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mercoledì 4 giugno 2014

Elezioni presidenziali, per Assad un trionfo annunciato


Agenzia Fides 3/6/2014

Damasco  - Dalle 7 alle 19 di oggi, martedì 3 giugno, la popolazione siriana concentrata nelle aree rimaste o ritornate sotto il controllo del regime di Damasco è chiamata a esprimere il suo voto alle elezioni presidenziali definite “una farsa” dall'opposizione e dalle cancellerie dei Paesi che la sostengono. Il Ministero degli interni ha riferito che i siriani aventi diritto al voto sono 15,8 milioni, compresi i milioni di rifugiati fuggiti nei Paesi confinanti a causa del conflitto. In tutto il Paese sono stati allestiti 9.600 centri di raccolta voti. 
Fonti locali di Aleppo e Damasco consultate dall'Agenzia Fides confermano che nelle aree urbane sotto controllo dell'esercito il flusso ai seggi è ininterrotto, anche nei quartieri dove è più forte la presenza di cristiani.
La consultazione elettorale serve di fatto a consacrare il potere del Presidente Bashar al- Assad, destinato a stravincere le elezioni raccogliendo più del 90 per cento dei consensi. L'unico sfidante al Presidente, a parte un suo ministro, è il candidato di estrema sinistra Maher Hajjar. 

“L'impressione” spiega all'Agenzia Fides la suora francescana Jola Girgis, contattata a Damasco, “è che questi anni di guerra hanno fatto crescere l'appoggio al Presidente Assad anche tra molti di coloro che prima erano contro di lui. In ogni caso, tutti hanno capito che nei grandi giochi del potere politico il bene del Paese sta a cuore solo al popolo siriano, e a nessun altro”. 


arcivescovado armeno cattolico colpito oggi ad Aleppo dai missili ribelli

Ad Aleppo la giornata elettorale è stata preceduta dal lancio di missili e granate che nei giorni scorsi sono caduti in particolare sul quartiere di Meidan, abitato da cristiani armeni. “Ci sono stati feriti e case distrutte e tante famiglie sono fuggite dalle loro dimore e hanno pernottato nei saloni delle parrocchie” riferisce a Fides l'Arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati. “Oggi la situazione appare calma” aggiunge l'Arcivescovo, “ma in un minuto può succedere di tutto e non si vede il modo di uscire da questo stato di perenne incertezza. Per questo la gente ha paura, e non sa cosa fare”. 


http://www.fides.org/it/news/55325-ASIA_SIRIA_Elezioni_presidenziali_per_Assad_un_trionfo_annunciato#.U44ND0aKDw


LA SITUAZIONE IN ALEPPO  E’ CATASTROFICA


 Due giorni fa ho detto che la situazione di Aleppo è grave
Oggi è addirittura catastrofica. Nessun quartiere è stato risparmiato dalle bombe di mortaio, causando decine di morti e centinaia di feriti. La metà degli abitanti del quartiere Midan ha lasciato le loro case e non sanno dove andare. Molti ci hanno chiesto di venire al nostro convento marista. Anche se non abbiamo posto, non possiamo non accoglierli. Domani vedremo quanti ce ne sono con noi. 
Il colmo è che la scuola accanto al convento servirà come seggio elettorale per i tre candidati delle elezioni presidenziali di Martedì, ed è quindi minacciata! 
Chi vivrà vedrà.. davvero...

 Aleppo, 1 giugno 2014
 Nabil Antaki


COMUNICATO DEI MARISTI DI ALEPPO:

Aleppo, 3 giugno 2014


OSPEDALE SAINT LOUIS

 Alle 02:00 di oggi, 3 bombe di mortaio sono cadute sull'ospedale St Louis, causando danni significativi. Fortunatamente, nessuna vita è stata persa.
Il servizio di emergenza e 2 sale operatorie sono state danneggiate. I pazienti del 2° piano hanno dovuto essere trasferiti al 1° piano. Molte finestre sono distrutte, comprese le belle finestre della cappella.
Sempre questa mattina, gli uffici e l'ospedale della Mezzaluna Rossa e il principale ospedale pubblico (Al Razi) sono stati colpiti da mortai. 

martedì 3 giugno 2014

Perchè il popolo siriano vuole votare? : la Siria ha bisogno di evoluzione, non di rivoluzione!










Fra Firas Lutfi, giovane francescano siriano, racconta di quale cambiamento abbia realmente bisogno il suo paese e della difficoltà a ricostruire l'anima ferita dei suoi connazionali





Sguardo fisso, presenza calma, dialogo franco, una vita dedicata a servire gli ultimi sulle orme di San Francesco. E' una figura che colpisce quella del giovane francescano fra Firas Lutfi. 
Figlio di Hama, la città che ha vissuto negli anni '80 la distruzione a causa di un colpo di stato fallito, il frate, mentre la sua famiglia si divideva tra Hama e Homs, ha servito la principale parrocchia cattolica dal 2004 fino a che è scoppiata la crisi siriana nel suo amato paese. 

Zenit,   

di   Naman Tarcha


Partono oggi le elezioni presidenziali siriane con una significativa partecipazione dei siriani malgrado le minacce e il terrorismo. C'è tanta voglia di un cambiamento?

Fra Firas Lutfi: La Siria come tutti i paesi del mondo aveva bisogno di cambiamento, ma per modernizzare il paese non c'era bisogno di una rivoluzione bensì di una evoluzione. L'Europa ha attraversato guerre mondiali devastanti prima di raggiungere una certa democrazia e considerare l'essere umano al centro. Il mio paese è sempre stato in mezzo a conflitti e guerre che hanno colpito la nostra regione dall'inizio dei secoli; é stato oggetto di contese e conflitti tra le forze regionali ed allo stesso tempo una delle regioni dove sono passate più civiltà, con conseguenze negative ma anche positive, offrendo tanta ricchezza e diversità meritando così di essere considerata la culla di tante civiltà. La Siria per 400 anni é rimasta sotto l'occupazione ottomana e poi l'occupazione francese, ottenendo la sua indipendenza solo trent'anni fa. Allora come si può chiedere ad un paese così giovane di essere libero indipendente stabile democratico al 100%?

Perché l'Occidente ha impedito ai siriani di votare all'estero definendo le elezioni "una farsa"?
Fra Firas Lufti: L'Occidente non riesce a cogliere due questioni: la prima è che i paesi in via di sviluppo hanno bisogno di tempo necessario per i cambiamenti, non si può chiedere ad un bambino di gareggiare in una maratona o attraversare il mare prima che cresca e possa essere autonomo. 
La seconda questione é l'indipendenza: oggi tutti i siriani lottano contro la violazione della sovranità siriana e l'ingerenza, perché credono che questa terra benedetta é la loro terra, la terra dei loro antenati, e hanno tutto il diritto di viverci in dignità. Il modello democratico nei paesi arabi é diverso da quello occidentale. La differenza é proprio nella forma mentis. L'Occidente si concentra sulla persona e sull'individualismo mentre nelle società mediorientali si vive ancora con il concetto di Pater Familias, della comunità, delle tribù. La democrazia di cui parliamo é la scelta del leader su cui viene trovato accordo per il bene comune e il meglio per il paese. Perciò dobbiamo rispettare le caratteristiche e le particolarità dei popoli senza voler applicare a loro i sistemi di altri paesi.

Tutti parlano a nome dei siriani ma cosa vogliono i siriani stessi?  

Fra Firas Lufti: C'erano da sempre ostacoli che impedivano il cambiamento e la modernizzazione del nostro paese, in primis la questione della liberazione dei nostri territori delle alture del Golan occupato. Fino ad oggi siamo in uno stato di guerra per difendere il nostro paese da un altro vicino che occupa i nostri terreni, malgrado le decine di risoluzioni delle Nazioni Unite che ribadiscono il nostro diritti ad averli. Il cittadino siriano bramava un sviluppo del paese a tutti i livelli, e vedeva nel presidente e nel governo attuale una vera speranza per questo cambiamento in un paese ricco di risorse ma colpito dalla crisi economica mondiale e dalla corruzione come in tanti altri paesi. 
Il paese di sicuro aveva bisogno di cambiamenti, alcuni già avviati e altri ritardati. Siamo tutti d'accordo sulla necessità di un cambiamento. La domanda però è: "Quale cambiamento?". Per l'opposizione siriana esterna, rappresentata dalla coalizione nazionale e l'opposizione armata, questo cambiamento avviene attraverso la violenza con l'appoggio e l'intervento militare esterno dall'Occidente, mentre per il cittadino siriano, che ha sopportato di tutto in questi tre anni, questo fatto é completamente inaccettabile. Sarebbe violazione della sovranità del paese e del rispetto dell'indipendenza degli Stati sancito dalle Nazioni Unite...

L'Occidente ancora parla di una rivoluzione del popolo siriano?
Fra Firas Lufti: I siriani, in modo particolare i cristiani, dopo tutti questi eventi sono convinti che ciò che accade é una distruzione dello stato e non un cambiamento o miglioramento, e che si va verso la trasformazione di un sistema politico, considerato dall'Occidente una dittatura laica, ad una dittatura religiosa di salafiti ed estremista. Forse all'inizio alcuni siriani si erano illusi, ma oggi tutto é più chiaro come rivelano i rapporti internazionali delle Nazioni Unite. Allora io da siriano potrei anche essere scontento di un mio governo, e non essere d'accordo con chi guida il mio paese, ma non capisco cosa c'entrano ceceni, afgani, libici, sauditi, a partecipare alla cosiddetta rivoluzione del mio paese. 
E mi chiedo pure: quale rivoluzione è questa se ci sono mercenari ed estremisti? Il cambiamento si fa per migliorare non per peggiorare. I cristiani vogliono un vero cambiamento radicale partendo da un riforma costituzionale, che è stata effettuata e approvata con un referendum e poi con una visione moderna del futuro del paese dove la religione é per Dio e il paese é di tutti.

Nel caso di Homs sono stati raggiunti alcuni accordi e tregue di cui non si ha notizia visto che, questi, sono stati ignorati dai media occidentali. Queste esperienze si potrebbero replicare in altre parti?
Fra Firas Lufti: Homs é una città famosa per i suoi cittadini pacifici e miti, auto ironici tanto da raccontare perfino barzellette su se stessi. Dopo l'uscita dei gruppi armati dalla città, la gente è ritornata di corsa per controllare le proprie case e abitazioni, ma purtroppo il 90% della città è stata distrutta. In ogni caso i palazzi si possono ricostruire mentre è più difficile ricostruire l'anima ferita e la fiducia nell'altro. Il popolo siriano è solido di natura e questa guerra ha danneggiato lo spirito dei cittadini, soprattutto i bambini, testimoni di una violenza inaudita dove nel nome di Dio si uccide l'altro perché é nemico, essendo diverso per etnia e religione. Ben vengano allora tutti gli sforzi per una riconciliazione, per liberare un rapito o salvare una famiglia... Se sono riusciti a Homs sono sicuro che verranno replicati in altre zone.

http://www.zenit.org/it/articles/la-siria-ha-bisogno-di-evoluzione-non-di-rivoluzione-prima-parte

domenica 1 giugno 2014

La domanda dei siriani



In questi giorni i siriani sono accorsi in massa alle urne: reclamano non un partito o un uomo ma il proprio diritto di esistere.  Riaffermare la propria dignità ha avuto un caro prezzo: i ribelli in più di un'occasione hanno compiuto attentati  che hanno causato decine di vittime innocenti e centinaia di feriti.
Sarebbe semplice capire che esiste una sola via per la pace, perchè come ha detto il Papa " è un dono da accogliere con pazienza e costruire in modo artigianale” e  "non può essere comprata" .
Purtroppo, la risposta dell'occidente sembra sorda anche a questo appello: Obama ed i suoi alleati  hanno  intensificato l'aiuto alle milizie jihadiste.  E' ormai chiaro: non interessa neppure  'comprare la pace' ma conquistare il potere, con le armi e la devastazione.  
Patrizio Ricci 

A Homs prima Messa di ringraziamento per l'uscita dei ribelli dalla città... Ma contemporaneamente l'Occidente decide di raddoppiare l'aiuto ai ribelli....


La Perfetta Letizia, 20.5.14
di Patrizio Ricci 

Homs, come tutta la Siria, può vantare secoli di tradizione di tolleranza e amicizia tra i diversi popoli e le diverse religioni che ospita: è qui che i cristiani avevano la presenza più cospicua nel Paese. Dallo stesso luogo, all'inizio del 2012 sono stati scacciati. Ma non da Assad ma dai ribelli 'democratici'. Sotto le finte spoglie delle 'istanze' di miglioramento sociale e della democrazia si celava l'estremismo religioso; e prima che la società civile si rendesse conto dei veri obiettivi e reagisse, il focolaio si era già propagato trasformandosi in guerriglia urbana . Qualcuno ha seguito, altri sono rimasti a guardare, neutrali, ma diffidenti.

La distruzione era dietro l'angolo; quando la gente ha capito, era già troppo tardi: Homs è stata uno dei primi campi di battaglia scelti dai terroristi a libro paga delle petrol-monarchie del Golfo e sostenuta dagli 'amici della Siria'. Quest'ultimo è il gruppo di Stati che si è sovrapposto ad ogni iniziativa di pace dell'Onu trasformando il negoziato in una richiesta incondizionata al governo, quindi irricevibile. E' così proseguendo per questa china che, i due inviati (Kofi Anan e Brahimi), uno dopo l'altro, hanno rinunciato all'incarico... 


 Non è la prima vota in questo secolo che governi legittimi vengono rimossi perché ritenuti non corrispondenti o nocivi agli 'interessi d'area' delle grandi potenze mondiali. Agli attori di questi disegni globali non interessano i cambiamenti sociali ma realizzare affari e progetti politici proficui. Ciò su cui ci si dovrebbe interrogare è se esista al mondo qualcosa che possa giustificare il prezzo pagato dalla popolazione siriana. Il dramma più grande è che non c'è niente che valga questo prezzo e non c'è nulla che lo giustifichi. La morte di migliaia di siriani, il degrado miserabile della vita, lo scardinamento delle tradizioni, la negazione della libertà religiosa e democratica: tutto è stato venduto per una collana di perle finte, per un'impostura. La realtà attende di essere guardata! L'anima siriana, l'idea di stato e il senso di appartenenza nazionale, sentimento fortissimo tra i siriani, (e con esse le aspirazioni di riforme non violente) è tramontato con i primi califfati imposti dall'ISIS (lo Stato Islamico d’Iraq e Siria) e da al-Nusra (al-Qaeda) nelle zone da loro occupate del paese. Oggi, la vita grama dei campi profughi è conosciuta da 4 milioni di siriani, mentre il terrore della guerra è incombe su tutti. 
Il popolo fugge dalle roccaforti dell’opposizione: ad Aleppo orientale chi ha potuto si è spostato nella metà occidentale controllata dal governo; quelli nella fascia sud e sud-orientale di Quneitra si sono mossi verso il centro della regione e le zone orientali; quelli di Homs controllata dai ribelli e dell’area rurale di Hama, si erano trasferisti ad Hama City e a Salamiya in mano all’esercito regolare...

Ma torniamo ad Homs. I combattimenti hanno distrutto la maggior parte della città. I jihadisti hanno imposto la sharia ed hanno impedito agli abitanti dei quartieri di scappare, usandoli come scudo umano per rendere problematica la risposta dell'esercito. Dopo tre anni guerra la settimana scorsa la svolta: le milizie jadiste hanno lasciato la città per via di un accordo con il governo che ha previsto, come contropartita, uno scambio di prigionieri e l'incolumità.

Da allora, lentamente la gente torna a casa. Tutto o quasi è distrutto, ma si torna per i legami. Una delle foto a corredo di questo articolo mi ha molto impressionato: mostra l'immagine della prima messa di ringraziamento dopo la liberazione della città dai jihadisti. Cattolici e siro-ortodossi si sono ritrovati insieme a ringraziare Dio nella chiesa di Umma al-Zennar tra i detriti degli spari e dei combattimenti uniti nella celebrazione Eucaristica. 
 Invece che le mille utopie del mondo è quell'unità fraterna che cambia il mondo se il mondo ascolta e vede. La gente di Homs ricerca il vero, vuole la pace, vuole ricominciare e piangere i propri morti e ricostruire nella sicurezza. 

 Ma altrove emerge che la pace, per le istituzioni che dovrebbero preservarla, sembra essere il peggior nemico: ogni volta che si avvicina, esse diventano più attive nell' allontanarla. Paradossale che quasi nello stesso momento in cui ad Homs si celebrava la messa di ringraziamento, a Londra 'gli amici della Siria' si ritrovavano insieme (animati da un cinismo così pervicace da mutare la sostanza) per riacutizzare il conflitto. Quella che solo gli amici della Siria chiamano 'opposizione moderata' è una realtà numericamente irrilevante (l'80 per cento delle forze anti-Assad è costituito dalle brigate di Al-Qaeda e da varie formazioni facenti capo ai Fratelli Musulmani) ed alla pari delle milizie qaediste si è macchiata di gravi crimini contro la popolazione civile. Inoltre, la sua leadership condivide la stessa ideologia religiosa radicale dei jihadisti. 

Come se ciò non bastasse, il Summit inglese ha stabilito all'unanimità che le elezioni presidenziali siriane del 3 giugno sono una farsa. Come tutte le precedenti dichiarazioni, a supporto di questo pronunciamento ci sono solo ragioni di 'squadra', quelle di un club che agisce 'a prescindere', i cui membri sono legati ambiguamente da interessi reciproci 'molto materiali' e non dai nobili scopi tanto declamati. L'atteggiamento ostile non è stato mai abbandonato: accade che in prossimità di ogni negoziato rispuntano sempre nuovi capi di accusa per Assad; al tempo stesso gli attentati dei ribelli vengono deliberatamente ignorati. Così è accaduto ancora: l'accusa questa volta è che le truppe governative hanno usato il gas clorino. Il Segretario di stato USA Kerry ha detto che è un nuovo atto d'accusa a carico di Assad e che anche se "grezzo per la mancanza di tutti i riscontri, tutti gli indizi vanno verso unica direzione". Non ci vuole molta fantasia d indovinare quale, ma alla luce delle 'false flag' dei fatti di Ghouta l'anno scorso, la circostanza dovrebbe indurre ad usare maggiore prudenza. 


 Dunque, quelle siriane, presidenziali farsa. 
Per gli USA, ''l'unico e legittimo rappresentante del popolo siriano'' è invece Ahmed Jarba (il nuovo leader degli armati dell'esercito libero siriano), un siriano sconosciuto nel proprio paese con a carico precedenti penali per traffico di droga e l'accusa di tentato omicidio del ministro degli esteri qatariota Khalifa al-Thani (http://english.al-akhbar.com/node/16463). Difficilmente l'uomo risulterebbe gradito ai siriani: ma è gradito all'Arabia Saudita e agli Stati Uniti, ed è quanto basta. Le porte della buona società gli si sono spalancate: Jarba è andato a Washington, ha incontrato Barak Obama, poi è stato presentato al Senato degli Stati Uniti (dove Kerry ha garantito personalmente per lui). E' tornato a casa con un assegno di 287 milioni dollari per aiuti 'non letali' per le sue 'forze di opposizione' (la cifra 'donata finora dagli USA ai ribelli è di $ 1,7 miliardi). 
 E l'Italia? Il nostro paese, in una situazione di evidente cospirazione internazionale ai danni di un paese sovrano, è ancora tra gli 'amici della Siria' e finora ha appoggiato tutte le decisioni palesemente contraddittorie che ivi si sono prese, in netta contrapposizione con il nostro dettato costituzionale. 

http://www.laperfettaletizia.com/2014/05/ad-homs-prima-messa-di-ringraziamento.html

sabato 31 maggio 2014

"Mettendo al primo posto il bene della Siria, di tutti i suoi abitanti" : il Papa e gli aleppini


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AGLI OPERATORI DI CARITÀ IN SIRIA

Venerdì, 30 maggio 2014

Eminenza, Eccellenze,
cari fratelli e sorelle,


vi ringrazio per la vostra presenza a questo incontro, promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum. Vi ringrazio soprattutto per il contributo quotidiano che voi, come organismi di carità cattolici, state dando in Siria e nei Paesi vicini, per aiutare le popolazioni colpite da quel terribile conflitto. Saluto il Cardinale Robert Sarah e rivolgo un caloroso benvenuto a tutti voi, specialmente a quanti si sono messi in viaggio dal Medio Oriente per essere qui oggi – e anch'io porto negli occhi e nel cuore il Medio Oriente, dopo il pellegrinaggio dei giorni scorsi in Terra Santa.

Un anno fa ci siamo riuniti per ribadire l'impegno della Chiesa in questa crisi e per lanciare insieme un appello per la pace in Siria. Ora ci incontriamo di nuovo, per tracciare un bilancio del lavoro finora svolto e per rinnovare la volontà di proseguire su questa strada, con una collaborazione ancora più stretta. Ma dobbiamo riscontrare con grande dolore che la crisi siriana non è stata risolta, anzi va avanti, e c'è il rischio di abituarsi ad essa: di dimenticare le vittime quotidiane, le indicibili sofferenze, le migliaia di profughi, tra cui anziani e bambini, che patiscono e a volte muoiono per la fame e le malattie causate dalla guerra. Questa indifferenza fa male! Un'altra volta dobbiamo ripetere il nome della malattia che ci fa tanto male oggi nel mondo: la globalizzazione dell'indifferenza.

L'azione di pace e l'opera di assistenza umanitaria che gli organismi caritativi cattolici svolgono in quel contesto sono espressione fedele dell'amore di Dio per i suoi figli che si trovano nell'oppressione e nell'angoscia. Dio ascolta il loro grido, conosce le loro sofferenze e vuole liberarli; e a Lui voi prestate le vostre mani e le vostre capacità. È importante che voi operiate in comunione con i Pastori e le comunità locali; e questa riunione costituisce un'occasione propizia per individuare opportune forme di collaborazione stabile, nel dialogo tra i diversi soggetti, allo scopo di organizzare sempre meglio i vostri sforzi per sostenere le Chiese locali e tutte le vittime della guerra, senza distinzioni etniche, religiose o sociali.

Oggi siamo qui anche per fare nuovamente appello alle coscienze dei protagonisti del conflitto, delle istituzioni mondiali e dell'opinione pubblica. Tutti siamo consapevoli che il futuro dell'umanità si costruisce con la pace e non con la guerra: la guerra distrugge, uccide, impoverisce popoli e Paesi. A tutte le parti chiedo che, guardando al bene comune, consentano subito l'opera di assistenza umanitaria e quanto prima facciano tacere le armi e si impegnino a negoziare, mettendo al primo posto il bene della Siria, di tutti i suoi abitanti, anche di quelli che purtroppo hanno dovuto rifugiarsi altrove e che hanno il diritto di ritornare al più presto in patria. Penso in particolare alle care comunità cristiane, volto di una Chiesa che soffre e spera. La loro sopravvivenza in tutto il Medio Oriente è una profonda preoccupazione della Chiesa universale: il Cristianesimo deve poter continuare a vivere là dove sono le sue origini.

Cari fratelli e sorelle, la vostra azione caritativa e assistenziale è un segno importante della vicinanza di tutta la Chiesa, e della Santa Sede in particolare, al popolo siriano e agli altri popoli del Medio Oriente. Vi rinnovo la mia gratitudine per quello che fate e invoco su di voi e sul vostro lavoro la benedizione del Signore. La Madonna vi protegga. Io prego per voi e voi pregate per me!

http://www.news.va/it/news/messaggio-agli-operatori-di-carita-in-siria-30-mag


APPELLO DA ALEPPO AGLI OPERATORI DI CARITA' RIUNITI IN 'COR UNUM'


LA SITUAZIONE PRECIPITA  IN ALEPPO

 Nelle ultime settimane  si era sparsa la voce che i ribelli di Aleppo avrebbero aumentato  i loro mortai sui quartieri Aleppo per fare pressione sullo Stato e impedire lo svolgimento delle elezioni presidenziali in programma per Martedì 3 giugno.
 Perché sono uomini d'onore ...
... HANNO MANTENUTO LA PAROLA!

Da 3 giorni, razzi e colpi di  mortai non cessano di cadere su Aleppo e in particolare sul quartiere Midan . Questa è l'area dove gli affitti sono più economici e dove abitano le famiglie povere e quelle sfollate da Jabal Al Sayde. Ma è anche la zona di confine della linea del fronte, dunque la più esposta . Molte famiglie di cui ci prendiamo cura hanno ricevuto schegge di mortai nei loro appartamenti, molte persone sono rimaste ferite e diversi sono i morti . 

Oggi, venerdì pomeriggio, la situazione è diventata insostenibile per queste famiglie ed è iniziato per loro il secondo esodo. 
(Avevano lasciato Jabal al Sayde il 30 marzo 2013 a seguito dell'invasione del quartiere da parte dei ribelli. Abbiamo ospitato 23 famiglie da noi presso il convento dei Fratelli per 6 mesi, poi le abbiamo aiutate a prendere in affitto degli appartamenti ). Fuggono dalle loro case, ci telefonano, ci supplicano di trovare loro un rifugio , anche solo temporaneo.. . Sono in preda al panico, hanno paura.  
Mentre scrivo queste parole, le sirene delle ambulanze fanno un frastuono assordante .

E TUTTAVIA ...

Non avevamo smesso di mettere in guardia i responsabili religiosi circa il problema degli alloggi degli sfollati. Abbiamo bussato invano alle porte delle associazioni cattoliche internazionali per richiedere un finanziamento per trovare per loro un’ abitazione. E' stato sempre un RIFIUTO.

Oggi, queste organizzazioni sono riunite  in Vaticano sotto gli auspici del COR UNUM . Possano essi ascoltare  questo URGENTE  APPELLO dagli Aleppini, da coloro che qui vivono la loro presenza e condividono, con le persone più vulnerabili, le loro sofferenze.

 Nabil Antaki,  per i Maristi Blu

giovedì 29 maggio 2014

Il Vaticano domanda a USA e Russia il coraggio di un'azione congiunta

Intervista con il Cardinal Sarah, presidente di «Cor Unum»: «Sulla Siria la comunità internazionale si svegli dal torpore»

 «La Santa Sede chiede che le parti in conflitto consentano da subito il dispiegarsi dell’impegno per l’assistenza umanitaria e pongano fine alle ostilità: l’obiettivo deve essere una pace concordata e duratura.  

È paradossale che faccia più notizia un missile che cade su una postazione di miliziani rispetto alla popolazione che muore per la fame e la miseria. 

Occorre ritrovare il coraggio di un’azione congiunta, soprattutto da parte delle grandi potenze come Stati Uniti e Russia, e poi di tutti i Paesi mediorientali coinvolti. 

Non mi sembra giusto progettare di armare o addestrare i combattenti e pretendere nello stesso tempo di cercare le vie della pace».





Vatican Insider, 28 maggio 14

È stata al centro della prima giornata del viaggio in Terra Santa: della guerra fratricida in Siria e della conseguente catastrofe umanitaria  ha parlato il Papa durante la tappa del suo pellegrinaggio ad Amman. 
Venerdì 30 maggio si tiene in Vaticano un summit promosso da «Cor Unum» per coordinare il lavoro delle agenzie che si occupano degli aiuti umanitari nel Paese distrutto dopo tre anni di conflitto. 


Papa Francesco ad Amman, all’inizio del suo pellegrinaggio in Terra Santa, è tornato a chiedere che si riapra il negoziato sulla Siria. Qual è la situazione oggi?

«Intanto dobbiamo dire grazie al Papa che nel corso della sua visita in Terra Santa ha rimesso al centro il problema siriano. La situazione rimane drammatica: la guerra continua, nell’indifferenza della comunità internazionale, e il negoziato per la pace è in fase di stallo. Secondo i dati in nostro possesso oggi si contano circa 140 mila vittime, oltre 9 milioni di bisognosi di assistenza sanitaria, 60% di ospedali distrutti o inagibili. I siriani rifugiati sono più di 2 milioni, la maggior parte nei Paesi dell’area mediorientale e mediterranea, dei quali il 52% circa è composto da bambini e ragazzi sotto i 17 anni. E poi vi sono oltre 6 milioni di sfollati interni. È una catastrofe umanitaria».  

Ha qualche notizia sulla sorte di padre Dall'Oglio?

«Purtroppo no, nessuna notizia ufficiale. Vivo con apprensione le indiscrezioni che sono uscite in questi giorni sulla stampa, e prego affinché si rivelino non vere e padre Dall’Oglio possa tornare presto dai suoi cari».

Qual è la posizione della Santa Sede sul conflitto siriano?

«La Santa Sede chiede che le parti in conflitto consentano da subito il dispiegarsi dell’impegno per l’assistenza umanitaria e pongano fine alle ostilità: l’obiettivo deve essere una pace concordata e duratura. Inoltre riteniamo che debba essere garantita l’integrità territoriale del Paese. Nella Siria di domani ci deve essere posto per tutti, comprese le comunità cristiane ed ogni altra minoranza».

Che cosa dovrebbe fare, secondo lei, la comunità internazionale?

«Intanto dovrebbe risvegliarsi dal torpore nel quale è caduta. È paradossale che faccia più notizia un missile che cade su una postazione di miliziani rispetto alla popolazione che muore per la fame e la miseria. Poi bisogna mettere da parte gli egoismi e lavorare perché si torni al tavolo del negoziato. Ginevra 2 non può segnare il fallimento della strategia di pace: occorre ritrovare il coraggio di un’azione congiunta, soprattutto da parte delle grandi potenze come Stati Uniti e Russia, e poi di tutti i Paesi mediorientali coinvolti. Non mi sembra giusto progettare di armare o addestrare i combattenti e pretendere nello stesso tempo di cercare le vie della pace».

«Cor Unum» ha organizzato un incontro di coordinamento per le agenzie operanti nel contesto della crisi siriana. Perché? Quali saranno i temi al centro della vostra riflessione?

«Abbiamo avvertito l’esigenza, emersa soprattutto dagli organismi cattolici che lavorano nel contesto della crisi, di trovare nuove forme di coordinamento tra di loro e con la Santa Sede. La riunione del 30 maggio, a cui parteciperanno 25 agenzie attive in Siria e nei Paesi limitrofi, ci servirà per fare un bilancio di quanto fatto finora ed evidenziare criticità e priorità per il futuro. Per esempio: è possibile creare una maggiore sinergia tra il lavoro dei vescovi locali e quello progettuale delle agenzie? Come muoverci nell’emergenza educativa e di lavoro che una grande parte della popolazione siriana sta soffrendo? Ricordo che questo appuntamento è in continuità con quello organizzato lo scorso anno, nel mese di giugno. Allora, dopo quella riunione, nacque il primo ufficio di coordinamento delle informazioni a Beirut, il cui lavoro sarà valutato e valorizzato nel corso della riunione».

Che cosa fa il Pontificio Consiglio «Cor Unum» per la Siria?

«Cor Unum svolge un lavoro che coniuga l’assistenza materiale (costruzione di scuole, ospedali, case, fornitura di generi alimentari) con l’accompagnamento spirituale e ideale degli organismi cattolici. Promuoviamo il coordinamento tra i soggetti operanti sul campo e, in molti casi, realizziamo direttamente progetti di sviluppo assieme a partner istituzionali e privati. Una missione sanitaria per bambini siriani rifugiati in Libano, realizzata assieme all’Ospedale Bambino Gesù, a Caritas Libano e a finanziatori esterni, come la Fondazione Raoul Follereau, ha permesso di aiutare già oltre 4 mila bambini. Ma pensate che secondo dati Unicef, sarebbero oltre 5 milioni i bambini che hanno bisogno urgente di aiuto: 10 mila sarebbero quelli rimasti uccisi nella guerra, 1.2 milioni i rifugiati nei Paesi vicini, 3 milioni circa non frequentano le scuole.

E la Chiesa, più in generale, come si sta muovendo in concreto?

«La Chiesa segue l’evoluzione della crisi siriana fin dall’inizio, sia nei suoi aspetti diplomatici che umanitari. Nel suo complesso essa ha stanziato oltre 80 milioni di dollari, che sono stati impiegati in progetti umanitari in diversi settori, come l’assistenza a bambini e anziani, l’alimentazione, la ricostruzione di complessi abitativi e chiese, l’educazione. Le istituzioni che operano oggi sul campo sono più di 62, mentre sono oltre 42 gli organismi cattolici che hanno finanziato questi sforzi. Nel campo educativo, per esempio, sono stati investiti quasi 18 milioni di dollari, per la ricostruzione di scuole, per garantire il diritto allo studio o promuovere corsi formativi. Sono stati raggiunti oltre 310 mila ragazzi, e l’assistenza è arrivata anche ai rifugiati negli Stati confinanti: Libano, Giordania, Turchia, Cipro, Egitto, Iraq, Armenia. Ma c’è ancora moltissimo da fare».

Qual è la situazione delle comunità cristiane? Il cristianesimo rischia di scomparire da Paesi dove è presente sin dall'epoca apostolica. Che cosa chiede la Chiesa?

«Sarebbe uno scandalo che il cristianesimo smettesse di vivere là dove Gesù è nato e ha iniziato la sua predicazione. L’origine della Chiesa è in Medio Oriente e le comunità cristiane si sono rivelate in questi anni utili strumenti per la riconciliazione. Come ha detto Papa Francesco ad Amman, “esse offrono il loro contributo per il bene comune della società nella quale sono pienamente inserite”. Credo che a nessuno convenga soffocare le prospettive di pace che possono dare. La Chiesa perciò chiede una presa d’atto da parte di tutti di questo fatto gravissimo: non possiamo sempre aspettare che una chiesa venga distrutta o magari un religioso venga ucciso, per parlarne. Se il processo di pace ripartirà, come auspichiamo, bisognerà garantire la presenza di tutte le comunità nella nuova Siria. E pensiamo in questo contesto che l’integrità territoriale del Paese debba essere salvaguardata».

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-siria-34413/

Rapporto delle Nazioni Unite: la perdita economica totale dall'inizio del conflitto in Siria è stimata a 143,8 miliardi dollari



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martedì 27 maggio 2014

I cristiani di Kessab sollecitano il Papa a lavorare per la pace per aiutarli a tornare a casa

I cristiani siriani che sono fuggiti da un villaggio vicino al confine con la Turchia dopo che è stato catturato dai ribelli islamici, rifiutano di lasciare il paese e hanno invocato Papa Francesco di pregare per loro ed aiutarli a tornare a casa.


AINA, 26 maggio 2014

LATAKIA  (Reuters) 

Nel mese di marzo, i ribelli - tra cui combattenti di Al Qaeda-Nusra - avevano catturato il villaggio a maggioranza armena di Kessab nella provincia costiera di Latakia, roccaforte del presidente siriano Bashar al-Assad.
Migliaia di persone sono fuggite alla città di Latakia e hanno accusato i combattenti sunniti radicali di colpire i cristiani e dissacrare i luoghi santi. I ribelli hanno negato le accuse.

I cristiani intervistati da Reuters hanno detto che speravano che Papa Francesco, che ha visitato domenica Betlemme, tradizionale culla di Gesù, avrebbe pregato per la pace in Siria.

"La visita del Papa è quella di un santo, desideriamo che  lui continui a lavorare per la pace e pregare per la pace in Siria," ha detto Padre Miron Owadesyan .

Il papa argentino ha lanciato un appello urgente per porre fine alla guerra di Siria , proprio sabato all'inizio del suo primo viaggio in Terra Santa come pontefice.

Papa Francesco: «La pace non può essere comprata»... la pace è 
«un dono da accogliere con pazienza e costruire “in modo artigianale” 
con piccoli e grandi gesti che coinvolgono la nostra vita quotidiana. 
La via della pace è consolidata, se ci rendiamo conto che tutti abbiamo 
lo stesso sangue e siamo parte della razza umana; 
se non ci dimentichiamo che abbiamo un unico Padre celeste
 e che siamo tutti suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza».
Nei primi giorni dell'attacco su Kessab, più di 1.500 persone hanno cercato rifugio nella chiesa greco-ortodossa armena della Vergine Maria nella città di Latakia a 30 miglia (49 chilometri) di distanza.
La maggior parte di loro sono stati trasferiti e ora solamente circa 100 persone vivono nella chiesa  antica di 1.200 anni, sopravvivendo soprattutto con donazioni e sostegno da parte del governo.

Narik  Louisian, un sacerdote di Kessab, ha detto di sperare che il Papa voglia  usare la sua influenza per aiutare i cristiani in Medio Oriente che si sono sentiti minacciati dalla violenza e dai disordini politici.

"E' un nostro diritto come cristiani di vivere in Oriente, l'Oriente è la nostra terra ", ha detto. "Noi siamo una parte inseparabile della Terra Santa".

Tamar Minoknian, una casalinga di 40 anni, ha detto che chiede a Papa Francesco di aiutare i cristiani sfollati siriani a ritornare ai loro villaggi. "Vogliamo che ci aiuti affinchè ritorniamo alle nostre case. Non vogliamo aiuti, vogliamo solo tornare al nostro focolare.”

Latakia e la provincia limitrofa Tartous insieme formano il cuore mediterraneo della fede alawita - la setta di derivazione sciita di cui Assad è membro.

Molti alawiti sono rimasti fedeli al governo per tutta la durata dei tre anni del conflitto che ha ucciso almeno 160.000 persone.

La Comunità Cristiana di Siria, circa il 10 per cento della popolazione, è diffidente nei confronti del crescente potere dei gruppi islamisti all'interno del movimento ribelle, e solo una piccola percentuale di cristiani ha preso le armi.

"Non posso vivere al di fuori della Siria, siamo nati qui e moriremo qui",  ha detto a Reuters Nerneen Boinashikian, un uomo sulla cinquantina,  mentre stava preparando il pranzo. "Tutto ciò che vogliamo è tornare alle nostre case. Basta distruzione !".



lunedì 26 maggio 2014

La Dichiarazione comune tra Papa Francesco e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I


"Preghiamo specialmente per le Chiese in Egitto, in Siria e in Iraq, che hanno sofferto molto duramente a causa di eventi recenti. Incoraggiamo tutte le parti, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose, a continuare a lavorare per la riconciliazione e per il giusto riconoscimento dei diritti dei popoli. Siamo profondamente convinti che non le armi, ma il dialogo, il perdono e la riconciliazione sono gli unici strumenti possibili per conseguire la pace."



AsiaNews - 25/05/2014 

Riportiamo di seguito il testo integrale della Dichiarazione comune di papa Francesco e del Patriarca ecumenico Bartolomeo I. A 50 anni dall'incontro fra Paolo VI e il patriarca Athenagoras, essa racconta tutto il cammino compiuto nel campo dell'ecumenismo fra cattolici e ortodossi e guarda al cammino urgente della testimonianza unita dei cristiani per la difesa della vita, della famiglia, del creato e per la pace e il dialogo fra le religioni. Un ricordo particolare è rivolto alle sofferenze dei cristiani del Medio oriente e alle persone del nostro tempo, che si sentono "smarrite" davanti al mondo "segnato da violenza, indifferenza ed egoismo". L'uomo del nostro tempo può essere aiutato proprio dalla testimonianza comune dei cristiani.


1. Come i nostri venerati predecessori, il Papa Paolo VI ed il Patriarca Ecumenico Athenagoras, si incontrarono qui a Gerusalemme cinquant'anni fa, così anche noi, Papa Francesco e Bartolomeo, Patriarca Ecumenico, abbiamo voluto incontrarci nella Terra Santa, "dove il nostro comune Redentore, Cristo Signore, è vissuto, ha insegnato, è morto, è risuscitato ed è asceso al cielo, da dove ha inviato lo Spirito Santo sulla Chiesa nascente" (Comunicato congiunto di Papa Paolo VI e del Patriarca Athenagoras, pubblicato dopo l'incontro del 6 gennaio 1964). Questo nostro incontro, un ulteriore ritrovo dei Vescovi delle Chiese di Roma e di Costantinopoli, fondate rispettivamente dai due fratelli Apostoli Pietro e Andrea, è per noi fonte di intensa gioia spirituale e ci offre l'opportunità di riflettere sulla profondità e sull'autenticità dei legami esistenti tra noi, frutto di un cammino pieno di grazia lungo il quale il Signore ci ha guidato, a partire da quel giorno benedetto di cinquant'anni fa.

2. Il nostro incontro fraterno di oggi è un nuovo, necessario passo sul cammino verso l'unità alla quale soltanto lo Spirito Santo può guidarci: quella della comunione nella legittima diversità. Ricordiamo con viva gratitudine i passi che il Signore ci ha già concesso di compiere. L'abbraccio scambiato tra Papa Paolo VI ed il Patriarca Athenagoras qui a Gerusalemme, dopo molti secoli di silenzio, preparò la strada ad un gesto di straordinaria valenza, la rimozione dalla memoria e dal mezzo della Chiesa delle sentenze di reciproca scomunica del 1054. Seguirono scambi di visite nelle rispettive sedi di Roma e di Costantinopoli, frequenti contatti epistolari e, successivamente, la decisone di Papa Giovanni Paolo II e del Patriarca Dimitrios, entrambi di venerata memoria, di avviare un dialogo teologico della verità tra Cattolici e Ortodossi. Lungo questi anni Dio, fonte di ogni pace e amore, ci ha insegnato a considerarci gli uni gli altri come membri della stessa famiglia cristiana, sotto un solo Signore e Salvatore, Cristo Gesù, e ad amarci gli uni gli altri, di modo che possiamo professare la nostra fede nello stesso Vangelo di Cristo, così come è stato ricevuto dagli Apostoli, espresso e trasmesso a noi dai Concili ecumenici e dai Padri della Chiesa. Pienamente consapevoli di non avere raggiunto l'obiettivo della piena comunione, oggi ribadiamo il nostro impegno a continuare a camminare insieme verso l'unità per la quale Cristo Signore ha pregato il Padre, "perché tutti siano una sola cosa" (Gv 17,21).

3. Ben consapevoli che tale unità si manifesta nell'amore di Dio e nell'amore del prossimo, aneliamo al giorno in cui finalmente parteciperemo insieme al banchetto eucaristico. Come cristiani, ci spetta il compito di prepararci a ricevere questo dono della comunione eucaristica, secondo l'insegnamento di Sant'Ireneo di Lione, attraverso la professione dell'unica fede, la preghiera costante, la conversione interiore, il rinnovamento di vita e il dialogo fraterno (Adversus haereses, IV,18,5. PG 7, 1028). Nel raggiungere questo obiettivo verso cui orientiamo le nostre speranze, manifesteremo davanti al mondo l'amore di Dio e, in tal modo, saremo riconosciuti come veri discepoli di Gesù Cristo (cf Gv 13,35).

4. A tal fine, un contributo fondamentale alla ricerca della piena comunione tra Cattolici ed Ortodossi è offerto dal dialogo teologico condotto dalla Commissione mista internazionale. Durante il tempo successivo dei Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e del Patriarca Dimitrios, il progresso realizzato dai nostri incontri teologici è stato sostanziale. Oggi vogliamo esprimere il nostro sentito apprezzamento per i risultati raggiunti, così come per gli sforzi che attualmente si stanno compiendo. Non si tratta di un mero esercizio teorico, ma di un esercizio nella verità e nella carità, che richiede una sempre più profonda conoscenza delle tradizioni gli uni degli altri, per comprenderle e per apprendere da esse. Per questo, affermiamo ancora una volta che il dialogo teologico non cerca un minimo comune denominatore teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull'approfondimento della verità tutta intera, che Cristo ha donato alla sua Chiesa e che, mossi dallo Spirito Santo, non cessiamo mai di comprendere meglio. Affermiamo quindi insieme che la nostra fedeltà al Signore esige l'incontro fraterno ed il vero dialogo. Tale ricerca comune non ci allontana dalla verità, piuttosto, attraverso uno scambio di doni, ci condurrà, sotto la guida dello Spirito, a tutta la verità (cf Gv 16,13).

5. Pur essendo ancora in cammino verso la piena comunione, abbiamo sin d'ora il dovere di offrire una testimonianza comune all'amore di Dio verso tutti, collaborando nel servizio all'umanità, specialmente per quanto riguarda la difesa della dignità della persona umana in ogni fase della vita e della santità della famiglia basata sul matrimonio, la promozione della pace e del bene comune, la risposta alle miserie che continuano ad affliggere il nostro mondo. Riconosciamo che devono essere costantemente affrontati la fame, l'indigenza, l'analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni. È nostro dovere sforzarci di costruire insieme una società giusta ed umana, nella quale nessuno si senta escluso o emarginato.

6. Siamo profondamente convinti che il futuro della famiglia umana dipende anche da come sapremo custodire, in modo saggio ed amorevole, con giustizia ed equità, il dono della creazione affidatoci da Dio. Riconosciamo dunque pentiti l'ingiusto sfruttamento del nostro pianeta, che costituisce un peccato davanti agli occhi di Dio. Ribadiamo la nostra responsabilità e il dovere di alimentare un senso di umiltà e moderazione, perché tutti sentano la necessità di rispettare la creazione e salvaguardarla con cura. Insieme, affermiamo il nostro impegno a risvegliare le coscienze nei confronti della custodia del creato; facciamo appello a tutti gli uomini e donne di buona volontà a cercare i modi in cui vivere con minore spreco e maggiore sobrietà, manifestando minore avidità e maggiore generosità per la protezione del mondo di Dio e per il bene del suo popolo.

7. Esiste altresì un urgente bisogno di cooperazione efficace e impegnata tra i cristiani, al fine di salvaguardare ovunque il diritto ad esprimere pubblicamente la propria fede e ad essere trattati con equità quando si intende promuovere il contributo che il Cristianesimo continua ad offrire alla società e alla cultura contemporanee. A questo proposito, esortiamo tutti i cristiani a promuovere un autentico dialogo con l'Ebraismo, con l'Islam e con le altre tradizioni religiose. L'indifferenza e la reciproca ignoranza possono soltanto condurre alla diffidenza e, purtroppo, persino al conflitto.

8. Da questa Città Santa di Gerusalemme, vogliamo esprimere la nostra comune profonda preoccupazione per la situazione dei cristiani in Medio Oriente e per il loro diritto a rimanere cittadini a pieno titolo delle loro patrie. Rivolgiamo fiduciosi la nostra preghiera al Dio onnipotente e misericordioso per la pace in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente. Preghiamo specialmente per le Chiese in Egitto, in Siria e in Iraq, che hanno sofferto molto duramente a causa di eventi recenti. Incoraggiamo tutte le parti, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose, a continuare a lavorare per la riconciliazione e per il giusto riconoscimento dei diritti dei popoli. Siamo profondamente convinti che non le armi, ma il dialogo, il perdono e la riconciliazione sono gli unici strumenti possibili per conseguire la pace.

9. In un contesto storico segnato da violenza, indifferenza ed egoismo, tanti uomini e donne si sentono oggi smarriti. È proprio con la testimonianza comune della lieta notizia del Vangelo, che potremo aiutare l'uomo del nostro tempo a ritrovare la strada che lo conduce alla verità, alla giustizia e alla pace. In unione di intenti, e ricordando l'esempio offerto cinquant'anni fa qui a Gerusalemme da Papa Paolo VI e dal Patriarca Athenagoras, facciamo appello ai cristiani, ai credenti di ogni tradizione religiosa e a tutti gli uomini di buona volontà, a riconoscere l'urgenza dell'ora presente, che ci chiama a cercare la riconciliazione e l'unità della famiglia umana, nel pieno rispetto delle legittime differenze, per il bene dell'umanità intera e delle generazioni future.

10. Mentre viviamo questo comune pellegrinaggio al luogo dove il nostro unico e medesimo Signore Gesù Cristo è stato crocifisso, è stato sepolto ed è risorto, affidiamo umilmente all'intercessione di Maria Santissima e Sempre Vergine i passi futuri del nostro cammino verso la piena unità e raccomandiamo all'amore infinito di Dio l'intera famiglia umana.
 "Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace" (Nm 6, 25-26).
                                                                    Gerusalemme, 25 maggio 2014

http://www.asianews.it/notizie-it/La-Dichiarazione-comune-tra-Papa-Francesco-e-il-Patriarca-Ecumenico-Bartolomeo-I-31175.html

sabato 24 maggio 2014

Papa Francesco in Giordania: «È urgente una soluzione pacifica alla crisi siriana»


"Al termine di questo incontro, rinnovo l’auspicio che prevalgano la ragione e la moderazione e, con l’aiuto della comunità internazionale, la Siria ritrovi la via della pace. Dio converta i violenti e coloro che hanno progetti di guerra, che fabbricano e vendono le armi, e rafforzi i cuori e le menti degli operatori di pace e li ricompensi con ogni benedizione. Che il Signore benedica tutti voi!"

La radice del male è nella cupidità del denaro” che c’è in chi è attivo “nella fabbrica e nella vendita delle armi”, ha detto Jorge Mario Bergoglio parlando a braccio, in italiano, nel discorso agli assistiti dalla Caritas giordana: “Questo ci deve ...fare pensare su chi c’è dietro chi dà a tutti quelli che sono in conflitto le armi per continuare i conflitti. Pensiamo e dal nostro cuore preghiamo per questa povera gente criminale perché si converta”.

Discorso del Papa al luogo del battesimo di Gesù (24.05.2014)


Stimate Autorità, Eccellenze, cari fratelli e sorelle,

Nel mio pellegrinaggio ho voluto fortemente incontrare voi che, a causa di sanguinosi conflitti, avete dovuto lasciare le vostre case e la vostra Patria e avete trovato rifugio nella ospitale terra di Giordania; e al tempo stesso voi, cari giovani, che sperimentate il peso di qualche limite fisico.
Il luogo in cui ci troviamo ci ricorda il battesimo di Gesù. Venendo qui al Giordano a farsi battezzare da Giovanni, Egli mostra la sua umiltà e la condivisione della condizione umana: si abbassa fino a noi e con il suo amore ci restituisce la dignità e ci dona la salvezza. Ci colpisce sempre questa umiltà di Gesù, il suo chinarsi sulle ferite umane per risanarle, su tutte le ferite. E a nostra volta siamo profondamente toccati dai drammi e dalle ferite del nostro tempo, in modo speciale da quelle provocate dai conflitti ancora aperti in Medio Oriente. 


Penso in primo luogo alla amata Siria, lacerata da una lotta fratricida che dura da ormai tre anni e ha già mietuto innumerevoli vittime, costringendo milioni di persone a farsi profughi ed esuli in altri Paesi. Tutti vogliamo la pace. La radice del male è l’odio, la cupidità. Cosa si nasconde dietro a questo male? Chi dà a tutti quelli che sono in conflitto le armi per continuare il conflitto? Dobbiamo fermarci a pensare a questo, e nonostante tutto cercare nel  nostro cuore  una parola da dire anche a questa gente criminale, in fondo povera gente, perché si converta. Chiediamo che il Signore rafforzi i cuori e le menti degli operatori di pace e li ricompensi con ogni benedizione. 

Ringrazio le Autorità e il popolo giordano per la generosa accoglienza di un numero elevatissimo di profughi provenienti dalla Siria e dall’Iraq, ed estendo il mio grazie a tutti coloro che prestano la loro opera di assistenza e di solidarietà verso i rifugiati. Penso anche all’opera di carità svolta da istituzioni della Chiesa come Caritas Giordania e altre che, assistendo i bisognosi senza distinzione di fede religiosa, appartenenza etnica o ideologica, manifestano lo splendore del volto caritatevole di Gesù che è misericordioso. Dio Onnipotente e Clemente benedica tutti voi e ogni vostro sforzo nell’alleviare le sofferenze causate dalla guerra!
Mi rivolgo alla comunità internazionale perché non lasci sola la Giordania tanto accogliente e coraggiosa nel far fronte all’emergenza umanitaria derivante dall’arrivo sul suo territorio di un numero così elevato di profughi, ma continui e incrementi la sua azione di sostegno e di aiuto. 


E rinnovo il mio più accorato appello per la pace in Siria. Cessino le violenze e venga rispettato il diritto umanitario, garantendo la necessaria assistenza alla popolazione sofferente! Si abbandoni da parte di tutti la pretesa di lasciare alle armi la soluzione dei problemi e si ritorni alla via del negoziato. La soluzione, infatti, può venire unicamente dal dialogo e dalla moderazione, dalla compassione per chi soffre, dalla ricerca di una soluzione politica e dal senso di responsabilità verso i fratelli.

A voi giovani chiedo di unirvi alla mia preghiera per la pace. Potete farlo anche offrendo a Dio le vostre fatiche quotidiane, e così la vostra preghiera diventa particolarmente preziosa ed efficace. E vi incoraggio a collaborare, col vostro impegno e la vostra sensibilità, alla costruzione di una società rispettosa dei più deboli, dei malati, dei bambini, degli anziani. Pur nelle difficoltà della vita, siate segno di speranza. Voi siete nel cuore di Dio e voi siete nelle mie preghiere, e vi ringrazio per la vostra calorosa e gioiosa numerosa presenza.


http://popefrancisholyland2014.lpj.org/it/2014/05/24/discorso-del-papa-al-luogo-del-battesimo-di-gesu-24-05-2014/


Primo appuntamento di Francesco ad Amman, l'incontro con le autorità giordane: «Ho profondo rispetto e stima per la comunità musulmana». Appello per la libertà religiosa. Il re Abdallah: «Lei è diventato la coscienza del mondo intero»

Vatican Insider 
24 maggio 2014

di Andrea Tornielli


Le prime parole del Papa in Terra Santa sono un ringraziamento per la Giordania accogliente con i profughi, e per la cessazione del conflitto in Siria. Francesco è stato accolto al palazzo reale di Amman da re Abdallah bin Al Hussein - l'unico sovrano ad essere già stato ricevuto per due volte dal Pontefice in Vaticano - e dalla regina Rania. Dopo l'incontro privato e i saluti alla famiglia reale, il Papa ha parlato a trecento autorità del regno, tra le quali erano compresi i leader religiosi.

Abdallah ha accolto il Papa dicendogli: «Santo Padre, lei ha impegnato se stesso nel dialogo, specialmente con l'Islam. Oltre a essere il successore di san Pietro, lei è diventato la coscienza del mondo intero».

«Questo Paese - ha detto Francesco - presta generosa accoglienza a una grande quantità di rifugiati palestinesi, iracheni e provenienti da altre aree di crisi, in particolare dalla vicina Siria, sconvolta da un conflitto che dura da troppo tempo. Tale accoglienza merita la stima e il sostegno della comunità internazionale». Il Papa ha ricordato l'impegno della Chiesa attraverso Caritas Giordania.

Ed è quindi tornato a chiedere la fine delle violenze in Siria e la pace fra israeliani e palestinesi.
«Si rende quanto mai necessaria e urgente - ha spiegato - una soluzione pacifica alla crisi siriana, nonché una giusta soluzione al conflitto israeliano-palestinese».
Francesco ha anche espresso «profondo rispetto e stima per la comunità musulmana».

Francesco ha rivolto un saluto alle comunità cristiane, «presenti nel Paese fin dall'età apostolica», che «pur essendo oggi numericamente minoritarie, hanno modo di svolgere una qualificata e apprezzata azione in campo educativo e sanitario, mediante scuole e ospedali, e possono professare con tranquillità la loro fede, nel rispetto della libertà religiosa, che è un fondamentale diritto umano e che auspico vivamente venga tenuto in grande considerazione in ogni parte del Medio Oriente e del mondo intero...».

La libertà religiosa, ha spiegato il Pontefice «comporta» anche «la libertà di scegliere la religione che si crede essere vera e di manifestare pubblicamente la propria credenza».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/terra-santa-34295/

mercoledì 21 maggio 2014

VERSO IL VIAGGIO DEL PAPA IN TERRASANTA - 3

"Da lui ci aspettiamo parole di amicizia, dialogo, convivenza con i cittadini musulmani". L'incombente dramma siriano.

















Intervista a Mons. Maroun Lahham, Vicario del Patriarca di Gerusalemme dei Latini per la Giordania, a cura di Maria Laura Conte

OASIS, 19 maggio 2014

Un unico pellegrinaggio, ma con tappe in contesti diversi. Quali gli aspetti salienti?
«La visita si svilupperà in tre tappe, in Giordania, Palestina e Israele, che si presentano come situazioni completamente diverse. Il papa in Giordania incontrerà una comunità di cristiani felici, che possono vivere e praticare liberamente la loro fede, senza problemi di persecuzione. Prevediamo circa 40.0000 persone alla messa ad Amman e puntiamo alla massima riuscita. In Israele invece ultimamente si ripetono attacchi a chiese, conventi, moschee, da parte di alcuni fondamentalisti ebraici che, quasi ogni due-tre giorni, imbrattano con scritte offensive e minacciose edifici cristiani o musulmani. In particolare scrivono uno slogan: “pagare il prezzo”, come dire: “ci avete perseguitato nel passato, ora dovete pagare”. Sono attacchi dolorosi, ma non si può parlare di persecuzione di matrice religiosa. Le autorità fermano alcuni di questi fanatici, ma non con un’azione che li fermi definitivamente. In Palestina si risente della pesante situazione dei rapporti irrisolti con Israele, una sofferenza che si protrae da decenni ormai».

In particolare i giordani cosa si aspettano dall’incontro con il Papa?
«Per la Giordania ci aspettiamo parole di fede e di speranza, come quelle che lui solo sa dare. In Giordania tutti, il re e la regina, i principi e le principesse vogliono vedere questo papa che ha travolto il mondo. Da lui ci aspettiamo parole di amicizia, dialogo, convivenza con i cittadini musulmani. E di incoraggiamento per gli ammalati che incontrerà al sito del battesimo. A proposito dei rapporti tra la Palestina e Israele, ci auguriamo che dica parole forti di pace, giustizia e dialogo. Soprattutto ora che il processo di pace si è bloccato, gli americani se ne sono lavati le mani e hanno lasciato una situazione di stallo, urgono parole di riconciliazione. Papa Francesco, grazie al lavoro costante dei nunzi, conosce bene la realtà qui. L’assemblea degli ordinari cattolici ha già preparato un’ampia documentazione. Il papa non arriverà impreparato.

Come è stato guardato papa Francesco da parte dei musulmani in questo primo anno?
«Le richieste pervenute da parte del re, dei principi e delle principesse, le oltre 1300 richieste da parte delle ambasciate musulmane, sono segni concreti del fatto che tutti vogliono toccare questo papa, percepito molto molto molto bene. Ad oggi ancora Francesco non ha avuto modo di parlare dell’Islam, ma quello che tocca le persone non sono le parole, sono i gesti. La gente non ha bisogno di parole, ma di gesti. Quando Francesco ha abbracciato l’ammalato sfigurato a Roma, ha compiuto un semplice gesto che è arrivato a tutti i cuori. Tutto il mondo è rimasto colpito. La sua semplicità, i suoi gesti, la sua umiltà toccano tutti, anche i musulmani. Anche se non ha ancora scritto un’enciclica sull’Islam».

Anche se non farà una sosta in Siria, questo Paese così vicino sarà di fatto presente, incombente…
«Il papa ha pianto quando ha visto le foto dei cristiani crocifissi in Siria. Il Papa ha parlato del conflitto siriano come mai prima un papa ha parlato. Ha usato l’espressione “la mia amata Siria”. Solo che anche se i papi parlano, i politici restano sulle loro posizioni. Ricordo quando Giovanni Paolo II scrisse a Saddam e Bush supplicandoli di fermarsi. Ricordo che la Repubblica titolò “Il papa spera e Bush spara”. E nessuno ascoltò il papa polacco. Io spero e prego che questa crisi si arresti. Non credo che se Francesco proponesse un’altra giornata di preghiera e digiuno, la situazione cambierebbe. Quello che cambia ora è che l’esercito di Asad sta recuperando terreno, Homs è stata liberata dalle milizie. Entro due mesi l’esercito nazionale recupererà le aree perdute e poi ci saranno le elezioni di giugno, più o meno serie. Penso che la soluzione politica, di cui alcuni parlano, non sia realizzabile, perché l’esercito avrà la meglio e le milizie dovranno andarsene. Non vedo una soluzione politica, no, vedo solo quella militare al momento».

Il tema cristiani orientali e “protezione” resta un tema sensibile. Come lo interpreta?
«Quando sei una minoranza, vai dalla maggioranza a chiedere una protezione. Si chiama psicologia della minoranza. I cristiani vivevano serenamente in Siria e Iraq. Dopo l’Iraq l’alternativa proposta per la Siria, quell’al-Qaida che gioca al pallone con le teste dei cristiani uccisi, si pone come un’alternativa terribile. Penso che i cristiani in Siria abbiano davanti due alternative: o Asad com’è o i fanatici. Chi sarà eletto presidente dovrà aver capito cos’è successo in Siria, e quindi dovrà aprire porte e finestre, avere a cuore la libertà, la giustizia e il lavoro. Non si può andare avanti come prima».

Ma chi vince sul campo la guerra, non diventa ancor più prepotente?
«Un po’ di cuore alla fine lo deve avere chi vince. Sapere che ci sono stati 150.000 morti in questa crisi, deve indurre a riflettere chi governa. Penso. Almeno, io prego per questo. Questa è la mia personalissima opinione».

Questo papa come può relazionarsi con i musulmani per avere un rapporto reale?
«In Terra Santa tutto è complicato. Bisogna far attenzione a tante sfumature.
Ma penso che l’Islam fanatico, con il fallimento politico di Egitto e Tunisia, ora sia portato a essere più ragionevole. Penso che l’Islam moderato, come quello giordano e tunisino, si intenda facilmente con papa Francesco, perché non ha bisogno di tanti discorsi. Noi orientali siamo più toccati dai sentimenti, che non dai ragionamenti scolastici. A noi un gesto, un abbraccio, un sorriso, basta».

Si parla di una visita storica. Che ne pensa?
«Sarà una grande festa di popolo in Giordania».

http://www.oasiscenter.eu/it/articoli/cristiani-nel-mondo-musulmano/2014/05/19/papa-francesco-si-intender%C3%A0-bene-con-gli-orientali


I profughi siriani aspettano Papa Francesco: sperano che il mondo si ricordi di loro



Agenzia Fides 21/5/2014


Una profuga siriana musulmana proveniente da Homs e un rifugiato cristiano iracheno racconteranno le loro storie cariche di sofferenza e fatica a Papa Francesco, nell'incontro che il Vescovo di Roma avrà con rifugiati, malati e disabili a Betania oltre il Giordano, durante il suo imminente pellegrinaggio in Terra Santa. Lo riferisce all'Agenzia Fides Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania. L'incontro con Papa Francesco si svolgerà nella chiesa – non ancora ultimata né consacrata – che sorge presso il sito del Battesimo, il luogo dove secondo la tradizione Gesù è andato a farsi battezzare da Giovanni Battista. 
Tra i più di quattrocento presenti, i rifugiati siriani e iracheni – sia cristiani che musulmani - ospitati nel Regno Hascemita saranno almeno cinquanta, e offriranno in dono al Pontefice alcune opere d'artigianato confezionate da alcuni di loro.
“I rifugiati siriani e iracheni” spiega Suleiman attendono già pieni di speranza e trepidazione la visita del Papa: tra gli iracheni, alcuni vivono la condizione del rifugiato da più di vent'anni. Tutti si aspettano che il mondo si ricordi di loro, e cambi davvero qualcosa, nell'orizzonte incerto delle loro vite ferite. 


«Ma Dio c'è ancora?»: la domanda dei profughi siriani al Papa



Vaticaninsider, 21 maggio 2014
di Giorgio Bernardelli



.... «Quanti sono i profughi siriani in Giordania? Le cifre del governo parlano ormai di 1.350.000 persone - ci risponde Suleiman - Ma non potete capire fino in fondo che cosa significhi per noi giordani questa storia se non tenete presente anche tutto il resto. Perché nel mio Paese prima erano già arrivati i profughi palestinesi nel 1967. Poi è stata la volta dei libanesi negli anni Ottanta e degli iracheni negli anni Novanta. E lo sapete che negli ultimi due anni anche gli egiziani con visto di lavoro sono raddoppiati? Sì, c'era un accordo tra i nostri due Paesi, così molti di quelli che sono scappati da Il Cairo a causa delle violenze sono venuti comunque qui».

Anche per questo nella delegazione di circa quattrocento persone che incontreranno il Papa a Betania Oltre il Giordano - il sito archeologico dove si ricorda il battesimo di Gesù - ci saranno anche i poveri e i disabili della Giordania. È infatti quasi impossibile, ormai, tracciare dei confini tra le diverse sofferenze: «Si dice: voi giordani non avete avuto la guerra, ed è vero - continua ancora il direttore di Caritas Giordania - Ma tutte le devastazioni create dai conflitti nei Paesi vicini hanno avuto ripercussioni pesanti qui da noi. Penso per esempio alle scuole dove oggi abbiamo cinquanta alunni per classe o alle difficoltà enormi a garantire l'acqua o l'elettricità per tutti. Anche la Giordania sta soffrendo. E ci chiediamo: qual è il futuro del nostro Paese?».

Anche per questo a Betania Oltre il Giordano si attende dal Papa soprattutto una parola di speranza. L'incontro con i poveri avverrà in una chiesa che è ancora un cantiere: in questo sito che il regno di Giordania ha voluto valorizzare per i pellegrinaggi cristiani, concedendo a ogni confessione la possibilità di costruire una nuova chiesa, quella latina - la cui prima pietra fu posta da Benedetto XVI nel 2009 - è ferma alla struttura muraria essenziale. Già nel mese di gennaio, però, il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal ha presieduto qui la liturgia dell'annuale pellegrinaggio al Giordano dei cristiani locali nella festa del Battesimo di Gesù. Un cantiere che probabilmente diventerà un simbolo anche della ricostruzione umana che i poveri e i profughi cercano oggi in questa durissima periferia del mondo.
«Tanti tra i cristiani della Siria che accogliamo qui ci chiedono: “Ma Dio c'è ancora?” - racconta Suleiman - È una domanda in cui c'è tutta la loro disperazione. E anche la nostra fatica oggi nel dare una risposta».

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