possibilmente un intervento militare, naturalmente contro la Siria. Tutto questo in un momento in cui ISIS e al-Nousra stanno aumentando le loro atrocità in Iraq e in Siria. Naturalmente questo 'ONU-intervento' non avrebbe luogo nel Nord e Nord-Ovest della Siria, perché là la gente si trova  già nel paradiso del Califfato sotto il comando di Abou Bakr al Bahdadi, che si chiama oggi signor Ibrahim, il califfo di Siria, Iraq e dintorni (cioè prima il mondo Arabo e poi il mondo occidentale).
 No, le sanzioni sono previste verso la Siria e nello stesso tempo si darà un sostegno potente ai “ribelli moderati” per “stabilire la pace”. Lo scopo dell' ONU è di sottomettere tutta la Siria sotto il comando dei terroristi?  Fortunatamente, Gennady Gatilof, il deputato Russo del ministero degli Affari Esteri ha smascherato questa ipocrisia e ha dichiarato che la Russia non sosterrà nessuna risoluzione per approvare sanzioni o interventi militari in Siria che aumenterebbero ancora di più la sofferenza della popolazione Siriana.  Gennady Gatilof chiede invece di condannare i veri colpevoli di questa dramma umanitario in Siria.
L’UE, schiava dell’ America, sostiene pienamente  questa schifosa guerra contro la popolazione Siriana e con tante lacrime di coccodrillo ha già provveduto a nuove sanzioni contro la Siria. Vuoi sapere quello che pensa il patriarca Caldeo di Babilonia in Iraq, Louis I Sako?:  "L’Occidente è più interessato al calcio che alla situazione umanitaria della gente in Iraq e in Siria. La politica occidentale è solo preoccupata dei suoi propri interessi economici”.  Exxon-Mobil investirà miliardi di dollari nel porto di Anversa (B). Chi si interessa ancora al fatto che è precisamente questa compagnia petrolifera che vende oggi il petrolio rubato recentemente dalla Siria? 

Crocifissi in Padova

Una donna Finlandese, sposata con un Italiano non vuole che i suoi due ragazzi vedano nella loro scuola un crocifisso al muro. Dal 2002 fino a 2011, ci sono stati processi uno dopo l’altro. Nel 2009 la Corte Europea di Giustizia ha condannato l’Italia con l’ordinanza di togliere i crocefissi. Si era organizzato un contro-movimento e nel 2011 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo decise invece che i paesi singoli hanno una certa libertà per l’uso di loro propri simboli religiosi o filosofici. Massimo Bitonci, sindaco di Padova,  Nord-Ovest dell' Italia, decide che ogni scuola e edificio pubblico sarà ornato di un crocefisso come espressione della cultura cristiana che è la base della nostra civiltà. Che ironia! Sapendo che il movimento di secolarizzazione del 20 secolo era il più forte in Nord-Italia! Voilà l’effetto massimo!

Sionismo non è una fede autentica

Il sionismo (derivando da Sion, Gerusalemme) è una ideologia e una corrente politica. La parola è stata usata per la prima volta dallo scrittore Viennese Nathan Bienbaum in 1890. Il sionismo è un' aspirazione secolare per lo stato ebraico puro, che non vuole aspettare la venuta del Messia , ma vuole invece costruire il proprio messianismo terreno. Theodor Herzi, con il suo libro “Der Judenstaat” (1896) fu il padre di questa aspirazione e David Ben-Gurion fu il suo architetto. Migliaia di ebrei ortodossi e una centinaia di rabbini autorevoli si sono opposti a questa nuova concezione sionistica dell’ebraismo. Loro rigettano questa concezione come fondamentalmente anti-ebraica perché sostituisce l’autentica messianismo religioso con un messianismo terreno, militare e opprimente. Il sionismo non è per niente conforme all’autentica fede ebraica e neanche conforme al popolo o paese ebraico. Vedi l’opinione ebraica stessa sul sito: www.nkusa-org: Jews against zionism.
Nella preparazione per l’indipendenza di Israele, David Ben-Gurion ha elaborato una struttura sionistica in modo molto efficace, iniziando con una collezione di informazioni utili, es. sui villaggi Palestinesi. I sionisti visitavano in modo sistematico i villaggi Palestinesi e giocavano nello stesso tempo sull’ospitalità Araba. Nel frattempo però loro annotavano i nomi dei capi più importanti, le ricchezze e debolezze del villaggio. Questi dossier furono poi usati come guida per espellere,  conquistare e distruggere i Palestinesi e i loro villaggi. La tattica di David Ben-Gurion diventava sempre più violenta.
Quello che sta succedendo in questi giorni riflette completamente il metodo di lavoro del sionismo. Tre ragazzi ebrei sono stati uccisi. E’ assolutamente normale che gli assassini siano rintracciati e puniti. Per i sionisti invece questo non è neanche necessario. Per i sionisti questa è un' occasione ideale per rappresaglie di massa a volontà, neanche sapendo chi ha esattamente ucciso questi 3 ragazzi . Perciò, adesso ci sono bombardamenti di massa su Gaza e anche la presenza di forze militari. Subito il consiglio di sicurezza dell' ONU ha condannato fortissimamente l’assassinio atroce e inaccettabile di questi 3 ragazzi ebrei. Nessuna disapprovazione chiara, invece, è stato dichiarata dal consiglio di sicurezza dell'ONU sulle orrende stragi di massa che i terroristi hanno eseguito qui in Siria (con l’aiuto internazionale e anche con l’aiuto dei sionisti). Gli attacchi terroristici non sono mai stati condannati! Dunque oggi chi può ancora negare che il consiglio di sicurezza dell'ONU non è politicizzato?
Un'altra arma che i sionisti (ab)usano molto frequentemente, è la lobby dell’ “anti-semitismo”. In pratica la parola anti-semitismo significherebbe rifiutare o odiare la fede, il popolo o il paese ebraico, il che è certamente una cosa non accettabile. I sionisti invece, hanno dato a questa parola nell’opinione pubblica un significato completamente differente, cioè il rifiuto della politica sionistica. Criticare il fatto che la politica sionistica può negare le regole internazionali in modo sempre più progressivo, è subito denunciato come anti-semita. Dire che non solo le armi chimiche, biologiche e nucleari della Siria devono essere distrutte, ma anche quelle di Israele è subito qualificato come anti-semita. Nel frattempo si nasconde simultaneamente che l’anti-cristianesimo che c’è oggi nel mondo intero è una ingiustizia molto più grande che l’attuale anti-semitismo. E perciò è molto più sensato  sostenere l’iniziativa italiana : “Ferma la cristianofobia” contro le persecuzioni mondiali dei cristiani.



La chiave per la riconciliazione e la pace

Ho ricevuto un libro da amici olandesi che hanno buoni contatti con qualche siriano. Il libro si chiama: “La depurazione etnica della Palestina”, Davidsfonds, Leuven, 2008 di Illan PAPPE.
  Pappe è un professore di scienze politiche all’università di Haifa ed è anche uno dei rappresentanti ebraici più importanti dei “Nuovi Storici”. Insieme con altri colleghi e qualche 'Ebreo controcorrente', Pappe vuole ammettere la verità e svelare quello che è ancora velato nell’opinione pubblica di ciò che è stato qualificato come una ordinaria “guerra di indipendenza” del 1948. Pappe dimostra che in realtà si tratta di strage di massa (minimo 31), distruzioni totali di villaggi e l’espulsione dell’ignorante popolazione Palestinese. Si trattava della epurazione etnica della Palestina. Il sionismo continua non-stop con le sue epurazioni e così disorganizza il Medio-Oriente. Il sionismo utilizza gli stessi metodi come è molto evidente nella guerra in Siria. Ogni occasione è utilizzata per rappresaglia , intimidazione, uccidere o distruggere. 
Il problema non è l’ebraismo e il popolo ebraico , ma è il “sionismo etnico”. Illan Pappe scrive nel suo studio dettagliato nel momento in cui il muro di “apartheid” era stato eretto a metà e lui ha predetto  che la Siria e l’Iraq sarebbero state le prossimi vittime. Come è possibile, con tutto questo, avere ancora simpatia per i ribelli è per me un enigma. Non è che tutto fa parte della epurazione etnica? 
Pappe conclude comunque con l’dea fiduciosa che “noi abbiamo in mano la chiave della riconciliazione e della pace”. “Noi ” sono gli ebrei che sono stufi – ad fundum – del sionismo. “Noi ” sono gli Ebrei che hanno il coraggio di riconoscere la realtà e che sono anche pronti alla riabilitazione (riparazione delle offese…)
Nell’ultimo capitolo, Pappe apre con una citazione del suo collega, Arnon Soffer, professore di geografia della stessa università di Haifa . “Se noi vogliamo continuare a restare vivi, siamo costretti ad uccidere e uccidere e uccidere. Tutta la giornata e ogni giorno … Se non uccidiamo sarà la fine della nostra esistenza…” 
Nel frattempo il sionismo si è stabilito nell’opinione pubblica come un movimento rispettabile, mentre ognuno che ama la fede, il popolo e il paese ebraico e si oppone apertamente a questa deviazione immorale, può essere denunciato e condannato con successo come un 'anti-semita'. Chi lo capisce ancora ?! Speriamo che il popolo ebraico possa riscoprire e vivere la sua dignità autentica.

Di cuore,
P. Daniel

  (traduzione dal fiammingo: A. Wilking)

venerdì 4 luglio 2014

Aleppo, i terroristi tagliano l'acqua



La città di Aleppo, da mesi frazionata in zone sotto il controllo dell’esercito e altre in mano alle milizie islamiste, è allo stremo ed è ora senza acqua potabile. 


Oggi la popolazione ha lanciato un appello in 15 lingue intitolato “Aleppo ha bisogno di acqua” rivolto all’Onu e altre agenzie umanitarie. 
Scritto lo scorso 2 luglio, il messaggio è stato rilanciato attraverso Inews un network gestito dai giovani della città, con oltre 20mila followers. 





Di seguito il testo completo dell’Appello:
"Colleghi, funzionari presso le Nazioni Unite, l’UNICEF e tutte le associazioni internazionali che operano nel campo dei diritti umani. Vorremmo informare che l’acqua nella città di Aleppo è stato tagliata dai gruppi terroristici armati durante i bombardamenti di questi ultimi giorni. Essi hanno distrutto le principali condotte della città situate nella zona di Suleiman Al-Halabi. Finora, nessuna squadra di tecnici, militari o personale della Mezzaluna rossa è riuscita a raggiungere la zona danneggiata dai bombardamenti a causa del continuo fuoco dei gruppi armati. Nella città si stanno gradualmente diffondendo casi di epidemie e avvelenamento da acqua contaminata. Vi preghiamo di inviare, attraverso la nostra pagina quella di altri media siriani delle dichiarazioni di condanna di questo atto, in modo da fare pressione sui gruppi armati e permettere alle squadre di soccorso di raggiungere la zona e ripristinare l’erogazione di acqua potabile. Vi preghiamo di diffondere il nostro appello e speriamo che voi siate davvero dei difensori dei diritti umani. Speriamo che vogliate accogliere le nostre richieste e agire in nostro soccorso, altrimenti è chiaro che siete dei difensori dei diritti umani solo di facciata che stanno a guardare la fine di un’intera popolazione". 
http://erebmedioriente.tumblr.com/post/90696915681/siria-aleppo-i-terroristi-tagliano-lacqua





La gente di Aleppo prigioniera di una guerra voluta da "altri"


S.I.R.  Giovedì 03 Luglio 2014

Georges Abu Khazen, vicario apostolico latino, denuncia "l'ipocrisia delle grandi potenze internazionali", perché acquistare petrolio dall'Isil "significa finanziare la guerra, sostenere il terrorismo e non combatterlo". Le necessità di rendersi conto degli errori commessi e di avviare subito i negoziati di pace. Cresce la solidarietà fra musulmani e cristiani, mentre i bimbi vedono la morte dappertutto

 “Ad Aleppo si continua a morire ogni giorno - racconta monsignor Georges Abu Khazen, vicario apostolico latino della città - si muore per la guerra, la fame e la sete”. In città, spiega il religioso francescano, “mancano acqua ed elettricità che vengono erogate solo per pochissime ore al giorno. In alcune zone l’acqua non arriva neppure. La popolazione è in ginocchio e si sobbarca lunghi tragitti, a piedi, per riempire ghirbe, secchi e bottiglie. A patire di più sono i bambini, gli anziani e le persone malate. In questo periodo qui, ad Aleppo, fa molto caldo e la mancanza di energia elettrica non consente l’accensione dei condizionatori d’aria. E quando l’elettricità viene erogata non è sufficiente a far funzionare gli apparecchi domestici come i frigoriferi. Sono mesi ormai che in città non abbiamo la possibilità di conservare gli alimenti e siamo costretti a comperare cibi che non hanno bisogno di essere tenuti in fresco come la carne, per esempio, che non si mangia da molto tempo. I negozi sono aperti per vendere quel poco che si riesce a reperire. Con Caritas Siria abbiamo organizzato, insieme alla Mezzaluna rossa locale, la distribuzione di aiuti umanitari alla popolazione, sia musulmana che cristiana. In questa situazione critica, difficile, vediamo anche la bellezza di relazioni che si rafforzano, famiglie cristiane e musulmane che condividono quel poco che hanno, che si aiutano vicendevolmente. I nostri fratelli musulmani stanno scoprendo la bellezza della carità cristiana”.

La mancanza di acqua provoca problemi anche di natura igienico-sanitaria. Come state fronteggiando questa emergenza?

“Le cure mediche e le medicine vengono garantite in qualche modo dalla grande generosità di medici e infermieri degli ospedali pubblici e privati e grazie anche al grande sostegno della Croce Rossa internazionale e della Mezzaluna Rossa. Ma c’è un’altra grande emergenza ed è quella che riguarda i bambini”.

Che genere di emergenza?
“Ogni giorno sentiamo i colpi di mortaio, le bombe e gli scontri a fuoco nei quartieri della città. Ogni giorno contiamo i morti sulla strada con brandelli di corpi sparsi un po’ ovunque e sotto gli occhi di tutti, soprattutto bambini. Questi vedono gente morire in ogni momento. Stiamo pensando con Caritas Siria e altri organismi umanitari di organizzare dei team di aiuto psicologico per i più piccoli”.

Come vivono, invece, i cristiani rimasti in città? “Risentono della grave situazione come il resto della popolazione. A livello pastorale cerchiamo di continuare le attività, Messe, catechesi e incontri, con quei pochi che vengono. Molti, infatti, scelgono di restare in casa per paura di essere colpiti o attaccati”.

Che notizie vi giungono dall’Iraq? Cosa pensa della nascita del Califfato dell’Isil?
“Siamo molto preoccupati per quanto sta avvenendo in Iraq dove, secondo alcuni osservatori, è in atto un complotto ordito da qualche potenza forse internazionale e regionale. L’Isil ha occupato un vasto territorio che va dalle porte di Aleppo fino in Iraq, e con diversi giacimenti di petrolio pronto ad essere venduto a tanti Paesi stranieri. Acquistare petrolio significa finanziare la guerra, sostenere il terrorismo e non combatterlo. Questa è l’ipocrisia delle grandi potenze internazionali che non vedono ciò che davvero sta accadendo in questa area e così facendo si rendono complici di tutta questa violenza. Appoggiano dei terroristi che non hanno timore ad affermare che la loro bevanda preferita è il sangue. Le crocifissioni, le uccisioni che sono state mostrate non sono nulla rispetto a ciò che accade”.

Esiste una via di uscita da questa guerra che sia realmente percorribile?
“La soluzione non è finanziare o armare i contendenti. Le potenze internazionali riconoscano con coraggio di aver sbagliato nel fornire loro armi e si adoperino per metterli tutti intorno ad un tavolo per trovare una soluzione negoziale. Abbiano il coraggio della pace”.


L'Occidente tace sulla sete imposta al popolo di Aleppo; in compenso, dopo la richiesta di Obama di addestrare, armare, foraggiare i ribelli,  ora BBC rivela che anche il Regno Unito ha elaborato  un piano per addestrare ed equipaggiare un esercito di 100.000 ribelli siriani per sconfiggere il presidente Bashar al-Assad

mercoledì 2 luglio 2014

Patriarca caldeo: l'Iraq va verso la guerra civile e ai politici interessa solo il petrolio


di Mar Louis Raphael I Sako

In una nota inviata ad AsiaNews Mar Sako sottolinea la situazione terribile del Paese. Milioni i rifugiati, nessuna notizia certa delle suore e dei tre giovani rapiti a Mosul. Sempre più concreta l’ipotesi di una guerra civile che si conclude con la partizione della nazione. Nessuna risposta dalla politica, interessata al petrolio. Appello ai cristiani alla preghiera. 

AsiaNews, 2 luglio '14

È con dolore profondo che mi accingo a illustrare la situazione in Iraq, con l'obiettivo di accrescere la consapevolezza sulla situazione attuale e favorire un'atmosfera di solidarietà consapevole. 
Non è certo un mistero il fatto che la situazione è molto fragile e dunque nessuno può dirsi al sicuro. De facto, le milizie dello dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante [Isis, formazione sunnita jihadista legata ad al Qaeda, ndr] occupano ancora, per il momento, Mosul e l'intera regione circostante; i curdi controllano Kirkuk, il governo di Baghdad non controlla affatto le principali città sunnite; e l'esecutivo centrale, fino ad oggi, è ancora di là dal nascere. All'orizzonte non si intravede alcun segnale che possa far sperare in una soluzione politica che possa garantire maggiore sicurezza. Il rischio di un crollo generale è grande e nessuno è in grado di prevedere quali saranno gli sviluppi futuri.  
Le milizie dell'Isis regnano a Mosul e in quasi tutta la parte occidentale dell'Iraq, mentre si fanno sempre più forti i venti di guerra nel Paese; l'altro ieri due religiose caldee, assieme a due giovani orfane e a un ragazzi di 12 anni sono state sequestrate in pieno giorno a Mosul, e finora non si hanno notizie ufficiali e certe sulla loro sorte.  
I rifugiati si contano nell'ordine dei milioni. Stiamo andando verso una guerra civile? Dio non voglia, ma tutto sembra andare in questa direzione. Essa potrebbe durare un anno, due anni o forse più; tutti prevedono che l'esito più probabile - e drammatico - di questa crisi possa essere la partizione del Paese in cantoni su base etnica e confessionale, accentuata inoltre dalla componente estremista di natura religiosa. Ma se l'obiettivo finale è la divisione, ci si chiede perché ci si debba arrivare attraverso le guerre, e non mediante un dialogo e un accordo [politico]? 
A noi cristiani, che ci ispiriamo agli avvenimenti del Vangelo, sembra di vivere il mistero di Cristo che dorme nella barca (Marco 4:35-41), perché davanti a una allarmante indifferenza e a un triste oblio della comunità internazionale, le onde si alzano e si fanno sempre più minacciose!  
Nonostante tutto, noi non disperiamo. Siamo quindi invitati e pressati a risvegliare il Cristo, per trarre vantaggio dalla nostra fede e continuare il nostro viaggio su un mare calmo; purtroppo, non riesco a vedere fino a che punto possiamo contare sui politici e la classe dirigente. Nella grande maggioranza, sembrano preoccuparsi solo dei propri interessi e, in particolare, del petrolio! 
Accogliamo con gioia il ritorno delle famiglie alle proprie case; esse hanno appena vissuto il dramma di un nuovo esodo, e pochi giorni fa sono fuggite dalla grande città cristiana di Qaraqosh. Oggi vi hanno fatto ritorno e vogliamo augurarci che fatti come questo non si debbano più ripetere. Cogliamo questa occasione per rinnovare i nostri più sentiti ringraziamenti a tutte le persone di buona volontà, che operano in nostro favore, e a tutti i fedeli che pregano per noi e ci sono vicini in questi tempi di particolare difficoltà.  
 http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarca-caldeo:-LIraq-va-verso-la-guerra-civile-e-ai-politici-interessa-solo-il-petrolio-31511.html

Il vescovo di Erbil: non lasciate i cristiani iracheni al loro destino


Parla a Radio Vaticana il vescovo di Erbil mons. Bashar  Warda:

R. – Well, what we are asking to the international community is …
Ciò che chiediamo alla comunità internazionale è di mettere pressione sui politici iracheni. Fondamentalmente, infatti, non esiste un governo al momento. Chiediamo di accelerare il processo di riunificazione della comunità, per formare un governo il prima possibile, perché come lei ha detto, la situazione è caotica, davvero caotica, e questo sta causando molti problemi e depressione. Le persone non sono solo preoccupate e impaurite, ma sono davvero depresse per quello che sarà il loro futuro, se ci sarà un futuro per il Paese. E noi, in qualità di leader della Chiesa, abbiamo detto: “Per favore, se volete dividere il Paese, fatelo in pace, senza la violenza cui stiamo assistendo”..

D. – C’è la possibilità, come lei ha detto, che il Paese venga diviso?
R. – Hopefully not, because everyone...
Se tutto va bene no, perché anche le divisioni non sono il vero problema e certo non lo risolvono, anzi ne causano di più. Qualcuno, però, trova tutto questo l’unica soluzione. Non è l’unica, però. E’ dovuta ad alcune questioni complicate, storie non chiuse del passato, e per questo le persone pensano alla divisione. Ma nel profondo tutti vorrebbero vedere l’Iraq com’era: Iraq.

D. – Negli ultimi giorni molte persone, migliaia di persone, sono scappate da Qaraqosh ed altri paesi cristiani a causa della guerra. Com’è, dunque, la situazione al momento?
R. – It was very difficult…
E’ stato davvero difficile ricevere più di 20 mila persone in tre giorni. In Ankawa è stata davvero dura per noi. Siamo stati in grado, in un certo modo, di far fronte alla situazione, perché si sa che le risorse della Chiesa sono limitate, e l’esperienza che abbiamo non è l’esperienza con cui poter far fronte al grande numero di persone. Fortunatamente il 90% delle famiglie in centro se ne sono andate, poche sono quelle rimaste in casa con i loro amici e parenti, e alcune persone di Ankawa le hanno accolte. La parte triste della storia è che le persone si stanno preparando a lasciare il Paese – da Qaraqosh, da Ankawa - molte delle nostre comunità cristiane stanno pensando seriamente di lasciare il Paese. Sono stufi, esattamente stufi, impauriti, terrorizzati.

D. – Vogliono semplicemente andarsene e scegliere un altro Paese forse per cominciare una nuova vita?
R. – They know it would not be...
Sanno che potrebbe non essere una saggia decisione, una buona decisione; sanno che è una decisione dura, sanno che non è facile emigrare, sanno che i Paesi europei, l’America, il Canada e l’Australia forse non saranno disposti ad accettarli. Ma dicono che è comunque meglio che restare, aspettando invano, e forse aspettando un’umiliazione maggiore, in un certo modo. Non è certo una decisione facile, ma non ci sono alternative.

D. – E per quanto riguarda i cristiani di Mosul? Se ne sono andati? Sono scappati?
R. – Yes, a few families...
Sì, alcune famiglie si contano. Da quello che sentiamo, se ne stanno andando, perché l’Isis ha cominciato ad promulgare le sue leggi, la Costituzione, l’attuazione della sharia. Quindi, adesso è tutto sempre più chiaro ...

D. – Ma lei non ha sentito nessun tipo di attacco contro le persone, uccisioni...
R. – Two churches were looted...
Due chiese sono state razziate. Hanno anche stabilito che le donne non devono guidare la macchina. Hanno portato via tutte le statue e anche l’antica statua di Nostra Signora di Al Tahira … Almeno adesso sappiamo cosa ci aspetta!

D. – La comunità cristiana è una delle minoranze qui in Iraq. Se tutte queste persone lasceranno il Paese, cosa succederà?
R. – We need the international community to interfere...
Bisogna che la comunità internazionale interferisca, perché le minoranze sono una risorsa per la ricchezza del Paese. Non si possono abbandonare al loro destino. Se i loro diritti saranno tutelati, per farli rimanere nel Paese, questo rappresenterà una vera ricchezza per l'Iraq. Quindi, non si tratta di essere “cristiano”, si tratta di essere un essere umano, di essere una minoranza. Noi abbiamo tante minoranze all’interno dell’Iraq, e per questa ragione noi diciamo: “Per favore, fate qualcosa!... Fate qualcosa!”

D. – Se dovesse mandare un messaggio al resto del mondo, cosa direbbe?
R. – The first message...
Il primo messaggio è che abbiamo bisogno di formare un governo, che si prenda cura di tutti gli iracheni, dal Nord al Sud: sunniti, sciiti, curdi, cristiani, shabak ... Tutti sono iracheni ed hanno bisogno di un governo che si prenda cura di loro. Altrimenti, non ci sarà futuro per i cristiani e probabilmente neanche per il Paese.
http://it.radiovaticana.va/news/2014/07/01/iraq_sunniti_e_sciiti_spaccati_anche_in_parlamento/1102412

Patriarca Sako: «L’Occidente è più interessato a una partita di calcio che al dramma dell’Iraq e della Siria»



TEMPI, 2 luglio '14

«L’Iraq continuerà ad essere un unico stato ma solo se lo vorranno l’Occidente e i vicini Iran, Qatar, Turchia ed Arabia Saudita»....

   leggi qui:   http://www.tempi.it/sako-occidente-mondiali-dramma-iraq-siria#.U7PWrEaKDwp


«CONTRO CROCIATI E ATEI».
Per Al Baghdadi: «Terrorismo significa adorare Allah come Lui ha ordinato. Il terrorismo è il modo per i musulmani di vivere da musulmani, in modo onorevole con potenza e libertà»
Invitando a «sacrificare la propria ricchezza e la propria vita» per la costruzione del califfato, Al Baghdadi invita a «prendere le armi, o soldati dello Stato islamico, e combattere, combattere». L’obiettivo è «far capire al mondo il significato del terrorismo, calpestare l’idolo del nazionalismo e della democrazia, (…) affrontare la tirannia contro gli sleali governatori», e cioè «gli agenti dei crociati (i cristiani, ndr) e degli atei e le guardie degli ebrei». Il mondo, nella visione del capo dei terroristi islamici, è diviso in due e tertium non datur: «L’islam e la fede da una parte, gli infedeli e l’ipocrisia dall’altra, i musulmani da una parte, i crociati, gli ebrei e i loro alleati dall’altra».

    leggi qui :    http://www.tempi.it/stato-islamico-conquisteremo-roma-e-ci-impadroniremo-del-mondo#.U7P3DEaKDwo


la chiesa Assira di Mosul data alle fiamme da ISIS

 da : Aid to the Church in Need

Chaldean Archbishop Yousif Mirkis from Kirkuk tells ACN : " We don't have any news from the kidnapped nuns and youths. We really hope the kidnappers will ask for money soon. But the jihadists don't need money after having robbed the banks of mossul. So we fear the worst. But we still hope. I ask the benefactors of ACN to join our prayers! " 

lunedì 30 giugno 2014

L’Isis crocifigge i nemici e proclama il “Califfato” nei territori conquistati di Siria e Iraq. Scomparse due suore da Mosul

Raqqa: veicoli militari, carri armati e missili Scud sono giunti dall'Iraq per gli islamisti

Asia News, 30 giugno '14

Sfruttare la croce, un simbolo cristiano, per terrorizzare membri interni e nemici; dichiarare la nascita del Califfato, per affermare il controllo sui territori di Siria e Iraq finora conquistati, legittimando le mire volte alla creazione di un nuovo "Stato islamico". Sono queste le ultime, terribili notizie che provengono dalle aree di guerra del Medio oriente e che confermano la strategia del terrore adottata dai miliziani. Nel fine settimana lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis, formazione sunnita jihadista legata ad al Qaeda) ha proclamato la nascita del califfato nei territori occupati in Siria e in Iraq. Il leader del movimento islamista, Abu Bakr al-Baghdad, intende assumere la carica di "califfo" e "capo dei musulmani di tutto il mondo". L'annuncio è stato preceduto dalla crocifissione di nove persone nel centro di Deir Hafer, un villaggio ad est di Aleppo, nei territori siriani sotto il controllo dell'Isis. Tra le vittime otto ribelli "responsabili" di combattere con organizzazioni rivali e un ex militante, incriminato per estorsione ai danni dei civili. 

Il movimento jihadista internazionale persegue il progetto di dar vita a un "Califfato", in cui vige una applicazione rigida della Sharia. La nuova realtà territoriale stravolgerebbe i confini fissati da Gran Bretagna e Francia nel XXmo secolo, all'indomani della caduta dell'impero ottomano; essa si estenderebbe da Aleppo, nel nord della Siria, fino alla provincia di Diyala nell'Iraq orientale. Abu Bakr al-Baghdad assumerebbe la guida suprema del nuovo Stato, col soprannome di "Califfo Ibrahim", mettendo al bando "la democrazia e altre spazzature simili provenienti dall'Occidente". 


In risposta, l'esercito di Baghdad ha lanciato un'offensiva per riprendere il controllo di Tikrit, nel nord, dall'11 giugno nelle mani degli islamisti. La Russia ha inviato il primo lotto di aerei da caccia, che Mosca ha fornito al governo di Baghdad per contribuire alla lotta contro i miliziani. Nella crisi irakena è intervenuto anche il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale auspica la nascita di uno Stato curdo indipendente, in risposta all'avanzata degli estremisti nel resto del Paese. Un avallo diretto alle rivendicazioni del leader curdo Massoud Barzani che, la scorsa settimana, aveva dichiarato che "è tempo per il Kurdistan di determinare il proprio futuro". 

In un contesto di guerra, divisioni sempre più marcate e violenze sanguinarie, la Chiesa caldea irakena ha celebrato il Sinodo dal 24 al 28 giugno scorso a Erbil, nel nord; in un primo momento l'incontro dei vescovi avrebbe dovuto svolgersi a Baghdad, ma si è optato per una zona più sicura e al riparo - sinora - dai raid degli islamisti. Al termine i prelati hanno diffuso un comunicato ufficiale, in cui si appellano ai governanti perché in questo "tragico" contesto sappiano preservarne "l'unità nazionale" e "tutte le componenti". Essi indicano nel "dialogo" l'unico mezzo per portare il Paese fuori dal "lungo tunnel" e scongiurare guerra civile o divisioni interne.
Dai vescovi viene rivolto un pensiero alle migliaia di famiglie - cristiane e non - sfollate da città e villaggi, le cui condizioni "sono gravi". Da ultimo, la richiesta di dar vita a un governo di unità nazionale che persegua gli obiettivi di stabilità, sicurezza e sappia fornire i servizi di base in questo periodo sensibile, che coincide con il Ramadan, il mese sacro di digiuno e preghiera musulmano. 

Alla comunità internazionale viene rivolto l'invito ad aiutare l'Iraq a trovare una "soluzione politica" alla crisi per scongiurare il pericolo di distruzione della nazione; infine, l'appello a Dio perché "salvi l'Iraq e gli irakeni". 

http://www.asianews.it/notizie-it/L%E2%80%99Isis-crocifigge-i-nemici-e-proclama-il-%E2%80%9CCaliffato%E2%80%9D-nei-territori-conquistati-di-Siria-e-Iraq-31496.html


Due suore e tre giovani caldei fermati a Mosul dai jihadisti dell'ISIL

Agenzia Fides 30/6/2014

Dalla giornata di sabato 28 giugno si sono persi i contatti con suor Atur e suor Miskinta, due religiose caldee della Congregazione delle Figlie di Maria Immacolata, che erano rientrate in auto a Mosul dalla città di Dohuk in compagnia di due ragazze e di un ragazzo cristiani. I cinque componenti dell'equipaggio risultano irraggiungibili al cellulare. Secondo quanto riferito all'Agenzia Fides da fonti del Patriarcato caldeo, le due suore e i tre ragazzi sono stati fermati da miliziani dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL) che per ora confermano le loro buone condizioni e affermano di tenerli in stato di fermo per garantire la loro “sicurezza”. Le autorità ecclesiastiche sono in contatto permanente con i capi religiosi della comunità sunnita di Mosul per tenere sotto controllo la situazione e fare in modo che i fermati tornino al più presto a godere della piena libertà di movimento.
Le due suore curano e gestiscono una casa-famiglia per orfane di Mosul, nei pressi dell'arcivescovato caldeo. Davanti all'offensiva islamista iniziata lo scorso 9 giugno, le suore e tutti gli ospiti della casa-famiglia avevano lasciato Mosul trovando rifugio nella città di Dohuk, nel Kurdistan iracheno. Da lì suor Atur aveva già effettuato rapide sortite a Mosul per verificare le condizioni della casa e recuperare oggetti e strumenti di lavoro e di studio per le ragazze, costrette ad abbandonare le proprie dimore. “In tutti questi anni tremendi per il nostro Paese” riferisce a Fides suor Luigina Sako, Superiora delle Suore Caldee, con voce rotta dal pianto “suor Atur e suor Miskinta hanno fatto un grande lavoro, senza mai abbandonare Mosul e consentendo alle ragazze di studiare. Siamo in angoscia per loro, soprattutto per le ragazze”.
Fonti locali contattate da Fides confermano che la situazione rimane critica soprattutto a Mosul, per buona parte controllata dagli insorti sunniti guidati dai miliziani dell'ISIL che hanno istallato una propria base anche nella sede dell'arcivescovato caldeo. 
I villaggi della Piana di Ninive, come Qaraqosh e Kramles, registrano il rientro di una parte della popolazione fuggita nei giorni scorsi. Tuttavia manca l'acqua e l'elettricità e sono saltati tutti i servizi gestiti dagli enti pubblici, come i trasporti e la raccolta di rifiuti.



Iraq. Per la prima volta, dopo 1.600 anni, nelle chiese di Mosul non è stata celebrata la Messa



TEMPI, 30 giugno '14

Per la prima volta dopo 1.600 anni nelle chiese di Mosul domenica 15 giugno, e le due successive, non è stata celebrata la Messa. La seconda città più grande dell’Iraq è stata conquistata dall’esercito dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), che ha imposto la sharia e costituito un califfato islamico.
POCHE DECINE DI FAMIGLIE. Come dichiarato dall’arcivescovo cattolico caldeo Bashar Warda, nella città non è stato possibile celebrare funzioni visto che la maggior parte della popolazione cristiana è fuggita. Se nel 2003 c’erano circa 35 mila cristiani a Mosul, negli anni il numero è diminuito drasticamente fino a tremila. Ora, dopo la conquista da parte dell’Isil, sono rimaste poche decine di famiglie, che non sono riuscite a scappare.

TRIBUTO UMILIANTE. Secondo quanto dichiarato dall’Alto commissario per i diritti umani in Iraq Sallama Al Khafaji, i cristiani sono costretti ora a pagare il tributo umiliante ai jihadisti per mantenere la loro fede. La somma varia a seconda della professione dei cristiani ma dovrebbe essere di almeno 250 dollari. L’Alto commissario ha anche citato un episodio: i terroristi sarebbero entrati nella casa di un cristiano, chiedendo il pagamento. Non avendo lui il denaro sufficiente, tre jihadisti avrebbe stuprato la moglie e la figlia. Per il trauma, l’uomo si sarebbe poi suicidato.
Inoltre, secondo quanto riportato da Ankawa.com, due suore, due donne e un uomo sarebbero stati rapiti dall’orfanotrofio Meskinta di Mosul sabato scorso nel quartiere di Khazrag, nei pressi dell’arcivescovado caldeo, ora diventato la sede locale dell’Isil. Per il momento non si sa dove queste persone siano state portate.

«ABBIAMO SOLO LE PREGHIERE». Molti cristiani intanto sono tornati a Qaraqosh, la città nella piana di Ninive a soli 45 chilometri da Mosul abitata da circa 50 mila cristiani. Almeno 40 mila di questi sono fuggiti settimana scorsa dopo che l’Isil ha bombardato la città. I soldati curdi hanno però respinto l’offensiva e ora molti cristiani sono tornati in città. «Non ce ne andremo da qui», dichiarano alcuni di loro alla Bbc. «È difficile essere cristiani oggi in Iraq ma questa è casa nostra».
All’emittente inglese l’arcivescovo di Erbil, Warda, ha dichiarato: «Non possiamo fare niente per farli restare. Non possiamo garantire la loro sicurezza, non abbiamo niente, solo le nostre preghiere. Se la volontà [di chi combatte] è dividere il paese in tre regioni, fatelo, ma senza tutta questa violenza».

http://www.tempi.it/iraq-per-la-prima-volta-dopo-1-600-anni-nelle-chiese-di-mosul-non-e-stata-celebrata-la-messa#.U7FZO0aKDwp




UN INVITO AD AGIRE 

"C'è una pulizia etnico-religiosa sistematica in atto in alcune parti del mondo islamico. Abbiamo informazioni e abbiamo fatti. Siamo in continuo contatto con le vittime di questa persecuzione. Siamo anche in contatto con gli autori, leader di gruppi come ISIS e di altri gruppi, che veramente credono che la sharia applicata è il futuro di questo mondo - inclusi i paesi europei."