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domenica 14 luglio 2013

Guerra aperta tra Al Qaeda e i "ribelli moderati"


da Avvenire, 13 luglio 13
di Riccardo Redaelli


L’uccisione di Kamal Hamami, uno dei più importanti comandanti militari dell’Esercito libero siriano (Els), da parte di milizie di al-Qaeda presso la città costiera di Latakia, segna una nuova tragica tappa nella trasformazione e radicalizzazione dell’opposizione siriana al crudele regime del presidente Assad. Per quanto vi sia chi si ostini a non volerlo vedere, due anni di guerra – con il loro carico di violenze, morti e vendette – hanno favorito la crescita delle milizie islamiste più brutali, settarie e anti-occidentali, ben rappresentate dalla formazione jihadista di Jabhat al-Nusra, che si ricollega all’organizzazione centrale di al-Qaeda. 
Lo dimostrano anche i sempre più numerosi guerriglieri non siriani caduti, provenienti da tutto il mondo islamico e che in gran parte combattono proprio sotto le bandiere qaediste, non già con quelle di un sempre più debole Els. Nella battaglia per il controllo della cittadina strategica di al-Qusayr, tanto per citare un esempio recente, a cercare di contrastare l’avanzata delle milizie di Hezbollah sono stati soprattutto i veterani jihadisti e gli islamisti ceceni.

Lo testimonia pure il fatto che Hamami sia stato ucciso mentre cercava un accordo sul campo con i comandanti delle milizie dello "Stato islamico dell’Iraq e del Levante", ossia la cellula di al-Qaeda che negli ultimi dieci anni ha insanguinato l’Iraq, uccidendo migliaia di soldati occidentali e un numero ancora maggiore di sciiti arabo-iracheni.
Ma cosa ci fanno le forze della "filiale" irachena di al-Qaeda in Siria, per di più a Latakia, sul Mediterraneo, lontanissime dall’Iraq? La risposta l’ha fornita il loro stesso leader, al-Baghdadi, per il quale bisogna arrivare a un’unione fra Jabhat al-Nusra e lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Un’unione che rafforzerebbe entrambe le organizzazioni, dato che il fronte di lotta è il medesimo e medesimi gli obiettivi: combattere i cattivi musulmani (ossia tutti quelli che non credono nei deliri terroristici di al-Qaeda o nel dogmatismo ottuso dei salafiti), sconfiggere gli sciiti, eliminare le influenze occidentali. Un progetto contro il quale ha tuonato lo stesso capo di al-Qaeda, al-Zawahiri, rendendo pubbliche le crescenti divergenze fra i capi dell’organizzazione, lacerata fra chi vuole esasperare il settarismo anti-sciita, con attacchi contro le loro moschee e nelle città, e chi ritiene questa politica controproducente.
Sul terreno, tuttavia, questa alleanza è ormai nei fatti e rappresenta un segnale estremamente pericoloso. Innanzitutto, rafforza l’idea che vi sia una sorta di guerra civile dentro la guerra civile, con uno scontro crescente nelle file degli insorti e con il rischio che gli oppositori moderati divengano sempre meno rilevanti. Anche perché gli uccisori di Hamami hanno proclamato di voler eliminare tutti i capi dell’Els, considerandoli "nemici" alla pari dei sostenitori di Assad e accusandoli – non senza ragione – di indulgere troppo nella pratica della razzia nelle zone "liberate". 
Inoltre, l’alleanza tattica fra le due formazione jihadiste finisce inevitabilmente con il radicalizzare ulteriormente Jabhat al-Nusra, nella forme delle più odiose tecniche di guerriglia (autobombe, attacchi alle moschee "rivali"...) tipiche del conflitto iracheno.

Infine, l’uccisione di Hamami rafforza i dubbi di chi – a Washington soprattutto – si chiede se sia opportuno finanziare, addestrare e armare l’opposizione contro il regime di Damasco, quando vi è la ragionevole probabilità che queste armi finiscano proprio nelle mani di gruppi ostili all’Occidente e che non esiterebbero a usarle contro di noi. 
Insomma, nella lunga notte siriana, le nere bandiere delle milizie jihadiste sembrano ancora più nere e numerose e più tetro il futuro di questo popolo intrappolato in un conflitto sempre meno nazionale e sempre più regionalizzato.

© riproduzione riservata
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/siria-al-qaeda-spegne-speranza.aspx





Al di là delle varie narrazioni che accompagnano questa storia, l’episodio dimostra pubblicamente la spaccatura tra le varie anime del fronte anti-Assad.
Da tempo si segnalavano scontri tra fondamentalisti islamici e altri oppositori di Damasco, ma quella di ieri è una giornata che segna un punto di non ritorno: da oggi la narrazione più in voga in Occidente, quella che vede un popolo in armi opporsi a un regime dispotico, è finita. Resta la realtà di un variegato mondo di signori della guerra che tentano di assicurarsi il maggior profitto possibile da una guerra tragica della quale ancora non si intravede la fine. 
Imbarazzo anche tra gli sponsor occidentali, per i quali è sempre più difficile giustificare il sostegno accordato alle milizie di Al Qaeda. Come si è visto negli ultimi giorni al Congresso Usa, dove iniziano a circolare perplessità.
http://www.piccolenote.it/12110/siria-trappola-di-al-qaeda-ucciso-leader-degli-insorti

sabato 13 luglio 2013

« Se non è in nostro potere fermare questa guerra, possiamo però pregare perchè finisca presto».

«Una parte significativa del popolo siriano è composta da nostri fratelli nella fede: nel centro della città di Damasco si trova uno dei più antichi patriarcati ortodossi, quello di Antiochia. E ora, per le strade di questa città, che ricordano l’apostolo Paolo, le opere e gli scritti degli antichi santi, viene versato sangue umano. Su questa terra biblica in cui fianco a fianco sono vissuti in pace cristiani e musulmani oggi vengono profanate le reliquie, i templi sono distrutti e i cristiani cacciati dalle loro case, perseguitati, e molto spesso torturati e uccisi. A causa della distruzione di edifici e infrastrutture, per la mancanza di cibo e medicine, molte persone sono state private del proprio tetto. Qualcuno si è rifugiato presso parenti, altri hanno trovato riparo in aree speciali, altri ancora sono dovuti fuggire nei Paesi vicini, dove spesso non c’era nessuno ad attenderli». Se «non è in nostro potere fermare questa guerra, possiamo però pregare per una rapida fine di essa e aiutare le persone che soffrono, tra cui i nostri fratelli cristiani». Sono parole pronunciate due settimane fa dal Patriarca di Mosca Cirillo, e pubblicate sull’Osservatore Romano dell’11 luglio (titolo dell’articolo: Dalla Russia al popolo siriano). Il Patriarca ha benedetto una raccolta di fondi per le vittime del conflitto armato in Siria; nella prima colletta del 2 luglio, effettuata in varie diocesi, monasteri, chiese e da singole persone, sono state raccolti oltre sette milioni di rubli, ma un’altra colletta si è svolta domenica 7 luglio. Soldi, appunto, destinati ai tanti bisognosi siriani.
«Una parte significativa del popolo siriano è composta da nostri fratelli nella fede: nel centro della città di Damasco si trova uno dei più antichi patriarcati ortodossi, quello di Antiochia. E ora, per le strade di questa città, che ricordano l’apostolo Paolo, le opere e gli scritti degli antichi santi, viene versato sangue umano. Su questa terra biblica in cui fianco a fianco sono vissuti in pace cristiani e musulmani oggi vengono profanate le reliquie, i templi sono distrutti e i cristiani cacciati dalle loro case, perseguitati, e molto spesso torturati e uccisi. A causa della distruzione di edifici e infrastrutture, per la mancanza di cibo e medicine, molte persone sono state private del proprio tetto. Qualcuno si è rifugiato presso parenti, altri hanno trovato riparo in aree speciali, altri ancora sono dovuti fuggire nei Paesi vicini, dove spesso non c’era nessuno ad attenderli». Se «non è in nostro potere fermare questa guerra, possiamo però pregare per una rapida fine di essa e aiutare le persone che soffrono, tra cui i nostri fratelli cristiani». Sono parole pronunciate due settimane fa dal Patriarca di Mosca Cirillo, e pubblicate sull’Osservatore Romano dell’11 luglio (titolo dell’articolo: Dalla Russia al popolo siriano). Il Patriarca ha benedetto una raccolta di fondi per le vittime del conflitto armato in Siria; nella prima colletta del 2 luglio, effettuata in varie diocesi, monasteri, chiese e da singole persone, sono state raccolti oltre sette milioni di rubli, ma un’altra colletta si è svolta domenica 7 luglio. Soldi, appunto, destinati ai tanti bisognosi siriani.
«Una parte significativa del popolo siriano è composta da nostri fratelli nella fede: nel centro della città di Damasco si trova uno dei più antichi patriarcati ortodossi, quello di Antiochia. E ora, per le strade di questa città, che ricordano l’apostolo Paolo, le opere e gli scritti degli antichi santi, viene versato sangue umano. Su questa terra biblica in cui fianco a fianco sono vissuti in pace cristiani e musulmani oggi vengono profanate le reliquie, i templi sono distrutti e i cristiani cacciati dalle loro case, perseguitati, e molto spesso torturati e uccisi. A causa della distruzione di edifici e infrastrutture, per la mancanza di cibo e medicine, molte persone sono state private del proprio tetto. Qualcuno si è rifugiato presso parenti, altri hanno trovato riparo in aree speciali, altri ancora sono dovuti fuggire nei Paesi vicini, dove spesso non c’era nessuno ad attenderli». Se «non è in nostro potere fermare questa guerra, possiamo però pregare per una rapida fine di essa e aiutare le persone che soffrono, tra cui i nostri fratelli cristiani». Sono parole pronunciate due settimane fa dal Patriarca di Mosca Cirillo, e pubblicate sull’Osservatore Romano dell’11 luglio (titolo dell’articolo: Dalla Russia al popolo siriano). Il Patriarca ha benedetto una raccolta di fondi per le vittime del conflitto armato in Siria; nella prima colletta del 2 luglio, effettuata in varie diocesi, monasteri, chiese e da singole persone, sono state raccolti oltre sette milioni di rubli, ma un’altra colletta si è svolta domenica 7 luglio. Soldi, appunto, destinati ai tanti bisognosi siriani.

In tutto il mondo iniziative di preghiera e  solidarietà 

Il Patriarca di Mosca al popolo siriano

«Una parte significativa del popolo siriano è composta da nostri fratelli nella fede: nel centro della città di Damasco si trova uno dei più antichi patriarcati ortodossi, quello di Antiochia. E ora, per le strade di questa città, che ricordano l’apostolo Paolo, le opere e gli scritti degli antichi santi, viene versato sangue umano.
Su questa terra biblica in cui fianco a fianco sono vissuti in pace cristiani e musulmani oggi vengono profanate le reliquie, i templi sono distrutti e i cristiani cacciati dalle loro case, perseguitati, e molto spesso torturati e uccisi. A causa della distruzione di edifici e infrastrutture, per la mancanza di cibo e medicine, molte persone sono state private del proprio tetto. Qualcuno si è rifugiato presso parenti, altri hanno trovato riparo in aree speciali, altri ancora sono dovuti fuggire nei Paesi vicini, dove spesso non c’era nessuno ad attenderli».
 Se «non è in nostro potere fermare questa guerra, possiamo però pregare per una rapida fine di essa e aiutare le persone che soffrono, tra cui i nostri fratelli cristiani». Sono parole pronunciate due settimane fa dal Patriarca di Mosca Cirillo, e pubblicate sull’Osservatore Romano dell’11 luglio (titolo dell’articolo: Dalla Russia al popolo siriano)
Il Patriarca ha benedetto una raccolta di fondi per le vittime del conflitto armato in Siria; nella prima colletta del 2 luglio, effettuata in varie diocesi, monasteri, chiese e da singole persone, sono state raccolti oltre sette milioni di rubli, ma un’altra colletta si è svolta domenica 7 luglio. 
Soldi, appunto, destinati ai tanti bisognosi siriani.



Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite — citati dal Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca — il numero delle vittime della guerra civile in Siria è di oltre 90.000, mentre un milione di cittadini siriani hanno lasciato il Paese e sono diventati profughi. 
La Siria avrebbe perso circa 80 miliardi di dollari nei due anni di guerra. 
Secondo il vescovo di Seydnaya, Luka, della Chiesa ortodossa antiochena, ammontano a quasi 140.000 i cristiani cacciati dalle proprie case.
L'Osservatore Romano, 11 luglio 2013


La solidarietà alla popolazione siriana dei Vescovi di Inghilterra e Galles 

L'Osservatore Romano, 
11 luglio 2013


Un appello per la pace e per sostenere il lavoro delle organizzazioni caritative in Siria giunge dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles.
In un comunicato — a firma del presidente dell’episcopato, l’arcivescovo di Westminster, Vincent Gerard Nichols, e del presidente della commissione episcopale per gli affari internazionali, il vescovo di Clifton Declan Ronan Lang — si rinnova l’invito alla comunità dei fedeli a pregare per la popolazione siriana che sta subendo «un conflitto sempre più aspro che non accenna a terminare». Si tratta di una tragedia, è aggiunto, «che è una sfida per la comunità internazionale e per ognuno di noi».
Nel comunicato si ricorda che finora circa 100.000 persone sono state uccise, mentre il numero dei rifugiati ha superato i 4 milioni. «La sofferenza dei siriani — si legge — cresce non solo a causa della violenza, ma anche delle difficoltà economiche che devono essere affrontare da un numero crescente di persone. Il caldo estivo non farà che aggravare le condizioni di vita nei campi profughi». L’impegno più urgente, puntualizzano i vescovi, è per creare «le condizioni per un cessate il fuoco» e per il raggiungimento di «un accordo che rispetti la dignità e i diritti fondamentali di tutti i siriani».
Concludendo la nota, l’episcopato chiede di dare sostegno ai profughi e a tutti coloro che versano in difficoltà a causa del conflitto e di contribuire all’opera delle organizzazioni caritative, tra le quali l’agenzia cattolica inglese per l’aiuto allo sviluppo dei Paesi d’oltremare. Una messa speciale per la popolazione siriana sarà celebrata il 12 luglio nella cattedrale di Westminster.
Già in occasione della plenaria dei vescovi, svoltasi nel novembre scorso, era stato deciso di dedicare una giornata alla preghiera come segno di solidarietà nei confronti non solo della popolazione siriana ma anche di quelle che vivono nel contesto generale del Vicino Oriente.



Vescovo indiano Mons. Felix Machado : Durante il Ramadan preghiamo per la Siria


AsiaNews - 12/07/2013


 Il Ramadan sia un momento di preghiera per portare la pace in ogni comunità, in particolare tra i fratelli e sorelle cristiani e musulmani  della Siria. 
È il senso del messaggio di mons. Felix Machado, arcivescovo di Vasai (Maharashtra), ai musulmani dell'India per il Ramadan. Il prelato è presidente dell'ufficio per il Dialogo interreligioso e l'ecumenismo della Conferenza episcopale indiana (Cbci) e della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc). In questo mese mons. Machado parteciperà ad alcuni iftar (pasto serale al termine della giornata di digiuno, ndr) organizzati dalla comunità islamica della sua diocesi.

Possa Dio accompagnare tutti i credenti che si arrendono a Lui nella preghiera e nel digiuno, meditando la Sua Parola in questo sacro mese del Ramadan.

Possa Dio udire e ascoltare la supplica di tutti noi, di chi soffre, in particolare i nostri fratelli e sorelle - cristiani e musulmani - in Siria.

Possa l'Iftar, questo momento di condivisione, essere un'occasione per nuove iniziative in vista del prossimo anno.

Si possa lavorare insieme - nonostante la nostra diversità e le differenze di religione - per mettere in pratica il dono di Dio, che è la pace, e possa ciascuno di noi approfondire la propria fede nel Signore. Possa ciascuno di noi meritare la benedizione e la grazia di Dio.

La pace per tutti è la volontà del Signore e questi giorni sacri di digiuno e preghiera devono rafforzare la nostra determinazione a lavorare per la pace e renderci più motivati nel raggiungerla.
Il Ramadan è fonte di pace, che si raggiunge attraverso il digiuno e la preghiera.

Questo mese sacro dovrebbe essere un momento per fare la pace e intraprendere iniziative verso di essa.

Spero che il Dio compassionevole di tutti coloro che lo stanno pregando, dia loro lo zelo di lavorare per la pace e il bene di tutti.

In questi giorni di Ramadan chiediamo di pregare per la Siria.

http://www.asianews.it/notizie-it/Vescovo-indiano:-Durante-il-Ramadan-preghiamo-per-la-Siria-28458.html

giovedì 11 luglio 2013

Aleppo: è la fame

Ad Aleppo  embargo alimentare da parte dei ribelli : la carestia alle porte, manca il pane. Vuote le mense che davano assistenza agli sfollati. 

disegni di Mario Vitali

Agenzia Fides - 11/7/2013

Aleppo - Un blocco delle forniture e delle merci, anche dei cibi, un vero e proprio “embargo alimentare”, sta strozzando la popolazione civile di Aleppo. Il blocco, giunto al settimo giorno, è stato imposto dai gruppi ribelli che controllano la zona Nordest della città che ora minacciano anche l’interruzione dell’approvvigionamento di acqua. I “ribelli” sono frastagliati in numerosi gruppi e fazioni, alcuni islamismi e jihadisti come “Jubhat al Nosra”, “Liwaa al tawhid”, “Aasifat al shimal”, “Souqqour al shahba” e altre, in cui si arruolano guerriglieri da Afghanistan, Libia, Caucaso, dalle Repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale e da altri paesi. La città resta spaccata in due, parte sotto controllo dell’esercito (il Sudest) e metà sotto controllo dei gruppi armati (Nordest). E’ stata trasformata in un “campo di battaglia”, con grave danno per la popolazione civile, di ogni etnia e religione, e vede distrutto il suo prezioso patrimonio storico-culturale.

Fra Bernard, uno dei cinque frati francescani rimasti in città, nel convento di San Francesco, spiega a Fides: “La carestia è alle porte. La gente ha paura, è ridotta in povertà e piange. Facciamo il possibile per aiutare famiglie e profughi. I quartieri cristiani sono nel bel mezzo fra l’area controllata dall’esercito e quella dei gruppi armati. La sofferenza della popolazione civile, di ogni religione, è immane. Il blocco del cibo è contro ogni basilare diritto umanitario. La gente fa fatica anche a procurarsi il pane”.
I ribelli hanno preso il controllo della strada che collega Aleppo ad Hama, ingresso da cui transita la maggior parte delle merci dirette in città. Nell’area vi sono stati nei giorni scorsi violenti scontri militari. Intanto i rifornimenti alimentari sono scarsi e i prezzi sono saliti alle stelle. I prodotti vegetali sono introvabili, perché agli agricoltori viene impedito di entrare nei quartieri occidentali di Aleppo. “Ad Aleppo, se il blocco continua, si avvicina una crisi umanitaria”, ammonisce Fra Bernard. 


Muhammad M., musulmano sunnita, docente all’Università di Aleppo, commenta a Fides: “I belligeranti devono spiegarci perché l’uccisione di innocenti e la distruzione delle infrastrutture di civili. Perché una battaglia nelle aree residenziali della città? Da secoli non si vedeva questa distruzione”. 





martedì 9 luglio 2013

Diario dalla Siria : un cuore ( grandissimo) in azione













Gli struggenti racconti dei membri del Movimento dei Focolari nel Paese distrutto 


fonte: Città Nuova - a cura di Maddalena Maltese

«Sembra che in questi giorni non ci sia regione della Siria risparmiata dalle violenze. Ieri ho telefonato ad un’amica ortodossa sfollata a Banias, sulla costa, per farle gli auguri di Pasqua. Non c’è stata alcuna celebrazione liturgica a Banias, mi dice accorata. La città dove sono morte in questi giorni almeno centoquaranta persone vive in un clima irreale. Nel Giovedì Santo il sacerdote a metà liturgia ha fatto uscire la gente in fretta dalla chiesa ortodossa mentre cominciavano a piovere i colpi e da allora tutte le chiese, e non solo quella, sono rimaste chiuse. Anche lì la situazione è diventata davvero pesante.
«Dalla Siria ormai fuggono non solo i cristiani, ma anche i sunniti moderati preoccupati della deriva integralista. Nessuna donna prima di questo conflitto era obbligata ad indossare il velo, adesso viaggiare sicuri fuori città significa doverlo portare o tenerlo a portata di mano: impensabile in uno Stato che si è sempre definito laico. Ci sorprendono questi cambiamenti a vista d’occhio che non appartenevano alla cultura siriana.

«In questo clima di sospensione per un peggio che potrebbe arrivare ci interroghiamo senza sosta sul significato che le istituzioni internazionali danno all’espressione: Stato sovrano. Ci chiediamo: perché l’Onu tace? Perché i suoi organismi non hanno la forza di “obbligare” alla pace e al dialogo, come si dovrebbe fare quando fratelli incoscienti vogliono picchiarsi a morte, e sanno invece molto bene e molto in fretta votare embarghi che fanno poi solo la disperazione della gente?


«Perché tanti regimi in Medio Oriente vengono sostenuti e poi in un giorno tutto si capovolge e si aprono conflitti sanguinosi, dove massacri e omicidi diventano linfa per l’odio religioso? Perché sempre due pesi e due misure? Perché la verità tace o è sovente contraffatta e l’opinione pubblica mondiale è anestetizzata? 
A Banias due anni fa nelle memorabili manifestazioni del venerdì si gridava: “Alaouiti nella fossa e cristiani in Libano!” eppure all’opinione pubblica interna ed estera con un tam-tam insistente si vendevano storie di libertà di un popolo che finalmente aveva il coraggio di rivoltarsi, e lo si affermava, ahimè, per depistare il grande pubblico soprattutto esterno sulla vera realtà del conflitto siriano.
«Chi osava sottolineare tale incongruenza pur ammettendo con chiarezza le colpe del regime era tacciato di fautore di dittature e filo-non so che! Ora che la Siria è devastata e divisa, ora che il sangue di fratelli è versato copioso ogni giorno e c’è chi purtroppo crede nella vendetta e la usa, ora che i terroristi hanno raggiunto le montagne sopra Damasco e quartieri di Homs e Aleppo, ora si parla finalmente con tutta sincerità del gas del Qatar e della Russia e della volontà di indebolimento della politica shiita contro quella sunnita, dell’annosa questione palestinese e del gioco “fuori casa” tra Russia, Cina, Iran, Stati Uniti e Israele e del sogno turco di fare da padrone e di altro ancora.
«La parola libertà non la si nomina più. Forse perché si sa che la libertà, quella vera, nasce solo dalla giustizia, che vuol dire: dare a ciascuno il suo. Non armi o altro. Era probabilmente quella la libertà che anche il popolo siriano sognava, ma che nessun Paese ha saputo aiutarlo a realizzare. Forse perché non c’è più, o non c’è ancora, la cultura della fraternità universale. Sono ancora troppo pochi gli uomini adeguatamente preparati e convinti a percorrere in economia e politica o nel diritto questa strada come quella che paga davvero.
«È alla fraternità però che ci aggrappiamo ancora oggi, come ad un filo di speranza, che ogni giorno diventa sempre più sottile. Tutto deve sempre cominciare da ciascuno di noi, ne siamo convinti, ma abbiamo bisogno di aiuto e di preghiere per poterlo fare».

La situazione in Siria raccontata direttamente da chi la vive in prima persona. La toccante esperienza degli sfollati di Matcha Helou.
Ciò che vi scriviamo non vuole essere un’analisi economica o politica della situazione in Siria. È una testimonianza di vita, quella vita che grazie anche alle azioni di aiuto intraprese in tutto il mondo con grande generosità, ci permette di essere ancora qui a raccontare e a fissare attimo per attimo quei tasselli di pace, di condivisione e solidarietà, di ascolto profondo e di dialogo che impediscono la disperazione e mantengono tanta gente ancora sana (psicologicamente) e in piedi. A credere che la pace arriverà.
La gente è allo stremo. Il fatto di coabitare con la morte che può arrivare per tutti senza troppi annunci rende la vita sempre più pesante. Non si osa pensare al futuro per paura di affrontare la prospettiva che esso possa continuare ad esprimersi in questo modo e costringa quindi ad alzare le mani in segno di resa. “Non ce la faremmo a sopportare ancora per mesi un tale stress a livello psicologico, fisico ed economico” è la frase che si sente pronunciare da tanti. Poi, nel presente, si cuce quel “punto” che permette di continuare e di andare avanti, nonostante la distruzione circostante.

L’economia è in ginocchio per l’embargo e per la distruzione o la chiusura o la rapina di industrie e laboratori artigianali. A ciò vanno aggiunti i giochi di potere dei grandi commercianti che incidono paurosamente sulla svalutazione della moneta locale, ripercuotendosi in maniera drammatica sul caro vita. Non c’è ormai  posto della Siria dove i generi alimentari o quelli di prima necessità non siano a prezzi esorbitanti, nemmeno nelle campagne; delle altre cose (vestiario ecc.) non se ne parla nemmeno perché tutto in fondo, tranne le medicine, è sentito come superfluo dalla gente, che economizza al massimo.
Un chilo di patate, ad esempio, è passato da 30 a 150 lire siriane, il latte in polvere da 700 a 2.500, la carne da 450 a 1.200 al kg, il pane in tutto il Paese non scende sotto alle 100 lire, quando prima la “rabta”- così si chiamano qui nove pezzi del buon pane arabo – costava 15 lire. Ma gli stipendi sono restati, per chi ancora lavora, gli stessi.
In questo contesto drammatico si disegnano però fatti di riconciliazione, di comprensione reciproca, di dialogo, di aiuto concreto.

Shaza e gli sfollati di Machta Helou:
Machta Helou è un grande villaggio in una zona collinare non lontano dalla costa, dove si sono rifugiate tantissime famiglie di Homs, fra cui alcune persone del Movimento dei Focolari con cui siamo in contatto. Una di loro, Shaza, racconta che all’inizio dell’inverno erano arrivate famiglie bisognose di tutto: cibo, vestiti, riscaldamento. Sono state accolte in un vecchio convento abbandonato, arredato con mezzi di fortuna. Il trauma della fuga e della perdita di tutto erano schiaccianti. Ascoltarle, raccogliere le loro esperienze e le loro necessità, visitarle regolarmente, è stato il primo impegno di Shaza e dei suoi amici. Questo ha fatto nascere un rapporto di fiducia e di amicizia che ha consentito alle famiglie di esprimere la loro situazione senza paura e vergogna. Le organizzazioni presenti riescono a dare mensilmente a ciascuna famiglia un pacchetto di cibo di base (riso, olio, zucchero e legumi secchi) e a garantire alcune medicine ma ci si è resi conto per esempio che da molti mesi nessuno di loro mangiava carne o latticini, che i bambini non avevano latte a sufficienza, né si poteva andare dal medico per controlli o cure indispensabili.


«Anche tanti di noi siamo sfollati, racconta Shaza, e quello che abbiamo ci è appena sufficiente per vivere ma, grazie all’unità fra noi, abbiamo avuto la forza di uscire da noi stessi e di guardarci attorno, visitando regolarmente queste famiglie, stando con loro ed ascoltandole a lungo. Era difficile per noi vederli in quello stato, anche perché alcuni di loro erano nostri vicini a Homs o persone benestanti che si trovavano senza più nulla. Per noi la cosa più importante è stata fare tutto con amore, cercare di dare quel poco che avevamo con amore, ascoltando ognuno profondamente. Il rapporto con queste famiglie si è intensificato a tal punto che ci hanno chiesto espressamente di continuare a visitarle anche se non avevamo nulla da dare poiché si sentivano amate.»
Quando Shaza  e gli amici di Machta Helou hanno condiviso questa esperienza per cercare una soluzione per il futuro si è visto che, grazie agli aiuti raccolti per l’emergenza in Siria, avremmo potuto sostenere un piccolo progetto per almeno 3 mesi, per aiutare queste famiglie in modo mirato. L’aiuto economico è quindi arrivato come una preziosissima opportunità per alleviare i bisogni di queste persone, secondo un progetto personalizzato per ogni famiglia, che ha alla base l’offerta di un po’ di carne e formaggio, vestiti (un bonus per ogni famiglia), pannolini per i bambini, medicine e analisi mediche. Speriamo certamente che gli aiuti continuino e che queste famiglie possano continuare a trovare un po’ di sollievo.

Nel mese di maggio, che in Siria dai cristiani è molto sentito come il mese dedicato a Maria,abbiamo pensato che avremmo potuto anche proporre di recitare insieme il Rosario, come abbiamo poi fatto in una delle visite. Al termine, una delle persone a nome di tutte ci ha detto: «Grazie, grazie infinite di questo momento, ne avevamo estremamente bisogno”. L’esperienza più significativa che stiamo facendo è certamente quella della reciprocità: non c’è chi dà e riceve ma tutti diamo e riceviamo, ci sentiamo davvero fratelli e sorelle, una sola famiglia.


Una commovente telefonata mondiale con i membri del Movimento dei Focolari nel Paese allo stremo delle forze riporta l’attenzione sulla forza della preghiera e dell’aiuto concreto.
«"Noi stiamo bene. Da Damasco e da Aleppo vi salutiamo! In questo momento un gruppo di noi è ad un incontro di giovani, che si fa ormai da due mesi regolarmente in una parrocchia, perché vogliono conoscere l’ideale dell’unità.
Certo, la “notte” nel Paese si fa sempre più scura, non si sa fino a quando ce la faremo a resistere sia a livello di stress, che a livello economico. I prezzi sono alle stelle, la gente nella grande maggioranza pensa solo a garantirsi il cibo, perché tutto il resto è diventato superfluo e questo per persone abituate a lavorare è come uno schiaffo, sentono che anche la loro dignità è stata calpestata da questa guerra.
In tante località o quartieri poi si convive con il rischio, quando si esce di casa, ci si chiede: rientreremo? Ci sono poi i due Vescovi e i due sacerdoti rapiti di cui non si sa assolutamente nulla e per i quali si levano preghiere incessanti come per le altre persone rapite.
Ma in questa “notte”, ve lo possiamo assicurare, c’è una luce molto forte e sono le parole di Gesù, l’insegnamento di Chiara Lubich, che ci ripete di vivere l’attimo presente, di amare, restare uniti, tenere viva la presenza spirituale di Gesù tra noi.
E allora ecco il miracolo che davvero ci stupisce: viviamo “fuori di noi”, per gli altri, non pensiamo che ad amare, a disarmarci continuamente di fronte ai risentimenti o anche alla rabbia che si può provare nel cuore, a migliorare i rapporti tra noi e con tutti. Questo ci fa restare in una certa normalità, ci dà la pace e in tanti sentiamo che è proprio qui il nostro posto, perché proprio qui si può portare l’unità e la serenità, e di questo la gente è assetata.
Un giovane che fa il servizio militare e lavora negli uffici, in un posto che subisce molti attacchi, ci ha raccontato che durante uno degli ultimi, molto forti, mentre scappava con i colleghi nel rifugio, si è reso conto che uno di loro era stato colpito e giaceva a terra. Per un attimo il dubbio: “Torno indietro ad amare questo fratello o continuo a scappare?”. Nel cuore, chiara, una voce che gli diceva: “Non avere paura, Io sono con te”. È tornato indietro, si è tolto la camicia per arrestare il sangue che scendeva dalla gamba e ha aspettato, sotto i colpi, l’arrivo dell’ambulanza.
In questo momento in cui ci sentiamo uniti a tutti voi, vorrei ringraziare ciascuno degli aiuti che ci arrivano in vari modi e che ogni volta ci commuovono. Sono un segno di quella realtà di famiglia che ci accompagna sempre. Sono preziosissimi, ci permettono di fare sentire a Gesù nel fratello quell’amore che ognuno di voi ha per Lui, di consolarLo, di darGli la forza di resistere e non disperare.
Se siamo qui è perché voi e tanti con voi ci siete e ci sono, e allora quindi un grandissimo grazie, grazie e un saluto speciale da tutti qui, dalla Siria».


Per aderire al progetto Emergenza Siria lanciato dall'Amu (Azione Mondo Unito), l'organizzazione non governativa del Movimento dei Focolari: chiunque voglia contribuire può indirizzare i suoi aiuti specificando la causale del versamento Siria, Emergenza Siria su
c/c postale n. 81065005
codice IBAN: IT74 D076 0103 2000 0008 1065 005
codice SWIFT/BIC: BPPIITRRXXX 

c/c bancario n. 120434 presso
Banca Popolare Etica - Filiale di Roma
codice IBAN: IT16 G050 1803 2000 0000 0120 434
codice SWIFT/BIC: CCRTIT2184D


http://www.cittanuova.it/c/429534/Diario_dalla_Siria_37.html
http://www.focolare.org/it/news/2013/06/22/siria-nella-notte-del-dolore-il-miracolo-della-solidarieta/
http://www.amu-it.eu/2013/06/26/testimonianze-dalla-siria/?lang=it

domenica 7 luglio 2013

S.O.S. Aleppo







Aleppo, cinta da assedio, è allo stremo 


L’ ASL e il Fronte al-Nosra, illusi, parrebbe, da una finta offensiva generale su Aleppo per deviarli da Homs, che era il vero obiettivo dell'esercito arabo siriano, tentano di punire la città del nord colpendola con violenza inaudita, combinando attacco militare e  privazione dei beni essenziali.

Da giorni, una pioggia di proiettili "silenziosi" si è riversata su Aleppo e dintorni, causando ingenti danni e numerose vittime che non possono essere curate negli ospedali svuotati dei medici, in cui i farmaci mancano palesemente e dove la mancanza di elettricità paralizza l’uso degli strumenti.

  Aleppo sta soffocando militarmente ma anche economicamente. Dal momento che si prolunga la durata di questa guerra, ci son sempre meno prodotti freschi: non c’è più carne, non c’è più pane e quando i panifici lo producono il prezzo  raggiunge 400 lire siriane al chilo; non ci sono più polli nè uova, il prezzo delle quali tocca £ 550 siriane per un cartone da trenta . Frutta e verdura sono diventati un lusso. L'elettricità è fornita con parsimonia. L'acqua così vitale, non arriva che per un'ora al giorno. E vi  sono 36 gradi!

Questa scarsità creata dalla barbarie degli uomini ha bisogno di fondi e pesa come una doppia penalità sulla popolazione che priva dei beni di prima necessità, sottraendole pure i suoi ultimi spiccioli.

Le banche private e perfino l'Istituzione ufficiale, non hanno più abbastanza denaro. La Banca nazionale non è più in grado di pagare gli stipendi.

Il fondo della miseria non è stato ancora del tutto raggiunto dal popolo aleppino, perché, per la prima volta, vediamo  donne  velate, da poco vedove, mettersi a fare il lavoro di tassista: veicoli privati ​​o veicoli senza targhe, qualsiasi cosa. Altre donne sono impegnate nella vendita di benzina, atti inconcepibili fino a poco tempo fa, ma comunque accettabili rispetto a coloro che cercano di offrire il loro corpo per essere in grado di mangiare. Purtroppo le si vede di notte in cerca di opportunità.

Recentemente, ho incontrato presso l'ospedale universitario una donna velata che aveva la sofferenza incisa sul volto. Nello scambio che abbiamo avuto, lei mi chiede se sono disposto a prendere il suo neonato da educare. Non son riuscito a trattenere le lacrime e le ho porto una moneta. Come affrontare la disperazione?

I cristiani, che si pensava fossero al riparo  da un tale  declino sociale, stanno raggiungendo ad Aleppo livelli di miseria senza precedenti. 
Di notte, nei loro quartieri, le famiglie non esitano ad uscire tra la spazzatura in cerca di cibo. 
Come può il mondo tollerare questo ?

La rivolta monta nel cuore degli abitanti del luogo. Anche i sostenitori del regime hanno minacciato di scendere in strada per protestare contro la condizione insopportabile a cui questa guerra barbarica li ha  sottoposti. Rivolta contro il governatore e le autorità militari di Aleppo che non ascoltano abbastanza la popolazione, impegnando la forza delle loro reazioni agli assalti dell'esercito siriano libero e il Fronte al-Nosra. Ma questa minaccia di proteste può essere attuata? Non ci sono forse abbastanza minacce adesso ad Aleppo?
 L'unica azione possibile, non è una minaccia; è un movimento controcorrente nella direzione della preghiera sincera; a casa, al riparo, perché la preghiera è l'opera di Dio in mezzo alla nostra confusione e l'opera di Dio non ha  mai fatto del male.

Testimonianza da Aleppo

sabato 6 luglio 2013

Padre Daniel da Qara: al momento stiamo tutti bene e siamo ancora qui nel monastero e fino ad oggi non siamo più stati attaccati.


 Sta arrivando, certamente, il tempo che tutte le fazioni, comprese le potenze esterne,  si calmino e cerchino la strada della riconciliazione e della pace, cioè, la “mussalaha”. 
Noi supportiamo pienamente questo movimento.  





Mar Yakub   

 mercoledì 28 giugno  – venerdì 5 luglio 2013

Dopo i bombardamenti sul monastero della scorsa settimana, parliamo  un po’ a tavola di come ognuno in Comunità ha trasformato  in modo originale il suo rifugio in un nido.  Infatti, usiamo tanti materassini di spugna, che prima erano usati per gli ospiti.  Adesso, ognuno ne prende due e  eventualmente ancora un altro a destra e a sinistra. Altri materassi ci coprono in caso che crollano pezzi ….  Quando sentiamo il rumore di un elicottero, ci copriamo tutti con i materassi. Nel frattempo, la piccola Fadia, la bebè della famiglia sunnita rifugiata presso di noi, porta gradita distrazione alle suore: sostituisce la sveglia .

Sabato si celebra nell' Oriente e nell’Occidente la festa degli Apostoli Pietro e Paolo.  Pietro e Paolo sono morti per martirio durante l’impero di Nerone. Pietro ha fondato la chiesa di Antiochia in Siria (adesso Antakia in Turchia) dove è stato Vescovo per 7 anni, prima di andare a Roma. In Antiochia la Chiesa era UNA nella sua diversità, con credenti circoncisi e credenti delle nazioni dei gentili. Qui sono stati chiamati  per la prima volta “cristiani”. Per la restaurazione di questa Unità,  si impegna uno dei più promettenti movimenti  mondiali e cristiani dei nostri tempi : Sulla strada del Secondo Concilio… (vedi : www.tjcii.be ). La visione di Paolo nei Romani 11 si sta attuando, perché ci sono sempre più Ebrei che riconoscono Gesù come il Messia, il Figlio di Dio e il Salvatore del  Mondo. Questo è anche un nuovo compito sia per i cristiani sia per i credenti del popolo ebraico. Paolo ha vissuto la sua conversione in Damasco e ha organizzato le sue missioni da Antiochia. In Antiochia ha incontrato la Chiesa che era UNA nella sua diversità.  La nostra comunità è nata proprio come “L' Ordine dell’unità di Antiochia” e per quello vogliamo pregare, vivere e lavorare.


Questa domenica c’è un atmosfera pacifica irreale. Sembra  un bellissimo posto di vacanza. Sopra di noi un sole splendente in un cielo di un blu eccezionale. C’è un grande silenzio. Da una parte c’è la montagna Anti-Libano e dall’altra parte il villaggio splende nel sole e dietro ci sono di nuovo montagne. Intorno agli edifici del monastero si estende un' oasi di verde con alberi e verdure. Adesso evitiamo di prendere la piccola colazione nell’atrio, come anche di godere la vista dalla terrazza della torre Romana . Noi camminiamo  il minimo possibile negli  spazi aperti. Diamo tutta l’attenzione alla parola di Gesù che dice nel Vangelo di oggi: “  Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».  
Facciamo di tutto per la nostra sicurezza  e intanto restiamo fedeli al nostro impegno: testimoniare l’Amore di Dio per suo Figlio Gesù Cristo in questo luogo per tutta la popolazione. Che il Regno della Pace possa venire presto, anche in Siria!

Oggi è domenica e siccome per tutta la giornata c’è silenzio nel cielo, noi restiamo più a lungo nella ricreazione serale prima di ritornare ai nostri rifugi. Ci ha fatto molto bene l' essere stati tutti insieme. Appena siamo nei nostri rifugi, alle ore 22.16 sentiamo un elicottero che fa due giri sopra di noi e dopo quattro bombardamenti un po’ più lontano. Dopo c’è di nuovo silenzio.

Durante la settimana, ricominciamo la  nostra vita normale  e lavoriamo.  
Dobbiamo ancora pulire tanto le parti del Monastero lesionate. Viviamo con tante limitazioni,  sempre pronti e all'erta, ma  proviamo a vivere  il più lietamente possibile. Abbiamo lunghe serate per approfondire le  nostre conoscenze  su Origene e altri temi interessanti. Ogni sera sentiamo i bombardamenti, ma apparentemente i piloti si sono perfezionati nel leggere le mappe.  Qualunque cosa succederà a questa comunità  e a questo monastero costantemente minacciato, noi saremo grati di ciò che abbiamo realmente vissuto, sofferto e pregato con il popolo Siriano.


Ancora una storia, vera e anche umoristica. Un giornale turco in lingua inglese annuncia che qualcuno ha tagliato un pomodoro in due e ha scoperto che il cuore del pomodoro aveva una chiara forma di croce (accompagnato da una foto bellissima). Una visione spiegava che apparentemente i pomodori sono cristiani e che perciò  “altri credenti” nei  paesi arabi non li possono mangiare. Non è un'idea, di attribuire a questa persona - per questa scoperta mondiale fantastica e scioccante  - il premio Nobel per la biologia, accompagnato da un grande ricevimento sulla prossima asta di verdure e frutta, dove gli invitati si possono bombardare liberamente con pomodori?   

Con tutto il Cuore,
P. Daniel

(traduzione A.Wilking)

venerdì 5 luglio 2013

'Hanno un unico obiettivo dichiarato: instaurare un “califfato” islamico in cui vige una legge restrittiva che non ammette nemmeno la presenza degli “infedeli”

Il governatorato di Idlib è diventato “il califfato di Saraqib”.




Agenzia Fides,  2/7/2013

La regione di Idlib, nel Nordovest della Siria, fra Aleppo e Hama, controllata da fazioni islamiste dei ribelli siriani, è il territorio dove si trova la Chiesa latina Sant’Antonio da Padova di Ghassanieh, nel villaggio di Jisr el –Choughour, dove è stato ucciso il sacerdote siriano p. Francois Murad. Attualmente, la città di Idlib, capitale dell’omonimo governatorato, è nelle mani dell’esercito regolare siriano, ma il territorio circostante è controllato da bande di ribelli, con forti infiltrazioni del gruppo jihadista “Jabhat al-Nusra”, che fonti qualificate dell’Agenzia Fides definiscono “fra le più esageratamente fondamentaliste”. Sono quelle fazioni che hanno un unico obiettivo dichiarato: instaurare un “califfato” islamico in cui vige una legge restrittiva che non ammette nemmeno la presenza degli “infedeli” (“kafir”). “Hanno trasformato l’islam in una ideologia da pulizia etnica”, spiega a Fides l’attivista sociale Farid, un siriano musulmano sunnita di Idlib, che si dice “scioccato e preoccupato per la situazione: tutti abbiamo paura”.
“Si tratta di un nuova edizione del fondamentalismo islamico, il più restrittivo della storia”, spiega Farid. I gruppi islamisti hanno eretto “capitale del califfato” la cittadina di Saraqib, dove è stato proclamato un Emiro ed è stato anche istituito un tribunale islamico, l’unico tribunale competente per ogni tipo controversia, che applica in modo pedissequo la sharia come unica fonte del diritto. “Il fatto è che il giudice supremo è un uomo rozzo e per nulla erudito, era un operaio, ed è affiancato da un altro giudice che viene dall’Arabia Saudita”, spiega Farid.

“In tale situazione, inconcepibile per la storia e per la tradizione della Siria, tutto diventa possibile. Viviamo in una atmosfera di terrore in insicurezza. E’ possibile che avvengano decapitazioni – spiega – perchè per questa ideologia l’infedele deve essere decapitato. Per altri reati minori, gli uomini vengono mutilati degli arti, percossi o flagellati. E’ sufficiente una fatwa e ogni abuso dei diritti umani diventa legale, soprattutto sulle minoranze come cristiani, alawiti, ismaeliti, sciiti, drusi, ma anche sugli stessi musulmani sunniti. Gli islamisti dispongono liberamente della stessa vita delle minoranze religiose. Le minoranze vengono risparmiate per ‘clemenza’ solo se pagano la jizya, la tassa imposta dalla maggioranza islamica”.
Una situazione insostenibile: “La popolazione civile siriana – conclude Farid – non può sopportare questa atmosfera di fondamentalismo, estranea alle nostra cultura e alla nostra società”, conclude Farid, lanciando un monito. “Dove finiremo?”

http://www.fides.org/it/news/53089-ASIA_SIRIA_Il_califfato_di_Saraqib_dove_e_stato_ucciso_p_Murad

giovedì 4 luglio 2013

«Noi cristiani siriani andiamo incontro al martirio. L’Occidente non armi chi vuole trasformarci in un califfato»

Intervista a Samaan, siriano cattolico di Damasco: «Gli spari e le bombe ormai fanno parte della nostra vita, speriamo in una soluzione pacifica»

siria-cristiani
TEMPI, 12 giugno 2013
di Leone Grotti


«Noi cristiani di Damasco viviamo con dolore e angoscia questa guerra, ormai gli spari e le esplosioni fanno parte della nostra vita ma continuiamo a vivere, ci siamo abituati e non possiamo stare chiusi in casa per la paura».
Così Samaan, cattolico siriano, commenta a tempi.it la notizia delle due bombe esplose ieri nel centro della capitale, che hanno ucciso una dozzina di persone e ferite circa 30.
Samaan vive a Damasco con la sua famiglia, traduce dall’italiano all’arabo per la Chiesa i libri su don Bosco e prima dello scoppio della guerra civile faceva la guida turistica per gli italiani che volevano visitare i luoghi storici della cristianità in Siria.

Oggi, come tutti i siriani, ha paura ed è preoccupato: «Ieri mattina dei colpi sono stati sparati in una zona di Damasco interamente cristiana, un uomo è morto. Sua moglie doveva partorire tra qualche giorno».
Qual è la situazione a Damasco, la città rischia di cadere nelle mani dei ribelli?
I ribelli non riusciranno a prendere Damasco, altrimenti l’avrebbero già fatto. Purtroppo, siccome non possono vincere questa battaglia, sparano colpi a destra e a manca dalla periferia, e così succede che uccidano civili innocenti, come accaduto con quell’uomo cristiano. Tutti i giorni viviamo con nelle orecchie il suono delle sparatorie.
Cercate di condurre una vita normale o prevale la paura?
Noi cerchiamo di vivere lo stesso. Cristo si è incarnato ed è morto sulla croce, noi sappiamo di essere nati anche per andare verso la croce, come ha detto il Papa. Ogni giorno qui cadono dei cristiani martiri e noi siamo consapevoli di essere i nuovi martiri del Medio Oriente. Io non voglio condannare nessuno, ma tutti quelli che usano la violenza non possiamo accettarli e alla fine, dobbiamo difenderci.
Molti ribelli lottano per una Siria più democratica.
Io posso capire alcuni di loro, ma altri assolutamente no. Le milizie di al-Nusra sono legate ad al-Qaeda e vogliono costruire un califfato islamico, noi dovremmo pagare dazio. Ma noi cristiani siamo arrivati qui ben prima dei musulmani e non accettiamo di diventare un popolo di serie B, ci devono rispettare. Lo Stato siriano è un mosaico di religioni e tradizioni e deve continuare a essere laico, rispettando tutte le fedi.
È vero che in alcune zone della Siria i ribelli legati ad al-Qaeda hanno imposto la sharia?
Le faccio solo un esempio: mio fratello è ingegnere agrario e viveva in una provincia del nord occupata dai ribelli. Dopo tre settimane si è convinto a scappare qui a Damasco con la figlia. Grazie a Dio nessuno li ha toccati ma sua figlia, mia nipote, è rimasta terrorizzata nel vedere uomini, molti non siriani, che l’hanno costretta a coprirsi il capo e a vestire abiti lunghi. Se non fai così, loro ti considerano una prostituta e si sentono in diritto di abusare di te. Per i miliziani di al-Nusra solo le donne coperte sono per bene e noi non possiamo accettare questa cosa.
Ieri è stata diffusa la notizia di un ragazzino di 15 anni ucciso ad Aleppo per blasfemia.
Abbiamo letto anche noi questa notizia e non mi stupisce: per loro non esiste un valore dell’uomo, dipende tutto dalla tua fedeltà o meno all’islam. Mio figlio ora ha 14 anni, io avrei molta paura se questi uomini girassero per Damasco. Non potrei accettarlo.
Russia e Stati Uniti stanno cercando di preparare la Conferenza internazionale sulla Siria. Che speranze avete?
Speriamo che riescano a trovare una soluzione pacifica. La Russia ha una posizione chiara, gli Stati Uniti ondeggiano a destra e a sinistra. A volte sembrano dubitare dei ribelli, altre appoggiano i loro alleati del Golfo, soprattutto Qatar e Arabia Saudita, che mandano armi e combattenti in Siria a fianco dei ribelli e sono sempre più fanatici.
Pensate ancora che una soluzione pacifica del conflitto sia possibile?
Sì, anche perché nessuna delle due parti può sperare di vincere con la forza. Certamente la guerra sarà però ancora lunga, soprattutto perché i paesi del Golfo riforniscono di armi i ribelli e inviano in Siria combattenti di ogni nazionalità. I ribelli armati inoltre vengono dall’estero e sono molto ben preparati nell’arte della guerra.
Anche l’Occidente sta pensando di armare i ribelli.
Io, come gli altri cristiani di Damasco, sono assolutamente contrario a inviare qualsiasi tipo di armamento ai ribelli. Una soluzione pacifica implica dire no alle armi e alla guerra. Io sono contro all’uccisione di qualunque persona, di qualunque colore sia, perché siamo tutti esseri umani e abbiamo tutti lo stesso valore. Aiutando i ribelli non si fa altro che aumentare la loro potenza di fuoco e la violenza. Armare i ribelli significa allungare ancora questa guerra sanguinosa.

http://www.tempi.it/siria-damasco-noi-cristiani-siriani-andiamo-incontro-al-martirio-occidente-non-armi-chi-vuole-trasformarci-in-un-califfato#.UbuQaW1H45t

martedì 2 luglio 2013

Si chiamava Mariam: CORRETTAMENTE stuprata da 15 uomini diversi e poi uccisa, NESSUNA LINEA ROSSA SUPERATA

Stupro e atrocità su una giovane cristiana a Qusair


Agenzia Fides 2/7/2013

Qusair – Si chiamava Mariam, era una 15enne cristiana di Qusair, città del governatorato di Homs, 35 km a sud del capoluogo. La città, che era diventata roccaforte dei ribelli siriani, è stata riconquistata dalle truppe dell’esercito regolare agli inizi di giugno. La storia di Mariam – pervenuta a Fides tramite il racconto di due sacerdoti cattolici – è segno della brutalità del conflitto e della estrema vulnerabilità delle minoranze religiose. La famiglia di Mariam era in città quando miliziani legati al gruppo jihadista “Jabhat al-Nusra” l’hanno conquistata e occupata. Mentre la sua famiglia è riuscita a fuggire, Mariam è stata presa e obbligata a un matrimonio islamico. 

Fonti di Fides ricordano che, attraverso i social network, era stata diffusa in Siria la fatwa emessa da Yasir al-Ajlawni – uno sheikh salafita di origine giordana, residente a Damasco – che dichiarava lecito per gli oppositori del regime di Bashar al-Assad lo stupro perpetrato ai danni di “qualunque donna siriana non sunnita”. Secondo la fatwa catturare e violentare donne alawite o cristiane non sarebbe contrario ai precetti dell'islam.
Il comandate del battaglione “Jabhat al-Nusra” a Qusair ha preso Mariam, l’ha sposata e violentata. Poi l’ha ripudiata. Il giorno seguente la giovane è stata costretta a nozze islamiche con un altro militante. Anche questi l’ha violentata e poi ripudiata. La stessa dinamica si è ripetuta per 15 giorni, e Mariam è stata stuprata da 15 uomini diversi. Questo l’ha destabilizzata psicologicamente e l’ha resa insana di mente. Mariam, divenuta instabile mentalmente, alla fine è stata uccisa. 

“Queste atrocità non sono raccontate da nessuna Commissione internazionale”, dicono a Fides due sacerdoti greco-cattolici, p. Issam e p. Elias da poco ritornati in città. I due stanno raccogliendo il pianto e le lamentale di numerose famiglie. “Chi farà qualcosa per proteggere i civili, i più vulnerabili?”, chiedono sconsolati. Come riferito a Fides, i due hanno appena celebrato una santa Messa per consacrare nuovamente la chiesa cattolica di Sant’Elia a Qusair. La chiesa era stata saccheggiata e profanata dai guerriglieri, ed era divenuta base logistica e residenziale per gruppi di ribelli. 

Il Patriarca caldeo Sako: nel caos siriano si muovono ormai forze e interessi che non mirano certo a instaurare la libertà.



Agenzia Fides - 20/6/2013

 – Per uscire dal conflitto che dilania la Siria “l'unica soluzione da cercare è quella politica”, mentre la prospettiva di fornire armi ai ribelli – caldeggiata da alcuni Paesi occidentali - porta in un vicolo cieco, perché “il sangue chiama altro sangue, la vendetta chiama vendetta”.
Così il Patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael I Sako, contattato dall'Agenzia Fides, si esprime sulla questione che divide la comunità internazionale su come por fine alla tragedia vissuta dal popolo siriano. S. B. Sako, che in Iraq continua a ispirare e sostenere con forza le iniziative messe in campo per la riconciliazione nazionale, conferma che gli scontri settari esplosi in Siria stanno contagiando tutta l'area mediorientale: “Il conflitto siriano” riferisce a Fides il Patriarca caldeo “sta lentamente destabilizzando tutto il Medio Oriente. E' una lotta tra gruppi confessionali, e l'Occidente sembra spesso favorire le derive peggiori. La democrazia non si impone dall'alto o con mezzi violenti. E nel caos siriano si muovono ormai forze e interessi che non mirano certo a instaurare la libertà”.
 Il Capo della Chiesa caldea registra ogni giorno nel suo ministero pastorale gli effetti di lunga durata sofferti anche dai cristiani iracheni in seguito agli interventi militari occidentali in Iraq: “Ho visitato una ventina di parrocchie a Baghdad” racconta S. B. Sako a Fides “e mi sono accorto che in tante comunità non sono rimasti che i poveri. I ricchi, i professionisti, gli intellettuali, sono tutti espatriati in Occidente. Rimane solo chi non ha i mezzi per andar via. I poveri. Sempre più stanchi. Sempre più poveri”.
http://www.fides.org/it/news/53024-ASIA_IRAQ_Il_Patriarca_caldeo_Sako_in_Siria_l_unica_soluzione_e_quella_politica#.UcNRIm1H45s

La politica “cerca petrolio”, la Chiesa “le persone”


AsiaNews - 19/06/2013 



 La popolazione civile vuole "pace e stabilità", la comunità musulmana "teme tensioni e violenze", ma la frattura fra "sunniti e sciiti", le divisioni fra gruppi ed etnie e l'influenza esterna sono un muro invalicabile nella prospettiva di una vera riconciliazione. È quanto afferma ad AsiaNews sua Beatitudine Mar Louis Raphael I Sako, Patriarca caldeo circa  la drammatica situazione in Siria e la crescente insicurezza nell'area mediorientale. Un elemento, conferma il Patriarca, che desta "paura e preoccupazione soprattutto dopo il sequestro dei due vescovi", sulla cui sorte "non si sa nulla da molto tempo" e "anche il Patriarca siro-ortodosso è all'oscuro".

Uno degli elementi di fondo delle società mediorientali è la "mancanza di una prospettiva di laicità", spiega sua Beatitudine, che sancisca una netta "separazione fra Stato, politica e religione". L'identità islamica a livello politico e istituzionale "resta molto forte" ed emerge anche "un sentimento di paura verso la cultura occidentale, vista come troppo liberale e amorale". Il Patriarca caldeo chiarisce un pensiero diffuso in Iraq e non solo: che "il cristianesimo ha fallito" sul piano morale e spirituale, cui si affianca la percezione di "un attacco all'islam". Per questo egli invita Chiesa e fedeli a mostrarne il volto positivo, perché "tocca ai cristiani parlare di una laicità positiva, rispettosa della religione e che si distacchi dal secolarismo occidentale che lotta contro la religione".

In merito alle continue violenze nel Paese, che solo nei giorni scorsi hanno causato oltre 30 morti in un attacco kamikaze contro una sala di preghiera sciita nella zona a nord di Baghdad, il Patriarca Sako parla di "lotta per il potere" acuita dalle "divisioni nel governo". La frammentazione e i conflitti si estendono poi a tutta l'area, dove "la situazione attuale in Sira comporta pesanti ripercussioni e ulteriori complicazioni anche per l'Iraq".
Sua Beatitudine registra un progressivo avanzamento del "piano di divisione del Paese presentato dagli americani", che prende corpo fondando lo scontro sull'elemento "etnico e religioso". "Emerge sempre più - continua - la priorità del singolo sul gruppo, ciascuno con la propria causa. Ci vuole una forza che unisca verso un obiettivo comune, che sia la nazione irakena, la cittadinanza irakena, la persona umana con tutti i suoi diritti". A livello popolare, fra le famiglie, aggiunge mar Sako, "la convivenza c'è, esiste... ma la politica è più forte, riesce a creare di continuo divisioni e muri".

Per il futuro, sua Beatitudine auspica un maggiore sostegno della Santa Sede e della comunità internazionale in un'ottica di riconciliazione, incoraggiando al contempo "i cristiani a rimanere, creare progetti, migliorando villaggi e infrastrutture".
"Anche la Chiesa deve fare di più - aggiunge il Patriarca caldeo - e non solo a parole, ma con una vera solidarietà umana, spirituale e morale. I musulmani si aspettano molto da noi: la politica occidentale cerca il petrolio e gli interessi, la Chiesa è e deve essere attenta alle persone". Per questo egli rilancia l'invito a Papa Francesco per una visita in Medio oriente e in Iraq: deve muoversi dove c'è bisogno, dove i cristiani sono perseguitati e in difficoltà come Gesù ha fatto. Il Vaticano prima che uno Stato è Chiesa, e il papa è il nostro pastore. E lui, Papa Francesco, è ben cosciente di questo".

http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarca-caldeo:-divisioni-fra-sunniti-e-sciiti-e-influenze-straniere-ostacolo-alla-pace-28246.html

lunedì 1 luglio 2013

Siria spaccata, i cristiani pagano




da: La Bussola Quotidiana  29-06-2013
- di Giorgio Bernardelli

Non erano probabilmente frati francescani gli uomini decapitati mostrati in un video che ieri mattina – rilanciato da Radio France International – aveva subito fatto il giro del mondo. A smentire la circostanza è stato il Custode di Terra Santa padre Pierbattista Pizzaballa (riconfermato proprio ieri dal Papa nel suo incarico per altri tre anni) che ha spiegato come dai contatti quotidiani che la Custodia tiene con i frati che si trovano in Siria nessuno manca all'appello. Ed è stato proprio padre Pizzaballa a dare la spiegazione più plausibile di quanto accaduto: il video è stato associato all'assalto compiuto domenica scorsa dalle milizie islamiste nel villaggio di Ghassanieh, sulle montagne dell'Oronte nei pressi di Idlib. Assalto durante il quale – come purtroppo già noto – è stato ucciso un monaco siriaco che da alcuni mesi viveva insieme ai francescani, padre Francois Mourad.
Non ci sarebbero dunque nuovi religiosi cristiani morti da piangere in Siria. Ma le notizie rassicuranti finiscono subito qui. Perché l'assalto al convento di Sant'Antonio da Padova a Gassanieh – dove i francescani assistevano i profughi fuggiti da Aleppo, in una zona controllata dai ribelli – è un fatto che resta. E da questo villaggio cristiano delle montagne dell'Oronte i frati se ne sono dovuti andare a Latakia, che si trova sulla costa. Il loro convento è stato devastato e occupato dalle milizie di Jabat al Nusra, il movimento islamista che è sempre più padrone sul terreno nelle aree controllate dai ribelli.
Come se non bastasse - poi - giovedì a Damasco c'è stato l'attentato nel quartiere di Bab Tuma che ha preso di mira la cattedrale greco-ortodossa, una delle chiese più antiche della capitale siriana. Un attacco reso ancora più ignobile dal fatto che a essere colpiti sono stati quanti erano lì in coda per ricevere dei pacchi di assistenza distribuiti dai religiosi alle persone più in difficoltà. Il bilancio è stato di quattro morti e numerosi feriti.

A tutto questo si aggiunge il silenzio sulla sorte dei due vescovi di Aleppo – il siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi – da più di due mesi ormai nelle mani dei rapitori. Anche su di loro si era diffuso l'allarme nei giorni scorsi per via di un video in cui pareva si vedesse la decapitazione di uno dei due presuli. Ma anche in quel caso si è poi scoperto che si trattava di un filmato legato a un assassinio precedente.
Tutto questo dà il clima della situazione che si respira in Siria. Con i cristiani di Aleppo costretti a fuggire anche da quelle montagne dove avevano trovato rifugio dopo aver abbandonato la loro città. Con conventi e chiese storiche che vengono assaltati. Con video di persone sgozzate che vengono fatti circolare per aumentare ancora di più la paura. Il tutto mentre sul campo l'esercito di Bashar al Assad – fiancheggiato dai miliziani libanesi di Hezbollah e dagli iraniani – recupera posizioni nell'asse strategico che congiunge Damasco a Beirut. Con lo scenario sempre più dietro l'angolo di una Siria spaccata in due: la parte costiera con le città in mano alle forze lealiste, quella più occidentale come roccaforte dei ribelli. Ieri persino i russi – grandi alleati di Assad - hanno deciso di evacuare il personale militare da Tartus, la loro grande base navale sul Mediterraneo.

In un contesto di questo genere si capisce perché i cristiani della Siria vedano come un incubo l'invio di nuove armi ai ribelli, opzione per la quale premono oggi gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (oltre ovviamente ai Paesi del Golfo, che in questi due anni non hanno mai smesso questo genere di invii). Hanno fin troppo chiaro chi sarebbero i primi contro cui verrebbero rivolte.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-siria-spaccatai-cristiani-pagano-6771.htm


L’editoriale di Marc Fromager( direttore di 'Aiuto alla Chiesa che soffre'- edizione francese): 

« Syrie ça suffit ! »

AED - Le 24 juin 2013


Depuis deux ans, la Syrie est exposée à la vindicte internationale et nous sommes priés d’assister silencieusement à l’anéantissement d’un des plus anciens pays au monde. Le dossier étant complexe et l’unanimité imposée, il est vrai que les voix discordantes étaient forcément mal vues. Or aujourd’hui, avec la décision américaine d’armer les rebelles et le suivisme européen et notamment français en la matière, le temps est venu de mettre fin à cette mascarade.
Au nom de la population syrienne, toutes confessions confondues, cette opération de destruction doit s’arrêter. Oui, ça suffit !


Certes, le dossier est complexe, le régime est autoritaire, mais depuis quand cela autorise-t-il la communauté internationale à décider de la destruction d’un pays ? La Syrie est-elle la seule dictature de la région ? Ne devrait-on pas également s’en prendre à l’Arabie Saoudite et au Qatar pour ne citer que ceux-là ? Et en quoi la pulvérisation du pays peut-elle le rendre plus épanoui ?
Il y a deux ans, la Syrie avait un taux de croissance économique de plus de 8 % et c’était, hormis le Liban, le pays le moins contraignant du Moyen-Orient pour les chrétiens. Aujourd’hui, avec plus de 90 000 morts et des centaines de milliers de réfugiés à l’intérieur et à l’extérieur du pays, l’évidente amélioration du sort de la population syrienne saute aux yeux, un peu comme l’ineffable service que nous avons rendu à la population irakienne depuis 10 ans…

Beaucoup de pays ont un intérêt dans la dislocation de la Syrie, à commencer par les Américains – pour des raisons énergétiques (contrôle de la production et/ou du transit du pétrole et du gaz et aussi manœuvre hostile contre les Russes) – ou les Qataris (lutte anti-chiite et compétition pour la primauté sunnite), mais la France ?
La politique étrangère française sur le dossier syrien est difficilement compréhensible. Quels intérêts y poursuivons-nous ? Ou est-ce simplement pour faire plaisir à nos parrains américain et qatari ? Là encore, il faut croire que la France a définitivement abandonné toute idée de souveraineté. Pourtant, la France, de par ses liens historiques avec la Syrie et les chrétiens d’Orient, avait une double responsabilité et donc des devoirs particuliers sur ce dossier.


Comment imaginer qu’on puisse armer les rebelles alors que tout le monde connaît la porosité de la rébellion syrienne avec les milieux islamistes liés à Al Qaïda ? Qui pourra expliquer l’absurdité qu’il y a à armer en Syrie ceux que la France combat au Mali ? Et après la Syrie, comment ne pas déjà entrevoir la dislocation du Liban ? Là aussi, est-ce la disparition des chrétiens que l’on cherche?

Quid de la population syrienne ? Cela semble le dernier souci de nos stratèges. Aujourd’hui, du point de vue de l’ensemble de la population syrienne et à fortiori des chrétiens syriens, ce chaos instauré, alimenté et financé en grande partie depuis l’étranger relève purement et simplement du crime. Il est temps que cela s’arrête et qu’une solution politique soit trouvée au plus vite, pour épargner la population civile plongée au fond de l’enfer. Oui, vraiment, cela suffit !

Marc Fromager
http://www.aed-france.org/actualite/leditorial-de-marc-fromager-syrie-ca-suffit/

sabato 29 giugno 2013

Il rogo siriano

Tragedie, propagande, veri rischi


da Avvenire , 29 giugno 2013
di Riccardo Redaelli

Come un incendio sfuggito completamente al controllo, il conflitto siriano appare ogni giorno sempre più sinistro e orribile. Per alcune ore ieri si è temuto che fra le sue tante vittime innocenti vi fossero anche tre religiosi, trucidati da milizie jihadiste perché accusati di essere «complici di Assad». Una notizia fortunatamente smentita, eppure tragicamente verosimile. Il difficile non era credere che pazzi criminali potessero massacrare frati francescani – Francesco, il simbolo stesso della pace e dell’apertura verso ogni essere vivente bisognoso – ma considerarla come impossibile. Poiché in Siria la follia del settarismo e del fanatismo ha ormai dilagato, alimentandosi di ogni morte, di ogni massacro.

Da una parte e dall’altra, le vittorie come le sconfitte sono il pretesto per aumentare la ferocia e la disumanità dei comportamenti. Nel mezzo una popolazione in ostaggio, travolta fisicamente dalle violenze. E come sempre accade, le minoranze sono le più esposte al conflitto. In particolare, le comunità cristiane oggetto non solo di attacchi ma di quella forma particolarmente infida di conflitto che è la "propaganda bellica": mai dire la verità in guerra, sempre manipolare le informazioni e piegare la realtà ai propri interessi.

Così, da un lato il regime fa leva sulle (fondate) paure dei cristiani nei confronti della deriva jihadista delle opposizioni per convincerli che non vi è futuro senza Assad e che la loro unica scelta è quella di armarsi e condividere lo sforzo dello scontro. Dall’altro lato, si cerca di ottenere il risultato opposto, mentre aumentano le minacce e le pressioni contro i presunti «crociati servi del regime».

Solo a chi non vuole vedere, infatti, sfugge la progressiva trasformazione delle forze che oggi combattono con i ribelli: i gruppi moderati dell’Esercito siriano libero (Esl) sembrano sempre meno rilevanti rispetto alla marea crescente di mujaheddin che arrivano da ogni parte del "Dar al-islam" o di jihadisti affiliati a Jabhat al-Nusrat, sinistra filiazione di al-Qaeda. Gli ultimi dati diffusi dal Washington Institute sono purtroppo illuminanti: il conflitto siriano è sempre più combattuto da non siriani, con la proliferazione di miliziani stranieri (libici, giordani e sauditi soprattutto). Se si analizzano i loro morti, emerge come la quasi totalità abbia combattuto sotto le insegne delle milizie jihadiste, mentre solo meno del 5% militava nelle file dell’Esl.

I canali di reclutamento e addestramento sono quelli tipici del jihadismo, così come jihadisti sono i loro slogan, fatti di fanatismo intollerante, odio verso gli sciiti, i cristiani, i cattivi musulmani, i laici, i crociati, i sionisti, le donne mal velate, insomma la solita rozza litania di violenza e ignoranza diffusa sul web, ma solleticata dalle tante associazioni islamiche finanziate da certi ambigui "amici" dell’Occidente, gli sceicchi sunniti del Golfo. Una propaganda che fa breccia anche nelle nostre società europee: la morte in Siria del nostro connazionale convertitosi all’islam è solo la punta dell’iceberg, fatta di un flusso crescente di volontari del jihad che dal Vecchio Continente si spostano nelle zone calde del Medio Oriente.

Per fermare questa spirale di violenza e fanatismo, l’ultima cosa da fare sembra quella di armare gli oppositori di Assad. Fra i tanti tentennamenti autolesionisti dei Paesi occidentali e il cinismo della Russia, va apprezzata la linea del Governo Letta e sottolineate le parole nette pronunciate dal nostro ministro degli Esteri. 
Dinanzi a un incendio sempre più spaventoso, che rischia di consumare l’anima stessa – plurale e interconfessionale – della Siria, la risposta non sta nel versare altre taniche di benzina, ma nel riprendere con determinazione la strada di un accordo internazionale, che ponga al centro gli interessi della Siria, non le ossessioni degli estremisti sunniti, gli interessi pelosi di Iran o Russia, le rivalità meschine degli europei.

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