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mercoledì 12 marzo 2014

Per finire questi 3 anni di tormento, cominciamo da qui:

Awad (leader cristiano): gli Usa smettano di finanziare i terroristi   



Il Sussidiario , mercoledì 12 marzo 2014 
intervista a Adeeb Awad  
di Pietro Vernizzi

I vescovi cattolici e ortodossi e i leader protestanti della Siria si sono 
recati a Washington per chiedere che gli Stati Uniti smettano di sostenere i 
gruppi jihadisti che combattono contro i regime di Damasco. Si tratta della 
prima delegazione di questo tipo ad avere visitato la capitale americana 
dall’inizio della crisi siriana. I vescovi hanno chiesto a senatori e membri del Congresso di esercitare pressioni su Paesi come Arabia Saudita, Qatar e Turchia affinché smettano di finanziare i terroristi presenti in Siria. 
Ilsussidiario.net ha intervistato Adeeb Awad, leader del Sinodo Nazionale 
Evangelico di Siria e Libano.



Per quale ragione ha deciso di recarsi negli Usa insieme agli altri leader 
cattolici, ortodossi e protestanti?

La ragione principale è che ci rendiamo conto che c’è un’ipocrisia nella 
politica americana, e occidentale in generale, nei confronti del terrorismo in 
Siria. I cittadini e i leader religiosi in Siria hanno una grande storia per 
quanto riguarda l’integrazione con la nostra società e con il nostro governo. 
Quando le manifestazioni sono incominciate nel 2011 per chiedere riforme, 
eravamo contenti e simpatizzavamo con i manifestanti. La Siria è un grande Paese  che ha bisogno di riforme, come tutti gli altri Paesi civilizzati. Presto però  abbiamo scoperto che quelle dei manifestanti non erano richieste genuine, in  quanto sono emerse fin dall’inizio infiltrazioni terroristiche da tutto il  mondo. Ovunque esistono terroristi preparati, equipaggiati e allenati dai servizi segreti occidentali, in primo luogo americani, ma anche francesi, 
britannici e tedeschi.


Lei non auspica che in Siria si affermi la democrazia?

Non siamo andati negli Stati Uniti per chiedere loro di smettere di insistere 
affinché in Siria siano fatte le riforme. Abbiamo però scoperto una serie di 
elementi che ci hanno spinto a questo passo. In primo luogo gli alleati in Medio  Oriente di Francia, Usa, Regno Unito non sono democratici. Le monarchie del  Golfo sono Stati di polizia, e la Siria fino a tre anni fa era pur sempre  migliore di loro.


A che cosa si riferisce?

In Bahrein sono presenti decine di migliaia di militari sauditi per reprimere i 
manifestanti senza che l’Occidente dica una sola parola. In Siria inoltre 
abbiamo fatto esperienza del peggior tipo di terrorismo da parte dei gruppi 
jihadisti provenienti da 80 Paesi nel mondo, che entrano in Siria passando da Turchia e Giordania e che sono sostenuti dagli alleati dell’America. L’Occidente su questo non ha detto una sola parola, e mi domando come ciò possa essere compatibile con la sua identità cristiana.


Che cosa accadrà ai cristiani in Siria se i ribelli prevarranno?

I cristiani in Siria hanno sempre avuto piena cittadinanza, a differenza di 
quanto avviene in altri Paesi del Medio Oriente. In passato abbiamo goduto di una libertà religiosa che altrove era impossibile. In Siria cristiani e  musulmani non vivono come due gruppi di cittadini divisi, ma come persone che  condividono amore, pace, coesistenza e talora anche le stesse famiglie. Il recente rapimento di due vescovi impegnati in una missione di pace ha come scopo  quello di terrorizzare i cristiani. Lo stesso vale per il sequestro di 11 suore  che non stavano combattendo, ma erano impegnate in attività caritatevoli. Dio che consente queste tribolazioni sarà con noi in questo duro viaggio fino alla  fine dei tempi.


Che cosa è emerso dai colloqui a Washington?

Incontrando i senatori americani, ho chiesto loro perché in tre anni non sia mai  intervenuto un solo funzionario occidentale per chiedere libere elezioni in Siria. Uno dei senatori si è alzato e mi ha detto: “Non sono sicuro che non le abbiamo mai chieste”. A quel punto ho replicato: “Non è una buona risposta”.


Perché?

Perché gli stessi servizi segreti americani affermano che in libere elezioni, 
Bashar Assad vincerebbe.


E se invece Assad perdesse?

Lasciamo che perda, nella democrazia può avvenire anche questo. 
Ma nella realtà gli Stati Uniti non vogliono libere elezioni e democrazia in Siria, perché nessuno degli alleati dell’America in Medio Oriente è uno Stato democratico.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2014/3/12/SIRIA-Awad-leader-cristiano-gli-Usa-smettano-di-finanziare-i-terroristi/474201/

lunedì 10 marzo 2014

Ecco i frutti della carità di Cristo dentro l’inferno della guerra


TEMPI, 9 marzo 2014 
Reportage  di  Rodolfo Casadei

Improvviso un pianto di donna rompe il silenzio della corsia. Lo attutisce la porta chiusa della stanza da cui proviene. Come a un segnale convenuto la dozzina di uomini che fanno capannello nel corridoio china la testa. La mamma di Gima ha appena saputo che la figlia dodicenne è morta nell’attentato che ieri sera (27 febbraio, ndr) ha visto esplodere una bomba collocata fra il marciapiede e la sede stradale quasi davanti all’ingresso dell’ospedale francese di Damasco, nel quartiere a maggioranza cristiana di Qassaa (foto sotto a destra). E qui nell’ospedale stesso sono stati ricoverati o trattati i trenta feriti dell’attacco. Fra loro la donna e un’altra figlia, che non sono in pericolo di vita. Invece a Gima, le schegge hanno squarciato la schiena.

Un uomo si stacca dal gruppo e mi viene incontro. È il padre di Gima, cristiano ortodosso. Mi parla come a un nemico: «Perché attaccate i civili? Se ce l’avete col regime, fate la guerra contro l’esercito, contro la polizia. Lasciate stare i bambini! Questo è successo per colpa dell’Europa, per colpa dell’America». La voce non è adirata ma implorante, come se temesse che io possa fargli di peggio. Uno zio mi si avvicina. Parla con dignità, contenendosi: «Voi appoggiate la cultura della morte. Noi difendiamo la cultura della vita».

Nel corridoio seguente dentro a una stanza c’è Ronza, un’altra mamma cristiana con le sue due bambine: tutte ferite, ma vive. Una era compagna di scuola di Gima, ed è quella che desta più preoccupazione: ha ancora una scheggia in corpo, piantata nel collo, il chirurgo non ha osato intervenire per paura di ledere organi vitali. «Non è la prima volta che rischiamo la vita per questa guerra», dice la mamma con un filo di voce, sdraiata nel letto con un frammento di bomba nel petto. «L’anno scorso un colpo di mortaio ha colpito la classe di fianco a quella di mia figlia nella scuola cristiana che frequenta. E l’anno prima io mi sono salvata per miracolo, quando un’autobomba è esplosa a Jaramana uccidendo cinquanta persone».

Jaramana è un quartiere della periferia, sulla strada per l’aeroporto, abitato principalmente da cristiani e drusi. Nel 2012 subì due attacchi sanguinosi, in agosto e a novembre, ad opera di Jabhat al Nusra. Nel secondo, all’esplosione della prima autobomba fece seguito, dopo pochi minuti, quella di un’altra sopraggiunta sul luogo dell’attacco quando già si era radunata una folla di soccorritori: una tecnica omicida di tipica marca qaedista, mirata a causare il maggior numero di vittime. La colpa di Jaramana, stando ai terroristi, era quella di non lasciare libero passaggio ai rifornimenti per i ribelli dei quartieri più vicini al centro città, Jobar e Daraya. Da allora i proiettili di mortaio non hanno mai cessato di tormentare la vita dei residenti di Jaramana, nonostante l’esercito abbia spianato a cannonate tutti gli edifici – una moschea compresa – della vicina Mleha, da cui i colpi provengono.
Nell’incrocio principale del quartiere è stato innalzato un memoriale alle vittime della strage (foto sotto a destra): un grande cuore blu di plastica lucida e luci al neon che spunta da un supporto di pietra e fiancheggiato da due specie di grossi petali coi colori della bandiera siriana. Sulla superficie del cuore le foto a colori e sorridenti dei volti delle vittime: cristiani, drusi, musulmani sunniti, profughi iracheni che avevano trovato rifugio nel quartiere. Lo stesso assortimento di ogni attentato contro le zone cristiane di Damasco, compreso quello del 27 febbraio davanti all’ospedale francese. Perché là dove ci sono i cristiani, ci sono anche tutti gli altri volti del popolo siriano.

Non ci sono dubbi: i cristiani di Siria sono bersagli intenzionali dei ribelli che combattono il regime di Damasco. Lo dimostra il rosario di villaggi espugnati dai jihadisti con successivi eccidi di abitanti cristiani: Maloula, Sadad, Deir Atieh. Lo dimostrano i puntuali tiri di mortaio contro obiettivi civili dei tre quartieri damasceni dov’è concentrato il grosso della popolazione cristiana: Jaramana nella periferia, Bab El Touma e Qassaa nel centro.

I martiri decapitati
L’11 novembre scorso alle 13.30 una pioggia di proiettili di mortaio si è abbattuto sulla scuola armena che sorge nei pressi della porta orientale di Bab El Touma. Quelli che sono caduti nel recinto che racchiude la scuola e la chiesa di San Sergio hanno solo danneggiato cornicioni e marmi, compresi quelli del memoriale del genocidio. Ma quello che ha colpito un autobus scolastico fuori dalle mura ha ucciso quattro bambini di sei anni (due armeni apostolici, un greco ortodosso e un melchita) e l’autista, ferendone molti altri. «Tutti i passanti ci hanno aiutato a soccorrere i nostri piccoli», racconta il presidente del consiglio di gestione. «Se in Italia avete specialisti del trauma psicologico disponibili ad aiutarci ce li faccia conoscere, perché ne abbiamo ancora bisogno per i nostri studenti».
Il sacerdote Makarios Kallouma è il segretario del patriarca della Chiesa melchita, ed è originario di Maloula. Fra i cristiani locali ostaggi dei jihadisti di Jabhat al Nusra ci sono anche un suo fratello e un suo cugino. «Avevano detto che non avrebbero attaccato il villaggio, ma non hanno mantenuto la promessa. Hanno scelto come pretesto i vetri rotti dell’unica moschea, presi a sassate da alcuni ragazzi. Loro hanno devastato e razziato le chiese e abbattuto le croci! Conoscevo alcuni dei cristiani che sono morti martiri».
Makarios racconta la storia di Antoine, Mikhail e Sarkis. Insieme ad altri si trovavano in una casa al momento della presa della località. Riuniti in una stanza pregavano: «Se dobbiamo morire, moriremo cristiani». Quando i ribelli sono entrati nell’edificio ai presenti hanno detto: «Avete salva la vita». Ma appena Mikhail e Sarkis sono usciti dalla casa, sono stati abbattuti dai ribelli che sostavano fuori. Al 21enne Antoine, studente di ingegneria, i jihadisti hanno imposto: «Se non ti converti all’islam, morirai». Le sue ultime parole: «Sono nato cristiano e morirò cristiano».

domenica 9 marzo 2014

Sono state liberate le Monache di Maaloula: grazie a Dio!






















Le Sorelle di Maaloula (13 religiose e tre aiutanti ) libanesi e siriane, che erano state rapite dalla storica città cristiana di Maaloula nel mese di dicembre ,  oggi sono state rilasciate e sono in viaggio verso la Siria , ha riferito una fonte della sicurezza libanese .

Le suore erano state trasferite al villaggio di Arsal , nel Libano occidentale, all'inizio della settimana, ha riferito la fonte a Reuters.La loro ubicazione e le condizioni erano rimaste sconosciute per oltre tre mesi , dopo le prime notizie del sequestro emerse ai primi di dicembre quando ribelli islamici hanno conquistato l'antica località di Maaloula , una città a maggioranza cristiana, riconosciuta anche come patrimonio UNESCO, situata nella  Siria orientale."Quello che l'esercito siriano ha realizzato in Yabroud ha facilitato questo processo", ha dichiarato il  Vescovo siriano greco-ortodosso Louka Khoury parlando con i giornalisti alla frontiera .

Non è ancora chiaro esattamente chi aveva tenuto prigioniere le suore e perché sono state rilasciate oggi . Tuttavia, l'Osservatorio siriano per i diritti umani , un gruppo di monitoraggio  in gran parte legato con l'opposizione , ha identificato i ribelli che hanno preso le suore come militanti del Fronte al-Nusra, affiliato di Al- Qaeda e uno dei gruppi radicali che combattono le forze del presidente Bashar Assad .  Il Generale Capo della Sicurezza del Libano e il capo dei servizi segreti del Qatar sono stati segnalati per aver giocato un ruolo importante nei negoziati .In precedenza , il Fronte al-Nusra aveva riferito di avere richiesto la liberazione di 500 militanti detenuti in Siria e in Libano in cambio per le Monache, secondo quanto riferito dal canale satellitare Al - Mayadeen .L'Osservatorio , così come una fonte ribelle , hanno detto che il rilascio delle Suore è stato concordato come parte di uno scambio di prigionieri, con decine di donne detenute nelle carceri del presidente Bashar al - Assad ."L'accordo è per il rilascio di 138 donne provenienti da carceri di Assad ", ha detto la fonte dei ribelli , riferisce Reuters.

Le suore erano state rapite durante feroci combattimenti tra le forze ribelli e l'esercito siriano per il controllo strategico di Damasco - autostrada Homs , che passa proprio vicino a Maaloula .Subito dopo essere state rapite, le Monache erano state spostate in una vicina città in mano ai ribelli, Yabroud distante 20 km. La data di rilascio, è stato riferito, è impostata per coincidere con un cessate il fuoco in Yabroud , iniziato al tramonto di domenica .Nel mese di dicembre un video delle Suore è stato trasmesso su Al - Jazeera . Un commentatore riferiva che le suore erano in buona salute e stavano aspettando il loro rilascio per tornare al loro convento in Maaloula , nel Monastero di Mar Thekla . Il video non dava alcuna indicazione di dove le suore si trovavano.

La minoranza cristiana della Siria si è trovata coinvolta in mezzo ai combattimenti di una guerra  che , iniziata nel marzo del 2011, sta compiendo il suo terzo anno e sta diventando sempre più settaria

http://rt.com/news/syria-nuns-release-maaloula-782/


8 marzo per onorare le suore di Maloula e la loro delicata, dolorosa resistenza alla furia islamista

il momento della liberazione

TEMPI, 8 marzo 2014
di  Annamaria Falco

Nella festa della donna, la testimonianza di una professoressa amica delle religiose siriane sequestrate dai ribelli legati ad Al Qaeda



   leggi su: 
http://www.tempi.it/8-marzo-per-onorare-le-suore-di-maloula-e-la-loro-delicata-dolorosa-resistenza-alla-furia-islamista#.UxznRkaYbwo

venerdì 7 marzo 2014

Dhimmitudine e legge islamica




di Fr. Georges Massouh

Non è sorprendente che il gruppo "Stato islamico in Iraq e Siria" stia imponendo le disposizioni della dhimmitudine sui cittadini cristiani di al-Raqqa. Inoltre non è sorprendente che ciò che questo gruppo ha fatto sia stato accolto con censura da molti tra i musulmani. ISIS ha riportato in vita un sistema che era stato messo in pratica in molti periodi della storia e che ha molte giustificazioni nella giurisprudenza islamica, che non ammette, né nel passato né oggi, l'uguaglianza dei diritti e dei doveri dei cittadini in uno stato basato sulla legge islamica.

Tale giurisprudenza, anche se pretende di adottare la cittadinanza come la base delle norme, continua a discriminare tra cittadini,  su basi religiose e settarie. Quando alcuni giuristi e pensatori islamici parlano della cittadinanza, li vedi fare eccezioni legislative o riserve per quanto riguarda la partecipazione dei non-musulmani nello stato islamico.
Oggi, le posizioni degli islamisti variano in relazione alla questione dell'applicazione della jizya nei paesi islamici, dove gruppi di "dhimmi"  vivono.  Queste posizioni oscillano tra riportare l’ imposizione della jizya, in quanto è stabilita nel Corano, e cancellare o cambiarne  il  nome se disturba i  cittadini "dhimmi".

Gli Islamisti considerano che  il principio della jizya è una distinzione per il popolo del Libro stabilita nel Corano, che distingue tra gente del Libro – tra cui i cristiani -, e politeisti. Così, mentre il Corano pone i politeisti tra due scelte, o inserirsi  nell'Islam o essere uccisi, chiede  ai cristiani solo di pagare la jizya, in cambio di essere mantenuti sani e salvi. Così essi deducono che l'Islam ha dato solo ai cristiani una distinzione, poiché ha  imposto loro la jizya, mentre comanda ai musulmani di combattere i politeisti fino a che non si sottomettano.

Lo Sheikh Yusuf al-Qaradawi, un pilastro di moderazione, insiste sulla dominanza  delle obbligazioni religiose su eventuali altri legami. Così egli rifiuta  tolleranza e apertura che si basano sul  "diluire" la religione con il pretesto di "nazionalismo o patriottismo" poiché egli ritiene che sia ipocrisia assoluta  far prevalere il legame patriottico o nazionale sul legame di religione o  elevare la laicità sopra il  legame della religione. Per lui, "Non è tollerato per i musulmani il tornare indietro dai decreti della loro religione e dalla legge del loro Signore, nel vanificare i suoi confini e nel dissolvere  il suo stile di vita per il bene delle minoranze non musulmane, in modo da non da farle preoccupare o non ferire i loro sentimenti. "
Per lui, la tolleranza si basa "sul buon vicinato comandato da entrambe le religioni, l'amore del bene per tutti, e l'obbligo di giustizia con tutti."

Lo Sheikh Said Hawwa dei Fratelli Musulmani in Siria, segue esattamente la stessa tendenza quando rifiuta di abbandonare i principi islamici per la preferenza di una formula non-islamica che riunisce insieme musulmani e non musulmani in un unico stato. Egli dice: "I popoli della Umma islamica non abbandoneranno l'Islam. La Storia testimonia. I fatti testimoniano.  E così i non -musulmani hanno una scelta: partire o fare un accordo con i musulmani sulla base di una sola formula. Se si vuole una terza opzione - per i musulmani  abbandonare il  loro Islam - né loro né altri potranno avere questo ".
Hawwa poi avverte i non-musulmani che l'Islam inevitabilmente governerà e così li consiglia di affrettarsi "per trovare le formule per un accordo con i musulmani che piaccia a tutte le parti, prima del giorno in cui venga  imposto unilateralmente loro l'accordo."

Il sistema di dhimmitudine non è un'invenzione di ISIS. Infatti, si trova nel cuore della giurisprudenza islamica. Ora abbiamo un urgente bisogno di innovazioni giuridiche islamiche che ammettano la partnership nazionale e l'uguaglianza totale tra i cittadini senza riserve, siano esse legislative o di qualsiasi altro tipo.

  traduz. FMG

giovedì 6 marzo 2014

La Chiesa sofferente e orante di Damasco riceve la Grande Quaresima




Damasco , 3 marzo 2014



La Chiesa che soffre di Damasco ha celebrato, il 3 Marzo 2014, l'inizio della Grande e Santa Quaresima, nel primo giorno chiamato "Lunedi del Monaco".
 Infatti, i cristiani  un tempo salutavano  i monaci che erano presso di loro e che, in quel giorno, lasciavano i villaggi per recarsi nei deserti e grotte della regione, per fare ritorno il Sabato di Lazzaro e celebrare la Domenica delle Palme e Settimana Santa.       
Diverse parrocchie hanno celebrato questo "Lunedi del Monaco" intorno a mezzogiorno, consumando insieme il piatto popolare chiamato Moujadara (lenticchie e riso), cotto in enormi recipienti.       

Sua Beatitudine il Patriarca Gregorios III ha celebrato il "Lunedi del Monaco" nel villaggio Jdeidit Artouz, vicino a Damasco, dove si sono rifugiate  persone di diverse regioni della Siria, molte delle quali suoi parenti di Daraya. Il parroco, padre Dott. Abboud  Chehade ha invitato i suoi parrocchiani ad accogliere il Patriarca, che ha presieduto la celebrazione della Ora sesta (Sesta), in ricordo della Passione di Cristo, che continua nella sofferenza del popolo siriano.       
Nel suo sermone, il Patriarca ha presentato la sua lettera di Quaresima, intitolata "La grazia del digiuno." Poi, Sua Beatitudine ha visitato la scuola materna della parrocchia e poi ha condiviso il pasto tradizionale quaresimale con i parrocchiani: insalate e Moujadara.
       Molte parrocchie hanno celebrato questo "Lunedi  del Monaco", allo stesso modo, offrendo la  Moujadara a circa 5.000 persone.       
Al Patriarcato, SER Kyr Joseph Absi, arcivescovo vicario patriarcale, ha presieduto una breve preghiera e il pasto di Moujadara offerto da IMAC (presieduto da Ghassan Talab) a circa 500 bambini e giovani.        

Vale la pena ricordare gli ingredienti cucinati nelle pentole giganti: Lenticchie  (50 kg), riso (45 kg), cipolle (20 kg), olio d'oliva (16 litri), olio di girasole (16 litri), cavolo (40 kg), limoni (  20 kg) .
  
Lunedì sera, nelle nostre parrocchie si è  iniziato a celebrare il bell' Ufficio quaresimale della  Grande Compieta, che è conosciuto sotto il nome di una delle sue invocazioni: " Dio Potente, sii con noi".

Ringraziamo il Signore che la Chiesa sofferente di  Damasco diventi la Chiesa orante  per 40 giorni, culminando nella Settimana Santa.  Siamo orgogliosi  che la Chiesa di Damasco si distingua per la sua partecipazione agli Uffici durante la Santa Quaresima. Quasi ogni giorno, quasi tutte le nostre chiese sono pressochè piene.      
 La Chiesa sofferente a Damasco si trasforma in migliaia di mani in preghiera che invocano il Signore per le vittime della guerra, della violenza e del terrore, la pace, la sicurezza, la riconciliazione, l'amore, la stabilità e la fine delle sofferenze di milioni di sfollati, disabili, di feriti, di coloro che sono in lutto.       

Così la Chiesa di Damasco e la Chiesa di tutta la Siria continuano il loro cammino di croce, senza lasciare che  la fiamma della speranza si spenga nei cuori e nelle anime dei loro fedeli, come raccomandato da Sua Santità Papa Francesco, chiamandoci a mantenere "il coraggio della preghiera."       
La Chiesa di Damasco e di tutta la Siria avanza  con coraggio, fede, speranza e carità per la sua strada di croce durante questa Santa Quaresima, nella speranza che risplenda su tutti  i suoi cittadini, in tutte le regioni, l'alba della pace e della risurrezione, e augura a tutti una buona e santa Quaresima.       

 Sua Beatitudine ha elaborato un piano di visite alle parrocchie dell'Eparchia Patriarcale di Damasco durante questo tempo di Quaresima, per incontrare i  sacerdoti e i fedeli. Ad ogni visita, il Patriarca pronuncerà un sermone sulla Quaresima.       
Rapporti e fotografie di queste visite quaresimali saranno pubblicati per accompagnare i parrocchiani nelle loro speranze e dolori, le loro preghiere per la pace nella nostra amata Siria, in Terra Santa, nel Medio Oriente e nel mondo.

http://www.pgc-lb.org/fre/news_and_events/view/Damascus-suffering-and-praying-Church-begins-Great-and-Holy-Lent

martedì 4 marzo 2014

DOPO TRE ANNI DI GUERRA

























Gregorios III Laham, Patriarca melchita di Antiochia, di tutto l'Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme, non ha dubbi: "Se non ci fossero pressioni indebite e milizie straniere nel nostro Paese, i siriani potrebbero risolvere la crisi da soli". 

da SIR , 25 Febbraio 2014
Intervista di Daniele Rocchi
 Cosa salverà la Siria?:  La sua lunga storia fatta di convivenza pacifica dei suoi abitanti, di ogni etnia e fede.
Ginevra 2?:  Dopo tre anni di guerra, il fatto che regime e opposizione si siano in qualche modo parlati è positivo.
Il problema oggi è rappresentato dai miliziani integralisti stranieri che con le armi stanno distruggendo il Paese seminando divisione, oltre agli interessi particolari delle grandi potenze internazionali. 
 


Sul negoziato di Ginevra 2 si erano appuntate tante attese purtroppo andate deluse. Ora si attende un terzo round negoziale, con data da destinarsi...

“Credo che il fatto che si siano tenuti dei colloqui negoziali, anche se le due parti si sono parlate solo indirettamente, è già positivo. Guardando ai tre anni di guerra trascorsi, alle drammatiche condizioni in cui la popolazione, soprattutto ad Aleppo, vive oggi, non deve essere risparmiato nessuno sforzo per compiere anche un minimo passo in avanti. Ginevra 2 è stata percepita positivamente dalla gente siriana che mantiene la speranza in un dialogo possibile. Ora andiamo avanti e preghiamo affinché una nuova data di colloqui possa essere fissata al più presto”.

Di concreto, per ora, c’è solo un accordo minimo per portare aiuti ed evacuare la città di Homs. Un po’ poco, non crede, per guardare con fiducia al futuro?

“L’Occidente deve capire che il Governo non sta lesinando sforzi per aiutare la popolazione. Chi ostacola questa azione sono quelle milizie armate ribelli, costituite da combattenti stranieri, non controllabili dall’opposizione. Quest’ultima è aperta a far passare gli aiuti. Come Chiesa cerchiamo di aiutare quanto più gente possibile, senza distinzione alcuna”.

Sabato scorso, 22 febbraio, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato una Risoluzione che esige pieno accesso umanitario alla popolazione siriana. Crede possa aiutare?
“Penso di sì. Questa decisione, così come l’accordo per evacuare i civili da Homs, significa che l’aspetto umanitario è prioritario nel dossier siriano. Ogni aiuto in questo momento è necessario e dona speranza al popolo. Salutiamo con soddisfazione questa decisione ed esortiamo regime ed oppositori perché facciano di tutto per attuare questa Risoluzione del Consiglio di sicurezza. Purtroppo, si sente ancora parlare di forniture di armi alle fazioni in lotta che non farà altro che allargare il conflitto e aumentare la preoccupazione del popolo”.

Com’è oggi la situazione a Damasco e nelle altre città?
“A Damasco e dintorni negli ultimi due mesi e mezzo la situazione sembra molto più calma, si sentono meno esplosioni. Scuole e università svolgono regolarmente le lezioni. Le attività sociali vanno avanti piuttosto regolarmente. I combattimenti interessano altre zone, come Aleppo, dove la situazione è davvero drammatica”.

Continuano gli attacchi ai cristiani?

“La minaccia di un aggravamento della guerra anche in altre zone del Paese, al Sud per esempio, ci preoccupa non poco. Lì ci sono ancora delle comunità cristiane. Va detto che ad oggi le chiese, i luoghi di culto e i santuari cristiani colpiti, danneggiati o profanati sono 91. Ci sono gruppi di ribelli incontrollabili che si macchiano di gravi violenze contro le nostre chiese. I luoghi di culto non possono essere terreno di battaglia. Ci sono villaggi cristiani ormai spopolati a causa di queste violenze. Lo scopo di questi integralisti è quello di seminare distruzione e divisione tra cristiani e musulmani, interrompendo con la forza delle armi la plurisecolare storia di convivenza pacifica siriana”.

Un legame che esiste ancora, nonostante tre anni di guerra?
“Sì esiste. L’odio tra i siriani è ancora abbastanza lontano. Quel legame storico che unisce siriani di fede islamica e di fede cristiana sembra resistere. Continuo a sostenere che se non ci fossero pressioni indebite e milizie straniere nel nostro Paese, i siriani potrebbero risolvere la crisi da soli. A salvare la Siria sarà la sua storia di pacifica convivenza, ne sono certo, ora più che mai”.

domenica 2 marzo 2014

Raccogliendo aglio e cipolle

da Padre Daniel,
Mar Yakub , 28 febbraio 2014



foto Roald Sieberath

La Siria vive una crisi che offre non solo difficoltà, ma anche qualche opportunità. La Siria soffre, ma è anche diventata più forte interiormente e anche più unita. Questo ha anche ripercussioni sulle relazioni politiche del mondo intero. Quando emerge una cosi detta rivoluzione del popolo in una parte del mondo,  adesso più gente riconosce la manipolazione dello stesso potere mondiale. 

Così anche la nostra comunità è richiusa su se stessa in questa crisi. Ma nello stesso tempo la nostra comunità ha imparato a vivere più intensamente.
      Dalla fine del 2013, abbiamo cambiato 4 volte di nascondiglio. Prima con 14 persone (incluso il  bebé e i bambini) e dopo anche con alcune famiglie musulmane. In una sola stanza, che fungeva da cucina, refettorio, cappella, luogo di lavoro, ricreazione e dormitorio - abbiamo sopravvissuto per un tempo interminabile. Per tutta la notte si traslocava, si faticava, si lavorava con la legna, in modo primitivo, ma molto creativo. 
Due volte siamo stati tutti pronti per partire, ma “felicemente” la situazione era troppo pericolosa per uscire da qui. Voi siete sorpresi che adesso tante cose sono rotte, perse o non–trovate?

 
Per molto tempo non abbiamo avuto mezzi di comunicazione, né acqua, né corrente elettrica. Abbiamo mangiato tanti giorni nello stesso piatto, ma non è grave. Servizi igienici senza acqua è già più difficile. Abbiamo usato secchielli con sabbia fine del deserto. Quando ha cominciato a nevicare forte, siamo stati salvati. Poco dopo è ritornata la corrente e l’acqua, benchè in modo irregolare. Nel frattempo questa situazione miserabile è quasi passata. Solo a volte non c’è corrente. 
Gli edifici non sono crollati, ma tutto é danneggiato. Non possiamo ancora muoverci liberamente sul nostro terreno: è troppo insicuro. Tutto il raccolto è stato fatto dagli altri. L’aglio e le cipolle sono ancora fuori. Le abbiamo selezionate. Tanto raccolto è diventato marcio. Comunque abbiamo impacchettato circa 100 kg di aglio per portarlo a vendere in Libano. Adesso stiamo selezionando le cipolle. 
Il nostro seminario continua. Durante le battaglie  più aspre abbiamo scritto probabilmente le più belle cose con la penna, un poco di carta e sotto la luce delle candele.
 
La convivenza con i musulmani ha favorito la nostra conoscenza reciproca e anche il nostro apprezzamento. Un musulmano ha spiegato il ruolo della Madonna nel Corano e nel Vangelo. Con i frati stiamo preparando un tipo di teologia partendo dall’Islam con la domanda: “Come fare capire Gesù Cristo ai musulmani?”.  I nostri musulmani sono molto interessati a questa ricerca. Loro non cercano le scienze teologiche comparative dell’Occidente che sono oggi di moda come un articolo in un “super-bazar” (= supermercato) o come un prodotto in un self-service individualistico. No, loro vogliono trovare la verità che libera.
 
Noi proviamo a riprendere la vita normale quotidiana. La preghiera e l’Eucaristia non sono mai mancate. Vogliamo riprendere a seminare nell’orto, vogliamo a riprendere a restaurare e riparare e pulire tutto. E vogliamo riprendere anche a dipingere icone. 
foto Roald Sieberath

Anche le lezioni dei bimbi ricominciano, ma... il nostro piccolo vicino, che è un potere mondiale e un superpotere militare, continua a destabilizzare la Siria a tutti costi, il che implica anche pericolo per noi! 
Nonostante e attraverso tutto questo, desideriamo la fine definitiva di questa guerra distruttiva.
 
Di cuore,
Padre Daniel 

giovedì 27 febbraio 2014

TESTIMONIANZA : "Cristiani e musulmani moderati si sentono devastati. Sono raschiati fino all'osso "

Nella "Notte dei Testimoni" organizzata da AED - Aiuto alla Chiesa che Soffre- dal 24 al 28 marzo '14 si  susseguiranno veglie di preghiere e di testimonianze per i cristiani discriminati e uccisi per la loro fede. Tra i testimoni suor Raghida.




 Suor Raghida Al Khouri, in una intervista con l'AED  risponde dolcemente. Ma anche con un velo di tristezza in gola. Evoca la situazione siriana  con discrezione e la sua famiglia con modestia.




"Si mettono tappi per le orecchie ai bambini"

Intervista di Raphaelle Villemain per AED

Ci può ripercorrere il suo cammino personale?
Sono nata a Damasco, in una famiglia di sette figli, ho ricevuto una educazione umana  e cristiana distinta nella fede cattolica. Ho perso mio padre che  amavo tanto quando avevo 14 anni. Custodisco la sua rettitudine, la giustizia e l’ affetto. Ho studiato scienze dell’educazione  a Beirut. E in parallelo, sono entrata presso le Suore della Carità di Besançon, comunità creata nel 1799 dalla Franche-Comtoise  Giovanna Antida Touret. Ho vissuto la guerra libanese ( quanto siriana), nella preghiera e nella accettazione, come una missione che il Signore mi ha chiesto di assumere. Ho ricoperto diversi incarichi, tra cui quello di  insegnante e preside in Libano. Tra il 2005 e il 2008, sono stata inviata in Siria, dove ho guidato la scuola del Patriarcato greco-cattolico di Damasco, e contemporaneamente ero responsabile della comunità. Nel 2008, fui trasferita a Nizza, dove sono assistente responsabile diocesana della ASP (Cappellania pubblica istruzione) e della  pastorale degli studenti.

Come vive l'attuale distanza dai suoi cari?
Torno al mio paese ogni anno per vedere la mia famiglia che è a Damasco (tranne nel 2011 e il 2012). Con gli eventi in corso in Siria, mi sento abbastanza sola. Ogni giorno li chiamo. Ho bisogno di sapere che sono vivi. Siamo in contatto via skype o telefono. La situazione sta peggiorando di giorno in giorno. Penso, come molti, che la pace sembra pura utopia. Eppure io credo che l'utopia di oggi può diventare la realtà di domani, se ci crediamo veramente a livello nazionale ed internazionale, e se, per costruirla, tutti noi ci investiamo tutto il nostro cuore,  tutta la nostra intelligenza . Nulla è impossibile a chi implora con fervore e chiede sinceramente.

Qual è la loro vita quotidiana?
Tutti gridano: " Da dove ci verrà soccorso? ". La loro vita quotidiana è drammatica. Sono tornata da Damasco il 4 maggio. E' impossibile dormire bene. Si sentono costantemente aerei, colpi di arma da fuoco, blindati. Si mettono tappi per le orecchie ai bambini. Quasi tutte le persone indossano il nero, le famiglie sono in lutto. Paradossalmente, la gente è diventata bulimica. Vivono nello stress, la paura, costantemente all'erta. Hanno paura dei sequestri di persona e della cattura di ostaggi (contro riscatti o esecuzioni). Così rimangono a casa a guardare la TV, mangiano, dormono, sono inattivi, ingrassano. La salute generale si deteriora. Sono tutti sull'orlo della depressione. Alcuni hanno cominciato a bere e fumare. Mi chiedono consiglio. Cosa posso dire? Dire loro di restare o andarsene? Dove? In quale paese? Come? Da clandestini, attraverso un contrabbandiere? Perché l'Europa non rilascia visti, sotto qualsiasi pretesto? E con che mezzi? Far parte degli immigrati, degli  irregolari, respinti alla frontiera?

Come è il morale in generale?
Vivono il momento presente, un minuto dopo l'altro. Appena rimbomba troppo, si domandano come se ne andranno, come prepararsi per la partenza. Ma, dato quello che sentono circa la vita dei migranti e dei rifugiati, si dicono che preferiscono morire nel loro paese. Ciò non impedisce di preparare il loro passaporto e quello dei loro figli. Poiché non ci sono più ambasciate europee a Damasco per ottenere un visto, è obbligatorio  andare in Libano. Lì, l'amministrazione richiede almeno 30.000 € di garanzia per persona per il supporto in caso di malattia, rimpatrio, ecc ... il che fa sì  che la maggior parte delle persone rinunci. Due dei miei fratelli dichiarano chiaramente che non andranno mai via e che, se dovessero morire presto, sarà sul suolo siriano. Gli altri sono in discernimento.


Dilemma  ...
Non c’è più alcun luogo che sia sicuro, neanche nelle campagne. Parte degli aiuti inviati non  arriva  a destinazione.  E’ venduta nel passaggio. La corruzione ha infiammato i prezzi, mentre tutto il sistema sanitario e delle infrastrutture socio-economiche è abbattuto. I farmaci sono stati rubati. Di contro, un certo numero di persone che erano andate a cercare rifugio in Libano o in Giordania è rientrato. Esse preferiscono essere a casa nell’ insicurezza piuttosto che ammassate nei campi, subire l'umiliazione, con la scabbia, i pidocchi, malattie ecc. I nostri fratelli vivono l'Apocalisse! E' sufficiente avere pietà del loro smarrimento? Come aiutarli?  Questa è la domanda che mi pongo ogni momento ...

Lei ha parlato al raduno Diaconia a Lourdes, ma il microfono le è stato ritirato rapidamente. Che cosa è accaduto?
In Francia, c'è una vera incomprensione e disinformazione sulla situazione attuale. Ogni volta che ascolto le informazioni qui, le cose sono unilaterali e mal spiegate. I canali informativi parlano come uno che ripete una recitazione importata, copia e incolla che non ha alcun rapporto con la realtà. Penso che gli organizzatori hanno avuto paura di un conflitto davanti alla  mia esposizione. 
Ci deve essere una parola di verità, una parola di fede. Si deve dire che come i nostri fratelli soffrono. Tutti i nostri fratelli siriani, ma soprattutto i cristiani, si sentono abbandonati. Dobbiamo ricordare che noi pensiamo a loro, li portiamo nelle nostre preghiere. I cristiani sono una piccola minoranza. Si sentono minacciati perché sono contro la violenza, e là, la neutralità non è accettata. Neppure  tra i musulmani. Uno Sheikh è stato assassinato il 21 marzo 2013 a Damasco perché era un uomo di grande integrità, moderato, lontano da ogni estremismo distruttivo, Mohammad Saeed Al Ramadan Bouti.

Lei da che parte sta?
Io sono dalla parte della giustizia e della pace. Un cristiano non può pensare in termini di violenza. Se uno ama il proprio paese, non  può stare dalla parte di coloro che sostengono la violenza. Nell’ opposizione al regime, le cose vengono fatte senza controllo e senza gerarchie . Una parte dell'opposizione è delusa perché è stata recuperata dagli islamisti. Occorre servire la riconciliazione tra le due parti, e ridare dignità ad ogni individuo. Non possiamo continuare a inviare armi e denaro, si deve andare alla democrazia in modo umano , civile e non violento.

Lei sente un vero e proprio degrado nella risoluzione del conflitto?
Non si è imparato niente dalla storia. Guardate l'Iraq. La situazione non è migliorata. Guardate la Libia. La democrazia è arrivata? In Egitto, la situazione è sempre più critica per i moderati. Quando sono tornata in Siria dopo 20 anni di assenza, nel 2005, c’era un grande balzo in avanti, economico, sociale, culturale, educativo. Le persone viaggiavano giorno e notte, in modo sicuro. Le classi medie possedevano un’ auto, le ragazze potevano vestirsi come volevano senza essere molestate. Oggi sono in maniche lunghe e non indossano gioielli. Tutto deve essere ricostruito. 
Nel 21 ° secolo, è impensabile usare la violenza per raggiungere la democrazia. Oggi, io scelgo per una rivoluzione pacifica basata sul dialogo e la negoziazione.

Qual è il ruolo della fede?
Mio fratello, che è un tassista, continua a lavorare per guadagnarsi il pane. Ogni mattina, egli si affida al Signore e si fa il segno della croce quando esce di casa. Quando torna,  rende grazie per essere sano e salvo. Ero a Damasco al momento della Pasqua ortodossa. E' stato triste da piangere. Non c'era gioia sui  volti. Il governo aveva sconsigliato raduni. Di solito le chiese sono piene e si fanno processioni per le strade. Quest'anno, alcune persone si sono fermate timidamente con rami di ulivo. Le persone sono in un dilemma permanente tra andare e stare, tra  fiducia e disperazione. Penso, con tutti coloro che come me credono, che il Signore è con noi. Egli ci farà giustizia. Seguendo il percorso della Croce e la Croce, ci sarà la risurrezione. Prego per tutte le persone, specialmente coloro che hanno il potere e che dirigono il tutto. Che il Signore li  illumini. Siamo sicuri che Egli ci libererà. Ed Egli ci accoglierà  se è l'ora della nostra morte.

martedì 25 febbraio 2014

Il Papa: bimbi affamati nei campi profughi e i fabbricanti d'armi fanno festa

piccolo rifugiato siriano in Libano


Bimbi affamati nei campi profughi, mentre i fabbricanti d’armi fanno festa nei salotti...

E’ l’immagine forte che Papa Francesco ha evocato nella Messa di stamani a Casa Santa Marta. Tutta l’omelia del Pontefice è stata un accorato appello per la pace e contro ogni guerra, nel mondo come in famiglia. Il Papa ha ribadito che la pace non può essere solo una “parola” e ha esortato tutti i cristiani a non “abituarsi” allo scandalo della guerra. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 Radio Vaticana, 25-02-2014

Da dove vengono le guerre e le liti in mezzo a voi? Papa Francesco ha preso spunto dalla Lettera dell’Apostolo Giacomo, nella Prima Lettura, per levare una vibrante condanna di tutte le guerre. E commentando i litigi tra i discepoli di Gesù per chiarire chi fosse il più grande tra loro, ha subito evidenziato che quando “i cuori si allontanano nasce la guerra”. “Ogni giorno, sui giornali, troviamo guerre – ha constatato con amarezza – in questo posto si sono divisi in due, cinque morti”, in un altro luogo altre vittime:

“E i morti sembrano far parte di una contabilità quotidiana. Siamo abituati a leggere queste cose! E se noi avessimo la pazienza di elencare tutte le guerre che in questo momento ci sono nel mondo, sicuramente avremmo parecchie carte scritte. Sembra che lo spirito della guerra si sia impadronito di noi. Si fanno atti per commemorare il centenario di quella Grande Guerra, tanti milioni di morti… E tutti scandalizzati! Ma oggi è lo stesso! Invece di una grande guerra, piccole guerre dappertutto, popoli divisi… E per conservare il proprio interesse si ammazzano, si uccidono fra di loro”.

“Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?”, ribadisce il Papa. “Le guerre, l’odio, l’inimicizia – ha risposto – non si comprano al mercato: sono qui, nel cuore.”
Ha così ricordato che quando da bambini, nel catechismo, “ci spiegavano la storia di Caino e Abele, tutti noi eravamo scandalizzati”, non si poteva accettare che uno uccidesse il fratello. Oggi, però, “tanti milioni si uccidono tra fratelli, fra di loro. Ma siamo abituati”. La Prima Guerra Mondiale, ha detto ancora, “ci scandalizza, ma questa grande guerra un po’ dappertutto”, un po’ “nascosta, non ci scandalizza! E muoiono tanti per un pezzo di terra, per una ambizione, per un odio, per una gelosia razziale”.
“La passione – ha soggiunto – ci porta alla guerra, allo spirito del mondo”:
“Anche abitualmente davanti a un conflitto, ci troviamo in una situazione curiosa: andare avanti per risolverlo, litigando. Col linguaggio di guerra. Non viene prima il linguaggio di pace! E le conseguenze? Pensate ai bambini affamati nei campi dei rifugiati… Pensate a questo soltanto: questo è il frutto della guerra! E se volete pensate ai grandi salotti, alle feste che fanno quelli che sono i padroni delle industrie delle armi, che fabbricano le armi, le armi che finiscono lì. Il bambino ammalato, affamato, in un campo di rifugiati e le grandi feste, la buona vita che fanno quelli che fabbricano le armi”.

“Cosa succede nel nostro cuore?”, ha ripetuto. L’Apostolo Giacomo, ha detto il Papa, ci dà un consiglio semplice: “Avvicinatevi a Dio ed Egli si avvicinerà a voi”. Quindi, ha avvertito che “questo spirito di guerra, che ci allontana da Dio, non è soltanto lontano da noi” è “anche a casa nostra”:
“Quante famiglie distrutte perché il papà, la mamma non sono capaci di trovare la strada della pace e preferiscono la guerra, fare causa… La guerra distrugge! ‘Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Forse non vengono dalle vostre passioni?’. Nel cuore! Io vi propongo oggi di pregare per la pace, per quella pace che soltanto sembra sia diventata una parola, niente di più. Perché questa parola abbia la capacità di agire, seguiamo il consiglio dell’Apostolo Giacomo: ‘Riconoscete la vostra miseria!”.

Quella miseria, ha proseguito, da cui vengono le guerre: “Le guerre nelle famiglie, le guerre nel quartiere, le guerre dappertutto”.
“Chi di noi ha pianto – ha domandato ancora – quando legge un giornale, quando in tv vede quelle immagini? Tanti morti”. “Le vostre risa – ha detto riprendendo l’Apostolo Giacomo – si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza…”.
Questo, ha detto, “è quello che deve fare oggi 25 febbraio” un “cristiano davanti a tante guerre, dappertutto”: “Piangere, fare lutto, umiliarsi”.
“Il Signore – ha concluso – ci faccia capire questo e ci salvi dall’abituarci alle notizie di guerra”.

http://www.news.va/it/news/il-papa-bimbi-affamati-nei-campi-profughi-e-i-fabb

lunedì 24 febbraio 2014

'Risoluzione per aiuti umanitari'...: sostenere chi già è presente e opera!

" I cristiani li andiamo a cercare e non ci scusiamo per questo"

«Per favore, Santo Padre, lei è probabilmente l’unica persona sulla terra che può porre fine a questa guerra, per favore faccia qualcosa per arrivare alla pace»: dai cristiani ce lo aspettiamo, ma che da così tanti musulmani si levi questa supplica ....


da: Terrasanta. net
di Manuela Borraccino 

intervista a  Monsignor John E. Kozar, segretario generale della Cnewa.


 «Andiamo a cercare i cristiani per aiutarli ovunque si trovino, e non ci scusiamo per questo: del resto assistiamo tutti, senza distinzione. Non chiudiamo la porta in faccia a nessuno», rimarca in un colloquio con Terrasanta.net mons. John E. Kozar (67 anni, statunitense), dal giugno 2011 segretario generale dell’Associazione per l’assistenza ai cattolici del Vicino Oriente (Catholic Near East Welfare Association, Cnewa), braccio umanitario della Santa Sede per i cristiani mediorientali, nonché d’Etiopia, Eritrea e India.
Monsignor Kozar, qual è la visione d’insieme che emerge dalle vostre attività regionali?
La crisi siriana sta avendo un impatto enorme su tutte le nostre missioni: c’è un afflusso continuo di rifugiati in Libano e in Giordania, siamo preoccupati per il peggioramento delle condizioni dei rifugiati iracheni e palestinesi che già seguivamo, e per l’instabilità in alcune regioni dell’Egitto. È una situazione di sofferenza intollerabile: stiamo parlando di quasi tre milioni di rifugiati, nove milioni di sfollati interni, un milione e 200 mila bambini che sono stati separati dalle loro famiglie, 12 mila bambini uccisi…

Che impressione ha tratto dai recenti colloqui avuti in Vaticano?
Questa guerra va fermata per le conseguenze incalcolabili su tanti piani diversi. Non c’è solo l’assassinio di un popolo con lo scontro fra i cosiddetti ribelli e i fedeli al regime. Così tante potenze esterne sono coinvolte in questa guerra… con danni interni, per il degrado dei rapporti fra le varie comunità; danni esterni, per il deterioramento dei rapporti internazionali; danni economici, per la distruzione e la povertà che la guerra ha creato; danni ecologici per la siccità e la carestia, con il rischio di far morire di fame migliaia di persone; danni religiosi, per il conflitto fratricida fra sunniti e sciiti e le altre minoranze non musulmane.

Cosa l’ha colpita dei resoconti ascoltati?
Personalmente sono rimasto molto impressionato dalla testimonianza dell’arcivescovo caldeo di Aleppo, mons. Antoine Audo, che ha messo davanti ai nostri occhi le emergenze pastorali che tutto ciò sta creando. Ci ha raccontato della collaborazione fra cristiani e musulmani per salvare il maggior numero di vite possibile e degli appelli che si levano dalla popolazione. Mi ha colpito che le vere vittime di questa guerra, le persone più povere - non solo i cristiani ma anche tantissimi musulmani - gli stiano chiedendo di portare al Papa questo messaggio: «Per favore, Santo Padre, lei è probabilmente l’unica persona sulla terra che può porre fine a questa guerra, per favore faccia qualcosa per arrivare alla pace». Dai cristiani ce lo aspettiamo, ma che da così tanti musulmani si levi questa supplica è molto significativo della considerazione che questo Papa si è conquistato in pochi mesi, come autorità morale mondiale.

Pensa che sia realistico il raggiungimento di un cessate il fuoco totale e una cessazione del traffico di armi, come chiesto a più riprese dalla Santa Sede?
Io resto moderatamente ottimista, pur non ritenendomi un ingenuo. È chiaramente l’unica cosa da fare per tutte le parti coinvolte, poiché non c’è una soluzione militare alla crisi siriana. Le dirò di più: l’appello rivolto dal Vaticano è il segno del multiforme impegno messo in campo dalla Santa Sede a tutti i livelli - non solo umanitario ma anche politico, diplomatico, del dialogo interreligioso - per arrivare a una soluzione. Lo si è visto fin dalla decisione personale di Papa Francesco di indire una giornata di preghiera e di digiuno per la pace, lo scorso 7 settembre. Questo Papa, in particolare, sembra aver toccato il cuore di tutti, io spero anche dei più estremisti. Egli chiede alla Chiesa di essere parte del dialogo di riconciliazione nazionale. La Chiesa sta facendo tantissimo sul piano umanitario, ma è urgente che dalla conferenza di Ginevra emerga una soluzione politica e diplomatica.

C’è qualcosa di distintivo che viene fatto per i rifugiati cristiani siriani?
Molti siriani non vogliono registrarsi nei campi profughi delle agenzie umanitarie e i cristiani per loro scelta e cultura non vogliono stare nelle tende: non si sentono a loro agio, preferiscono cercare rifugio da amici e parenti. In Libano, in particolare, dove già avevamo delle attività per i 400 mila rifugiati palestinesi e dove il governo non permette di costruire dei campi, li raggiungiamo nelle case e nelle parrocchie dove si trovano, attraverso la rete di sacerdoti maroniti, siriaci, ortodossi con cui collaboriamo. I cristiani li andiamo a cercare e non ci scusiamo per questo: del resto non chiudiamo la porta in faccia a nessuno e non rifiutiamo aiuti a nessuno. Anzi in vari Paesi molte nostre attività, in particolare quelle socio-sanitarie, servono al 90 per cento dei musulmani: perciò non chiediamo scusa per cercare i cristiani. Il nostro compito è quello di accompagnare le Chiese locali nel far fronte ai bisogni delle persone, e da sempre facciamo del nostro meglio perché i cristiani restino in Medio Oriente: dopotutto è un loro diritto fondamentale e una richiesta legittima dal punto di vista storico, giuridico, morale, culturale e spirituale.

Come li state aiutando ad affrontare questo periodo di gravi disagi?
Con l’aiuto di tanti eroiche suore e sacerdoti, cerchiamo di portare a tutti conforto e protezione e di preservare la dignità delle persone, che è la loro prima richiesta di base. Cerchiamo di fornire istruzione, che riteniamo fondamentale per la ricostruzione umana e materiale dopo la guerra, e di insegnare la cittadinanza: già insegnare ad essere buoni cittadini, diffondere la dottrina sociale della Chiesa, è un grande aiuto in questi Paesi.

In Iraq la Chiesa porta avanti da anni una battaglia di civiltà sul rispetto degli uguali diritti di cittadinanza per tutti. Ma finora i risultati sono scarsi…
L’Iraq è un’altra catastrofe e un motivo di dolore per tutti noi. L’intervento del mio Paese è andato nel peggiore dei modi: tutto ciò che di male poteva accadere, è accaduto. Gli scenari peggiori si sono realizzati e vediamo ora ripetersi per i cristiani siriani quello che è accaduto ai cristiani iracheni, costretti a fuggire. Le sfide sono per molti versi simili, sia in Iraq che in Siria.


Quali sono per lei i segnali di speranza?
Quello che mi fa ben sperare è l’aver visto con i miei occhi in ogni parte del mondo - non solo in Medio Oriente ma anche in Africa e in India - gli effetti della presenza delle nostre eroiche suore. La maternità, la tenerezza, la protezione, la fiducia che esse ispirano ha un valore inestimabile: riescono a infondere, anche nei conflitti più violenti, un senso di calma e di sicurezza che restituisce a bambini, anziani e adulti il senso di umanità perduto per le atrocità che hanno vissuto. Per me le suore rappresentano la prima linea della Chiesa, per così dire le sue truppe di fanteria. Non cercano riconoscimenti e sono pronte a morire per difendere i loro piccoli: lontano dall’Occidente, spesso sono l’unica esperienza cristiana per molti non cristiani. L’abbiamo visto anche con le 12 religiose sequestrate a Maalula, con i tre sacerdoti e i due arcivescovi rapiti in Siria: anche nelle situazioni più disumane, restano fedeli alla loro missione senza arretrare di un centimetro.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6020&wi_codseq=SI001 &language=it

venerdì 21 febbraio 2014

Usa e Arabia Saudita di nuovo assieme... per l'offensiva di primavera?



 da: La Nuova Bussola Quotidiana, 21-02-2014
di Gianandrea Gaiani

Nonostante il supporto saudita ai gruppi armati qaedisti jihadisti, Washington ha rinsaldato nelle ultime settimane l’intesa con Riyadh per ridare slancio alla rivolta siriana anti-Assad puntando nuovamente sui “moderati” sull’Esercito Siriano Libero. La formazione militare che diede il via alla rivolta contro il regime di Damasco raccogliendo migliaia di disertori sunniti che avevano lasciato l’esercito regolare è stata schiacciata nel centro nord del Paese dalle forze estremiste islamiche dei movimenti al-Nusra e Stato islamico di Iraq e Levante. Sul fronte meridionale, dove i ribelli vengono alimentati dagli aiuti che affluiscono sul confine giordano, l’ESL ha ancora  quasi l’esclusiva nella guerra contro Assad ed è qui che sembrano puntare sauditi e statunitensi per sbloccare il conflitto dopo il fallimento dei colloqui tra regime e opposizioni di Ginevra.

Due gli elementi che sembrano indicano questi sviluppi. Il più recente lo ha raccontato ieri il quotidiano panarabo al-Hayat, edito a Londra, che citando fonti dei ribelli ha riferito di 3 mila miliziani siriani ostili al regime di Damasco e ai movimenti estremisti islamici addestrati negli ultimi otto mesi dalle forze americane nel nord della Giordania in cooperazione con l'esercito di Amman e altri non meglio precisati eserciti arabi. Il giornale cita anche il leader di una brigata ribelle siriana, Ali Rifai, operativo nella regione meridionale di Daraa confinante con la Giordania, secondo il quale l'addestramento di migliaia di ribelli siriani definiti "moderati" dura da 8 a 12 giorni in basi militari dell'esercito giordano. L'addestramento è monitorato da ufficiali statunitensi e si concentra sull'uso di armi leggere e medie, come missili antiaerei e anticarro giunti recentemente dalla Giordania. 
La presenza di campi d’addestramento per l’ESL gestiti in Giordania da personale statunitense non è una novità ma il numero di miliziani che hanno ricevuto un addestramento basico da fanteria e specialistico circa l’uso di alcune armi dimostra cosa bolla in pentola.

Il secondo elemento risale a lunedì scorso quando fonti diplomatiche arabe e alcuni leader dell’opposizione siriani hanno riferito al Wall Street Journal che l’Arabia Saudita sta fornendo per la prima volta in modo ufficiale missili antiaerei e anticarro ai ribelli siriani. 
Si tratterebbe di missili contraerei portatili FN-6 di fabbricazione cinese e missili guidati anticarro russi Konkurs. Armi, soprattutto gli FN-6, che l’Occidente non vorrebbe vedere in mano ai ribelli per il timore che possano finire a milizie qaediste che potrebbero usarli contro aerei civili a scopo terroristico.

Un alto funzionario dell’amministrazione, contattato dal Wsj, ha ribadito l’opposizione di Washington alla consegna di queste armi ai ribelli che oggi da Washington ricevono  maggiori aiuti finanziari inclusi milioni di dollari necessari a pagare gli stipendi ai miliziani. 
La posizione statunitense (1) pare però contraddittoria perché i missili sarebbero in arrivo attraverso la Giordania a quanto precisato da una fonte diplomatica occidentale, e sono quindi destinati a quel fronte meridionale dove l’ESL riceve aiuto e addestramento dagli americani.

In questo settore i ribelli stanno preparando un’offensiva contro i quartieri meridionali di Damasco riconquistati negli ultimi mesi dai lealisti. L’obiettivo di Washington e Riad  sembra essere quello di far guadagnare posizioni ai ribelli “affidabili” per costringere il regime a negoziare con loro una soluzione politica del conflitto. Il Fronte meridionale è guidato da Bashar al-Zoubi, considerato in diretto contatto con le agenzie di intelligence occidentali e arabe.

La rinnovata intesa tra statunitensi e sauditi sulla crisi siriana sembra confermata anche dalla decisione di Riad di affidare Riad ha affidato la gestione della crisi siriana al ministro degli Interni, il principe Mohammed bin Nayef (gradito a Washington per il suo impegno contro al-Qaeda), estromettendone il potente capo dell'intelligence, principe Bandar bin Sultan. La notizia è riportata ancora una volta dal Wall Street Journal che cita consiglieri della famiglia reale saudita, sottolineando come l'avvicendamento apra la strada a una normalizzazione dei rapporti con Washington, dopo le tensioni emerse negli ultimi mesi tra i due alleati sulla strategia da seguire in Siria. Secondo fonti americane l’avvicendamento potrebbe favorire anche un maggior impegno saudita contro i miliziani jihadisti.

Al di là degli intenti dei sostenitori dei ribelli, sul campo di battaglia siriano sono però le forze lealiste a registrare successi. Nei giorni scorsi gli uomini di Assad hanno riconquistato Maan, il villaggio alauita (sciita) nella provincia centrale di Hama teatro il 9 febbraio scorso di una vera e propria carneficina di civili da parte dei miliziani jihadisti.

Offensiva dei governativi (e degli hezbollah libanesi loro alleati) anche su Yabrud, ultima importante località in mano ai ribelli delle brigate islamiste e dei jihadisti del Fronte al-Nusra nei pressi del confine libanese. Le difficoltà militari dei ribelli hanno riflessi anche sulla tenuta dello stesso Esercito Siriano Libero il cui comandante militare, il generale Selim Idriss, è stato destituito domenica scorsa per gli “errori e la disattenzione” nella conduzione guerra battaglia e per la “scarsa distribuzione delle armi” fra i ribelli.

Idriss, in carica dal dicembre 2012, è stato sostituito con il colonnello Abdelilah al-Bashir promosso generale di brigata. Una destituzione respinta però dallo stesso Idriss e dai cinque comandanti delle brigate che chiedono la “ristrutturazione totale” della catena di comando dell’ESL. Le forze “moderate” su cui punta Washington per rovesciare Assad non sembrano in grado neppure di mettersi d’accordo su chi deve comandare le operazioni militari. 
Una situazione che facilita da un lato le offensive di Assad e dall’altro rafforza le milizie islamiste e qaediste come unica forza militare credibile tra i ribelli.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-usa-e-arabia-saudita-di-nuovo-assieme-8499.htm 

[1] “Spymasters gather to discuss Syria”, par David Ignatius, Washington Post, 19 février 2014.

http://www.washingtonpost.com/opinions/david-ignatius-regional-spymasters-make-tactical-changes-to-bolster-syrian-moderates/2014/02/18/5d69596c-98f0-11e3-b931-0204122c514b_story.html



"pronti all'offensiva di primavera" per il controllo di Damasco

  

da: Papaboys 3.0
di Francis Marrash

I terroristi che operano nella parte meridionale della Siria stanno organizzando una “offensiva di primavera” contro Damasco. 
Secondo fonti del governo e dell’opposizione, all’interno di questa offensiva è previsto lo spiegamento di quei combattenti che sono stati addestrati dalle forze occidentali in Giordania. 
Allo stesso tempo l’esercito regolare siriano sta riposizionando le proprie truppe nella provincia di Quneitra, nei pressi del confine israeliano, e punta a fermare l’avanzata dei ribelli a Daraa. 
Dal canto suo, il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha dichiarato che “solo i colloqui di Ginevra” possono portare la pace nel Paese e ha invitato “tutte le parti in causa” a tornare al tavolo del dialogo dopo il fallimento del secondo round di incontri. 

Sul campo si teme l’arrivo di migliaia di ribelli addestrati dagli Stati Uniti. Abdullah al-Qarazi, ex ufficiale dell’esercito regolare e oggi comandante ribelle, ha messo in chiaro che l’offensiva ci sarà: “La provincia di Daraa è il cancello di Damasco. È da qui che inizia la battaglia per la capitale”. Per ora, ha aggiunto, “abbiamo solo la garanzia che le armi arriveranno da quelle nazioni che sostengono la rivolta contro Assad. Se le promesse saranno onorate, a Dio piacendo arriveremo nel cuore della capitale”. 
Dall’estate del 2013, i ribelli possono vantare il controllo di parti della città di Daraa e di alcune posizioni strategiche nei pressi del confine giordano: queste potrebbero divenire il corridoio per il passaggio delle armi. Inoltre hanno formato una coalizione composta da 47 fazioni e aperto canali di comunicazione con i combattenti della provincia di Damasco e con quelli che lottano a Quneitra, nel Golan. 
Da parte sua, l’esercito regolare non ha intenzione di cedere: secondo un funzionario del governo, “tutto è pronto” per la battaglia di Daraa. 

http://www.papaboys.org/siria-i-terroristi-pronti-alloffensiva-di-primavera/