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mercoledì 18 dicembre 2013

L'Esercito Siriano Libero è finito?


Nella Siria settentrionale nuove geometrie tra i ribelli

Terrasanta.net | 13 dicembre 2013


 - Tra i ribelli della Siria settentrionale cresce pericolosamente la componente islamista e rimpicciolisce quella laica. Al punto da convincere le potenze occidentali di chiudere il rubinetto degli aiuti militari. Secondo la Bbc, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avrebbero deciso di sospendere l’invio di materiale bellico «non letale» (ogni genere di equipaggiamento militare escluse le armi pesanti) ai ribelli che combattono il regime di Bashar al Assad nel Nord della Siria. L’Occidente non può permettersi il rischio di sostenere involontariamente chi punta a trasformare la Siria in uno stato islamico.

Già da diversi giorni si è capito che il Libero esercito siriano, la parte «laica» delle forze combattenti antagoniste al regime, ha perso il suo ruolo di guida nel fronte di opposizione. Il 22 novembre scorso, infatti si è costituito un nuovo Fronte islamico anti-Assad, una coalizione che riunisce sette differenti gruppi armati prima divisi tra loro (Ahrar al-Sham, Jaysh al-Islam, Suqour al-Sham, Liwa al-Tawhid, Liwa al-Haqq, Ansar al-Sham e il Fronte islamico curdo) e che può così contare su 45 mila miliziani: più di quelli in servizio nel Libero esercito siriano (circa 30 mila) o tra le fila degli estremisti vicini ad al-Qaeda e allo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (circa 12 mila).
L’opposizione armata ad Assad si trova così divisa in tre grandi gruppi, in lotta tra loro per la leadership. Una lotta che ha le sue ripercussioni anche nei campi di raccolta per i profughi siriani nei Paesi vicini. Secondo quanto pubblica il quotidiano libanese al-Akhbar, ad esempio, la città di Ersal, nella valle della Bekaa, in Libano, accoglie oggi circa 80 mila profughi. Ma verrebbe scelta come meta soprattutto dai fuggitivi in sintonia con le posizioni del Libero esercito siriano, i cui emissari in questo momento comandano nell’area.
Il Fronte islamico nato da poco si dipinge come indipendente da ogni altro gruppo politico e si propone di far cadere Assad e di instaurare uno stato islamico confessionale.
Pur distinguendosi da al-Qaeda e dai gruppi più estremisti, questa nuova formazione ha deciso di ritirarsi dal Consiglio militare supremo del Libero esercito siriano, dimostrando di agire in autonomia dallo schieramento «laico». Anche per dimostrare in fondo chi comanda tra i ribelli, quattro giorni fa i miliziani del Fronte islamico hanno occupato le basi e i magazzini del Libero esercito siriano, nella cittadina di Bab al-Hawa, nella provincia nord-occidentale di Idlib. Nei magazzini erano stipate armi ed equipaggiamenti militari di provenienza americana (inclusi ordigni anti-aerei e missili anti-blindati) arrivati in Siria attraverso il confine turco. I miliziani del Fronte islamico hanno issato la propria bandiera al posto di quella del Libero esercito, chiedendo al personale di abbandonare la base. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, convincendo Stati Uniti e Gran Bretagna ad annunciare la fine degli aiuti.

Fino ad oggi gli Usa avrebbero provveduto i ribelli siriani con equipaggiamento «non letale» per quasi 190 milioni di euro (ufficialmente spesi in razioni di cibo, medicinali, materiale di comunicazioni e veicoli); la Gran Bretagna avrebbe provveduto per 24 milioni di euro (per veicoli, generatori, kit per depurare l’acqua ed equipaggiamento contro la guerra chimica).
Gli Stati Uniti hanno comunque assicurato che l’aiuto «non letale» ai ribelli, interrotto nelle regioni del Nord della Siria, continuerà per i ribelli che operano nel Sud, attraverso il confine con la Giordania.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=5841&wi_codseq=SI001 &language=it

Drammatiche testimonianze dalla Valle dell'Oronte nel nord della Siria

Terrasanta.net | 16 dicembre 2013

- Le notizie che filtrano dalla Siria settentrionale negli ultimi giorni confermano il rafforzamento sul terreno delle forze islamiste venute a combattere dall’estero.
Nel Nord del Paese, sfuggito al controllo delle forze governative, si indebolisce la presenza della componente più laica antagonista al regime di Bashar al-Assad, a vantaggio degli elementi estremisti più o meno contigui ad al-Qaeda.
Testimonianze dirette provenienti dalla Valle del fiume Oronte, punteggiata di villaggi - come Knayeh, Yacoubieh, Jdeideh, Ghassanieh - fino ad oggi interamente o prevalentemente cristiani, confermano che i gruppi estremisti hanno assunto il pieno controllo del territorio e che lo governano come un «emirato».
La situazione è particolarmente desolante e pericolosa per i cristiani, ai quali è stato imposto di far sparire croci e statue e di far tacere le campane. Le donne possono presentarsi in pubblico solo a viso (o, quanto meno, a capo) coperto.

Chi contravviene alle disposizioni incorre nelle sanzioni previste dalle più rigide norme religiose musulmane. L’obiettivo sembra essere chiaro: indurre la popolazione cristiana ad andarsene. L’alternativa è restare e rischiare la pelle.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=5852&wi_codseq=SI001 &language=it


Alla fine, Londra e Washington danno ragione a Mosca


La Bussola Quotidiana 
di Gianandrea Gaiani13-12-2013 

lunedì 16 dicembre 2013

Avvento di sofferenza e speranza in Siria. L'amarezza di Monsignor Haddad e le evidenze di Samaan.

Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: 
Non ci rassegniamo a pensare a un Medio Oriente senza i cristiani. Preghiamo ogni giorno per la pace”.

Mons Jeanbart: "Strage impressionante"


È un Natale macchiato di sangue quello che la comunità cristiana siriana si appresta a vivere.
Le stragi ad Aleppo di ieri, con bombardamenti che hanno provocato decine di morti, e quella ad Adra, nei pressi di Damasco, consegnano alla guerra in Siria una delle sue pagine più sanguinose. 

“Una strage impressionante che macchia la festa del Natale, ormai vicina”,  è il commento, rilasciato al Sir, dell’arcivescovo melchita di Aleppo, mons
ignor Jean-Clement Jeanbart, cui fa seguito lo sconforto del patriarca melkita, Gregorios III Laham,  “per tanta violenza. Non si riesce a comprendere - dichiara al Sir il patriarca - come il mondo resti in silenzio davanti a queste brutalità. Ad Adra sono stati barbaramente uccisi lavoratori, tecnici, gente comune. Una cosa terribile”. 

Tragedie che si aggiungono a quelle dei villaggi cristiani di Maalula, dove sono state rapite le monache del monastero di santa Tecla, e di Kanayé, nel Governatorato di Idlib, invaso da miliziani islamisti che terrorizzano la popolazione, minacciano di fare una strage e hanno imposto la legge islamica.

All'inizio dell'anno i "moderati" ribelli islamici  dell'Esercito Siriano Libero erano penetrati in Kanayè decapitando la statua mariana nella piazza della città. Ora Kanayè (Qunaya) è passata nelle mani di un gruppo ancora più aggressivo di estremisti affiliati ad al-Qaeda.


“Il mondo non vede la sofferenza di tutto il popolo siriano e non capisco come si possa ancora armare gruppi e bande crudeli. Fino a quando il mondo resterà in silenzio?”. 

Intanto per lenire le sofferenze della popolazione la Chiesa siriana sta cercando di promuovere delle azioni solidali insieme alla Caritas e Acs, Aiuto alla Chiesa che soffre, anche in vista del Natale. “Vogliamo fare un piccolo dono per tutte quelle famiglie, e sono tante, che hanno avuto vittime per la guerra al loro interno. Inoltre stiamo pensando a un regalo natalizio per tremila bambini bisognosi”. 
Per domani è prevista una riunione di “tutti i patriarchi e capi delle Chiese cristiane per pregare per la pace e prepararci al Natale”. Alla vigilia di Natale e il 25 dicembre sono previste Messe in tutte le chiese ma, avverte Gregorios III Laham, “in orari diurni per evitare problemi di sicurezza ai nostri fedeli”.  

http://www.agensir.it/sir/documenti/2013/12/00276791_siria_mons_jeanbart_aleppo_strage_impress.html


C'E'  CHI NON VUOLE LA PRESENZA DEI CRISTIANI IN SIRIA



”Purtroppo anche in questo tempo di Avvento la guerra nella nostra Siria continua. Ma voglio ribadire che questo conflitto non nasce dall’interno, ma per colpa di chi, dall’esterno, con l’aiuto del terrorismo, ha voluto creare una ‘pseudo-primavera araba” per distruggere in realtà un Paese da sempre simbolo della convivenza tra religioni diverse che evidentemente dà fastidio a qualcuno”.

 La riflessione amara è di mons. Mtanios Haddad, siriano, archimandrita melchita e rettore della Basilica romana di Santa Maria in Cosmedin.
 “Tre mesi fa – racconta padre Haddad – ero in piazza San Pietro a pregare e digiunare per rispondere all’appello di pace per la Siria di Papa Francesco. 
Ma, purtroppo, la ‘guerra degli interessi’, la guerra di coloro che vogliono vendere armi o liberarsi dei terroristi fanatici mandandoli in Siria, continua. Il vero scopo è creare uno stato islamista ma il popolo siriano resta unito e non lo vuole”. “Sono tredici secoli che cristiani e musulmani vivono insieme in Siria. Ci sono stati alti e bassi, ma abbiamo sempre creduto nella possibilità di convivere. Addirittura i musulmani del villaggio dove sono nato, vicino a Maalula, che sono la maggioranza, hanno pregato noi cristiani di restare per dare esempio di convivenza. Il fanatismo islamico invece mette in pericolo la presenza dei cristiani in Siria ”.

“Speriamo che alla Conferenza di Ginevra-2 - chiude p. Haddad – si prendano in considerazione soprattutto il popolo siriano e la sua volontà di ricostruire un Paese caratterizzato da convivenza e fratellanza pacifica”. P. Haddad ci racconta che venerdì 13 dicembre ha riunito a Santa Maria in Cosmedin otto cori dei collegi pontifici orientali di Roma, per cantare insieme per la pace in Medio Oriente e in particolare in Siria. 
“Abbiamo chiuso la celebrazione con le parole del messaggio del nostro Patriarca melchita, Gregorio III Laham: no alle armi, no alla violenza, no alla guerra. Sì alla pace, alla riconciliazione e al dialogo, unica condizione per continuare il cammino di convivenza in tutto il mondo”. 



Un appello a parlare davvero il linguaggio della fraternità, invocato dal Papa nel suo Messaggio per la giornata della pace, arriva anche da Samaan Daoud, cittadino cristiano di Damasco.

 “Non ci bastano questi due anni e 9 mesi di guerre e sangue versato in questo Paese? Non c’è altra soluzione se non il dialogo! Bisogna creare ponti, insistere sulle cose che ci uniscono, non su quelle che ci dividono, per ricostruire la Siria. Chi va a Ginevra-2 deve sapere che il bene da preservare è il bene dello Stato della Siria. Uno Stato che deve essere democratico, riconoscere tutte le confessioni e la libertà religiosa”.

Daoud commenta anche la vicenda delle otto suore ortodosse rapite il 2 dicembre a Maalula. “Le ho incontrate a settembre nel loro monastero e mi avevano detto che volevano rimanere lì, nonostante la guerra, per pregare per la pace. Per cui mi stupisco quando qualcuno dice che sono andate via volontariamente e che ora sono ‘ospiti’ di qualcuno. Mi pare una grande bugia”.
 “Nonostante tutto, mentre vediamo che il conflitto si fa sempre più settario e la violenza integralista non si ferma - conclude Samaan Daoud – noi cristiani siriani viviamo questo tempo di Avvento mantenendo la speranza che domani, un giorno non lontano, tornerà la pace. Ci prepariamo a ricevere Gesù Bambino che dovrebbe nascere nel cuore di ognuno”. 
(a cura di Fabio Colagrande)


Mons. Haddad: “La Siria? Una guerra importata”


da Vatican Insider 13-12-13
Marco Tosatti

Proprio nel momento in cui Stati Uniti e Gran Bretagna decidono di sospendere gli aiuti finanziari e di altro genere elargiti alle milizie fondamentaliste islamiche che combattevano una guerra religiosa contro il governo di Damasco e le minoranze (cristiane, alauita, sunnita, drusa e sciita),  la rivista delle Missioni della Consolata dedica spazio a un’intervista a mons. Mtianos Haddad, rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin. Santa Maria in Cosmedin è la basilica, vicina al Circo Massimo e al Teatro di Marcello, che ospita nel suo atrio esterno la famosissima “Bocca della verità”, il mascherone rotondo dove i turisti infilano la mano; leggenda vuole  che se sei  un bugiardo, la pietra si chiuda. E il prelato siriano assicura di dire la verità.

Parla della Siria, mons. Haddad; e come altri esponenti delle comunità cristiane (fino a oggi in Siria convivevano 7 etnie e 17 fedi religiose diverse) dipinge un quadro ben diverso da quello offerto dalla grande maggioranza dei media occidentali, per non parlare di televisioni come Al Jazeera e le organizzazioni di “attivisti” anti-Damasco. Da quest’intervista esce un quadro molto diverso da quello dipinto dalla maggior parte dei media internazionali. Mons Haddad è siriano, archimandrita della Chiesa cattolica greco-melchita.

“La Siria è una culla della cristianità – ha detto mons. Haddad alla rivista - . I cristiani e gli ebrei sono lì da ben prima dell’islam. Dopo 600 anni sono arrivati anche i musulmani. Un mosaico religioso, ben vissuto e ben accettato, che è diventato una ricchezza. Prima di questi ultimi 32 mesi, “maledetti” (mi scuso del termine, ma è così), la Siria era un esempio della convivenza e convivialità tra cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti), musulmani e comunità ebraiche. Come prova di quanto affermo, ricordo che, da tanti anni, il governo ha cancellato la voce “religione” dalla carta d’identità, cosa impensabile negli altri paesi arabi. Così, al momento di iscriversi all’Università, nessuno ti chiederà quale sia la tua fede. Ma c’è di più. Nelle scuole pubbliche, che sono gratuite, pure le differenze sociali tra ricchi e poveri sono state azzerate introducendo per ogni studente la stessa uniforme. Anche in questo modo il governo ha aiutato tutti noi a essere semplicemente cittadini siriani. Io sono orgoglioso di essere siriano».

Secondo il prelato siriano, quella siriana è una guerra importata...”Per abbattere il governo sono arrivati in Siria combattenti jihadisti da 17 paesi! Si parla di 80-100 mila uomini armati stranieri nel paese. Sono mercenari, jihadisti per vocazione o fanatici. Un esempio. Sono arrivati nella bellissima Aleppo, città di cultura e commerci, e si sono impossessati di un quartiere. Ebbene, questi personaggi hanno imposto la sharia nella zona conquistata. Hanno usato le persone come scudi umani, hanno ucciso bambini davanti ai familiari”. Haddad ricorda l’attacco a Maalula, una piccola città cristiana, uno dei pochi luoghi al mondo in cui si parli ancora l’aramaico. E dove i fondamentalisti islamici  hanno rapito un gruppo di suore ortodosse, della cui sorte non si sa nulla.

Secondo Haddad “la quasi totalità dei combattenti non sono siriani. Poi ci sono alcune persone che hanno lasciato la Siria perché avevano problemi con il governo”, fuori dal Paese da oltre 20 anni. I loro figli neppure sanno dove sia la Siria! “Io rispetto l’opposizione siriana che dialoga con il governo per cambiare le cose, ma non quella che chiede l’intervento di eserciti stranieri per colpire il paese. Questo è un tradimento. Questi personaggi (che spesso vivono in hotel a 5 stelle) non mi rappresentano. Adesso sono stati chiamati a partecipare alla conferenza di ‘Ginevra 2’, ma non ci vogliono andare perché pretendono di imporre le loro condizioni. Il governo al contrario non ne ha poste. A Obama hanno dato il premio Nobel della pace prima che facesse qualcosa. Vediamo se adesso saprà meritarselo”.

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-siria-30600/

domenica 15 dicembre 2013

Cronaca da Aleppo ... che sopravvive stringendo i denti. Allarme per il villaggio cristiano di Kanayé!


La Chiesa di Aleppo si sta preparando ad accogliere il suo nuovo Pastore, Mons. Georges Abou Khazen, che ora si trova a Roma per accingersi ad assumere  l'incarico di Vicario Apostolico di Aleppo dei Latini che gli ha affidato il Santo Padre Francesco. 
Mi viene spontanea una considerazione: Aleppo come l'accoglierà? La gente cosi' provata ha voglia di far festa? Penso proprio di sì': la gente accoglierà il suo nuovo Pastore col calore e l'affetto caratteristico degli aleppini. 
Mons. Georges questo lo sa, e saprà essere all'altezza della situazione, del resto da lui  ben conosciuta perche' è succeduto a Mons. Nazzaro già  Amministratore Apostolico. 

Abbiamo saputo che Mons. Georges sara' ordinato Vescovo a Beirut il prossimo  11 Gennaio. Sarebbe stato molto più  commovente se fosse stato ordinato ad Aleppo, nella sua Cattedrale ed in mezzo al suo popolo. 
Invece, anche egli - data la situazione - e' stato costretto a riparare in Libano per essere ordinato Vescovo e poi alla chetichella entrare in diocesi. Sia fatta la volonta' di Dio.
 
Quasi ai margini di quanto abbiamo detto, è di questa mattina la notizia che ho ascoltato dal mio studio aleppino alle ore 8:00 AM,  seguendo il TG1 che annunziava il comunicato delle Nazioni Unite circa il risultato degli esperti sulle armi chimiche usate in Siria. Stando a quanto annunziato dalla RAI, l'ONU s'è guardato bene dal dire chi realmente le abbia usate,  dobbiamo essere contenti perche' la stessa ONU probabilmente ha compreso che le suddette armi non portavano la firma di chi le ha usate, mentre noi abbiamo avuto più di una testimonianza che siano state usate dai terroristi. 

Quasi come un corollario a questa notizia, sempre la Rai , nel TG1 delle ore 8:00, comunicava che il signor Obama avrebbe deciso di non fornire più armi ai terroristi siriani  perche' si sarebbe reso conto che stava favorendo l'impianto fondamentalista islamico in Siria che sarebbe stato pericoloso non solo per la Siria ma per tutta la regione. Finalmente!!! si aprono gli occhi, anche se e' già tardi, ma, come dice il detto popolare: "meglio tardi che mai". 
 
L'ONU a mio parere non ha potuto scagliare i suoi strali contro il Presidente Bachar per il seguente motivo: 1) sapeva che secondo fonti della CIA il presidente gode dell'oltre 70% del favore popolare e quindi sarebbe stato da parte sua un suicidarsi se avesse gettato le bombe chimiche ben sapendo chi lo vuole e lo sostiene come Presidente. 

2) L'ONU si deve essere reso conto che nel colpevolizzare sempre e soltanto il Governo negli eccidi di civili, quali donne e bambini, ormai nessuno più vi crede. Perchè e' risaputo da tutti che i terroristi, e ne abbiamo avuto varie prove, pur di far colpo sull'opinione pubblica, dopo aver commesso un eccidio lo fanno passare come esecuzioni dell'esercito regolare. 


 
Da qualche giorno  la città di Aleppo l'abbiamo vista rivestita di una coltre di neve, naturalmente la temperatura è scesa ulteriormente, e' arrivata di notte a meno 8 gradi centigradi.

 Immaginate le sofferenze della gente priva di riscaldamento, denutrita per mancanza di vettovaglie ed anche perche' mancano di mezzi per potersele procurare essendo i prezzi impossibili : pensate che un kg di pomodori costa oggi qualcosa come 10 dollari, il Kg di pane 6 dollari, ecc....
Nonostante tutto si sopravvive. 

La Chiesa con le sue Istituzioni cerca di rendere la situazione meno difficile, aiuta come può e per quanto può,  fino a quando avra' la possibilita' di sostenere questa situazione...
 La porta del convento dei Padri Francescani è sempre aperta e distribuisce pacchi di viveri a chiunque si presenta. Mi chiedo fino a quando questi Frati potranno andare avanti cosi'? Loro stessi si debbono procurare le vettovaglie con i prezzi del mercato.  
 
Noi da queste note intendiamo lanciare un ulteriore appello agli uomini e donne di buona volonta': 

  Non permettete che la comunita' Cristiana sia sradicata dalla Siria perche' qui è nata, fin dalla predicazione apostolica. 
Non permettete che la Siria sia distrutta completamente. La Siria e' stata la culla della civilta' e tale deve restare. 
E' patrimonio di tutta l'umanita' e l'umanita' la deve preservare e conservare. 
 
L'Osservatore di Aleppo  







Ci giunge direttamente da Monsignor Nazzaro, Vescovo emerito di Aleppo, questo allarme ricevuto dai suoi fedeli  : 



Da un paio d'ore ho ricevuto notizia che i salafiti e i terroristi di Jabhat al-Nousra sono penetrati nel villaggio cristiano di Kanayé ed hanno imposto al Parroco di non suonare più le campane. Le donne non devono più uscire per strada a capo scoperto, devono essere velate. Nel caso non ottemperassero a questi ordini, passerebbero dalle minacce ai fatti col massacrarli tutti. 
In pratica ci troviamo dinanzi a  quanto hanno già fatto nel villaggio vicino di Ghassanieh da oltre un anno. La differenza è che a Ghassanieh intimarono loro di lasciare subito il villaggio, altrimenti li avrebbero tutti uccisi, ed ottennero il risultato che volevano, cioè occupare il villaggio con quanto i cristiani possedevano. Qui, a Kanayé, non li hanno minacciati di lasciare il villaggio, ma di vivere secondo la legge islamica. 
Questo è il primo passo, domani li costringeranno a convertirsi all'islam.

Vescovo Giuseppe Nazzaro 

venerdì 13 dicembre 2013

Le monache di Maaloula : una gara tra tentativi di mediazione e l’attacco su Yabroud


da as-Safir

 di Muhammad Ballout

Le monache di Maaloula saranno presto in Libano , ultimo rifugio dei rapitori , se gli intermediari e i canali aperti con loro non arriveranno a una soluzione rapida , soprattutto dopo l'estensione dell’ assalto dell'Esercito Siriano su Yabroud nei prossimi giorni con il lancio di una seconda fase dell'operazione militare in Qalamoun .

Dodici suore, quattro di loro libanesi , le altre siriane . Tre canali per i negoziati hanno alternativamente  cercato di ottenere un elenco di richieste da parte dei rapitori , al fine di organizzare rapidamente uno scambio. L'ottimismo regna circa il processo di negoziazione a causa del fatto che i rapitori sono entrati immediatamente in un processo di dialogo multilaterale , al fine di raggiungere un accordo circa le suore . Questo è un segno importante perché è la prima volta che Jabhat al- Nusra cerca rapidamente di raggiungere un accordo sulle vittime di rapimento che detiene , mentre il destino delle sue vittime nei rapimenti precedenti prima non dava alcuna chiarezza o anche qualsiasi accettazione di un principio di negoziazione da parte dei rapitori .

All'interno dei canali che stanno negoziando o hanno tentato di negoziare , non vi è nessun rappresentante del governo siriano , che si accontenta di soddisfare le richieste o di monitorare ciò che sta accadendo a distanza . C'è un canale locale guidato da una figura siriana che ha contribuito in passato alle trattative per la liberazione di ostaggi , c'è un canale del Qatar che ha iniziato a lavorare due giorni fa , e c’ è il canale delle Nazioni Unite .

Una fonte dell’ Esercito Siriano Libero in Qalamoun dice che un interlocutore  da parte del Vaticano sta cercando di aprire un quarto canale che coinvolge negoziati diretti con i rapitori e una generosa offerta economica in cambio del rilascio delle monache , ma Jabhat al- Nusra propone condizioni che , fino ad ora , non comprendono eventuali condizioni monetarie o riscatti. Attivi sullo sfondo , accanto ai leader di Jabhat al- Nusra in Yabroud , vi sono Mithqál Hamama e Ahmad al - Muqambar , leader locali  in una delle brigate dell'Esercito siriano libero . Essi stanno tentando di ottenere una porzione di ogni scambio e di riscatto monetario, nonché garanzie di sicurezza personale.

Ahmad al - Muqambar è del villaggio di al- Mashrafeh (chiamato anche Falita ) , mentre Mithqál Hamama viene da Bakha'a nella città  di Sarkha del Qalamoun.  Hamama ha svolto un ruolo di primo piano nella cattura delle monache di Maaloula e nel portarle fuori dal Monastero di Santa Tecla , che egli aveva  preso d'assalto con un gruppo di suoi combattenti  che appartengono a Liwa Tahrir al- Sham . Questa brigata  dispone di 1200 combattenti ed è guidata da un capitano disertore , Firas al- Bitar . Le sue unità sono particolarmente attive nel  ​​Ghouta e  Qalamoun , dai quali anche al- Bitar proviene.

Jabhat al- Nusra , che ha condotto l'assalto su Maaloula  all'inizio della scorsa settimana , ha sequestrato le suore dopo che erano state portate nella cittadina  di Sarkha , che è sotto il controllo di Mithqál Hamama , e trasportate in Yabroud , che è sotto controllo del leader di Jabhat al- Nusra Malik al- Talli , un siriano , e del suo vice  Hamdi Abu Azzam al- Kuwait , un kuwaitiano -siriano , siccome sua madre e sua moglie sono siriane .

Nelle ultime ore , i negoziati hanno avuto  grande impulso  per l'apertura di un canale internazionale per i negoziati con Jabhat al- Nusra per la liberazione delle suore e quattro orfane  che erano sotto la  loro cura e che Jabhat al- Nusra ha prelevato con loro, dal Monastero di San Tekla al villaggio di Sarkha , prima che fossero lasciate con al- Talli e il suo vice , che sta conducendo negoziati con il nome di Abu Azzam al- Kuwait . Allo stesso modo , molto è stato fatto per l'ingresso del  Qatar come intermediario  dopo la visita a Doha  del Direttore libanese della Sicurezza Generale , Abbas Ibrahim .

Le Nazioni Unite hanno tentato , attraverso Mukhtar Lamani , il rappresentante personale a Damasco dell'inviato arabo e internazionale per la Siria Lakhdar Brahimi , di svolgere un ruolo nel facilitare i negoziati per il rilascio delle suore . All'inizio Lamani ha parlato alla badessa del monastero , madre Pelagia , via Skype , ma il tentativo ha incontrato l’insistenza di Abu Azzam al- Kuwait circa la presenza del diplomatico internazionale in Yabroud per condurre negoziati faccia a faccia.

Le Nazioni Unite  rifiutano  di consentire a qualsiasi dei loro  diplomatici di andare ad incontri  con la dirigenza della Jabhat al- Nusra in Yabroud per la sicurezza e per motivi legali, tra i quali l' inclusione di Jabhat al- Nusra nella lista delle organizzazioni terroristiche e il fatto che Abu Azzam non ha avanzato richieste che possono essere chiaramente discusse . Lamani ha stabilito che la sua presenza in Yabroud sarebbe per ricevere le monache , il che ha causato che Jabhat al- Nusra  ponesse fine ai negoziati e così si è concluso il canale delle Nazioni Unite.

Poco dopo , il canale siriano locale ha ricevuto richieste in cambio del rilascio delle suore che comprendevano  aspetti militari e di sicurezza . E' ovvio che le autorità siriane non saranno d'accordo per attuare alcune  delle condizioni militari o di sicurezza proposte da Abu Azzam al- Kuwait , che sta conducendo le trattative e fino ad ora non ha consentito ad alcuno dei negoziatori di parlare direttamente con Malik al- Talli . Le condizioni di Abu Azzam al- Kuwait per il rilascio delle suore variavano da spedizioni di farina e cibo per le aree assediate in Ghouta orientale  per sollevare l'assedio da Moadamiyet al- Sham , richieste che , secondo uno dei negoziatori , possono andare avanti  .
Tutti coloro che hanno negoziato con Abu Azzam concordano con la domanda che egli ha posto per il rilascio di mille donne detenute in carceri dal regime siriano , anche se nessuno ha ricevuto un elenco dei nomi di coloro che egli vuole scambiare per le suore , nonostante una settimana sia passata dall'avvio dei negoziati . Tuttavia, ciò che sta mettendo i negoziati in una situazione di stallo è la richiesta di Jabhat al- Nusra per uno stop alle operazioni dell'esercito siriano nel Qalamoun , alla fine della lista delle condizioni militari dettate da Abu Azzam al- Kuwait ai suoi partner negoziali . Abu Azzam ha proposto il ritiro del checkpoint dell'esercito all'ingresso di  Maaloula , la rimozione delle unità dell'esercito dallo strategico Monastero dei Cherubini che si affaccia su Saydnaya , e la rimozione di una unità dell'esercito siriano di stanza presso un monastero di Qara . Ha chiesto , in generale, l'eliminazione di qualsiasi presenza dell'Esercito siriano dalle  "regioni Cristiane" , come ha detto , in modo da 'neutralizzarle'  dal conflitto .

Ai negoziatori ha dato l'impressione che l'uomo di Jabhat al- Nusra in Yabroud non ha l'ultima parola e che egli agisce come un intermediario, molto probabilmente riceve ordini da un terzo che determina il corso e le condizioni delle trattative , che sono diventate più complicate nelle ultime ore , dopo che Jabhat al- Nusra ha minacciato di inviare le suore in Libano . La minaccia giunge con l'arrivo in Yabroud due giorni fa di Abu Hasan al- Arsali , uno dei leader dell'Esercito siriano libero in Arsal e uno dei supervisori delle operazioni di approvvigionamento di fuori del territorio libanese . Non è noto se questo è direttamente correlato alla questione delle monache o la minaccia per trasportarle in Libano.

L'ingresso del Qatar nelle ultime  ore in una mediazione con i rapitori sembra incoraggiante , dopo che il rilascio delle monache era entrato in contrasto con l'operazione militare in corso su  Yabroud , sul cui impatto sui negoziati vi sono  aspettative contrastanti . Uno dei partecipanti ai negoziati ha detto ad as- Safir che l'avanzamento dell'esercito verso Yabroud non lascerà Jabhat al- Nusra con molte opzioni e che la protezione delle monache potrebbe diventare un peso per i rapitori nei prossimi giorni .

giovedì 12 dicembre 2013

"La fraternità spegne la guerra". L'implorazione del Papa gridi alla coscienza di chi può fermare il massacro della Siria!

DAL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA CELEBRAZIONE DELLA
XLVII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 
1° GENNAIO 2014

FRATERNITÀ, FONDAMENTO E VIA PER LA PACE

...
7. Nell’anno trascorso, molti nostri fratelli e sorelle hanno continuato a vivere l’esperienza dilaniante della guerra, che costituisce una grave e profonda ferita inferta alla fraternità.
Molti sono i conflitti che si consumano nell’indifferenza generale. A tutti coloro che vivono in terre in cui le armi impongono terrore e distruzioni, assicuro la mia personale vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Quest’ultima ha per missione di portare la carità di Cristo anche alle vittime inermi delle guerre dimenticate, attraverso la preghiera per la pace, il servizio ai feriti, agli affamati, ai rifugiati, agli sfollati e a quanti vivono nella paura. La Chiesa alza altresì la sua voce per far giungere ai responsabili il grido di dolore di quest’umanità sofferente e per far cessare, insieme alle ostilità, ogni sopruso e violazione dei diritti fondamentali dell’uomo.

Per questo motivo desidero rivolgere un forte appello a quanti con le armi seminano violenza e morte: riscoprite in colui che oggi considerate solo un nemico da abbattere il vostro fratello e fermate la vostra mano! Rinunciate alla via delle armi e andate incontro all’altro con il dialogo, il perdono e la riconciliazione per ricostruire la giustizia, la fiducia e la speranza intorno a voi!
 «In quest’ottica, appare chiaro che nella vita dei popoli i conflitti armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile concordia internazionale, creando divisioni profonde e laceranti ferite che richiedono molti anni per rimarginarsi. Le guerre costituiscono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali che la comunità internazionale si è data». (Francesco, Lettera al Presidente Putin, 4 settembre 2013)

Tuttavia, finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le ostilità. Per questo faccio mio l’appello dei miei Predecessori in favore della non proliferazione delle armi e del disarmo da parte di tutti, a cominciare dal disarmo nucleare e chimico.

Non possiamo però non constatare che gli accordi internazionali e le leggi nazionali, pur essendo necessari ed altamente auspicabili, non sono sufficienti da soli a porre l’umanità al riparo dal rischio dei conflitti armati. È necessaria una conversione dei cuori che permetta a ciascuno di riconoscere nell’altro un fratello di cui prendersi cura, con il quale lavorare insieme per costruire una vita in pienezza per tutti. 
È questo lo spirito che anima molte delle iniziative della società civile, incluse le organizzazioni religiose, in favore della pace. 
Mi auguro che l’impegno quotidiano di tutti continui a portare frutto e che si possa anche giungere all’effettiva applicazione nel diritto internazionale del diritto alla pace, quale diritto umano fondamentale, pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti. 

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/messages/peace/documents/papa-francesco_20131208_messaggio-xlvii-giornata-mondiale-pace-2014_it.html

ORRIBILE MASSACRO DI CIVILI A ADRA 



























Militanti del gruppo terroristico Liwa al- Islam , e di al - Qaeda al- Nusra hanno lanciato mercoledì un'offensiva mortale su Adra , situata sul nord-est di Damasco , costringendo centinaia di persone a fuggire dalla città, quindi cominciarono a uccidere le persone , famiglia per famiglia .
Un video ha mostrato mucchi di cadaveri nelle case, tra cui i bambini , che sono stati uccisi durante l'attacco dei militanti .Testimoni locali hanno detto che i militanti hanno attaccato  super- mercati di Adra , stazioni di rifornimento e panetterie mentre entravano la città e terrorizzato la gente lungo la loro strada .Un numero imprecisato di persone sono state rapite da militanti , mentre molti sono stati uccisi nelle loro case, riferisce il  reporter di Al Alam .Relazioni locali dicono anche che varie persone sono state giustiziate in Adra nell' attacco di al - Nusra in città , e alcuni hanno detto che più di un centinaio di persone sono state uccise da militanti negli ultimi due giorni , alcuni sgozzati e alcuni bruciati vivi. La testa di un medico dell'ospedale appesa a un albero.
Forze di resistenza locali stanno ancora combattendo i militanti in alcune parti della città .

 L'esercito del paese è in gran parte concentrato sulla sua battaglia nell'area strategica di Qalamoun vicino a Damasco ."Sembra che i militanti stanno cercando di guidare l'attenzione dell'esercito verso Adra distogliendolo da Qalamoun " , ha detto il reporter.


mercoledì 11 dicembre 2013

Damasco: l'ospedale italiano che resiste in guerra


Salesiani soccorrono feriti e aiutano famiglie in difficoltà

ANSAmed) - DAMASCO - Per arrivarci basta dire al tassista che si vuole andare dai "Telieni", gli italiani. E' qui, nel quartiere di Mazraa, che dal 1913, sotto la direzione delle suore salesiane, opera l'Ospedale Italiano di Damasco. Un centro chirurgico dove sono stati curati profughi palestinesi, iracheni e semplici cittadini siriani e che da due anni soccorre gratuitamente i feriti dei bombardamenti e delle autobomba che colpiscono la capitale.

"Ci sono stati giorni in cui sono arrivati 30 feriti, li abbiamo sistemati anche nei corridoi, dandoci da fare tutti come potevamo, medici, infermieri e suore", racconta la madre superiora, Annamaria Scarsella, trasferita in Siria nel 2011 dopo 41 anni passati nelle scuole e nelle missioni del Messico, compresa la regione del Chiapas. 
Fuori di tanto in tanto si sente il rumore delle cannonate che partono dalle postazioni governative verso i sobborghi ribelli, che a loro volta colpiscono quasi quotidianamente il centro della capitale con colpi di mortaio e razzi. Uno di questi ha centrato  la nunziatura apostolica, distante un paio di chilometri da qui, senza provocare feriti. Ma su altri quartieri periferici abitati da cristiani i bombardamenti sono continui. Come quello di Jaramana, nel sud della città, dove dall'inizio del conflitto sono caduti 2.800 obici. 

A raccontare la storia dell'ospedale, ospitato con i suoi 55 posti letto e 70 medici in un edificio vecchio ma ordinato, è una suora siriana, Widad Abiad, che lo conosce da quando aveva 13 anni, avendo frequentato la scuola salesiana annessa prima che questa fosse nazionalizzata, nel 1967. "Quest'anno è il centenario del nosocomio, fondato dall'egittologo Ernesto Schiapparelli. Durante la Seconda Guerra Mondiale è stato occupato dai britannici, ed è rimasta solo una suora a fare la guardiana. Poi l'attività è ripresa". 
L'ospedale è oggi un punto di riferimento per la popolazione, nella tempesta che scuote la capitale. Così come il vicino oratorio e centro catechistico dei Salesiani, frequentato da 200 bambini e 300 giovani, che cura anche la distribuzione di cibo per famiglie in difficoltà, attività di aiuto psicologico e corsi di formazione e sostegno scolastico.
 "Accogliamo ragazzi cristiani di qualsiasi rito", sottolinea il responsabile, il prete venezuelano Alejandro Josè Leon. Con i suoi 34 anni, il maglione, i jeans, il fisico atletico e i modi rilassati, non è molto diverso dai ragazzi più grandi della comunità che giocano a calcetto in cortile. Abu ("padre" in arabo) Alejandro ha passato due anni ad apprendere l'arabo in Egitto e poi ha studiato cinque anni in Italia, continuando ogni estate a venire a Damasco o Aleppo a lavorare. Da tre anni vive qui. 
Ad aiutarlo un aleppino di 29 anni, Munir Hanashi, appena ordinato sacerdote dopo cinque anni di studio a Torino. Un altro salesiano della comunità è Luciano Burati, 65 anni dei quali 25 passati a Qamishly, vicino alla frontiera con la Turchia, che ora gestisce una casa dell'ordine a Kafrun, nella provincia di Homs. Qui, nella Wadi al Nasara (La Valle dei Cristiani), sono ospitati 40 sfollati da Aleppo. 

"Le famiglie in difficoltà nella nostra comunità sono tante", dice padre Leon. "Molti impiegati nel turismo o nelle ambasciate europee che hanno chiuso hanno perso il lavoro. Tutto questo si aggiunge ai pericoli quotidiani. La maggior parte dei nostri ragazzi viene da quartieri popolari, in particolare Dweila e Jaramana. Ogni giorno dobbiamo valutare i rischi e decidere se mandare o meno i pullman a prenderli. Una volta è successo che un mortaio è caduto davanti e uno dietro a un nostro mezzo pieno di bambini".


 Eppure l'estate scorsa 150 ragazzi hanno celebrato con una festa la Giornata mondiale della gioventù. "Tutti - dice padre Alejandro - sono stati toccati dalla guerra. Chi ha avuto un cugino ucciso, chi un amico, chi un vicino. In questa situazione c'è chi dice: 'Se esiste Dio, come può permettere questo?'.
 Ma altri, che prima venivano all'oratorio solo per giocare, adesso mi dicono: 'Abu, ho capito, non c'è altro che Dio'. Tra i nostri giovani c'è una nuova fioritura di fede, c'è un ritorno di vita evangelica".

http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/cronaca/2013/11/06/Siria-ospedale-italiano-che-resiste-Damasco_9578325.html


Siria: attendiamo con coraggio l’alba di un nuovo giorno

da :“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS)

«È stato il giorno più difficile della mia vita e l’ho affrontato con coraggio, affidandomi completamente a Dio affinché mi suggerisse le parole da rivolgere ai miei fedeli». Così padre Firas Lufti, frate siriano appartenente alla Custodia di Terra Santa, ricorda quando ha celebrato i funerali di padre François Murad, il religioso ucciso in Siria lo scorso giugno.

Fra Firas racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre i mesi trascorsi come parroco a Knayeh, nella valle dell’Oronte, quasi al confine con la Turchia. E ripercorre la giornata del 23 giugno, quando ha dovuto recarsi nel vicino villaggio di Ghassanieh per recuperare il corpo senza vita di padre François. «Alle sei di mattina alcuni fedeli hanno bussato alla mia porta per dirmi che il convento di Ghassanieh era stato bombardato e che François era morto. Il mio pensiero è andato immediatamente alle tre suore e all’altro religioso, padre Philippe, che abitavano nel convento di Sant’Antonio da Padova». Giunto sul posto Fra Firas capisce che non si è affatto trattato di un bombardamento, dal momento che l’esterno dell’edificio non aveva subito danni. L’interno della chiesa è stato invece devastato: i banchi e le statue distrutte, il tabernacolo aperto. All’ingresso del convento giace il cadavere di padre François, riverso nel suo sangue. «Ad ucciderlo non era stato un missile del governo come mi era stato detto, ma dei colpi di arma da fuoco». Accanto al corpo, tre uomini armati. Dal loro accento è facile dedurre che non sono siriani. «Mi hanno riferito anche di un ceceno presente nell’edificio che continuava ad inveire contro il povero padre François. Per fortuna non mi ha visto, altrimenti avrebbe potuto uccidere anche me».

In un’altra stanza del convento, al piano superiore, vi sono le tre suore del Rosario «terrorizzate e distrutte». Fortunatamente quel giorno Padre Philippe, il parroco, si trovava a Latakia e così la sua vita è stata risparmiata. La notizia della morte del religioso diffonde il terrore la piccola comunità cristiana locale.
«Anche se io stesso ne avevo bisogno – ricorda Fra Firas –ho cercato di infondere coraggio e di confortare i fedeli. Durante i funerali non è stato semplice trovare le parole giuste da dire, parole che non fossero interpretate come un messaggio in favore del governo o dei ribelli. Io non sto con nessuno, se non con il Signore e con i miei fratelli, che sono cittadini siriani e in quanto tali hanno diritto ad abitare queste terre e a vivere con dignità nel proprio paese».



La valle dell’Oronte è un’area controllata attualmente dai ribelli dopo la ritirata dell’esercito lealista. Delle tre parrocchie francescane situate nella regione, Ghassanieh vive la situazione più drammatica: qui si trovano molti miliziani qaedisti, per lo più stranieri, provenienti dall’Afghanistan e dalla Cecenia. A Jacoubieh vi sono invece una quarantina di gruppi ribelli, composti in maggioranza da siriani e spesso in lotta fra loro. quella di Knayeh è invece una zona controllata per lo più dall’esercito siriano libero, sebbene anche qui non mancano «elementi fanatici che desiderano imporre la sharia». 
«Quando sono arrivato a Knayeh lo scorso aprile – afferma il frate – ho trovato una situazione terribile. Quasi ogni notte ero costretto ad uscire per controllare se qualcuno era rimasto ferito o ucciso dai missili che cadevano ripetutamente sul villaggio». Sono circa trecento i cristiani che hanno scelto di rimanere nel piccolo paese anche dopo la ritirata dell’esercito siriano ufficiale. «Sono persone che non hanno voluto schierarsi, eppure il governo li considera complici dei terroristi e i ribelli ritengono che, in quanto cristiani, siano legati al regime. Peraltro quando i gruppi dell’opposizione hanno bisogno di soldi, rapiscono proprio i cristiani». Gli abitanti del villaggio non hanno più di che vivere: in molti hanno perso il lavoro e i contadini sono stati derubati del loro raccolto.

Fortunatamente le famiglie povere possono contare sulla solidarietà del convento francescano di San Giuseppe. Ogni mese i frati donano farina, riso e zucchero e offrono ospitalità a chiunque ne abbia bisogno, di qualunque fede. «Il nostro convento ha perfino ospitato alauiti e sunniti insieme, rendendo possibile la loro riconciliazione». In molti giungono a Knayeh anche per le amorevoli cure di Suor Patrizia, religiosa italiana del Sacro Cuore Immacolato di Maria. «Nonostante la mancanza di medicine e le terribili condizioni psicologiche nelle quali vive, Suor Patrizia ha deciso di rimanere in Siria per curare le malattie e asciugare le lacrime di chiunque abbia bisogno del suo aiuto. Tanti musulmani percorrono svariati chilometri per farsi curare da lei, perché sono convinti che la sua mano sia benedetta».

Pensando al futuro del suo paese, Fra Firas crede che la pace possa essere raggiunta attraverso il concreto impegno di tutte le parti coinvolte: non soltanto il regime e l’opposizione, ma anche tutti i soggetti internazionali che sostengono e finanziano l’una o l’altra fazione.

Un’opportunità potrebbe essere rappresentata dalla possibile conferenza di Ginevra, che proprio in queste ore è stata ulteriormente posticipata.

«In Siria si combatte una guerra mondiale a spese di cittadini innocenti. Ogni giorno questa causa maggior dolore, amarezza, morti e distruzione, ma non dobbiamo perdere la fiducia nel futuro. Ecco cosa ho imparato dai mesi trascorsi a Knayeh: dobbiamo continuare a sperare e ad attendere con coraggio l’alba di un nuovo giorno».

http://acs-italia.org/notizie-dal-mondo/siria-attendiamo-con-coraggio-lalba-di-un-nuovo-giorno/#.Unz9XG1d7wo

10 dicembre 13 : bufera di neve si abbatte su gran parte della Siria.... è iniziato un terribile, rigido inverno,
non dimenticatevi di noi !













martedì 10 dicembre 2013

Premio Pulitzer rivela: sul gas sarin Obama manipolo' intelligence

La denuncia arriva da uno dei piu' noti giornalisti investigativi statunitensi, il premio Pulitzer Seymour Hersh. In un lungo articolo pubblicato dalla London Review of Books, il giornalista ha accusato il governo americano di "deliberata manipolazione" delle notizie di intelligence sulle armi chimiche in Siria .



Whose sarin?

Seymour M. Hersh




Seymour Hersh : " Obama e il gas siriano. 'Nessuna prova sull’attacco di Assad' "


La Repubblica- 10 dicembre 2013



Barack Obama non ha raccontato tutta la storia quando ha cercato di sostenere che Bashar al-Assad era il responsabile dell’attacco chimico compiuto nei pressi di Damasco il 21 agosto. In alcuni casi ha omesso importanti informazioni di intelligence, in altri ha presentato semplici ipotesi come se fossero fatti. Soprattutto non ha ammesso una cosa nota ai suoi servizi segreti, e cioè che non è solo l’esercito siriano ad avere accesso al sarin (il gas nervino che è stato usato nell’attacco, secondo quanto accertato dall’Onu), nella guerra civile in corso nel Paese mediorientale. Nei mesi precedenti, le agenzie di intelligence americane hanno prodotto una serie di rapporti altamente riservati contenenti prove che il Fronte Al Nusra, un gruppo jihadista affiliato ad Al Qaeda, possedeva le competenze tecniche per creare il sarin ed era in grado di fabbricarne in abbondanza. Al momento dell’attacco, Al Nusra avrebbe dovuto essere fra i sospettati, ma l’amministrazione Obama ha scelto solo le informazioni che servivano per giustificare un attacco contro Assad.


Nel suo discorso televisivo del 10 settembre, Obama ha accusato con forza il governo di Assad dell’attacco chimico contro il sobborgo di Ghouta Est, controllato dai ribelli. Il presidente citò un elenco di prove apparenti della colpevolezza di Assad. «Nessuno, tra quelli con cui ho parlato, dubita delle informazioni», ribadì il suo capo di gabinetto, Denis McDonough. Tuttavia, parlando recentemente con ufficiali e consulenti dei servizi segreti e delle forze armate, in pensione e non, ho riscontrato serie preoccupazioni, e occasionalmente anche rabbia, per quella che è stata vista da più parti come una deliberata manipolazione dei servizi segreti. Un ufficiale di alto livello dell’intelligence, in un’email spedita a un collega, ha definito le assicurazioni dell’amministrazione Obama sulla colpevolezza di Assad una «furberia ». L’attacco, ha scritto l’ufficiale, «non è stato il risultato del regime al potere». Un ex alto funzionario dei servizi segreti mi ha detto che l’amministrazione Obama aveva alterato tempi e sequenza delle informazioni disponibili per consentire al presidente e ai suoi collaboratori di far sembrare che informazioni ottenute giorni dopo l’attacco fossero state raccolte e analizzate in tempo reale, mentre l’attacco era in corso.
L’assenza di un allarme immediato all’interno dei servizi di intelligence americani dimostra che i servizi segreti non avevano nessuna informazione sulle intenzioni siriane nei giorni precedenti all’attacco. E ci sono almeno due modi in cui gli Usa avrebbero potuto venirne a conoscenza prima, entrambi accennati in uno dei documenti top secret divulgati nei mesi scorsi da Edward Snowden. Il 29 agosto, il Washington Post ha pubblicato estratti del budget annuale per tutti i programmi nazionali di intelligence, fornito da Snowden. C’era una sezione dedicata alle aree problematiche: una di queste era la lacuna di informazioni dall’ufficio di Assad. Nel documento si diceva che la Nsa non aveva più accesso alle conversazioni dei vertici delle forze armate siriane, che potevano includere comunicazioni fondamentali da parte di Assad, come gli ordini per un attacco chimico.

Gli estratti del Washington Post hanno fornito anche la prima indicazione di un sistema segreto di sensori all’interno della Siria per conoscere in anticipo qualsiasi cambiamento nella situazione dell’arsenale chimico del regime. I sensori sono monitorati dall’Nro (Ufficio nazionale di ricognizione), l’organismo che controlla tutti i satelliti dei servizi segreti americani. Secondo il riassunto del Washington Post, l’Nro ha anche il compito di «estrarre i dati provenienti dai sensori sul terreno », dislocati all’interno della Siria. Questi sensori forniscono un monitoraggio costante dei movimenti delle testate chimiche in mano all’esercito siriano, ma nei mesi e nei giorni prima del 21 agosto, dice sempre l’ex funzionario, non hanno riscontrato alcun movimento. È possibile, naturalmente, che il sarin sia stato fornito all’esercito siriano attraverso altri mezzi, ma non essendoci stato nessun preallarme le autorità americane non erano in grado di monitorare gli eventi a Ghouta Est nel momento in cui si stavano svolgendo.
La Casa Bianca ha avuto bisogno di nove giorni per mettere insieme le prove contro il governo siriano. Il 30 agosto ha invitato a Washington un gruppo selezionato di giornalisti e ha distribuito loro un documento che recava scritto in bell’evidenza «Valutazione del Governo» (e non dei servizi segreti). Il documento esponeva una tesi essenzialmente politica a sostegno della posizione della Casa Bianca contro Assad: i servizi segreti Usa sapevano che la Siria aveva cominciato a «preparare munizioni chimiche» tre giorni prima dell’attacco. È la versione degli eventi (falsa, ma che nessuno ha contestato) che ebbe ampia diffusione al momento.
Il Daily Mail fu drastico: «I rapporti dei servizi dicono che le autorità americane sapevano da tre giorni dell’attacco al gas nervino in Siria, in cui sono morte più di 1400 persone tra cui oltre 400 bambini».
Il documento diffuso dalla Casa Bianca e il discorso di Obama non erano descrizioni degli eventi specifici che avevano portato all’attacco del 21 agosto, ma un’esposizione della procedura che l’esercito siriano avrebbe seguito per qualunque attacco chimico.«Hanno messo insieme un antefatto », dice l’ex funzionario dei servizi, «con un mucchio di pezzi e parti differenti». 
È possibile, naturalmente, che Obama non fosse a conoscenza che quel resoconto era stato ricavato da un’analisi del protocollo dell’esercito siriano per eseguire un attacco chimico, invece che da prove dirette. In ogni caso, il risultato è stato un giudizio affrettato.

La stampa seguì l’esempio. Nel rapporto dell’Onu del 16 settembre, che confermava l’uso del sarin, gli ispettori furono attenti a sottolineare che il loro accesso al luogo dell’attacco, che avvenne cinque giorni dopo il 21 agosto, era avvenuto sotto il controllo delle forze ribelli. «Come per altri siti», metteva in guardia il rapporto, «i luoghi sono stati visitati da altri individui prima dell’arrivo della missione […] Nel periodo che abbiamo trascorso in questi siti sono arrivati individui che portavano con sé altre munizioni sospettate, segnale che potenziali prove di questo genere vengono spostate e forse manipolate». Eppure il New York Times, così come le autorità americane e britanniche, presero il rapporto degli ispettori e affermarono che forniva prove decisive a supporto delle tesi della Casa Bianca. In un allegato al rapporto dell’Onu erano riprodotte foto, prese da YouTube, di alcune munizioni recuperate, tra le quali un razzo che «corrisponde indicativamente» alle specifiche di un lanciarazzi da 330mm. Il New York Times scrisse che la presenza di quei razzi sostanzialmente era la prova che la responsabilità dell’attacco era del governo siriano, poiché «non risultava che la guerriglia fosse in possesso delle armi in questione ».
Theodore Postol, professore di tecnologia e sicurezza Nazionale al Mit, ha analizzato le foto dell’Onu insieme a un gruppo di suoi colleghi ed è giunto alla conclusione che quel razzo di grosso calibro era una munizione di fabbricazione artigianale, molto probabilmente realizzata localmente. Mi ha detto che era «qualcosa che si può produttore in un’officina modestamente attrezzata». Il razzo delle foto, ha aggiunto, non corrisponde alle specifiche di un razzo simile, ma più piccolo, a disposizione delle forze armate siriane.

La rappresentazione distorta, da parte della Casa Bianca, delle informazioni a sua disposizione sulle modalità e la tempistica dell’attacco, faceva il paio con la sua determinazione a ignorare le informazioni di intelligence che potevano contraddire quella versione. Queste informazioni riguardavano Al Nusra, il gruppo ribelle islamista designato dagli Stati Uniti e dall’Onu come organizzazione terroristica. Al-Nusra ha messo a segno decine di attentati suicidi contro cristiani e altre confessioni islamiche non sunnite all’interno della Siria, e ha attaccato l’Esercito libero siriano, nominalmente suo alleato nella guerra civile.
L’interesse degli americani per al-Nusra e il sarin originava da una serie di attacchi chimici su piccola scala realizzati a marzo e ad aprile. L’Onu alla fine era giunto alla conclusione che erano stati effettuati quattro attacchi di questo genere, ma senza essere in grado di indicare il responsabile. Un funzionario della Casa Bianca dichiarò alla stampa, a fine aprile, che i servizi segreti avevano valutato, «con un grado di sicurezza variabile», che gli attacchi erano opera del regime. Assad aveva varcato la «linea rossa» fissata da Obama. Quella valutazione fece notizia, ma furono tralasciate alcune precisazioni importanti. Il funzionario della Casa Bianca aveva ammesso che le valutazioni dei servizi segreti «non sono di per sé sufficienti». In altre parole, la Casa Bianca non aveva nessuna prova diretta di un coinvolgimento dell’esercito o del governo siriani. Le dichiarazioni aggressive di Obama fecero colpo sull’opinione pubblica e sul Congresso, che vedono Assad come un assassino spietato.
Due mesi dopo, la Casa Bianca cambiò registro e dichiarò che i servizi segreti ora avevano «un elevato grado di sicurezza» riguardo alla responsabilità del governo Assad per le 150 vittime degli attacchi con il sarin. I giornali tornarono a parlarne con grande enfasi e alla stampa venne raccontato che Obama, di fronte alle nuove informazioni, aveva ordinato di aumentare i rifornimenti (non letali) all’opposizione siriana. Anche in questo caso, però, c’erano delle precisazioni importanti: tra le nuove informazioni di intelligence c’era un rapporto in cui si diceva che gli attacchi erano stati pianificati ed eseguiti da esponenti del Governo siriano, senza fornire particolari. Questa dichiarazione contraddiceva le informazioni che in quel momento stavano affluendo agli organismi di intelligence statunitensi.
Il 20 giugno, un cablogramma top secret di quattro pagine, che riassumeva quello che era stato scoperto sul potenziale chimico di al-Nusra, fu inoltrato a David Shedd, vicedirettore della Dia (i servizi segreti militari). Era stato anche recuperato — con l’aiuto di un agente israeliano — un campione del sarin utilizzato, ma secondo il consulente di questo campione nei cablogrammi non si è più parlato.

Sia in pubblico che in privato, dopo il 21 agosto l’amministrazione Obama ha ignorato le informazioni disponibili sul potenziale accesso al sarin di al-Nusra e ha continuato a sostenere che il Governo di Assad era l’unico a disporre di armi chimiche.
Il proposto attacco missilistico americano contro la Siria non ha mai trovato consenso nell’opinione pubblica e Obama si è affrettato a ripiegare sulla proposta dell’Onu e della Russia per lo smantellamento dell’arsenale chimico siriano. Le possibilità di un’azione militare sono tramontate definitivamente il 26 settembre, quando la Casa Bianca ha approvato insieme alla Russia una bozza di risoluzione Onu che esortava il Governo di Assad a sbarazzarsi del suo arsenale chimico.
La risoluzione, adottata il 27 settembre dal Consiglio di sicurezza, diceva indirettamente che anche le forze ribelli, come al-Nusra, avrebbero dovuto disarmare, e affermava che nel caso un «attore non statale» fosse entrato in possesso di armi chimiche, il Consiglio di sicurezza avrebbe dovuto essere immediatamente informato. Non era citato esplicitamente nessun gruppo.

Mentre il regime siriano prosegue con l’eliminazione del suo arsenale chimico, il paradosso è che al-Nusra e i suoi alleati islamisti, una volta distrutte le riserve di agenti precursori in possesso del regime, potrebbero finire per essere l’unica fazione in Siria ad avere accesso agli ingredienti per fabbricare il sarin, un’arma strategica unica in zona di guerra.


Queste e altre manipolazioni delle realtà hanno portato il mondo sull’orlo di una nuova guerra mondiale. Obama, alla fine ci ha ripensato, e oggi sta cercando, insieme a John Kerry, una soluzione diplomatica alla guerra (la distensione con Teheran sul nucleare va vista anche in questa ottica). E questo oggi conta più del pregresso. Altri, sia negli Usa come in Europa, insistono sulle loro posizioni intransigenti, allora giunte al parossismo, ostacolando i tentativi di pacificazione. E la fabbrica della manipolazione che lavora attorno a questa guerra è ancora in servizio attivo. L’inchiesta di Hersch ne ha rivelato solo la punta dell’iceberg.Piace terminare questa lunga nota – ce ne scusiamo ma valeva la pena di dare spazio alla cosa, articoli del genere si leggono una volta ogni dieci anni – accennando alla statura umana del cronista in questione. Il suo articolo ha suscitato reazioni forti negli Usa. Alle quali ha risposto: «Rispetto a questioni tanto gravi» i miei «travagli» di giornalista «sono davvero poca cosa». 
Coraggio, intelligenza e modestia, forse mai premio Pulitzer fu più meritato.
http://www.piccolenote.it/16088/lattacco-chimico-di-goutha-in-siria-le-manipolazioni-che-potevano-scatenare-una-nuova-guerra 
Queste e altre manipolazioni delle realtà hanno portato il mondo sull’orlo di una nuova guerra mondiale. Obama, alla fine ci ha ripensato, e oggi sta cercando, insieme a John Kerry, una soluzione diplomatica alla guerra (la distensione con Teheran sul nucleare va vista anche in questa ottica). E questo oggi conta più del pregresso. Altri, sia negli Usa come in Europa, insistono sulle loro posizioni intransigenti, allora giunte al parossismo, ostacolando i tentativi di pacificazione. E la fabbrica della manipolazione che lavora attorno a questa guerra è ancora in servizio attivo. L’inchiesta di Hersch ne ha rivelato solo la punta dell’iceberg.
Piace terminare questa lunga nota – ce ne scusiamo ma valeva la pena di dare spazio alla cosa, articoli del genere si leggono una volta ogni dieci anni – accennando alla statura umana del cronista in questione. Il suo articolo ha suscitato reazioni forti negli Usa. Alle quali ha risposto: «Rispetto a questioni tanto gravi» i miei «travagli» di giornalista «sono davvero poca cosa». Coraggio, intelligenza e modestia, forse mai premio Pulitzer fu più meritato.