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martedì 1 aprile 2014

« La nostra presenza dà a questa gente la forza di restare, e la loro permanenza qui rafforza la nostra decisione di restare. Siamo strette in questo abbraccio».


TEMPI , 1 aprile, 2014 
di Rodolfo Casadei

Un giorno nel monastero delle suore trappiste italiane in Siria. 





Reportage da Azeir, dove sorge il monastero di una piccola comunità di religiose italiane. «Più di tutto apprezzano il fatto che noi restiamo qui con loro, in un momento come questo, che sembra non finire mai»






AZEIR (confine settentrionale fra la Siria e il Libano). 
Stanno lì, fra l’arbusto delle rose tutto spinoso e ancora privo di boccioli, e un rosmarino verdeggiante. Modesti fiori color lilla, coi petali lunghi come quelli delle margherite che spuntano fuori da un centro nero e infossato. Si direbbero astri alpini. Dopo un inverno siccitoso, da due giorni la collina è spruzzata di pioggia e pettinata dal vento, e i colori si offrono freddi e introversi. «Forse ti stai chiedendo che senso ha coltivare fiori mentre intorno infuria la guerra. Ma è proprio adesso che c’è bisogno della bellezza. E anche per il futuro. Chi vivrà domani dovrà trovare qui la serenità che viene dalla bellezza».
Marta aggiusta la giacca a vento sull’abito trappista bianco e nero e guarda verso le colline più lontane, quelle dell’interno. L’ultimo profilo in fondo, azzurrino, meno arrotondato e più svettante di quelli intorno, è Krak des Chevaliers, l’antico castello crociato. Per due anni occupato dai jihadisti di Jabhat al Nusra, che vi sgozzavano i prigionieri nella piazza d’armi e poi collocavano le teste decapitate in cima alle torri.


Ventitré milioni di siriani cercano di immaginarsi la loro vita quando la guerra sarà finita. Molti cacciano via il pensiero come un’illusione molesta. Temono che non finirà mai o che loro non riusciranno a vedere i giorni della pace. Ma chi è che mette fra parentesi se stesso e col pensiero corre agli altri, ai siriani che sopravviveranno a questo olocausto che dura da tre anni e a quelli che nasceranno, quelli che saliranno su questa collina, dove oggi echeggiano le artiglierie, e cercheranno il Dio della pace negli spazi silenziosi di un monastero? Quattro monache cistercensi italiane: Marta, Marita, Adriana e Rosangela. Che qui ad Azeir, un piccolo villaggio maronita sul confine col Libano, a metà strada fra Homs e Tartus, hanno cominciato tre anni e mezzo fa a costruire il loro monastero.

In Siria le monache del monastero di Valserena, provincia di Pisa, sono arrivate nel 2005. Hanno vissuto per un certo tempo ad Aleppo, accolte dal vicario latino mons. Nazzaro, e intanto cercavano il luogo adatto per un insediamento. In Siria ci sono sempre stati monasteri ortodossi, soprattutto femminili, ma cattolici non ce n’erano più da parecchio tempo. Benché nei cattolici siriani fosse rimasto vivo il desiderio di esperienze di vita contemplativa. Ma la ragione per cui delle monache italiane hanno attraversato il mare e sono venute qui, e sono rimaste anche quando i tempi si sono fatti duri, è fondamentalmente un’altra.
Nel refettorio di quello che per ora è l’edificio principale del monastero (ma il progetto è di farne la foresteria e di costruire un altro fabbricato per il capitolo, il dormitorio, la biblioteca, la chiesa, ecc.) su un tavolo si scorge un libro: Christian de Chergé: une biographie spirituelle du prieur de Tibhirine. «Questa presenza monastica è il risultato della riflessione iniziata nel nostro ordine, nel ramo femminile come in quello maschile, sulla vicenda del monastero di Tibherine, in Algeria», commenta Marta, la priora.
Nel marzo del 1996 sette monaci trappisti cistercensi dell’abbazia di Nostra Signore dell’Atlante furono prelevati da presunti combattenti islamici e uccisi qualche tempo dopo. Un comunicato attribuito al Gia, il Gruppo islamico armato, quasi due mesi dopo il rapimento annunciò che erano stati sgozzati. I loro corpi non sono mai stati ritrovati: solo le teste decapitate.
Il loro priore era Christian de Chergé, nato in Alsazia quando questa era ancora governata dalla Germania e poi trasferitosi in tenera età in Algeria con la famiglia e col padre militare, comandante di un reggimento di artiglieria in Africa. Un paio di anni prima del rapimento che si sarebbe concluso con la morte, padre Christian aveva scritto una lettera d’addio che doveva rivelarsi profetica. Cominciava così: «Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese».  
le tombe dei  Trappisti di Tibhirine

 E concludeva: «Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze. Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto. In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso! E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo a-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! InshAllah».
«Per noi che eravamo lontane il significato della presenza dei nostri confratelli a Tibherine è diventato chiaro dopo la loro morte», spiega Marta. «Prima di allora, quel monastero era noto più che altro per i problemi che aveva avuto: era stato sul punto di essere chiuso, le autorità avevano limitato il numero dei monaci. Dopo il loro sacrificio, abbiamo sentito la chiamata che veniva dalla loro esperienza: quella di frati oranti che si erano dati in una gratuità totale. Tutto l’Ordine si è interrogato. Un primo gruppo di monache di tutto il mondo ha dato la sua disponibilità ad aprire un altro monastero in un paese islamico. Un tentativo in Tunisia due anni dopo è stato ben presto abbandonato. A Valserena io e suor Marita abbiamo sollevato la questione e manifestato la nostra disponibilità. La comunità ha deciso di assumere la fondazione di un monastero in un paese del Vicino Oriente, e insieme alla nostra superiora suor Monica abbiamo cercato. Abbiamo vissuto per alcuni anni in un appartamento ad Aleppo nel quartiere di Maidan, dove adesso c’è la guerra. Poi abbiamo cominciato a costruire qui, dove ci siamo trasferite nel settembre 2010».

monache-azeir-siria04Una presenza umile, «oranti fra gli oranti». «L’umiltà ti mette al posto giusto. Altrimenti perdi Cristo». In questa terra la preghiera della maggior parte degli oranti è quella islamica. Come vivere e comunicare la specificità cristiana con questi credenti? Come celebrare l’unità con loro senza scivolare nel relativismo o in un ecumenismo al ribasso? «Sì, quando si parla di dialogo fra persone di religione diversa si rischia sempre di scivolare nell’affermazione che una fede vale l’altra. Ma questo succede quando della fede non si fa esperienza, quando la si riduce a discorsi religiosi», spiega suor Marta.
«O la mia fede prende tutto, cioè è rapporto totale con Dio, oppure stiamo facendo solo discorsi religiosi. Questo è il tempo di manifestare la gioia del mio rapporto con Cristo, voglio fare conoscere a tutti questa gioia, qualunque sia il prezzo da pagare. Perciò non sarò mai d’accordo con chi dice “è tutto uguale, è tutto la stessa cosa”. La mia fede è l’anima della mia vita, e chiedo all’altro di parlarmi della sua. A partire da questo accolgo le parole semplici e sincere dei musulmani che mi dicono: “Abbiamo lo stesso Dio, siamo una cosa sola, preghiamo insieme”. Ma non sarà mai un sincretismo dottrinale: non posso rinunciare a Cristo».

C’è un dettaglio della vita del padre Christian de Chergé che solo i lettori della biografia conoscono: in gioventù aveva avuto la vita salvata da un amico musulmano algerino, Mohamed. Lo aveva difeso da un’aggressione di strada. Il giorno dopo Mohamed era stato trovato ucciso: aveva pagato con la vita il suo intervento in difesa di un infedele. Nel cuore di Christian erano riecheggiate le parole dell’amico, dopo che lui lo aveva ringraziato per il provvidenziale intervento e gli aveva promesso di pregare per lui: «Lo so che tu pregherai per me. Ma sai, i cristiani non sanno pregare!». E Christian era diventato un monaco trappista…




«C’è una bontà di fondo nei cristiani e nei musulmani di questo paese, che è la speranza della Siria», dice suor Marta. Fa effetto sentir dire queste parole dopo una notte percorsa dai tonfi sordi delle artiglierie, confusi coi rumori degli infissi scossi dal vento. I combattimenti attorno alla vicina Zara non hanno conosciuto requie: la pioggia notturna anziché spegnerli sembra averli eccitati. «È proprio quando c’è maltempo che i ribelli muovono le loro forze», aveva avvisato un ufficiale giù al posto di blocco a Talkalakh, sulla strada per venire qui, da poco tornata alla tranquillità. La cittadina al confine col Libano ha conosciuto assalti, battaglie, cambi di padrone sin dal maggio 2011. Da poco è in vigore un’altra tregua. Di notte ribelli arrivano dal Libano, scendono e poi risalgono la stretta vallata di confine, girano attorno alla collina di Azeir e del suo monastero, e si dirigono verso l’interno. Una mattina di due anni fa c’è stata una vera e propria battaglia coi soldati del vicino posto di blocco che è sconfinata nella proprietà del monastero, 300 metri da qui.

«Facciamo la spesa a Talkalakh, ci conoscono tutti e sanno che vogliamo bene a tutti. In corriera le donne, sunnite o alawite, cercano di parlare con noi. Ci confidano i loro problemi: senza conoscerci personalmente, solo sapendo che siamo venute fin qui e restiamo qui per pregare fra loro, si fidano di noi».
I lavori per l’allestimento del monastero sono quasi fermi a causa della situazione generale, ma quando erano in corso coinvolgevano persone di ogni estrazione religiosa. A curare gli alberi e l’orto erano un sunnita e un giovane alawita. «Sembravano proprio padre e figlio», ricorda con struggimento Marta.


 «È il rapporto personale con Dio che fa cambiare i rapporti fra le persone. È Dio che ci fa essere una cosa sola, ma occorre che ciascuno viva fino in fondo la sua fede. Noi preghiamo e lavoriamo i campi, abbiamo una vita semplice, e questo è un segno che la gente di qui, cristiani e musulmani, percepisce. In cuor loro, avrebbero preferito avere qui delle suore di vita attiva, che aprivano un asilo o un ambulatorio. Ma ammirano la preghiera e ne sentono il bisogno, sentono anche il bisogno di luoghi di preghiera come questo. E più di tutto apprezzano il fatto che noi restiamo qui con loro, in un momento come questo, che sembra non finire mai. La nostra presenza dà a questa gente la forza di restare, e la loro permanenza qui rafforza la nostra decisione di restare. Siamo strette in questo abbraccio».

http://www.tempi.it/un-giorno-nel-monastero-delle-suore-trappiste-italiane-in-siria-siamo-qui-per-far-conoscere-cristo-a-qualunque-prezzo#.Uzqw9EaKDwo

Per chi desiderasse sostenere la presenza delle Monache Trappiste in Siria:
http://www.valserena.it/associazione_nsdp_aiutosiria.html

domenica 30 marzo 2014

Lettere di fede da Aleppo in agonia

Lettera N. 16 -  dai  MARISTI di Aleppo 

23 marzo 2014

Salire verso la Pasqua



E' bello questa mattina ad Aleppo .
 Mi sono svegliato presto . Devo controllare i serbatoi d'acqua della comunità ... La situazione dell' acqua e dell' energia elettrica è notevolmente migliorata in questi giorni ... Resta il fatto che essi sono razionati : l'acqua  ci arriva ogni due giorni e l'elettricità per tratti di due o quattro ore. Non ce ne lamentiamo ... ci sono così tante miserie intorno a noi che il razionamento dell'acqua e dell'elettricità non è più un grosso problema ... Gli Aleppini hanno talmente resistito che ogni volta che un servizio pubblico migliora anche solo un po', gioiscono . Se gli si chiede: "come stai ? "La prima risposta è " NECHKOR ALLAH ! " Grazie a Dio !
 Da dove viene tutta questa forza di resistenza tra gli abitanti della città ? È questa una Fede così radicata nella loro vita quotidiana , o è lo spirito di solidarietà e di aiuto reciproco o è una generosità di spirito che fa loro vedere la miseria degli altri e perciò dicono che va bene ...

La città continua ad essere divisa , separata e recintata . Si tratta di una separazione completa tra le due parti . Per passare da una parte all'altra  a volte occorrono da 10 a 16 ore , un percorso che, in tempi normali , sarebbe durato un quarto d'ora ...
E all'interno della zona in cui viviamo  ci sono così tanti posti di blocco, controlli, che a volte spostarsi in auto richiede una pazienza infinita ... E' normale ! Devono essere controllati per evitare le autobombe , per prevenire infiltrazioni , per ... per ... Ci si abitua alla guerra . Essa diventa parte integrante della nostra vita, del nostro quotidiano .... Ma possiamo abituarci alle separazioni... ai colpi di arma da fuoco, ai bombardamenti, ai cecchini ... agli scoppi di granate... ai mortai , alle scene di distruzione e di morte ? Possiamo accettare che il nostro patrimonio sia azzerato ?

 Quando le suore di Maaloula sono state liberate , è stato, per un attimo, un segno di speranza : Il dialogo è possibile , i negoziati potrebbero riuscire... Ma a quale costo , e chi può contribuire a ristabilire la pace quando prevale il rifiuto dell' altro e la sua esclusione ?

 La questione dell'emigrazione resta la prima questione che si pongono molti giovani e genitori ... Cosa rispondere ? Chi osa dar consigli? Chi ha abbastanza informazioni per poter decidere? Nessuno , nessuno ... Restare quando si ha paura , quando si è disoccupati , quando si è perso un genitore, quando l'orizzonte sembra buio e soprattutto quando pesa sui cuori una minaccia ... O partire, per dove , come, perché ? Partire per vivere all'estero, lasciando alle spalle la propria terra , la propria cultura , le proprie radici ...
Milioni di persone hanno lasciato il Paese ... Si parla del più grande disastro umanitario nel mondo ... Tutto questo ha ricadute su tutti e in particolare sui bambini :
 Nel suo rapporto sulla situazione dei bambini in Siria , dal titolo " In uno stato di assedio - Tre anni di devastante conflitto per i bambini in Siria " , l'UNICEF condanna i notevoli danni causati a 5,5 milioni di bambini oggi colpiti dal conflitto e chiede l'immediata cessazione delle violenze e un aumento del sostegno per questi bambini colpiti .
 L'UNICEF stima che il numero di bambini che hanno bisogno di aiuto o trattamento psicologico sia 2 milioni .
"Per i bambini in Siria , gli ultimi tre anni sono stati i più lunghi della loro vita . Devono subire un altro anno di sofferenza? " chiede il direttore esecutivo dell'UNICEF , Anthony Lake .
 Il rapporto avverte che il futuro dei 5,5 milioni di bambini che si trovano in Siria o che vivono come rifugiati nei Paesi limitrofi è in gioco, mentre la violenza , il collasso dei sistemi sanitari e di istruzione , lo stress psicologico intenso e l'impatto del deterioramento dell'economia sulle famiglie si combinano,  devastando un'intera generazione .

 Se questo quadro appare troppo oscuro , è che dimentica che ci sono dei punti luminosi..
I Maristi continuano a credere , contro ogni previsione, che l'educazione è lo strumento principale per la costruzione dell'uomo e per fare di lui un attore di pace ...

Il nostro fondatore San Marcellino Champagnat diceva: " Educare i bambini a diventare cittadini virtuosi e buoni cristiani ... ". Adattandolo alla nostra situazione potrei dire "renderli cittadini virtuosi e buoni credenti ". Ispirati da questo, noi continuiamo con tanto coraggio e tanta fede ad offrire vari programmi educativi per bambini, adolescenti e adulti senza alcuna distinzione.


I Giovani del Progetto "Skill School " hanno celebrato la festa della mamma , festa celebrata in Oriente il 21 marzo, con questo tema: " Tendimi la tua mano " ... una mano tenera e accogliente , una mano che ama e perdona , che incoraggia e indica la strada ...
I bambini del Progetto " Imparo " hanno celebrato questa festa con le loro mamme , hanno espresso il loro amore verso l'essere a loro più caro.

 Nel mondo arabo , la festa della mamma coincide con l'inizio della primavera . Una parola che ha perso il suo colore e la sua speranza e che risuona così  nel cuore di milioni di persone : guerra , disoccupazione , distruzione , morte , sangue , destabilizzazione ...
Noi abbiamo scelto di utilizzare l'inizio della primavera per ancorare la nostra scelta di pace e di reciproco rispetto delle diverse culture . Questo è un valore essenziale .... Il Fratello Emili Turu , Superiore Generale, mi ha chiesto di condividere questa esperienza con voi ...
Porte aperte , andare incontro all'altro , invitarlo a casa,  stare intorno allo stesso tavolo , ascoltare , parlare con lui, condividere insieme i nostri valori comuni, accettare che la nostra fede in Dio è un percorso che ci unisce e non che ci separa, condividere lo stesso impegno a costruire un mondo più giusto, creare le basi per una pace che non esclude l'altro, creazione di reti di costruttori di pace ... Condividiamo con loro il nostro carisma come un percorso verso una umanità senza confini .
 I vari corsi di formazione della " MIT " vanno nella stessa linea . 3 sessioni di formazione sui seguenti argomenti : . " L'educazione, tesoro dell'umanità ", " Come risolvere i problemi e prendere decisioni " " Kaizen , o miglioramento continuo "  Inoltre tre conferenze hanno presentato  "la manipolazione positiva" e "l'amore in Dimensioni 3D " ...
Le 30 signore del " Tawasol " preparano per Pasqua la mostra dei loro lavori in vari temi artistici e manuali
 I giovani scouts hanno potuto godere di qualche giorno di vacanza per fare il loro campo invernale nei locali ... I campi terminano con una giornata di condivisione con i genitori.

Visto lo sviluppo nella distribuzione di cesti alimentari ( sempre più  siamo sollecitati dalle  famiglie per venire in loro aiuto ), abbiamo allestito un angolo per fare un ulteriore deposito in aggiunta ai diversi locali dove riponiamo cibo, vestiti, kit per l'igiene, materassi e coperte, e tutto ciò che può servire alle famiglie sfollate ). Una buona squadra è al loro servizio ...

Salendo verso la Pasqua , speriamo che la via della croce che stiamo vivendo sia completata dalla stazione XV : la Risurrezione ...
A tutti i nostri amici e benefattori , a tutto il mondo marista , auguriamo un buon viaggio verso la Pasqua ...

Aleppo 23 marzo 2014
Per i maristi blu,  F. Georges Sabe

Mons. Audo: Noi cristiani viviamo nella paura in Siria


La nostra fede è in pericolo mortale, in pericolo di essere condotta all' estinzione, lo stesso schema che abbiamo visto nel vicino Iraq

The Telegraph -  8 marzo 2014
di Mons. Antoine Audo

Oggi, la prima Domenica di Quaresima, si vedranno chiese affollate in tutto il mondo. Ma qui in Siria, dove San Paolo ha trovato la sua fede, molte chiese sono vuote, obiettivi per il bombardamento e la profanazione. Aleppo, dove sono stato vescovo per 25 anni, è devastata. Ci siamo abituati alla dose giornaliera di morte e distruzione, ma vivere in questa incertezza e paura esaurisce il corpo e la mente.

Sentiamo il tuono delle bombe e il crepitio degli spari, ma non sempre sappiamo cosa sta succedendo. E' difficile descrivere quanto è caotico, terrificante e psicologicamente difficile quando non avete idea di cosa succederà dopo, o dove il prossimo razzo cadrà. Molti cristiani fanno fronte alla tensione diventando fatalisti: che tutto ciò che accade è volontà di Dio.

Fino a quando è iniziata la guerra, la Siria è stata una delle ultime roccaforti rimaste per il cristianesimo in Medio Oriente. Abbiamo 45 chiese di Aleppo. Ma ora la nostra fede è in pericolo mortale, in pericolo di essere condotta all' estinzione, lo stesso schema che abbiamo visto nel vicino Iraq.
La maggior parte dei cristiani che potevano permettersi di lasciare Aleppo sono già fuggiti per il Libano, in modo da trovare scuole per i loro figli. Quelli che restano sono per lo più di famiglie povere. Molti non possono mettere il cibo sul tavolo. L'anno scorso, anche in mezzo a intensi combattimenti, si poteva vedere la gente per le strade che correva all'infinito cercando di trovare il pane in uno dei negozi.
Il sistema sanitario è anche andato a pezzi. Negli ospedali, molti medici sono stati minacciati e costretti a fuggire, così la gente ha paura che se resta colpita non ci sarà nessuno a curarla. Ringrazio Dio per i pochi medici coraggiosi che sono rimasti.
La maggior parte delle persone qui sono ora disoccupate, e - senza lavoro - la vita quotidiana manca di uno scopo. Le persone non hanno modo di lavare e i loro vestiti sono laceri. Non abbiamo quasi  elettricità, e la depressione regna nella notte. Ma quando arriva il buio, io prendo coraggio dal fatto che non è sempre stato così.

I Siriani hanno vissuto insieme per molti anni come un Paese, come una civiltà e una cultura senza odio o  violenza. La maggior parte delle persone non è interessata a divisioni settarie. Vogliamo solo lavorare e vivere come abbiamo fatto prima della guerra, quando la gente di tutte le fedi coesisteva pacificamente.

I cristiani siriani possono affrontare un grande pericolo, ma abbiamo un ruolo cruciale da svolgere nel ripristinare la pace. Non abbiamo alcun interesse al potere, nessuna partecipazione in bottini di guerra, nessun obiettivo se non  ricostruire la nostra società.

Come presidente della Caritas Cattolica (aiuti di carità) , sono impegnato nel coordinamento degli aiuti di emergenza  per decine di migliaia di persone di tutte le fedi, che disperatamente mancano di cibo, di cure mediche e riparo, lavoriamo in zone tenute sia dal governo che dai gruppi armati di opposizione. Abbiamo molti centri dove le persone vengono a ricevere aiuto, e i nostri volontari escono per trovare quelli troppo deboli, malati, vecchi o giovani per aiutare se stessi. Sosteniamo le persone di tutte le provenienze.
E' un lavoro pericoloso. Cinque mesi fa, due razzi hanno colpito i nostri uffici, ed è stato davvero un miracolo che nessuno è stato ucciso.

Quanto a me, devo stare attento ad andare in giro per la città a causa del rischio di cecchini e di sequestro di persona. Il destino di due sacerdoti rapiti sulla strada  da Aleppo a Damasco rimane sconosciuto. La gente ha paura per la mia sicurezza e mi dicono di disfarmi delle mie vesti di vescovo o nascondermi del tutto.
Ma non posso lavorare se non sono nelle strade per capire la situazione e la sofferenza del popolo. Sono sostenuto dai gesti quotidiani di solidarietà dai miei fratelli e sorelle di tutto il mondo - compresi quelli dalla Chiesa inglese e la sua agenzia di aiuti Cafod - con le loro preghiere e donazioni. E mentre cammino attraverso la polvere e le macerie, non ho paura.

Le virtù di San Paolo di fede, di speranza e di amore raramente  sono state più necessarie, o sotto una maggiore pressione, mentre affrontiamo il quarto anno di questa guerra. Ma ho fiducia nella protezione di Dio,  speranza per il nostro futuro, e il mio amore per questo paese e per tutti i suoi abitanti  supereranno questa guerra. Devo crederlo, e io prego che voi in Gran Bretagna starete con noi fino a quando le nostre lotte dureranno.

Mons. Antoine Audo SJ è il vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria
 (trad. FMG)
http://www.telegraph.co.uk/news/religion/10684366/We-Christians-live-in-fear-in-Syria.html






Il Vescovo Audo: la guerra devasta i cuori; e per l'azione della Caritas si aprono nuovi fronti

Aleppo (Agenzia Fides) – Il perdurare del conflitto sta annientando la popolazione siriana anche a livello psicologico, e ciò spinge la Caritas a farsi carico di nuove urgenze, come quelle del blocco delle attività lavorative e dell'assistenza psico-sociale. Lo riferisce all'Agenzia Fides il Vescovo caldeo di Aleppo, Antoine Audo, Presidente di Caritas Siria, offrendo un resoconto della settimana di formazione degli operatori Caritas siriani svoltasi in Libano, ad Harissa, nella prima decade di marzo.
  continua a leggere qui 


Missile su una chiesa armena di Aleppo durante la messa

Chiesa armena Zvartnots Santa Trinità Aleppo

Agenzia Fides 28/3/2014

La chiesa armeno-cattolica della Santissima Trinità ad Aleppo è stata colpita da un razzo mentre all'interno i fedeli partecipavano alla messa quotidiana. L'attacco ha danneggiato la cupola e infranto le vetrate, ma non ha provocato danni a persone. Lo conferma all'Agenzia Fides il sacerdote armeno cattolico Joseph Bazuzu, parroco della chiesa colpita. “Lunedì pomeriggio” racconta padre Joseph, “numerosi missili sono caduti sul quartiere di al-Meydan. Uno ha colpito e danneggiato la cupola della nostra chiesa, mentre all'interno era in corso la liturgia eucaristica. Grazie a Dio nessuno si è fatto male. E il giorno dopo, a messa, i fedeli presenti erano ancora più numerosi. Dopo tanti anni di violenze, la paura, è diventata un sentimento che accompagna ogni giornata. Le persone convivono con la paura”.
Il lancio di missili ha devastato alcune case nell'area circostante la chiesa, abitata quasi esclusivamente da armeni. “Prima dell'inizio del conflitto” riferisce all'Agenzia Fides padre Joseph, “le famiglie armene cattoliche di Aleppo erano circa 250. Ma le liturgie in lingua armena erano frequentate anche dagli armeni ortodossi, per un totale di ottocento famiglie. Adesso almeno trecento di loro hanno dovuto abbandonare le proprie case, soprattutto quelle che abitavano le zone al limite con le aree occupate dalle milizie degli insorti”.
All'alba di venerdì 21 marzo la città a maggioranza armena di Kessab, al confine con la Turchia, è stata occupata dalle milizie anti-Assad nel corso dell'offensiva da loro avviata per raggiungere la città costiera di Latakia. Centinaia di famiglie armene sono state costrette a fuggire. Secondo fonti armene, le tre chiese di Kessab sarebbero state profanate da miliziani islamisti di al-Nusra. 

giovedì 27 marzo 2014

Papa Bergoglio avrà rammentato a Obama che cosa accadrà ai cristiani in Siria se i ribelli prevarranno?



Distruzione e omicidi finanziati da potenze straniere

Discorso di Madre M. Agnes de la Croix per l' "Iniziativa Moussalaha" [Riconciliazione] in risposta alle dichiarazioni dell'Alto Commissario per i rifugiati [Unhcr].




Signore e Signori,


Vorrei iniziare ringraziando la "Società russo- ortodossa di Palestina" per averci invitato a partecipare a questo importante incontro.

Siamo appena arrivati ​​dalla Siria. Questa Siria che soffre la morte, la distruzione, e l'assassinio puro e semplice in tutte le sue città, i suoi villaggi, e tutte le sue regioni.

Nessuno vuole questa guerra assurda finisca.

Tutti piangono e si lamentano davanti alla sofferenza quotidiana del popolo siriano. Ma cosa fanno? Niente!

Dirò molto francamente che sulla crisi siriana l'approccio delle Nazioni Unite, e in particolare la Commissione sui Diritti Umani a Ginevra, contribuisce ad aggravare la catastrofe in cui viviamo.

Le guerre in Siria sono descritte come un conflitto tra le forze dello Stato e le forze di opposizione.

Questo non è vero!

La guerra che oggi colpisce il mio paese è una guerra tra la società civile siriana e gruppi terroristici islamisti. Questi terroristi sono supportati e finanziati da vari paesi stranieri, in particolare l'Arabia Saudita.

L'Arabia Saudita ha riconosciuto che questi gruppi appartengono a organizzazioni terroristiche. Ma allo stesso tempo, continua ad  addestrarli e finanziarli al fine di distruggere la Siria.

L'ESL [Esercito Siriano Libero] non è più operativo e non è più adeguato. Ciò con cui abbiamo a che fare deriva dal ruolo svolto dai gruppi terroristici islamisti.

Ieri noi abbiamo teso la mano a Yabroud. Un'altra città siriana distrutta! Quasi quattrocento giovani vogliono cambiare lato e passare da combattenti "contro" il governo, a combattenti "con" il governo [vale a dire: uniti alle forze governative].

DAECH [un'organizzazione terroristica = EIIL] governa la città di Raqqa con la spada e il fuoco. Una giovane ragazza è stata ammazzata lì solo perché aveva un account Facebook. Le sue chiese sono diventate i quartier generali di DAECH. La sua popolazione è obbligata a pregare cinque volte al giorno, e  squadre femminili sono incaricate di frustare le donne non velate nelle strade.

Deir el-Zor è governata dal gruppo terroristico di Jabhat al-Nosra. I civili attaccati ai valori laici vengono messi a morte solamente perché essi pensano che si debba mantenere una struttura sociale laica. La chiesa è stata distrutta, come a Raqqa.

Chi sono i capi di DAECH e Al Nosra? Qatarioti, sauditi, ceceni, afgani, e anche cinesi!

Questi terroristi son venuti per la diffusione della democrazia e dei diritti umani in Siria? No!

Il problema è con la cosiddetta "comunità internazionale". Non vogliono vedere la verità. Essi credono ancora nel concetto chiamato "Esercito Siriano Libero".

La nostra posizione è la seguente:

Qual è il rapporto tra la democrazia e la ragazza che è stata uccisa perché aveva un account su Facebook?

Qual è il rapporto tra diritti umani e la distruzione di chiese, sinagoghe, e moschee?

Qual è il rapporto tra la libertà e la distruzione di Ma'loula, ultima città aramaica ancora  abitata nel mondo?

Queste domande attendono risposte. Domandiamo alla signora Navi Pillay di darcele.

In sintesi, non ci sono piani dell' opposizione  per installare la democrazia in Siria. C'è solo una narrazione: la creazione di un califfato islamico nell'unico paese laico del Medio Oriente, per riportare le persone nel medioevo e all'epoca delle tenebre.

Il terrorismo islamista ha ucciso uno dei miei amici laici a Girod, città controllata dalle forze delle tenebre. Si chiamava Yamen Bjbj. Era dentista. Mi hanno mandato una foto del suo corpo decapitato, la testa appoggiata sulla sabbia accanto a lui. Perché? Perchè distribuiva i miei libri in questa città.

Il Dentista Ramez Uraby, un altro mio amico, è stato rapito per lo stesso motivo. Essi hanno preso l'abitudine di chiamarmi perchè io possa sentire la sua voce mentre lo torturano.

Nessuno vuole vedere o sentire la verità.

Avete sentito parlare del massacro di "Adra"? Non  penso.

Adra è una città situata a nord di Damasco. E' una città simbolo per la  Siria. Una nuova città costruita per i lavoratori. È rappresentativa della diversità dei gruppi costitutivi della società siriana.

Questa tranquilla cittadina è stata invasa dalle forze del terrorismo islamista il 1 ° dicembre dello scorso anno. Nel XXI ° secolo, ha vissuto massacri senza precedenti.

Centinaia di Siriani sono stati uccisi solo perché erano sciiti, alawiti, ismailiti, drusi e cristiani.

Centinaia di Siriani sunniti sono stati uccisi perché erano funzionari dello Stato siriano.

Molte donne sono state trascinate, nude, sul terreno innevato.

Molte teste mozzate sono state appese agli alberi.

Molte persone sono state gettate vive nel forno della panetteria della città, ricordando l'Olocausto e il nazismo.

Cosa ha fatto, signora Navi Pillay, per rilasciare migliaia di detenuti nella prigione di al-Tawbah a Douma?

Cosa ha fatto, signora Navi Pillay, per porre fine a questa tragedia del XXI °  secolo di cui il mondo intero è testimone?

Cosa ha fatto per il popolo di Adra diventato di 'senzatetto' che ora vagano per le strade di Damasco?

E cosa ha fatto per liberare le donne e i bambini rapiti dai loro villaggi nel nord di Latakia da parte di terroristi islamisti? Donne e bambini portati via dopo che i terroristi avevano ucciso gli uomini del villaggio.

Che cosa ha fatto la signora Navi Pillay per permettere a questi semplici contadini di ritrovare i loro villaggi?

Sì! Perché sono alawiti, e gli alawiti non hanno nulla a che fare con gli interessi degli stati del petrolio e del gas  [Stati del Golfo] e, inoltre, la comunità internazionale non vuole ascoltare nulla della loro angoscia!

Anche gli ismailiti che furono capi dell'opposizione in Siria, sono ora esposti a una forma di genocidio, semplicemente perché sono ismailiti. Hanno sofferto il peggior caso di genocidio in Adra. Hanno sofferto un attacco terroristico che ha provocato la morte di persone innocenti a Alcavat. E questo è stato anche il caso di Tal Aldoura e Salamieh.

Gli Ismailiti sono una piccola minoranza in Siria e nel mondo islamico. Non hanno quindi potuto trovare il sostegno delle organizzazioni internazionali, le quali organizzazioni non hanno il tempo di seguire o perfino di riconoscere che stanno per essere sterminati dai gruppi terroristi islamisti.

La situazione dei cristiani non è migliore di quella delle altre minoranze. Così, la città di "Sadad", i cui abitanti sono principalmente cristiani di rito siriaco, è stata aggredita la scorsa estate da parte delle milizie del terrorismo islamista. Hanno commesso omicidi, stupri e distrutto la città prima di partire.

Hanno anche attaccato Ma'loula. Ancora una volta, si sono impegnati in atti di violenza e distrutto, in gran parte, ciò che rappresentava il carattere storico di questa piccola città.

Per quale motivo? Poiché queste due città sono cristiane.

Allo stesso modo hanno occupato le città cristiane della campagna di Idlib.

C'è bisogno di ricordarvi che essi sono i responsabili della distruzione dei quartieri  cristiani della città di Homs e del bombardamento quotidiano, con mortai, sui quartieri cristiani  di Damasco?

Recentemente, sono circolati rapporti in merito a una cosiddetta "politica della fame", condotta dallo stato siriano. Ma avete sentito parlare di quello che è successo al cibo inviato dal Governo al campo profughi di Yarmouk? Avete sentito parlare dell'istituzione  Al-Adalah nella città di Douma governata da gruppi armati che controllano grandi negozi alimentari comprese le scorte di prodotti congelati ; il tal negozio di carne  è stato attaccato e completamente derubato da persone affamate, nonostante la loro sofferenza e il fatto che erano bersaglio di gruppi terroristici?

La soluzione è la democrazia.

Le elezioni presidenziali sono in arrivo. Lasciate che il popolo decida sotto la supervisione internazionale che garantisca la neutralità delle elezioni.

Madre Agnès-Mariam della Croce

martedì 25 marzo 2014

La fuga degli armeni di Kessab


Kessab, Siria

Tremila persone sono dovute scappare da una città siriana attaccata dai ribelli antigovernativi, ed è la terza volta in un secolo


Ieri sera, in tarda serata, un amico, tormentato, mi inoltra la lettera di una ragazza armena della diaspora, che vive lontano dal villaggio dei suoi antenati, Kessab. Lei, la sua famiglia e l’anziana nonna in lacrime hanno passato questi giorni senza sapere cosa sarà di oltre tremila armeni che hanno dovuto, alle cinque di mattina del 21 marzo scorso, lasciare le loro case.
Kessab è l’ultimo villaggio armeno della Siria. Si trova nella regione nord-occidentale, ai confini con la Turchia. È l’eredità del Regno armeno di Cilicia, importante regno medievale che si estendeva poco più a nord del villaggio, nell’attuale Turchia meridionale, fino alla seconda metà del Quattordicesimo secolo quando cadde sotto l’attacco dei mammalucchi.
Il villaggio è stato attaccato all’alba del 21 marzo scorso dai ribelli siriani anti-governativi e gli abitanti si sono trovati costretti a fuggire e a riparare verso sud, a Laodicea (Latakia), dove sono stati accolti nella chiesa armena e nella chiesa greco-ortodossa della città.





Kessab, SiriaKessab, Siria
Immediatamente gli armeni della Repubblica d’Armenia e della diaspora, le loro istituzioni, i loro capi religiosi e i partiti politici si sono attivati per richiamare l’attenzione degli stati e delle organizzazioni internazionali sul destino di Kessab. 
Il Presidente della Repubblica armena Serzh Sargsyan oggi pomeriggio ha denunciato l’aggressione alla comunità armena siriana. Sargsyan ha appunto ricordato come, per la terza volta, in poco più di un secolo, gli armeni di Kessab si trovino in pericolo. La prima volta con i massacri di Adana del 1909, quando la popolazione venne duramente colpita, la seconda con il 1915, con la messa in atto del genocidio da parte dei Giovani Turchi che decimò la popolazione, ed ora nuovamente nel 2014, ad un anno dal centesimo anniversario del Grande Male (come gli armeni chiamano il genocidio). Il Catholicos armeno di Cilicia (al vertice della Chiesa apostolica armena in Medio Oriente) ad Antelias, in Libano, si è incontrato con l’ambasciatore siriano in Libano. Quest’ultimo ha accusato la Turchia della situazione.
La Kessab Educational Association of Los Angeles ha inviato un appello al Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon per chiedere un intervento delle Nazioni Unite in difesa della minoranza armena cristiana a Kessab, accusando apertamente la Turchia di aver concesso il passaggio sul proprio territorio ai ribelli. 
Il comunicato cita anche testimoni che avrebbero visto forze turche partecipare direttamente all’attacco contro l’esercito siriano.

Al momento gli armeni di Kessab sono ancora a Laodicea, senza sapere se potranno tornare o dovranno fuggire ancora, forse in Libano, dove esiste un’altra importante comunità raccolta principalmente attorno alla Chiesa apostolica armena o alla Chiesa cattolica armena, in comunione con Roma (esiste poi anche una Chiesa armena protestante). Molti sono figli di sopravvissuti del genocidio. 

Gli armeni, popolazione indo-europea originaria di quell’area che è oggi compresa tra la Turchia orientale e il Caucaso (l’Armenia storica) sono cristiani dal 301, quando il re Tiridate III si fece battezzare da San Gregorio Illuminatore e rappresentano una delle ultime presenze cristiane in Medio Oriente. 
Anche l’Italia ha un profondo e antico legame con l’Armenia, con chiese armene sparse per tutto il territorio e il più importante monastero armeno cattolico al mondo a Venezia, centro, dal Diciottesimo secolo, della rinascita culturale degli armeni.

http://www.ilpost.it/2014/03/24/armeni-kessab/

Mussa Dagh, oggi come 100 anni fa




di  Marco Tosatti

Vi ricordate “ I Quaranta giorni del Mussa Dagh”, il bellissimo romanzo di Franz Werfel sull’eroica – fortunata – resistenza di sette villaggi armeni contro la deportazione e il genocidio turco nella Prima Guerra Mondiale?

L’incubo di allora – è passato quasi un secolo, ma la memoria è ben viva fra gli armeni – si è ripresentato in questi giorni in quella regione, al confine fra Siria e Turchia, il Kessab. Secondo quanto riportano diverse fonti giornalistiche armene, i villaggi della zona a popolazione armena sono stati il bersaglio di tre giorni di attacchi brutali, partiti dal oltre il confine con la Turchia, da parte di fondamentalisti islamici del fronte al-Nusra, affiliato ad al-Qaeda. Si parla di circa ottanta morti, fra i civili; e oltre quattrocento famiglie hanno abbandonato la zona, cercando rifugio a Lattakia e a Basit.
Un responsabile della comunità armena, Nerses Sarkissian, ha dichiarato che i terroristi sono entrati dalla Turchia, sconsacrando chiese, saccheggiando case e distruggendo gli edifici pubblici. Alcuni armeni sono rimasti nei villaggi; la loro sorte non è conosciuta.

Sarkissian ha sottolineato che le bande di aggressori venivano dalla Turchia e hanno agito con l’appoggio dei militari di Ankara. I feriti fra di loro sono trasportati in Turchia per ricevere le cure del caso. Questo episodio, oltre all’abbattimento di un jet siriano da parte della contraerea turca in una situazione controversa di sconfinamento dimostra che la Turchia sta aumentando il suo coinvolgimento al fianco dei miliziani fondamentalisti di 83 Paesi diversi che stanno combattendo in Siria.

Hanano barrack - the refugee camp of Armenians in 1923

A questo riguardo pubblichiamo un comunicato della Comunità Armena di Roma.

Con il pretesto della guerra civile in Siria il governo turco (peraltro alle prese con gli scandali ed una crisi politica senza precedenti) prosegue, ora come cento anni fa, la politica di aggressione contro le locali comunità armene.

E’ notizia di questi giorni attacchi e bombardamenti turchi nei confronti della cittadina armena di Kessab (Siria nord orientale) che si trova prossima al confine con la Turchia stessa nella zona del Mussa Dagh, il massiccio reso celebre dal capolavoro letterario di Franz Werfel. Gruppi paramilitari turchi hanno attaccato la zona popolata quasi esclusivamente dai discendenti di quegli armeni che sfuggirono all’orrore del genocidio del 1915.

Un sacerdote armeno, parroco in Kessab, attraverso la sua pagina Facebook ha postato oggi la notizia che due giorni fa, alle 6 del mattino, la città è stata bombardata da parte di gruppi paramilitari turchi e la popolazione del paese (1500 anime) è fuggita verso Latakia (a circa 60 km da Kessab). Mentre scriviamo Kessab è nelle mani delle milizie turche.

A quasi un secolo di distanza i turchi non perdono il vizio di considerare gli armeni il loro nemico principale e non hanno alcuna remora ad attaccare i pacifici residenti di questi villaggi di confine.

Le comunità armene di tutto il mondo si stanno muovendo per denunciare questa ennesima aggressione che risulta essere oltretutto alquanto pericolosa alla luce della grave situazione siriana.

L’abbattimento dell’aereo siriano avvenuto oggi può essere collegato a queste azioni turche di aggressione dal momento che, stando a fonti ufficiali, il velivolo dell’aviazione siriana si sarebbe spinto fino alla zona prossima al confine con la Turchia proprio per cercare di contrastare le attività paramilitari turche di infiltrazione nel territorio della Siria.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma nell’esprimere la sua enorme preoccupazione per l’accaduto, vuole unirsi agli armeni di altri paesi denunciando con fermezza la politica turca di aggressione e chiedendo anche alla stampa italiana di dare risalto a quanto sta accadendo nella regione, al fine di scongiurare lo sterminio dell’inerme popolazione armena della zona”.

La Comunità armena statunitense si è rivolta al Segretario Generale dell’ONU, alla Casa Bianca e al Congresso USA affinché fermino questa aggressione.

http://www.lastampa.it/2014/03/24/blogs/san-pietro-e-dintorni/mussa-dagh-oggi-come-anni-fa-idyKztkf599OqVyxANbxgP/pagina.html


Il Patriarca armeno cattolico: i cristiani fuggiti da Kessab affrontano l'emergenza con spirito di comunione


Agenzia Fides 25/3/2014
“Le famiglie armene fuggite da Kessab sono più di trecento. Hanno trovato per ora riparo nella parrocchia armena ortodossa nella città di Latakia, a un'ora di auto da Kessab. Si sono accampati nella scuola e nei locali parrocchiali. Ma adesso temono che i ribelli attacchino anche Latakia, e molti si preparano a fuggire anche da lì”.
Così il Patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX Tarmouni descrive all'Agenzia Fides la condizione incerta in cui si trovano i cristiani costretti a lasciare la città, a maggioranza armena, occupata dalle milizie ribelli anti-Assad all'alba del 21 marzo. Il Patriarca Tarmouni, in costante contatto con il sacerdote Nareg Louissian e i suoi parrocchiani fuggiti da Kessab, fornisce a Fides dettagli precisi dell'assalto:
“I cristiani sono fuggiti all'alba, alcuni di loro in pigiama, senza poter portare nulla con sé, appena hanno sentito il rumore degli spari. I ribelli arrivavano dalle montagne al confine con la Turchia. Erano tanti e ben armati. Le formazioni dell'esercito che presidiavano la città si sono ritirate, così come i giovani armeni del Nashtag (un movimento nazionalista armeno di sinistra, ndr) che avevano organizzato gruppi di autodifesa armata intorno alle chiese”.
Gli armeni di Kessab erano in gran parte agricoltori. Persone pacifiche. L'area rurale, finora non coinvolta dal conflitto siriano, occupa un posto simbolico nella memoria condivisa del popolo armeno: “Nel 1915, quando gli armeni hanno abbandonato la Cilicia dopo il genocidio perpetrato dai turchi” spiega il Patriarca Nerses Bedros, “a Kessab era rimasta l'ultima comunità armena della regione”. Secondo il Patriarca, anche le strategie militari delle formazioni anti-Assad rispondono, almeno in parte, a motivi di ordine simbolico: “Adesso i ribelli potrebbero puntare a Latakia, che non è grande come Damasco o Aleppo, ma rappresenta una roccaforte degli alawiti, la comunità religiosa a cui appartiene Assad e molti del suo gruppo di potere”.
Nell'affrontare insieme la situazione di emergenza, i cristiani armeni – spiega a Fides il Patriarca Tarmouni – stanno sperimentando lo spirito di comunione fraterna, al di là delle distinzioni confessionali: “domenica scorsa, armeni cattolici e ortodossi hanno celebrato messa insieme. Ho sentito il nostro parroco Nareg, e l'ho incoraggiato a stare vicino a tutti i fedeli, in questo momento difficile. Ho saputo che da Aleppo sono stati inviati a Latakia 3 sacerdoti armeni ortodossi, per offrire assistenza spirituale e materiale ai rifugiati”

http://www.fides.org/it/news/54861-ASIA_SIRIA_Il_Patriarca_armeno_cattolico_i_cristiani_fuggiti_da_Kessab_affrontano_l_emergenza_con_spirito_di_comunione#.UzF3OUZOXwp


Syrie : le village arménien de Kassab, victime "d’une épuration ethnique:

"Les rebelles n’ont pas besoin de passer par ce poste frontière pour faire venir des armes et des munitions, ils traversent facilement par les collines boisées du Djebel turkmène plus au sud, explique-t-il. La prise du poste frontière n’est qu’un prétexte, nous sommes face à une stratégie d’épuration ethnique à l’égard de la population arménienne de Kassab".

lunedì 24 marzo 2014

Elias Sleman, vescovo di Tartus: «Anche se resterò qui da solo, io non me ne andrò»


Reportage dalla Siria,  di Rodolfo Casadei 

TEMPI, 17 marzo

Tartus è il governatorato più tranquillo di tutta la Siria, l’unico dove la guerra non è mai arrivata. Grazie alla superficie ridotta del suo territorio (meno di duemila chilometri quadrati). Grazie al fatto che l’entroterra è occupato interamente da villaggi e cittadine alawite, più qualche enclave cristiana, e dunque difficile da infiltrare da parte delle formazioni ribelli a base sunnita. Grazie infine al fatto che nel capoluogo, affacciato sul mare, i rapporti fra le differenti fedi religiose non conoscono nessuna tensione. Con la sua base navale affittata ai russi sin dal 1971, l’unica detenuta da Mosca fuori dal territorio nazionale, dall’esterno Tartus potrebbe sembrare il bersaglio ideale per attacchi jihadisti; al contrario, si è trasformata nella méta di centinaia di migliaia di sfollati interni, in grande maggioranza musulmani sunniti, che hanno cercato e trovato qui riparo. Tartus è anche la regione siriana con la più forte presenza di cristiani maroniti. Sono 50 mila circa in tutto il paese, e l’80 per cento di essi risiede in questo governatorato. Col loro vescovo, monsignor Elias Sleman, abbiamo a lungo parlato del modo in cui i cristiani siriani stanno vivendo la dura prova della guerra civile, che dura già da tre anni e che il 15 marzo scorso è formalmente entrata nel quarto anno.

Eccellenza, cosa è cambiato nella vita delle comunità cristiane in questi tre anni a causa della guerra?
Ci sono stati cambiamenti dovuti a problemi pratici e cambiamenti molto più profondi. Anche se qui la situazione è tranquilla, come ha potuto vedere, le attività coi giovani sono state ridimensionate, perché non si può più viaggiare liberamente attraverso il paese e organizzare campeggi, e anche gli incontri e riunioni fra vescovi e fra sacerdoti si sono diradati. Ma il fattore che ha prodotto i cambiamenti più significativi è stato l’afflusso di sfollati da altre zone del paese nel nostro governatorato. Questo ha significato dare impulso alla Caritas, orientare le nostre attività alla solidarietà verso chi soffre. Ma ha significato anche incontrare tante persone, cristiani e musulmani. Abbiamo approfondito il dialogo ecumenico coi fratelli delle altre Chiese, soprattutto a partire dalla preoccupazione per i cristiani che soffrono: il destino dei due vescovi e dei due sacerdoti rapiti, delle monache sequestrate (rilasciate il 9 marzo scorso ), ha riavvicinato i cristiani delle diverse Chiese. E abbiamo incontrato i musulmani in fuga dalle zone dei combattimenti in modo estremamente positivo. A una nostra suora, una donna sfollata di famiglia musulmana ha detto: «È la prima volta che incontriamo dei cristiani, nella nostra zona d’origine non ce ne sono. Siete simpatici, non siete come ci avevano detto. Noi vi stiamo uccidendo e voi ci state dando da mangiare!».
Se devo descrivere le conseguenze spirituali della guerra sui cristiani, dico che in generale sono diventati più praticanti e più solidali. Abbiamo scoperto che il paese ha bisogno di noi e della nostra specificità cristiana. Il solo discorso valido in un momento come questo è quello che mette l’accento sulla pace, l’amore, la solidarietà, la carità, l’apertura verso l’altro, l’accettazione dell’altro, il rispetto assoluto per la vita che discende dall’assoluto di Dio. Ed è la testimonianza che stiamo cercando di dare. Noi accogliamo tutti, senza distinzioni. Dall’altra parte, sono cresciute in noi anche le virtù civili: è cresciuto il patriottismo, l’attaccamento a questa terra, per la quale ci doniamo disinteressatamente. Ma anche la virtù civile ha un sottofondo cristiano: questa è la terra della nostra tradizione, della nostra Chiesa, per questo restiamo.

Chissà in quante storie speciali vi siete imbattuti in questi tempi difficili. Qual è la storia più umana che ha ascoltato e quale quella più disumana che avete incontrato?
Le storie più orribili, sono quelle che conoscete anche voi: gli omicidi a sangue freddo, le persone sgozzate e decapitate, gli atti di cannibalismo sui corpi degli uccisi. Le storie che danno speranza hanno il timbro di quella che le ho raccontato prima: la donna musulmana che scopre chi sono veramente i cristiani. A me è capitato di essere visitato da un religioso sunnita sfollato da Aleppo che mi ha chiesto di aiutarlo a trovare una sistemazione in città. Io gli ho chiesto: «Ha già parlato col muftì?», e lui mi ha risposto: «Io ho fiducia in voi». Cristiani e musulmani si incontrano e si aiutano in un contesto di difficoltà e di insicurezza: ciò fa parte dei frutti straordinari della guerra. Ci ritroviamo nella comune opzione per la moderazione e contro il jihadismo. Cristiani e musulmani, quando si accolgono l’un l’altro, appartengono allo stesso campo. Quando abbiamo costituito un centro per la distribuzione degli aiuti presso il vescovado, abbiamo visto arrivare soprattutto donne musulmane. Tutti, nella nostra comunità, hanno dato con generosità senza guardare alla religione dei bisognosi. Attualmente seguiamo circa mille famiglie attraverso la Caritas. Noi diamo quello che possiamo e vorremmo ricevere più aiuti dall’esterno da trasferire ai bisognosi di qui.

Islamisti uccidono e crocifiggono un uomo in piazza: «Giudichiamo le persone secondo la sharia»
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Di fronte alla durezza della prova della guerra, come reagiscono i cristiani? La accettano come una circostanza che Dio dà da vivere o si ribellano?
Non c’è unanimità di reazioni. I credenti più maturi non protestano, colgono le opportunità che la guerra offre per praticare la carità, l’ecumenismo con tutte le Chiese e la solidarietà verso tutti. I meno credenti ci sfidano: «Perché Dio non ferma queste atrocità? Perché non fa morire gli assassini?». Noi diciamo loro: «La prima vittima dell’ingiustizia è Dio stesso, lo vedete lì sulla croce». Cerchiamo di correggerli proponendo una fede più profonda in Cristo. Quando a porre quelle domande sono coloro che hanno perso persone care, coloro ai quali la guerra, un’autobomba o un cecchino hanno portato via un figlio o una figlia, noi non rispondiamo. Li ascoltiamo, li facciamo sfogare e stiamo accanto a loro. Dopo si sentono sollevati e ci ringraziano di essergli stati vicini. Allora noi gli diciamo: «Dio ti ha ascoltato, Dio è con te».
I giovani sono gli interlocutori più difficili. Per la loro indole e per il fatto che molti non hanno ricevuto una vera educazione cristiana si ribellano più facilmente. In certi momenti alcuni di loro dicevano: «Prendiamo le armi! Combattiamo anche noi!». Io mi sono opposto: «No», ho detto. «Non otterremo altro risultato che di uccidere e farci uccidere». Un po’ alla volta hanno capito. Io faccio tutto quello che posso perché la catechesi sia all’altezza dei tempi che viviamo, perché sia chiaro a tutti cosa si esige dalla fede in un momento carico di atrocità come questo. Abbiamo tante persone che hanno perso tutti i beni materiali a causa della guerra. Li aiutiamo a procurarsi di che vivere, ma anche a comprendere il senso della povertà, a cogliere nella spoliazione la circostanza che ci permette di riscoprire l’essenziale, ad essere grati a Dio perché comunque ci ha conservato la vita e possiamo ricominciare a costruire. Se si sta vicino a queste persone nel modo giusto, se si dice loro la parola giusta, a poco a poco comprendono il senso degli avvenimenti e ricominciano ad impegnarsi. Dunque alla sua domanda rispondo che il risveglio della fede e la protesta contro Dio a causa delle atrocità sono entrambi presenti nelle nostre comunità, sono reazioni e atteggiamenti che convivono mescolati.

Molti siriani hanno abbandonato il paese, anche molti cristiani. Cosa dice di questo?
Circa il 10 per cento della nostra comunità maronita è passato all’estero, e si tratta per lo più dei benestanti. Ma la maggioranza è restata e vuole restare, per fedeltà alla terra e per fedeltà alla nostra storia. La Chiesa fa di tutto perché la gente resti. Io dico sempre a loro: «Anche se resterò qui da solo, io non me ne andrò». Ed è quello che penso veramente.

Un fatto che mi ha molto colpito è l’accoglienza che gli sfollati sunniti ricevono qui a Tartus. Probabilmente molti loro parenti stanno combattendo in questo momento dalla parte dei ribelli contro i governativi, cioè contro i figli della gente che abita qui. Eppure non ho avvertito ostilità nei loro confronti.
Tutti i bambini hanno diritto a essere nutriti e vestiti. Non possiamo dire: «I vostri padri combattono, quindi noi non vi diamo da mangiare». E poi non possiamo fare a meno di mostrare a questa gente il volto di Cristo. Per questo abbiamo deciso di aiutare tutti senza porre condizioni. Fame e povertà non hanno religione. Le autorità dello Stato sono perfettamente d’accordo con noi e si comportano nello stesso modo. Noi non chiediamo a questi ragazzi e a queste donne: «Dov’è vostro padre? Dov’è tuo marito?». A volte sono loro stessi che ce lo dicono. E io mi sono persuaso che molti di loro combattono non per convinzione, ma per denaro. Il bisogno li ha spinti a prendere le armi in cambio di denaro, non un’idea politica.

http://www.tempi.it/siria-elias-elman-vescovo-di-tartus-anche-se-restero-qui-da-solo-io-non-me-ne-andro#.UycTdkZOXwo

sabato 22 marzo 2014

Padre Daniel: un ringraziamento per la vostra condivisione


  da Mar Yakub   

venerdì 14 marzo 2014 

di  Padre Daniel


Uno sguardo veloce all’abbondanza di email che ci avete inviato ci ha confortato moltissimo. 
Vi ringraziamo di cuore per aver condiviso con noi la nostra vita, le preghiere, le nostre battaglie e le nostre sofferenze.  Anche un grande grazie per tanto aiuto concreto, sia di persone singole,  sia di parrocchie e di gruppi. Fa tanto bene ai Siriani sofferenti  scoprire che ci sono anche persone all’estero che sono preoccupate per loro. Noi preghiamo ogni giorno per tutti voi con  cuore riconoscente. 
Come già vi ho  raccontato, gli aiuti sono stati distribuiti in tutta la regione. Noi non possiamo ancora uscire per ragioni di sicurezza, ma un gruppo di volontari (che ho chiamato i 12 apostoli) fa un lavoro eccellente e prova anche a  costruire altri gruppi con strutture identiche in altri posti per poter ricostruire i villaggi come modelli di fraternità. Nel frattempo stanno già pensando al prossimo passo, cioè di creare posti di lavoro, cosi che la gente possa di nuovo guadagnarsi la propria vita. Tutto questo non nell' atmosfera occidentale di libera concorrenza che distrugge, ma nello spirito di solidarietà. Dappertutto ci sono fabbriche fallite, che probabilmente sono da ricostruire. E' anche opportuno, per una piccola impresa che funziona bene, di aiutare un'altra piccola impresa. Invece, la concorrenza è fondata sull'invidia, oppressione e violenza.



Gioia e dolore

Domenica e lunedì, in tutta Damasco e quasi nel Paese intero, c’era un' aria di festa per la liberazione delle suore del monastero ortodosso di Santa Tecla di Maaloula. Alla TV abbiamo sentito qualche testimonianza commovente, anche dei musulmani, che hanno espresso ancora una volta il loro desiderio di una vita in pace e unità: cristiani e musulmani appartengono all’unica stessa famiglia siriana. C’erano anche parole di perdono e speranza. Una donna l’ha espresso in tal modo: "Loro possono distruggere chiese, moschee, crocifissi e statue della Madonna, ma non possono eliminare il verso sulla Madonna che si trova nel Corano”. Sfortunatamente, le suore – nella loro ingenuità – hanno ringraziato apertamente e anche lodato i ribelli. Questo fatto è molto doloroso per la popolazione che ha tanto sofferto e soffre ancora oggi sotto le atrocità dei ribelli nel paese intero. Noi continuiamo di sperare e pregare che anche altre persone sequestrate saranno presto liberate dai ribelli, come i due vescovi di Aleppo.


La nostra situazione

Disponiamo in modo approssimativo di ciò di cui abbiamo bisogno e siamo abbastanza al sicuro. Da mercoledì notte fino a giovedì sera c’era di nuovo una lunga interruzione di corrente elettrica, che può essere considerata romantica ma per noi non è veramente piacevole. 

La situazione generale sta migliorando gradualmente. L’esercito opera in modo prudente, ma molto sistematico. I ribelli sono circondati in tal modo che l’unica soluzione che per loro rimane è di arrendersi o di fuggire. Non sono chiusi in uno strangolamento per evitare che ci vada di mezzo la popolazione innocente.


la Fortezza del Crak des Chevaliers riconquistata dalle forze del Governo

La pioggia che non piace tanto ai Belgi, invece per noi è un regalo gioioso questa settimana. Infatti, ha piovuto forte questa settimana, ma dopo ogni acquazzone spuntava di nuovo il sole. La natura stessa ha fatto il lavoro e speriamo che il deserto rifiorirà presto.

La grande battaglia

E’ un miracolo che siamo ancora vivi e che il monastero non sia ancora crollato. Per questo non c’è nessuna spiegazione umana. Siamo sempre rimasti fedeli a due regole. Prima, abbiamo sempre rispettato le più rigide misure di sicurezza, che vi spiegheremo un giorno. In seguito, abbiamo pregato intensamente per la protezione del popolo, per il Paese e per noi stessi. Intorno al nostro monastero c’erano migliaia di uomini con barbe nere e con armi pesanti. Questa è stata la situazione per mesi. Dopo abbiamo sentito che avevano già pensato che il monastero fosse nelle mani dei ribelli e cosi l’esercito stava già considerando di bombardare tutto il monastero. Quando invece l’esercito ha scoperto bambini nel terreno monastico, hanno cambiato  idea. 

Vi racconto quello che abbiamo vissuto in questi mesi:
Da mercoledì 13 novembre 2013 ci siamo  nascosti. Il venerdì seguente abbiamo sentito un grande boato e la polvere invadeva anche il nostro rifugio. Hanno provocato un grande buco nel monastero con grandi conseguenze per la costruzione intera. Così, non eravamo neanche più sicuri in questo rifugio. Tra le sparatorie fuggiamo a due a due ancora una volta verso un altro rifugio.

Da domenica 17 novembre 2013 i bombardamenti e le sparatorie diventano sempre più forti. Così comprendiamo che siamo ormai costretti a lasciare il monastero. Verso un villaggio vicino? Ognuno si prepara un bagaglio a mano con indumenti caldi. Nel frattempo preghiamo il rosario e cantiamo nel nostro rifugio. E’ una preghiera molto intensa che serve anche per distrarre i bambini dai pesanti bombardamenti. Anche i bambini musulmani conoscono già l’Ave Maria. La situazione diventa così critica che non possiamo più aspettare la notte e decidiamo di partire il più rapidamente  possibile. Tutti i bagagli e sacchetti sono raccolti in un punto centrale. Nella chiesa facciamo una breve funzione di preghiera e dopo consumiamo tutte le Ostie consacrate. Io do anche l’assoluzione generale. E' straziante dover lasciare il monastero.  Ma… come prima, anche adesso sembra di nuovo troppo pericoloso  uscire. Infatti, un passo fuori delle mura del monastero siamo circondati dai terroristi che si trovano fino nel nostro terreno. In fondo c’è un grande sollievo che siamo costretti a restare dentro il monastero. Intanto, durante la mattinata mangiamo piccole cose che sono rimaste. A mezzogiorno celebriamo comunque l’Eucaristia con un piccolo tavolo della chiesa, perché il santuario stesso non è più sicuro, come neanche la navata della chiesa. E dopo si scatena veramente l’inferno, ma noi continuiamo a celebrare la Messa. 
Ad un certo punto, un fracasso assordante sbalordisce le nostre preghiere. Ci diamo l'uno all’altro l’augurio di pace come se fosse l’ultima volta che ci incontriamo ancora vivi. Dopo mangiamo un po’, stretti e seduti per terra in questa piccola stanzetta, che serve come cucinetta. Le sparatorie e le esplosioni continuano non-stop. Nel pomeriggio qualche suora comincia a cantare il grande inno di “acathist” (voi dite di liberazione ?) in onore della Madonna, con il quale è stata liberata Costantinopoli nell’anno 626. Lo completiamo con tutti i canti come si fa nel tempo di Quaresima ed il tutto dura per ore. E tutto ciò sotto la luce di candele. Aggiungiamo anche i canti liturgici della Settimana Santa e di Pasqua come celebrazione del passaggio dalla morte alla vita. Mai abbiamo recitato così bene questi bellissimi canti. Nel frattempo passano di continuo i nostri custodi  per informarci della situazione. L’esercito mette alle strette i ribelli, ma dell’altra parte arrivano sempre nuovi ribelli. I giardini e i dintorni del monastero son pieni di ribelli con armi pesanti. Nella notte facciamo ancora una valutazione per noi stessi dove ognuno racconta in modo onesto come vive la situazione. Verso le due della notte la maggior parte di noi si addormenta.
Lunedì mattina 18 novembre 2013. Dalle 2 fino alle 6 sentiamo  boati non-stop di bombardamenti fortissimi. Gli edifici tremano. Che succede? La maggior parte di noi è del tutto sveglia e cominciamo a pregare. Adesso è molto chiaro che siamo il bersaglio per i terroristi, che vogliono una volta per sempre fare i conti con la nostra comunità. Questo è già stato fatto tante volte durante i secoli precedenti. Questo è l’ultima ora di Mar Yakub, per la quale ci siamo preparati? L’ora O? L’unica cosa che possiamo fare è aspettare impauriti e nel frattempo ci occupiamo l’uno dell’altro il meglio  possibile. Ad un tratto la porta del nostro rifugio si apre bruscamente e un uomo fa irruzione nel nostro rifugio. Quest’uomo è inzuppato di pioggia e dice con un grande sorriso : “Non abbiate paura, la situazione è sotto controllo!”.  Sembrava abbastanza veritiero. Tantissimi ribelli sono stati messi alle strette e all’improvviso sono fuggiti presi dal panico. Questa buona notizia sembra venire da un angelo dell’esercito di San Michele Arcangelo. 
 Credeteci o no, ma il nome di quest’uomo era “Roech Allah”, Spirito di Dio !

Di cuore,
Padre Daniel
           trad. A Wilking



Condolence: H.H. Patriarch Ignatius Zakka I Iwas of Antiochia departs in the Lord.
Prega per noi, o nostro grande Santo Padre davanti al trono di Gesù in cielo...