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giovedì 27 marzo 2014

Papa Bergoglio avrà rammentato a Obama che cosa accadrà ai cristiani in Siria se i ribelli prevarranno?



Distruzione e omicidi finanziati da potenze straniere

Discorso di Madre M. Agnes de la Croix per l' "Iniziativa Moussalaha" [Riconciliazione] in risposta alle dichiarazioni dell'Alto Commissario per i rifugiati [Unhcr].




Signore e Signori,


Vorrei iniziare ringraziando la "Società russo- ortodossa di Palestina" per averci invitato a partecipare a questo importante incontro.

Siamo appena arrivati ​​dalla Siria. Questa Siria che soffre la morte, la distruzione, e l'assassinio puro e semplice in tutte le sue città, i suoi villaggi, e tutte le sue regioni.

Nessuno vuole questa guerra assurda finisca.

Tutti piangono e si lamentano davanti alla sofferenza quotidiana del popolo siriano. Ma cosa fanno? Niente!

Dirò molto francamente che sulla crisi siriana l'approccio delle Nazioni Unite, e in particolare la Commissione sui Diritti Umani a Ginevra, contribuisce ad aggravare la catastrofe in cui viviamo.

Le guerre in Siria sono descritte come un conflitto tra le forze dello Stato e le forze di opposizione.

Questo non è vero!

La guerra che oggi colpisce il mio paese è una guerra tra la società civile siriana e gruppi terroristici islamisti. Questi terroristi sono supportati e finanziati da vari paesi stranieri, in particolare l'Arabia Saudita.

L'Arabia Saudita ha riconosciuto che questi gruppi appartengono a organizzazioni terroristiche. Ma allo stesso tempo, continua ad  addestrarli e finanziarli al fine di distruggere la Siria.

L'ESL [Esercito Siriano Libero] non è più operativo e non è più adeguato. Ciò con cui abbiamo a che fare deriva dal ruolo svolto dai gruppi terroristici islamisti.

Ieri noi abbiamo teso la mano a Yabroud. Un'altra città siriana distrutta! Quasi quattrocento giovani vogliono cambiare lato e passare da combattenti "contro" il governo, a combattenti "con" il governo [vale a dire: uniti alle forze governative].

DAECH [un'organizzazione terroristica = EIIL] governa la città di Raqqa con la spada e il fuoco. Una giovane ragazza è stata ammazzata lì solo perché aveva un account Facebook. Le sue chiese sono diventate i quartier generali di DAECH. La sua popolazione è obbligata a pregare cinque volte al giorno, e  squadre femminili sono incaricate di frustare le donne non velate nelle strade.

Deir el-Zor è governata dal gruppo terroristico di Jabhat al-Nosra. I civili attaccati ai valori laici vengono messi a morte solamente perché essi pensano che si debba mantenere una struttura sociale laica. La chiesa è stata distrutta, come a Raqqa.

Chi sono i capi di DAECH e Al Nosra? Qatarioti, sauditi, ceceni, afgani, e anche cinesi!

Questi terroristi son venuti per la diffusione della democrazia e dei diritti umani in Siria? No!

Il problema è con la cosiddetta "comunità internazionale". Non vogliono vedere la verità. Essi credono ancora nel concetto chiamato "Esercito Siriano Libero".

La nostra posizione è la seguente:

Qual è il rapporto tra la democrazia e la ragazza che è stata uccisa perché aveva un account su Facebook?

Qual è il rapporto tra diritti umani e la distruzione di chiese, sinagoghe, e moschee?

Qual è il rapporto tra la libertà e la distruzione di Ma'loula, ultima città aramaica ancora  abitata nel mondo?

Queste domande attendono risposte. Domandiamo alla signora Navi Pillay di darcele.

In sintesi, non ci sono piani dell' opposizione  per installare la democrazia in Siria. C'è solo una narrazione: la creazione di un califfato islamico nell'unico paese laico del Medio Oriente, per riportare le persone nel medioevo e all'epoca delle tenebre.

Il terrorismo islamista ha ucciso uno dei miei amici laici a Girod, città controllata dalle forze delle tenebre. Si chiamava Yamen Bjbj. Era dentista. Mi hanno mandato una foto del suo corpo decapitato, la testa appoggiata sulla sabbia accanto a lui. Perché? Perchè distribuiva i miei libri in questa città.

Il Dentista Ramez Uraby, un altro mio amico, è stato rapito per lo stesso motivo. Essi hanno preso l'abitudine di chiamarmi perchè io possa sentire la sua voce mentre lo torturano.

Nessuno vuole vedere o sentire la verità.

Avete sentito parlare del massacro di "Adra"? Non  penso.

Adra è una città situata a nord di Damasco. E' una città simbolo per la  Siria. Una nuova città costruita per i lavoratori. È rappresentativa della diversità dei gruppi costitutivi della società siriana.

Questa tranquilla cittadina è stata invasa dalle forze del terrorismo islamista il 1 ° dicembre dello scorso anno. Nel XXI ° secolo, ha vissuto massacri senza precedenti.

Centinaia di Siriani sono stati uccisi solo perché erano sciiti, alawiti, ismailiti, drusi e cristiani.

Centinaia di Siriani sunniti sono stati uccisi perché erano funzionari dello Stato siriano.

Molte donne sono state trascinate, nude, sul terreno innevato.

Molte teste mozzate sono state appese agli alberi.

Molte persone sono state gettate vive nel forno della panetteria della città, ricordando l'Olocausto e il nazismo.

Cosa ha fatto, signora Navi Pillay, per rilasciare migliaia di detenuti nella prigione di al-Tawbah a Douma?

Cosa ha fatto, signora Navi Pillay, per porre fine a questa tragedia del XXI °  secolo di cui il mondo intero è testimone?

Cosa ha fatto per il popolo di Adra diventato di 'senzatetto' che ora vagano per le strade di Damasco?

E cosa ha fatto per liberare le donne e i bambini rapiti dai loro villaggi nel nord di Latakia da parte di terroristi islamisti? Donne e bambini portati via dopo che i terroristi avevano ucciso gli uomini del villaggio.

Che cosa ha fatto la signora Navi Pillay per permettere a questi semplici contadini di ritrovare i loro villaggi?

Sì! Perché sono alawiti, e gli alawiti non hanno nulla a che fare con gli interessi degli stati del petrolio e del gas  [Stati del Golfo] e, inoltre, la comunità internazionale non vuole ascoltare nulla della loro angoscia!

Anche gli ismailiti che furono capi dell'opposizione in Siria, sono ora esposti a una forma di genocidio, semplicemente perché sono ismailiti. Hanno sofferto il peggior caso di genocidio in Adra. Hanno sofferto un attacco terroristico che ha provocato la morte di persone innocenti a Alcavat. E questo è stato anche il caso di Tal Aldoura e Salamieh.

Gli Ismailiti sono una piccola minoranza in Siria e nel mondo islamico. Non hanno quindi potuto trovare il sostegno delle organizzazioni internazionali, le quali organizzazioni non hanno il tempo di seguire o perfino di riconoscere che stanno per essere sterminati dai gruppi terroristi islamisti.

La situazione dei cristiani non è migliore di quella delle altre minoranze. Così, la città di "Sadad", i cui abitanti sono principalmente cristiani di rito siriaco, è stata aggredita la scorsa estate da parte delle milizie del terrorismo islamista. Hanno commesso omicidi, stupri e distrutto la città prima di partire.

Hanno anche attaccato Ma'loula. Ancora una volta, si sono impegnati in atti di violenza e distrutto, in gran parte, ciò che rappresentava il carattere storico di questa piccola città.

Per quale motivo? Poiché queste due città sono cristiane.

Allo stesso modo hanno occupato le città cristiane della campagna di Idlib.

C'è bisogno di ricordarvi che essi sono i responsabili della distruzione dei quartieri  cristiani della città di Homs e del bombardamento quotidiano, con mortai, sui quartieri cristiani  di Damasco?

Recentemente, sono circolati rapporti in merito a una cosiddetta "politica della fame", condotta dallo stato siriano. Ma avete sentito parlare di quello che è successo al cibo inviato dal Governo al campo profughi di Yarmouk? Avete sentito parlare dell'istituzione  Al-Adalah nella città di Douma governata da gruppi armati che controllano grandi negozi alimentari comprese le scorte di prodotti congelati ; il tal negozio di carne  è stato attaccato e completamente derubato da persone affamate, nonostante la loro sofferenza e il fatto che erano bersaglio di gruppi terroristici?

La soluzione è la democrazia.

Le elezioni presidenziali sono in arrivo. Lasciate che il popolo decida sotto la supervisione internazionale che garantisca la neutralità delle elezioni.

Madre Agnès-Mariam della Croce

martedì 25 marzo 2014

La fuga degli armeni di Kessab


Kessab, Siria

Tremila persone sono dovute scappare da una città siriana attaccata dai ribelli antigovernativi, ed è la terza volta in un secolo


Ieri sera, in tarda serata, un amico, tormentato, mi inoltra la lettera di una ragazza armena della diaspora, che vive lontano dal villaggio dei suoi antenati, Kessab. Lei, la sua famiglia e l’anziana nonna in lacrime hanno passato questi giorni senza sapere cosa sarà di oltre tremila armeni che hanno dovuto, alle cinque di mattina del 21 marzo scorso, lasciare le loro case.
Kessab è l’ultimo villaggio armeno della Siria. Si trova nella regione nord-occidentale, ai confini con la Turchia. È l’eredità del Regno armeno di Cilicia, importante regno medievale che si estendeva poco più a nord del villaggio, nell’attuale Turchia meridionale, fino alla seconda metà del Quattordicesimo secolo quando cadde sotto l’attacco dei mammalucchi.
Il villaggio è stato attaccato all’alba del 21 marzo scorso dai ribelli siriani anti-governativi e gli abitanti si sono trovati costretti a fuggire e a riparare verso sud, a Laodicea (Latakia), dove sono stati accolti nella chiesa armena e nella chiesa greco-ortodossa della città.





Kessab, SiriaKessab, Siria
Immediatamente gli armeni della Repubblica d’Armenia e della diaspora, le loro istituzioni, i loro capi religiosi e i partiti politici si sono attivati per richiamare l’attenzione degli stati e delle organizzazioni internazionali sul destino di Kessab. 
Il Presidente della Repubblica armena Serzh Sargsyan oggi pomeriggio ha denunciato l’aggressione alla comunità armena siriana. Sargsyan ha appunto ricordato come, per la terza volta, in poco più di un secolo, gli armeni di Kessab si trovino in pericolo. La prima volta con i massacri di Adana del 1909, quando la popolazione venne duramente colpita, la seconda con il 1915, con la messa in atto del genocidio da parte dei Giovani Turchi che decimò la popolazione, ed ora nuovamente nel 2014, ad un anno dal centesimo anniversario del Grande Male (come gli armeni chiamano il genocidio). Il Catholicos armeno di Cilicia (al vertice della Chiesa apostolica armena in Medio Oriente) ad Antelias, in Libano, si è incontrato con l’ambasciatore siriano in Libano. Quest’ultimo ha accusato la Turchia della situazione.
La Kessab Educational Association of Los Angeles ha inviato un appello al Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon per chiedere un intervento delle Nazioni Unite in difesa della minoranza armena cristiana a Kessab, accusando apertamente la Turchia di aver concesso il passaggio sul proprio territorio ai ribelli. 
Il comunicato cita anche testimoni che avrebbero visto forze turche partecipare direttamente all’attacco contro l’esercito siriano.

Al momento gli armeni di Kessab sono ancora a Laodicea, senza sapere se potranno tornare o dovranno fuggire ancora, forse in Libano, dove esiste un’altra importante comunità raccolta principalmente attorno alla Chiesa apostolica armena o alla Chiesa cattolica armena, in comunione con Roma (esiste poi anche una Chiesa armena protestante). Molti sono figli di sopravvissuti del genocidio. 

Gli armeni, popolazione indo-europea originaria di quell’area che è oggi compresa tra la Turchia orientale e il Caucaso (l’Armenia storica) sono cristiani dal 301, quando il re Tiridate III si fece battezzare da San Gregorio Illuminatore e rappresentano una delle ultime presenze cristiane in Medio Oriente. 
Anche l’Italia ha un profondo e antico legame con l’Armenia, con chiese armene sparse per tutto il territorio e il più importante monastero armeno cattolico al mondo a Venezia, centro, dal Diciottesimo secolo, della rinascita culturale degli armeni.

http://www.ilpost.it/2014/03/24/armeni-kessab/

Mussa Dagh, oggi come 100 anni fa




di  Marco Tosatti

Vi ricordate “ I Quaranta giorni del Mussa Dagh”, il bellissimo romanzo di Franz Werfel sull’eroica – fortunata – resistenza di sette villaggi armeni contro la deportazione e il genocidio turco nella Prima Guerra Mondiale?

L’incubo di allora – è passato quasi un secolo, ma la memoria è ben viva fra gli armeni – si è ripresentato in questi giorni in quella regione, al confine fra Siria e Turchia, il Kessab. Secondo quanto riportano diverse fonti giornalistiche armene, i villaggi della zona a popolazione armena sono stati il bersaglio di tre giorni di attacchi brutali, partiti dal oltre il confine con la Turchia, da parte di fondamentalisti islamici del fronte al-Nusra, affiliato ad al-Qaeda. Si parla di circa ottanta morti, fra i civili; e oltre quattrocento famiglie hanno abbandonato la zona, cercando rifugio a Lattakia e a Basit.
Un responsabile della comunità armena, Nerses Sarkissian, ha dichiarato che i terroristi sono entrati dalla Turchia, sconsacrando chiese, saccheggiando case e distruggendo gli edifici pubblici. Alcuni armeni sono rimasti nei villaggi; la loro sorte non è conosciuta.

Sarkissian ha sottolineato che le bande di aggressori venivano dalla Turchia e hanno agito con l’appoggio dei militari di Ankara. I feriti fra di loro sono trasportati in Turchia per ricevere le cure del caso. Questo episodio, oltre all’abbattimento di un jet siriano da parte della contraerea turca in una situazione controversa di sconfinamento dimostra che la Turchia sta aumentando il suo coinvolgimento al fianco dei miliziani fondamentalisti di 83 Paesi diversi che stanno combattendo in Siria.

Hanano barrack - the refugee camp of Armenians in 1923

A questo riguardo pubblichiamo un comunicato della Comunità Armena di Roma.

Con il pretesto della guerra civile in Siria il governo turco (peraltro alle prese con gli scandali ed una crisi politica senza precedenti) prosegue, ora come cento anni fa, la politica di aggressione contro le locali comunità armene.

E’ notizia di questi giorni attacchi e bombardamenti turchi nei confronti della cittadina armena di Kessab (Siria nord orientale) che si trova prossima al confine con la Turchia stessa nella zona del Mussa Dagh, il massiccio reso celebre dal capolavoro letterario di Franz Werfel. Gruppi paramilitari turchi hanno attaccato la zona popolata quasi esclusivamente dai discendenti di quegli armeni che sfuggirono all’orrore del genocidio del 1915.

Un sacerdote armeno, parroco in Kessab, attraverso la sua pagina Facebook ha postato oggi la notizia che due giorni fa, alle 6 del mattino, la città è stata bombardata da parte di gruppi paramilitari turchi e la popolazione del paese (1500 anime) è fuggita verso Latakia (a circa 60 km da Kessab). Mentre scriviamo Kessab è nelle mani delle milizie turche.

A quasi un secolo di distanza i turchi non perdono il vizio di considerare gli armeni il loro nemico principale e non hanno alcuna remora ad attaccare i pacifici residenti di questi villaggi di confine.

Le comunità armene di tutto il mondo si stanno muovendo per denunciare questa ennesima aggressione che risulta essere oltretutto alquanto pericolosa alla luce della grave situazione siriana.

L’abbattimento dell’aereo siriano avvenuto oggi può essere collegato a queste azioni turche di aggressione dal momento che, stando a fonti ufficiali, il velivolo dell’aviazione siriana si sarebbe spinto fino alla zona prossima al confine con la Turchia proprio per cercare di contrastare le attività paramilitari turche di infiltrazione nel territorio della Siria.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma nell’esprimere la sua enorme preoccupazione per l’accaduto, vuole unirsi agli armeni di altri paesi denunciando con fermezza la politica turca di aggressione e chiedendo anche alla stampa italiana di dare risalto a quanto sta accadendo nella regione, al fine di scongiurare lo sterminio dell’inerme popolazione armena della zona”.

La Comunità armena statunitense si è rivolta al Segretario Generale dell’ONU, alla Casa Bianca e al Congresso USA affinché fermino questa aggressione.

http://www.lastampa.it/2014/03/24/blogs/san-pietro-e-dintorni/mussa-dagh-oggi-come-anni-fa-idyKztkf599OqVyxANbxgP/pagina.html


Il Patriarca armeno cattolico: i cristiani fuggiti da Kessab affrontano l'emergenza con spirito di comunione


Agenzia Fides 25/3/2014
“Le famiglie armene fuggite da Kessab sono più di trecento. Hanno trovato per ora riparo nella parrocchia armena ortodossa nella città di Latakia, a un'ora di auto da Kessab. Si sono accampati nella scuola e nei locali parrocchiali. Ma adesso temono che i ribelli attacchino anche Latakia, e molti si preparano a fuggire anche da lì”.
Così il Patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX Tarmouni descrive all'Agenzia Fides la condizione incerta in cui si trovano i cristiani costretti a lasciare la città, a maggioranza armena, occupata dalle milizie ribelli anti-Assad all'alba del 21 marzo. Il Patriarca Tarmouni, in costante contatto con il sacerdote Nareg Louissian e i suoi parrocchiani fuggiti da Kessab, fornisce a Fides dettagli precisi dell'assalto:
“I cristiani sono fuggiti all'alba, alcuni di loro in pigiama, senza poter portare nulla con sé, appena hanno sentito il rumore degli spari. I ribelli arrivavano dalle montagne al confine con la Turchia. Erano tanti e ben armati. Le formazioni dell'esercito che presidiavano la città si sono ritirate, così come i giovani armeni del Nashtag (un movimento nazionalista armeno di sinistra, ndr) che avevano organizzato gruppi di autodifesa armata intorno alle chiese”.
Gli armeni di Kessab erano in gran parte agricoltori. Persone pacifiche. L'area rurale, finora non coinvolta dal conflitto siriano, occupa un posto simbolico nella memoria condivisa del popolo armeno: “Nel 1915, quando gli armeni hanno abbandonato la Cilicia dopo il genocidio perpetrato dai turchi” spiega il Patriarca Nerses Bedros, “a Kessab era rimasta l'ultima comunità armena della regione”. Secondo il Patriarca, anche le strategie militari delle formazioni anti-Assad rispondono, almeno in parte, a motivi di ordine simbolico: “Adesso i ribelli potrebbero puntare a Latakia, che non è grande come Damasco o Aleppo, ma rappresenta una roccaforte degli alawiti, la comunità religiosa a cui appartiene Assad e molti del suo gruppo di potere”.
Nell'affrontare insieme la situazione di emergenza, i cristiani armeni – spiega a Fides il Patriarca Tarmouni – stanno sperimentando lo spirito di comunione fraterna, al di là delle distinzioni confessionali: “domenica scorsa, armeni cattolici e ortodossi hanno celebrato messa insieme. Ho sentito il nostro parroco Nareg, e l'ho incoraggiato a stare vicino a tutti i fedeli, in questo momento difficile. Ho saputo che da Aleppo sono stati inviati a Latakia 3 sacerdoti armeni ortodossi, per offrire assistenza spirituale e materiale ai rifugiati”

http://www.fides.org/it/news/54861-ASIA_SIRIA_Il_Patriarca_armeno_cattolico_i_cristiani_fuggiti_da_Kessab_affrontano_l_emergenza_con_spirito_di_comunione#.UzF3OUZOXwp


Syrie : le village arménien de Kassab, victime "d’une épuration ethnique:

"Les rebelles n’ont pas besoin de passer par ce poste frontière pour faire venir des armes et des munitions, ils traversent facilement par les collines boisées du Djebel turkmène plus au sud, explique-t-il. La prise du poste frontière n’est qu’un prétexte, nous sommes face à une stratégie d’épuration ethnique à l’égard de la population arménienne de Kassab".

lunedì 24 marzo 2014

Elias Sleman, vescovo di Tartus: «Anche se resterò qui da solo, io non me ne andrò»


Reportage dalla Siria,  di Rodolfo Casadei 

TEMPI, 17 marzo

Tartus è il governatorato più tranquillo di tutta la Siria, l’unico dove la guerra non è mai arrivata. Grazie alla superficie ridotta del suo territorio (meno di duemila chilometri quadrati). Grazie al fatto che l’entroterra è occupato interamente da villaggi e cittadine alawite, più qualche enclave cristiana, e dunque difficile da infiltrare da parte delle formazioni ribelli a base sunnita. Grazie infine al fatto che nel capoluogo, affacciato sul mare, i rapporti fra le differenti fedi religiose non conoscono nessuna tensione. Con la sua base navale affittata ai russi sin dal 1971, l’unica detenuta da Mosca fuori dal territorio nazionale, dall’esterno Tartus potrebbe sembrare il bersaglio ideale per attacchi jihadisti; al contrario, si è trasformata nella méta di centinaia di migliaia di sfollati interni, in grande maggioranza musulmani sunniti, che hanno cercato e trovato qui riparo. Tartus è anche la regione siriana con la più forte presenza di cristiani maroniti. Sono 50 mila circa in tutto il paese, e l’80 per cento di essi risiede in questo governatorato. Col loro vescovo, monsignor Elias Sleman, abbiamo a lungo parlato del modo in cui i cristiani siriani stanno vivendo la dura prova della guerra civile, che dura già da tre anni e che il 15 marzo scorso è formalmente entrata nel quarto anno.

Eccellenza, cosa è cambiato nella vita delle comunità cristiane in questi tre anni a causa della guerra?
Ci sono stati cambiamenti dovuti a problemi pratici e cambiamenti molto più profondi. Anche se qui la situazione è tranquilla, come ha potuto vedere, le attività coi giovani sono state ridimensionate, perché non si può più viaggiare liberamente attraverso il paese e organizzare campeggi, e anche gli incontri e riunioni fra vescovi e fra sacerdoti si sono diradati. Ma il fattore che ha prodotto i cambiamenti più significativi è stato l’afflusso di sfollati da altre zone del paese nel nostro governatorato. Questo ha significato dare impulso alla Caritas, orientare le nostre attività alla solidarietà verso chi soffre. Ma ha significato anche incontrare tante persone, cristiani e musulmani. Abbiamo approfondito il dialogo ecumenico coi fratelli delle altre Chiese, soprattutto a partire dalla preoccupazione per i cristiani che soffrono: il destino dei due vescovi e dei due sacerdoti rapiti, delle monache sequestrate (rilasciate il 9 marzo scorso ), ha riavvicinato i cristiani delle diverse Chiese. E abbiamo incontrato i musulmani in fuga dalle zone dei combattimenti in modo estremamente positivo. A una nostra suora, una donna sfollata di famiglia musulmana ha detto: «È la prima volta che incontriamo dei cristiani, nella nostra zona d’origine non ce ne sono. Siete simpatici, non siete come ci avevano detto. Noi vi stiamo uccidendo e voi ci state dando da mangiare!».
Se devo descrivere le conseguenze spirituali della guerra sui cristiani, dico che in generale sono diventati più praticanti e più solidali. Abbiamo scoperto che il paese ha bisogno di noi e della nostra specificità cristiana. Il solo discorso valido in un momento come questo è quello che mette l’accento sulla pace, l’amore, la solidarietà, la carità, l’apertura verso l’altro, l’accettazione dell’altro, il rispetto assoluto per la vita che discende dall’assoluto di Dio. Ed è la testimonianza che stiamo cercando di dare. Noi accogliamo tutti, senza distinzioni. Dall’altra parte, sono cresciute in noi anche le virtù civili: è cresciuto il patriottismo, l’attaccamento a questa terra, per la quale ci doniamo disinteressatamente. Ma anche la virtù civile ha un sottofondo cristiano: questa è la terra della nostra tradizione, della nostra Chiesa, per questo restiamo.

Chissà in quante storie speciali vi siete imbattuti in questi tempi difficili. Qual è la storia più umana che ha ascoltato e quale quella più disumana che avete incontrato?
Le storie più orribili, sono quelle che conoscete anche voi: gli omicidi a sangue freddo, le persone sgozzate e decapitate, gli atti di cannibalismo sui corpi degli uccisi. Le storie che danno speranza hanno il timbro di quella che le ho raccontato prima: la donna musulmana che scopre chi sono veramente i cristiani. A me è capitato di essere visitato da un religioso sunnita sfollato da Aleppo che mi ha chiesto di aiutarlo a trovare una sistemazione in città. Io gli ho chiesto: «Ha già parlato col muftì?», e lui mi ha risposto: «Io ho fiducia in voi». Cristiani e musulmani si incontrano e si aiutano in un contesto di difficoltà e di insicurezza: ciò fa parte dei frutti straordinari della guerra. Ci ritroviamo nella comune opzione per la moderazione e contro il jihadismo. Cristiani e musulmani, quando si accolgono l’un l’altro, appartengono allo stesso campo. Quando abbiamo costituito un centro per la distribuzione degli aiuti presso il vescovado, abbiamo visto arrivare soprattutto donne musulmane. Tutti, nella nostra comunità, hanno dato con generosità senza guardare alla religione dei bisognosi. Attualmente seguiamo circa mille famiglie attraverso la Caritas. Noi diamo quello che possiamo e vorremmo ricevere più aiuti dall’esterno da trasferire ai bisognosi di qui.

Islamisti uccidono e crocifiggono un uomo in piazza: «Giudichiamo le persone secondo la sharia»
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Di fronte alla durezza della prova della guerra, come reagiscono i cristiani? La accettano come una circostanza che Dio dà da vivere o si ribellano?
Non c’è unanimità di reazioni. I credenti più maturi non protestano, colgono le opportunità che la guerra offre per praticare la carità, l’ecumenismo con tutte le Chiese e la solidarietà verso tutti. I meno credenti ci sfidano: «Perché Dio non ferma queste atrocità? Perché non fa morire gli assassini?». Noi diciamo loro: «La prima vittima dell’ingiustizia è Dio stesso, lo vedete lì sulla croce». Cerchiamo di correggerli proponendo una fede più profonda in Cristo. Quando a porre quelle domande sono coloro che hanno perso persone care, coloro ai quali la guerra, un’autobomba o un cecchino hanno portato via un figlio o una figlia, noi non rispondiamo. Li ascoltiamo, li facciamo sfogare e stiamo accanto a loro. Dopo si sentono sollevati e ci ringraziano di essergli stati vicini. Allora noi gli diciamo: «Dio ti ha ascoltato, Dio è con te».
I giovani sono gli interlocutori più difficili. Per la loro indole e per il fatto che molti non hanno ricevuto una vera educazione cristiana si ribellano più facilmente. In certi momenti alcuni di loro dicevano: «Prendiamo le armi! Combattiamo anche noi!». Io mi sono opposto: «No», ho detto. «Non otterremo altro risultato che di uccidere e farci uccidere». Un po’ alla volta hanno capito. Io faccio tutto quello che posso perché la catechesi sia all’altezza dei tempi che viviamo, perché sia chiaro a tutti cosa si esige dalla fede in un momento carico di atrocità come questo. Abbiamo tante persone che hanno perso tutti i beni materiali a causa della guerra. Li aiutiamo a procurarsi di che vivere, ma anche a comprendere il senso della povertà, a cogliere nella spoliazione la circostanza che ci permette di riscoprire l’essenziale, ad essere grati a Dio perché comunque ci ha conservato la vita e possiamo ricominciare a costruire. Se si sta vicino a queste persone nel modo giusto, se si dice loro la parola giusta, a poco a poco comprendono il senso degli avvenimenti e ricominciano ad impegnarsi. Dunque alla sua domanda rispondo che il risveglio della fede e la protesta contro Dio a causa delle atrocità sono entrambi presenti nelle nostre comunità, sono reazioni e atteggiamenti che convivono mescolati.

Molti siriani hanno abbandonato il paese, anche molti cristiani. Cosa dice di questo?
Circa il 10 per cento della nostra comunità maronita è passato all’estero, e si tratta per lo più dei benestanti. Ma la maggioranza è restata e vuole restare, per fedeltà alla terra e per fedeltà alla nostra storia. La Chiesa fa di tutto perché la gente resti. Io dico sempre a loro: «Anche se resterò qui da solo, io non me ne andrò». Ed è quello che penso veramente.

Un fatto che mi ha molto colpito è l’accoglienza che gli sfollati sunniti ricevono qui a Tartus. Probabilmente molti loro parenti stanno combattendo in questo momento dalla parte dei ribelli contro i governativi, cioè contro i figli della gente che abita qui. Eppure non ho avvertito ostilità nei loro confronti.
Tutti i bambini hanno diritto a essere nutriti e vestiti. Non possiamo dire: «I vostri padri combattono, quindi noi non vi diamo da mangiare». E poi non possiamo fare a meno di mostrare a questa gente il volto di Cristo. Per questo abbiamo deciso di aiutare tutti senza porre condizioni. Fame e povertà non hanno religione. Le autorità dello Stato sono perfettamente d’accordo con noi e si comportano nello stesso modo. Noi non chiediamo a questi ragazzi e a queste donne: «Dov’è vostro padre? Dov’è tuo marito?». A volte sono loro stessi che ce lo dicono. E io mi sono persuaso che molti di loro combattono non per convinzione, ma per denaro. Il bisogno li ha spinti a prendere le armi in cambio di denaro, non un’idea politica.

http://www.tempi.it/siria-elias-elman-vescovo-di-tartus-anche-se-restero-qui-da-solo-io-non-me-ne-andro#.UycTdkZOXwo

sabato 22 marzo 2014

Padre Daniel: un ringraziamento per la vostra condivisione


  da Mar Yakub   

venerdì 14 marzo 2014 

di  Padre Daniel


Uno sguardo veloce all’abbondanza di email che ci avete inviato ci ha confortato moltissimo. 
Vi ringraziamo di cuore per aver condiviso con noi la nostra vita, le preghiere, le nostre battaglie e le nostre sofferenze.  Anche un grande grazie per tanto aiuto concreto, sia di persone singole,  sia di parrocchie e di gruppi. Fa tanto bene ai Siriani sofferenti  scoprire che ci sono anche persone all’estero che sono preoccupate per loro. Noi preghiamo ogni giorno per tutti voi con  cuore riconoscente. 
Come già vi ho  raccontato, gli aiuti sono stati distribuiti in tutta la regione. Noi non possiamo ancora uscire per ragioni di sicurezza, ma un gruppo di volontari (che ho chiamato i 12 apostoli) fa un lavoro eccellente e prova anche a  costruire altri gruppi con strutture identiche in altri posti per poter ricostruire i villaggi come modelli di fraternità. Nel frattempo stanno già pensando al prossimo passo, cioè di creare posti di lavoro, cosi che la gente possa di nuovo guadagnarsi la propria vita. Tutto questo non nell' atmosfera occidentale di libera concorrenza che distrugge, ma nello spirito di solidarietà. Dappertutto ci sono fabbriche fallite, che probabilmente sono da ricostruire. E' anche opportuno, per una piccola impresa che funziona bene, di aiutare un'altra piccola impresa. Invece, la concorrenza è fondata sull'invidia, oppressione e violenza.



Gioia e dolore

Domenica e lunedì, in tutta Damasco e quasi nel Paese intero, c’era un' aria di festa per la liberazione delle suore del monastero ortodosso di Santa Tecla di Maaloula. Alla TV abbiamo sentito qualche testimonianza commovente, anche dei musulmani, che hanno espresso ancora una volta il loro desiderio di una vita in pace e unità: cristiani e musulmani appartengono all’unica stessa famiglia siriana. C’erano anche parole di perdono e speranza. Una donna l’ha espresso in tal modo: "Loro possono distruggere chiese, moschee, crocifissi e statue della Madonna, ma non possono eliminare il verso sulla Madonna che si trova nel Corano”. Sfortunatamente, le suore – nella loro ingenuità – hanno ringraziato apertamente e anche lodato i ribelli. Questo fatto è molto doloroso per la popolazione che ha tanto sofferto e soffre ancora oggi sotto le atrocità dei ribelli nel paese intero. Noi continuiamo di sperare e pregare che anche altre persone sequestrate saranno presto liberate dai ribelli, come i due vescovi di Aleppo.


La nostra situazione

Disponiamo in modo approssimativo di ciò di cui abbiamo bisogno e siamo abbastanza al sicuro. Da mercoledì notte fino a giovedì sera c’era di nuovo una lunga interruzione di corrente elettrica, che può essere considerata romantica ma per noi non è veramente piacevole. 

La situazione generale sta migliorando gradualmente. L’esercito opera in modo prudente, ma molto sistematico. I ribelli sono circondati in tal modo che l’unica soluzione che per loro rimane è di arrendersi o di fuggire. Non sono chiusi in uno strangolamento per evitare che ci vada di mezzo la popolazione innocente.


la Fortezza del Crak des Chevaliers riconquistata dalle forze del Governo

La pioggia che non piace tanto ai Belgi, invece per noi è un regalo gioioso questa settimana. Infatti, ha piovuto forte questa settimana, ma dopo ogni acquazzone spuntava di nuovo il sole. La natura stessa ha fatto il lavoro e speriamo che il deserto rifiorirà presto.

La grande battaglia

E’ un miracolo che siamo ancora vivi e che il monastero non sia ancora crollato. Per questo non c’è nessuna spiegazione umana. Siamo sempre rimasti fedeli a due regole. Prima, abbiamo sempre rispettato le più rigide misure di sicurezza, che vi spiegheremo un giorno. In seguito, abbiamo pregato intensamente per la protezione del popolo, per il Paese e per noi stessi. Intorno al nostro monastero c’erano migliaia di uomini con barbe nere e con armi pesanti. Questa è stata la situazione per mesi. Dopo abbiamo sentito che avevano già pensato che il monastero fosse nelle mani dei ribelli e cosi l’esercito stava già considerando di bombardare tutto il monastero. Quando invece l’esercito ha scoperto bambini nel terreno monastico, hanno cambiato  idea. 

Vi racconto quello che abbiamo vissuto in questi mesi:
Da mercoledì 13 novembre 2013 ci siamo  nascosti. Il venerdì seguente abbiamo sentito un grande boato e la polvere invadeva anche il nostro rifugio. Hanno provocato un grande buco nel monastero con grandi conseguenze per la costruzione intera. Così, non eravamo neanche più sicuri in questo rifugio. Tra le sparatorie fuggiamo a due a due ancora una volta verso un altro rifugio.

Da domenica 17 novembre 2013 i bombardamenti e le sparatorie diventano sempre più forti. Così comprendiamo che siamo ormai costretti a lasciare il monastero. Verso un villaggio vicino? Ognuno si prepara un bagaglio a mano con indumenti caldi. Nel frattempo preghiamo il rosario e cantiamo nel nostro rifugio. E’ una preghiera molto intensa che serve anche per distrarre i bambini dai pesanti bombardamenti. Anche i bambini musulmani conoscono già l’Ave Maria. La situazione diventa così critica che non possiamo più aspettare la notte e decidiamo di partire il più rapidamente  possibile. Tutti i bagagli e sacchetti sono raccolti in un punto centrale. Nella chiesa facciamo una breve funzione di preghiera e dopo consumiamo tutte le Ostie consacrate. Io do anche l’assoluzione generale. E' straziante dover lasciare il monastero.  Ma… come prima, anche adesso sembra di nuovo troppo pericoloso  uscire. Infatti, un passo fuori delle mura del monastero siamo circondati dai terroristi che si trovano fino nel nostro terreno. In fondo c’è un grande sollievo che siamo costretti a restare dentro il monastero. Intanto, durante la mattinata mangiamo piccole cose che sono rimaste. A mezzogiorno celebriamo comunque l’Eucaristia con un piccolo tavolo della chiesa, perché il santuario stesso non è più sicuro, come neanche la navata della chiesa. E dopo si scatena veramente l’inferno, ma noi continuiamo a celebrare la Messa. 
Ad un certo punto, un fracasso assordante sbalordisce le nostre preghiere. Ci diamo l'uno all’altro l’augurio di pace come se fosse l’ultima volta che ci incontriamo ancora vivi. Dopo mangiamo un po’, stretti e seduti per terra in questa piccola stanzetta, che serve come cucinetta. Le sparatorie e le esplosioni continuano non-stop. Nel pomeriggio qualche suora comincia a cantare il grande inno di “acathist” (voi dite di liberazione ?) in onore della Madonna, con il quale è stata liberata Costantinopoli nell’anno 626. Lo completiamo con tutti i canti come si fa nel tempo di Quaresima ed il tutto dura per ore. E tutto ciò sotto la luce di candele. Aggiungiamo anche i canti liturgici della Settimana Santa e di Pasqua come celebrazione del passaggio dalla morte alla vita. Mai abbiamo recitato così bene questi bellissimi canti. Nel frattempo passano di continuo i nostri custodi  per informarci della situazione. L’esercito mette alle strette i ribelli, ma dell’altra parte arrivano sempre nuovi ribelli. I giardini e i dintorni del monastero son pieni di ribelli con armi pesanti. Nella notte facciamo ancora una valutazione per noi stessi dove ognuno racconta in modo onesto come vive la situazione. Verso le due della notte la maggior parte di noi si addormenta.
Lunedì mattina 18 novembre 2013. Dalle 2 fino alle 6 sentiamo  boati non-stop di bombardamenti fortissimi. Gli edifici tremano. Che succede? La maggior parte di noi è del tutto sveglia e cominciamo a pregare. Adesso è molto chiaro che siamo il bersaglio per i terroristi, che vogliono una volta per sempre fare i conti con la nostra comunità. Questo è già stato fatto tante volte durante i secoli precedenti. Questo è l’ultima ora di Mar Yakub, per la quale ci siamo preparati? L’ora O? L’unica cosa che possiamo fare è aspettare impauriti e nel frattempo ci occupiamo l’uno dell’altro il meglio  possibile. Ad un tratto la porta del nostro rifugio si apre bruscamente e un uomo fa irruzione nel nostro rifugio. Quest’uomo è inzuppato di pioggia e dice con un grande sorriso : “Non abbiate paura, la situazione è sotto controllo!”.  Sembrava abbastanza veritiero. Tantissimi ribelli sono stati messi alle strette e all’improvviso sono fuggiti presi dal panico. Questa buona notizia sembra venire da un angelo dell’esercito di San Michele Arcangelo. 
 Credeteci o no, ma il nome di quest’uomo era “Roech Allah”, Spirito di Dio !

Di cuore,
Padre Daniel
           trad. A Wilking



Condolence: H.H. Patriarch Ignatius Zakka I Iwas of Antiochia departs in the Lord.
Prega per noi, o nostro grande Santo Padre davanti al trono di Gesù in cielo...

giovedì 20 marzo 2014

Nulla - della cultura siriana pre-cristiana, cristiana, islamica - è risparmiato

Le tombe dell'antica Palmyra, preda dei saccheggiatori



ASSAWRA,  Lunedi, 17 Marzo, 2014 

Il luogo più bello in Siria, l'antica  Palmyra, porta le cicatrici di recenti combattimenti, ma sono soprattutto le magnifiche tombe la preda dei saccheggiatori.
Situata a 210 km a nord est di Damasco, la "perla del deserto" , iscritta dall'UNESCO come Patrimonio Mondiale dell'Umanità, conserva la sua bellezza benchè il tempio di Baal abbia subito alcuni danni a causa di scambi di artiglieria tra esercito e ribelli.
"I gruppi armati si sono installati  nel mese di febbraio 2013 nell'immenso palmeto a sud di Palmyra e hanno occupato il sito fino a quando ne sono stati cacciati dell'esercito nel settembre dello stesso anno ", ha detto a AFP Mohammad al-Assad, 44 anni,  funzionario  del Servizio delle 
Antichità .

"A partire dai frutteti dove si annidavano, sparavano sulla città e alcuni obus hanno  danneggiato alcuni punti del tempio situato nel mezzo", aggiunge.



La parete orientale del tempio ellenistico di Baal, l'edificio più imponente della città, è segnato da diverse macchie biancastre dove la pietra è stata graffiata dalle granate. Colpi di mortaio hanno danneggiato una delle aperture e l'architrave che poggia su otto colonne con alberi scanalati.
Il muro di cinta ha sofferto in più punti. Tre pilastri del colonnato a sud del tempio sono stati smembrati, i loro capitelli corinzi giacciono a terra. Ma gli altri monumenti non sono stati colpiti dai combattimenti.


Secondo Assad, i ribelli hanno saccheggiato la casa di missioni archeologiche adiacenti al tempio, ma il peggio è stato il saccheggio delle tombe meravigliose.
A ovest della città, nella Valle delle tombe, la necropoli si estende per un chilometro. E' là dove i ricchi Palmyreni avevano costruito una serie di tombe sontuosamente decorate.
Al Museo di Palmyra, il direttore Khalil al-Hariri mostra tre stele di calcare e  parti di sarcofagi scolpiti ad alto-rilievo con personaggi e bambini. "Erano stati tagliati con una motosega. Li abbiamo recuperati due giorni fa nel seminterrato di una casa", spiega.
Come sono state saccheggiate le tombe? Non sa niente. "Ci sono circa 500 tombe, di cui solo 200 sono stati scavate dagli archeologi. È in quelle che non lo erano che i ladri hanno fatto il loro sporco lavoro", dice.
Il suo unico punto di riferimento, è il bottino trovato. "Da quando l'esercito ha ripreso il controllo della regione ho recuperato 130 pezzi, ma non sono in grado di dire a quante tombe appartenevano perchè i ladri hanno avuto cura di richiuderle".


Oltre ai sarcofagi, vi sono i busti dei morti in costume greco-romano e decorazioni murali in stile palmireno.

Nel discorso ufficiale, sono gli "uomini armati" o "terroristi" che volevano spogliare il paese "vendendo a buon mercato la nostra cultura e le nostre radici."  In realtà, e il signor Hariri lo riconosce a mezza voce, anche alcuni abitanti hanno approfittato della confusione per entrare in possesso dei pezzi, tutti ne conoscono il valore. 
"La polizia li ha trovati qui, nelle case, nei frutteti e nel resto del paese. Quindici sono stati anche scoperti all'aeroporto di Beirut, pronti a prendere il volo per l'estero ", ha detto. 




Le Nazioni Unite hanno esortato le parti in conflitto a proteggere "il ricco patrimonio culturale strappato a brandelli" da tre anni di guerra. Davanti al "saccheggio sistematico" dei siti archeologici, ha consigliato ai professionisti del 
commercio dell'arte e alle dogane "di diffidare di oggetti d'arte siriani che potrebbero essere stati rubati."

Faisal al-Sharif, capo del Comune, non ha più visto un turista dal settembre 2011, sei mesi dopo l'inizio della rivolta contro il regime di Bashar Assad.
"Ce n'erano 250.000  all' anno, poi improvvisamente più niente. Sugli 85.000 abitanti, 5000 lavoravano in alberghi, ristoranti, possedevano negozi, organizzavano gite nel deserto sotto le tende, erano impiegati come autista o guida ", lamenta quest'uomo di  57 anni.
I 16 stabilimenti della città sono tutti chiusi. Per quanto riguarda il  'Zenobia', il leggendario hotel costruito nel 1920 da un 
avventuriero francese e situato nel sito archeologico, è stato saccheggiato e a metà bruciato.

"Speriamo che la tempesta finisca e che i turisti tornino presto" , sospira.

http://www.assawra.info/spip.php?article6471

Yabrud, dove i ribelli hanno bruciato il Vangelo e cavato gli occhi alle immagini di santi 








Tempi, 19 marzo 2014

Era una cittadina molto ricca Yabrud, in Siria, poco lontano dal confine col Libano. E qui dove c’è la più antica chiesa del paese, domenica sono entrate le milizie di Bashar al-Assad, che, dopo una dura offensiva contro i ribelli, si sono impossessate della città. È il reporter britannico Robert Fisk a raccontare la situazione dal villaggio alle porte di Damasco dalle colonne del The Independent, dipingendo un paese distrutto dai combattimenti e vandalizzato dai ribelli. Fisk, celebre reporter, simpatie a sinistra, descrive la situazione della chiesa greco-cattolica di Nostra Signora , diventata «un luogo di vergogna, di copie bruciate del Nuovo Testamento, dipinti squarciati coi coltelli – molti giacciono ridotti in strisce di tessuto d’oro e rosse, di fianco alla croce dell’altare distrutta -, i mosaici staccati dal muro. Gli scettici potrebbero chiedere se è stato il regime a compiere questo atto sacrilego, a vantaggio delle macchine fotografiche, ma ci sarebbero volute settimane per distruggere questo luogo di preghiera con le sue antiche colonne, e per aver cavato gli occhi dai mosaici dei santi».



PER LE VIE DEL PAESE. Tredici giorni di combattimento si vedono sui muri degli edifici di Yabrud, trivellati in più punti, tra strade ricoperte di proiettili usati. Guardando gli edifici religiosi saccheggiati dagli islamisti, annota Fisk: «C’è da chiedersi quando la Siria riuscirà a ricostruire le relazioni tra musulmani e cristiani dopo un tale vandalismo. Forse la risposta è mai, sebbene in un atto di immenso coraggio i civili musulmani di questa antica città abbiano protetto i vicini di casa cristiani fino alla fine».
Riportando le voci dei cittadini di Yabrud, Fisk narra che i ribelli di Al-Nusra hanno obbligato la gente a pagare prezzo esorbitanti per il cibo e ai cristiani chiesto di sborsare una tassa maggiore, a causa della loro fede. E gran parte dei viveri, raccontano i testimoni di Fisk, erano aiuti umanitari dell’Onu, arrivati dai campi profughi al di là del confine del Libano.
I soldati dell’esercito hanno l’aria stanca ma anche di chi sente vicina la vittoria. Raccontano di aver frugato nelle tasche dei nemici che hanno ucciso: hanno trovato documenti egiziani e degli Emirati Arabi.

La Chiesa di Nostra Signora della Liberazione di Yabroud, la più antica della Siria: com'era




On the march with Assad’s army: ‘Unusually, the Syrian army took rebel prisoners. Ominously, I saw none’
In the first dispatch from Syria, Robert Fisk reports from the town of Yabroud – reoccupied at the weekend  by government forces – and witnesses the destruction and trauma caused by a brutal civil war

The Independent , Monday 17 March 2014   - di Robert Fisk

http://www.independent.co.uk/voices/comment/on-the-march-with-assads-army-unusually-the-syrian-army-took-rebel-prisoners-ominously-i-saw-none-9198188.html












"Pas une seule strate de la culture syrienne -pré-chrétienne, chrétienne, islamique- n'est épargnée"

L'ONU lance, à nouveau, un cri d'alarme pour le patrimoine syrien.

mercoledì 19 marzo 2014

Inizia l'offensiva di primavera?

19-03-14: Aerei da guerra israeliani bombardano postazioni militari siriane nel Golan 

US suspends diplomatic relations with Syria

Washington tells the Syrian government to immediately suspend its diplomatic and consular missions in the United States.

readhttp://www.aljazeera.com/news/middleeast/2014/03/us-suspends-diplomatic-relations-with-syria-2014318153828980578.html

Report: Syrian opposition willing to trade Golan claims for Israeli military support

Top opposition official tells Al Arab newspaper militant groups want Israel to enforce a no-fly zone.



'Per stare sempre dalla parte giusta della storia' 


di PATRIZIO RICCI 

"La Siria è in balia di potenze straniere: sono ben 83 i Paesi che vi inviano terroristi a combattere. Prima la popolazione conviveva pacificamente, oggi non più. Subisce violenze e morte. Perché? Perché questi Paesi li mandano qui da noi? Perché non ci lasciano in pace? Tutto questo è contro l’umanità, contro tutte le religioni, contro la civiltà. Questa che si sta combattendo non è una guerra civile. Chi ha seminato questa guerra ora trovi una soluzione che non sia militare ma pacifica e di dialogo come auspicato in più interventi da Papa Francesco".
E' il grido rimasto inascoltato che monsignor Joseph Arnaouti vescovo armeno cattolico di Damasco ha affidato all'agenzia SIR.

E' chiaro mons. Arnouti: accanto a uomini che come lui condividono i bisogni, c'è chi pensa di stare sempre 'dalla parte giusta della storia' e di prendere perciò le decisioni giuste. Così accanto agli aiuti umanitari che stentano ad arrivare in maniera sufficiente o alla denuncia di crimini sempre più efferati, ora si ha una nuova idea: imprimere una nuova spinta alla guerra.
Al sud della Siria fervono i preparativi: è in corso uno sforzo congiunto tra Stati Uniti, Arabia Saudita e Giordania, pronti a dar vita all'offensiva dei 'ribelli' con obiettivo Damasco. Già dalla fine dei colloqui di pace Ginevra 2 erano già all'opera. L'attività era frenetica: quando ancora la Conferenza di pace non era ancora terminata, il Congresso americano, a porte chiuse, aveva già approvato il riarmo dei ribelli (interrotto per un breve periodo per timore che non finissero in mano ad al-Nusra ed ISIS).

Come sappiamo, i colloqui di Ginevra si sono risolti senza successo ed il segretario di Stato Kerry ha fatto di tutto per farli naufragare. Ma successivamente negli Stati Uniti si è svolta un'altra serie di incontri. E questi hanno avuto successo: protagonisti sono stati il consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice, Barack Obama, e il principe Mohammed bin Nayef, ministro degli Interni saudita responsabile dei programmi di azione sotto copertura in Siria. Erano presenti anche i responsabili dello spionaggio della Turchia, Qatar, Giordania e altri principali potenze regionali che hanno sostenuto l'opposizione armata. Alla fine si è deciso di rifornire i ribelli 'più moderati' dell'ESL (Esercito Siriano Libero) degli armamenti più sofisticati: una potenza distruttiva all'avanguardia alla quale non mancheranno i sistema d'arma antiaerei e quelli anticarro. Gli sforzi bellici saranno concentrati a sud della Siria.
A fine mese Obama si recherà nuovamente ad incontrare i reali sauditi a Riyadh, per fare il punto della situazione su Siria e Iran. La Giordania ha del tutto sostituito la Turchia come maggiore base arretrata dei ribelli dove possono contare sull'appoggio logistico degli americani, presenti in forze. I miliziani dell'ESL potranno compiere dal territorio giordano infiltrazioni ed esfiltrazioni, sicuri della protezione del confine. Il quotidiano israeliano Haretz riferisce che "ogni mese, tra i 200 e i 250 soldati combattenti subiscono esercizi base di addestramento delle forze speciali giordane 'vicino alla città di Salt".

Gli Stati Uniti stanno provvedendo ad allargare le strade per il deflusso delle forze 'ribelli' in Siria, in modo che possano transitare anche carri armati. Il quotidiano Haretz, riferisce che "gli Stati Uniti stanno costruendo piste per aerei da ricognizione nei pressi del confine tra la Giordania e la Siria. Utilizzando queste piste , nelle ultime settimane, l'Arabia Saudita ha fatto pervenire via aerea armi e munizioni acquistate in Ucraina per le basi ribelli in Giordania.
Contemporaneamente, sono giunti via terra convogli di cibo e tende per l'utilizzo da parte di nuovi profughi che continuano a giungere in Giordania. Giacché tutto si svolge in 'casa giordana' Stati Uniti e l'Arabia Saudita hanno pensato bene di avvicendare il comandante dell'Esercito Siriano Libero (Salim Idris) con Abdul-Ilah al-Bashir, persona vicina e gradita a sua altezza Re Abdullah. Da parte sua, anche Israele sta dando il suo contributo 'alla causa' degli estremisti islamici. Gli aerei con la stella di Davide hanno bombardato a più riprese obiettivi strategici in territorio siriano, indebolendo Hezbollah e l'esercito siriano. Gli israeliani in almeno 4 occasioni hanno anche provveduto ad accecare con dispositivi di guerra elettronica le comunicazioni tra le unità siriane combattenti.

Si stanno realizzando i presagi più funesti, quelli che abbiamo scansato perché troppo semplicistici: chi ha pensato che ciò che anima le superpotenze sono gli alti ideali, la moderazione, il dialogo, si dovrà presto ricredere.

E' evidente che questa nuova accelerazione è voluta dall'amministrazione Obama frustrata dal duro 'affronto' russo in Crimea. Gli occhi si sono voltati furtivi verso la Siria, giurando di 'dare una lezione ai russi'. E' un fatto di immagine alla quale non si vuol rinunciare. Ora, il suolo siriano con ogni probabilità diventerà terreno di scontro per un 'regolamento di conti' e per una 'dimostrazione di forza' che non ha nulla a che vedere con la situazione reale e con i bisogni della gente. Assassini, devastazioni e sofferenze inaudite, non possono avere nessuna giustificazione né legittimazione futura. Si potrà ridipingere tutto ciò è accaduto come qualcosa d'altro, ma non sarà mai nient'altro che crimine, razzia delle risorse e sete di potere.

http://www.laperfettaletizia.com/2014/03/siria-fare-loffensiva-di-primavera.html

martedì 18 marzo 2014

I Vescovi cattolici siriani: “Noi dichiariamo il nostro rifiuto di ogni forma di estremismo, takfirismo, omicidio ed estorsione”



DICHIARAZIONE DELL’ASSEMBLEA  DELLA GERARCHIA CATTOLICA DI SIRIA  

12 –3- 2014

L'Assemblea della Gerarchia Cattolica di Siria ha tenuto la sua sessione primaverile nel corso di un giorno, il 12 marzo 2014. A causa delle condizioni di viaggio difficili all'interno della Siria, l'Assemblea si è tenuta presso la residenza patriarcale melchita greco-cattolica in Rabweh (Antelias, Libano.)
L’Assemblea era presieduta da S.B. Gregorios III, in presenza S.B. Ignatius Youssef III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siro-Cattolici e di S.E. Mons Mario Zenari Nunzio Apostolico in Siria e delle Eccellenze  membri dell’Assemblea.
L'Assemblea ha affrontato il programma preparato dal corepiscopo Mounir Sakkal, Segretario dell'Assemblea. Alla fine della riunione, l'Assemblea ha pubblicato il seguente comunicato stampa:

1 - La crisi siriana è ormai al suo quarto anno. La nostra situazione può essere descritta con le parole di Costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II: "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, soprattutto quelli che sono poveri o in qualsiasi modo soffrono, sono le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo. Infatti, non vi è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore ".

2 - Preghiamo per il riposo di tutte le vittime. Noi preghiamo per la guarigione di tutti i malati, per i feriti, i disabili e per gli emarginati ed in difficoltà. Ricordiamo i rapiti, in particolare i nostri due fratelli vescovi , Youhanna Ibrahim e Boulos Yazagi, i due preti, Michael Kayyal e Ishaq Mahfouz, e molti altri figli e figlie delle nostre parrocchie.

3 - Noi dichiariamo il nostro rifiuto di ogni forma di estremismo, takfirismo , omicidi ed estorsione, e di tutti gli attacchi contro le persone e gli edifici. Condanniamo gli attacchi ai luoghi di culto, siano chiese o moschee. Il numero di chiese danneggiate o distrutte di tutte le confessioni è oggi circa un centinaio.

4 – Affermiamo la nostra solidarietà con il nostro amato paese, la Siria, popolo e  governo. Sosteniamo tutti gli sforzi verso una soluzione pacifica, giusta e rapida alla crisi, in particolare attraverso una continuazione dei colloqui di Ginevra. Noi vogliamo una Siria unita, libera, democratica e pluralista , con gli stessi criteri di cittadinanza per tutti, e vogliamo una vita degna per tutti i componenti della società siriana, qualunque sia il loro partito.

5 - In occasione della Grande e Santa Quaresima, invitiamo i nostri figli e figlie a digiunare e dar prova di solidarietà, carità e collaborazione per alleviare le sofferenze delle persone sfollate, internamente ed esternamente al Paese. Abbiamo bisogno della grazia di digiuno, della preghiera, della forza dello spirito, della fede, della speranza e della carità. Non dobbiamo soccombere a sentimenti di disperazione, di frustrazione e  paura, nonostante la nostra tragica, terribile sofferenza che aumenta ogni giorno . Ascoltiamo  la voce del Santo Padre Francesco e lo ringraziamo per il suo sostegno, l'amore e le preghiere per la Siria. Egli ci dice: "Cerchiamo di non perdere mai il coraggio della preghiera!” . Dice anche: "Non dobbiamo mai lasciare che la fiamma della speranza si spenga nei nostri cuori!". Chiediamo a tutti di far sì che durante la Grande Quaresima,  nell'intera Siria specialmente  tra i  cristiani,  tante mani siano alzate in preghiera. Che la Quaresima susciti in noi  i sentimenti e la forza della speranza !

6 - Noi supplichiamo il Signore di  condurre il nostro cammino di croce tragico e cruento  verso l'alba e la gioia della Santa Resurrezione. Che  la Siria torni al suo antico stato, alla pace, la sicurezza, l'amore, la gentilezza, la comunicazione, la comunione, il rispetto reciproco, la convivenza, e una vita degna per tutti i cittadini.

7 - Ci appelliamo a tutti i cittadini, chiedendo loro di lavorare per la pace con tutti i mezzi, sia a livello locale che internazionale,  insistendo  sul cessate il fuoco, il dialogo, la riconciliazione e la ricostruzione. Noi tutti abbiamo la responsabilità di lavorare seriamente per la pace.

8 – Rivolgiamo un particolare ringraziamento  a Sua Santità Papa Francesco  e gli rivolgiamo le nostre  felicitazioni per il primo anniversario del suo pontificato. Ringraziamo anche tutte le  istituzioni internazionali (soprattutto cattoliche) per il sostegno offerto con l'obiettivo di alleviare le sofferenze di tutti i cittadini siriani.

Che la Vergine Maria, Nostra Signora di Damasco e Nostra Signora di  Saidnaya, e di tutti gli altri luoghi mariani di pellegrinaggio, tenga  la Siria sotto la sua protezione: sia Lei a diffondere la pace e l'amore in tutto il paese. Facciamo appello alla coscienza di tutti i popoli, e in particolare quei paesi in grado di giocare un ruolo decisivo nella crisi siriana, di trovare un modo per porre fine alla crisi.

Con la Chiesa noi preghiamo, "Commemorando la nostra santissima, purissima, la  beatissima e gloriosa Signora, la Madre di Dio e sempre Vergine Maria, con tutti i Santi, affidiamo noi stessi e gli uni gli altri e tutta la nostra vita a Cristo nostro Dio ".

Con il Signore diciamo ai figli e alle figlie delle nostre parrocchie:
"Non temere, piccolo gregge!
Sii luce, sale e lievito! "

+ Gregorios III
Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme


Presidente dell'Assemblea della Gerarchia Cattolica di Siria. 


“Un pace giusta!”: profonda solidarietà della Chiesa indiana con il popolo della Siria


Agenzia Fides - 12/3/2014
New Delhi – “Tre anni di conflitto in Siria hanno letteralmente devastato e distrutto la vostra vita e i vostri sogni. E’ stato pagato un tributo di oltre 100.000 vite, migliaia di mutilati e feriti muoiono di fame, milioni di persone sono dovute fuggire dal paese. Il nostro cuore va a voi, a tutta la popolazione civile, in particolare alle donne, ai bambini e agli anziani che sono le vittime più vulnerabili della violenza. Nel bel mezzo di questa violenza cieca, i vostri cuori siano speranza e desiderio di pace. E’ per questo che noi, in profonda solidarietà con voi, preghiamo sinceramente”: così recita l’appello accorato diffuso dalla Commissione per la Giustizia, la pace e lo sviluppo, della Conferenza Episcopale dell'India, inviato all’Agenzia Fides. 

Il testo, firmato da p. Charles Irudayam, ricorda l’esortazione di pace pronunciata da Papa Francesco, durante la veglia di preghiera per la Pace in Siria, il 7 settembre 2013. 
La Chiesa indiana esorta a “sostituire il linguaggio della morte”, che è la violenza, “con il linguaggio dell'amore e della vita”, che è quello parlato da Gesù Cristo, vincitore del peccato e della morte. “La sua risurrezione conferma la nostra speranza che la vita trionferà sulla morte, e la pace sulla guerra”, nota l’appello giunto a Fides. 
Invocando “una pace giusta per la Siria”, il testo conclude: “Possano tutti coloro che sono responsabili dell'attuale situazione, compiere scelte di pace! Possano tutti gli attori in campo rendersi conto che la pace vale più di ogni cosa. Dio, autore e fonte della vera pace, guidi i cuori dei leader perchè è giunto il momento di rinunciare alla violenza e di dare una possibilità alla pace”. 

http://www.fides.org/it/news/54789-ASIA_INDIA_Un_pace_giusta_profonda_solidarieta_della_Chiesa_con_il_popolo_della_Siria#.UyCm9kaYbwp