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mercoledì 21 maggio 2014

VERSO IL VIAGGIO DEL PAPA IN TERRASANTA - 3

"Da lui ci aspettiamo parole di amicizia, dialogo, convivenza con i cittadini musulmani". L'incombente dramma siriano.

















Intervista a Mons. Maroun Lahham, Vicario del Patriarca di Gerusalemme dei Latini per la Giordania, a cura di Maria Laura Conte

OASIS, 19 maggio 2014

Un unico pellegrinaggio, ma con tappe in contesti diversi. Quali gli aspetti salienti?
«La visita si svilupperà in tre tappe, in Giordania, Palestina e Israele, che si presentano come situazioni completamente diverse. Il papa in Giordania incontrerà una comunità di cristiani felici, che possono vivere e praticare liberamente la loro fede, senza problemi di persecuzione. Prevediamo circa 40.0000 persone alla messa ad Amman e puntiamo alla massima riuscita. In Israele invece ultimamente si ripetono attacchi a chiese, conventi, moschee, da parte di alcuni fondamentalisti ebraici che, quasi ogni due-tre giorni, imbrattano con scritte offensive e minacciose edifici cristiani o musulmani. In particolare scrivono uno slogan: “pagare il prezzo”, come dire: “ci avete perseguitato nel passato, ora dovete pagare”. Sono attacchi dolorosi, ma non si può parlare di persecuzione di matrice religiosa. Le autorità fermano alcuni di questi fanatici, ma non con un’azione che li fermi definitivamente. In Palestina si risente della pesante situazione dei rapporti irrisolti con Israele, una sofferenza che si protrae da decenni ormai».

In particolare i giordani cosa si aspettano dall’incontro con il Papa?
«Per la Giordania ci aspettiamo parole di fede e di speranza, come quelle che lui solo sa dare. In Giordania tutti, il re e la regina, i principi e le principesse vogliono vedere questo papa che ha travolto il mondo. Da lui ci aspettiamo parole di amicizia, dialogo, convivenza con i cittadini musulmani. E di incoraggiamento per gli ammalati che incontrerà al sito del battesimo. A proposito dei rapporti tra la Palestina e Israele, ci auguriamo che dica parole forti di pace, giustizia e dialogo. Soprattutto ora che il processo di pace si è bloccato, gli americani se ne sono lavati le mani e hanno lasciato una situazione di stallo, urgono parole di riconciliazione. Papa Francesco, grazie al lavoro costante dei nunzi, conosce bene la realtà qui. L’assemblea degli ordinari cattolici ha già preparato un’ampia documentazione. Il papa non arriverà impreparato.

Come è stato guardato papa Francesco da parte dei musulmani in questo primo anno?
«Le richieste pervenute da parte del re, dei principi e delle principesse, le oltre 1300 richieste da parte delle ambasciate musulmane, sono segni concreti del fatto che tutti vogliono toccare questo papa, percepito molto molto molto bene. Ad oggi ancora Francesco non ha avuto modo di parlare dell’Islam, ma quello che tocca le persone non sono le parole, sono i gesti. La gente non ha bisogno di parole, ma di gesti. Quando Francesco ha abbracciato l’ammalato sfigurato a Roma, ha compiuto un semplice gesto che è arrivato a tutti i cuori. Tutto il mondo è rimasto colpito. La sua semplicità, i suoi gesti, la sua umiltà toccano tutti, anche i musulmani. Anche se non ha ancora scritto un’enciclica sull’Islam».

Anche se non farà una sosta in Siria, questo Paese così vicino sarà di fatto presente, incombente…
«Il papa ha pianto quando ha visto le foto dei cristiani crocifissi in Siria. Il Papa ha parlato del conflitto siriano come mai prima un papa ha parlato. Ha usato l’espressione “la mia amata Siria”. Solo che anche se i papi parlano, i politici restano sulle loro posizioni. Ricordo quando Giovanni Paolo II scrisse a Saddam e Bush supplicandoli di fermarsi. Ricordo che la Repubblica titolò “Il papa spera e Bush spara”. E nessuno ascoltò il papa polacco. Io spero e prego che questa crisi si arresti. Non credo che se Francesco proponesse un’altra giornata di preghiera e digiuno, la situazione cambierebbe. Quello che cambia ora è che l’esercito di Asad sta recuperando terreno, Homs è stata liberata dalle milizie. Entro due mesi l’esercito nazionale recupererà le aree perdute e poi ci saranno le elezioni di giugno, più o meno serie. Penso che la soluzione politica, di cui alcuni parlano, non sia realizzabile, perché l’esercito avrà la meglio e le milizie dovranno andarsene. Non vedo una soluzione politica, no, vedo solo quella militare al momento».

Il tema cristiani orientali e “protezione” resta un tema sensibile. Come lo interpreta?
«Quando sei una minoranza, vai dalla maggioranza a chiedere una protezione. Si chiama psicologia della minoranza. I cristiani vivevano serenamente in Siria e Iraq. Dopo l’Iraq l’alternativa proposta per la Siria, quell’al-Qaida che gioca al pallone con le teste dei cristiani uccisi, si pone come un’alternativa terribile. Penso che i cristiani in Siria abbiano davanti due alternative: o Asad com’è o i fanatici. Chi sarà eletto presidente dovrà aver capito cos’è successo in Siria, e quindi dovrà aprire porte e finestre, avere a cuore la libertà, la giustizia e il lavoro. Non si può andare avanti come prima».

Ma chi vince sul campo la guerra, non diventa ancor più prepotente?
«Un po’ di cuore alla fine lo deve avere chi vince. Sapere che ci sono stati 150.000 morti in questa crisi, deve indurre a riflettere chi governa. Penso. Almeno, io prego per questo. Questa è la mia personalissima opinione».

Questo papa come può relazionarsi con i musulmani per avere un rapporto reale?
«In Terra Santa tutto è complicato. Bisogna far attenzione a tante sfumature.
Ma penso che l’Islam fanatico, con il fallimento politico di Egitto e Tunisia, ora sia portato a essere più ragionevole. Penso che l’Islam moderato, come quello giordano e tunisino, si intenda facilmente con papa Francesco, perché non ha bisogno di tanti discorsi. Noi orientali siamo più toccati dai sentimenti, che non dai ragionamenti scolastici. A noi un gesto, un abbraccio, un sorriso, basta».

Si parla di una visita storica. Che ne pensa?
«Sarà una grande festa di popolo in Giordania».

http://www.oasiscenter.eu/it/articoli/cristiani-nel-mondo-musulmano/2014/05/19/papa-francesco-si-intender%C3%A0-bene-con-gli-orientali


I profughi siriani aspettano Papa Francesco: sperano che il mondo si ricordi di loro



Agenzia Fides 21/5/2014


Una profuga siriana musulmana proveniente da Homs e un rifugiato cristiano iracheno racconteranno le loro storie cariche di sofferenza e fatica a Papa Francesco, nell'incontro che il Vescovo di Roma avrà con rifugiati, malati e disabili a Betania oltre il Giordano, durante il suo imminente pellegrinaggio in Terra Santa. Lo riferisce all'Agenzia Fides Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania. L'incontro con Papa Francesco si svolgerà nella chiesa – non ancora ultimata né consacrata – che sorge presso il sito del Battesimo, il luogo dove secondo la tradizione Gesù è andato a farsi battezzare da Giovanni Battista. 
Tra i più di quattrocento presenti, i rifugiati siriani e iracheni – sia cristiani che musulmani - ospitati nel Regno Hascemita saranno almeno cinquanta, e offriranno in dono al Pontefice alcune opere d'artigianato confezionate da alcuni di loro.
“I rifugiati siriani e iracheni” spiega Suleiman attendono già pieni di speranza e trepidazione la visita del Papa: tra gli iracheni, alcuni vivono la condizione del rifugiato da più di vent'anni. Tutti si aspettano che il mondo si ricordi di loro, e cambi davvero qualcosa, nell'orizzonte incerto delle loro vite ferite. 


«Ma Dio c'è ancora?»: la domanda dei profughi siriani al Papa



Vaticaninsider, 21 maggio 2014
di Giorgio Bernardelli



.... «Quanti sono i profughi siriani in Giordania? Le cifre del governo parlano ormai di 1.350.000 persone - ci risponde Suleiman - Ma non potete capire fino in fondo che cosa significhi per noi giordani questa storia se non tenete presente anche tutto il resto. Perché nel mio Paese prima erano già arrivati i profughi palestinesi nel 1967. Poi è stata la volta dei libanesi negli anni Ottanta e degli iracheni negli anni Novanta. E lo sapete che negli ultimi due anni anche gli egiziani con visto di lavoro sono raddoppiati? Sì, c'era un accordo tra i nostri due Paesi, così molti di quelli che sono scappati da Il Cairo a causa delle violenze sono venuti comunque qui».

Anche per questo nella delegazione di circa quattrocento persone che incontreranno il Papa a Betania Oltre il Giordano - il sito archeologico dove si ricorda il battesimo di Gesù - ci saranno anche i poveri e i disabili della Giordania. È infatti quasi impossibile, ormai, tracciare dei confini tra le diverse sofferenze: «Si dice: voi giordani non avete avuto la guerra, ed è vero - continua ancora il direttore di Caritas Giordania - Ma tutte le devastazioni create dai conflitti nei Paesi vicini hanno avuto ripercussioni pesanti qui da noi. Penso per esempio alle scuole dove oggi abbiamo cinquanta alunni per classe o alle difficoltà enormi a garantire l'acqua o l'elettricità per tutti. Anche la Giordania sta soffrendo. E ci chiediamo: qual è il futuro del nostro Paese?».

Anche per questo a Betania Oltre il Giordano si attende dal Papa soprattutto una parola di speranza. L'incontro con i poveri avverrà in una chiesa che è ancora un cantiere: in questo sito che il regno di Giordania ha voluto valorizzare per i pellegrinaggi cristiani, concedendo a ogni confessione la possibilità di costruire una nuova chiesa, quella latina - la cui prima pietra fu posta da Benedetto XVI nel 2009 - è ferma alla struttura muraria essenziale. Già nel mese di gennaio, però, il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal ha presieduto qui la liturgia dell'annuale pellegrinaggio al Giordano dei cristiani locali nella festa del Battesimo di Gesù. Un cantiere che probabilmente diventerà un simbolo anche della ricostruzione umana che i poveri e i profughi cercano oggi in questa durissima periferia del mondo.
«Tanti tra i cristiani della Siria che accogliamo qui ci chiedono: “Ma Dio c'è ancora?” - racconta Suleiman - È una domanda in cui c'è tutta la loro disperazione. E anche la nostra fatica oggi nel dare una risposta».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/francesco-terra-santa-34235/

lunedì 19 maggio 2014

Crimini di guerra e crimini contro l'umanità



DA ALEPPO , J'ACCUSE

3 milioni di abitanti civili di Aleppo, indipendentemente dalla loro religione o opinioni politiche,  sono tenuti in ostaggio da due anni e sono le vittime di crimini di guerra e crimini contro l'umanità .

1    1-    Blocco  totale della città sia rispetto alle persone che  alle merci, ripetuto molte volte ,  il più lungo  è durato sei settimane: ciò ha comportato ogni volta  una grave carenza di  beni essenziali come ortaggi, frutta, benzina, carburante, medicine, carne, ecc .
 2 - Totale taglio di energia elettrica, di un paio di giorni fino a 11 giorni .
 3 - Arresto completo della fornitura di acqua di 2 fino a 11 giorni.
 4 - Tagli ripetuti delle comunicazioni per telefono e di internet, sia  locali che  internazionali, di un paio di giorni fino a 20 giorni consecutivi .
 5 - Bombardamenti quotidiani di zone abitate , con bombe o colpi di mortaio che lasciano molti morti e feriti .
 6 - Tiri di cecchini sui pedoni innocenti .
 7 - La distruzione sistematica del patrimonio archeologico e culturale .

cecchini dentro la moschea- foto David Rose

Il Diritto Internazionale Umanitario ( DIU ) sulla base delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i due Protocolli aggiuntivi del 1977 e lo Statuto di Roma del 2002 che ha portato alla istituzione della Corte Penale Internazionale ( CPI ) definiscono i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità . L'articolo 8 della CPI , comma 3, qualifica  crimine di guerra  "il fatto di causare intenzionalmente  grandi sofferenze o portare gravi lesioni all'integrità fisica o alla salute" ; e il fatto di "dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici dedicati al culto, all'educazione, all'arte, alla scienza o a scopi umanitari, e contro monumenti storici o ospedali " ; e l'articolo 7 dello Statuto di Roma qualifica come crimine contro l'umanità  "gli atti inumani che provocano  intenzionalmente grandi sofferenze o gravi lesioni all'integrità fisica o alla salute fisica o mentale ."

camion bomba devasta l'ospedale al-Kindi 

Che alla gente di Aleppo venga  impedito di lasciare la città , che essa sia rinchiusa, abbia  fame, soffra la sete, si ammali  per la mancanza di igiene; che agli abitanti di Aleppo sia  impedito di comunicare con il mondo, che siano il bersaglio di bombardamenti o di cecchini, niente di tutto questo è  ‘di grande sofferenza e di grave pregiudizio per la salute’? Non costituisce  crimini di guerra e crimini contro l'umanità, come sono definiti dalle convenzioni di cui sopra ?

 IO ACCUSO  i media , i governi dei paesi occidentali e arabi, le organizzazioni internazionali come l’ONU , l'UNICEF , l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani,  di complicità in crimini di guerra e crimini contro l'umanità .

 IO  DOMANDO  a tutti gli uomini e  donne del mondo  che abbiano amore per la libertà e per la giustizia, davanti a a tali atti :
 1 - di qualificarli
 2 – di denunciarli
 3 – di condannarli
 4 – di esigere dai loro governi di fare pressione sui mandanti e sugli esecutori .
 5 - di accusare gli autori davanti alla CPI . Si deve smettere di prendere i civili di Aleppo in ostaggio.

mortai caricati con le bombole del gas

 Scrivete ai media, ai vostri deputati e senatori, ai ministri, ai presidenti e alle organizzazioni internazionali .
Dite loro che i residenti civili Aleppo sono bersaglio di atti terroristici che possono essere classificati  come crimini. Dite loro la sofferenza del popolo. Dite loro la distruzione del Paese e della nostra amata città. Ricordate loro che la "primavera araba" in Siria è solo un inverno glaciale e un caos sterile .

 La crisi del  "taglio dell’acqua " è attualmente conclusa . Ha seguito altre precedenti crisi e ve ne saranno  probabilmente di più se voi non vi muovete .

 AIUTATECI

 Aleppo 17 maggio 2014

dr Nabil Antaki (gastroenterologo , Volontario dei Maristi di Aleppo)

L'Arcivescovo armeno cattolico Marayati: i cristiani fuggono da Aleppo, città assediata



Agenzia Fides 19/5/2014

“Nelle ultime settimane abbiamo registrato una nuova ondata dell'esodo dei cristiani da Aleppo. Le famiglie hanno aspettato la fine delle scuole, poi hanno preso i bagagli, hanno chiuso le proprie case e sono fuggite verso la costa e verso il Libano, usando l'unica strada di collegamento con l'esterno ancora percorribile. Forse torneranno tra quattro mesi. Forse non torneranno più”. 
Così riferisce a Fides l'Arcivescovo armeno cattolico di Aleppo Boutros Marayati, aggiungendo particolari concreti sugli effetti dell'assedio della metropoli siriana da parte delle milizie anti-Assad: “Adesso è tornata l'erogazione dell'acqua, che era stata interrotta per più di una settimana” spiega l'Arcivescovo “ma manca l'energia elettrica. Quando danno l'acqua interrompono l'elettricità, quando danno l'elettricità interrompono l'acqua. La città è assediata e le aree dove si trovano la grande centrale elettrica e le linee di approvvigionamento idrico sono tutte nelle mani dei ribelli, che aprono e chiudono i rubinetti per costringere il regime a trattare. Noi non sappiamo a cosa mirano queste trattative. Rimaniamo a fianco della gente, a subire tutto questo, ma non capiamo bene cosa stia succedendo intorno a noi”.
A giudizio dell'Arcivescovo, le elezioni presidenziali convocate per il prossimo 3 giugno finiscono per aumentare il senso di incertezza e di paura diffusa: “E' iniziata la propaganda elettorale, ma tanti temono un'escalation delle violenze proprio in vista delle elezioni. Potrebbe succedere di tutto” spiega Sua Ecc. Marayati. 

Non rassicurano nemmeno le notizie provenienti da Homs: “L'assedio dell'esercito governativo ha prevalso sui ribelli, che hanno evacuato il centro della città”, spiega l'Arcivescovo armeno cattolico, “ma da allora sono entrate in azione bande di sciacalli che saccheggiano tutto quello che trovano ancora nelle case abbandonate, anche nel quartiere dove abitavano i cristiani”.

domenica 18 maggio 2014

VERSO IL VIAGGIO DEL PAPA IN TERRASANTA -2

Giordania, fra i cristiani in attesa di Francesco: "Salvaci"



Vatican Insider, 17 maggio 2014
di Maurizio Molinari

Festoni illuminati sulle case in pietra, rullii di tamburi e ovunque l’odore del cinghiale alla brace. L’ultima enclave cristiana della Giordania è in festa per il matrimonio fra i ragazzi di due delle famiglie più in vista. A venti minuti di auto da Amman, siamo in un angolo di Medio Oriente dove l’alcol non è tabù, i cacciatori di maiali selvatici sono gli chef più ricercati, nelle case ci sono le Madonne incorniciate e si balla la dabke, con uomini e donne che flirtano sotto gli occhi di amici e parenti. È l’Oriente dei cristiani, in gran parte ortodossi ma anche cattolici, che si  considerano orgogliosi eredi dei bizantini ma soffrono l’assedio dell’Islam fondamentalista.

Il matrimonio si svolge la domenica e il venerdì precedente è il momento in cui le famiglie si ritrovano, conoscono, mischiano. Ci saranno un duecento persone, forse di più. Sono commercianti e imprenditori di successo che accolgono anche Hweishel Akroush, il sindaco eletto al termine di una sfida all’ultimo voto con il rivale, anch’esso fra gli invitati. Appena Akroush entra nella grande sala da pranzo, con decine di sedie lungo le pareti per far sedere tutti gli ospiti, sul lato opposto si siede l’ex rivale. Ed iniziano un dialogo nel quale molti altri intervengono. Il tema è l’imminente visita di Papa Francesco, che proprio da Amman inizierà il 24 maggio il viaggio in Terra Santa che lo porterà a fare tappa a Betlemme e Gerusalemme.
«Speriamo che il Papa parli con chiarezza ai popoli arabi», dice un commerciante di mobili, sui 60 anni, spiegando che «qui la situazione per noi si fa difficile».

Il riferimento è a un fatto recente, avvenuto in una periferia commerciale di Amman, dove il proprietario di un piccolo negozio ha annullato all’ultimo momento la vendita dell’immobile a un imprenditore cristiano su richiesta di un imam locale. È un tema vissuto con evidente pathos. «È un pessimo segno - osserva uno dei parenti della sposa - perché non era mai avvenuto prima, lascia intendere quanto i fondamentalisti vogliano emarginarci». La fedeltà nel re Abdallah è fuori questione. In ogni casa vi sono i suoi ritratti, le bandiere reali sventolano ovunque in questa cittadina di 20 mila anime - l’ultima del regno hashemita a schiacciante maggioranza cristiana - e quando Abdallah venne in visita tre anni fa fu accolto con grande calore.
«Il problema è il Fronte Islamico - aggiunge uno studente universitario, amico dello sposo - perché i Fratelli Musulmani perseguono una Giordania senza di noi, crescono dal di dentro e ci vogliono togliere l’ossigeno dal basso con una miriade di atti quotidiani».

Si spiega così la decisione di alcuni figli dei presenti di aver scelto l’emigrazione all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. Anche perché fare carriera nelle forze armate o nella pubblica amministrazione è quasi impossibile per chi non appartiene alle tribù beduine che esprimono la monarchia. C’è chi è andato in Michigan e chi in New Jersey, investendo capitali di famiglia per creare piccole imprese. Non siamo di fronte a una fuga di massa come avvenuto per i cristiani di Betlemme negli ultimi dieci anni ma la tendenza è in crescita. Il sindaco lo sa, ascolta in silenzio, ed evita di sbilanciarsi. «Siamo tutti cittadini giordani e questo Paese ci ha sempre protetto» dice, a bassa voce, tenendo le mani su un bastone di legno lavorato. Ma è una posizione che l’ex sfidante non condivide: «Il mondo in cui siamo cresciuti non c’è più, i cristiani sono massacrati, uccisi, perseguitati in più Paesi arabi, le cosiddette primavere hanno peggiorato le cose e non ci resta che sperare nel Papa». La quasi totalità dei presenti assicura che sarà nello stadio di Amman per ascoltare il discorso del Pontefice, a cui guardano come una sorta di sovrano protettore nella convinzione che i leader arabi vogliano un rapporto di mutuo rispetto con la Santa Sede.

A spiegare perché è un uomo sui 70 anni, noto per possedere molte proprietà ricoprendo così un ruolo di garante della perdurante identità cristiana di Fuhais, in quanto interprete fedele della legge non scritta che vieta di vendere case ai musulmani. «In Europa ci sono tanti musulmani, i leader arabi hanno interesse che siano trattati bene - osserva - e dunque cercano garanzie dalla Santa Sede, che può chiederne per noi». Sono ragionamenti rudimentali ma a condividerli è anche un ex dipendente dell’ambasciata Usa ad Amman: «Da queste parti bisogna essere espliciti per farsi comprendere». Il batti e ribatti si prolunga per due ore, con il sindaco sempre più taciturno e l’ex sfidante rincuorato dai sostegni ricevuti, fino al momento in cui fuochi d’artificio e tamburi annunciano che «il cinghiale sta per essere servito». Viene da un braciere gigante, dove più cacciatori hanno portato la carne migliore estratta da sei maiali selvatici uccisi nell’ultima settimana. Tagliata a piccoli quadratini, ripassata in una salsa piccante e fatta cuocere e fuoco lento, la carne di cinghiale viene servita avvolta in pitte calde, accompagnata da vino rosso a volontà. È un rito culinario che nasce dalla volontà degli zii cacciatori di regalare ai futuri sposi la carne più pregiata ma in realtà esalta anche le differenze d’identità rispetto alla maggioranza musulmana. Si spiega così il consenso collettivo per quanto avvenne due anni fa, quando cinquecento capifamiglia di Fuhais invasero la strada principale protestando contro la conversione all’Islam di una ragazza cristiana locale, spingendosi fino a dare alle fiamme l’auto del futuro marito. La difesa del territorio si gioca su più fronti, perché il sentimento che prevale è quello di un assedio che cresce e la speranza è in un aperto sostegno da parte del Pontefice. 
Ma fra i coetanei degli sposi prevale il pessimismo, sono diversi ad affermare che «forse siamo l’ultima generazione di cristiani in Giordania».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/francesco-terra-santa-34147/


Il Papa atteso in Giordania, fra i disperati siriani




di Giorgio Bernardelli
La NBQ , 11-01-2014

.... questa volta la sosta ad Amman non risponde solo alle logiche della diplomazia, che hanno sempre imposto una tappa in Giordania a ogni viaggio di un Papa in Terra Santa. Stiamo infatti parlando di uno dei Paesi che sono toccati più fortemente dal conflitto in corso da ormai quasi tre anni in Siria. Con i suoi 6 milioni di abitanti la Giordania ha accolto un milione di profughi in fuga dal conflitto che devasta il Paese con cui confina; e ad appena settanta chilometri da Amman si trova Zaatari, la tendopoli per i profughi nata dal nulla nel deserto al confine con la Siria e diventata in pochi mesi per numero di abitanti la terza città del regno hashemita.
È un dramma che alla Chiesa della Terra Santa sta molto a cuore: anche la Caritas giordana è in prima linea negli aiuti ai rifugiati siriani. E di loro il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal ha parlato espressamente domenica scorsa, quando proprio ad Amman ha tenuto una conferenza stampa a poche ore dall'annuncio del Papa in piazza San Pietro. Dando anche un'anticipazione importante sul programma del viaggio: la sera del 24 maggio - a Betania oltre il Giordano, la località  dove secondo il racconto del Vangelo di Giovanni Gesù ha ricevuto il Battesimo nel fiume Giordano - Papa Francesco condividerà la cena con un gruppo di poveri tra cui anche alcuni profughi siriani.


È una notizia da cui appare chiaro come il 24 maggio si profili all'orizzonte come una specie di secondo tempo della giornata di digiuno e preghiera per la Siria indetta da Papa Francesco il 7 settembre scorso. Con un filo rosso comune all'insegna del tema della conversione: incontrare i profughi siriani proprio nel luogo del Battesimo di Gesù è un modo per dire che solo un cambiamento radicale del cuore può portare davvero quella pace nel rispetto dei diritti di tutti a cui il Medio Oriente oggi tanto anela.
Un'anteprima di questo clima la Chiesa della Giordania lo ha vissuto già  - proprio a Betania oltre il Giordano - in occasione dell'annuale pellegrinaggio al sito del Battesimo di Gesù presieduto dallo stesso patriarca Fouad Twal. Si tratta di un appuntamento che si ripete qui dal 2000 alla vigilia della festa liturgica che ricorda il gesto compiuto da Gesù, che la Chiesa universale vivrà questa domenica. Twal ha presieduto una liturgia nel cantiere (ormai avanzato) della futura chiesa cattolica di Betania oltre il Giordano, una delle sette nuove chiese delle diverse confessioni cristiane che sono in costruzione o già ultimate in questo luogo che il Regno Hashemita ha deciso di valorizzare come meta dei pellegrinaggi cristiani. Fu Benedetto XVI - durante il suo pellegrinaggio del 2009 - a benedire la prima pietra; e adesso la struttura dell'edificio è ormai quasi completata: il patriarcato latino di Gerusalemme prevede di inaugurarla ufficialmente nel 2015.
Anche il pellegrinaggio al Giordano è stata comunque un'occasione per tornare a parlare proprio delle sofferenze dei cristiani della Siria. Dal luogo dove il Papa incontrerà i profughi della guerra il patriarca di Gerusalemme ha infatti lanciato un nuovo appello per la liberazione dei due vescovi di Aleppo, dei sacerdoti che mancano all'appello da mesi e delle suore di Maaloula che si trovano tuttora nelle mani dei jihadisti siriani. Un modo per ricordare come le ferite aperte a Damasco oggi sanguinino in tutte le comunità cristiane del Medio Oriente. Così come la loro richiesta di un futuro che non sia in balia di chi innalza le bandiere di al Qaida sui campanili delle chiese.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-papa-atteso-in-giordania-fra-i-disperati-siriani-8163.htm

venerdì 16 maggio 2014

La caduta di Homs, le elezioni e il j'accuse dell'ambasciatore francese a Damasco





Piccole Note, 15 maggio 2014

Le elezioni siriane, fissate per il 3 giugno, rappresentano la prossima tappa del tragico travaglio che sta attraversando la Siria. Annunciate da Damasco saranno vinte da Bashar al Assad, che ha deciso di candidarsi nonostante l’opposizione del mondo. “Elezioni farsa” è il mantra che rimbalza ossessivo nelle cancellerie  che tre anni fa, 150.000 morti fa, centinaia di migliaia di feriti fa, milioni di esuli e rifugiati fa, non si aspettavano questo esito. 
Il regime change, così com’era stato sognato da quanti hanno sostenuto la ribellione contro Assad non è riuscito e forse non riuscirà più – il condizionale è d’obbligo perché chi muove i fili di questa guerra non demorde -. 
La caduta di Homs, città strategica e snodo nevralgico delle vie di comunicazione del Paese, è il simbolo della disfatta di questo cinico progetto che tanti lutti ha addotto al popolo siriano. Homs è tornata sotto il controllo del governo a inizi maggio quando, attraverso la mediazione iraniana (e dell’Onu), gli ultimi miliziani hanno accettato di salire sui bus che li avrebbero condotti a portare la loro follia altrove. 
Gli abitanti di Homs, quelli che ne erano fuggiti all’arrivo dei miliziani anti-Assad, sono potuti tornare nella loro città, ferita in maniera orrenda. 

tradizionale reliquia della santa Cintura
E una nostra fonte ci racconta che una grande folla si è adunata in una delle più antiche chiese della città, dov’è custodita la cintura della Madonna (secondo la tradizione Ella passò per l’antica Homs nel suo viaggio da Gerusalemme a Efeso dove trascorse gli ultimi anni della sua vita con l’apostolo Giovanni): cristiani e musulmani - anche questi coltivano una grande devozione per Maria - davanti a quell’antica reliquia, a ringraziare per la svolta degli eventi.


alla tomba di Padre Frans nella vecchia Homs si recano a pregare cristiani e musulmani

E mentre l’offensiva di Damasco si fa più efficace, il fronte anti-Assad risulta sempre più diviso. Ormai sono decine i gruppi di miliziani, in perenne guerra tra loro, forti del sostegno delle monarchie del Golfo e del tacito consenso dell’Occidente, che spargono terrore nel Paese. Anche l’unica formazione presentabile all’estero di questa accozzaglia di tagliagole, l’Esercito siriano libero – quello che gli Occidentali sostengono apertamente -  si sta sfaldando, come rivelato dal Washington Post e dal Guardian, e intere unità di questo esercito “libero e democratico” sono passate armi e bagagli con altri gruppi legati ad Al Qaeda.

In attesa di sviluppi sul piano militare e in assenza di una qualche iniziativa diplomatica seria per porre fine alla tragedia – il mediatore Onu Lakhdar Brahimi ha rassegnato le dimissioni, con giubilo di Damasco che lo considerava di parte -, la caduta di Homs e le elezioni prossime venture sanciscono la nuova posizione di forza di Assad. 
Da qui l’invettiva contro le “elezioni farsa”. È singolare il fatto che gli Usa, la Francia e la Germania non hanno dato il permesso alle sedi diplomatiche siriane distaccate presso i loro Paesi di accogliere eventuali elettori, diniego di un diritto sancito dalla Costituzione siriana che ha suscitato le proteste di Damasco. In effetti il divieto suscita domande, a parte le giustificazioni addotte: se davvero Assad è il mostro descritto dagli esponenti politici di queste nazioni, le urne andrebbero deserte confermando all’opinione pubblica internazionale l’avversità dei cittadini siriani nei suoi confronti. Né in queste sedi sarebbero possibili brogli, ché controllare l’afflusso alle urne presso nazioni “libere e democratiche” sarebbe alquanto facile, basterebbe un osservatore all’ingresso delle ambasciate. Così questo divieto sembra avere una sola giustificazione reale, ovvero il timore che i cittadini siriani residenti all’estero si rechino presso le loro ambasciate a manifestare il loro consenso a Damasco, ulteriore smacco per la narrazione propalata in questi anni.

In questa temperie, si segnala un fortissimo atto d’accusa contro l’Occidente da parte dell’ex ambasciatore francese a Damasco Michel Raimbaud. In una lettera aperta al presidente Hollande, il diplomatico scrive che è ormai sotto gli occhi di tutti il fatto che la ribellione contro Assad è stata sequestrata dagli «jihaidisti selvaggi»  e accusa di «cinismo»  le potenze occidentali, che sorvegliano «il silenzio sugli orrori commessi dagli jihadisti moderati e dai terroristi democratici attribuendo al “regime” la responsabilità del calvario che vivono i siriani».

E ancora: «La mistificazione è durata troppo. Bisogna smettere di mentire ai francesi [...] La Francia già parte importante dello smantellamento della Libia non può restare complice della distruzione della Siria sostenendo i terroristi di Al Qaeda che pretende di combattere in Africa dicendo di voler fermare Boko Haram e chiudere gli occhi sul martirio inflitto alla città di Aleppo dai suoi amici jihiadisti. Questa schizofrenia è indecente».

E conclude: «Le vittime della guerra universale condotta in Siria (metà delle quali appartengono all’esercito, alle forze di sicurezza e ai comitati di difesa) saranno morte vittime della barbarie, della menzogna, dell’indifferenza. Noi non sapevamo, diranno. E invece sì, loro sapevano. Sapevano tanto bene che scientificamente, sistematicamente, hanno immerso i loro concittadini in una nuvola opaca di false informazioni, di contro-verità, [...] Chi oserà dunque domandargli conto? Resteranno impuniti com’è sovente in questi casi, dal momento che sono tanto potenti e numerosi?». Se solo uno di loro sarà giudicato dalla Corte penale internazionale, continua Rimbaud, «come un comune arabo o africano», questo ci «ridarà speranza in quei valori che vediamo ogni giorno calpestati, calpestati dagli stessi che li brandiscono al fine di nascondere meglio le loro turpitudini». 

Atto d’accusa terribile, coraggioso e, sia concesso, commovente.

mercoledì 14 maggio 2014

VERSO IL VIAGGIO DEL PAPA IN TERRASANTA - 1

Perchè siano una cosa sola


Il motto del pellegrinaggio è “perché siano una cosa sola”. Il Santo Padre ha insistito: il centro del suo pellegrinaggio sarà l’incontro con il patriarca greco-ortodosso Bartolomeo di Costantinopoli ed i responsabili delle Chiese di Gerusalemme. Questo per commemorare e rinnovare l’unità espressa da papa Paolo VI e il patriarca Atenagora di Costantinopoli 50 anni fa in Gerusalemme.

Anche il logo esprime questo desiderio di unità, esso ritrae infatti l’abbraccio fra san Pietro e sant’Andrea, i primi due discepoli chiamati da Gesù in Galilea: San Pietro il patrono della Chiesa che si trova in Roma, e Sant' Andrea di quella che si trova in Costantinopoli. A Gerusalemme, la Chiesa madre, si abbracciano. I due apostoli si trovano su una stessa barca, che rappresenta la Chiesa. L’albero maestro di questa barca è la croce del Signore, mentre le vele della barca sono gonfiate dal vento, lo Spirito Santo che dirige la barca nella sua navigazione sulle acque di questo mondo.

Sito ufficiale dell’Assemblea degli ordinari cattolici di terra santa per la visita di papa Francesco in terra santa, 24-26 maggio:  http://popefrancisholyland2014.lpj.org/it/



Mons. Fouad Twal: ci sono troppi “telecomandati” nei conflitti in Medio Oriente

foto Andres Bergamini

Patriarcato Latino di Gerusalemme
13 maggio 2014

– 8 maggio 2014. Intervistato dal settimanale portoghese VISÃO, il Patriarca latino di Gerusalemme, in Portogallo per le cerimonie del 13 maggio, chiede di pregare per la pace in Medio Oriente e sottolinea le difficoltà e le sfide della comunità cristiana in Terra Santa.

o   Lei presiederà le cerimonie del 13 maggio a Fatima. Quale messaggio consegnerà ai pellegrini?
Il saluto che il Signore ha regalato ai suoi discepoli quando è loro apparso la prima volta dopo la sua resurrezione: “La Pace sia con voi!”. Sì, questa pace che noi attendiamo in Medio Oriente da tanti anni. Allo stesso tempo vengo a Fatima per mendicare le vostre preghiere e l’intercessione della Vergine per la sua Patria terrena: Gerusalemme.
o   Tra poco più di dieci giorni, accoglierete il Papa a Gerusalemme
Papa Francesco viene per commemorare la visita nel 1964 di Paolo VI e il suo incontro col Patriarca Atenagora. Per raccogliere il massimo beneficio da questa visita, ci occorrerà leggere e meditare i suoi discorsi, scoprire il messaggio che ci vuole consegnare e farne un programma di vita.
o    È vero che la terra che accoglierà il Papa è una terra in cui lievitano gli estremismi?
Il Medio Oriente vive un periodo di violenza. La cultura della violenza produce devastazioni ma, nello stesso tempo,  dovunque, fioriscono incontri di dialogo per sradicare la violenza. Tutti si devono mettere all’opera per combatterla: le istituzioni, le scuole, le moschee e le chiese. È la responsabilità di tutti. All’Occidente e alla Comunità internazionale chiediamo di bloccare gli invii e la vendita di armi, e a tutti gli amici della Vergine di Fatima chiediamo di intercedere per noi nella preghiera. Il Signore è il Maestro della storia e crediamo con Fede che un giorno la Pace e la Giustizia avranno l’ultima parola. Sono sicuro che il Papa nei suoi discorsi invocherà più giustizia e pace. No, non possiamo dire che la terra che accoglierà il Papa è una terra di estremismo.
o   La pace si può imparare a scuola?
La Pace è soprattutto dono di Dio. Un dono affidato agli uomini che devono lavorare per essa e realizzarla. Si tratta di un compito immenso a cui si devono dedicare senza sosta i governi e le Chiese. A scuola si impara che l’uomo deve vivere in pace perché si imparano a conoscere l’orrore e le distruzioni che le guerre hanno fatto nella storia. Ma ci sono ben altri luoghi di apprendimento – o di non apprendimento – della pace. La pace si impara sulla strada, nei luoghi di preghiera, in famiglia. Certuni ricevono una educazione alla pace, altri all’odio e alla violenza. È difficile contrastare l’educazione che uno riceve, ad esempio, da suo padre.
o    Come vivono i cristiani di oggi a Gerusalemme?
I cristiani locali di oggi, sono parte integrante del loro popolo: il popolo palestinese e soffrono con esso. Insieme aspirano a uno Stato indipendente, con frontiere definite, secondo le leggi e le risoluzioni internazionali. Vivere in Terra Santa è accettare di vivere la dimensione drammatica di Gerusalemme, questa Città santa che ha fatto piangere Gesù in persona. Tutto ciò senza dimenticare che siamo anche la Chiesa della Resurrezione, della gioia e della speranza.
o   Libertà religiosa: realtà o miraggio?
In Terra santa c’è libertà di culto. Abbiamo il diritto di recarci tutti i giorni nelle nostre chiese, di suonare le campane, di manifestare la nostra presenza con processioni o raduni. Però la libertà religiosa è limitata quando ai cristiani viene impedito di entrare a Gerusalemme per motivi di sicurezza. Per quanto riguarda la libertà di coscienza c’è ancora strada da fare ma lavoriamo in questa direzione. Si tratta anche di un problema di cultura.
o    Il cristianesimo in Medio Oriente sta per sparire?
Per nulla. Il Cristianesimo ai piedi della Croce e nella persecuzione si purifica. Ci sono cristiani che se ne vanno ma anche tanti che arrivano. Non abbiamo il diritto di avere paura se crediamo alle parole del Maestro: “non abbiate paura… io sono con voi fino alla fine dei tempi”. Al contrario i cristiani vedono nella loro Chiesa una protezione e un rifugio.
o    Come vede, da Gerusalemme, i conflitti che lacerano il Medio Oriente?
Ci sono troppi “telecomandati” che agitano o calmano i conflitti in Medio Oriente dall’esterno. I popoli del Medio Oriente non sono più liberi di decidere le loro sorti. La guerra in Siria è il segno di una politica cieca che non sa misurare  le conseguenze di un intervento militare e la devastazione che può causare una guerra per un popolo. Una politica che non fa che distruggere, che non costruisce più e che non garantisce il futuro per il proprio paese.
o   Come vede la definizione di uno Statuto per Gerusalemme e l’accesso dei cristiani alla Città santa?
Noi dobbiamo lavorare perché tutti i credenti – Cristiani, Ebrei, Musulmani – possano accedere liberamente a Gerusalemme per pregare. Alcuni abitano a pochi chilometri dalla città, talvolta la vedono da lontano, ma non possono raggiungerla perché un muro blocca la strada. E intanto, credenti che vengono dall’altra parte del mondo – ad esempio: Europa, Stati Uniti, Giappone – la possono raggiungere tranquillamente.
o   Che ruolo potrà giocare il Papa nel processo di pace e nel dialogo tra le religioni?
Si tratta innanzitutto della visita pastorale di un uomo di pace, di dialogo e di preghiera che viene in primo luogo per commemorare l’incontro ecumenico del 1964. Ma l’aspetto politico dell’avvenimento non deve essere sottovalutato. Crediamo che Sua santità saprà esprimersi e porre gesti che toccheranno nell’intimo persone come noi, quotidianamente colpite dai problemi dell’occupazione e del libero acceso ai luoghi santi, dalla separazione delle famiglie e dal diritto di ciascuno a una vita normale. Quanto al dialogo interreligioso, il Santo Padre viene certamente a lasciare un messaggio di Carità e di Unità. Credo davvero che getterà un ponte tra le tre confessioni figlie di Abramo. Nel suo viaggio sarà infatti accompagnato da un rabbino e da un imam.
o    L’eredità delle crociate riveste qualche peso nel vostro ministero quotidiano?
Da principio le crociate furono promosse per permettere ai cristiani di accedere ai Luoghi Santi occupati dai musulmani. È, questo, un problema del passato e non di oggi. Il mio ministero oggi è quello di mantenere viva la Parola di Dio nella terra sulla quale Gesù è nato, morto e risuscitato. Questo, tra l’altro, con una attenzione alla protezione dei Luoghi santi affinché uomini e donne di ogni parte del mondo possano continuare a venire in pellegrinaggio.
o    70 anni dopo la seconda guerra mondiale, lei avverte  dei vincoli che in qualche modo segnano negativamente i vostri rapporti con la comunità ebraica?
Le nostre relazioni con la comunità ebraica non potranno essere normali fintanto che durerà l’occupazione militare israeliana. Cosa, questa, che fa del male tanto all’occupato quanto all’occupante! Finché durerà il conflitto israelo-palestinese mancherà la pace così come manca la fiducia reciproca. Ci auguriamo e preghiamo per una coesistenza pacifica, ma siamo ancora lontani dall’avere una vita normale. Speriamo di vivere in pace come buoni vicini piuttosto che vivere sempre come dei nemici… per una soluzione buona e giusta per tutti è necessaria la realizzazione di due Stati sovrani, con le frontiere ben delimitate; trovare una soluzione per i rifugiati palestinesi e risolvere infine lo statuto di Gerusalemme.
o    Cosa pensa del tentativo israeliano di fare la differenza tra palestinesi cristiani e musulmani?
Il progetto sarebbe quello di non considerare arabi i cristiani e dunque non facenti parte del popolo palestinese. C’è l’intenzione di attentare alla nostra identità, cosa che non è accettabile. Nessuno ci può imporre di essere ciò che non siamo. Si tratta di un tentativo pericoloso perché può provocare una divisione tra cristiani e musulmani in seno al medesimo popolo. È la pace che ne è minacciata!
o    Amartya Sen dice che un uomo povero non è un uomo libero. Lei è d’accordo?
Considerando la situazione palestinese attuale sono tentato di andare nel senso di questa affermazione. Un paese la cui economia non è indipendente può difficilmente aspirare alla indipendenza politica. Ci sono i piedi e le mani legati. Ma lo stesso, non esiste una persona povera che non abbia qualcosa da donare e una ricca che non abbia bisogno di nulla. Colui che dona, anche nella povertà più estrema, è libero di donare.
Per concludere vorrei invocare l’intercessione della Vergine di Fatima sulla sua patria terrena, perche nasca nel cuore di tutti uno spirito di condivisione, di carità, di solidarietà. E anche perché sorgano uomini di buona volontà per la Pace.

http://it.lpj.org/2014/05/13/mons-fouad-twal-ci-sono-troppi-telecomandati-nei-conflitti-in-medio-oriente/

lunedì 12 maggio 2014

«Noi non siamo messaggeri del presidente Bashar al-Assad : parliamo sulla base della nostra esperienza di cittadini siriani»

Cristiani di Siria, un appello unitario da Ginevra per rilanciare la pacificazione

Aleppo: da 8 giorni alQaeda ha tagliato l'acqua canalizzata, già un centinaio i casi di malori per acqua putrida



TERRASANTA.NET , 9 maggio 2014
di Manuela Borraccino

(Ginevra) - Uniti per chiedere alla comunità internazionale di aiutare a riavviare la ricostruzione. Uniti per ribadire che «non ci sono cristiani e musulmani, non ci sono pro o anti-regime, ma solo siriani». Parte da Ginevra la campagna Cristiani di Siria: la sfida di parlare a una sola voce, come recita il titolo della conferenza con sette personalità cristiane di rango che si è svolta ieri sera a Ginevra, nell’affollato ex tempio protestante dell’Espace de Fusterie, in pieno centro.


All'inizio del quarto anno di guerra e con oltre 150 mila morti e milioni di sfollati interni o profughi, quattro presuli e tre laici a capo delle organizzazioni umanitarie cristiane impegnati sul terreno hanno rivolto un appello nella città simbolo della diplomazia internazionale per «preservare il mosaico siriano» formato da sunniti, alawiti, drusi e ben undici confessioni cristiane (secondo un censimento del 2011 in Siria vivevano 500 mila greco-ortodossi, 200 mila greco cattolici (o melchiti), 100 mila armeno-ortodossi, 90 mila siro-ortodossi o giacobiti, 40 mila siro-cattolici, 35 mila armeno-cattolici, 30 mila maroniti, 30 mila caldei, 30 mila assiri o nestoriani, 10 mila latini e 10 altrettanti protestanti).
Un mosaico, ha ricordato l’arcivescovo siriaco-ortodosso di Damasco mons. Dionysius Jean Kawak, da tre anni è minacciato dall’Islam radicale rappresentato da Al Qaeda o dal fronte Al Nusra, che come si è visto di recente negli orrori e crocifissioni perpetrate a Raqqa «si rivolge contro gli stessi musulmani moderati, prima ancora di perseguitare i cristiani».
Il pensiero è corso al martirio del gesuita padre Frans van der Lugt, ucciso un mese fa a Homs, e ai due vescovi rapiti nell’aprile 2013: «Il rapimento del metropolita siriaco ortodosso di Aleppo mons. Gregorius Hanna Ibrahim e dell’arcivescovo greco ortodosso di Aleppo mons. Boulos al-Yazigi non può essere considerato alla stregua di un sequestro come tutti gli altri – ha ribadito – e nonostante tutti gli sforzi e i tentativi di avere notizie in questi tredici mesi, nulla si sa sulla loro sorte», come su quella dei sacerdoti Paolo dall’Oglio, Michel Kayyal, Ishac Mahfouz.

Nella difficoltà di «avere un quadro chiaro della situazione sul campo e di quale evoluzione possa avere», l’arcivescovo melchita di Bosra e Hauran mons. Nicolas Antiba ha però affermato con forza che «non ci sarà pace per la Siria finché le potenze che si definiscono democratiche non costringeranno quei regimi che stanno distruggendo la Siria a smettere di sostenere con le armi, il denaro e l’ingresso di miliziani le bande armate che stanno terrorizzando la popolazione».
«Questa è sempre di più una guerra per procura», gli ha fatto eco mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo dei Latini e già Custode di Terra santa. Il presule ha rivolto un appello ai media internazionali a verificare la veridicità dei resoconti su quanto sta avvenendo in Siria, ad esempio dopo il massacro avvenuto nel villaggio di Gisser Es Schoughour il 2 giugno 2012, dove 125 poliziotti sono stati decapitati dai terroristi islamici e non, come erroneamente riportato, dall’esercito governativo. O sulla tratta di bambine vendute per porre rimedio alla fame, altra arma di guerra in Siria.

«Noi non siamo messaggeri del presidente Bashar al-Assad – ha ribadito Samir Laham, direttore delle relazioni ecumeniche e per lo sviluppo del patriarcato greco-ortodosso d’Antiochia e di tutto l’Oriente (Damasco) –; non siamo protetti da Assad e neppure sotto qualche sua minaccia: parliamo sulla base della nostra esperienza di cittadini siriani». 
A capo di una delle più attive organizzazioni umanitarie in Siria, Laham ha ricordato «il tremendo impatto che la guerra ha avuto sul tessuto sociale»: tensioni senza precedenti fra le comunità, emigrazione di un’intera classe di imprenditori e di giovani laureati, chiusura di scuole e università, una perdita di capitale umano inestimabile. In questo drammatico scenario le diverse Chiese siriane «hanno offerto tutto il loro sostegno a chiunque, musulmani e cristiani indipendentemente dalla fede di appartenenza».

 «Nessuno può trovare una soluzione politica al posto dei siriani – ha ribadito - ma questo richiede coraggio, fede, sacrificio. Ogni giorno usciamo di casa senza sapere se la sera torneremo. È urgente e necessario lavorare insieme per la ricostruzione della Siria e contro la presenza dell’islamismo fondamentalista che ha completamente alterato il panorama in Siria».

L’incontro si è chiuso con un appello al pubblico ginevrino e ai rappresentanti delle istituzioni cristiane presenti per fare il possibile per alleviare la morsa sulla popolazione con gli aiuti umanitari, ma soprattutto per fare pressioni sui rispettivi governi così che si possa riavviare il dialogo politico fra il regime e le opposizioni e costringere le monarchie della Penisola arabica a smettere di finanziarie i jihadisti stranieri presenti in Siria.
«I cristiani siriani – hanno ribadito insieme agli altri il vescovo greco ortodosso Nicola Baalbaki, il manager Ghassan Chahine, rappresentante della Chiesa greco-melchita presso il ministero degli Affari sociali siriano e Johny Messo, a capo del Consiglio mondiale degli aramaici – vogliono come ogni altro cittadino siriano a continuare ad essere parte integrante della società siriana, estirpare la corruzione ed insieme ai loro concittadini musulmani costruire uno Stato laico, dove tutti i partiti politici possano essere rappresentati indipendentemente dalla fede di appartenenza sulla base di una Costituzione accettata da tutti».

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6416&wi_codseq=SI001 &language=it

 PER AIUTARE LA POPOLAZIONE SIRIANA, UNA PAGINA  FACEBOOK: 
SOS Siria 


Un ponte per far conoscere Organizzazioni Associazioni Enti e Parrocchie che aiutano direttamente i siriani dentro il paese. Vi aiuteremo a conoscerli e a mettervi in contatto con loro.





Msr Nicolas Antiba

Genève: Les responsables chrétiens syriens parlent d’une seule voix: Ils demandent davantage d’objectivité aux médias occidentaux   



Jacques Berset, agence Apic

Genève, 11 mai 2014 (Apic) Parlant d’une seule voix, une délégation de responsables des Eglises syriaque orthodoxe, grecque orthodoxe, grecque melkite catholique et catholique romaine de Syrie ont demandé la solidarité des chrétiens d’Occident avec tout le peuple syrien. Chrétiens et musulmans confondus souffrent atrocement de cette guerre «fortement alimentée, de l’étranger, en armes et en hommes». Les responsables ecclésiaux ont également déploré le fait que l’information des médias occidentaux est trop souvent unilatérale.

Genève Mgr Giuseppe Nazzaro, ancien vicaire apostolique à Alep (Photo: Jacques Berset)
Genève Mgr Giuseppe Nazzaro, ancien vicaire apostolique à Alep (Photo: Jacques Berset)

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sabato 10 maggio 2014

Un grido dal cuore di Aleppo

" Bisogna che tu dica..."

Il popolo di Aleppo ripete le parole di Cristo sulla Croce: "Ho sete..." 

Mercoledì, 30 aprile :

" L'elettricità è finalmente tornata ad Aleppo . Ho potuto caricare il telefono e raggiungere  i nostri figli per rassicurarli . Siamo vivi ! Ma per quanto tempo ? Si dovrebbe chiederlo a tutti coloro che speculano sulle nostre spalle,  per non dire sui nostri cadaveri ! Inoltre, da dove siamo, vediamo il cortile dell’ospedale “ al-... " [ Intenzionalmente oscurato ] ... mucchi di cadaveri ... civili e anche soldati apparentemente. Non possiamo nemmeno attraversare la strada per vedere di chi si tratta.

Per quanto riguarda l'acqua , evviva , un filo ! Passo sopra i dettagli delle sfide che mi sono prefissata per cavarmi l’ idea che "loro" alla fine riusciranno a farmi vivere in una casa sporca ... mi dico che le nostre nonne conoscevano questa miseria ... salvo che loro disponevano di  bacinelle adatte all'età della pietra ... e soprattutto l’olio . Settecento lire siriane al litro ! Centocinquanta  £ un mazzo di prezzemolo ... Andiamo , passo così sulla lista della spesa .

Chi ? Ma i profittatori di guerra naturalmente. E ' bella la  rivoluzione!  Trabocca di fantasia un rivoluzionario !  La loro ultima scoperta : organizzarsi  per vendere uno stock incredibile di "generatori " ad un prezzo fissato sulla testa del cliente;  questo spiega ... penso che tu mi capisci .

Sì , l'ultima volta che ho parlato con te , ho concluso su una nota di speranza [ * ] . Ma oggi , devo confessarti che dopo aver vissuto gli orrori delle ultime due settimane , abbiamo sicuramente la sensazione che Aleppo è abbandonata ... E’ forse ingiusto parlare di abbandono quando tanti dei nostri soldati sono caduti . Rimane tuttavia che Aleppo è " sgranocchiata " . Noi lo vediamo bene!

Ma io non ti chiamo per questo . Volevo dirti che ti leggo . No ... non hai tradito né le mie parole né il mio pensiero . Pensi che la gente ti leggerà ? Cosa si può fare ? Qui , nessuno si aspetta di essere ascoltato. Più nessuno pensa di risvegliare le coscienze . Anche i nostri media , quando riusciamo ad ascoltarli , non rispecchiano la realtà delle tragedie che ci uccidono . Vien da chiedersi se sono consapevoli del fatto che nelle ultime due settimane è la " m .... " !
Mio Dio ! Hai sentito ? Un rumore terribile ... " .

Comunicazione interrotta... Niente da fare! E poi infine, va, poi taglia, poi riprende: 

"Non preoccuparti ... solo le finestre! E’ stata una granata. Dico granata, mentre io non so cosa  veramente fosse. L'esplosione ha scosso tutti gli edifici del quartiere. E continua ...

Ho sentito che ci sono persone colpite nella nostra strada. Ciò significa che, entro  cinque minuti, vedremo arrivare i taxi gialli trasformati in  ambulanze per l'occasione ; le cabine servono per il trasporto  dei feriti ; i cofani sono riservati ai cadaveri senza vita . Si dirigeranno agli ospedali , almeno quello che ne è rimasto, per essere curati o identificati dai loro parenti ... un'ultima volta per tutte .


Le notizie che ci arrivano si riassumono nel  dire che nessuna soluzione si profila all’orizzonte . Aleppo è un disastro , e ora ecco che ci viene predetto che nei prossimi giorni sarà peggio! Ci viene detto che Erdogan ha deciso di demolire la Cittadella per rialzare il morale delle sue truppe di  sanguinari ... Dopo la conferma della tenuta delle  presidenziali alla data prevista , sembra che egli sia riuscito ad aprire tutte le porte dell’ inferno . Gira una voce che il nostro esercito è determinato a finirla , che non è lontano e che si mette male più che mai . Quindi, ci si consiglia di prepararci. Prepararci?!?

Giovedì, 1 maggio:

"L'elettricità è tagliata di nuovo, e quindi niente acqua, in quanto è necessaria per  pompare. "Loro" stanno giungendo al loro scopo ... Siamo circondati!
No, non siamo armati. Difenderci? Contro dei cecchini? Contro mine sotterranee che esplodono ovunque? Contro  bombe che polverizzano  interi edifici? La prova che Erdogan e la sua banda intendono entrare in Aleppo svuotata dei suoi abitanti. Sì ... ne siamo convinti. D’altro canto, tutti coloro che potevano andarsene se ne sono andati . Dove? Alcuni ancora in direzione di Latakia, ma la maggioranza va in Libano e in Turchia. Sì ... in Turchia. Potete immaginare!

Tu puoi  capire che ormai il nostro unico modo per difenderci è la preghiera, lo sprezzo del pericolo, così come il disprezzo per questo avido Occidente che ci gioca la sua partizione umanitaria?

Bisogna che tu dica tutto il disgusto che i vostri dirigenti  ci ispirano, essendo l’ "errore" dei nostri non aver immaginato fino a che punto essi avrebbero potuto dimostrare ancora la loro infamia ; infamia, senz’altro più elegante e sofisticata di quella di Erdogan e dei despoti ignoranti dei paesi del Golfo, ma comunque infamia inconcepibile !

Bisogna che tu dica ai vostri "diritto-umanitaristi" corrotti e che si presentano come  "liberatori" del popolo siriano , che oggi grazie alla loro preoccupazione ignobile tutti i civili siriani hanno uguali diritti sotto le bombe ! Tutti i civili : Mohamad,  suo cugino  Hussein, e suo fratello Georges, non  dispiacciano loro ! essi saranno senz’altro felici di sapere che le vittime nelle zone "controllate dal regime" sono per il 99 % popolazione civile; vittime innocenti che, se fossero cadute nelle zone apparentemente " liberate dai ribelli " avrebbero attirato l' attenzione dei vostri media bugiardi che accusano  "il regime di accanirsi , per via aerea , sui suoi cittadini innocenti ".

Bisogna che tu dica che i loro cosiddetti "ribelli" non sprecano il loro tempo e fanno  il massimo uso delle elargizioni di questo Occidente che passa sotto silenzio i loro misfatti, e i propri!

   Abbiamo bisogno che tu dica ... ".
 ___________________________

No ... non posso dirti che la gente mi legge. Sono così pochi in grado di sfuggire alla doxa dominante. E se mi leggono, ciò è probabilmente con la punta degli occhi e la mente altrove! Ma ti prometto, lo dirò. Abbi cura di te e dei tuoi! E perdonami  per non essere in grado di fare nulla ... 

Mouna Alno-Nakhal
1 maggio, 2014 

http://www.mondialisation.ca/cri-du-coeur-dalep-temoignage-il-faut-que-tu-dises/5380236




9 Maggio  
Un crimine contro  l'umanità è in corso ad ALEPPO : 

per il quinto giorno consecutivo, l'acqua è tagliata in Aleppo.

L'estate scorsa, Aleppo ha subito un blocco completo di persone e merci per settimane e nessuno ha detto niente.

Il mese scorso, Aleppo ha subito un taglio di elettricità per 11 giorni consecutivi e nessuno ha protestato.
E ora, 'loro'  hanno tagliato l'acqua per 5 giorni e voi state zitti!
Una città di 2,5 o 3 milioni di abitanti privi di acqua per 5 giorni e voi non scendete per le strade!
Quelli che sanno e che non protestano sono complici di questo crimine. Per molto meno, avete manifestato,  gridato la vostra rabbia, scritto sui forum, avete fatto reportages e chiesto le sanzioni.
Per meno di questo, i vostri ministri degli affari esteri e i vostri presidenti hanno alzato la voce, hanno fatto riunioni, hanno sostenuto le sanzioni, hanno minacciato di accusare davanti alla Corte penale internazionale.
Ma per loro e per voi, le vittime sono i colpevoli; in quanto al  popolo di Aleppo che soffre la sete, non è un fatto vostro.
Il vostro atteggiamento è una vergogna.
Voi dovreste essere perseguiti per crimini di guerra e contro l'umanità per complicità passiva. 

Nabil Antaki, volontario Marista di Aleppo 


Esplosione distrugge albergo di Aleppo.  Ginevra, conferenza delle Chiese cristiane di Siria




Radio Vaticana , 8 maggio 2014

Il Fronte Islamico ha fatto esplodere ieri il famoso hotel Carlton ad Aleppo, provocando 14 morti tra i soldati e i miliziani pro-regime. Ma secondo altre fonti, i morti sarebbero molti di più: almeno 40. La città è spaccata in due: il sud controllato dai lealisti, mentre i ribelli sono asserragliati nel nord. E intanto ieri a Homs si è conclusa anche l’evacuazione degli ultimi ribelli che, dopo aver firmato un accordo con il regime, hanno lasciato la città. Secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani, tuttavia, alcuni gruppi islamisti che non facevano parte dell’accordo con il regime, hanno ostacolato l’evacuazione, cercando di limitare l’ingresso dei viveri a Zahra e Nabul, due villaggi controllati dai ribelli....

Intanto a Ginevra prende il via stasera la conferenza internazionale dal titolo: “I cristiani in Siria, la sfida di parlare con una sola voce”. All’evento prendono parte rappresentati delle comunità cristiane del Paese, per portare la loro testimonianza sulle sofferenze delle comunità locali, dopo oltre tre anni di guerra. Presenti ai lavori, esponenti delle Chiese greco ortodossa, siriaco ortodossa, greco melkita e cattolica, oltre all'osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio Onu della città elvetica, mons. Silvano Maria Tomasi. L’incontro è organizzato, tra gli altri, dal Consiglio mondiale dei Siri e dal Centro cattolico di studi di Ginevra. Durante la sessione di domani, in cui una delegazione incontrerà pure una rappresentanza delle Nazioni Unite, i partecipanti elaboreranno un documento per una comune strategia volta a invocare pace e stabilità in Siria. 

Ad intervenire, anche l’arcivescovo Dionysius Jean Kawak, responsabile dell’ufficio patriarcale a Damasco della Chiesa siriaco ortodossa. Giada Aquilino lo ha intervistato:RealAudioMP3 

R. - Non mi piace parlare soltanto della situazione dei cristiani. Tutti in Siria, inclusi i cristiani, stanno soffrendo per la situazione di poca stabilità del Paese. Comunque, non posso negare che i cristiani stiano soffrendo un po’ di più, perché sono una minoranza. E non posso negare che stiano soffrendo perché c’è un aumento dell’estremismo islamico. 
Maalula, Kessab, Homs sono città dove c’è una presenza cristiana e sono state attaccate proprio per questo motivo. 
Nei giorni scorsi, i radicali prima di ritirarsi dalla città di Homs hanno bruciato una delle più antiche chiese cristiane, la chiesa della Vergine Madre della Cintura, la cattedrale siro-ortodossa.




D. – Queste violenze colpiscono dunque tutte le comunità, indistintamente?

R. - Tutte le comunità, tutta la gente della Siria, tutto il popolo siriano. Stanno soffrendo tutti. Per questo è importante chiedere alla comunità internazionale di intervenire, ma non mandando armi: noi non vogliamo più armi per la Siria, vogliamo un altro tipo di aiuto.

D. – Di quale aiuto avete bisogno?

R. - Aiutare a metterci d’accordo per parlare e dialogare. Ci sono sempre altri mezzi, ha detto Papa Francesco, per ristabilire la pace.

D. - La via della pace, allora, per dove può passare?

R. - Attraverso il popolo siriano. L’intervento internazionale deve essere diretto ad aiutarci a sedere intorno ad una tavola rotonda, senza però intervenire nel nostro destino e nel dialogo. Deve solo aiutarci a far dialogare le due parti, i ribelli ed il governo.
D. - Quanto è importante in questo momento il dialogo ecumenico, ma anche interreligioso per il futuro della Siria?

R. - Penso che in Siria non abbiamo avuto questo problema interreligioso: la Siria è stata sempre conosciuta per la coesistenza. Mi sembra ci sia qualcuno al di fuori della Siria che ha tentato di rovinare questo modo di vivere insieme. Perciò è necessario sedere ancora insieme e promuovere il dialogo interreligioso. 

D. - Qual è il messaggio che porta alla conferenza di Ginevra per il futuro della Siria?

R. - Parlerò tra l’altro dei diritti delle minoranze, cercherò di richiamare l’attenzione sul fatto che la comunità cristiana sta diminuendo molto: prima si parlava del 10% - circa due milioni di persone - adesso è un po’ difficile dire quanti sono i cristiani, forse un terzo. Al termine del mio intervento chiederò alla comunità internazionale di aiutarci appunto nel dialogo, ma anche dal punto di vista umanitario. Dobbiamo aiutare coloro che si trovano fuori dalla Siria, ma anche coloro che si trovano all’interno del Paese, specialmente i cristiani: perché se non aiutiamo coloro che si trovano all’interno, forse cercheranno un modo per uscire.




All’appuntamento di Ginevra prende parte anche mons. Giuseppe Nazzaro, già vicario apostolico di Aleppo. 
Al microfono, parla della situazione dei cristiani siriani oggi:RealAudioMP3 



R. – E’ gente che ormai non ha più nulla, gente che ha perso tutto, a cui restano solo le lacrime per piangere. E’ questa la situazione che posso testimoniare. Se si aggiunge poi ciò che succede quotidianamente… bombe, missili che cadono, tutti che sparano, nessuno che tiene conto del fatto che così si porta distruzione e morte.

D. – Lei conosce bene Aleppo: questa mattina c’è stata una potente esplosione che ha distrutto un albergo nella città vecchia. Queste continue esplosioni, questi attacchi cosa provocano tra la gente, oltre alla violenza e al dolore?

R. – Provocano panico e voglia di scappar via: ma dove possono scappare? Ormai la gente non ha più nulla, non ha più neanche i mezzi per poter fuggire: le strade sono chiuse. Si cerca di sopravvivere! E chi riesce a sopravvivere, si affida alla Provvidenza per poter campare. Purtroppo non sempre si pensa a questi fratelli che soffrono e questo per me è il peccato più grande dell’Occidente. La gente soffre, la gente muore e noi continuiamo a vendere armi, continuiamo a distribuire armi, da una parte e dall’altra. 

D. – Le violenze in corso in Siria colpiscono poi indistintamente tutte le comunità…

R. – Sì, tutte le comunità. Non possiamo dire che siano soltanto i cristiani a soffrire: una bomba cade su tutto. E queste bombe, dove cadono, portano morte e distruzione. 

D. – Qual è l’appello della Chiesa cristiana di Siria?

R. – L’appello della Chiesa cristiana di Siria è che tutti quelli che sono costituiti in qualsiasi modo in responsabilità gridino contro lo scempio che sta succedendo in Siria. 

D. – Il Papa, più volte, ha pregato per la Siria e ha voluto una giornata di preghiera e digiuno nel settembre scorso. Qual è il messaggio che è arrivato in Siria?

R. – E’ stato molto positivo. La gente è stata contenta di sapere che il Papa pensa e prega per la Siria. Ma il Santo Padre è il solo che grida? E gli altri che fanno? Tutti dobbiamo domandarci cosa facciamo per quei cristiani, nostri fratelli di fede, e per quella gente, per quei figli di Dio, perché tutti sono stati creati ad immagine di Dio.

http://it.radiovaticana.va/news/2014/05/08/esplosione_distrugge_albergo_di_aleppo._a_ginevra,_conferenza_delle/it1-797488