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mercoledì 5 giugno 2013

Papa Francesco: "CHE TACCIANO LE ARMI! RINNOVO CON FORZA IL MIO APPELLO ALLA PACE. GUARDIAMO GESU' SOFFERENTE NEGLI ABITANTI DELL'AMATA SIRIA "

UDIENZA DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO DI COORDINAMENTO TRA GLI ORGANISMI CARITATIVI CATTOLICI CHE OPERANO NEL CONTESTO DELLA CRISI IN SIRIA, PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO "COR UNUM" (5 GIUGNO 2013)




DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari amici!Vi ringrazio per questo incontro e per tutta l’attività umanitaria che state svolgendo in Siria e nei Paesi vicini, in aiuto alle popolazioni vittime dell’attuale conflitto. Ho incoraggiato io stesso il Pontificio Consiglio Cor Unum a promuovere questa riunione di coordinamento dell’attività svolta dagli organismi di carità cattolici nella regione. Ringrazio il Cardinale Sarah per il suo indirizzo di saluto. Rivolgo uno speciale benvenuto a coloro che provengono dal Medio Oriente, in particolare a chi rappresenta la Chiesa in Siria.

La preoccupazione della Santa Sede per la crisi siriana e in modo più specifico per la popolazione, spesso inerme, che soffre le conseguenze del conflitto, è ben nota. Benedetto XVI ha ripetutamente chiesto che tacciano le armi e che si possa trovare una soluzione nel dialogo per giungere ad una profonda riconciliazione tra le parti. Che tacciano le armi! Inoltre, egli aveva voluto esprimere la sua personale vicinanza lo scorso novembre, inviando il Cardinale Sarah in quelle zone, accompagnando tale gesto con la richiesta di "non risparmiare alcuno sforzo nella ricerca della pace" e manifestando la sua concreta e paterna sollecitudine con un dono a cui hanno contribuito pure i Padri Sinodali lo scorso ottobre.

Anche a me personalmente la sorte della popolazione siriana sta particolarmente a cuore. Il giorno di Pasqua ho chiesto pace «soprattutto per l’amata Siria, ho detto, per la sua popolazione ferita dal conflitto, e per i numerosi profughi che attendono aiuto e consolazione. Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?».

Di fronte al perdurare di violenze e sopraffazioni rinnovo con forza il mio appello alla pace. Nelle ultime settimane la comunità internazionale ha ribadito l’intenzione di promuovere iniziative concrete per avviare un dialogo fruttuoso con lo scopo di mettere fine alla guerra. Sono tentativi che vanno sostenuti e che si spera possano condurre alla pace. 

La Chiesa si sente chiamata a dare la testimonianza umile, ma concreta ed efficace, della carità che ha imparato da Cristo, Buon Samaritano. Sappiamo che dove qualcuno soffre, Cristo è presente. Non possiamo tirarci indietro, proprio nelle situazioni di maggiore dolore! 

La vostra presenza alla riunione di coordinamento manifesta la volontà di continuare con fedeltà la preziosa opera di assistenza umanitaria, nella Siria e nei Paesi vicini che generosamente ospitano chi fugge dalla guerra. La vostra azione sia puntuale e coordinata, espressione di quella comunione che è essa stessa testimonianza, come ha suggerito il recente Sinodo sul Medio Oriente. 

Alla Comunità internazionale, accanto alla ricerca di una soluzione negoziale del conflitto, chiedo di favorire l’aiuto umanitario per i profughi e i rifugiati siriani, mirando in primo luogo al bene della persona e alla tutela della sua dignità. 
Per la Santa Sede l’opera delle Agenzie di carità cattoliche è estremamente significativa: aiutare la popolazione siriana, al di là delle appartenenze etniche o religiose, è il modo più diretto per offrire un contributo alla pacificazione e alla edificazione di una società aperta a tutte le diverse componenti. A questo tende anche lo sforzo della Santa Sede: costruire un futuro di pace per la Siria, in cui tutti possano vivere liberamente ed esprimersi nella loro peculiarità.

Il pensiero del Papa va in questo momento anche alle comunità cristiane che abitano la Siria e tutto il Medio Oriente. La Chiesa sostiene quelle sue membra che oggi sono particolarmente in difficoltà. Esse hanno il grande compito di continuare a rendere presente il Cristianesimo nella regione in cui è nato. Ed è un nostro impegno favorire la permanenza di questa testimonianza. La partecipazione di tutta la comunità cristiana a questa grande opera di assistenza e di aiuto è un imperativo nel momento presente. E pensiamo tutti, tutti pensiamo alla Siria. 
Quanta sofferenza, quanta povertà, quanto dolore di Gesù che soffre, che è povero, che è cacciato via dalla sua Patria. E’ Gesù! Quello è un mistero, ma è il nostro mistero cristiano. Guardiamo Gesù sofferente negli abitanti dell’amata Siria.

Vi ringrazio ancora per questa iniziativa e invoco su ciascuno di voi la benedizione divina. Essa si estende in particolare ai cari fedeli che vivono in Siria e a tutti quei siriani che attualmente sono costretti a lasciare le loro case a motivo della guerra. Voi qui presenti siate lo strumento per dire al caro popolo siriano e del Medio Oriente che il Papa li accompagna ed è loro vicino. La Chiesa non li abbandona!
http://press.catholica.va/news_services/bulletin/news/31112.php?index=31112&lang=it

martedì 4 giugno 2013

Pulizia etnica religiosa pianificata: ma l'Occidente non vuol vedere



Marco Tosatti  - Blog San Pietro e dintorni 
L’Associazione di Studiosi musulmani, un’organizzazione di Ulema islamici con sezioni in vari Paesi, ha emanato una lunga dichiarazione di appoggio alla “Jihad” religiosa contro il governo di Damasco, in particolare per quanto riguarda la battaglia di Qusayr, un nodo strategico importante fra Libano e Siria.
E’ in pratica una dichiarazione ufficiale del fatto che la guerra in Siria – alimentata da alcune potenze occidentali e dalla Turchia – sta assumendo sempre di più i contorni di un tentativo di pulizia etnica religiosa da parte dei fondamentalisti sunniti sostenuti dall’Arabia Saudita e dal Qatar contro i cristiani e soprattutto contro gli sciiti (indicati come Rafiditi, nel comunicato, un termine spregiativo) e contro gli alauiti, anch’essi definiti in maniera spregiativa come “Nusayris”.
E non mancano naturalmente attacchi agli ebrei – si parla di cospirazione ebraica – e di incitamenti a liberare la Palestina. E’ interessante notare che fra i firmatari non c’è nessun siriano; ci sono persone dell’Arabia Saudita, dello Yemen, del Sudan e anche del Kosovo. Una presenza inquietante, in un documento del genere, riferita ai Balcani. 
http://www.lastampa.it/Page/Id/1.0.2226306817


distruzione di una moschea sciita da parte delle milizie sunnite


Qualche giorno fa una bomba è stata lanciata in pieno centro di Aleppo, non lontano dalla Cattedrale Siro cattolica. Ha colpito l'Ospedale Salloum. Un giovane cristiano stava per essere dimesso quando l’esplosione l’ha ucciso. Sempre ad Aleppo, un Sacerdote Siro cattolico che accompagnava un funerale è stato fermato dalle squadre dei comitati popolari e gli è stato impedito di continuare ad adempiere il suo dovere sacerdotale. . Questa masnada ha preteso bloccare il corteo funebre perché dovevano passare loro: spesso si tratta di quattro o cinque ragazzotti su un pick up, fuori da ogni controllo, che col mitra in mano si fanno largo tra la gente sparando in aria all'impazzata.. Alle proteste del Sacerdote hanno iniziato a picchiare l'autista, poi si sono accaniti contro di lui e ora rischia di perdere la vista.



Nei villaggi cristiani della zona dell'Oronte (Gisser Choughour) le milizie Giamaat Al-Nousrah hanno rubato le campane della Chiesa parrocchiale latina del Villaggio di Ghassanieh. Questo villaggio fu occupato da queste masnade che entrando in villaggio minacciarono gli abitanti che li avrebbero sgozzati tutti, così scapparono lasciando loro libero il campo. Fino a poco tempo fa nel villaggio erano rimasti soltanto 18 fedeli cattolici, tra questi due religiosi latini e le tre Suore del Rosario. Oggi sono stati costretti a scappare pure loro. Giamaat Al-Nousrah detta legge incontrastata in quei villaggi. Le chiese sono state profanate, ridotte a stalle, e peggio ancora.
Gli altri villaggi cristiani della zona Knayé, Jacoubié, Jedeideh non stanno meglio. Gli episodi di violenza e di devastazione gratuita non sono più sporadici. Nel villaggio di Jedeideh il parroco ortodosso è stato costretto ad abbandonare il villaggio e successivamente la chiesa è stata profanata e distrutta.
Nei villaggi occupati si vive nel terrore. Le milizie ribelli mettono in atto una precisa strategia: si terrorizza la gente per costringerla ad abbondonare le case per poi impossessarsene. Le abitazioni e le proprietà con una "fatwa" vengono dichiarate islamiche e così i cristiani all’improvviso sono senza nulla, in strada per tutta la loro vita.

A questo punto c'è da chiedersi: L'Occidente si rende realmente conto di quel che sta favorendo in Siria? Ormai non si tratta di defenestrare il Presidente, ma si tratta di distruggere la comunità cristiana. Questo è quanto sta facendo l'Occidente: non vuol comprendere che con il suo modo di agire dà man forte ai salafiti, alle Giamaat Al-Nousrah ... ad applicare quanto a metà degli anni 80 gli Ulema radunati a Lahore dichiararono : " entro il 2020-25 non vi dovranno più essere cristiani nel Medio Oriente".

Ecco cosa sta favorendo e facendo l'incoscienza occidentale. Non solo, ma sta mettendo tutte le premesse per una islamizzazione dell'Europa.

Ma domani i "Signori della Guerra" di oggi saranno giudicati come degli ottusi e soprattutto degli incoscienti, perché hanno chiuso occhi ed orecchi mettendo in pratica il detto: non vi è peggior sordo di chi non vuole ascoltare, non vi è peggior cieco di chi non vuol vedere.

   l'osservatore siriano da Aleppo

domenica 2 giugno 2013

Le parole del Papa per la Siria all'Angelus di questa domenica

Oggi in occasione del consueto appuntamento per l'Angelus in Piazza San Pietro, il Santo Padre ha ricordato la vicenda siriana con le seguenti accorate parole:

Cari fratelli e sorelle, sempre viva e sofferta è la mia preoccupazione per il persistere del conflitto che ormai da più di due anni infiamma la Siria e colpisce specialmente la popolazione inerme, che aspira ad una pace nella giustizia e nella comprensione. Questa tormentata situazione di guerra porta con sé tragiche conseguenze: morte, distruzione, ingenti danni economici e ambientali, come anche la piaga dei sequestri di persona. Nel deplorare questi fatti, desidero assicurare la mia preghiera e la mia solidarietà per le persone rapite e per i loro familiari, e faccio appello all'umanità dei sequestratori affinché liberino le vittime. Preghiamo sempre per la nostra amata Siria!



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Proponiamo di seguito anche l' appello della Chiesa siro-ortodossa: “C’è speranza: fate di più per liberare i nostri Vescovi”


Damasco (Agenzia Fides) – “C’è uno sprazzo di speranza per la sorte dei due Vescovi di Aleppo rapiti in Siria un mese fa. Chiediamo che vengano diffuse foto o filmati recenti dei due e che la Coalizione Nazionale dell’opposizione siriana faccia ogni sforzo possibile per liberarli”: lo dice all’Agenzia Fides il Vescovo metropolita Timoteo Matta Fadil Alkhouri, Assistente Patriarcale nel Patriarcato Siro-Ortodosso di Antiochia, confratello del Vescovo siro-ortodosso Gregorio Yohanna Ibrahim, tuttora nelle mani dei rapitori con il vescovo greco-ortodosso Boulos al-Yazigi. Due giorni fa, a Istanbul, Abdul Ahad Steipho dirigente della Coalizione Nazionale dell'opposizione siriana, a margine di un incontro ha detto ai cronisti che “due o tre giorni fa un medico ha visitato i due vescovi: stanno bene”, senza fornire altri dettagli sui sequestratori.
“Abbiamo appreso con gioia e trepidazione questa notizia, anche se non abbiamo alcuna conferma o certezza. Ora sappiamo che c’è qualcuno che ha avuto contatti diretti con i Vescovi. Questo ci dà rinnovata speranza, questi voci ci confortano, ma bisogna fare di più”, spiega il Vescovo a Fides.
“Non sappiamo bene da chi e da dove provengano queste informazioni. I leader della Coalizione nazionale dell’Opposizione – prosegue – ci hanno detto di avere delle notizie ma di non avere il controllo della situazione. Secondo quanto affermano i governo di Siria, Turchia e Libano, i vescovi si troverebbero nell’area fra Aleppo e la Turchia, nella zona di confine, in territorio siriano. Quest’area è fuori dal controllo del governo siriano e di quello turco. Ci sono altri gruppi armati a controllarlo”. La Chiesa siro-ortodossa auspica una svolta reale: “Oggi lanciamo un appello perché possiamo capire cosa vogliono i gruppi che li hanno presi, e perché pubblichino prove certe, come foto e filmati, per confermare che sono vivi. Siamo pronti a fare qualsiasi cosa per loro: vogliamo intavolare contatti con i rapitori. Ancora non sappiamo nulla di preciso, non ci sono giunte richieste. Per questo continuiamo a tenere stretti contatti con i governi, con l’opposizione siriana, con i capi islamici. Ma non basta”, dice il Metropolita.
“Questa notizia – ribadisce il Vescovo – dà speranza al popolo siriano. Noi ci preoccupiamo per i Vescovi e per i sacerdoti rapiti, ma anche per tutta la popolazione: i nostri fedeli cristiani stanno lasciando il paese, l’emorragia continua ed molto dolorosa per noi”.
La solidarietà espressa dalle Chiese in tutto il mondo “è un prezioso conforto”: “Ogni domenica si continua a pregare per i vescovi, a celebrare Sante messe, in Siria, in medio Oriente e in altri paesi del mondo. Ringraziamo tutti e confidiamo in Dio. Chiediamo a Papa Francesco di pregare per noi”. 

venerdì 31 maggio 2013

Mentre i Paesi occidentali e arabi discutono sul futuro della Siria e se inviare armi ai ribelli, la Chiesa continua il suo lavoro discreto e silenzioso fra poveri e sfollati


Intervistato da AsiaNews, mons. Antoine Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria racconta la "straordinaria vitalità dei giovani cattolici". Affrontando i rischi della guerra, migliaia di ragazzi lavorano nelle mense e nei centri di raccolta della Caritas locale  e hanno grande attenzione anche per le attività spirituali, spesso rivolte anche a membri di altre religioni .
"Ogni giorno - afferma mons. Audo - cerchiamo di compiere la nostra missione ovunque vi sia bisogno. I giovani responsabili che ci seguono sono diverse centinaia. Insieme ai loro coetanei essi sono attivi in molte attività caritatevoli".
Per il prelato questo impegno dei ragazzi siriani è commovente e straordinario "per una città come Aleppo, che sempre di più è descritta dai media come un luogo sull'orlo della distruzione, in preda al caos, agli odi inter-religiosi".

gruppi scout di Aleppo 
"Lo scorso 17 maggio - continua - oltre mille giovani delle parrocchie di Aleppo si  sono riuniti per prepararsi alla Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro". Fino ad ora non è chiaro se qualcuno di loro avrà la possibilità di fare il viaggio. In questi mesi pochissimi riescono ad uscire dal Paese e rientrare senza problemi. "Ogni due mesi - spiega - i giovani organizzano una giornata di attività di riflessione per prepararsi spiritualmente a questo grande evento". Mons. Audo elogia la cura delle celebrazioni, la bellezza dei canti, l'attenzione che questi ragazzi dedicano ai nuovi arrivati. Il tutto mentre nell'aria riecheggiano colpi di obice e le scariche dei mitragliatori.

Le Chiese cattolica e ortodossa, sono rimaste le uniche realtà autorevoli e neutrali presenti ad Aleppo e in gran parte dei territori siriani. Tale consapevolezza ha spinto sacerdoti e prelati a chiedere con urgenza un sinodo locale della Chiesa cattolica ad Aleppo. "I giovani sacerdoti - spiega - mons. Audo -  lo stanno chiedendo da diverso tempo, vogliamo comprendere come essere uniti in questo periodo difficile, per dare una speranza alla popolazione e ai nostri fedeli".
Fino ad ora l'unica organizzazione in grado di distribuire viveri e offrire ospitalità alle migliaia di sfollati della provincia di Aleppo è la Caritas locale, che opera attraverso le parrocchie e i conventi sparsi nelle varie province. Di recente la Chiesa ha organizzato una giornata di formazione per tutti i responsabili dei centri per l'assistenza ai poveri e agli sfollati.
"Vi erano oltre 100 giovani - racconta mons. Audo - e ciò dimostra quante iniziative silenziose e gratuite sono presenti in questa città, dove si sente il pericolo della guerra, di morire, di essere rapiti, derubati, ma si va avanti, con fede e speranza".

http://www.asianews.it/notizie-it/Assad-apre-forse-al-dialogo.-Ad-Aleppo-giovani-cristiani-offrono-la-loro-vita-per-i-poveri-28009.html

giovedì 30 maggio 2013

Appello della Santa Sede: «Far tacere le armi»



Mons. Tomasi: No all'escalation militare in Siria. Sì al dialogo politico



ASIA NEWS- 30/05/2013
L'osservatore della Santa Sede all'Onu di Ginevra chiede che non vi sia invio di armi in Siria e che si aprano negoziati pacifici per portare a un governo partecipato da tutte le rappresentanze del Paese. Anche la Commissione Onu per i diritti umani domanda che non si vendano armi o munizioni alle parti in lotta. La diplomazia europea ha cancellato un bando agli aiuti militari ai ribelli. Ma diversi Paesi hanno venduto armi ad Arabia saudita e Qatar, alleati e sponsor dell'opposizione.

Ginevra - Contro "l'inutile e distruttiva tragedia" che sta sbriciolando la Siria e il Medio oriente, la via da seguire non è "l'intensificazione militare del conflitto armato, ma il dialogo e la riconciliazione". È l'appello di mons. Silvano Tomasi, osservatore della Santa Sede all'Onu di Ginevra, lanciato ieri durante l'incontro della Commissione delle Nazioni Unite  per i diritti umani, sul tema "Il deterioramento della situazione dei diritti umani nella Repubblica araba siriana e le recenti uccisioni di Al Qusayr".

Le parole di mons. Tomasi vanno in totale controtendenza con le richieste dell'opposizione siriana, che  chiede all'occidente aiuti militari contro il regime di Assad. L'urgenza di tali richieste è motivata dal rischio che la città di Al Qusayr, assediata da tempo, torni nelle mani dell'esercito regolare.
Proprio nei giorni scorsi l'Unione europea ha cancellato il bando sull'export di mezzi militari all'opposizione siriana. Secondo alcuni osservatori, tale bando non è mai stato attuato: nei quasi due anni di guerra civile in Siria, diversi Paesi europei hanno venduto armi ad Arabia saudita, Qatar e Abu Dhabi, alleati del Free Syrian Army, maggior forza di opposizione al governo siriano.

Per giustificare la fine ufficiale del bando agli aiuti militari, le diplomazie europee - soprattutto Francia e Gran Bretagna - continuano a denunciare la presenza di migliaia di Hezbollah libanesi in Siria, a sostegno di Assad. Nessuna parola sulle altrettante migliaia di combattenti jihadisti che da tutto il Medio oriente (e anche dall'Europa) vanno a combattere contro l'esercito siriano.

Anche Navi Pillai, Alto commissario Onu per i diritti umani, ha denunciato la Siria per la presenza di "truppe straniere" a Qusayr. Il messaggio finale della Commissione Onu è però simile a quello di mons. Tomasi: "Se la situazione attuale persiste, o si deteriora di più, i massacri interetnici diverranno una certezza, invece che un rischio... Il messaggio da tutti noi deve essere lo stesso: noi non sosterremo questo conflitto con armi, munizioni, politica o religione".

Nel suo intervento, l'osservatore della Santa Sede denuncia che "decine di migliaia di vite sono state distrutte; 1,5 milioni di persone sono state forzate a fuggire all'estero come rifugiati; più di 4 milioni hanno perso la loro casa; e i civili sono divenuti l'obbiettivo delle parti in guerra, in totale disprezzo verso le leggi umanitarie".
Mons. Tomasi ricorda le parole di papa Francesco nel suo messaggio pasquale: "Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?".
Per questo egli domanda che "le armi tacciano" e che si cerchi a tutti i costi una soluzione politica che inizi con negoziati pacifici e porti a un governo partecipato da tutte le rappresentanze civili del Paese.
http://www.asianews.it/notizie-it/Mons.-Tomasi:-No-all'escalation-militare-in-Siria.-Sì-al-dialogo-politico-28064.html

Holy See’s UN Observer warns against a military intensification of Syria’s conflict



(Vatican Radio) Archbishop Silvano Tomasi, the Holy See’s Permanent Observer to the UN in Geneva, has described Syria’s armed conflict as a national tragedy that risks intensifying regional and global conflicts and could melt down the entire country. Please see below the full transcript of Archbishop Tomasi’s statement delivered at the 23rd session of the Human Rights Council.

martedì 28 maggio 2013

SE PREVALGONO I "SIGNORI DELLA GUERRA"





da PICCOLE NOTE
29 maggio 2013


Una buona parte delle sorti della guerra in Siria la si sta decidendo all’estero, ma i due fronti contrapposti non sono solo quelli di cui si sente parlare, spesso in modo un po’ approssimativo: Occidente e paesi del Golfo contro Russia, Cina e Iran.
C’è chi lavora a un negoziato, da impostare il mese prossimo a Ginevra, e chi invece pensa che la guerra andrà decisa prima di tutto sul piano militare, come prova di forza tra i ribelli e le milizie fedeli a Bashar al Assad.

Di recente sono apparse alcune testimonianze senza precedenti su come si sta muovendo il secondo dei due fronti, quello che punta ad “alzare il livello dello scontro”. A gettare un po’ di luce ci ha pensato l’edizione domenicale del Financial Times, il 19 maggio scorso, con un lungo reportage sul ruolo del Qatar nella guerra civile siriana. «Ringalluzzito» dal successo ottenuto in Libia, dove pure le truppe qatariote hanno giocato un ruolo di primo piano nella ribellione anti-Gheddafi, il governo del piccolo emirato da più di un anno è diventato il principale finanziatore dei ribelli siriani.
Il suo contributo alla “causa” – secondo il quotidiano finanziario di Londra – può essere stimato tra uno e tre miliardi di dollari: soldi stanziati dalla casa regnante per fare dell’emiro Hamad bin Khalifa «un nuovo Nasser islamista». Un leader cioè che aspira a unificare tutti i popoli arabi contro un unico nemico (come fece Gamal Nasser, autore del colpo di Stato egiziano del 1952), servendosi però della bandiera dell’islamismo. Non a caso i soldi qatarioti sono arrivati un po’ a tutte le sigle della ribellione, incluse quelle legate allo jihadismo internazionale e ad al Qaeda in Iraq. «Il problema – spiega un ufficiale americano al Financial Times – è che “per il Qatar non importa chi finanzi, l’importante è abbattere Assad”».

È interessante che un attacco così duro contro il Qatar arrivi proprio dal giornale della City di Londra. L’intento “politico” del reportage è stato chiarito subito, con un editoriale non firmato apparso sul quotidiano del 20 maggio: l’attivismo qatariota – recita l’articolo – si è andato a scontrare con quello dell’Arabia saudita, aumentando solo la confusione in un fronte già estremamente frammentario. Conclusione: «La lotta dei ribelli contro Assad resterà caotica fino a quando Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non interverranno in prima persona per fornire armi ai moderati che combattono in Siria».

L’argomento non è dei più solidi: per contrastare l’attivismo dei paesi del Golfo il Financial Times propone un nuovo attivismo dell’Occidente. Ma le intenzioni (e il tempismo) erano evidenti: dare man forte a chi sosteneva, in ambito di Unione Europea, la necessità di non rinnovare l’embargo sulla vendita di armi in Siria. Missione compiuta: lunedì scorso, per il veto posto dal britannico William Hague e dal francese Laurent Fabius (uno dei “falchi” del governo Hollande), i ministri degli Esteri dell’Ue non sono riusciti a prolungare il divieto. Ora anche gli europei sono autorizzati ad armare ai ribelli.

Com’era prevedibile, la Russia non ha mancato di rispondere alla mossa “minacciosa” di Gran Bretagna e Francia, confermando che consegnerà alla Siria una batteria di missili contraerei S-300: «I missili sono un fattore di stabilità, – ha spiegato il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov – evitano che qualche testa calda possa provocare un’escalation del conflitto sul piano regionale».

Non è difficile immaginare che la scelta europea di non prolungare l’embargo abbia causato qualche mal di pancia alla Casa Bianca. Il segretario di Stato americano John Kerry è tuttora impegnato in un giro del mondo finalizzato a organizzare, d’accordo con Mosca, una conferenza di pace che coinvolga sia il governo di Assad sia i ribelli, insieme ai rispettivi sponsor internazionali (Iran incluso). Ma la strada verso “Ginevra 2″ «è ancora lunga», per usare le parole del ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, che il 9 maggio scorso, alla Farnesina, si era confrontata proprio con Kerry sui passi necessari a chiudere la crisi siriana.
La fine dell’embargo – ha detto oggi la Bonino – segna un «momento non glorioso» per la politica estera dei Ventisette. Che ora dovranno scegliere se inseguire il Qatar nella corsa agli armamenti o lavorare, insieme a russi e americani, per il successo dell’incontro di Ginevra.

MOSCA RISPONDE ALLA UE: ECCO I  MISSILI PER ASSAD




La decisione della Ue di lasciar liberi gli Stati membri sulla possibilità di fornire armi alle forze anti-Assad, prima in regime di embargo, si è rivelata devastante. Nonostante sia stata giustificata come mezzo di pressione contro Assad perché prenda sul serio i negoziati promossi da Russia e Usa (la tecnica del bastone e della carota), è tutt’altro: un ordigno gettato contro il processo di pace.

La Russia ha annunciato che darà seguito all’invio degli S 300, micidiali nella difesa aerea, allo scopo di dissuadere alcune “teste calde” dall’intervenire nel conflitto. Decisione che, a sua volta, ha allarmato Israele, che lancia oscure minacce. L’arrivo degli S 300, oltre a rendere più complesso un intervento Nato o Onu, perché obbligherebbe i belligeranti a una guerra vera, impedirebbe all’aviazione di tsahal ulteriori raid in territorio siriano: opzione che Israele vuole conservare.

Il clima surriscaldato non giova alla preparazione della conferenza di pace in programma a Ginevra a giugno. 
Dopo due anni di conflitto, novantamila morti, questo è il primo tentativo serio di uscire da una sanguinosa impasse. La Ue si presenta all’appuntamento divisa e, soprattutto, con opzioni altre e più inquietanti.

Una buona parte delle sorti della guerra in Siria la si sta decidendo all’estero, ma i due fronti contrapposti non sono solo quelli di cui si sente parlare, spesso in modo un po’ approssimativo: Occidente e paesi del Golfo contro Russia, Cina e Iran. C’è chi lavora a un negoziato, da impostare il mese prossimo a Ginevra, e chi invece pensa che la guerra andrà decisa prima di tutto sul piano militare, come prova di forza tra i ribelli e le milizie fedeli a Bashar al Assad.
Una buona parte delle sorti della guerra in Siria la si sta decidendo all’estero, ma i due fronti contrapposti non sono solo quelli di cui si sente parlare, spesso in modo un po’ approssimativo: Occidente e paesi del Golfo contro Russia, Cina e Iran. C’è chi lavora a un negoziato, da impostare il mese prossimo a Ginevra, e chi invece pensa che la guerra andrà decisa prima di tutto sul piano militare, come prova di forza tra i ribelli e le milizie fedeli a Bashar al Assad.
Di recente sono apparse alcune testimonianze senza precedenti su come si sta muovendo il secondo dei due fronti, quello che punta ad “alzare il livello dello scontro”. A gettare un po’ di luce ci ha pensato l’edizione domenicale del Financial Times, il 19 maggio scorso, con un lungo reportage sul ruolo del Qatar nella guerra civile siriana. «Ringalluzzito» dal successo ottenuto in Libia, dove pure le truppe qatariote hanno giocato un ruolo di primo piano nella ribellione anti-Gheddafi, il governo del piccolo emirato da più di un anno è diventato il principale finanziatore dei ribelli siriani.
Il suo contributo alla “causa” – secondo il quotidiano finanziario di Londra – può essere stimato tra uno e tre miliardi di dollari: soldi stanziati dalla casa regnante per fare dell’emiro Hamad bin Khalifa «un nuovo Nasser islamista». Un leader cioè che aspira a unificare tutti i popoli arabi contro un unico nemico (come fece Gamal Nasser, autore del colpo di Stato egiziano del 1952), servendosi però della bandiera dell’islamismo. Non a caso i soldi qatarioti sono arrivati un po’ a tutte le sigle della ribellione, incluse quelle legate allo jihadismo internazionale e ad al Qaeda in Iraq. «Il problema – spiega un ufficiale americano al Financial Times – è che “per il Qatar non importa chi finanzi, l’importante è abbattere Assad”».
È interessante che un attacco così duro contro il Qatar arrivi proprio dal giornale della City di Londra. L’intento “politico” del reportage è stato chiarito subito, con un editoriale non firmato apparso sul quotidiano del 20 maggio: l’attivismo qatariota – recita l’articolo – si è andato a scontrare con quello dell’Arabia saudita, aumentando solo la confusione in un fronte già estremamente frammentario. Conclusione: «La lotta dei ribelli contro Assad resterà caotica fino a quando Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non interverranno in prima persona per fornire armi ai moderati che combattono in Siria».
L’argomento non è dei più solidi: per contrastare l’attivismo dei paesi del Golfo il Financial Times propone un nuovo attivismo dell’Occidente. Ma le intenzioni (e il tempismo) erano evidenti: dare man forte a chi sosteneva, in ambito di Unione europea, la necessità di non rinnovare l’embargo sulla vendita di armi in Siria. Missione compiuta: lunedì scorso, per il veto posto dal britannico William Hague e dal francese Laurent Fabius (uno dei “falchi” del governo Hollande), i ministri degli Esteri dell’Ue non sono riusciti a prolungare il divieto. Ora anche gli europei sono autorizzati ad armare ai ribelli.
Com’era prevedibile, la Russia non ha mancato di rispondere alla mossa “minacciosa” di Gran Bretagna e Francia, confermando che consegnerà alla Siria una batteria di missili contraerei S-300: «I missili sono un fattore di stabilità, – ha spiegato il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov – evitano che qualche testa calda possa provocare un’escalation del conflitto sul piano regionale».
Non è difficile immaginare che la scelta europea di non prolungare l’embargo abbia causato qualche mal di pancia alla Casa Bianca. Il segretario di Stato americano John Kerry è tuttora impegnato in un giro del mondo finalizzato a organizzare, d’accordo con Mosca, una conferenza di pace che coinvolga sia il governo di Assad sia i ribelli, insieme ai rispettivi sponsor internazionali (Iran incluso). Ma la strada verso “Ginevra 2″ «è ancora lunga», per usare le parole del ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, che il 9 maggio scorso, alla Farnesina, si era confrontata proprio con Kerry sui passi necessari a chiudere la crisi siriana.
La fine dell’embargo – ha detto oggi la Bonino – segna un «momento non glorioso» per la politica estera dei Ventisette. Che ora dovranno scegliere se inseguire il Qatar nella corsa agli armamenti o lavorare, insieme a russi e americani, per il successo dell’incontro di Ginevra.
Una buona parte delle sorti della guerra in Siria la si sta decidendo all’estero, ma i due fronti contrapposti non sono solo quelli di cui si sente parlare, spesso in modo un po’ approssimativo: Occidente e paesi del Golfo contro Russia, Cina e Iran. C’è chi lavora a un negoziato, da impostare il mese prossimo a Ginevra, e chi invece pensa che la guerra andrà decisa prima di tutto sul piano militare, come prova di forza tra i ribelli e le milizie fedeli a Bashar al Assad.
Di recente sono apparse alcune testimonianze senza precedenti su come si sta muovendo il secondo dei due fronti, quello che punta ad “alzare il livello dello scontro”. A gettare un po’ di luce ci ha pensato l’edizione domenicale del Financial Times, il 19 maggio scorso, con un lungo reportage sul ruolo del Qatar nella guerra civile siriana. «Ringalluzzito» dal successo ottenuto in Libia, dove pure le truppe qatariote hanno giocato un ruolo di primo piano nella ribellione anti-Gheddafi, il governo del piccolo emirato da più di un anno è diventato il principale finanziatore dei ribelli siriani.
Il suo contributo alla “causa” – secondo il quotidiano finanziario di Londra – può essere stimato tra uno e tre miliardi di dollari: soldi stanziati dalla casa regnante per fare dell’emiro Hamad bin Khalifa «un nuovo Nasser islamista». Un leader cioè che aspira a unificare tutti i popoli arabi contro un unico nemico (come fece Gamal Nasser, autore del colpo di Stato egiziano del 1952), servendosi però della bandiera dell’islamismo. Non a caso i soldi qatarioti sono arrivati un po’ a tutte le sigle della ribellione, incluse quelle legate allo jihadismo internazionale e ad al Qaeda in Iraq. «Il problema – spiega un ufficiale americano al Financial Times – è che “per il Qatar non importa chi finanzi, l’importante è abbattere Assad”».
È interessante che un attacco così duro contro il Qatar arrivi proprio dal giornale della City di Londra. L’intento “politico” del reportage è stato chiarito subito, con un editoriale non firmato apparso sul quotidiano del 20 maggio: l’attivismo qatariota – recita l’articolo – si è andato a scontrare con quello dell’Arabia saudita, aumentando solo la confusione in un fronte già estremamente frammentario. Conclusione: «La lotta dei ribelli contro Assad resterà caotica fino a quando Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non interverranno in prima persona per fornire armi ai moderati che combattono in Siria».
L’argomento non è dei più solidi: per contrastare l’attivismo dei paesi del Golfo il Financial Times propone un nuovo attivismo dell’Occidente. Ma le intenzioni (e il tempismo) erano evidenti: dare man forte a chi sosteneva, in ambito di Unione europea, la necessità di non rinnovare l’embargo sulla vendita di armi in Siria. Missione compiuta: lunedì scorso, per il veto posto dal britannico William Hague e dal francese Laurent Fabius (uno dei “falchi” del governo Hollande), i ministri degli Esteri dell’Ue non sono riusciti a prolungare il divieto. Ora anche gli europei sono autorizzati ad armare ai ribelli.
Com’era prevedibile, la Russia non ha mancato di rispondere alla mossa “minacciosa” di Gran Bretagna e Francia, confermando che consegnerà alla Siria una batteria di missili contraerei S-300: «I missili sono un fattore di stabilità, – ha spiegato il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov – evitano che qualche testa calda possa provocare un’escalation del conflitto sul piano regionale».
Non è difficile immaginare che la scelta europea di non prolungare l’embargo abbia causato qualche mal di pancia alla Casa Bianca. Il segretario di Stato americano John Kerry è tuttora impegnato in un giro del mondo finalizzato a organizzare, d’accordo con Mosca, una conferenza di pace che coinvolga sia il governo di Assad sia i ribelli, insieme ai rispettivi sponsor internazionali (Iran incluso). Ma la strada verso “Ginevra 2″ «è ancora lunga», per usare le parole del ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, che il 9 maggio scorso, alla Farnesina, si era confrontata proprio con Kerry sui passi necessari a chiudere la crisi siriana.
La fine dell’embargo – ha detto oggi la Bonino – segna un «momento non glorioso» per la politica estera dei Ventisette. Che ora dovranno scegliere se inseguire il Qatar nella corsa agli armamenti o lavorare, insieme a russi e americani, per il successo dell’incontro di Ginevra.

lunedì 27 maggio 2013

Ecco quel che sta accadendo in Siria: dalla Siria domande al Ministro Bonino e al democratico Occidente

"Cosa si intende per Siria oggi? il legittimo governo che s'è dato il popolo siriano?, oppure: la masnada di guerriglieri fanatici che - in nome dell'Islam - si son dati appuntamento sul territorio siriano?"


Bruxelles, 27 mag. - (Adnkronos) - Evitare che i veti incrociati tra i Paesi facciano cadere l'intera struttura dell'embargo contro la Siria, che deve essere  rinnovato entro la mezzanotte del 31 maggio. E' questa la posizione dell'Italia,  espressa al suo arrivo alla riunione dei ministri degli Esteri dell'UE dalla  titolare della Farnesina Emma Bonino. "Non so" come finira' la discussione di  oggi sul tema dell'embargo alle armi, "quello che so - ha detto - e' che  dobbiamo evitare che posizioni cosi' divergenti da essere inconciliabili abbiano  come risultato la caduta totale dell'intera struttura dell'embargo".    

Ho letto con interesse, ma anche con costernazione, la dichiarazione pubblicata dall'Agenzia Adnkronos circa la dichiarazione fatta dal Responsabile della politica estera dell'Italia, circa la conferma dell'embargo contro la Siria.
La prima domanda che mi pongo e pongo a chi ha fatto quella affermazione è:  Cosa si intende per Siria oggi? Il legittimo governo che s'è dato il popolo siriano? oppure: la masnada di guerriglieri fanatici che - in nome dell'Islam - si son dati appuntamento sul territorio siriano? 
Se si vuole intendere la Siria con il suo legittimo governo, mi permetto di dissociarmi: in quanto cittadino italiano ed in quanto individuo libero e cosciente di una situazione distruttiva del Paese, non voluta né da chi lo dirige e tanto meno dal popolo. So per certo che fino alla metà di marzo dell'anno 2011 la Siria ed i siriani vivevano in pace, godevano non solo di libertà, controllata se si vuole, ma ognuno era pur sempre libero di muoversi come voleva. Oggi dov'è questa libertà? Oggi si vive nel terrore. 

Ho avuto la fortuna di vivere in quella terra benedetta da Dio per parecchi anni. Posso assicurare che in nessun paese di tutto lo scacchiere Mediorientale ci fosse tanta libertà. Nelle città la gente circolava per strada liberamente e senza alcuna paura fino alle ore piccole della notte. Ho avuto modo di ospitare a varie riprese, in diversi anni, amici venuti dall'Italia: con questi si usciva, soprattutto di estate, a partire dalle ore 11,30 di notte e si usciva a piedi, si rientrava dopo un'ora od un'ora e mezza tranquillamente. Più di uno di questi miei ospiti, venuto con il preconcetto che la Siria fosse un paese canaglia, s'è ricreduto ; non solo, ma s'è espresso in questi termini per descrivere la situazione di libertà e sicurezza che, malgrado le idee con cui era venuto, non s'è vergognato di ammettere, dicendo: "E' un delitto che i nostri governanti ed il mondo intero vogliono far passare la Siria per un paese canaglia".

Nella seconda metà di marzo 2011 scoppia la così detta "primavera araba" pure in Siria. Il mondo occidentale applaude, come ha fatto per gli altri Paesi dell'area. Il mondo occidentale non s'è reso conto che dietro tutta quella macchina primaverile vi erano Stati del Golfo interessati a far cadere il Governo ed il suo Capo: e non perché fosse dittatore, ma perché si vedevano veramente minacciati nelle loro Istituzioni. 
L'Occidente è caduto nella trappola, è stato irretito ed ha appoggiato queste manovre, anche perché se non lo avesse fatto si sarebbero potuti chiudere i pozzi dell'oro nero di cui l'Occidente ha tanto bisogno. Non ha riflettuto che si volevano attirare le attenzioni sulla Siria, che stava guadagnando  terreno attraverso le aperture democratiche e di libertà concesse al proprio popolo, alle spese dei veri dittatori sempre al potere di altri Paesi dell'area. 
Così si è iniziato pagando facinorosi perché scendessero in piazza a gridare contro il governo (ogni individuo che gridava "abbasso il regime" era pagato $ 10 e se con sé ne portava altri 5 - 6 - 10 percepiva altri $10 a testa. Questo sistema era diventato un business vero e proprio... Un individuo poteva così guadagnare in una sola ora 150 - 200 dollari americani, circa lo stipendio di un mese. Chi legge faccia le sue considerazioni). 
Si chiedeva al Governo di togliere lo stato di "Emergenza". In realtà questo stato di "Emergenza" non esisteva più da anni. Altrimenti come si può spiegare la libertà di cui godeva il popolo? Come si può spiegare, ad esempio, il fatto che la gente usciva per strada e si ritrovava nei caffé, nei bar, nelle gelaterie fino all'una o le due di notte? 
 Ormai s'era aperta una strada e bisognava percorrerla fino in fondo. Si doveva trovare un "capro espiatorio" e l'Occidente pur di aver il petrolio l'ha designato, e continua a perseguirlo.

L'Occidente organizza "meetings" ed altro, in favore del povero popolo siriano ed invita a parteciparvi gente che non rappresenta il popolo, come è successo a Roma il 28 febbraio 2013: in occasioni del genere si arriva con i portafogli pieni e si riversano "aiuti" nelle mani o nelle sacche di chi?... di chi dovrebbe dare la pace e la tranquillità ai siriani. I soldi vengono dati usando l'eufemismo "aiuti strategici". 
Che dicano chiaramente: "PER COMPERARE ARMI". Che dicano finalmente cosa stanno facendo e cosa intendono fare della Siria.
Oggi si parla di confermare l'embargo e i soldi dati alle masnade di rivoltosi, venuti dal mondo intero, chi li blocca? 
Questi Signori della Guerra, perché altro non sono, si sono mai posti la questione: là dove abbiamo aiutato un gruppo di facinorosi (in  tutti i Paesi del mondo ve ne sono, come in tutti i Paesi del mondo vi sono i malcontenti) a sollevarsi ed hanno raggiunto, col nostro aiuto, il potere, hanno poi portato la libertà? la democrazia? Questi commercianti di guerra hanno mai riflettuto se in Tunisia, in Libia, in Egitto s'è instaurato il regime di libertà che loro avevano auspicato e per cui avevano gettato soldi portandoli via dalle casse della loro Nazione? Questi Signori della Guerra hanno diritto di  vuotare le casse del proprio Paese per portare guerra e disordine in un Paese in cui non sono stati chiamati? 

La storia delle rivoluzioni e delle guerre in Medio Oriente inizia con la guerra all'Iraq. Guerra fatta per detronizzare un dittatore che ha bluffato il mondo intero minacciandolo di possedere armi chimiche di distruzione di massa. L'Iraq è stato distrutto, il dittatore è stato detronizzato, processato ed ucciso, ma di armi chimiche neppure l'odore. Fu ammesso, e da chi aveva dichiarato quella guerra, rifiutando di ascoltare la voce del Beato Giovanni Paolo II...  
Una domanda sorge spontanea: in tutta quella storia, dove era l'ONU? Oggi l'ONU è sempre presente a gridare che in Siria il numero dei morti ha raggiunto questo numero,.... quasi a volerli attribuire tutti all'esercito regolare. Come se i cosiddetti oppositori sparassero cioccolato o ciliegie. Già, perché gli oppositori - con i soldi che forniscono loro i Signori della Guerra - comperano armi giocattolo... 
Ma l'ONU ci ha mai detto dove sono finiti più di un milione di Irakeni, morti per una guerra assurda? Gli Irakeni morti durante quella guerra, e quelli che muoiono ancora oggi per tutti gli attentati perpetrati dai terroristi, cosa sono per l'ONU? animali da macello soltanto? O all'ONU, visto il proprio comportamento assunto con la guerra in Irak, oggi sorgono gli scrupoli di coscienza, e conta i morti siriani? 

Chiudo queste mie considerazioni con qualche domanda che rivolgo a coloro che vogliono l'embargo chiaramente unilaterale, per poter poi armare come vogliono i ribelli:
"se mai avete una coscienza riflettete a quanto avete fatto fino ad oggi ed a quanto state per perpetrare" : in Siria si sta distruggendo un popolo, una delle civiltà più antiche del mondo, tutto ciò chi l'ha permesso? 
Che fine hanno fatto i due sacerdoti ed i due vescovi rapiti ad Aleppo, i primi lo scorso gennaio ed i secondi lo scorso 22 aprile? Ma questi non sono i soli. Ve ne sono tanti altri che non sono mai tornati a casa....

La Siria ha soltanto bisogno di pace: se si vuole il bene di un popolo, di un Paese, si devono escogitare modi e maniere per aiutarlo e, se nel caso si dovesse ritenere che chi lo governa dovrà cambiare qualcosa, lo si deve aiutare, ma mai imporre ad un Capo di Stato:  "devi fare questo o quello soltanto così sarai nostro amico". 
Soprattutto....
Soprattutto si deve capire che mai si può imporre ad un Capo di Stato di quella Regione: devi andare in esilio, devi lasciare il potere, te ne devi andare. Ci si deve sforzare di comprendere la loro psicologia e questo lo si potrà capire vivendo con loro e tra loro, per anni ed anni....

  l'Osservatore Siriano da Aleppo

domenica 26 maggio 2013

APPELLO DI PADRE DANIEL DA QARA



Monastery of Saint James the Mutilated
Qâra – Syre
Telephone : 00963 11 7851700  - Fax : 00963 11 7852701   -    Mobile : 00963 94 224 248
Website : www.maryakub.org (temporaneamente inaccessibile)
maesdaniel3@gmail.com

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Gentili   Signori,

Chiediamo la vostra attenzione sulla grande sofferenza del popolo siriano.

Noi stessi viviamo con 18 persone nel monastero di San Giacomo il Mutilato (Mar Yakub) a 90 km da Damasco, appartenente alla diocesi greco-melchita (cattolica) di Homs. Noi siamo originari di otto paesi e anche da tutta la Siria: monaci, monache, residenti, famiglie e bambini. In aggiunta, ci sono diverse famiglie di profughi sunniti accolti qui.

Prima della guerra il Monastero era un centro di pellegrinaggio per i cristiani e anche musulmani provenienti da tutta la Siria e soprattutto per i giovani. La guerra ha  interrotto bruscamente le visite. Tuttavia abbiamo ancora i migliori contatti con la gente e ci sforziamo di fornire a tutti assistenza indipendentemente dal credo religioso.

La Siria oggi vive la sua più grande catastrofe umanitaria dopo la seconda guerra mondiale. Ci sono 9 milioni di persone che mancano di  tutto il necessario per vivere. Ci sono 5 milioni di profughi. Le famiglie sono in cerca di riparo con delle scatole nei parchi pubblici. Molti hanno perso non solo le loro case, ma anche parenti stretti.

Da diversi ambiti siamo pregati di venire in soccorso. Il tempo per le discussioni politiche e recriminazioni reciproche è passato. La situazione è diventata chiara, i giochi sono fatti. E’ il momento di fornire aiuti di emergenza.

Potete chiedere qualsiasi chiarimento o ulteriori informazioni al fondatore e superiore del monastero Saint Jacques: Madre Agnès-Mariam della Croce ( vedi indirizzi nella parte superiore di questa lettera.)

Come aiutare?
- Il latte in polvere è urgente per i bambini che soffrono di più.
- Farmaci (non scaduti!) per le malattie croniche, diabete, problemi di cuore ... e tutti i tipi di attrezzature mediche, bende ...
- Un pacchetto di cibo per una piccola famiglia costa 40 € per due settimane
- Il container  successivo  è in preparazione,  per essere inviato dal Belgio a Lattakia (Siria) alla fine di maggio 2013

-      

Info: 
Koen Peeters, gsm : 0032(0)496514666; koen@postel-antiek.be; ou Jeanne Vercautere 0032(0)14/378265; juanitavdk2@hotmail.com

        IBAN BE 32-068-2083244-02  BIC GKCCBEBB (van Daniël Maes, norbertijnenabdij POSTEL-MOL; Mar Yakub, Qâra, Syrië)

Il popolo siriano è lasciato sul ciglio della strada, come una vittima gravemente ferita:
Grazie per essere uno dei buoni Samaritani.

P. Daniel Maes o. praem,
Direttore del Seminario, Mar Yakub, Qâra, Syrie.

Per la Madre Superiora :
Sr. Claire-Marie.

sabato 25 maggio 2013

Appello della Premio Nobel Mairead Maguire all'Italia: "Non boicottate la pace"




 "Abbiamo visto le sofferenze del popolo siriano, ma anche il suo impegno per il dialogo fra tutte le parti, e la pace. Vi chiediamo di non ostacolarlo, anzi di incoraggiarlo. "


di Marinella Correggia,  Damasco

La nord-irlandese Mairead Maguire, premio Nobel per la pace nel 1976, ha guidato una delegazione internazionale a sostegno del movimento siriano Mussalaha (Riconciliazione). Occhi come il cielo d’Irlanda e sorriso buono, al termine della missione Mairead è lieta di rivolgere un appello all’Italia, mentre i tamburi di guerra della no-fly zone risuonano da Roma a Doha, da Istanbul a Parigi e rischiano di ipotecare la prossima conferenza internazionale sulla Siria.

Finora l’Italia si è mossa nell’ambito del gruppo cosiddetto degli “Amici della Siria”, con altri paesi della Nato e del Golfo. Cosa dovrebbe fare invece?
Qui abbiamo visto le sofferenze del popolo siriano, ma anche il suo impegno per il dialogo fra tutte le parti, e la pace. Vi chiediamo di non ostacolarlo, anzi di incoraggiarlo. Chiediamo agli stati di rimuovere le sanzioni economiche che aumentano le sofferenze di una popolazione colpita dalla guerra. Chiediamo di evitare interventi esterni diretti  o indiretti: da fuori non devono arrivare armi o addestramento a combattenti spesso stranieri che uccidono cittadini siriani. Questa ingerenza  impedisce la Mussalaha. La comunità internazionale ha il compito di spingere le parti a un processo di pace, non di soffiare sulla guerra. La Lega araba deve riaccogliere la Siria fra i suoi membri, e i paesi che hanno interrotto le relazioni diplomatiche dovrebbero riavviarle.

L’Italia ha riconosciuto come unico rappresentante del popolo siriano la cosiddetta “Coalizione nazionale della rivoluzione siriana e delle forze d’opposizione” che a dispetto del nome è nata sotto le ali del Qatar e continua a chiedere appoggi militari esterni.
In questi giorni abbiamo incontrato tanti cittadini e politici siriani, di diverso orientamento, di diverse comunità. E tutti, tutti sono molto amareggiati per questo riconoscimento mondiale alla “Coalizione di Doha”: persone che non rappresentano nessuno. Sono un gruppo illegale, eterodiretto, non eletto. Non possono parlare a nome del popolo siriano.

Quali sono i rischi di un allargamento della crisi, in questa guerra per procura?
La delegazione ha incontrato, a Baalbek in Libano, molti rifugiati dalla Siria, fra i quali tanti palestinesi che abitavano là da decenni. La tragedia siriana non mette solo in pericolo l’integrità di questo paese e la sua pluralità culturale e religiosa, ma può destabilizzare anche il piccolo Libano, che accoglie un numero di rifugiati pari a un terzo della sua popolazione. Quanto a Israele, il suo attacco aereo sulla Siria è un atto criminale. Enough is enough, dico a Usa e Israele: abbiamo visto abbastanza guerre!

Come si può fare affinché il popolo siriano possa decidere del proprio destino?
Nessuno da fuori può dettare nulla ai siriani. Bashar al-Assad è finora il presidente, e nessuna potenza da fuori può deciderne la rimozione finché non saranno i siriani a pronunciarsi, con le elezioni. Riconosciamo le legittime aspirazioni al cambiamento, ma le riforme richiedono mezzi nonviolenti.  Abbiamo visto cos’è successo in Iraq: con la disinformazione, con la demonizzazione, si è arrivati a una guerra che ha distrutto il paese. Chiedo al presidente Obama di onorare il suo premio Nobel per la pace, di smettere l’appoggio finanziario e militare ai gruppi armati. Ho  incontrato privatamente anche alcuni “ribelli” che con la Mussalaha hanno deposto le armi. Ho speranza, se cessano le ingerenze.
E il mondo guarda alla Siria: se riesce a trionfare qui, la pace, sarà un esempio per tanti altri casi. Pensiamo alla tragedia degli interventi bellici in Iraq, dell’Afghanistan, della Libia. Che non si ripetano.

Incontrando a Beirut l’ex generale Michel Aoun, avete discusso di “pace dall’alto” o “pace dal basso”…
Michel Aoun dice giustamente che occorre un cessate il fuoco immediato in Siria. Io ritengo però, sulla base dell’esperienza nell’Irlanda del nord, che senza riconciliazione dal basso, fra le comunità, questo sia troppo fragile. Noi con Peace People abbiamo prima lavorato fra le persone, in qualche modo “costringendo” Gran Bretagna e Irlanda a far pressione sui loro alleati locali. Ma riconosco che in Siria le ingerenze per fini geostrategici sono molto più forti. 

http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1391