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domenica 26 maggio 2013

APPELLO DI PADRE DANIEL DA QARA



Monastery of Saint James the Mutilated
Qâra – Syre
Telephone : 00963 11 7851700  - Fax : 00963 11 7852701   -    Mobile : 00963 94 224 248
Website : www.maryakub.org (temporaneamente inaccessibile)
maesdaniel3@gmail.com

______________


Gentili   Signori,

Chiediamo la vostra attenzione sulla grande sofferenza del popolo siriano.

Noi stessi viviamo con 18 persone nel monastero di San Giacomo il Mutilato (Mar Yakub) a 90 km da Damasco, appartenente alla diocesi greco-melchita (cattolica) di Homs. Noi siamo originari di otto paesi e anche da tutta la Siria: monaci, monache, residenti, famiglie e bambini. In aggiunta, ci sono diverse famiglie di profughi sunniti accolti qui.

Prima della guerra il Monastero era un centro di pellegrinaggio per i cristiani e anche musulmani provenienti da tutta la Siria e soprattutto per i giovani. La guerra ha  interrotto bruscamente le visite. Tuttavia abbiamo ancora i migliori contatti con la gente e ci sforziamo di fornire a tutti assistenza indipendentemente dal credo religioso.

La Siria oggi vive la sua più grande catastrofe umanitaria dopo la seconda guerra mondiale. Ci sono 9 milioni di persone che mancano di  tutto il necessario per vivere. Ci sono 5 milioni di profughi. Le famiglie sono in cerca di riparo con delle scatole nei parchi pubblici. Molti hanno perso non solo le loro case, ma anche parenti stretti.

Da diversi ambiti siamo pregati di venire in soccorso. Il tempo per le discussioni politiche e recriminazioni reciproche è passato. La situazione è diventata chiara, i giochi sono fatti. E’ il momento di fornire aiuti di emergenza.

Potete chiedere qualsiasi chiarimento o ulteriori informazioni al fondatore e superiore del monastero Saint Jacques: Madre Agnès-Mariam della Croce ( vedi indirizzi nella parte superiore di questa lettera.)

Come aiutare?
- Il latte in polvere è urgente per i bambini che soffrono di più.
- Farmaci (non scaduti!) per le malattie croniche, diabete, problemi di cuore ... e tutti i tipi di attrezzature mediche, bende ...
- Un pacchetto di cibo per una piccola famiglia costa 40 € per due settimane
- Il container  successivo  è in preparazione,  per essere inviato dal Belgio a Lattakia (Siria) alla fine di maggio 2013

-      

Info: 
Koen Peeters, gsm : 0032(0)496514666; koen@postel-antiek.be; ou Jeanne Vercautere 0032(0)14/378265; juanitavdk2@hotmail.com

        IBAN BE 32-068-2083244-02  BIC GKCCBEBB (van Daniël Maes, norbertijnenabdij POSTEL-MOL; Mar Yakub, Qâra, Syrië)

Il popolo siriano è lasciato sul ciglio della strada, come una vittima gravemente ferita:
Grazie per essere uno dei buoni Samaritani.

P. Daniel Maes o. praem,
Direttore del Seminario, Mar Yakub, Qâra, Syrie.

Per la Madre Superiora :
Sr. Claire-Marie.

sabato 25 maggio 2013

Appello della Premio Nobel Mairead Maguire all'Italia: "Non boicottate la pace"




 "Abbiamo visto le sofferenze del popolo siriano, ma anche il suo impegno per il dialogo fra tutte le parti, e la pace. Vi chiediamo di non ostacolarlo, anzi di incoraggiarlo. "


di Marinella Correggia,  Damasco

La nord-irlandese Mairead Maguire, premio Nobel per la pace nel 1976, ha guidato una delegazione internazionale a sostegno del movimento siriano Mussalaha (Riconciliazione). Occhi come il cielo d’Irlanda e sorriso buono, al termine della missione Mairead è lieta di rivolgere un appello all’Italia, mentre i tamburi di guerra della no-fly zone risuonano da Roma a Doha, da Istanbul a Parigi e rischiano di ipotecare la prossima conferenza internazionale sulla Siria.

Finora l’Italia si è mossa nell’ambito del gruppo cosiddetto degli “Amici della Siria”, con altri paesi della Nato e del Golfo. Cosa dovrebbe fare invece?
Qui abbiamo visto le sofferenze del popolo siriano, ma anche il suo impegno per il dialogo fra tutte le parti, e la pace. Vi chiediamo di non ostacolarlo, anzi di incoraggiarlo. Chiediamo agli stati di rimuovere le sanzioni economiche che aumentano le sofferenze di una popolazione colpita dalla guerra. Chiediamo di evitare interventi esterni diretti  o indiretti: da fuori non devono arrivare armi o addestramento a combattenti spesso stranieri che uccidono cittadini siriani. Questa ingerenza  impedisce la Mussalaha. La comunità internazionale ha il compito di spingere le parti a un processo di pace, non di soffiare sulla guerra. La Lega araba deve riaccogliere la Siria fra i suoi membri, e i paesi che hanno interrotto le relazioni diplomatiche dovrebbero riavviarle.

L’Italia ha riconosciuto come unico rappresentante del popolo siriano la cosiddetta “Coalizione nazionale della rivoluzione siriana e delle forze d’opposizione” che a dispetto del nome è nata sotto le ali del Qatar e continua a chiedere appoggi militari esterni.
In questi giorni abbiamo incontrato tanti cittadini e politici siriani, di diverso orientamento, di diverse comunità. E tutti, tutti sono molto amareggiati per questo riconoscimento mondiale alla “Coalizione di Doha”: persone che non rappresentano nessuno. Sono un gruppo illegale, eterodiretto, non eletto. Non possono parlare a nome del popolo siriano.

Quali sono i rischi di un allargamento della crisi, in questa guerra per procura?
La delegazione ha incontrato, a Baalbek in Libano, molti rifugiati dalla Siria, fra i quali tanti palestinesi che abitavano là da decenni. La tragedia siriana non mette solo in pericolo l’integrità di questo paese e la sua pluralità culturale e religiosa, ma può destabilizzare anche il piccolo Libano, che accoglie un numero di rifugiati pari a un terzo della sua popolazione. Quanto a Israele, il suo attacco aereo sulla Siria è un atto criminale. Enough is enough, dico a Usa e Israele: abbiamo visto abbastanza guerre!

Come si può fare affinché il popolo siriano possa decidere del proprio destino?
Nessuno da fuori può dettare nulla ai siriani. Bashar al-Assad è finora il presidente, e nessuna potenza da fuori può deciderne la rimozione finché non saranno i siriani a pronunciarsi, con le elezioni. Riconosciamo le legittime aspirazioni al cambiamento, ma le riforme richiedono mezzi nonviolenti.  Abbiamo visto cos’è successo in Iraq: con la disinformazione, con la demonizzazione, si è arrivati a una guerra che ha distrutto il paese. Chiedo al presidente Obama di onorare il suo premio Nobel per la pace, di smettere l’appoggio finanziario e militare ai gruppi armati. Ho  incontrato privatamente anche alcuni “ribelli” che con la Mussalaha hanno deposto le armi. Ho speranza, se cessano le ingerenze.
E il mondo guarda alla Siria: se riesce a trionfare qui, la pace, sarà un esempio per tanti altri casi. Pensiamo alla tragedia degli interventi bellici in Iraq, dell’Afghanistan, della Libia. Che non si ripetano.

Incontrando a Beirut l’ex generale Michel Aoun, avete discusso di “pace dall’alto” o “pace dal basso”…
Michel Aoun dice giustamente che occorre un cessate il fuoco immediato in Siria. Io ritengo però, sulla base dell’esperienza nell’Irlanda del nord, che senza riconciliazione dal basso, fra le comunità, questo sia troppo fragile. Noi con Peace People abbiamo prima lavorato fra le persone, in qualche modo “costringendo” Gran Bretagna e Irlanda a far pressione sui loro alleati locali. Ma riconosco che in Siria le ingerenze per fini geostrategici sono molto più forti. 

http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1391

giovedì 23 maggio 2013

"L'incapacità della società internazionale a liberare i rapiti e fermare il flusso di sangue in Siria senza trovare una soluzione a questa crisi umanitaria è un peccato grave"

"Iniziativa creativa" invece di disordine creativo


Il Patriarca Laham lancia un appello che "riguarda la pace e la coscienza di ogni uomo libero, onesto, per liberare i due vescovi Yazji e Ibrahim." 

Insiste sul fatto che l'incapacità della società internazionale per liberare e per fermare il flusso di sangue in Siria senza trovare una soluzione a questa crisi umanitaria, è un peccato grave, è la prova dell'assenza di  valori spirituali e umani nella attuale  politica  internazionale verso la crisi nel mondo arabo. Si rammarica del fatto che la crisi siriana è diventato un commercio dai molteplici volti, in cui la dignità umana e il rispetto per l'uomo si sono persi, dimenticando che l'uomo è  immagine di Dio
Egli ha chiesto "a tutte le chiese nel mondo, e ai fautori della pace nel mondo, e alla coscienza di ogni essere umano libero, onesto e generoso per i sostenitori della pace nel mondo di sostenere gli appelli per il rilascio di i due amati Vescovi, che sono simbolo di pace, di amore e di riconciliazione, e di dialogo e  comunicazione in Siria e nella comunità araba". 
Egli implora di cercare seriamente una soluzione per liberare tutti quelli che sono stati  rapiti, e di fermare i rapimenti, e per la liberazione di tutti i detenuti di qualsiasi appartenenza essi siano: il rapimento che e’ in contrasto con tutte le norme di umanità".
Invita i siriani all' arresto della violenza, in ogni aspetto: armamenti, terrorismo, omicidi e attentati
"Manteniamo le nostre convinzioni sulla base della fede, perché nessuna soluzione verrà  dall'incremento delle armi o dalle soluzioni armate, ma la vera vittoria è attraverso il dialogo, la riconciliazione, la comprensione e il compromesso".
 Infine egli ha invitato alla "iniziativa creativa" invece di disordine creativo: questa è la domanda rivolta agli sforzi della Russia e degli Stati Uniti così come ai paesi invitati al congresso per trovare una soluzione pacifica alla crisi siriana

http://www.pgc-lb.org/fre/gregorios/view/The-patriarch-appeal-to-the-conscience-of-the-world-about-the-kidnapping-of-the-2-bishops-and-the-situation-in-Syria

IL NOSTRO DOLORE


Un mese è trascorso, e stiamo ancora vivendo l'incubo della sorte del rapimento dei nostri due Arcivescovi Mar Gregorios Yohanna Ibrahim Metropolita siriaco ortodosso dell'arcidiocesi di Aleppo, e del Metropolita Boulos Yazaji dell'Arcidiocesi greco-ortodossa di Aleppo
Sono stati rapiti il ​​22 aprile 2013. Un gruppo sconosciuto li ha prelevati senza dichiarazioni di responsabilità fino ad ora, né annunciando i motivi del rapimento né facendo conoscere il loro luogo di detenzione.
Noi Siriaci, e l'Arcidiocesi greco-ortodossa di Aleppo ,  in coordinamento con i nostri due Patriarcati di Damasco, abbiamo espresso giorno dopo giorno la nostra tristezza e il dolore crescente per il rapimento e l'assenza di questi due eminenti prelati, e per ciò che rappresentano in termini di santità, il loro rango locale e internazionale, il loro ruolo attivo a tutti i livelli compreso quello spirituale, dei  pensieri, del mondo accademico, dell'istruzione e del sociale, ma soprattutto il lavoro umanitario che portavano avanti all'interno della crisi che sta travolgendo il nostro paese Siria.
Oggi, dopo un mese dal sequestro, e nonostante tutte le preghiere e le suppliche nelle Chiese locali e di tutto il mondo, così come gli appelli, le dichiarazioni e gli sforzi delle organizzazioni cristiane e musulmane del mondo e della comunità internazionale, si rinnova la nostra richiesta ai rapitori di rivedere la loro azione: temete Dio, e rilasciate i due Arcivescovi senza danneggiare la loro salute o la situazione fisica, e  rilasciate tutti gli altri sacerdoti rapiti e i civili innocenti!
A un mese dal sequestro ormai non si può che dire “BASTA!”,  per i due Arcivescovi! Come è doloroso per loro nel loro rapimento, è anche doloroso per tutti i fedeli delle loro due comunità, per il popolo della Siria e del mondo. Il permanente rapimento dei due Arcivescovi sta danneggiando la struttura della Siria nelle sue diverse componenti e nella sua lunga storia di convivenza e di cittadinanza. Una tale catastrofe sarà ricordata e registrata nella storia, come  la più devastante e luttuosa della Siria.
Tali atti non ci spaventano, perché noi siamo i figli della "Resurrezione". Confidiamo che la misericordia del Dio unico, in cui noi tutti crediamo, guiderà i rapitori e li indurrà a rilasciare gli Arcivescovi, senza alcuna condizione, perché non esiste un prezzo uguale alla libertà dei due Arcivescovi, e nessuna condizione è uguale al  loro sicuro ritorno alle loro comunità e alle loro chiese.
Rinnoviamo la nostra supplica e continuiamo le nostre preghiere con solennità al nostro Dio per la liberazione degli Arcivescovi, dei sacerdoti e tutti coloro che sono stati rapiti.


mercoledì 22 maggio 2013

Triste anniversario! Un mese dal rapimento dei Vescovi di Aleppo

"Pregate per la liberazione di mons. Youhanna Ibrahim e mons. Boulos Yaziji e per tutta la popolazione siriana". 

Aleppo - 22/05/2013
  È l'appello di mons. Antoine Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo a un mese dal rapimento dei due prelati ortodossi, avvenuto lo scorso 22 aprile al confine con la Turchia.
"Ciò che più ci addolora - dice il prelato ad AsiaNews - e rattrista la popolazione è la totale assenza di notizie sulla condizione dei due vescovi e su dove sono prigionieri". 

 Lo scorso 18 maggio, tutte le chiese cristiane di Aleppo, cattoliche e ortodosse, hanno organizzato una giornata di preghiera comune per la Siria. Migliaia di persone hanno partecipato, sfidando le bombe, il rischio di rapine e rapimenti. 
Per il vescovo, sacerdoti e leader religiosi sono un facile obiettivo per criminali ed estremisti: "Io stesso non posso muovermi liberamente per paura di essere rapito. Dobbiamo pianificare tutti i nostri spostamenti". 


Il 24 maggio, la Chiesa cattolica di Aleppo terrà un ritiro di preghiera e riflessione nella cattedrale melchita. Ad esso parteciperanno sacerdoti e vescovi della diocesi. "Gli esercizi spirituali di quest'anno - racconta il prelato - sono incentrati su quanto accaduto a mons. Youhanna e mons. Yaziji. Tutte le nostre preghiere e celebrazioni saranno offerte per loro".  

Il clima di una città sotto assedio, non limita la vita della Chiesa, divenuta l'unico segno di speranza in un Paese distrutto. "Siamo nel tempo di Pasqua - sottolinea mons. Audo - e in tutte le chiese risuona il canto 'Cristo è risorto Alleluia'. Sentire questa musica in un clima di dolore e guerra, ci commuove". 

http://www.asianews.it/notizie-it/A-un-mese-dal-sequestro-Aleppo-prega-per-i-vescovi-ortodossi-rapiti-27986.html


Amman: marcia di preghiera per i Vescovi rapiti



Agenzia Fides,  22/5/2013
Amman  - Più di duemila persone hanno attraversato ieri sera Amman con in mano le candele, per invocare la liberazione dei vescovi e dei sacerdoti rapiti in Siria e chiedere il dono della pace per tutto il Medio Oriente. La marcia di preghiera e silenzio è partita dalla cattedrale greco-ortodossa della Presentazione di Gesù al Tempio e si è snodata fino a quella siro ortodossa di Sant'Efrem, passando davanti alla chiesa cattolica di Santa Maria di Nazareth, presso il Vicariato latino.
La marcia con le candele, convocata a un mese dal rapimento dei due vescovi di Aleppo – il Metropolita siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e quello greco ortodosso Boulos al-Yazigi, sequestrati il 22 aprile - era guidata da capi e rappresentanti delle Chiese e delle comunità ecclesiali presenti in Giordania. All'arrivo nella cattedrale siro-ortodossa, l'Arcivescovo Maroun Lahham - Vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme - ha letto una dichiarazione sottoscritta da tutti i vescovi e i capi delle Chiese e delle comunità ecclesiali locali in cui si esprime la ferma condanna dei rapimenti che hanno avuto per vittime “due tra le più rilevanti personalità arabe cristiane del nostro tempo” e si prega “il Signore onnipotente affinchè riporti tranquillità e stabilità nell'amata Siria”.

http://www.fides.org/it/news/41558-ASIA_GIORDANIA_Marcia_di_preghiera_per_i_vescovi_siriani_rapiti_L_Onnipotente_custodisca_la_stabilita_nel_Regno_Hashemita#.UZ0gGG1H45s


Ramallah: una manifestazione sit-in di religiosi musulmani e cristiani di tutte le confessioni, con la presenza di figure nazionali e del Consiglio islamico delle Chiese

Intercessione ecumenica per la liberazione dei rapiti a  Damasco

martedì 21 maggio 2013

Il Bene, il Vero, la ricerca della Libertà e i diritti dell'uomo

DALL'ENCICLICA DEL PATRIARCA BARTOLOMEO, APPELLO PER I VESCOVI DI ALEPPO

Un appello accorato per i due vescovi di Aleppo della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia Boulos al-Yazij e della Chiesa siro-ortodossa Youhanna Ibrahim rapiti il 22 aprile scorso e di cui non si hanno più notizie. È contenuto nella Enciclica patriarcale e sinodale diffusa dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I in occasione del 17° centenario della promulgazione dell’Editto di Milano. Un tema ed una commemorazione che sono stati in questi giorni al centro delle attività del Patriarca Bartolomeo prima con un viaggio a Milano e subito dopo con un seminario di studio promosso in collaborazione con il consiglio delle Conferenze episcopali europee. Ora il Patriarcato presenta un’Enciclica dedicata all’Editto di Milano in cui di nuovo esprime la sua profonda preoccupazione e angoscia per “le persecuzioni ancora dilaganti nella terra e in particolare di recente contro le popolazioni cristiane del Medio Oriente”. “Omicidi, rapimenti, minacce e azioni legali” contro i cristiani: “Condividiamo – si legge nella Enciclica del Patriarca Bartolomeo - il dolore, l’afflizione e le difficoltà che affrontano i cristiani in Medio Oriente e in Egitto, in particolare l’antico e venerabile Patriarcato di Antiochia”. 

“Senza prendere alcuna posizione politica, condanniamo senza esitazione e ancora una volta ogni forma di violenza contro i cristiani, facendo appello ai potenti della terra perché facciano rispettare i diritti fondamentali dell’uomo, il diritto alla vita, la dignità e il diritto di avere un futuro, sapendo e lodando il loro comportamento pacifico e silenzioso, e il loro costante sforzo a stare lontano da ogni violenza e conflitto”. Da parte sua, “il Patriarcato ecumenico non cesserà mai di sostenere con tutti i messi spirituali a sua disposizione, gli sforzi di dialogo pacifico tra le diverse religioni per una soluzione pacifica dei conflitti e la creazione di un clima di tolleranza, di riconciliazione e cooperazione tra le persone di ogni religione e di ogni origine etnica”.


Pubblichiamo l'ultima parte del DISCORSO DI SUA SANTITA’ IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO IN OCCASIONE DEL 1700° ANNIVERSARIO DALLA PUBBLICAZIONE DELL’EDITTO DI MILANO (Milano, 15 maggio 2013)





La preoccupazione che l’uomo sia sostenuto di fronte a ogni ingiusta oppressione e privazione della sua libertà - espressa anche dopo la Rivoluzione Francese con la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo” – per il Cristianesimo non è nuova cosa ma è contenuta nell’insegnamento divino-umano sulla terra, di duemila anni fa, di Cristo e dei suoi Santi Apostoli (nei Sacri Vangeli e negli scritti dei Padri Teofori).
E questa preoccupazione non può che avere l’approvazione della Chiesa.
         Ma la democrazia per la Chiesa è legale solo quando dice la partecipazione del popolo alla nomina dei capi e del governo, rispettando i diritti di Dio e le leggi divine. La pretesa della nazione di auto-determinarsi come il supremo fondamento dei canoni che ispira e istituisce le leggi, non può essere accettata dalla Chiesa, ma viene bocciata come pretesa luciferina che conduce l’uomo alla sua auto-distruzione.
         Per la Chiesa ogni sforzo per l’acquisto della libertà deve essere rivolto in primo luogo verso l’uomo interiore e dopo essere esteso agli altri. Per la Chiesa Ortodossa l’uomo reca intera la responsabilità di lottare per la realizzazione dell’aspetto positivo della libertà nella sua persona, di diventare ogni giorno autenticamente libero, negando sé stesso e la sua tendenza al peccato.
         Tutti i movimenti umani che hanno tentato di raggiungere la libertà fuori da Dio, senza Cristo, alla fine non solo sono falliti, ma hanno avuto anche conseguenze catastrofiche per l’umanità.
         Non si deve dimenticare che alla Rivoluzione Francese del 1789, con le sue dichiarazioni progressiste, hanno fatto seguito le stragi degli anni 1792-94 e i milioni di morti delle guerre napoleoniche. Non si deve dimenticare che alla Rivoluzione d’Ottobre in Russia sono seguiti milioni di vittime delle persecuzioni staliniste e dei terribili campi di concentramento in Siberia.
         Purtroppo non sono solo il fondamentalismo e l’odio religioso a privare l’uomo dei suoi basilari diritti. E’ anche la sete di libertà senza Cristo, la libertà immorale che alla fine diventa prigione. Questa sete di libertà non troverà il suo compimento se l’uomo Europeo non si ricollegherà con l’eredità cristiana di Costantino Magno, grande e santa personalità che ha tracciato un segno nella storia del mondo, come solo un santo poteva fare. Quando i popoli dell’Occidente cercano fondamento alla morale e al diritto solo nell’uomo e nella nazione dimenticando Dio, allora anche i diritti dell’uomo rimarranno semplici dichiarazioni sulla carta.
         La stessa cosa succede anche oggi in Medio Oriente. Rivoluzioni, rovesciamento di regimi, guerre per richiedere più libertà e l’instaurazione della democrazia. Malgrado ciò i risultati non sono positivi e alcune volte molto scoraggianti.
         La violenza religiosa, l’odio, la mancanza di tolleranza di fronte ai cristiani, continuano a dominare in Paesi teatro di rivoluzioni. Gli eventi politici che accadono nel Medio Oriente - luoghi attraversati da Dio - le catastrofi naturali, l’insicurezza verso il futuro, minacciano i cristiani, la loro vita loro e quella delle proprie famiglie. In Siria i cristiani di ogni confessione, chierici e laici, malgrado i grandi sforzi che compiono per rimanere neutrali nel conflitto civile, malgrado la loro vita tranquilla e pacifica, vengono provati e minacciati quotidianamente con sequestri e omicidi.
         Il Patriarcato Ecumenico condanna senza dubbi queste e analoghe situazioni. Lontano da ogni posizione politica riproviamo - come capo spirituale e Patriarca Ecumenico - l’uso della violenza e le persecuzioni dei cristiani soltanto e solamente in quanto cristiani.
         Non abbiamo timore di quelli che usano la violenza contro i cristiani, perché la Resurrezione del Signore ha vinto anche la morte. Come cristiani non abbiamo paura delle persecuzioni, perché le persecuzioni sono la pagina d’oro della storia della nostra Chiesa, hanno esaltato santi, martiri ed eroi della fede. Ma anche non cessiamo di esprimere verso la Comunità Internazionale la nostra protesta, perché 1700 anni dopo la concessione della libertà religiosa con l’Editto di Milano, continuano in tutto il mondo, sotto molteplici forme, le persecuzioni.
         Facciamo quindi appello a tutti affinché prevalga la pace e la sicurezza tanto nel Medio Oriente - dove il Cristianesimo tiene i suoi più venerabili e antichi santuari e dove la tradizione cristiana è tanto profonda e collegata con la vita del popolo - quanto in tutto il mondo, dove viene calpestata la libertà della fede in Cristo con il pretesto del terrorismo, delle guerre, delle oppressioni economiche e in molti altri modi. Situazioni che si correggono solo con personali autocritiche, con la Grazia dello Spirito Santo. Tutto questo condanniamo, proclamando la libertà in Cristo. La libertà è per il cristiano modo di vita. La più elevata libertà è la purezza della nostra mente e perfetta libertà è la purezza del cuore. Questa è la libertà di Dio che ha le sue radici, la sua pienezza e la sua perfezione nella libertà dell’uomo. La libertà dell’uomo è la libertà di Dio.
         L’Editto di Milano costituisce un momento culminante nella vita dell’umanità e per il nostro travagliato mondo è speranza per un domani migliore. Ed è al tempo stesso un suggerimento affinché il mondo comprenda che può raggiungere la sua reale libertà soltanto in Cristo. Testimonia San Giovanni Crisostomo, Lui che ha servito nella libertà: “Chi non cerca la gloria, già da ora riceve il premio; di nessuno è servo, ma libero nella vera libertà” (A Giovanni, 73, P.G. 59, 349).
               

lunedì 20 maggio 2013

Cristiani in terra d'Islam: Tibhirine vive!

21 maggio : memoria dei 7 Trappisti martiri di Tibhirine


“Uomini di Dio” a Midelt


Il film Uomini di Dio (Des homme et des dieux) del regista X. Beauvois, premiato a Cannes nel 2010, ha reso nota anche al grande pubblico la vicenda dei sette monaci trappisti di Tibhirine, in Algeria, rapiti e uccisi nel 1996 dai terroristi del “Gruppo islamico armato”, e dei quali furono fatte ritrovare soltanto le teste.
La piccola comunità di N. S. dell’Atlas, a Midelt, in Marocco, quattro fratelli dell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza (detto dei “Trappisti”), e due postulanti, arrivati proprio dopo aver visto il film, è l’erede di quella di Tibhirine, trasferitasi, dopo quei fatti, prima a Fés, in Marocco, e poi a Midelt, 200 km. a sud di Fés, in un vasto altipiano chiuso dalla catena del Medio-Atlante, a 1500 m. di altezza.
Qui vive anche P. Jean-Pierre Schumacher, 89 anni e una vitalità mite e tenace che brilla nei suoi occhi color del cielo, occhi di bambino, a dispetto dell’età, che traboccano di pace, gioia e serenità, come il sorriso che s’apre sul suo volto alla consegna generosa di un dono e di un segreto. È, ormai, l’ultimo sopravvissuto di Tibhirine, dopo che l’altro fratello, scampato con lui miracolosamente, e per chissà quale disegno di Dio, al rapimento, la notte fra il 26 e il 27 marzo del 1996, P. Amedée, è morto nel 2008, e, dunque, il testimone vivente di quegli avvenimenti e di una speranza che nelle sue parole, come nei suoi occhi e nel suo sorriso, ha la forza e la solidità della roccia.
Ma perché mai, ancora, una comunità trappista in terra d’islam, in uno stato confessionale come il Marocco, dove non è consentito professare una fede diversa da quella insegnata da Maometto, se non a chi è straniero, e in mezzo a una popolazione berbera, come qui, a Midelt?
Eppure che abbia la fortuna di incontrare e di conoscere questa splendida comunità non può che ringraziare Dio, e i fratelli stessi, di questa presenza. Una presenza silenziosa e nascosta, prima di tutto orante, segno gratuito e trasparente di una più grande Presenza.
“Essere uomini di preghiera in mezzo ad altri uomini di preghiera”, questo lo scopo dichiarato e perseguito dai fratelli, tanto che, in certe ore del giorno, si resta stupiti (meglio dire letteralmente commossi) al sentire come al canto dei monaci, nel piccolo coro, facciano eco, di lontano, le voci dei muezzin dai loro minareti.
Questi “uomini di Dio”, che vivono, oggi, qui, a Midelt, secondo la Regola di S. Benedetto e le costituzioni dell’Ordine di Citeaux, si dedicano al servizio e alla lode di Dio nella celebrazione liturgica e al lavoro manuale, in uno stile di vita semplice e fraterno, segnato fortemente dal timbro inconfondibile della carità.
“Ospiti” del popolo marocchino - come amano definirsi loro stessi - , musulmano nella sua totalità, essi intendono anche testimoniare come la pace è dono di Dio a tutti gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi e in particolare compito affidato a tutti i credenti.
L’apertura e lo spirito di comunione fraterna sono certamente il tratto distintivo di questa comunità, come si tocca con mano nell’accoglienza calda e premurosa riservata ai tanti visitatori, per la maggior parte stranieri, che passano per il monastero per sentire ancora parlare di Tibhirine, così come nei legami di collaborazione e di aiuto che la uniscono alla popolazione locale, come e forse più che a Tibhirine.
Ma non c’è solo Tibhirine, oggi, a Midelt. In una cappella dell’ampio cortile interno del monastero, riposa il corpo del P. A. Peyriguère (1883-1959), discepolo di Ch. de Foucauld morto in concetto di santità, e con lui un pezzo di storia e di fede della presenza cristiana in Marocco, una presenza che, oltre che con i fratelli, continua oggi, a Midelt, anche con un piccolo gruppo di sorelle francescane, che svolgono un’importante opera assistenziale e formativa anche nei villaggi vicini e che fanno riferimento al monastero le vita liturgica e spirituale.
Un tesoro davvero prezioso, dunque, la piccola comunità trappista di Midelt, per la Chiesa del Marocco e per tutta la Chiesa universale, in tempi in cui sempre di più ha bisogno di testimoni autentici del Vangelo.
Sr. Patrizia (Trappiste di Valserena)
(pubblicato su ToscanaOggi)


















E  PERCHE’ PROPRIO UN MONASTERO IN SIRIA?
Il nostro abate generale dom Bernardo Olivera, in una sua visita a Valserena, aveva chiesto che venisse raccolta l’eredità dei nostri fratelli di Thibirine, uccisi in Algeria nel 1996.
L’appello è stato raccolto da due nostre sorelle che si sono sentite chiamate a questa nuova esperienza, alle quali poi se ne sono aggiunte altre due.
In Algeria non si poteva andare a causa dell’intolleranza verso i cristiani, che esiste tuttora, così è stata scelta la Siria. La Siria è una terra a prevalenza islamica, ma dove convivevano, in pace, ben 23 minoranze religiose ed etniche.
La Siria è soprattutto una terra di antichissima tradizione cristiana e monastica, ed è la terra della conversione di S.Paolo. Lì c’è bisogno di sostenere le comunità cristiane, sempre più isolate, creare una presenza cristiana e uno spazio di incontro fraterno anche fra religioni diverse. La conoscenza sempre più approfondita della realtà della Siria e dei suoi giovani assetati di una parola vera, spinge le nostre sorelle all’accoglienza che possa introdurre alla preghiera, alla liturgia, al dialogo.


IN UN PAESE A MAGGIORANZA MUSULMANA, COME SIETE STATE ACCOLTE DALLA POPOLAZIONE?
La gente è ospitale, sono state aiutate da tante persone, sono nate amicizie semplici e belle anche con i musulmani.
I villaggi vicini le hanno accolte con simpatia, c’è collaborazione con il parroco, e poi la costruzione del monastero ha portato lavoro per parecchi operai dei villaggi che circondano il monastero.

COME VIVETE LA VOSTRA GIORNATA IN QUESTO MOMENTO DI FORTI TENSIONI?
Le giornate si vivono seguendo  la Regola: preghiera, meditazione, ascolto della Parola di Dio; lavoro, servizi della comunità. Certo la tensione è sempre alta, gli spari da noi avvengono quasi sempre di notte. Qualche volta si assiste da lontano a spari e bombardamenti che avvengono di giorno soprattutto nella Valle dei Cristiani. Ma nonostante tutto si è sempre cercato di celebrare la liturgia, anche in modo solenne, nelle grandi festività, come a Pasqua, in cui si è celebrata la veglia Pasquale a mezzanotte con l’accensione e benedizione del fuoco e dell’acqua, nonostante avessero iniziato a mitragliare durante il pomeriggio, ma era importante non lasciarsi condizionare.
 
PERCHE’ LE SUORE RESTANO IN SIRIA IN UN MOMENTO COSI’ DIFFICILE?
Quando una comunità fonda un nuovo monastero, lo fa per restarci stabilmente, sia nel bene che nel male.
Se le nostre sorelle in questo momento lasciassero il monastero in Siria per un posto più sicuro, sarebbe una contro-testimonianza verso la gente del villaggio che non ha questa possibilità. Alle nostre sorelle è stato proposto di tornare, ma rimangono, anche per solidarietà con i Siriani, dai quali stanno imparando tanto: coraggio di resistere, amore per la propria nazione, fede di fronte alla morte ed alla vita. Vivono con loro nel desiderio di un ritorno alla vita normale, dove si possa lavorare, spostarsi e pregare nelle chiese senza temere per la propria vita.

           suor Annunciata, del monastero Azeir,  ora rientrata a Valserena
           

sabato 18 maggio 2013

Mussalaha: la riconciliazione è la sola speranza


Dichiarazione conclusiva della Delegazione Internazionale di Mussalaha in Siria, maggio 2013


di padre Dave Smith

La Siria presenta il degrado generale e terribile della umana decenza e rispetto. Ci sono milioni di vittime innocenti e tanti singoli atti di eroismo, ma tra i potenti vediamo un grado spaventoso di violenza, ipocrisia e corruzione. Decine di migliaia sono morti, milioni sono sfollati, e quasi tutta una popolazione di 23 milioni vive nella paura. La comunità internazionale ha affermato e ci conferma che la tragedia siriana è forse la peggiore dalla Seconda Guerra Mondiale.


Stati, organizzazioni politiche e combattenti sono le cause principali della miseria, che essi perseguono per il proprio vantaggio, seminando il terrore e la manipolando le sofferenze per addebitarle negativamente sui loro avversari, mentre troppo spesso rifiutano ogni  compromesso o addirittura di parlare tra di loro.

Queste sono le conclusioni della nostra Delegazione, composta da 16 attivisti per i diritti umani provenienti da sette paesi. Nel corso di nove giorni abbiamo visitato i campi profughi, le comunità colpite, leader religiosi, combattenti, rappresentanti di governo e molti altri - autori e vittime - in Siria e Libano.

Eravamo già inorriditi da ciò che sapevamo prima di venire, ma ciò che abbiamo scoperto nella delegazione ha provocato vergogna a quasi tutte le persone coinvolte.

Chiediamo alla comunità internazionale di proteggere l'integrità territoriale della Siria e di rispettare i diritti fondamentali della Siria come Stato sovrano. Deploriamo qualsiasi intenzione di violare l'integrità delle frontiere della Siria o di danneggiare l'unità e la ricca diversità del popolo siriano.

Noi riconosciamo la legittimità delle aspirazioni dei cittadini siriani per il cambiamento, per le riforme, lo sradicamento della corruzione di Stato e l'attuazione di una vita democratica che rispetti e protegga i diritti fondamentali di tutti i cittadini e delle minoranze, ma crediamo che le riforme efficaci e durature debbano essere raggiunte attraverso mezzi non violenti.

Il nostro appello principale è che tutti i Paesi fermino la loro ingerenza negli affari siriani - più specificamente, che arrestino la fornitura di armi e di combattenti stranieri da entrambi i lati del conflitto. Se i Paesi stranieri decidono di eliminare l'afflusso di armi e combattenti, siamo certi che i Siriani possono  trovare le proprie soluzioni ai loro  problemi e raggiungere la riconciliazione.

Ci opponiamo in modo inequivocabile ad  ogni aggressione e all'intervento straniero contro la Siria sotto qualsiasi giustificazione. Allo stesso tempo, facciamo appello a tutte le parti, compreso il governo, a dar prova di moderazione in risposta alle provocazioni che mirano ad aumentare la violenza e allargare il conflitto.

Riteniamo che sia fuori discussione che il popolo siriano ha il diritto di determinare il proprio governo e il proprio futuro. Interferenze straniere attualmente impediscono  al popolo siriano di esercitare il proprio diritto all'autodeterminazione. Siamo preoccupati che tale pernicioso intervento stia lacerando il tessuto del Paese stesso, con conseguenze a lungo termine che si possono soltanto  immaginare.

L'esempio ammonitore dell'Iraq serve a ricordarci delle conseguenze disastrose di tale follia internazionale. Questa crisi umanitaria si sta già riversando nei Paesi vicini. Un collasso della società siriana  sarà destabilizzante per  l'intera regione. Facciamo appello alla comunità internazionale per dimostrare che si può imparare dalla storia e fare nel caso della Siria scelte migliori, che risparmieranno un'ulteriore tragedia per il coraggioso popolo siriano.

In secondo luogo, ci appelliamo ai media internazionali per fermare il flusso di disinformazione per quanto riguarda il conflitto siriano. Noi crediamo che ad ogni siriano, sia all'interno che all'esterno del Paese, dovrebbe essere dato il diritto di essere ascoltato e non vediamo rispecchiato questo diritto nella copertura internazionale di questa crisi.

In terzo luogo, mentre noi sosteniamo totalmente l'embargo sulle armi, chiediamo alla comunità internazionale di rivedere e riconsiderare le sanzioni paralizzanti che stanno avendo un così penalizzante peso sul comune popolo siriano.

In quarto luogo, esortiamo la comunità internazionale a prendere sul serio il vasto numero di rifugiati e delle persone sfollate internamente per questo conflitto.

Auspichiamo la cessazione di ogni violenza, di modo che queste persone potrebbero essere autorizzate a tornare alle loro case. Nel frattempo, però, gli sforzi di aiuto umanitario devono essere ampliati per soddisfare le esigenze di base di tali persone.

Il nostro rapporto precedente, la "Dichiarazione della Delegazione Mussalaha in Siria sulla situazione dei rifugiati in Libano", delinea l'inadeguatezza dei programmi attuali per i profughi . Apprezziamo il fatto che varie autorità di governo hanno tentato di rispondere alla crisi dei rifugiati. Riconosciamo però che al Comitato internazionale della Croce Rossa e le sue affiliate, così come ad altre agenzie umanitarie, deve essere consentito di istituire centri all'interno della Siria per la cura degli sfollati interni, in modo da evitare che questi profughi debbano  fuggire verso l'estero .

Questo lavoro richiede il finanziamento immediato e significativo da parte della comunità internazionale. Anche se questo sarà un'impresa costosa, riteniamo che i costi saranno in realtà solo una frazione dell'importo attualmente speso per distruggere la Siria.

Infine, facciamo appello a tutte le parti coinvolte a porre fine ad ogni forma di violenza e violazione dei diritti umani - le azioni che hanno come obiettivo e  terrorizzano i civili innocenti e prigionieri, gli attacchi terroristici indiscriminati contro la popolazione civile, l'ingiustificato  sistematico prendere di mira le infrastrutture statali vitali, le installazioni civili, le zone industriali, fabbriche, servizi di comunicazione, riserve agricole, centri sanitari e ospedali, scuole e università, e i punti di riferimento religiosi e culturali – tutto ciò provoca la trasformazione delle aree residenziali in zone di guerra, con la conseguente fuga della popolazione  civile.

Ci opponiamo allo stesso modo all'uso di decreti religiosi che incoraggiano, banalizzano e giustificano  la barbarie, lo stupro e il terrorismo. Facciamo appello ad ogni  comunità religiosa per chiamare i fedeli alla nonviolenza e alla  pace, e per  respingere ogni forma di violenza e discriminazione.

Esprimiamo la nostra ammirazione e rispetto per i tanti leader religiosi siriani che hanno rifiutato di approvare l'uso della violenza e hanno dedicato la loro vita a lavorare per una soluzione pacifica a questo conflitto, e facciamo appello particolarmente per il rilascio immediato dei due Vescovi Cristiani rapiti , entrambi i quali si sono dedicati al lavoro di pace e di riconciliazione, come facciamo appello per la liberazione di tutti i religiosi cristiani e musulmani e altri cittadini siriani rapiti.

Concludiamo elogiando l'opera di Madre Agnes Mariam e l'iniziativa Mussalaha. Abbiamo assistito al loro lavoro all'interno di diverse comunità in tutta la Siria. Offriamo il nostro sostegno inequivocabile e continuo a queste persone coraggiose, e ci impegniamo a continuare a lavorare al loro fianco fino a quando la Siria sarà veramente in pace.

Ringraziamo il Patriarca Gregorios III Laham, per il suo gentile invito e il suo sostegno continuo per Mussalaha. Allo stesso modo ringraziamo il signor Jadallah Kaddour per la sua generosità che ha reso possibile la nostra visita ed  esprimiamo la nostra gratitudine a tutti coloro che hanno facilitato il nostro percorso, in modo particolare il Comitato Organizzatore della visita della delegazione e del Consiglio Popolare per la Riconciliazione Nazionale.
Damasco, il 10/ 05/ 2013

  (traduzione di FMG)

venerdì 17 maggio 2013

Quella sottile linea rossa


ARMI CHIMICHE IN SIRIA


di Francesco Mario Agnoli
da: Identità Europea

Archiviati la sbornia elettorale, l’elezione/rielezione del presidente della Repubblica e perfino il varo del nuovo governo (anche se quest’ultimo continua a essere soggetto a poco rassicuranti scosse sismiche), è possibile cambiare argomento. Tornare per esempio alla politica estera, a quanto sta avvenendo in Africa e in Medio Oriente, a così breve distanza dalla Sicilia, cioè da casa nostra. Da ultimo (ma già in precedenza non sarebbero mancate le occasioni) mi sollecita a farlo l’articolo “Siria nel caos Obama decida” pubblicato dal Resto del Carlino di domenica 12 maggio.

La politica estera interessa poco agli italiani, ma appunto per questo offre a un nutrito gruppo di protagonisti della politica e dell’informazione ottimi spunti senza rischio di eccessive contestazioni per esibire, sotto forma di rispettoso rimbrotto/esortazione, da consiglieri del principe, la propria fedeltà a Washington, mostrandosi più americani dello stesso presidente americano.
Tutti questi signori non vedono l’ora che gli States ripetano in Siria quanto accaduto in Iraq e in Libia e si preoccupano perché Obama non ripete più che “Assad se ne deve andare” e addirittura ha “fatto una imbarazzante marcia indietro quando il Pentagono gli ha confermato l’uso delle armi chimiche”. Già la famosa “linea rossa”, superata la quale l’America avrebbe rotto gli indugi e autorizzato l’intervento militare. In effetti a inizio maggio Obama aveva dato l’impressione di stare per premere il bottone, dichiarando che l’impiego di armi chimiche in Siria è ormai un fatto accertato. Aveva sì aggiunto di non avere ancora l’assoluta certezza sugli autori del crimine, ma anche lasciato capire che tutti i sospetti puntano su Assad e l’esercito governativo.
I consiglieri del principe si stavano già fregando le mani quando, il 5 maggio, a rompere le uova nel paniere è intervenuta l’ex-magistrato svizzero Carla Del Ponte, autorevolissima componente della Commissione ONU incaricata di indagare sulla violazione dei diritti umani in Siria. La Del Ponte, celebratissima in Italia e in tutto l’Occidente quando sosteneva l’accusa davanti al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e al Tribunale penale internazionale per il Ruanda, ha dato ragione ad Obama sull’avvenuto utilizzo di armi chimiche, ma ha aggiunto che le testimonianze attribuivano l’impiego del micidiale gas Sarin non ai governativi, ma ai ribelli. Difficile immaginare qualcosa di peggio di queste dichiarazioni per i sostenitori dell’intervento Usa contro Assad, proprio perché confermano le dichiarazioni del presidente quanto all’avvenuto impiego di armi chimiche, ma “sbagliano” colpevole. Difatti, una volta superata la “linea rossa”, o si mantiene l’impegno e si interviene contro gli autori del crimine o non si potrà farlo contro l’altra parte del conflitto, qualora decidesse di replicare con le stesse armi.
I collaboratori più responsabili e preparati degli States se ne sono immediatamente resi conto e non hanno esitato a smentire non solo la Del Ponte, ma (con qualche cautela) lo stesso Obama a proposito del “fatto accertato”, cioè dell’avvenuto impiego di armi chimiche. Anders Fogh Rasmussen, segretario generale Nato, si è affrettato a dichiarare che “la Nato ha avuto indicazione dell’impiego di armi chimiche in Siria, ma non ha prove consolidate né sulle circostanze né su chi ne abbia fatto effettivo uso”, aggiungendo di ignorare “su quale base Carla Del Ponte abbia fatto le sue dichiarazioni”. A sua volta la Commissione dell’ONU, di cui è componente il magistrato svizzero, ha diffuso una nota per affermare di non avere “prove conclusive in grado di determinare l’uso delle armi chimiche, né dall’una, né dall’altra parte”.

Insomma il “fatto accertato” è soltanto un’ipotesi o al massimo un sospetto.
In Italia gli aspiranti consiglieri del principe possono concedersi qualche parola critica per sollecitare il presidente americano a superare le proprie esitazioni, ma mai si permetterebbero di smentirlo. Per loro resta indiscutibile che le armi chimiche sono state usate e, dal momento che il sospetto del principe è per i cortigiani certezza, che ad impiegarle è stato il tiranno Assad e non le anime belle dei salafiti, degli islamisti e dei mercenari sauditi.



La "partita" delle armi chimiche può spaccare il Medio Oriente          



da Il Sussidiario , venerdì 19 aprile 2013
INT. A  Gian Micalessin 

Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato alla BBC che Israele ha il  diritto di fare quanto è in suo potere per impedire che le armi chimiche siriane  cadano nelle mani sbagliate. Per il premier, se i terroristi dovessero  sequestrare armi anti-aeree e chimiche, diventerebbero l’ago della bilancia del  Medio Oriente. Il Sussidiario.net ha intervistato Gian Micalessin, inviato di  guerra de Il Giornale.

D: Che cosa ne pensa dello scenario delineato dal premier Netanyahu?
R: E’ uno scenario che potrebbe verificarsi. Esistono effettivamente dei depositi  di armi chimiche e si trovano in zone che potrebbero essere raggiunte dai  ribelli. Un intervento israeliano però esaspererebbe la già drammatica  conflittualità in cui vive la Siria, e potrebbe avere un effetto assolutamente  devastante per l’intero Medio Oriente.  Sarebbe più opportuno un intervento  americano o europeo, come è stato delineato più volte in passato, con  l’obiettivo specifico di evitare il diffondersi delle armi chimiche. Resterebbe  comunque una scelta pericolosa e con molte controindicazioni, ma pur sempre meno disastrosa di un blitz israeliano che rischierebbe di minare dalle fondamenta  quel poco che resta della stabilità mediorientale.

D: Quanto sono realmente pericolose le armi chimiche siriane?
R: Le armi chimiche siriane, finché restano nelle mani di Assad che non le ha mai usate né intende usarle, sono relativamente poco pericolose. Diventano  estremamente pericolose se cadono nelle mani di gruppi come Al-Nusra, che formalmente appartengono alla galassia della rivolta jihadista in corso contro  Assad. Queste formazioni agiscono autonomamente e si dichiarano addirittura  schierate su posizioni vicine ad Al Qaeda. Quindi è chiaro che le armi chimiche,  se cadessero in mano loro, potrebbero essere usate non solo per fare cadere  Assad o per combatterlo, ma anche nello scenario globale per mettere a punto  attacchi terroristici contro quello stesso Occidente che ritiene di dover  sostenere la rivolta.

D: Quanto è forte ancora Assad e perché la situazione è così bloccata?
R:  Perché non c’è un Paese contro Bashar Assad, ma una nazione divisa in due. Il 50  per cento della popolazione è composta dalla minoranza cristiana, dagli alawiti,  ma anche da buona parte dei sunniti che continuano a restare con Assad. Molti  generali e ufficiali dello stesso esercito sono sunniti e continuano a sostenere  il regime.

 D: Quanto conta l’influenza delle potenze straniere?
R: Chi lotta contro Assad ha il sostegno di potenze regionali quali Qatar, Arabia  Saudita e Turchia, oltre all’appoggio occidentale. Dall’altra ci sono alleati  come Pechino e Mosca, importanti dal punto vista economico e del rifornimento di  armi, e la compartecipazione all’attività bellica dell’Iran e di Hezbollah, che  ritengono fondamentale per il mantenimento dell’asse sciita la sopravvivenza di  Bashar Assad e dell’attuale regime siriano.

D: Lei è stato più volte in Siria. Che cosa ha visto?
R: Quel che balza di più agli occhi quando si viaggia a Homs, Aleppo e altre città siriane è la sostanziale difformità tra i resoconti giornalistici che riceviamo  in Occidente e quel che accade sul terreno. Esiste effettivamente una situazione  di guerra. In particolare Aleppo, almeno nella parte che si affaccia verso la  Turchia, è una città circondata dai ribelli, ma al suo interno esiste una vasta  parte della popolazione che continua a vivere normalmente e a sostenere la  necessità di battersi con Assad.

D: Per quali motivi?
R: Considerano il regime comunque più legittimo di un’opposizione armata,  foraggiata da Stati stranieri, come il Qatar e l’Arabia Saudita. I ribelli sono  inoltre ritenuti pericolosi, incontrollabili, disorganizzati, privi di una guida  politica e soprattutto colpevoli di massacri efferati e di attentati che mettono  a rischio la popolazione civile. Attentati che sono descritti da chi vive a Homs  e Aleppo come terrorismo puro e non come ribellione e lotta contro il tiranno.

(Pietro Vernizzi)
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