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mercoledì 15 gennaio 2014

Memorie di Aleppo perduta



Arrivano notizie da Aleppo, sempre più tragiche, sempre più angoscianti. E giorno dopo giorno si scava dentro di me un’assenza, una privazione. Mitica Aleppo della mia giovinezza... 
Lo zio Zareh abitava di fronte alla cittadella, e aprire le finestre alla mattina significava immergersi in un’atmosfera di Medioevo ancora vivo: non gli scenari aggiustati e corretti di un film hollywodiano in costume, ma la realtà concreta di mendicanti e cavalieri, di stracci dimenticati su una soglia e di donne accovacciate per terra, che vendevano le loro povere cose (frutta, oggetti, latte condensato), distese su un tappetino bisunto. Le cugine venivano a svegliarmi con un appetitoso vassoio di caffè, latte e cioccolata, marmellata di rose, brioche e panini dolci. Mi avevano sistemato in una camera orientaleggiante, con tende oscure alle finestre e un ampio, sontuoso letto a baldacchino (ahimè abitato da innumerevoli famiglie di ragni, che scendevano piano piano appena spegnevo la luce: dopo una prima notte di incubi, dormii sempre raggomitolata sotto il lenzuolo).

Poi andavamo in esplorazione, io e le sette cugine. Furono giorni felici di passeggiate interminabili nell’antica città, con brevi soste nella quiete ombrosa di qualche caffè, ammirando le facciate delle case, le rose rampicanti, i grandi portoni austeri e le vezzose finestre con le persiane dipinte. Era il mese di maggio, il calore non ancora fortissimo, un intossicante profumo di gelsomini in fiore (ma anche, a volte, di decomposizione...). E poi andavamo nel suk, e ci perdevamo nei suoi immensi corridoi a volta, intrisi di aromi d’Oriente. Le mille spezie dai colori intensi, i venditori di salsiccette arrostite coi loro trespoli e la merce illuminata da una minuscola lampada ad acetilene, gli antri dei venditori di tappeti dall’odore secco e polveroso, che mi facevano venire in mente il deserto d’Arabia e le infinite strade percorse dai lenti cammelli per portarli fin là. Accettavamo volentieri un caffè e un dolcetto da monsieur Ibrahim, amico di vecchia data di zio Zareh e di Alice, la sua bella, maestosa moglie assira. Le cugine si perdevano in chiacchiere, nel melodioso francese aleppino; io stavo seduta su un tappeto, respirando con gioia quella misteriosa atmosfera. E un giorno lo zio ci raggiunse, ci portò dai venditori di gioielli e mi regalò un braccialettino di filo d’oro. 
Zio Zareh è morto tanti anni fa, e anche zia Alice. Le cugine sono emigrate. Stanno fuggendo gli armeni di Aleppo, e la città sta morendo. I bombardamenti dalla terra e dall’aria l’hanno rasa al suolo, mi dicono i profughi. E il mio cuore piange.


di Antonia Arslan

http://www.luoghidellinfinito.it/Rubriche/Pagine/memorie-di-aleppo.aspx




suor Rima Nasri , in un corso di iconografia con Andres Bergamini

http://oraprosiria.blogspot.it/2013/01/non-dimenticate-suor-rima-e-le.html



15 Gennaio: è trascorso un anno dal terribile attentato all'Università di Aleppo:cara Suor Rima, dal Cielo intercedi per la tua amata Aleppo e per la Pace in Siria!

martedì 14 gennaio 2014

Dal Vaticano, sguardo colmo di realismo e cuore spalancato

Statement del Workshop "Siria: si può restare indifferenti?"

syriastatement


Deliberazioni del Workshop della Pontificia Accademia delle Scienze sulla crisi in Siria e sulle speranze in vista della Conferenza di Ginevra II

Per Sua Santità Papa Francesco

13 gennaio 2014

L'orrore della violenza e della morte in Siria hanno condotto il mondo a una rinnovata riflessione, e quindi a una nuova possibilità di pace. La Conferenza di Ginevra II, che si terrà il 22 gennaio, permette al popolo siriano, alla regione e al mondo intero di concepire un nuovo inizio per porre fine alla violenza che ha provocato oltre 130.000 morti e ha lasciato un paese bellissimo nella rovina e nel caos. Dobbiamo perciò operare tutti in armonia e fiducia per tracciare urgentemente un percorso di riconciliazione e ricostruzione.

Il passo iniziale e più urgente, che trova d’accordo tutti gli uomini e le donne di buona volontà, è l’immediato cessate il fuoco e la fine di ogni tipo di violenza: una fine senza precondizioni politiche. Tutti i combattenti interni della regione devono deporre le armi; tutte le potenze straniere devono adottare misure immediate per fermare il flusso di armi e il finanziamento delle stesse, che alimenta l'escalation della violenza e della distruzione. La cessazione immediata della violenza è nell'interesse di tutti. È un imperativo umanitario, e rappresenta il primo passo verso la riconciliazione.

La fine dei combattimenti dev’essere accompagnata dall'avvio immediato dell’assistenza umanitaria e della ricostruzione. Milioni di siriani si trovano nella condizione di profughi. Innumerevoli sono i rifugiati, alloggiati temporaneamente presso i campi dei paesi confinanti. Questi profughi patiscono privazioni estreme e potenzialmente letali in termini di alimentazione, acqua potabile, servizi igienici, elettricità, ricovero sicuro, telecomunicazioni, trasporti, e altri bisogni umani fondamentali necessari per il buon funzionamento di ogni società. Facciamo in modo che la Siria possa intraprendere, con il pieno sostegno finanziario e umano mondiale, un percorso di ricostruzione, uno che possa iniziare ancor prima che siano risolte tutte le questioni politiche e sociali.

In questa ricomposizione essenziale i giovani e i poveri devono avere un ruolo privilegiato, con l’accesso al lavoro e ad una formazione che dia loro le competenze vitali per la ricostruzione. L'economia siriana è al collasso e la disoccupazione giovanile è dilagante. La rioccupazione dei giovani non solo soddisferà i bisogni materiali immediati, ma anche le urgenti esigenze sociali e personali. In questo modo, l'inizio della ricostruzione materiale può avere un ruolo ai fini delle urgenti necessità che la sopravvivenza comporta.

Il dialogo tra le comunità e la riconciliazione devono occuparsi inoltre dei bisogni urgenti di ricostruzione spirituale e comunitaria. La Siria ha una lunga, complessa e meravigliosa tradizione di pluralismo delle religioni, delle etnie e delle culture. La Santa Sede si impegna a sostenere tutte le fedi religiose e le comunità in Siria, per raggiungere una nuova comprensione e un ripristino significativo della fiducia, dopo anni di violenze tra comunità.

È risaputo che la guerra in Siria ha tratto la sua violenza dai conflitti e dalla profonda sfiducia nella regione. Come molti hanno notato, il conflitto in Siria ha avuto a che fare più spesso con le rivalità dei poteri regionali e internazionali che non con i conflitti all'interno della comunità siriana stessa. Da un lato, questo è promettente. Il popolo siriano ha convissuto in pace nel corso della storia, e può tornare a farlo. D'altra parte, i conflitti regionali che hanno travolto la Siria vanno affrontati al fine di creare le condizioni per una pace duratura.

Ginevra II, per poter gettare le basi per la pace nella regione,  deve garantire la partecipazione inclusiva di tutte le parti del conflitto, sia all'interno della regione che oltre. È particolarmente degno di nota il recente accordo tra l'Iran e i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania, per raggiungere un consenso sul programma nucleare iraniano. Questo accordo interinale dà al mondo la grande speranza che il periodo prolungato di grave sfiducia tra l’Iran e altre nazioni della regione e oltre possa ora essere seguito da una nuova era di fiducia e persino di cooperazione. Il successo di questo nuovo accordo potrebbe inoltre fornire la base essenziale per una pace duratura in Siria, cosa che avverrebbe anche nel caso di un passo avanti nei negoziati di pace israelo-palestinese in corso, facilitati dagli Stati Uniti.

Sono questi, perciò, i presupposti di una pace duratura: la cessazione immediata della violenza; l'avvio della ricostruzione; il dialogo tra le comunità; i progressi nella risoluzione di tutti i conflitti regionali; e la partecipazione di tutti gli attori regionali e globali al processo di pace di Ginevra 2. Essi forniscono una base di sicurezza e di ricostruzione su cui costruire una pace duratura. In Siria, inoltre, sono necessarie nuove forme politiche al fine di garantire la rappresentanza, la partecipazione, la riforma, la possibilità di parlare e la sicurezza per tutti i gruppi sociali. È necessaria anche una trasformazione politica. Non si tratta di un presupposto per porre fine alla violenza; piuttosto, andrà di pari passo alla cessazione della violenza e alla ricostruzione della fiducia.

Infine, come ha affermato Papa Francesco nel settembre dello scorso anno,1 in occasione di una veglia di preghiera per la pace:
Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani e i fratelli delle altre Religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace! Ognuno si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello, e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro!

1 Papa Francesco, Veglia di preghiera per la pace, 7 settembre 2013

Firmatari
Jean-Louis Pierre Cardinal Tauran
S.E. Generale Gianalfonso d'Avossa
S.E. Mons. Antoine Audo
Rev. P. Miguel Angel Ayuno Guixot, MCCJ
S.E. Amb. Juan Pablo Cafiero
Prof. Wolfgang Danspeckgruber
Rev. P. Hyacinthe Destivelle, O.P.
Rev. Aleksej Dikarev
S.E. President Mohamed ElBaradei
Prof. Joseph Maïla
S.E. Presidente Thierry de Montbrial
Prof. Miguel Ángel Moratinos
Prof. Jeffrey Sachs
S.E. Mons. Marcelo Sánchez Sorondo
S.E. Mons. Silvano M. Tomasi, C.S.
Prof. William F. Vendley
Dott.. Thomas Walsh
Dott.. Miguel Werner

http://www.casinapioiv.va/content/accademia/it/events/2014/syria/statement.html

lunedì 13 gennaio 2014

"Occorre ora una rinnovata volontà politica comune per porre fine al conflitto" : il Papa al Corpo Diplomatico

Dal discorso di papa Francesco al Corpo Diplomatico

 13 gennaio 2014

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"Serve, invece, un impegno comune di tutti per favorire una cultura dell’incontro, perché solo chi è in grado di andare verso gli altri è capace di portare frutto, di creare vincoli di comunione, di irradiare gioia, di edificare la pace.
Lo confermano – se ce ne fosse bisogno – le immagini di distruzione e di morte che abbiamo avuto davanti agli occhi nell’anno appena trascorso. Quanto dolore, quanta disperazione causa la chiusura in sé stessi, che prende via via il volto dell’invidia, dell’egoismo, della rivalità, della sete di potere e di denaro! Sembra, talvolta, che tali realtà siano destinate a dominare. Il Natale, invece, infonde in noi cristiani la certezza che l’ultima e definitiva parola appartiene al Principe della Pace, che muta «le spade in vomeri e le lance in falci» (cfr Is 2,4) e trasforma l’egoismo in dono di sé e la vendetta in perdono.

È con questa fiducia che desidero guardare all’anno che ci sta di fronte. Non cesso, pertanto, di sperare che abbia finalmente termine il conflitto in Siria. La sollecitudine per quella cara popolazione e il desiderio di scongiurare l’aggravarsi della violenza mi hanno portato, nel settembre scorso, a indire una giornata di digiuno e di preghiera. Attraverso di Voi ringrazio di vero cuore quanti nei Vostri Paesi, Autorità pubbliche e persone di buona volontà, si sono associati a tale iniziativa. Occorre ora una rinnovata volontà politica comune per porre fine al conflitto. In tale prospettiva, auspico che la Conferenza “Ginevra 2”, convocata per il 22 gennaio p.v., segni l’inizio del desiderato cammino di pacificazione. Nello stesso tempo, è imprescindibile il pieno rispetto del diritto umanitario. Non si può accettare che venga colpita la popolazione civile inerme, soprattutto i bambini. Incoraggio, inoltre, tutti a favorire e a garantire, in ogni modo possibile, la necessaria e urgente assistenza di gran parte della popolazione, senza dimenticare l’encomiabile sforzo di quei Paesi, soprattutto il Libano e la Giordania, che con generosità hanno accolto nel proprio territorio i numerosi profughi siriani.

Rimanendo nel Medio Oriente, noto con preoccupazione le tensioni che in diversi modi colpiscono la Regione. Guardo con particolare preoccupazione al protrarsi delle difficoltà politiche in Libano, dove un clima di rinnovata collaborazione fra le diverse istanze della società civile e le forze politiche è quanto mai indispensabile per evitare l’acuirsi di contrasti che possono minare la stabilità del Paese. Penso anche all’Egitto, bisognoso di una ritrovata concordia sociale, come pure all’Iraq, che stenta a giungere all’auspicata pace e stabilità. In pari tempo, rilevo con soddisfazione i significativi progressi compiuti nel dialogo tra l’Iran ed il “Gruppo 5+1” sulla questione nucleare. 

Ovunque la via per risolvere le problematiche aperte deve essere quella diplomatica del dialogo. È la strada maestra già indicata con lucida chiarezza dal papa Benedetto XV allorché invitava i responsabili delle Nazioni europee a far prevalere «la forza morale del diritto» su quella «materiale delle armi» per porre fine a quella «inutile strage» (cfr BENEDETTO XV, Lettera ai Capi dei Popoli belligeranti [1 agosto 1917]: AAS 9 [1917], 421-423), che è stata la Prima Guerra Mondiale, di cui quest’anno ricorre il centenario. Occorre «il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 228), per considerare gli altri nella loro dignità più profonda, affinché l’unità prevalga sul conflitto e sia «possibile sviluppare una comunione nelle differenze» (ibid.). In questo senso è positivo che siano ripresi i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi e faccio voti affinché le Parti siano determinate ad assumere, con il sostegno della Comunità internazionale, decisioni coraggiose per trovare una soluzione giusta e duratura ad un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e urgente. Non cessa di destare preoccupazione l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Essi desiderano continuare a far parte dell’insieme sociale, politico e culturale dei Paesi che hanno contribuito ad edificare, e ambiscono concorrere al bene comune delle società nelle quali vogliono essere pienamente inseriti, quali artefici di pace e di riconciliazione. "
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Una “supplica perché possa finalmente venire la pace e la riconciliazione” in Libano, in Siria e nel mondo intero


Il Cardinale Sandri a Maghdouché, nei pressi di Saïda, per una visita in forma privata al Santuario mariano di Sayidat Al-Mantara, Nostra Signora dell’Attesa, nome che allude al luogo in cui Maria aspettava Gesù in missione nella città di Sidone. Lì, è previsto un atto di affidamento alla Madre di Dio, recitato dal porporato con l’invocazione della protezione della Regina della pace sul Libano, la Siria e tutto il Medio Oriente. 

“Vogliamo continuare qui, oggi – si legge nell’atto di affidamento – la preghiera chiesta dal Santo Padre Francesco lo scorso 7 settembre e ripetere l’invocazione risuonata con forza quella sera: finisca il rumore delle armi! Vogliamo impegnarci tutti, dai responsabili delle nazioni fino ai più piccoli, ad essere uomini e donne di pace di riconciliazione”.
  Il Santuario di Nostra Signora dell’Attesa custodisce un’antica grotta, profonda dodici metri e larga cinque, in fondo alla quale sono stati ricavati, nella roccia stessa, un altare e un’abside. La cavità naturale accoglie anche un’icona lignea della Madre di Dio, alla quale sono stati attribuiti molti miracoli. Fu poi Elena, madre di Costantino, a dare il via, nel IV secolo, alla costruzione del Santuario. 

Dopo un lungo periodo di abbandono, si deve al Giubileo del 2000 l’avvio dei lavori di ristrutturazione, ai quali contribuì economicamente anche Giovanni Paolo II. Oggi, il Santuario è circondato da un parco di 4 mila metri quadri, capace di accogliere numerosi pellegrini. 





sabato 11 gennaio 2014

Iniziative vaticane: per cercare, a tutti i costi, vie di pace

Il card. Sandri consacra vescovo il vicario di Aleppo: tacciano le armi in Siria



È “la pace autentica, la vera pace di cui ha grandemente bisogno l’umanità oggi” quella invocata dal card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali. L’appello arriva dal Libano, esattamente da Beirut, in occasione dell’ordinazione episcopale di mons. Georges Abou Khazen, dell’Ordine dei Frati Minori, vicario apostolico di Aleppo, la capitale cristiana della Siria, martoriata dalla guerra. 
Il card. Sandri ha rivolto il suo pensiero “alle immani sofferenze che si consumano da sin troppo tempo” in Siria e ha ricordato i due metropoliti, il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi e il siro-ortodosso Youhanna Ibrahim, rapiti lo scorso aprile e dei quali “non si sa più nulla”. 
Ribadendo, poi, che “anche nelle situazioni di lontananza, povertà e dolore”, Dio “non si dimentica dell’uomo” e gli “è accanto”, il card. Sandri ha manifestato la speranza che l’ordinazione episcopale di mons. Abou Khazen possa essere, per la Siria, “l’aurora” di un tempo in cui la giustizia sostituirà l’odio e la letizia risplenderà sul lutto. Sergio Centofanti ha raggiunto telefonicamente il card. Leonardo Sandri a Beirut, chiedendogli innanzitutto cosa desideri portare in Libano

R. - Porto con me tutta la fratellanza di Papa Francesco, tutta la sua vicinanza per questa tribolata regione del mondo. Non possiamo perdere la speranza di vedere spuntare l’alba di un nuovo giorno di pace e di riconciliazione e di unione fra tutti quelli che desiderano il bene dell’umanità.

D. - Quali sono le proposte della Chiesa di fronte al dramma umanitario che sta vivendo la popolazione civile in Siria?

R. - Quello che la Chiesa desidera è che ci sia al più presto un cessate-il-fuoco, un armistizio, che tacciano le armi e si aprano i corridoi umanitari e arrivino a tutti quelli che stanno soffrendo, da una parte e dall’altra, soprattutto innocenti, bambini, donne… Quindi, in questo senso, tutta la Chiesa sta pregando e lavorando perché si realizzino questi piccoli-grandi obiettivi umanitari.

D. - Il nuovo vicario avrà ad Aleppo, una città martoriata dalla guerra…

R. - Esattamente! Lui andrà proprio come pastore in una delle zone dove più imperversa la guerra, dove più c’è odio e separazione. Va come rappresentante di Cristo, come il Buon Pastore, per unire tutti nell’amore.

D. - Come si può aiutare questa piccola minoranza cristiana che sta soffrendo in Siria?

R. - Da parte di tutta la comunità internazionale è necessario un appoggio affinché si raggiungano questi obiettivi minimi di riconciliazione e di pace, che poi sono grandissimi. Sarebbe una grande gioia per il mondo intero se si raggiungessero nella prossima conferenza di Ginevra! Tutta la comunità cristiana di tutto il mondo può poi collaborare attraverso le Caritas per far giungere alla Caritas Libano, alla Caritas Siria e alla Caritas Giordania tutto l’appoggio materiale possibile, per poter sollevare questi fratelli da tante sofferenze. Mi permetta, infine, un saluto dal Libano a tutta la comunità cattolica del mondo, a tutti i fratelli cristiani, perché collaborino con la preghiera affinché Gesù porti la pace a questa regione. E grazie a voi per l’aiuto che date attraverso le informazioni, in modo tale che tutti possano prendere coscienza sia della gravità della situazione, sia anche della necessità di collaborare al più presto possibile con tutti.

E «possa questa ordinazione — è stato  l'auspicio del Cardinal Sandri al nuovo Vescovo — essere l’aurora di un tempo in cui per la Siria la corona di giustizia sostituisca la cenere dell’odio; l’olio di letizia faccia risplendere chi è avvolto dall’abito da lutto».
Un pensiero particolare, poi, il cardinale ha avuto per le situazioni dove — ha detto al nuovo vescovo — «non potranno condurti i tuoi passi: penso con trepidazione ai fedeli di Knaye e Jacoubieh, con padre Hanna e padre Dhyia, oltre a tanti altri. Ti sarà chiesto di rimanere e vegliare come grande intercessore».


Sul significato di questo viaggio, Hélène Destombes ha sentito mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei e presidente di Caritas Siria:

“E’ molto significativa per noi questa vicinanza, ci dà il senso della solidarietà. Per noi tutti questi gesti del Santo Padre, la preghiera per la Siria del settembre scorso, tutti i suoi appelli, sono gesti per dire che la Chiesa non è lontana e questo è molto importante. Penso anche che la presenza del cardinale Sandri sia una testimonianza di comunione tra Oriente ed Occidente. E’ molto significativo per noi e per tutti gli altri cristiani in Siria, in Libano e in Medio Oriente”.


        Alla celebrazione prenderanno parte anche i rappresentanti pontifici in Libano e Siria, gli arcivescovi Gabriele Caccia e Mario Zenari, oltre a una decina di altri vescovi e al Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa.

La presenza del Cardinale Sandri, si legge in un comunicato ufficiale, “intende esprimere al vescovo eletto tutta la vicinanza e il sostegno della Sede Apostolica alla comunità cristiana provata dal conflitto siriano”. 


Un sostegno che il prefetto delle Chiese Orientali renderà visibile in particolare domenica prossima, quando presiederà l’Eucarestia nel Centro dei Padri Redentoristi a Zahle, nella valle della Bekaa, per poi proseguire fino al rassemblement di profughi siriani di Mari el Khokh a Marjayoun, gestito dall’Associazione AVSI, dove porterà un contributo per le opere di assistenza ai rifugiati. 


Sulla strada del rientro, informa ancora la nota, il cardinale Sandri farà a tappa nel villaggio di Maghdouché, nei pressi di Saïda, per una visita in forma privata al Santuario mariano di Sayidat Al-Mantara, Nostra Signora dell’Attesa. 
Lì, rinnoverà l’atto di affidamento alla Madre di Dio, invocando la protezione della Regina della pace sul Libano, la Siria e tutto il Medio Oriente. 

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/11/il_card._sandri_consacra_vescovo_il_vicario_di_aleppo:_tacciano_le/it1-763007
del sito Radio Vaticana


Siria. Si può restare indifferenti?

Workshop 13 gennaio 2014 –  Pontificia Accademia delle Scienze, Vaticano 




1. La guerra civile in Siria è avvenuta in due fasi. La prima, da gennaio 2011 a marzo 2012, è stata per lo più una questione interna. Quando la Primavera araba è scoppiata in Tunisia e in Egitto nel gennaio 2011, ha colpito anche la Siria. Oltre alle usuali rimostranze dettate dalla brutalità del regime, i siriani pativano una massiccia siccità e l’impennata dei prezzi dei generi alimentari. Le proteste si sono trasformate in una ribellione militare contro il regime (in mano all’Esercito e ai Servizi) quando parti dell’esercito siriano si sono staccate dal regime e hanno dato vita all’Esercito siriano libero. La vicina Turchia è stata probabilmente il primo Paese esterno a sostenere la ribellione sul campo, offrendo protezione alle forze ribelli lungo il confine con la Siria. Nonostante l’escalation di violenza, il numero delle vittime toccava le migliaia, e non decine di migliaia.

2. La seconda fase è iniziata l’1 Aprile 2012 quando un gruppo di 83 paesi, capeggiato dagli USA, ha riconosciuto il Consiglio Nazionale Siriano (SNC) e l’ha considerato il principale interlocutore dell’opposizione nei confronti della comunità internazionale. Alcuni giorni prima, Assad aveva accettato il piano di pace dell’allora Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, che prevedeva un cessate il fuoco, seguito da una transizione politica negoziata, ma non aveva implementato il cessate il fuoco. L’allora Segretario di Stato Hillary Clinton aveva dichiarato: “Pensiamo che Assad debba andarsene”.[1] In pratica, anche in via del fatto che veniva fissato un orizzonte temporale piuttosto breve, questa dichiarazione ha messo gli USA in una situazione di effettiva opposizione all’iniziativa di pace delle Nazioni Unite. La Russia e la Cina, oltre a tentare di difendere i propri interessi nella regione, hanno rifiutato l’idea del cambio di regime in Siria guidato dagli USA. La Russia ha dichiarato che l’insistenza dell’America sull’immediata destituzione di Assad è stata un ostacolo alla pace. In questo la Russia forse aveva ragione. La Russia, da una parte, tentò un approccio pragmatico per proteggere i propri interessi commerciali in Siria e la propria base navale nel porto di Tartus, mettendo al contempo fine agli spargimenti di sangue. Tuttavia, mentre la Russia forniva armi al governo siriano, a settembre 2013 è emerso chiaramente che gli USA avevano iniziato a fornire armi letali al Consiglio Militare Supremo dell’opposizione.

3. Oltre alle forze internazionali in campo, la contesa è diventata una guerra civile che potrebbe portare non solo a una guerra regionale ma, secondo alcuni analisti, anche all’inizio della terza guerra mondiale. Il conflitto è tra un regime che è principalmente Alawita, ma include anche alcuni Drusi, Sunniti e Cristiani, contro un’opposizione che è largamente Sunnita, ma include anche alcuni Alawiti, Drusi e Cristiani. L’Iran sciita, che teme l’espansionismo del Wahabismo sunnita (sunnismo estremista) in tutta la regione, la Russia – che desidera conservare la presenza a Tartus – e gli Hezbollah del Libano sostengono Bashar Hafiz al-Assad. L’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo temono la formazione della “mezzaluna sciita” (Siria-Iran, Hezbollah) e finanziano gli Jihadisti (Al-Qaeda) contro il regime.

4. Con l’uso delle armi chimiche, probabilmente da parte del governo siriano (e forse di entrambi i fronti), gli USA hanno nuovamente rialzato la posta in gioco. Bypassando l’ONU, gli USA hanno dichiarato l’intenzione di intervenire direttamente bombardando la Siria per impedire l’uso futuro delle armi chimiche.

5. A settembre, quindi, Papa Francesco ha attivato tutti i canali possibili per evitare l’allargamento della guerra. «Purtroppo – afferma nel messaggio indirizzato a Vladimir Putin in quanto presidente di turno – duole constatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo». I leader del G20, invoca Francesco, «non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze a una regione tanto provata e bisognosa di pace. A tutti loro, e a ciascuno di loro, rivolgo un sentito appello perché aiutino a trovare vie per superare le diverse contrapposizioni e abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare». Perché «è un dovere morale di tutti i governi del mondo favorire ogni iniziativa volta a promuovere l’assistenza umanitaria a chi soffre a causa del conflitto dentro e fuori dal Paese». Nel frattempo Papa Francesco indice e realizza anche un importante digiuno (una pratica che accomuna le tre religioni monoteistiche). Così lancia indirettamente un segnale a tutti gli iraniani e siriani religiosi coinvolti nel conflitto, invitandoli a concentrarsi sulla preghiera e sulla volontà di pace (conseguenza vera della preghiera), e a suggerire così a tutti, anche ai governanti, di riflettere nel senso profondo della pace. Ci vuole aiutare a comprendere che senza pace tra le religioni non ci sarà pace in Medio Oriente. Di pari passo il pontefice mobilita i nunzi in ogni parte del mondo e il suo “ministro degli esteri”, mons. Mamberti convoca gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede non solo per favorire una soluzione diplomatica, ma anche per esprimere la più netta condanna delle armi chimiche e chiedere conto del loro uso agli eventuali responsabili.

6. Putin riesce a convincere Obama a fermare il bombardamento, dopo aver negoziato un Accordo quadro secondo il quale la Siria si impegna ad eliminare il suo programma basato sulle armi chimiche. Si decide di consegnare le armi chimiche e si conferma, quindi, la conferenza internazionale chiamata Ginevra-II. Questo punto è stato ben apprezzato nel Regno Unito, dove il Parlamento ha voltato le spalle al governo rifiutando la partecipazione inglese all’attacco militare. In questa circostanza, l’ONU, per la prima volta, accusa Assad: “Ha autorizzato crimini di guerra e contro l’umanità”. “Andiamo a Ginevra con una missione di speranza”, ha detto il portavoce del segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon. La presenza di Russia e Stati Uniti, due Stati chiave nei negoziati, è confermata. La lista degli invitati è stata stabilita il 20 dicembre durante un incontro trilaterale tra la Federazione Russa, gli USA e l’ONU. Il 13 gennaio, invece, si riuniranno il Segretario di Stato USA John Kerry e il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov per raggiungere un accordo sulla partecipazione dell’Iran. L’opposizione siriana ancora non ha nominato i membri della sua delegazione.

7. La proposta sulla quale negozieranno il regime di Assad e i ribelli dell’opposizione a Ginevra sarà la formazione di un governo transitorio con delega nel settore militare e della sicurezza. Si discuterà anche sulla possibilità di convocare elezioni e di scrivere una nuova costituzione. Inoltre, nelle ultime settimane è apparso evidente come gli stessi gruppi ribelli stiano cercando di emarginare quelle fazioni estremiste quali l’ISIS (Stato islamico di Iraq e Siria) che intendono mettere a repentaglio il processo di pace. La ripresa del processo di pace dell’ONU, questa volta con gli USA e la Russia dalla stessa parte per frenare le violenze, potrebbe riuscire a tenere a bada Al-Qaeda (un interesse condiviso) e a trovare una soluzione pragmatica a lungo termine per le profonde divisioni interne della Siria. E potrebbe ripartire la ricerca di un modus vivendi degli USA con l’Iran – dove un nuovo presidente suggerisce un cambio di rotta nella politica estera – e delle religioni fra loro.
+ Marcelo Sánchez Sorondo

[1] Hillary Rodham Clinton, Segretario di Stato, intervista con Clarissa Ward della CBS News, Centro Congressi di Istanbul, Istanbul, Turchia, 1 aprile 2012 http://www.state.gov/secretary/rm/2012/04/187304.htm
Partecipanti
Jean-Louis Pierre Cardinal Tauran
Miguel Angel Moratinos
Joseph Maïla
Thierry de Montbrial
Mohamed ElBaradei
Jeffrey Sachs
Piotr V. Stegniy
Thomas Walsh
William Vendley
Observer
Georges M.M. Cardinal Cottier
Mons. Antoine Audo
Amb. Juan Pablo Cafiero
Jacqueline Corbelli
Wolfgang Danspeckgruber
Rev. P. Hyacinthe Destivelle
Reverendo Aleksej Dikarev
Mons. Brian Farrell
Ieromonaco Stefan Igumnov
Amb. Bruno Joubert
Amb. Pierre Morel
Amb. Piotr Nowina-Konopka
Amb. Mariano Palacios Alcocer
Romano Prodi
Mons. Marcelo Sánchez Sorondo
Mons. Silvano Tomasi
Miguel Werner
Amb. Antonio Zanardi Landi

giovedì 9 gennaio 2014

Ginevra 2 nelle attese dei Vescovi siriani

Il Patriarca Ignatius Joseph III Younan: L'Occidente deve agire per proteggerci ...

evitare il "politicamente corretto" e valorizzare il contributo del cristianesimo alla libertà.

Damasco,  (Zenit.org



All'inizio di dicembre , i parlamentari britannici hanno parlato appassionatamente della mancanza di preoccupazione esibita dal Foreign Office verso i cristiani perseguitati . Erano , ovviamente , in diritto di esprimere le loro preoccupazioni e sono profondamente grato che lo abbiano fatto . 
Ma i governi occidentali devono andare oltre le parole . Hanno bisogno di agire. Sempre più spesso, varie parti della regione del Medio Oriente stanno diventando "no go zone " per i cristiani . Nonostante il contributo incommensurabile del cristianesimo alla civiltà nella regione negli ultimi due millenni - non ultimo in termini di libertà religiosa - non è esagerato dire che l'estremismo islamico sta facendo del suo meglio per cacciarci fuori . Ma dove è l'indignazione in Occidente - la regione una volta bastione della libertà religiosa grazie alla sua eredità cristiana ? Dove è l'azione politica ? I fondatori delle Nazioni Unite hanno in mente che l'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo sarebbe stata palesemente ignorata da tanti paesi, popoli e comunità in nome della supremazia di una religione ?: " Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione", afferma l'articolo . ". Tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo , e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche , nel culto e nell'osservanza dei riti."
Eppure molti governi occidentali ora non solo non ne tengono conto , ma anche stanno sostenendo attivamente alcuni di coloro per i quali questi principi sono anatema . Come possono le cosiddette 'nazioni amanti della  democrazia' - le nazioni più influenti nella scena internazionale - chiudere gli occhi verso le nazioni che discriminano, contro la libertà religiosa e la libertà di coscienza in nome di un amalgama di religione e stato , come praticato dagli estremisti islamici ? Come possono essere in grado di convincere i loro elettori della loro onestà quando stringono alleanze con i Paesi che ancora vietano ad altre fedi di esistere sul loro territorio ?

È vero, la discriminazione e la persecuzione contro i cristiani da parte delle nazioni a maggioranza musulmana non è nuova . Per quattordici secoli questa ha avuto luogo , portando alla cancellazione quasi totale del Cristianesimo in Nord Africa . Ma questo pericolo di estinzione sta diventando oggi fin troppo evidente in Medio Oriente . Come il mio fratello Patriarca Louis Sako di Baghdad ha detto in una conferenza sul cristianesimo e la libertà , organizzata dal Religious Freedom Project della Georgetown University a Roma, 850.000 cristiani iracheni hanno lasciato il loro paese dal 2003 , portando ad una perdita immensa per coloro che vi dimorano come pure per la cultura e la politica irachena. 
E questo è tanto più tragico perché il cristianesimo ha le sue radici in Medio Oriente e Nord Africa . I Cristiani erano la maggioranza e hanno formato la cultura dominante in Palestina , Siria, Libano , Iraq, Egitto , e gran parte del Nord Africa prima dell'arrivo dell'Islam . Per di più , essi hanno contribuito a promuovere la libertà e lo Stato di diritto . Come la conferenza di Georgetown ha sottolineato , alla fine del secondo e l'inizio del 3 ° secolo , il  padre della chiesa nordafricana Tertulliano divenne il primo pensatore nella storia ad usare la frase " libertà religiosa ". Inoltre, egli fu il primo a sostenere che la libertà religiosa è un diritto umano appartenente a tutte le persone senza distinzione di fede . Nel 4 °secolo , il padre della chiesa orientale  Gregorio di Nissa , con sede in quella che è oggi la Turchia , divenne la prima persona ad essersi mai opposta contro l'istituzione della schiavitù come fondamentalmente ingiusta .

La stessa visione radicale della libertà che ha ispirato Tertulliano e Gregorio conduce i cristiani in Egitto , Iraq e altri paesi del Medio Oriente oggi a lottare per la politica di inclusione e di libertà religiosa per tutte le persone - cristiani, musulmani , ebrei e perfino gli atei . Oggi , molti musulmani non conoscono , o non danno valore, all'importanza del cristianesimo nella promozione del pluralismo politico , la libertà religiosa, e la democrazia . Ma il peggio è che  i governi occidentali si rifiutano di sostenere o riconoscere questi fatti e agire su di essi - un approccio che non solo convalida questa ignoranza, ma dà soccorso agli estremisti islamici che vogliono cacciarci .

Per noi cristiani in Medio Oriente , questo approccio e le politiche dei paesi occidentali in generale appaiono come poco più di un tradimento . Come tante nazioni a maggioranza musulmana , voi sembrate essere tragicamente ignoranti delle vostre ricche radici e del patrimonio 
cristiano . E questo non è semplicemente una benevola ignoranza : ha le sue conseguenze , quelle che noi in Medio Oriente siamo costretti a soffrire .

Faccio appello a tutte le persone di buona volontà in Occidente perchè evitino la "correttezza politica" . Porre fine all' opportunismo economico che ha portato distruzione nei paesi della nostra amata regione . Resistere all'oppressione delle popolazioni che amano la libertà in tutti i luoghi . Agire per sostenere le libertà che voi stessi godete , e che hanno il loro fondamento nella nostra eredità cristiana .
  Siamo grati per la vostra simpatia e la preghiera , ma abbiamo anche bisogno di azione da parte delle nostre sorelle e fratelli in Cristo, occidentali.

(Sua Beatitudine Ignazio Ephrem Joseph III Younan è Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente dei siriani per la Chiesa siro cattolica)



Il Vescovo caldeo di Aleppo: “Al Ginevra 2 si prenda atto che la Siria non è la Libia”



Agenzia Fides 4/1/2014


Aleppo  - “I partecipanti alla Conferenza di Ginevra due dovranno partire rispettando i connotati propri della Nazione siriana”. Così il Vescovo di Aleppo dei Caldei Antoine Audo descrive l'unico approccio che può assicurare risultati concreti alla prossima Conferenza internazionale di Pace sulla Siria in programma a Montreux, in Svizzera, il prossimo 22 gennaio.

 “Noi riteniamo che si deve rispettare il Paese con i suoi problemi, sostenerlo nel suo cammino progressivo verso la giustizia e la libertà” aggiunge il Vescovo caldeo “piuttosto che approfittare delle sue debolezze per tentare di annientarlo. Come uomini di Chiesa, è questa la prospettiva con cui guardiamo al presente e al futuro della Siria. E ci chiediamo a cosa e a chi serve il tentativo di distruggere un Paese che era stabile e custodiva anche tesori di civiltà. Forse qualcuno pensava che la Siria fosse come la Libia, che fosse facile cambiare il regime dall'esterno, magari per interessi economici. Come si è visto, si trattava di congetture fallaci”.
Il Vescovo Audo esprime riconoscenza “per quello che sta facendo Papa Francesco in favore della pace. Ho saputo che nei prossimi giorni ci sarà in Vaticano una giornata di studio sulla tragedia del popolo siriano. Anche da lì verranno elementi di riflessione che potranno essere utili alla Conferenza di Ginevra 2”. 



Ginevra II deve porre fine alla fornitura di armi e al finanziamento delle parti in lotta

«L’opinione pubblica occidentale è ostaggio dei mezzi di comunicazione, ma i media non comprendono quanto accade realmente in Siria e Medio Oriente. Non vi è alcuna primavera araba e quella che s’intende istaurare è una teocrazia».

Parole dure rilasciate ad Aiuto alla Chiesa che Soffre da monsignor Issam John Darwish, arcivescovo melchita di Furzol, Zahle e Bekaa in Libano.

Il presule siriano ritiene il mondo arabo non ancora maturo per una forma di governo che implichi la separazione tra religione e stato. «Si tratta di una scissione ancora impensabile per molti musulmani. L’Occidente non può dunque esportare nella regione il proprio concetto di democrazia, ma deve lasciare che il Medio Oriente trovi il proprio». Per il momento le rivolte del mondo arabo hanno mostrato tutti i loro limiti, come accaduto in Egitto con il governo dei fratelli musulmani. «Jihadisti da tutto il mondo – ha aggiunto – si stanno riversando in Medioriente. È sufficiente pensare alle tante fazioni radicali che operano in Siria e che hanno soppiantato l’opposizione moderata».

Mentre si avvicina la data fissata per Ginevra II, monsignor Darwish si augura che la conferenza internazionale di pace sancisca la fine della fornitura di armi e del finanziamento alle parti in lotta. «Innanzitutto governo e opposizione devono essere indotti a riconciliarsi e ad accordarsi sulle riforme condivise da tutti i siriani. Ad esempio: garantire ai cristiani convertiti la libertà di registrarsi come tali».
 L’arcivescovo non immagina quale potrà essere il futuro di Assad, né chi potrebbe sostituirlo alla guida del paese. «La nostra unica grande paura è che i fondamentalisti possano conquistare il potere e imporre la propria ideologia. Uno scenario temuto da tutti i siriani».

Intanto i cristiani continuano ad abbandonare la Siria. Oltre 2mila famiglie hanno trovato rifugio in Libano e la città di Zahle – che con i suoi 200mila fedeli è il maggior centro cristiano del paese – ne ha accolte più 800. È difficile stimare il numero esatto di rifugiati cristiani poiché molti di loro non vivono nei campi profughi, ma sono ospiti di parenti o amici. «Ciò non significa che stiano bene – spiega il presule – La quasi totalità non ha di che vivere ed è emotivamente distrutta». Molti di loro provengono dalla città di Homs ed alcuni raccontano d’essere stati svegliati dai jihadisti nel cuore della notte e d’essere stati obbligati a lasciare la propria casa, senza poter portare nulla con sé.

Per paura di ritorsioni, spesso i cristiani evitano di registrarsi come rifugiati presso le Nazioni Unite. L’iscrizione al registro dell’Unhcr comporta infatti la redazione di una scheda comprensiva di foto ed impronte digitali, e in molti temono che i dati personali possano finire in mani sbagliate. La mancata registrazione li priva di molti benefici, tra cui l’assistenza medica.
«Non credo che debbano preoccuparsi e noi cerchiamo in tutti i modi di convincerli. Ma i nostri fedeli si fidano esclusivamente della Chiesa».

Nel 2013 Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto i progetti in favore degli sfollati interni e dei rifugiati siriani in Giordania, Libano e Turchia per un totale di 2milioni e 200mila euro. Tutti gli aiuti sono stati distribuiti attraverso la Caritas e la Chiesa locale.

Roma, 3 gennaio 2014

http://acs-italia.org/notizie-dal-mondo/ginevra-ii-deve-porre-fine-alla-fornitura-di-armi-e-al-finanziamento-delle-parti-in-lotta/#.UsgKgkaA05t



L'Arcivescovo Hindo: Ginevra 2 non trasformi la Siria in uno Stato islamista


Agenzia Fides 8/1/2014


Hassakè  – I cristiani di Siria “sperano che la Conferenza di Ginevra 2 apra per la Siria prospettive di democrazia, libertà e uguaglianza. Ma proprio per questo sono contrari a ogni deriva islamista che pretenda di imporre anche in Siria la Sharia come sorgente della giurisdizione corrente, riducendo la comunità cristiana al rango di “minoranza protetta”. 

Lo spiega a chiare lettere all'Agenzia Fides l'Arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo, titolare della eparchia di Hassakè-Nisibi. “I cristiani” spiega l'Arcivescovo “saranno contenti se la cosidetta rivoluzione aprirà il cammino alla democrazia e alla libertà. Ma adesso anche i gruppi d'opposizione legati al Free Syrian Army – che pure vengono presentati come moderati rispetto alle formazioni jihadiste – si sono riuniti sotto la bandiera islamista, e dicono che nella nuova Siria dovrà essere applicata la Sharia, perchè così vuole la maggioranza. Questa è una prospettiva che i cristiani non possono accettare”.

A giudizio di monsignor Hindo, “Gli Usa, l'Arabia saudita, la Turchia favoriscono o accettano che si ripeta in Siria quello che è successo in Egitto, e abbiamo visto come è andata a finire”. Anche molti islamisti siriani sono legati alle posizioni dei Fratelli Musulmani. 
Ma i cristiani secondo l'Arcivescovo siro cattolico non possono accettare questa involuzione, che li ridurrebbe nel ghetto delle minoranze tollerate e rappresenterebbe anche uno stravolgimento del percorso storico della nazione. “In Siria” insiste mons. Hindo “i cristiani sono sempre stati parte integrante della Patria comune, cittadini a pieno titolo, e non 'minoranza'. Dopo il protettorato francese, i siriani avevano scelto un sistema laico e democratico, prima che iniziasse il regime imposto dal partito Baath”.
A chi si ostina a dire che i cristiani sono schierati con il regime di Assad, l'Arcivescovo Hindo risponde con determinazione: “All'inizio le manifestazioni contro il governo chiedevano libertà, democrazia, fine della corruzione. Poi sono venuti da fuori a rubarci la rivoluzione. Il popolo siriano non vuole la barbarie e la tirannia travestite con parole religiose. E tra due mali, è umano scegliere sempre il minore”. 


LA PRIMAVERA ARABA CHE NON C'E' MAI STATA


Lo sguardo di un  Vescovo del Libano sulla conferenza di pace siriana:  "Non c'è spinta per la democrazia : è una spinta per la teocrazia" ... 

New York, (Zenit.org)

martedì 7 gennaio 2014

L’alleanza infernale ha sferrato una guerra

L'orrore ha un nome: Adra

di Mario Villani


Adra è una città di oltre cinquantamila abitanti del Rif damasceno, situata ad una ventina di chilometri a nord di Damasco, non lontano dal massiccio montuoso chiamato Qalamoun che fa parte della catena dell'Antilibano. Fino allo scorso mese di dicembre questa città, caratterizzata dal suo multiconfessionalismo, era stata relativamente risparmiata dagli orrori della guerra che, da ormai tre anni, sta devastando la Siria, tanto da essere divenuta rifugio di numerosi profughi a favore dei quali è stato realizzato un vasto programma di edilizia popolare. Nella notte tra il 10 e l'11 dicembre 2013 in questa cittadina è iniziata una tragedia che costituisce una delle pagine più orrende non solo della guerra in Siria, ma di tutta la storia moderna. Bisogna premettere che in quei giorni era in corso nel vicino massiccio del Qalamoun un'offensiva dell'esercito regolare siriano che, dopo aver liberato dalla bande islamiste le città di Qara e Nabek, si accingeva a dare l'assalto a Yabroud, roccaforte delle organizzazioni salafite che vi hanno addirittura creato un effimero emirato. La caduta di Yabroud sarebbe stato un colpo durissimo per il fronte dei rivoltosi, già provati da una serie di sconfitte e da una sanguinosa lotta intestina che vede combattersi tra di loro le varie anime dell'estremismo islamista.   “Qualcuno”, fuori dalla Siria, ha così pensato di creare un diversivo per costringere l'esercito siriano a sottrarre forze dal fronte del Qalamoun ed a impiegarle altrove. E' stata scelta la città di Adra, poco difesa e non lontana, come si è detto, dalle zone “calde” intorno a Yabroud. All'interno del centro abitato vi erano già diverse cellule “dormienti” di guerriglieri, pare complessivamente poco meno di un migliaio di combattenti, entrati mescolandosi alle colonne di profughi in arrivo da ogni angolo della Siria. Altri due/tremila guerriglieri appartenenti al famigerato Fronte Al Nusra, sono stati fatti affluire da altre aree del Paese, qualcuno addirittura dall'Iraq, e schierati intorno ad Adra.

Alle quattro del mattino è iniziato l'assalto. I guerriglieri già presenti all'interno della città hanno attaccato la stazione di polizia, difesa da poche decine di agenti, che sono stati tutti uccisi e poi mutilati e bruciati. Le bande all'esterno della cinta urbana hanno rapidamente travolto i pochi e sguarniti posti di blocco dell'esercito e si sono riversati nelle vie cittadine, sparando contro le case e gridando “siamo venuti a uccidervi nassiriti (ovvero alauiti)”. Ovunque nella città sono state innalzate le bandiere nere di Al Nusra e dell'ISIL, l'Esercito Islamico del Levante ed è iniziato il massacro, rivissuto nelle testimonianze delle persone che sono riuscite a fuggire ed a raggiungere le postazioni dell'esercito regolare. La prima vittima, dopo i poliziotti, è stato un infermiere della clinica pubblica. Accusato di essere un “collaborazionista”, in quanto dipendente statale, è stato decapitato e la sua testa è stata appesa ad un albero nella piazza del mercato. Successivamente i guerriglieri hanno occupato il forno principale della città e qui sono avvenuti episodi efferati: tutti i nove dipendenti sono stati decapitati e le loro teste sono andate a tenere compagnia a quella dell'infermiere nella piazza del mercato. Quindi i terroristi di al Nusra hanno usato il forno per le loro esecuzioni. Un numero imprecisato di persone, tra cui alcuni bambini, vi sono stati infatti bruciati vivi (2). 
In altre aree della città elementi armati sono passati di casa in casa rastrellando persone sulla base di liste di proscrizione di cui, come riferisce Russia Today (che ha ascoltato molti testimoni oculari della carneficina) erano in possesso. Dipendenti pubblici e membri delle comunità alauita, cristiana e drusa le principali vittime. A centinaia sono stati ammassati e uccisi, i più fortunati con raffiche di mitragliatrice, altri torturati, mutilati e decapitati, altri ancora, come già detto, condotti al forno e bruciati vivi. Tra le tante storie tragiche merita di essere riferita quella dell'ingegnere Al Hassan. Sentendo i guerriglieri che salivano le scale per venirlo a prendere e ben sapendo quale sorte attendeva lui, la moglie e i due giovanissimi figli, ha atteso che i terroristi del Fronte Al Nusra sfondassero la porta di casa e poi ha azionato quattro ordigni esplosivi di cui era in possesso. Nessuno si è salvato.

Il massacro è continuato ininterrotto per due giorni, poi i reparti dell'esercito siriano accorsi dal vicino Qalamoun sono riusciti a penetrare nella città ed a porre in salvo almeno cinquemila persone minacciate dai terroristi. Altre centinaia di persone mancano però all'appello. Molte sicuramente sono morte ed i loro corpi non sono ancora stati ritrovati, ma altre sono ancora nelle mani dei guerriglieri di Al Nusra che li usano come scudi umani per ostacolare le operazioni dell'esercito che cerca di riportare la sicurezza nella città. Ancora oggi, infatti, molti quartieri sono rimasti sotto il controllo dei guerriglieri e le operazioni militari procedono con estrema lentezza proprio per cercare di minimizzare le perdite tra i civili.

L'attacco ad Adra dimostra che chi soffia sul fuoco della guerra in Siria non è disposto ad abbandonare la partita. L'Arabia Saudita, perchè è da lì che viene il terrore, continua ad inviare combattenti in Siria, ma non solo, perchè anche gli scontri che sconvolgono la provincia irachena di Anbar e gli attentati in Libano e Russia sembrano avere il medesimo ispiratore ed organizzatore. Evidentemente la dinastia Saud sembra aver deciso: il Medio Oriente ed il Caucaso siano wahabiti (una corrente della galassia salafita a cui appartiene la famiglia reale saudita) oppure brucino in una devastante guerra confessionale. Questo continuo afflusso in Siria di uomini (ben forniti di armi e stupefacenti) unitamente ad alcune lacune dell'esercito regolare siriano (determinato, ma concepito per combattere contro un esercito regolare e non per fronteggiare gruppi guerriglieri) rischiano di portare ad una guerra senza fine, una guerra dove gli episodi di efferata crudeltà sono destinati a moltiplicarsi all'infinito.

L'orrenda carneficina di Adra, infatti, è solo l'episodio più spaventoso di una lunga serie di violenze operate dai gruppi islamisti che combattono il Governo siriano, violenze che negli ultimi mesi sembrano aver preso sempre più di mira le minoranze cristiane e quella alauita. Nel villaggio di Saddad sono stati uccisi e mutilati ottanta cristiani, le suore rapite a Maaloula non sono più state liberate, colpi di mortaio cadono quotidianamente davanti alle scuole ed alle chiese uccidendo, ferendo e mutilando... Di fronte a questa inumana violenza che va al di là della inevitabile durezza che accompagna ogni guerra si impone almeno una riflessione.

Quei guerriglieri che torturano, mutilano, rapiscono e uccidono ci sono stati presentati per anni come i difensori della democrazia contro un regime sanguinario e tirannico. Addirittura siamo stati sul punto, nello scorso mese di agosto, di scendere in guerra al loro fianco, fermati solo da un voto del Parlamento britannico e dall'atteggiamento durissimo della Russia. Ora molti cominciano a capire che favorire la loro vittoria vorrebbe dire trasformare l'intera Siria in un grande campo di tortura e di morte. Qualcuno riesce ad immaginare cosa succederebbe ad esempio se Damasco cadesse nelle mani dei salafiti? Cosa ne sarebbe delle decine di migliaia di Cristiani, Alauiti e Drusi che vi abitano? Cosa avverrebbe delle migliaia di dipendenti pubblici, visto che la sola carica di infermiere o portalettere conduce alla decapitazione?

E' doveroso quindi porre oggi con chiarezza una domanda: i responsabili della politica internazionale (da Obama alla Clinton, da Hollande a Cameron, da Erdogan a Terzi di Santagata) conoscevano o no la natura fanatica e sanguinaria delle bande islamiste che fin dall'inizio sono state la componente più significativa della rivolta in Siria? Se la risposta è affermativa molte persone in occidente devono prendere atto di essere governate da soggetti di un tale disgustoso cinismo da accettare, pur di conseguire loro non ben decifrati obbiettivi, di consegnare un popolo intero nelle mani di sanguinari assassini come i cannibali di Al Nusra e alleati. Se la risposta è negativa le medesime persone devono prendere atto di essere governate da babbei. Non so quale prospettiva sia più inquietante.


1) Non preoccupatevi se non avete visto questa notizia sui media. E' solo il segno di quanto siano attendibili e completi nell'informazione.


2) Una televisione russa ha trasmesso le immagini orrende dei loro corpicini semi carbonizzati. Sono stato a lungo tentato di mettere in testa all'articolo una di queste fotografie. Ho deciso di non farlo, non per un riguardo allo stomaco dei nostri lettori -che anzi è bene vedano cosa si intende quando si parla di orrore-, ma per una forma di rispetto verso quelle creature. 

lunedì 6 gennaio 2014

L' Epifania - il Natale armeno


Le feste di Natale durano abbastanza a lungo nella vita della chiesa armena a motivo dei diversi calendari liturgici ;  il mondo latino festeggia la solennità dell’Epifania, mentre la chiesa armena celebra il Natale e la Epifania, che sono per noi una sola festività.
Quindi il Natale ed il Battesimo di Gesù sono festeggiati in un’unica festa, ma gli Armeno-cattolici celebrano il Natale il 25 dicembre, come i cattolici e gli ortodossi che seguono il calendario gregoriano.
Dopo la santa messa cantata che dura quasi due ore si comincia la seconda parte della cerimonia; si celebra  la Solenne benedizione delle Acque, durante la quale si rivive il Battesimo di Gesù nelle acque del fiume Giordano. Si leggono le profezie, le litanie, un’Epiclesi e i tropari in cui si sottolinea la discesa del Signore e l’azione compiuta da San Giovanni Battista, anello di congiunzione tra l’Antico ed il Nuovo Testamento.
 Momento emozionante è anche  quando si canta l’inno secondo il VII tono del calendario armeno:
<< Luce da Luce, dal Padre fosti inviato e Ti incarnasti dalla Santa Vergine per rinnovare l’Adamo corrotto. Tu, Iddio, apparisti sulla terra, camminasti con l’uomo e salvasti l’universo dalla maledizione d’Adamo>>. Si versano alcune gocce del Santo Crisma nell’acqua, e si immerge la Croce; durante questi gesti  canta il vescovo- celebrante e tutto il coro questo canto ed anche il celebrante ed il Padrino immergono nell’acqua santa il crocifisso: <<Sia benedetta e santificata quest’acqua col segno della Santa Croce e del Santo Vangelo e del Santo crisma e della grazia di questo giorno, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen. Alleluia, Alleluia, Alleluia.>>
E’ una tradizione nella chiesa armena di avere un Padrino del Battesimo del Signore; e di solito si sceglie un ragazzo giovane di 12 anni, che sia maschio ed abbia fatto la prima comunione e cosi lui rappresenta tutta la comunita’ . Dopo la cerimonia si passa nella sala della parrocchia, dove vengono i fedeli a baciare la croce battezzata e si distribuisce l’acqua santa che si porta a casa per la benedizione per l’inizio dell’anno nuovo.
L’Epifania è veramente un giorno pieno di luce. Così come il Battesimo è una festa di luce nella Chiesa armena.
 Per i nostri fedeli armeni siriani da quasi tre anni è una festivita’ di speranza e di continue preghiere per la pace cosi tanta assente in questa terra benedetta -la Siria; che era e rimarrà con l’aiuto del Signore il centro della Pace in medio oriente.
I nostri fedeli armeni siriani hanno  fiducia nel Signore della Pace che il giorno della Pace si  avvicini e tornera’ la grande madre Siria come era terra di Pace; terra dei profeti ed innanzitutto modello di convivenza tra tante confessioni; questa e’ la Siria; terra aperta per tutti.
Infine, chiedo a voi tutti di continuare anzi di non smettere di pregare per la Pace in Siria; perchè da lontano come i Magi vediamo gia’ la scintilla della Pace.
La Pace del Signore vi accompagni e vi assista nel continuare il vostro lavoro per le bene delle anime.

Vi auguro Santo e buon Natale Armeno.
P.  Karnik Youssef