Traduci

sabato 28 dicembre 2013

I CRISTIANI IN SIRIA

Conferenza di Monsignor Giuseppe Nazzaro, Vicario apostolico emerito di Aleppo, a l'AIA - dicembre 2013



Chi sono i cristiani in Siria?
Sono i diretti discendenti di quei giudeo-cristiani che scapparono dalla persecuzione contro i seguaci di Gesù che scoppiò a Gerusalemme dopo la morte di Stefano.
La Chiesa siriana risale, perciò, al primo secolo della nostra era. Saulo di Tarso, divenuto poi Paolo, a Damasco abbraccia la fede in Gesù. Ad Antiochia di Siria, oggi in Turchia, i discepoli di Gesù ricevettero il titolo di cristiani.

Situazione sociale e cambiamenti: 
Regime del terrore. Alla fine degli anni 60 quasi tutti i religiosi stranieri che vivevano in Siria avevano alle costole un poliziotto.
Nel 1967 ad Aleppo eravamo 400.000 cristiani su un milione di abitanti. Oggi siamo 4.000.000 di abitanti e solo 200 mila cristiani.
1968 : a causa della nazionalizzazione delle scuole, oltre un migliaio di siriani si spostano  in Libano.
1971: assume il potere Hafez Al-Assad – Inizialmente segue quanto hanno fatto i predecessori. Col tempo cambia tattica e inizia ad allentare i controlli. Alla sua morte è eletto Presidente il figlio attuale, mentre avrebbe dovuto essere Presidente il fratello maggiore Basel morto in un incidente d’auto.
Bachar inizia ad allentare le redini, il popolo comincia a respirare, la Siria ad aprirsi all’occidente. Il benessere entra nel paese: tutti ne usufruiscono; il turismo aumenta continuamente; la gente viaggia all’estero con facilità. Le fabbriche lavorano, il Commercio si sviluppa. Gli stranieri vengono ad investire in Siria. Tutte le comunità etniche sono libere di esercitare la propria religione.
Tutte le anime che compongono il popolo siriano : Sunniti, Alawiti, Cristiani, Sciiti ed altri, vivono in pace tra loro, sono associati nel commercio; nelle differenti relazioni sociali non vi è distinzione tra gli appartenenti ad un gruppo o l’altro. Nello stesso Governo vi sono almeno tre Ministri cristiani, non esiste pregiudizio alcuno per la nomina di un Direttore di Banca cristiano, nell’esercito i più alti gradi sono accessibili a tutti. Ogni comunità è libera di praticare pubblicamente il proprio credo, per esempio noi cristiani non solo non abbiamo mai avuto problemi nelle chiese ma si era liberi anche di fare le nostre processioni per le strade della città.
Per le festività maggiori, per noi Natale e Pasqua, per l’Islam la festa della fine del Ramadan e quella del Sacrificio, ci scambiavamo gli auguri liberamente, gli islamici venivano da noi e noi andavamo da loro. Le visite di cortesia tra famiglie musulmane e cristiane erano molto frequenti senza alcun pregiudizio. Tutti si sentivano a casa propria, tutti erano siriani, figli di una stessa patria anche se con tradizioni storiche diverse.
Dall’anno 1968 all’anno 2011, i cristiani in Aleppo si riducono a circa 200 mila unità. Possiamo dire che in quarantatre anni i cristiani perdono circa 100-150 mila unità. Oggi quanti sono?
Oggi quanti cristiani sono rimasti? Solo Iddio lo sa. Il primo esodo, in tutta la Siria, lo abbiamo avuto con una massiccia emigrazione verso il Libano, i paesi europei, il Canada; il secondo lo abbiamo avuto con il disloco sul territorio, dalle città verso la zona costiera e verso la così detta “Valle dei Cristiani”.



Ad Aleppo, la nostra Comunità cattolica latina che contava circa  6000 fedeli si è ridotta di quasi la metà per il duplice effetto emigratorio di cui abbiamo accennato sopra. Possiamo dire che forse è stata la Comunità meno penalizzata perché, essendo la più povera, i suoi membri non sanno dove andare e così sono rimasti in città, confidando nell’aiuto di Dio e  di quanti vogliono dar loro una mano per sopravvivere.  Naturalmente il peso materiale cade quasi tutto sul Vescovo e sui  Francescani   responsabili pastorali della Comunità.
Un aiuto consistente lo danno i Padri Gesuiti che, con il loro confratello P. Mourad Abou Seif, hanno creato una mensa per i poveri dove distribuiscono circa 8000 pasti caldi al giorno. I Padri Salesiani continuano a tenere aperto l’oratorio per dare ai giovani la possibilità di avere un momento di libertà e di spensieratezza in cui farli uscire  dall’incubo della guerra che li sovrasta. A loro volta i fratelli Maristi di Champagnat si interessano dei quartieri difficili dove i cristiani sono stati aggrediti e costretti ad abbandonare le loro case rifugiandosi presso il loro Iistituto. Fino a quando si potrà andare avanti? Si continuerà finché arriveranno gli aiuti, quando questi verranno a mancare sarà la fine.
Veramente noi lo vogliamo? La comunità cristiana mondiale realmente desidera che avvenga questo? Dobbiamo dare una risposta chiara, sincera ed onesta a queste domande.

Nei  giorni 21 – 22 marzo 2013, accompagnato dal Padre Parroco di Kanayè, il francescano P. Hanna JALLOUF, ho visitato i villaggi cristiani sul fiume Oronte.  
Questo è ciò che ho visto con i miei occhi della Comunità di rito Latino a me affidata in quanto Vicario Apostolico in Siria  :
1- Ghassanieh – villaggio di circa 1000 abitanti tutti cristiani e, che lo scorso 23 giugno 2013, ha avuto il martirio di Padre François Mourad, religioso Siro cattolico trucidato dalle masnade di Jabhat  El – Nousra nel Convento dei Padri. Francescani di Ghassanieh. Questo villaggio da oltre un anno ha visto l’esodo di tutti gli abitanti, tutti i cristiani, sia cattolici latini che ortodossi: i ribelli dello Jabhat el-Nousra sono entrati notte tempo nel villaggio e con gli altoparlanti li hanno fatti fuggire minacciandoli tutti di morte.
2- Yacoubie – villaggio di circa 900 anime, per metà armeno-ortodossi e metà cattolici latini. Gli armeni con il loro sacerdote scappano ad Aleppo, abbandonando tutto. Restano sul posto il Parroco Latino Francescano e le Religiose Francescane del CIM con circa 80 famiglie cattoliche latine ed alcune famiglie armene ortodosse. Subiscono continue vessazioni da parte dei ribelli, visite inaspettate nel convento, nella chiesa perché, secondo loro, il parroco e le suore nascondono i soldati dell’esercito regolare.
La Chiesa Armena è ridotta ad una stalla. Dentro vi fanno di tutto.
3 - Jedeideh – Gli abitanti erano un totale di circa 1000 cristiani, tutti ortodossi con alcune famiglie latine. Il prete ortodosso è fuggito, il Padre Francescano del villaggio di Kanayè assiste  sia i latini sia gli ortodossi. La chiesa parrocchiale greca ortodossa ha subìto la stessa sorte di quella di Yacoubié.
4 - Knayé – è il villaggio principale della zona, conta circa 2000 anime tutte latine e qualche famiglia alawita. Il Padre deve fare miracoli per tenere la gente legata al villaggio perché sa che una volta usciti non vi torneranno più, i ribelli saccheggeranno tutto e bruceranno tutto, come è accaduto a Ghassanieh. Kanayé è il centro di raccolta dei profughi di Jisser Es-Choughour che lasciarono le cittadine al momento dell’eccidio che si è consumato il 2 giugno del 2012. Da allora il Convento francescano di Kanayé ospita Cristiani, Alawiti e Sunniti.
( *Ndr: in seguito, Monsignor Nazzaro stesso ha lanciato l'allarme per la comunità di Kanayè, il cui villaggio il 15 dicembre è stato invaso da miliziani islamisti che terrorizzano la popolazione, minacciano una strage e hanno imposto la legge islamica.Non si conosce a tutt'oggi la sorte neppure di Padre Hanna : http://www.ilgiornale.it/news/esteri/duemila-cristiani-ostaggi-dei-tagliagole-caccia-ai-credenti-977172.html ) 
5 - Ghisser Es-Choughour – è la cittadina della tragedia di Giugno 2012 quando i ribelli trucidarono 120 poliziotti. La gente delle tre confessioni (cristiani, sunniti ad alawiti) temendo di subìre la stessa sorte dopo questo massacro  scappa e si rifugia nel convento francescano di Knayé. Essendo questa gente scappata da casa portando con sè soltanto ciò che aveva addosso, Il Padre francescano di Kanayé, che è ancora responsabile della comunità cattolica latina di Jisser Es-Choughour, ora deve provvedere per loro dando da mangiare e sistemandoli separatamente secondo le confessioni religiose, onde evitare che si azzuffino l’uno contro l’altro. La cittadina conta circa 25.000 abitanti, i cristiani ortodossi e latini si aggiravano intorno alle 2000 anime.
6 – Lattakieh – la città è relativamente tranquilla, la comunità cristiana che ha visto arrivare da vari villaggi parenti fuggiti alla persecuzione degli estremisti ribelli ha i suoi problemi di sopravvivenza, sempre più spesso va a bussare alla porta del Convento per aiuto. Quest’aiuto può essere per comperare cibo, vestiti, affitto di casa, medicine. La stessa popolazione della città si trova a disagio, tutto aumenta, gli affitti delle case aumentano, non parliamo di voler acquistare una casa, il che è quasi impossibile.
La popolazione di Lattakié è per la maggior parte alawita, ma ha una buona percentuale di cristiani appartenente a vari riti quali: Maroniti, Greco-Ortodossi, Latini e Greco-Cattolici; i cristiani appartenenti ad altri riti cattolici eccetto maroniti e greci, sono sotto la responsabilità pastorale del Parroco Latino.
7 – Deir Ez-Zor – la prima cosa che hanno fatto i ribelli è stata quella di dare alle fiamme la Chiesa del Sacro Cuore dei Padri Cappuccini. Questi avevano la cura pastorale di quasi tutta la comunità cristiana della cittadina.
      E’ una città di oltre 150.000 abitanti quasi tutti sunniti, con una minoranza di curdi e cristiani. I Cristiani non superano le 500 unità e, come detto, i Padri Cappuccini erano responsabili della loro cura pastorale.
      Le religiose di Madre Teresa di Calcutta che gestivano una casa per persone anziane, sono state costrette a partire in maniera rocambolesca, prendendo con loro anche i degenti. Si sono rifugiate a Damasco. I Padri Cappuccini si sono rifugiati al Libano.
8 -  Homs – Il padre gesuita olandese, P. Franz Van der Lught, parroco della comunità cattolica latina, resta prigioniero a Homs per oltre un anno, senza mai poter uscire dal suo convento e poter conoscere le sorti della sua comunità.
La Comunità Latina di Homs era molto ridotta: vi erano  circa 400 fedeli curati dai Padri Gesuiti.
Oggi quanti sono rimasti e chi vi è rimasto?

La zona costiera è ed è restata relativamente tranquilla perché abitata in stragrande maggioranza dagli Alawiti. I ribelli salafiti, che già da Aprile 2011 attaccarono la città costiera di Banias usando le armi, anche semipesanti, in un secondo momento si sono ritirati lasciando la zona relativamente calma.

Del sud e dell’est del paese le mie notizie risalgono a maggio dello scorso anno quando feci il giro completo del paese e fino a quel momento (maggio 2012) non si lamentavano persecuzioni particolari contro i cristiani, eccetto i malcapitati che viaggiavano.

 L’ultima di tutte queste tragedie è stata la conquista di Maaloula, la cittadina in cui tutti, cristiani e musulmani, parlano la lingua del Signore Gesù, l’Aramaico. Essa dista da Damasco una sessantina di Km. Ha subìto la tragedia che tutti conosciamo con dovizia di particolari che, questa volta, i Mass media ci hanno fornito.
Gli abitanti di Maaloula risultavano al 70% cristiani ed al 30% islamici sunniti. La convivenza tra loro è stata sempre esemplare. Non vi sono mai stati problemi di xenofobia contro questa o quella comunità.

 – Damasco – pur avendo subìto grossi attentati sia contro le caserme, sia nei punti nevralgici della città, non vi sono stati specifici atti contro chiese e cristiani, eccetto il sabato 5 ottobre scorso in cui i terroristi hanno sparato colpi di mortaio sulla Chiesa di Santa Croce dei Greci ortodossi facendo otto morti di cui un musulmano.

Come Vescovo della Comunità Latina di Siria devo rendere onore a tutti i religiosi Francescani, Gesuiti e Cappuccini per la loro fedeltà al mandato ricevuto di pascere il gregge nella buona e nella cattiva sorte. Tutti sono rimasti al loro posto condividendo lo stesso destino dei loro fedeli. Il sacrificio della vita offerto dal Padre François Mourad che, sebbene Siro cattolico, viveva nel convento Francescano condividendo la stessa responsabilità col Parroco del villaggio, ci deve far riflettere sul coraggio e la fedeltà di questi uomini di Dio, attaccati al loro dovere pur sapendo che restando mettono in pericolo la  propria vita. P. François, prima di intraprendere la nuova via religiosa che voleva far rinascere in Siria, era stato Figlio di Francesco d’Assisi vestendo l’abito religioso francescano.
Una parola di elogio mi è d’obbligo spendere anche per i religiosi delle altre Congregazioni che operano sul territorio Siriano e sono sotto l’Obbedienza del Vicario Apostolico di Aleppo. Dinanzi a questi autentici eroi della testimonianza cristiana per amore a Cristo ed al proprio dovere, ci dobbiamo inchinare e pregare per loro perchè il Signore li benedica e li fortifichi nel lavoro immane che stanno compiendo.
Questi sono, oltre quelli già ricordati sopra,  i Padri Lazaristi, i Padri Cappuccini, i Sacerdoti del Verbo Incarnato, le oltre 200 Religiose di diverse Congregazioni e che sono sparse per tutto il territorio siriano in aiuto a chi soffre.


Tra queste non possiamo dimenticare la sorella Dorotea Suor Rima Nasri, che ha perduto la vita durante lo scoppio di due bombe lo scorso 15 gennaio 2013, soltanto a 15 metri dall’Istituto per Universitarie “Gesù Operaio” che assieme alle sue consorelle dirigeva. Di lei non s’è trovato più nulla!
Queste due bombe sono scoppiate a soli 50 metri dalla sede del Vicario Apostolico causando danni ingenti non solo al Vicariato Apostolico ma anche alla Cattedrale e a tutte le case attorno.

Che il Signore accolga Suor Rima e Padre François  nella Sua gloria. 



Dopo l'esposizione del Vescovo , alcune domande sono state poste dal pubblico. 

Mons. Nazzaro si è mostrato critico sulla politica occidentale verso la Siria , che ha definito di  "neo-colonialismo" : L'Occidente sta facendo anzitutto profitti con la vendita di armi ai militanti siriani . Poi l'Occidente intende di nuovo fare profitti nel concedere crediti (con gli interessi e le condizioni del caso) per ricostruire il paese distrutto , il tutto nascosto dietro parole piene di umanesimo. Ancora , l'Occidente avrà ulteriori profitti da  un governo fantoccio installato , o almeno un governo che faccia concessioni sostanziali .
La libertà relativa in Siria, rispetto ad altri paesi arabi, è una minaccia per i leader religiosi delle monarchie del Golfo come l'Arabia Saudita , quindi si tenta di istallare un governo confessionale e meno tollerante in Siria .
Non c'è speranza di efficaci colloqui di pace in Ginevra II per risolvere il conflitto in Siria , finchè i terroristi sono sostenuti dai governi occidentali e dei loro alleati in Medio Oriente . 
Mons. Nazzaro ha avuto parole di elogio per il leader religioso sunnita in Siria , Gran Mufti Hassoun .

Damasco, Natale 2013



giovedì 26 dicembre 2013

Santo Stefano e i martiri siriani

"Nel martirio,  la violenza è vinta dall’amore, la morte dalla vita. La Chiesa vede nel sacrificio dei martiri la loro “nascita al cielo”. Celebriamo dunque oggi il “natale” di Stefano, che in profondità scaturisce dal Natale di Cristo. Gesù trasforma la morte di quanti lo amano in aurora di vita nuova! Nel martirio di Stefano si riproduce lo stesso confronto tra il bene e il male, tra l’odio e il perdono, tra la mitezza e la violenza, che ha avuto il suo culmine nella Croce di Cristo. La memoria del primo martire viene così, immediatamente, a dissolvere una falsa immagine del Natale: l’immagine fiabesca e sdolcinata, che nel Vangelo non esiste! La liturgia ci riporta al senso autentico dell’Incarnazione, collegando Betlemme al Calvario e ricordandoci che la salvezza divina implica la lotta al peccato, passa attraverso la porta stretta della Croce.  Questa è la strada che Gesù ha indicato chiaramente ai suoi discepoli, come attesta il Vangelo di oggi: «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» (Mt 10,22).  Perciò oggi preghiamo in modo particolare per i cristiani che subiscono discriminazioni a causa della testimonianza resa a Cristo e al Vangelo. Siamo vicini a questi fratelli e sorelle che, come santo Stefano, vengono accusati ingiustamente e fatti oggetto di violenze di vario tipo.  Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o non è pienamente realizzata.                 
 Papa Francesco , Angelus di Santo Stefano 2013


da "Piccole Note"

Conferenza stampa del Patriarca di Antiochia dei Melkiti e di tutto l’Oriente, Gregorios III Laham, a Roma, i primi di dicembre, in un pellegrinaggio che lo ha portato a incontrare il Santo Padre. Sala piccola, ma affollata quella che ascolta il Patriarca a Santa Maria in Cosmedin, chiesa legata a quel rito Orientale che abita nella terra di Gesù. La Siria è una «nazione martire», esordisce, accennando al tragico momento che vive il suo Paese, travagliato da un confronto che sembra non dover finire. E tra le sue mani scorre un rosario, che non lascerà fino alla fine del discorso, come a cercare alimento al suo dire, che è denuncia, appello e, appunto, preghiera.

In Siria imperversano circa «2000 bande» di assassini, che uccidono e saccheggiano, continua. E nella quale, insieme ai musulmani, vengono uccisi tanti cristiani, molti dei quali per la loro fede, come testimonia anche la vicenda dei «tre martiri» di Ma’alula. E scandisce quei «tre martiri», perché sa di cosa si sta parlando, ché il martirio è la più grande testimonianza cristiana e ne vuol far partecipe la Chiesa e il mondo. I tre sono stati assassinati quando i ribelli avevano preso il villaggio cristiano questa estate. Tre giorni di terrore generalizzato, prima di essere scacciati dalle forze governative. Quando parlava, sua Beatitudine era ancora ignaro che Ma’alula, sperduto villaggio arroccato sui monti che è il cuore della presenza cristiana in Siria – i suoi monasteri e i le sue chiese risalgono ai primordi dell’evangelizzazione – sarebbe caduto, di lì a poco, ancora una volta nelle mani delle milizie anti-Assad, le quali hanno sequestrato le suore del convento di Santa Tecla e dato alle fiamme parte dell’abitato. Allora nel villaggio ci vivevano poche persone, dal momento che gli altri erano dispersi altrove, sospirando il ritorno alla casa perduta.

Ma la storia di quei tre martiri appare, oggi, ancora più significativa. Ne racconta l’uccisione, il Patriarca, avvenuta uno dopo l’altro in odium fidei, come di cosa accertata, ché alla loro feroce esecuzione ha assistito un testimone oculare, nascosto per evitare il loro destino. Del loro martirio c’è un resoconto, che il Patriarca dice di aver portato in Vaticano dal Papa e che pubblichiamo in calce a questo povero articolo e che dice più di tante nostre parole.

Ma vicenda dei cristiani di Ma’alula è solo parte delle sofferenze che attanagliano i cristiani siriani, che con i loro confratelli musulmani sono chiamati a subire non solo le sofferenze dirette del conflitto, la morte, ma anche quelle indirette: le privazioni, la paura che si propaga d’intorno, alla quale nessuno può fuggire. Ma il Patriarca parla anche di altre sofferenze, quelle di un pastore che vede il suo gregge privato del suo alimento spirituale: ci sono intere zone dove non si può celebrare il sacrificio eucaristico, senza sacerdoti, senza sacramenti… chiese abbandonate, monasteri vuoti. E sembra sospirare mentre parla dell’abominio della desolazione che abita in Siria.

Cose che si sanno poco, anche perché uno dei problemi di questa guerra è la disinformazione, che non è un accidente casuale, ma appartiene alla logica di questo conflitto, ne è elemento decisivo per poter alimentare il conflitto, spiega il Patriarca. D’altronde i conflitti moderni si fanno così: serve il consenso della pubblica opinione, quindi serve la manipolazione.

Questa guerra, come altri occorsi in Medio Oriente, spaventa i cristiani, li spinge ad abbandonare il Paese. È una storia che si ripete: dal dopoguerra ad oggi, ricorda il Patriarca, dopo ogni crisi mediorientale, la popolazione cristiana è diminuita, constatazione desolante per un pastore che vede la terra di Gesù privarsi anche dello sparuto piccolo gregge. Ma questa spoliazione non è solo un dramma per la Chiesa. È una tragedia per il mondo arabo e per il mondo intero, spiega Gregorios III Laham, perché il mondo arabo è tale perché al suo interno vivono realtà non islamiche, ovvero le minoranze cristiane. Quando non sarà più così, se mai ci si arriverà, il mondo arabo coinciderà tout court con il mondo islamico, creando una polarizzazione pericolosa tra questo e il resto del mondo.

I cristiani, scandisce, non sono filo Assad o contro Assad, vogliono la pace: per il Paese martoriato, per la popolazione stremata. Una pace che è necessaria se si vuole evitare che il Medio oriente si infiammi, che questa guerra dilaghi e sommerga nella sua follia il vicino Libano, la Giordania e altri Paesi d’attorno. Un tempo, conclude il Patriarca, la «chiave» del Medio oriente era il conflitto israelo-palestinese. Oggi la chiave per la pace in Medio Oriente è la Siria: non ci sarà pace nella regione se non si troverà una soluzione al conflitto siriano. Se si risolve questa crisi allora anche il processo di pace israelo-palestinese potrà riuscire e con questo si potranno sciogliere quei nodi ancora irrisolti che stringono il mondo arabo in una morsa di ferro.

Alcune domande si incrociano in sala quando Gregorios III Laham conclude il suo intervento. Risponde con pacatezza il Patriarca. Uno dei presenti che si interroga sul fatto che il piccolo gregge che abita i Paesi del Medio Oriente è poco noto alla cristianità occidentale. La domanda rivolta al Patriarca lascia perplessi, ma lui, per tutta risposta prende un Ipad e con pacatezza fa andare due video. In un uno di questi un uomo recita una poesia. È di Maalula l’autore e non ne capiamo le parole, ma basta vedere il volto del Patriarca che ha un moto di commozione a quella che sembra una struggente richiesta di pace. Forse una preghiera. E una preghiera è certamente quella recitata da alcuni fanciulli nell’altro video. Sono bambini di Maalula e recitano il Padre nostro. In aramaico, la lingua di Gesù, dice il Patriarca ai presenti. E il cuore è toccato da quelle voci bambine che recitano l’unica preghiera che ci ha insegnato il dolce Gesù, consegnata a noi dai Vangeli. Con quelle stesse parole uscite dalla Sua bocca, quando, presumibilmente, la recitava insieme ai suoi, duemila anni fa. E c’è un rimando segreto, un’armonia profonda, tra quella cara memoria e le voci bambine che risuonano argentine dal video di un Ipad. E che, oggi come allora, chiedono al Padre: «Venga il tuo regno, come in Cielo così in terra». Così in terra: questo ci ha chiesto di domandare Gesù.




Pubblichiamo di seguito la relazione del Patriarca Gregorios III Laham consegnata in Vaticano. Per tanti motivi, ma anzitutto perché vi si narra la vicenda dei tre martiri di Ma’alula, così simile ai martirologi che ci ha consegnato la tradizione cristiana dei primi secoli. Chi vi si accosti non ceda all’erroneo esercizio di critica all’islam, dal momento che chi uccide i cristiani in Siria, fa lo stesso con i suoi correligionari, colpevoli soltanto di non aderire alla loro follia religiosa. Non sarebbe solo un torto alla verità, ma una tragica connivenza con quanti alimentano l’odio tra religioni che da sempre convivono in pace in territorio siriano.


Tra il marzo 2011 e il novembre 2013 in Siria vi sono state 120.000 vittime, di cui mille cristiani, tra personale militare e civili, donne, vecchi, bambini, membri del clero e degli ordini religiosi. È possibile che alcuni di loro siano stati uccisi perché erano cristiani. Ma non pare esserci alcuna prova effettiva.

Ma posso affermare senza dubbio alcuno che i tre uomini uccisi nella stessa casa a Ma’alula sono veri martiri nel senso proprio del termine. Sono stato in grado di raccogliere testimonianze da persone che possono confermare la mia affermazione. Qui segue il resoconto del racconto dei miei testimoni. Erano nella stessa casa a Ma’alula. Si deve dire che in molte vecchie case, si trovano ancora alcune grotte. In queste, dentro vi erano Ms Antoniette Nehe e tre giovani uomini, Michael Taalab, Antony Taalab e suo cugino Sarkis (o Sergius) Zakhem.

Nelle strade e nelle piazze di Ma’alula, si udivano bande che urlavano minacce: “Vi vogliamo uccidere! Taglieremo le vostre gole, adoratori di una croce di legno… Allah Akbar!”. Gli assalitori armati bussarono alla porta della casa. “Se non siete armati, se non sparate, sarete lasciati in pace!”. Aprirono la porta. Non appena entrarono in casa, cominciarono col chiedere a Michael la sua carta di identità. “Siete cristiani?”. “Si”. “Che cos’è il cristianesimo? L’Islam è la vera fede. Chi è Cristo? Se Egli è il Figlio di Dio, lasciate che vi salvi! Dov’è?”. Il giovane uomo rispose: “Sono cristiano, vivrò e morirò da cristiano.” Un ribelle gli sparò alla gola e lo uccise, davanti ad Antoniette e gli altri due.

Il quarto ha ascoltato tutto; lui mi ha raccontato tutta la storia. Poi fecero la stessa domanda ad Antony. Era amico dei preti del villaggio, e aveva servito nella parrocchia di Saint George. Era un uomo semplice, gentile. Lo picchiarono due volte e lo finirono con una pallottola.

Il terzo, Sarkis, subì lo stesso interrogatorio e lo stesso destino. La giovane donna Antoinette fu colpita al petto e al braccio da una pallottola. Ma non pianse né urlò, per non allarmare Samir, il giovane nascosto. Gli assalitori non hanno sospettato della sua presenza nella casa, così se ne sono andati.

Samir assistette la giovane ragazza ed è rimasto in casa dal 7 al 9 settembre, custodendo i corpi dei tre martiri.

Il lunedì 9 settembre decisero di spostare i tre corpi da Ma’alula a Damasco. Martedì 10, celebrai i funerali dei tre giovani nella nostra cattedrale della Dormizione, assistito da H.E. Joseph Absi, il mio vicario di Damasco, un vescovo ortodosso e uno armeno, insieme a 50 preti di tutte le comunità cristiane.

Una folla di fedeli (circa 1200) da Ma’alula a Damasco riempì la cattedrale. Avevano il volto pieno di lacrime. I funerali finirono con il canto dell’Inno della Resurrezione in Arabo e in Aramaico, la lingua di Gesù. Questa lingua è ancora parlata dai cristiani e musulmani di Ma’alula e altri tre villaggi. Ho fatto visita alle famiglie dei tre martiri, che vivono a Damasco e negli altri distretti, come tutti gli abitanti di Ma’alula. Durante queste visite ho avuto alcuni dettagli in più circa i tre giovani. Così la madre di Michael mi ha detto che suo figlio aveva affermato di essere pronto a morire per la sua fede cristiana. Tutti e tre avevano dichiarato in pubblico allo stesso modo nelle sere precedenti all’assalto che essi avrebbero sopportato tutto, e sarebbero rimasti leali alla loro fede cristiana. Io sto riportando tutto questo con assoluta veridicità! E il Signore mi è testimone, questi tre giovani sono veri martiri.

Padre santissimo! Noi siamo sempre stati la Chiesa dei martiri e lo siamo ancora oggi! Santo Padre, io sono sicuro che Voi dichiarerete questi tre giovani  di Ma’alula essere veri martiri, che sono morti a causa della loro fede in Gesù Cristo! Grazie per l’attenzione che porterete al caso di questi tre giovani martiri. Grazie a Voi, Santo Padre, nel nome della fede di Ma’alula.


                                                                     Gregorio III Patriarca

http://www.piccolenote.it/16133/gregorios-iii-laham-e-i-martiri-siriani



mercoledì 25 dicembre 2013

Nel Messaggio di Natale di Papa Francesco si alza di nuovo il grido per la pace della Siria




«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14).
Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, buon giorno e buon Natale! Faccio mio il canto degli angeli, che apparvero ai pastori di Betlemme nella notte in cui nacque Gesù. Un canto che unisce cielo e terra, rivolgendo al cielo la lode e la gloria, e alla terra degli uomini l’augurio di pace.
Invito tutti ad unirsi a questo canto: questo canto è per ogni uomo e donna che veglia nella notte, che spera in un mondo migliore, che si prende cura degli altri cercando di fare umilmente il proprio dovere.

Gloria a Dio!
A questo prima di tutto ci chiama il Natale: a dare gloria a Dio, perché è buono, è fedele, è misericordioso. In questo giorno auguro a tutti di riconoscere il vero volto di Dio, il Padre che ci ha donato Gesù. Auguro a tutti di sentire che Dio è vicino, di stare alla sua presenza, di amarlo, di adorarlo.
E ognuno di noi possa dare gloria a Dio soprattutto con la vita, con una vita spesa per amore suo e dei fratelli.
Pace agli uomini.
La vera pace  non è un equilibrio tra forze contrarie. Non è una bella “facciata”, dietro alla quale ci sono contrasti e divisioni. La pace è un impegno di tutti i giorni,  che si porta avanti a partire dal dono di Dio, dalla sua grazia che ci ha dato in Gesù Cristo. Guardando il Bambino nel presepe,   pensiamo ai bambini che sono le vittime più fragili delle guerre, ma pensiamo anche agli anziani, alle donne maltrattate, ai malati… Le guerre spezzano e feriscono tante vite!

Troppe ne ha spezzate negli ultimi tempi il conflitto in Siria, fomentando odio e vendetta. Continuiamo a pregare il Signore perché risparmi all’amato popolo siriano nuove sofferenze e le parti in conflitto mettano fine ad ogni violenza e garantiscano l’accesso agli aiuti umanitari. Abbiamo visto quanto è potente la preghiera! E sono contento che oggi si uniscano a questa nostra implorazione per la pace in Siria anche credenti di diverse confessioni religiose. Non perdiamo mai il coraggio della preghiera! Il coraggio di dire: Signore, dona la tua pace alla Siria e al mondo intero.  

Dona pace alla Repubblica Centroafricana, spesso dimenticata dagli uomini. Ma tu, Signore, non dimentichi nessuno! E vuoi portare pace anche in quella terra, dilaniata da una spirale di violenza e di miseria, dove tante persone sono senza casa, acqua e cibo, senza il minimo per vivere. Favorisci la concordia nel Sud-Sudan, dove le tensioni attuali hanno già provocato troppe vittime e minacciano la pacifica convivenza di quel giovane Stato.
Tu, Principe della pace, converti ovunque il cuore dei violenti perché depongano le armi e si intraprenda la via del dialogo. Guarda alla Nigeria, lacerata da continui attacchi che non risparmiano gli innocenti e gli indifesi. Benedici la Terra che hai scelto per venire nel mondo e fa’ giungere a felice esito i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi. Sana le piaghe dell’amato Iraq, colpito ancora da frequenti attentati.
Tu, Signore della vita, proteggi quanti sono perseguitati a causa del tuo nome. Dona speranza e conforto ai profughi e ai rifugiati, specialmente nel Corno d’Africa e nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Fa che i migranti in cerca di una vita dignitosa trovino accoglienza e aiuto. Tragedie come quelle a cui abbiamo assistito quest’anno, con i numerosi morti a Lampedusa, non accadano mai più!
O Bambino di Betlemme, tocca il cuore di quanti sono coinvolti nella tratta di esseri umani, affinché si rendano conto della gravità di tale delitto contro l’umanità. Volgi il tuo sguardo ai tanti bambini che vengono rapiti, feriti e uccisi nei conflitti armati, e a quanti vengono trasformati in soldati, derubati della loro infanzia.
Signore del cielo e della terra, guarda a questo nostro pianeta, che spesso la cupidigia e l’avidità degli uomini sfrutta in modo indiscriminato. Assisti e proteggi quanti sono vittime di calamità naturali, soprattutto il caro popolo filippino, gravemente colpito dal recente tifone. Cari fratelli e sorelle, in questo mondo, in questa umanità oggi è nato il Salvatore, che è Cristo Signore. Fermiamoci davanti al Bambino di Betlemme. Lasciamo che il nostro cuore si commuova,   lasciamolo riscaldare dalla tenerezza di Dio; abbiamo bisogno delle sue carezze. 
 Dio è grande nell’amore, a Lui la lode e la gloria nei secoli! Dio è pace: chiediamogli che ci aiuti a costruirla ogni giorno, nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nelle nostre città e nazioni, nel mondo intero. Lasciamoci commuovere dalla bontà di Dio.

martedì 24 dicembre 2013

"La forza e la violenza di cui facciamo esperienza in questo tempo ci potranno togliere tutto, ma non la vita che nasce da quell’amore."

Icona di Mikhail Damasceno , 1740, nella Chiesa di Costantino in Yabrud


“Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, 
lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” 
(Lc 2,7)

Il lungo anno che sta per concludersi ha visto un crescendo di violenze. Abbiamo sofferto per il coinvolgimento di tanti innocenti: bambini, vecchi, donne, poveri di tanti Paesi; per tanti fratelli e sorelle cristiani, vittime di discriminazione, persecuzione e di martirio in Medio Oriente e in varie parti del mondo. Un lungo tempo in cui la nostra speranza è stata sostenuta dalla preghiera e dall’urgenza di prestare aiuto. Abbiamo sentito fortemente la necessità e il dovere di tenere alta la nostra speranza, di difenderla quasi, dall’assalto ripetuto di una violenza che sembra inarrestabile. E abbiamo toccato con mano l’eterna verità che il Natale racchiude e il Vangelo rivela.
La via della vita non passa attraverso le strade del dominio e del potere, ma percorre i sentieri nascosti di un amore che si fa debole, che sceglie di non imporsi.
Dio non ci salva con un gesto di forza, ma con l’umile segno di un’infinita disponibilità, che si offre a tutti. Avevamo bisogno che l’Onnipotenza si facesse Bambino. “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto” (1Cor 1,27). Perché “ci basta la Sua grazia; e la forza si manifesta pienamente nella debolezza” (1Cor 12,9)
Solo così ci ha salvati davvero, fin dentro le radici più profonde, nascoste, oscure del nostro cuore. Perché se a salvarci fosse stata solamente la Sua potenza, anche la potenza benefica di un miracolo, certo saremmo stati guariti dal male, ma non trasformati nel cuore.
Avremmo avuto la conferma - ma questo lo sappiamo già, da sempre -, che il potere conosce questa ambiguità: cioè il potere di fare il male e il potere di fare il bene. Ma sempre con potenza. E il nostro cuore avrebbe continuato a confidare nella potenza, augurandosi che fosse una potenza benefica e non malefica.
Dio, invece, ci ha salvati dal male non con la potenza, ma con la debolezza dell’amore. E allora siamo davvero guariti. Perché abbiamo fatto esperienza che l’amore, quando è autentico e radicale, ci salva. Ci salva perfino da noi stessi, dalla nostra brama di potere, dal nostro confidare nella forza, dall’illusione di possedere la vita attraverso la forza. 


E questa è la salvezza: fidarsi, infine, dell’amore.
Fidarsi che nient’altro trasforma il cuore, nient’altro cambia il mondo. La violenza che ultimamente ci circonda e che sembra essere l’unico linguaggio in uso diventa dunque impotente di fronte all’amore che salva.
Avevamo bisogno che qualcuno, prima di noi e per noi (Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme, 1Pt 2, 21), percorresse questa strada, questi umili sentieri, per dirci che questa strada è vera, l’unica strada vera. E su questa strada camminasse fino alla fine, fino a quella croce dove l’amore - l’amore debole e sconfitto - dona tutto se stesso, per rinascere vivo per sempre.
La forza e la violenza di cui facciamo esperienza in questo tempo, dunque, ci potranno togliere tutto, ma non la vita che nasce da quell’amore. Essa è donata per sempre. 


Questo è il Natale. Che questo Bambino ci prenda per mano e ci conduca su questa stessa strada, quella che Dio ha scelto; lì dove solo all’amore consegniamo il nostro cuore, lì dove siamo salvati davvero.
Posiamo allora lo sguardo sulla grotta di Betlemme, per vedere che Dio ha scelto quanto c’è di più lontano dalla forza, di più diverso dalla potenza: Dio ha scelto la carne di un bambino.

Fra Pierbattista Pizzaballa, OFM
Custode di Terra Santa


http://it.custodia.org/default.asp?id=4&id_n=24060

           Buon Natale a tutti!


Il Natale, quest’anno, parla ai nostri cuori in questo martoriato Oriente, essendo la festa della pace annunciata dal coro degli angeli nel cielo di Betlemme: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. 
Nel nostro Oriente e dalla nostra terra è stata annunciata la pace al mondo, con la nascita del Principe della pace, il Cristo Salvatore, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. 
Ci rincresce e ci duole che questa stessa terra sia trasformata dagli interessi politici, economici e distruttivi in una terra di guerra, di violenza e di terrorismo. 
Però, essendo la pace un dono di Dio e Cristo stesso nostra pace, la pace è possibile ed è affidata a ciascuno di noi, secondo il suo stato, la sua posizione e la sua responsabilità. La pace è anche necessaria perché gli uomini e le donne, i piccoli e i grandi possano vivere nella verità, nella giustizia, in amore e libertà. Cristo è nato: Alleluja!

Patriarca Béchara Raï

lunedì 23 dicembre 2013

" tanto sangue versato, tante lacrime versate… Che cessi l’uno e che cessi l’altro! "

I personaggi dei presepi di quest'anno in Siria sono i  morti che ogni famiglia piange


Mons. Zenari: cessino le lacrime e il sangue. Le parti sappiano negoziare.


Intervista a mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco

R. – E’ un conflitto che ha avuto un’evoluzione, peggiorando sempre di più e complicandosi sempre di più. Io dubito che si possa ancora chiamare guerra civile quello che stiamo vivendo, perché si sono sovrapposti altri conflitti: un conflitto regionale, un certo anche disaccordo internazionale… Speriamo che si faccia strada a livello internazionale e politico e che si trovino i mezzi per far arrestare questa violenza e per far sedere le parti al tavolo delle trattative. Non parlarsi più con bombe o mitragliatrici o cannonate, ma parlarsi con un linguaggio umano! Finora, fra le parti in conflitto, ci si è parlato come delle belve, come dei leoni. Speriamo di poter arrivare a questo incontro programmato di Ginevra, a questa Conferenza di pace in cui questo linguaggio si trasformi in un linguaggio umano e si possano mettere sul tavolo alcuni accordi, cominciando dagli accordi sull’accesso agli aiuti umanitari.

D. – Che cosa sta accadendo in Siria?

R. – Si parla di più di nove milioni - quasi la metà della popolazione siriana! - che ha urgente bisogno di aiuti umanitari. Non ci sono parole per descrivere questa immane sofferenza, dai neonati agli anziani… Veramente, ci si chiede se non si sarebbe potuto fermare questo tsunami di sofferenza umana?

D. – Mons. Zenari, cristiani e musulmani cercano di aiutarsi?

R. – C’è, anche fosse limitata, una solidarietà a livello locale, qui tra povera gente: tante famiglie, tante persone di qualsiasi fede, tante cristiani, anche se sono poveri. Ci sono tanti esempi di solidarietà: si prestano aiuto fra loro, fino alla solidarietà internazionale.

D. – Ma cosa significa per un cristiano vivere in Siria, in un momento in cui c’è anche una forte minaccia, proprio nei confronti dei cristiani stessi?

R. – Abbiamo avuto in questi ultimi mesi dei particolari momenti di sofferenza; ricordiamo Maalula, ricordi amiamo l’altro villaggio cristiano di Sadad, Kara… Queste comunità sono state veramente messe alla prova: devastazioni, profanazioni di chiese… Una prova molto, molto dolorosa! Però, rimane la forza dei cristiani, dei preti, che rimangono sul posto e rimane ancora vivo questo lume, questa testimonianza, questa presenza. Per esempio, una parrocchia molto esposta, da mesi e mesi: sono stati obbligati a togliere la Croce che stava sopra la chiesa e in questo modo hanno avuto garanzia di poter celebrare le loro cerimonie. Allora, pur con la tristezza di dover levare la Croce – conservandola però nel proprio cuore – si vive con il Signore, con la propria comunità ed con i propri sacerdoti.

D. - Un suo personale augurio per questo Natale…

R. - In questo tempo natalizio, celebriamo anche la commemorazione dei primi martiri. Mi ha fatto impressione sempre, soprattutto vivendo qui, quello che è riferito da San Matteo nella Liturgia del giorno della Strage degli innocenti. Cita un passo di Geremia in cui dice: “Si oda in Rama un grido, un forte lamento: Rachele piange i suoi figli e non vuole esser consolata de' suoi figliuoli, perché non sono più”. Mi fa impressione questa strage degli innocenti che ha provocato questo conflitto. Recentemente, un Centro di ricerca britannico ha documentato questa strage degli innocenti in questi quasi tre anni circa: ha parlato di 11.420 bambini uccisi! La data arriva fino allo scorso agosto… Veramente, questo grido di dolore di Rachele continua in Miriam, continua in Fatima, Nadia… Mamme siriane che piangono la strage dei loro bambini innocenti. 

L’augurio che vorrei fare è che non si oda più questo grido di dolore. Se mettiamo sulla bilancia il sangue versato e le lacrime versate, credo che più o meno si equivalgono: tanto sangue versato, tante lacrime versate… Che cessi l’uno e che cessi l’altro!

 Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/12/19/siria._mons._zenari:_cessino_le_lacrime_e_il_sangue._le_parti/it1-757035
del sito Radio Vaticana 

sabato 21 dicembre 2013

Il Bambino che ci è donato!






Aleppo, lettera N. 15 

 Oggi , 11 dicembre 2013, è un giorno molto speciale ... Aleppo è coperta con un cappotto bianco ! Le scuole sono chiuse , molte persone sono rimaste a casa , alcuni bambini e i giovani hanno la possibilità di giocare e divertirsi , dimenticare per lo spazio di un giorno una realtà sempre più oscura e incomprensibile ...

In occasione del Natale , il bambino siriano ci interpella ...
"Ho bisogno ... ho bisogno di scarpe ... Ho bisogno di un maglione ... ho bisogno di una copertina ... Ho bisogno di una ciotola di latte ... ho bisogno di scaldarmi ... ho bisogno di  mangiare ... "
Tutti questi sono i gridi che sentiamo dalla bocca dei bambini che vengono da noi ogni giorno .

 Bambini di famiglie sfollate ... o famiglie povere ... Bambini di tutte le età , bambini che vengono da noi con i loro genitori ...
Bambini che non vanno a scuola, che non hanno accesso all'istruzione ...
Le loro scuole sono state distrutte o occupate ...
Bambini che non sanno nemmeno leggere o scrivere ...

Bambini abbandonati , bambini che vendono il pane sul marciapiede ...
Bambini che piangono di gioia e di stupore quando , tornando a casa , scoprono che l'elettricità viene ripristinata : "Possiamo finalmente vedere i cartoni ... "
Bambini che ci portano le preoccupazione degli adulti : "Sai, la mamma non poteva lavarmi la faccia , non c'era acqua a casa ... "

Bambini che vivono già nella nostalgia .... Fadi dice al suo papà che gli spiega il tempo passato remoto ... "Papà , il tempo perfetto è come la nostra casa , dove non  torneremo mai ... "
Bambini che sono preoccupati ... chiedendosi se essi potranno mai rivedere le persone o i luoghi  che hanno a cuore ...
Bambini che non vogliono staccarsi dai loro genitori .... E i genitori che non vogliono abbandonare i loro figli ... Che angoscia quando ogni mattina i bambini devono andare a scuola : e se succede loro qualcosa , e se qualcosa impedisce loro di tornare a casa ...
Bambini che rassicurano gli adulti dicendo loro : "Non preoccuparti per il rumore che si sente, è una pallottola ... è l'esplosione di una bomba ... o un missile... "

Bambini che vogliono esprimere la loro gioia di vivere nonostante la sofferenza degli adulti ...

Essi ci chiedono uno spazio di pace , uno spazio di felicità, uno spazio di tenerezza, o semplicemente uno spazio per i  giochi ...

Bambini che ascoltano i loro genitori ripetere "Dio ti protegga ..."

Negli occhi di questi bambini , noi leggiamo la miseria e un'estrema sofferenza.
Essi rappresentano migliaia di bambini che vivono in Siria o che si trovano nei campi profughi nei paesi limitrofi ...

Non possiamo non pensare a ciascuno di loro in questo giorno in cui la neve ricopre tutto il Medio Oriente ...
Essi ci invitano a dare una mossa alla nostra vita , a uscire da noi stessi , per andare ai loro confini ...


L'emergenza non poteva aspettare , abbiamo dovuto rischiare un gesto , dire una parola diversa da quella dell' aver pietà , si doveva agire ... si doveva inventare, creare e far nascere ...

Per loro sono nati progetti, vi si sono dedicati volontari , sono stati lanciati dei  programmi ...
Noi, Maristi Blu , abbiamo sognato per loro un altro mondo da quello in cui sono immersi ...
Con voi e con la vostra solidarietà e il vostro sostegno e con le parole di incoraggiamento , il sogno è diventato realtà ...
E questa realtà è cresciuta con il nuovo progetto del MIT : Istituto Marista per la Formazione ... Un centro di formazione per permettere alle persone tra i 20 e i 45 anni di formarsi , sviluppare le competenze e aggiungere al loro curriculum vitae qualche formazione  significativa  e in settori molto diversi . In sei settimane , abbiamo già tenuto tre sessioni di 12 ore ciascuna e tre lezioni di due ore su temi legati alla qualità , alla comunicazione , alla gestione del tempo e  molti altri argomenti interessanti . Il numero dei partecipanti è limitato a 18 persone per sessione , mentre le lezioni sono aperte a tutti ... Questo è un grande successo ...

I bambini di " Imparare a crescere ", hanno continuato i loro programmi educativi ... Va notato l'interesse che i genitori portano alla qualità educativa offerta da questi due progetti, uno la mattina per gli sfollati e quello del pomeriggio per i bambini provenienti da famiglie di " L'Orecchio di Dio" (*famiglie cristiane povere).

Vedendo quanto sono logore le scarpe dei figli delle famiglie sfollate , abbiamo dato ad ogni bambino un nuovo  paio ....

La Gioventù del "Skill School " continua a preparare attivamente un progetto per il Natale ... Gli animatori stanno lavorando alacremente per portare a compimento questo programma ...

Le signore del "Tawassol" beneficiano in modo proficuo di tutto ciò che viene loro offerto dagli istruttori , in inglese o nel computer o nei lavori manuali ...

I membri delle famiglie del " Paniere della Montagna " e le famiglie del " Orecchio di Dio" di Midane , oltre al paniere alimentare mensile  hanno ricevuto ciascuno nuovi vestiti e scarpe ...

Abbiamo anche rilanciato il nostro vecchio progetto di abitazioni, cominciando ad aiutare le famiglie sfollate che hanno bisogno di affittare una casa ... Per ora dieci famiglie ne hanno beneficiato ... si sono aggiunte alla lista delle 30 famiglie che vivevano presso di noi e che abbiamo aiutato ad affittare una casa ...



Con i disegni di Fadi , Roula e Marwa Youssef e in loro nome e per conto di tanti bambini della nostra amata Siria ,



vi auguriamo un Natale di pace e di speranza ...

Per i maristi di Aleppo
 F. Georges SABE




distruzione dell'ospedale civile al-Kindi di Aleppo ad opera delle milizie ribelli 


Aleppo, 19 dicembre

Finalmente, dopo un'altra settimana senza la luce...oggi è arrivata la luce! Solo per pochi momenti, comunque questo ha creato una festa in tutta la città. La centrale elettrica è ancora occupata, di conseguenza il problema non si è ancora risolto. Sembrava che erano arrivati ad un accordo per permettere la distribuzione della corrente; però nella realtà abbiamo trascorso intere settimane senza luce, interrotte da pochi giorni di "prodigalità", nei quali abbiamo fatto festa per avere 2 o 3 ore di luce al giorno. Come l'ovazione dei tifosi per un bel gol da metà campo, così si sente in tutta la città il grido contagioso di allegria quando torna la luce.

colpi di mortaio dei ribelli oggi sono caduti dietro la chiesa latina di Aleppo 


 Qualcuno con intelligenza viva ha scritto queste righe che abbiamo tradotto dall'arabo:

 "La gente di Aleppo è la più allegra del mondo:
 Se arriva la luce...si allegra!
 Se arriva l'acqua...si allegra!
 Se arriva l'internet...si allegra!
 Se arriva il segnale per il cellulare...si allegra!
 Se attraversa la strada senza che la colpisca una pallottola vagante...si allegra!
 Se dopo 5 ore di fila davanti al fornaio, è riuscita a comprare un po' di pane e torna sana e salva a casa...si allegra!
 Se il figlio è stato all'università e nessun missile è esploso vicino a lui...si allegra!
 Se è riuscita a dormire durante la notte nonostante le esplosioni dei cannoni...si allegra!
 Se ha trascorso la notte e si è svegliata la mattina del nuovo giorno...si allegra!
 Questo popolo vive da un' allegria all'altra!".

 Più in là dell'ironia, è completamente certo che questa gente ha imparato ad essere allegra. Ha imparato a ringraziare  Dio per ciò che ha, ed in più, a dar valore a tutte queste cose del quotidiano che a noi sembrano insignificanti, come dei regali della Divina Provvidenza.

I Missionari dell'IVE in Aleppo-Siria


giovedì 19 dicembre 2013

“Ho sempre la Siria nel mio cuore”

Intervento del Cardinale Leonardo Sandri prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali nell'incontro "Cosa chiede la Siria?" presso il Centro Internazionale di Comunione e Liberazione


a cura Redazione "Il sismografo"

Martedì 17 dicembre 2013

 Cari amici, saluto e ringrazio il Signor Ministro della Difesa, Senatore Mario Mauro, che ritrovo volentieri pochi mesi dopo la tavola rotonda sul Medio Oriente organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio a Roma, come pure il presidente del Centro Internazionale, Dottor Fontolan, organizzatore e ospite di questa serata, insieme al Dottor Cusenza, direttore de Il Messaggero che funge da moderatore. Il nostro essere qui stasera dice il desiderio ed insieme la decisione di non lasciarci vincere da quella “globalizzazione dell’indifferenza” tanto denunciata da Papa Francesco in diverse occasioni. A lui anzitutto va il pensiero riconoscente e la preghiera, nel giorno del suo 77° genetliaco, per la cura paterna sempre mostrata verso la Siria e la sua cara e martoriata popolazione.

1. Fa da cornice a questa serata l’Avvento, durante il quale la preghiera liturgica della Chiesa, in uno dei suoi prefazi, afferma:  “Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno” . Per il credente, e anche per chi è sulla soglia della fede, la vicenda della Siria rappresenta quell’uomo e quel tempo particolare nei quali il Signore continua a venirci incontro, fa appello a noi, e chiede accoglienza e testimonianza nell’amore. 
Proprio come accadrà qui nella seconda parte della serata, con il reportage di Gianni Micalessin e le parole del Presidente della Fondazione AVSI, Dottor Alberto Piatti. Con la medesima preoccupazione del Santo Padre, come l’ho sentita espressa dal nuovo Vicario Apostolico di Aleppo, il frate George Abou Khazen, che ordinerò Vescovo all’inizio di gennaio a Beyrouth: al termine dell’Udienza generale di mercoledì scorso egli si è accostato a Papa Francesco, si è presentato, e subito, con una mano sul petto, Sua Santità gli ha replicato: “Ho sempre la Siria nel  mio cuore”

2. Dobbiamo anche noi ripartire dal cuore ferito, che non vuole e non può fare finta di niente: francamente, negli uffici della Congregazione per le Chiese Orientali, ci è dato di farne esperienza ogni giorno. Volti di seminaristi e suore che da lì provengono, sono a Roma per affrontare gli studi ma non possono non correre col pensiero alla loro patria e alla loro chiesa; Patriarchi e Vescovi che riferiscono della dura situazione personale e del gregge loro affidato, che pur stentando nel quotidiano e sognando spesso una fuga all’estero - per chi se lo può permettere -  non smettono di indicare il Signore come fonte di luce e di speranza. 

E ancora le lettere e le mail, l’ultima proprio ieri, dal Padre Custode di Terra Santa, fr. Pierbattista Pizzaballa
“devo purtroppo e ancora una volta portare alla vostra attenzione la sempre più difficile situazione dei nostri ultimi due villaggi cristiani rimasti nell’Oronte di Siria, dei nostri parrocchiani e dei nostri confratelli che li assistono. Il Nord della Siria è sempre più in mano di ribelli estremisti, mentre le forze cosiddette ‘moderate’ perdono forza. I ribelli che controllavano la ‘nostra’ zona, che fino ad oggi si ritenevano tolleranti, sono stati sostituiti da gruppi estremisti che non amano la presenza dei non musulmani nel loro ‘emirato’. Gli ultimi ordini ricevuti dai nostri frati, padre Hanna e padre Dhiya, sono i seguenti: 
a.Tutte le croci debbono sparire; b. è proibito suonare le campane; c. le donne non debbono uscire di casa senza coprire la faccia e i capelli.. d. tutte le statue debbono sparire.. In caso di inadempienza, si applicherà la legge islamica. In sostanza: chi non si adegua o se ne va o viene fatto fuori. Questi ordini si applicano a Knayem, Yacoubieh e Jdeideh, che attualmente è servito dai nostri confratelli. Per coloro che forse non conoscono la zona, quei villaggi sono esclusivamente cristiani. Invito ciascuno a pregare per tutte le comunità di Siria, in particolare per coloro che vivono sotto il controllo di questi estremisti… Preghiamo affinchè il cuore di queste persone si apra all’ascolto e soprattutto perché il nostro piccolo gregge di Siria continui a confidare nel Signore”.  

Di fronte a certi racconti, il senso di ingiustizia, misto ad impotenza, ci potrebbe condurre ad  alimentare l’ira e il rancore. Ma torna alla mente la citazione dell’Antigone di Sofocle che il Pontefice emerito, Benedetto XVI, pronunziò durante la sua visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau: “Non sono qui per odiare, ma per insieme amare”. Proprio quel discorso ci aiuta a stare dinanzi al nostro cuore ferito dal dramma della Siria e ad intuire percorsi personali e sociali di rinnovamento: “No – in definitiva, dobbiamo rimanere con l'umile ma insistente grido verso Dio: Svégliati! Non dimenticare la tua creatura, l'uomo! E il nostro grido verso Dio deve al contempo essere un grido che penetra il nostro stesso cuore, affinché si svegli in noi la nascosta presenza di Dio – affinché quel suo potere che Egli ha depositato nei nostri cuori non venga coperto e soffocato in noi dal fango dell'egoismo, della paura degli uomini, dell'indifferenza e dell'opportunismo. Emettiamo questo grido davanti a Dio, rivolgiamolo allo stesso nostro cuore, proprio in questa nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure, nella quale sembrano emergere nuovamente dai cuori degli uomini tutte le forze oscure: da una parte, l'abuso del nome di Dio per la giustificazione di una violenza cieca contro persone innocenti; dall'altra, il cinismo che non conosce Dio e che schernisce la fede in Lui. Noi gridiamo verso Dio, affinché spinga gli uomini a ravvedersi, così che  riconoscano che la violenza non crea la pace, ma solo suscita altra violenza – una spirale di distruzioni, in cui tutti in fin dei conti possono essere soltanto perdenti… Noi preghiamo Dio e gridiamo verso gli uomini, affinché la ragione dell'amore e del riconoscimento della forza della riconciliazione e della pace prevalga sulle minacce circostanti dell'irrazionalità o di una ragione falsa, staccata da Dio.” (Benedetto XVI, 28 maggio 2006).

Sono parole pronunciate sette anni fa, ma che offrono in filigrana la lettura degli interventi del Santo Padre Papa Francesco e della Santa Sede a vari livelli durante il conflitto siriano. Pensiamo al grido a Dio e all’uomo risuonato nella veglia del 7 settembre scorso, alle parole all’Angelus del giorno successivo: 
in questo momento in cui stiamo fortemente pregando per la pace, questa Parola del Signore ci tocca sul vivo, e in sostanza ci dice: c’è una guerra più profonda che dobbiamo combattere, tutti! È la decisione forte e coraggiosa di rinunciare al male e alle sue seduzioni e di scegliere il bene, pronti a pagare di persona: ecco il seguire Cristo, ecco il prendere la propria croce! Questa guerra profonda contro il male! A che serve fare guerre, tante guerre, se tu non sei capace di fare questa guerra profonda contro il male? Non serve a niente! Non va… 
Questo comporta, tra l’altro, questa guerra contro il male comporta dire no all’odio fratricida e alle menzogne di cui si serve; dire no alla violenza in tutte le sue forme; dire no alla proliferazione delle armi e al loro commercio illegale. Ce n’è tanto! Ce n’è tanto! E sempre rimane il dubbio: questa guerra di là, quest’altra di là - perché dappertutto ci sono guerre - è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale? Questi sono i nemici da combattere, uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non quelli della pace e del bene comune” (Papa Francesco, Angelus 8 settembre 2013). 

O, in ultimo, le indicazioni offerte dal Segretario per i Rapporti con gli Stati, Sua Eccellenza Mons. Mamberti, nell’incontro del 5 settembre con gli Ambasciatori presso la Santa Sede, con alcuni elementi molto puntuali, quali 
“a. l’indispensabilità di adoperarsi per il ripristino del dialogo fra le parti e la riconciliazione del popolo siriano;  b. preservare l’unità del Paese;  c. garantire accanto all’unità del Paese la sua integrità territoriale”.

3. Nel contesto del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, e pensando al fondatore don Luigi Giussani, non voglio tacere su una dimensione fondamentale che è in campo oggi in Siria e in Medio Oriente ma che riguarda anche noi, quella educativa. Essa è in questione a molteplici livelli. Da un lato, la proclamata lotta al terrorismo, con alleanze che forse hanno tenuto conto solamente delle convenienze economiche, senza valutare se in taluni paesi abbia un peso consistente il pensiero e la visione fondamentalista. 
Similmente c’è da interrogarsi sull’ 'emergenza uomo' – facendo eco al titolo dell’ultima edizione del Meeting di Rimini: proprio il difetto nella visione antropologica e sul mondo conduce inesorabilmente sul piano inclinato che arriva alla distruzione della persona nella sua dignità. Ne è espressione diabolica l’utilizzo delle armi chimiche: ora si afferma che siano state usate in Siria,  stando al rapporto ONU reso pubblico nei giorni scorsi. Ma questa deriva nell’uso di armamenti letali  non è stata resa possibile anche da una ricerca scientifica e tecnica che non vuole alcun limite ed è piuttosto portata a celebrare se stessa, soprattutto nel nostro Occidente?  
Dobbiamo ugualmente affermare che se l’uomo è certo capace di pensare e compiere il male, tuttavia è anche capace di reagire, per un sussulto di coscienza, quasi rientrando in se stesso e compiendo responsabilmente gesti che limitano le azioni negative poste in essere o che potrebbero svilupparsi in futuro,  e cercano di porvi rimedio.  A Damasco, in ogni caso, , la Siria anche con l’aiuto di diversi paesi ha distrutto l’intero arsenale chimico, proposta accettata dal governo e realizzata in pochissimo tempo, che ha posto fine ad uno dei pericoli per la stabilità della regione.

La missione dell’essere umano, portata avanti con responsabilità piena, richiama anche al ruolo e alla presenza stessa dei cristiani, chiamati ad essere sale e lievito nelle società. Va decisamente riaffermato che essi sono in Medio Oriente da duemila anni, e hanno condiviso secoli di convivenza con i fedeli di altre religioni: esemplari le parole del Santo Padre pronunciate nell’Udienza alla Plenaria della nostra Congregazione: 
Non ci rassegniamo a pensare un Medio Oriente senza i cristiani” (21 novembre 2013). 
E’ una affermazione che non può essere dimenticata e va onorata con l’impegno quotidiano di ciascuno: qui voglio ringraziare pubblicamente il Senatore Mauro per l’attività svolta a tutela della libertà religiosa quando era parlamentare europeo. Anche questo è un modo per proclamare almeno nei fatti la fedeltà alle origini cristiane del continente. 

A questa dimensione che chiede tutela per l’identità cristiana in Medio Oriente, va affiancata però quella di un attivo coinvolgimento dei fedeli nella regione, per i quali è necessaria e urgente un’adeguata formazione secondo i principi della Dottrina sociale della Chiesa, come ripetuto da molte voci durante il Sinodo per il Medio Oriente del 2010. Proprio loro potrebbero essere protagonisti nel pensare con amore alla propria patria, secondo un modello di democrazia rispettoso delle tradizioni e delle culture locali e che pertanto non potrà essere semplicemente clonato dall’Occidente. E’ proprio in questo senso che il concetto di “Dhimmitudine” - intendendo cioè uno status giuridico per alcune categorie di non musulmani che vivono in uno stato governato dal diritto islamico -  debba evolvere anzitutto fra i cristiani, che non possono accontentarsi di uno statuto protetto da qualsiasi regime o potere, bensì essere coscienti e capaci, come cittadini a pieno titolo della propria nazione, di edificare il bene comune nelle libertà religiosa e nella libertà di espressione.

4. La Siria, in ultimo, ci interroga anche sul cammino ecumenico: stiamo attraversando un singolare momento in cui l’unità desiderata tra i credenti in Cristo non si può realizzare ancora presso la mensa eucaristica, ma viene vissuta ogni giorno bevendo al calice amaro della passione. Abbiamo in mente tanti volti, tante storie: quelli dei Vescovi Boulos Yazighi e Youanna Ibrahim, greco e siro ortodossi, di padre Paolo Dall’Oglio, del sacerdote armeno-cattolico Michel Kayylal, che ha studiato pochi anni fa presso il Pontificio Collegio Orientale qui a Roma, delle suore greco-ortodosse di Maaloula e di molti altri. 
Papa Francesco nell’intervista concessa al giornalista Andrea Tornielli ha parlato di “ecumenismo del sangue”, concetto già accennato peraltro nell’incontro con il Papa Copto di Alessandria, Tawadros II nello scorso mese di maggio. Le parole su questo tema di Domenico Quirico, egli pure presente col ministro Mauro all’incontro della Comunità di Sant’Egidio, apparse ieri su “La Stampa”, non possono non commuoverci: “Per coloro che uccidono siamo cristiani....  Le parole di papa Francesco mi hanno ricordato quelle di uno dei miei carcerieri, in Siria, quest’anno. Quando mi raccontò come aveva ucciso la famiglia dei suoi padroni, padre, madre e la figlia adolescente che scriveva diari, che ho visto, fitti di cuori rossi come il sangue e di vertigini, di slanci innocenti che gettano la vita al di là di noi stessi; e che li aveva sepolti nel loro frutteto, cose gettate via. Mi disse così: «Li ho ammazzati, erano cristiani… »: non maroniti, cattolici, melchiti, caldei, ortodossi, appunto soltanto cristiani. Che bisogno c’era di specificare, nel loro esser cristiani era la condanna inappellabile e senza vie d’uscita; perfino la sua giustificazione a uccidere”. 

Oltre alla preghiera per tutti i rapiti, e al rinnovato appello alla comunità internazionale perché si adoperi per la loro liberazione, a noi torna la domanda sulla nostra capacità di essere testimoni nel quotidiano, in condizioni esterne certo migliori. Suonano come invito alla riflessione e sprone al cambiamento alcune espressioni dell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium:ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua.. capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci  a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie” (EG 6). 

Proprio nel cuore del dolore della Siria vogliamo ora compiere un interiore pellegrinaggio, a Maaloula, alla grotta ove Santa Tecla trovò rifugio, e alle colline che si accendono di fuochi il 14 settembre per rievocare l’annuncio del ritrovamento della Croce trasmesso da Gerusalemme a Costantinopoli. Vi andiamo con la certezza che “la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1), ma anche con la consapevolezza che le nostre lampade, più che quelle dei nostri fratelli laggiù, sono rimaste povere dell’olio della fede, o forse l’hanno annacquato con tante scelte di “mondanità spirituale”, come ripete spesso Papa Francesco. 
La testimonianza della carità, esemplarmente e quotidianamente vissuta, come ho potuto vedere nello scorso mese di giugno durante le visite ai profughi siriani assistiti da Caritas Libano, Caritas Jordan e Avsi, possa dilatare il nostro cuore, e aiutarci a riaccendere il fuoco di un annuncio di cui il cuore dell’uomo d’oggi ha ancora sete.

Dopo aver ricevuto un filmato  da alcuni  ragazzi siriani, gli alunni della scuola primaria "Pietro Scola" di Lecco  rispondono con un video-messaggio carico di affetto, che ha accompagnato una somma in denaro ( raccolta ritrovandosi a gruppi nelle case per preparare le belle mele di San Nicolò) 
  devoluta al Centro Salesiano di Damasco.





I RAGAZZI DI DAMASCO HANNO APERTO UNA PAGINA FACEBOOK : aspettano i vostri inserimenti! :

Deport the war from our schools. أبعدوا الحرب عن مدارسنا