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venerdì 17 maggio 2013

Quella sottile linea rossa


ARMI CHIMICHE IN SIRIA


di Francesco Mario Agnoli
da: Identità Europea

Archiviati la sbornia elettorale, l’elezione/rielezione del presidente della Repubblica e perfino il varo del nuovo governo (anche se quest’ultimo continua a essere soggetto a poco rassicuranti scosse sismiche), è possibile cambiare argomento. Tornare per esempio alla politica estera, a quanto sta avvenendo in Africa e in Medio Oriente, a così breve distanza dalla Sicilia, cioè da casa nostra. Da ultimo (ma già in precedenza non sarebbero mancate le occasioni) mi sollecita a farlo l’articolo “Siria nel caos Obama decida” pubblicato dal Resto del Carlino di domenica 12 maggio.

La politica estera interessa poco agli italiani, ma appunto per questo offre a un nutrito gruppo di protagonisti della politica e dell’informazione ottimi spunti senza rischio di eccessive contestazioni per esibire, sotto forma di rispettoso rimbrotto/esortazione, da consiglieri del principe, la propria fedeltà a Washington, mostrandosi più americani dello stesso presidente americano.
Tutti questi signori non vedono l’ora che gli States ripetano in Siria quanto accaduto in Iraq e in Libia e si preoccupano perché Obama non ripete più che “Assad se ne deve andare” e addirittura ha “fatto una imbarazzante marcia indietro quando il Pentagono gli ha confermato l’uso delle armi chimiche”. Già la famosa “linea rossa”, superata la quale l’America avrebbe rotto gli indugi e autorizzato l’intervento militare. In effetti a inizio maggio Obama aveva dato l’impressione di stare per premere il bottone, dichiarando che l’impiego di armi chimiche in Siria è ormai un fatto accertato. Aveva sì aggiunto di non avere ancora l’assoluta certezza sugli autori del crimine, ma anche lasciato capire che tutti i sospetti puntano su Assad e l’esercito governativo.
I consiglieri del principe si stavano già fregando le mani quando, il 5 maggio, a rompere le uova nel paniere è intervenuta l’ex-magistrato svizzero Carla Del Ponte, autorevolissima componente della Commissione ONU incaricata di indagare sulla violazione dei diritti umani in Siria. La Del Ponte, celebratissima in Italia e in tutto l’Occidente quando sosteneva l’accusa davanti al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e al Tribunale penale internazionale per il Ruanda, ha dato ragione ad Obama sull’avvenuto utilizzo di armi chimiche, ma ha aggiunto che le testimonianze attribuivano l’impiego del micidiale gas Sarin non ai governativi, ma ai ribelli. Difficile immaginare qualcosa di peggio di queste dichiarazioni per i sostenitori dell’intervento Usa contro Assad, proprio perché confermano le dichiarazioni del presidente quanto all’avvenuto impiego di armi chimiche, ma “sbagliano” colpevole. Difatti, una volta superata la “linea rossa”, o si mantiene l’impegno e si interviene contro gli autori del crimine o non si potrà farlo contro l’altra parte del conflitto, qualora decidesse di replicare con le stesse armi.
I collaboratori più responsabili e preparati degli States se ne sono immediatamente resi conto e non hanno esitato a smentire non solo la Del Ponte, ma (con qualche cautela) lo stesso Obama a proposito del “fatto accertato”, cioè dell’avvenuto impiego di armi chimiche. Anders Fogh Rasmussen, segretario generale Nato, si è affrettato a dichiarare che “la Nato ha avuto indicazione dell’impiego di armi chimiche in Siria, ma non ha prove consolidate né sulle circostanze né su chi ne abbia fatto effettivo uso”, aggiungendo di ignorare “su quale base Carla Del Ponte abbia fatto le sue dichiarazioni”. A sua volta la Commissione dell’ONU, di cui è componente il magistrato svizzero, ha diffuso una nota per affermare di non avere “prove conclusive in grado di determinare l’uso delle armi chimiche, né dall’una, né dall’altra parte”.

Insomma il “fatto accertato” è soltanto un’ipotesi o al massimo un sospetto.
In Italia gli aspiranti consiglieri del principe possono concedersi qualche parola critica per sollecitare il presidente americano a superare le proprie esitazioni, ma mai si permetterebbero di smentirlo. Per loro resta indiscutibile che le armi chimiche sono state usate e, dal momento che il sospetto del principe è per i cortigiani certezza, che ad impiegarle è stato il tiranno Assad e non le anime belle dei salafiti, degli islamisti e dei mercenari sauditi.



La "partita" delle armi chimiche può spaccare il Medio Oriente          



da Il Sussidiario , venerdì 19 aprile 2013
INT. A  Gian Micalessin 

Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato alla BBC che Israele ha il  diritto di fare quanto è in suo potere per impedire che le armi chimiche siriane  cadano nelle mani sbagliate. Per il premier, se i terroristi dovessero  sequestrare armi anti-aeree e chimiche, diventerebbero l’ago della bilancia del  Medio Oriente. Il Sussidiario.net ha intervistato Gian Micalessin, inviato di  guerra de Il Giornale.

D: Che cosa ne pensa dello scenario delineato dal premier Netanyahu?
R: E’ uno scenario che potrebbe verificarsi. Esistono effettivamente dei depositi  di armi chimiche e si trovano in zone che potrebbero essere raggiunte dai  ribelli. Un intervento israeliano però esaspererebbe la già drammatica  conflittualità in cui vive la Siria, e potrebbe avere un effetto assolutamente  devastante per l’intero Medio Oriente.  Sarebbe più opportuno un intervento  americano o europeo, come è stato delineato più volte in passato, con  l’obiettivo specifico di evitare il diffondersi delle armi chimiche. Resterebbe  comunque una scelta pericolosa e con molte controindicazioni, ma pur sempre meno disastrosa di un blitz israeliano che rischierebbe di minare dalle fondamenta  quel poco che resta della stabilità mediorientale.

D: Quanto sono realmente pericolose le armi chimiche siriane?
R: Le armi chimiche siriane, finché restano nelle mani di Assad che non le ha mai usate né intende usarle, sono relativamente poco pericolose. Diventano  estremamente pericolose se cadono nelle mani di gruppi come Al-Nusra, che formalmente appartengono alla galassia della rivolta jihadista in corso contro  Assad. Queste formazioni agiscono autonomamente e si dichiarano addirittura  schierate su posizioni vicine ad Al Qaeda. Quindi è chiaro che le armi chimiche,  se cadessero in mano loro, potrebbero essere usate non solo per fare cadere  Assad o per combatterlo, ma anche nello scenario globale per mettere a punto  attacchi terroristici contro quello stesso Occidente che ritiene di dover  sostenere la rivolta.

D: Quanto è forte ancora Assad e perché la situazione è così bloccata?
R:  Perché non c’è un Paese contro Bashar Assad, ma una nazione divisa in due. Il 50  per cento della popolazione è composta dalla minoranza cristiana, dagli alawiti,  ma anche da buona parte dei sunniti che continuano a restare con Assad. Molti  generali e ufficiali dello stesso esercito sono sunniti e continuano a sostenere  il regime.

 D: Quanto conta l’influenza delle potenze straniere?
R: Chi lotta contro Assad ha il sostegno di potenze regionali quali Qatar, Arabia  Saudita e Turchia, oltre all’appoggio occidentale. Dall’altra ci sono alleati  come Pechino e Mosca, importanti dal punto vista economico e del rifornimento di  armi, e la compartecipazione all’attività bellica dell’Iran e di Hezbollah, che  ritengono fondamentale per il mantenimento dell’asse sciita la sopravvivenza di  Bashar Assad e dell’attuale regime siriano.

D: Lei è stato più volte in Siria. Che cosa ha visto?
R: Quel che balza di più agli occhi quando si viaggia a Homs, Aleppo e altre città siriane è la sostanziale difformità tra i resoconti giornalistici che riceviamo  in Occidente e quel che accade sul terreno. Esiste effettivamente una situazione  di guerra. In particolare Aleppo, almeno nella parte che si affaccia verso la  Turchia, è una città circondata dai ribelli, ma al suo interno esiste una vasta  parte della popolazione che continua a vivere normalmente e a sostenere la  necessità di battersi con Assad.

D: Per quali motivi?
R: Considerano il regime comunque più legittimo di un’opposizione armata,  foraggiata da Stati stranieri, come il Qatar e l’Arabia Saudita. I ribelli sono  inoltre ritenuti pericolosi, incontrollabili, disorganizzati, privi di una guida  politica e soprattutto colpevoli di massacri efferati e di attentati che mettono  a rischio la popolazione civile. Attentati che sono descritti da chi vive a Homs  e Aleppo come terrorismo puro e non come ribellione e lotta contro il tiranno.

(Pietro Vernizzi)
© Riproduzione Riservata. 

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2013/4/19/SIRIA-Micalessin-la-partita-delle-armi-chimiche-puo-spaccare-il-Medio-oriente/384891/

giovedì 16 maggio 2013

Le “tangenti per la rivoluzione” delle milizie anti-Assad




Agenzia Fides , 16/5/2013

Hassakè  – “Le milizie del Free Syrian Army e i gruppi jahidisti fanno pagare pesanti pedaggi a tutti i mezzi provenienti dalle aree di Damasco e di Aleppo che trasportano merci. Dicono che quei soldi servono per comprare le armi, sono come 'tangenti per la rivoluzione'. Per questo adesso i prezzi dei viveri nelle nostre città e nei nostri villaggi sono quasi decuplicati”.

Così riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare della arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi, nella provincia mesopotamica di Jazira. Nella regione – che comprende i centri urbani di Hassakè e Kamishly – il confronto militare tra esercito governativo e milizie anti-Assad vive una fase di stallo. Ma le aree circostanti sono controllate dai gruppi dell'opposizione, e le vie di comunicazione verso Aleppo e Damasco sono interrotte.
 “Al momento, anche qui la piaga dei rapimenti è quella che causa più sofferenza per tante famiglie. Negli ultimi mesi tra Hassakè e Kamishly ci sono stati più di cento rapimenti. Ad un certo punto io stesso ho smesso di tenere il conto. Molti dei rapiti sono ancora nelle mani dei sequestratori” racconta preoccupato a Fides Mons. Hindo.

Nonostante tutto, l’Arcivescovo mantiene viva qualche speranza nelle recenti iniziative internazionali, messe in campo per tentare una soluzione politica del conflitto siriano: “Adesso – dichiara a Fides – tutti mettono sul tavolo pretese esagerate. Mi auguro che col tempo si trovi la via del compromesso. Una soluzione può arrivare solo se gli agenti internazionali, a partire dagli Stati Uniti e dalla Russia, sapranno mettere tra parentesi i rispettivi interessi e terranno conto delle attese e delle sofferenze reali vissuti dal nostro popolo”.

http://www.fides.org/it/news/41528-ASIA_SIRIA_L_Arcivescovo_Hindo_le_tangenti_per_la_rivoluzione_delle_milizie_anti_Assad#.UZTrSm1H45s

Il Vescovo Audo: “I sequestri sono una piaga: lo scopo è il denaro”


Agenzia Fides - 24/4/2013

Aleppo – Più che la religione, il motivo è il denaro. In un colloquio con Fides, il Vescovo caldeo di Aleppo, mons. Antoine Audo, sostiene che “la piaga dei sequestri”, che affligge la nazione, ha come fine soprattutto “la ricerca di denaro da parte di bande armate”, disseminate sul territorio. Una spina in più, che inquina il quadro eterogeneo delle forze in campo: per molti il conflitto siriano è, dunque, un “buon affare”, che ha riguardato almeno 2.000 casi di sequestri a scopo di estorsione.

Il Vescovo Audo racconta a Fides: “Un cristiano armeno, George, rapito per tre settimane, mentre andava da Damasco ad Aleppo, e liberato dopo il versamento di un riscatto di 15mila dollari mi ha detto che l'emiro del gruppo voleva solo soldi, non badava a ideologia o religione. In un altro caso, un sacerdote rapito nel Sud, p. Hasan, è stato liberato dopo 11 giorni, quando i parenti hanno raccolto, a fatica, 100mila dollari. Prima di essere rilasciato ha detto agli aguzzini: ‘Vi perdono tutti e, se ho fatto qualcosa di male, vi chiedo perdono’. A quel punto l'emiro - cioè il capo del gruppo - ha iniziato a bestemmiare Allah. Dunque questi stessi gruppi islamici non sono sinceri, sono fanatici che usano la religione e hanno l’unico fine di fare denaro”.

Mons. Audo, che è presidente di Caritas Siria, non teme di essere rapito? “Non ho paura, sono prudente, uso la mia intelligenza. Non mi reco in zone troppo pericolose. E quando giro per i centri Caritas o visito i profughi, molti giovani mi accompagnano, di loro spontanea volontà , perché dicono che ‘tutto è cambiato’ e che vogliono proteggermi”.
Di fronte alla distruzione della Siria, si può cadere nello sconforto: “Sono da 25 anni Vescovo in Siria: abbiamo costruito chiese, centri di catechesi, centri pastorali…ora si ricomincia da zero. Siamo nella precarietà ma dobbiamo restare saldi. Solo la fede impedisce ai fedeli di ribellarsi a Dio. Ma ci chiediamo: quando avremo la pace?”.
“In Siria – prosegue il Vescovo – abbiamo un patrimonio di valori a difendere, soprattutto l’unità nella diversità di culture e religioni. Il conflitto non è settario o confessionale. Oggi c’è lutto e violenza. Anni fa c’era l'oppressione del popolo e la gente aveva una libertà solo di facciata. I valori che desideriamo sono libertà e democrazia, ma ci vuole il tempo per farli maturare, per educare la popolazione alle dinamiche democratiche e incentrare la vita sul concetto di cittadinanza. Dobbiamo uscire da tranello di vede l'altro o come ‘kafir’, cioè ‘infedele’, a livello religioso; oppure come ‘traditore’ a livello politico. Dobbiamo ribaltare questo approccio. La Chiesa indica la strada del Concilio Vaticano II che promuove ecumenismo, libertà religiosa, dialogo, il servire la verità nell’amore. Il mio desiderio più profondo è che la Siria non perda la fiducia”. 

mercoledì 15 maggio 2013

SALE DALLA TERRA SANTA L'URGENZA DELLA PREGHIERA A COLUI CHE TUTTO PUO'

e dalla Siria implorano: unitevi tutti alla nostra preghiera per la liberazione dei sequestrati.

Sabato 18 maggio a Gerusalemme: X Preghiera straordinaria per la Pace


VIDEO: 


In questi tempi di cambiamenti e di sfide in Oriente come in Occidente, l'urgenza di una preghiera di intercessione per il nostro tempo è più evidente che mai.
Con la decima edizione della Preghiera Straordinaria di tutte le Chiese, che si terrà sabato 18 maggio 2013, alle ore 18 di Terra Santa, nella chiesa siro-cattolica di San Tommaso a Gerusalemme, la "Chiesa Madre" di Gerusalemme chiama nuovamente tutte le Chiese e comunità cristiane nel mondo a pregare per la riconciliazione, con Dio e gli uni con gli altri, per l’unità e per la pace.

Chiedono la liberazione dei due Vescovi rapiti in Siria i capi chiesa di Gerusalemme, uniti nella vicinanza al popolo siriano ma anche nel condannare il comportamento della Polizia israeliana a danno di alcuni fedeli locali nel giorno di Sabato Santo ortodosso, a Gerusalemme...

La Preghiera Straordinaria del 18 maggio 2013 è organizzata dalla Chiesa siro-cattolica in stretta collaborazione con la Chiesa sorella siro-ortodossa. Attingerà ai riti di Pentecoste profondamente spirituali dell’antica tradizione siriaca e verrà tenuta in aramaico, la stessa lingua usata da Cristo, nonchè la lingua liturgica ancora utilizzata dalle Chiese Siriache. Alcune invocazioni della preghiera saranno preparate da Cristiani della Syria, la regione dalla quale, a partire dal Patriarcato di Antiochia, la Chiesa Siriaca si sviluppo’ originariamente: affideranno in questo modo le grandi difficoltà del tempo presente alla preghiera di tutta la Cristianità. La Preghiera Straordinaria sarà anche una occasione per invocare la riconciliazione ed esprimere perdono reciproco; sarà una invocazione piena di fede allo Spirito Santo e alla Divina Misericordia, alla Santissima Trinità, per il nostro tempo, cominciando da Gerusalemme.

http://it.lpj.org/2013/05/03/sabato-18-maggio-a-gerusalemme-x-preghiera-straordinaria-per-la-pace/


Una marcia silenziosa dei cristiani per invocare la liberazione dei vescovi siriani rapiti



Agenzia Fides 15/5/2013

Amman  - Martedì 21 maggio i cristiani di Amman daranno vita a una marcia silenziosa con le candele per chiedere la liberazione dei due vescovi di Aleppo Mar Gregorios Yohanna Ibrahim (siro ortodosso) e Boulos al-Yazigi (greco ortoosso) a un mese dal loro rapimento per mano di sequestratori ignoti.
“Alla marcia” spiega all'agenzia Fides l'Arcivescovo Maroun Lahham, Vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme ”hanno aderito tutte le Chiese cristiane. Partiremo dalla cattedrale ortodossa di Amman per giungere a quella siriaca, passando per la cattedrale cattolica di rito latino. In questo modo anche i cristiani di Amman e della Giordania vogliono unirsi alla preghiera che sale da tutti i cristiani del mondo arabo, affinchè vengano presto rilasciati i nostri fratelli vescovi e tutte le altre vittime dei rapimenti”.
La marcia silenziosa è stata convocata dall'Assemblea dei capi delle Chiese in Giordania. Già nel gennaio 2009 una marcia analoga era stata organizzata a Amman per chiedere la fine della campagna militare “Piombo Fuso” sferrata dall'esercito israeliano nella Striscia di Gaza.

http://www.fides.org/it/news/41520-ASIA_GIORDANIA_Una_marcia_silenziosa_dei_cristiani_per_invocare_la_liberazione_dei_vescovi_siriani_rapiti#.UZSQym1H45s

martedì 14 maggio 2013

Aleppo, in hac lacrimarum valle

Emergenza acqua per 90 disabili musulmani soccorsi dai cristiani



Agenzia Fides , 11/5/2013

Aleppo  – Novanta disabili costretti a fuggire dal quartiere aleppino di Cheikh Maksoud – un'area conquistata nelle settimane scorse dalle milizie anti-Assad – hanno ricevuto accoglienza in un ostello di proprietà del Vicariato apostolico di Aleppo, ma ora la loro condizione è messa a rischio dalla mancanza d'acqua divenuta cronica nella metropoli martoriata dalla guerra civile.

“I disabili, tutti musulmani” riferisce da Aleppo all'Agenzia Fides padre David Fernandez, missionario cattolico dell'Istituto del Verbo Incarnato “sono dovuti fuggire dalla casa che li ospitava, come hanno fatto quasi tutti gli abitanti del quartiere di Cheikh Maksoud. Cercavano un posto dove trovare rifugio, e il Vicariato apostolico ha messo a disposizione una residenza per studenti al momento disabitata. Ma adesso manca l'acqua, aumenta il caldo e quei poveri disabili si trovano in grave difficoltà. Molti di loro sono infermi. I volontari che li aiutano passano tutto il tempo a cercare autobotti per far arrivare loro quel bene indispensabile per vivere”.

si raccoglie l'acqua piovana
Oltre ai disabili rifugiati nella residenza studentesca, altri anziani e infermi, nelle stesse condizioni, sono accuditi dalle Suore di Madre Teresa. “Nella tragedia della guerra” commenta padre Fernandez “i gesti della carità appaiono come un dono ancora più luminoso e commovente”.

 Il missionario conferma a Fides che la settimana scorsa numerosi missili e colpi di mortaio sono stati lanciati dalle milizie anti-regime sul quartiere di Sulaymaniyah, abitato da molti cristiani. L'obiettivo degli attacchi era un presidio dell'esercito governativo, ma molti colpi sono caduti sulle abitazioni civili.

E' stata danneggiata anche la sede della metropolia siro-ortodossa dove risiede solitamente Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, uno dei due vescovi di Aleppo (l'altro è il metropolita greco-ortodosso Boulos al-Yazigi) da quasi 3 settimane nelle mani di ignoti rapitori.

http://www.fides.org/it/news/41497-ASIA_SIRIA_Emergenza_acqua_per_90_disabili_musulmani_soccorsi_dai_cristiani#.UY4fZ21H45s

Questi sarebbero coloro che vogliono il bene del popolo. Coloro che vogliono dare al popolo la libertà?  



Da Aleppo:  Siamo da giorni senza acqua. I ribelli, per ridurre la popolazione alla sete, hanno tagliato i canali di approvvigionamento della diga Tishreen. La temperatura esterna è di 37 gradi. Chiudere l'acqua in queste condizioni, non è un atto criminale? Atto di pressione o di atto di distruzione di massa? Ad ognuno giudicare. Né i bambini né gli anziani, né le donne sono risparmiati in questa  guerra di Aleppo. Ecco una foto della vita quotidiana in città in questi giorni . Questi sono i vigili del fuoco che distribuiscono acqua. Per quanto riguarda la bottiglia di acqua minerale, ha visto la salita di prezzo in pochi mesi da 35 lire siriane a 150 LS. ... 

Tornando al rapimento dei Vescovi Ortodossi, il restare senza notizie ci getta quasi nella disperazione.
Le preghiere della Pasqua degli Ortodossi sono state celebrate senza i loro Vescovi, sia presso i greci che tra i siriaci. Questo lascia, forse, indifferenti i non cristiani, ma l'assenza dei Vescovi, eredi diretti degli Apostoli, è vista come un grande dolore da parte dei fedeli di queste Chiese
Non avevamo mai visto questo, ma le celebrazioni pasquali ortodosse sono state segnate da lacrime e rabbia. Ovviamente, i luoghi di culto erano meno pieni del solito. Le famiglie non hanno neppure potuto ritrovarsi, dopo le celebrazioni, per festeggiare insieme la Resurrezione di Cristo Redentore;  ciascuno è rimasto a casa per paura dei cecchini, ma anche per il prezzo dei taxi.


Continuate a pregare per noi.

http://www.leveilleurdeninive.com/search?updated-max=2013-05-07T15:06:00%2B02:00&max-results=2



PADRE ABOU KHAZEN : 

“BISOGNA IMPEDIRE L' ARRIVO DI ARMI”


da AgenS.I.R. 

“Impedire l’arrivo ed il flusso di armi all’interno del Paese, istituire un coprifuoco in vista della ripresa del dialogo tra le parti in lotta per giungere il più presto possibile alla pace”. A chiederlo è padre Georges Abou Khazen, nominato da Papa Francesco amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis del Vicariato apostolico di Aleppo, in sostituzione di monsignor Giuseppe Nazzaro, che ha presentato le dimissioni per raggiunti limiti di età. 

“Più armi ci sono in giro, più morti vedremo. Ci sono Paesi che si arricchiscono con il commercio di armi, ma non si può costruire la propria fortuna a scapito della vita degli altri. Qui è in gioco la vita di decine di migliaia di persone”.

 

“La popolazione di Aleppo, la città - dichiara al Sir - è allo stremo, così come tutta la Siria”. 

“È difficile muoversi, spostarsi, comunicare, reperire cibo. Quasi impossibile arrivare ai cimiteri per seppellire i morti. La gente cerca di industriarsi come può per andare avanti, chi può parte per altre destinazioni. Una situazione che mina la speranza di molti, anche tra i nostri cristiani, che tuttavia non si arrendono e cercano di ricostruire relazioni e ponti di amicizia”. 

Per il nuovo amministratore apostolico, infatti, “una delle priorità per la Siria è la ricostruzione morale, la riconciliazione tra il popolo. Ricostruire coi mattoni è più semplice” afferma al Sir il francescano. “La popolazione, sia di fede islamica che cristiana, è messa a dura prova dalla violenza di tante bande fondamentaliste. Una sofferenza comune che - conclude l’amministratore apostolico - potrebbe unire anziché dividere. Preghiamo perché la speranza di pace non ci abbandoni mai”.

Da Gerusalemme un appello per i due Vescovi rapiti in Siria

Attualmente sono prigionieri dei ribelli fondamentalisti 2 Sacerdoti e 2 Vescovi di Aleppo




Comunicato stampa: Un appello dei Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme riguardante il rapimento dei due Vescovi Metropoliti avvenuto in Siria – Maggio 2013
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Noi, i Capi delle Chiese di Gerusalemme, abbiamo in preghiera seguito la violenza in corso, lo spargimento di sangue e il conflitto in Siria, iniziati nel marzo 2011. Tutti i giorni decine, o a volte centinaia di persone vengono uccise a causa del conflitto in corso, e migliaia sono rimaste senza case o ricoveri continuando a muoversi senza meta in cerca di sicurezza, cibo e cure.

Un paio di settimane fa, due dei nostri Vescovi Metropoliti di Aleppo, Mar Gregorios Ibrahim della Chiesa siro-ortodossa e Paolo Yazigi della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia, sono stati rapiti e il loro autista è stato assassinato mentre stavano consegnando aiuti umanitari ad alcune famiglie di sfollati nella regione. Questo orribile atto di rapire due anziani sacerdoti è un ulteriore segno della tragica situazione in Siria ed è un fenomeno estremamente pericoloso e nuovo nella nostra regione.

I nostri cuori e le nostre menti vanno a tutto il popolo siriano, in particolare alle nostre comunità cristiane e ai loro capi spirituali, che subiscono la sofferenza, la violenza e i maltrattamenti. E facciamo appello a tutte le persone che sono coinvolte nel conflitto affinché cerchino la pace e la stabilità per il bene di tutti i Siriani e pongano fine a questo ciclo di violenza e di spargimento di sangue. Sollecitiamo inoltre l’immediata liberazione dei Vescovi Ibrahim e Yazigi e il loro ritorno sicuro alle loro Chiese e al loro popolo fedele.

Uniamo anche le nostre voci a quelle delle nostre Chiese sorelle in Siria e chiediamo alle nostre antiche comunità cristiane di rimanere salde nella loro fede e nella speranza, preghiamo con loro e per loro, in questo momento di tumulto e caos, per la loro sicurezza, la continua presenza e testimonianza.
Come S. Paolo scrive ai Romani: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore”. (Romani 8,38-39)

I Capi delle Chiese di Gerusalemme:
+Patriarca Theophilos III, Patriarcato Greco-Ortodosso
+Patriarca Fouad Twal, Patriarcato Latino
+Patriarca Norhan Manougian, Patriarcato Armeno Apostolico Ortodosso
+P. Pierbattista Pizzaballa, ofm, Custode di Terra Santa
+Arcivescovo Anba Abraham, Patriarcato Copto-Ortodosso, Gerusalemme
+Arcivescovo Swerios Malki Murad, Patriarcato Siro-Ortodosso
+Aba Fissiha Tsion, Locum Tenens del Patriarcato Etiope-Ortodosso
+Arcivescovo Joseph-Jules Zerey, Patriarcato Greco-Melchita-Cattolico
+Arcivescovo Moussa El-Hage, Esarcato Patriarcale Maronita
+Vescovo Suheil Dawani, Chiesa Episcopale di Gerusalemme e del Medio Oriente
+Vescovo Munib Younan, Chiesa Evangelica Luterana in Giordania e Terra Santa
+Vescovo Pierre Melki, Esarcato Patriarcale Siro-Cattolico
+Mons. Joseph Antoine Kelekian, Esarcato Patriarcale Armeno-Cattolico

http://it.lpj.org/2013/05/13/un-appello-per-i-due-vescovi-rapiti-in-siria/

lunedì 13 maggio 2013

Il cuore spezzato esige riconciliazione

“La preghiera di un cuore spezzato”: il cuore spezzato è quello della Siria dilaniato da oltre due anni di guerra civile che ha provocato anche l’annientamento di una tradizione, lunga secoli, di convivenza e armonia tra le sue diverse fedi ed etnie.



 Parla Gregorios III Laham. Si spera in un vertice risolutivo tra Putin e Obama. Grande preoccupazione per i due vescovi rapiti


S.I.R. - 13 Maggio 2013


Più di una dozzina di differenti denominazioni cristiane in Siria hanno invitato le Chiese del mondo intero a mobilitarsi nella preghiera sabato 11 maggio. “La preghiera di un cuore spezzato” è stata battezzata l’iniziativa, che va considerata molto importante, perché la prima promossa da tutte le comunità cristiane del Paese. Quattro sono state le intenzioni di preghiera: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, aiuto e sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra, aiuti umanitari per i profughi siriani. Gregorios III Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, in Siria, ribadisce che “la pace in Libano, in Siria e in Terra Santa è un requisito per la pace regionale e mondiale, che realizza la convivenza e rende possibili le libertà che si propongono per l’umanità”.

“Percuotere il pastore e disperdere il gregge”. Alle sofferenze che la guerra civile infligge a tutto il popolo, per le comunità cristiane siriane si aggiunge anche la preoccupazione per la sorte di Mar Gregorios Yohannna Ibrahim e di Boulos al-Yazigi, i vescovi siro-ortodosso e greco ortodosso di Aleppo, finiti nelle mani di sequestratori non identificati, da molti giorni. Stessa sorte anche per due sacerdoti rapiti ormai da tre mesi e dei quali non si sa più nulla. “Ho fatto visita, nei giorni scorsi, al Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e a quello siro-ortodosso di Antiochia a cui appartengono i confratelli vescovi rapiti e purtroppo non c’è nessuna notizia - dichiara al Sir Gregorios III Laham - la stampa riporta notizie contrastanti sulla loro sorte, difficile dare il giusto valore a queste informazioni. Non dimentichiamo che ad essere stati rapiti sono anche tantissimi nostri fedeli”. “Quella dei rapimenti è una vera piaga della Siria di oggi che - per il patriarca cattolico - assume una valenza dal chiaro valore simbolico poiché si collega al possibile futuro della Siria senza cristiani. Rapire due vescovi, dei sacerdoti ha un significato religioso e richiama il passo delle Scritture: ‘Percuoti il pastore e sia disperso il gregge’. Il rischio che la Siria perda la sua componente cristiana esiste ma dobbiamo nutrire la speranza di ricostruire il nostro Paese su basi di tolleranza, convivenza, rispetto reciproco. Vogliamo dare da cristiani il nostro contributo alla rinascita religiosa, morale, sociale e materiale della Siria”.

Il popolo soffre. Intanto da Aleppo, Damasco e altre città del Paese arrivano notizie di gravi sofferenze del popolo, i cui bisogni crescono ogni giorno di più. “Le nostre comunità locali, come anche il resto della popolazione, vivono in grande difficoltà e necessitano di aiuto e assistenza in ogni forma - spiega Gregorios III -. La Caritas è attiva da tempo nel fornire aiuto ma ogni Patriarcato, ogni parrocchia, ogni sacerdote è mobilitato per venire incontro ai bisogni sempre crescenti della gente soprattutto dei bambini. Nel mio Patriarcato, per esempio, per poter provvedere alle necessità delle persone occorrono almeno 50mila dollari al mese. Le nostre attenzioni si rivolgono verso i bambini, che sono quelli che soffrono di più”.

Un cambio di visione? Sul futuro Gregorios III si mostra “speranzoso”: “Riponiamo molta fiducia nei colloqui tra il Segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. Se troveranno un accordo, una piattaforma condivisa sulla crisi siriana, allora un buon passo verso la fine del conflitto sarà stato fatto. La stampa qui in Siria ne parla molto. Auspichiamo un incontro entro la fine del mese così che a giugno si possa tenere un summit tra Putin e Obama. La via negoziale, pacifica, diplomatica, lo ribadisco, è quella da perseguire e non quella delle armi e della violenza. Speriamo che i due Paesi possano accordarsi su come uscire dalla crisi e non su come ‘armare’ o ‘non armare’. Sembra che adesso se ne stiano convincendo i leader mondiali. Come Chiese sosteniamo da sempre questa visione e le parole del Papa ci confortano”.

Riconciliazione. La parola chiave per il patriarca melkita è “riconciliazione”, “mussalaha”, che è il nome di un movimento popolare non-violento nato nella società civile di Homs, una città martire. Esso ha saputo unire dal basso alawiti, sunniti, drusi, cristiani, sciiti, arabi: una riconciliazione di famiglie, di clan, di diverse comunità siriane che non parteggia per nessuna delle parti in lotta e che dimostra che una “terza via”, alternativa al conflitto armato è possibile. Un movimento appoggiato anche da tante personalità estere, tra queste anche alcuni Nobel per la pace come l’irlandese Mairead Maguire (1976). “La riconciliazione è la risposta della Chiesa alla violenza che bande armate straniere stanno seminando nel nostro Paese. La riconciliazione e il dialogo eviteranno che l’odio entri in maniera definitiva nei cuori della gente”, conclude Gregorios III.

domenica 12 maggio 2013

Usa e Russia organizzano una conferenza di pace, la Chiesa orientale una giornata di preghiera

 Le bombe di Israele, la bomba della Dal Ponte, le speranze di pace ( se qualcuno non boicotterà ad ogni costo)




da "La Perfetta Letizia" - di Patrizio Ricci

Nella situazione in Siria non c’è nessuno veramente super-partes se non la Chiesa siriana, che da tempo preme per la riconciliazione. Con l’aiuto concreto alla popolazione e con l’iniziativa “Mussalaha” ha unito alawiti, sunniti, drusi, cristiani, sciiti, arabi: una riconciliazione dal basso a partire dalle famiglie, dai clan, dalle diverse comunità della società civile siriana che non parteggia per nessuna delle parti in lotta. Sarebbe stato facile capire che la via della riconciliazione era l’unica soluzione possibile. Solo ora, ad un passo dal baratro, a distanza di più di due anni dall’inizio del conflitto e con quasi 90.000 morti alle spalle, i grandi della terra sembra comincino a rendersene conto.

La settimana scorsa gli eventi sembravano ulteriormente precipitare. L’argomento delle famigerate ‘armi di distruzioni di massa’ sembrava dovesse portare ancora una volta ad un passo dall’intervento militare unilaterale, con tutte le sue catastrofiche conseguenze per la popolazione. “L'uso delle armi chimiche in Siria sono una linea rossa invalicabile: se sorpassata, il gioco potrebbe cambiare”, aveva detto Obama. Il presidente americano si era dimenticato che una linea può essere oltrepassata anche all’inverso; lo abbiamo visto di lì a poco: dalla TV svizzera il commissario ONU Carla Del Ponte (membro della Commissione sui crimini di guerra) a proposito dei gas proibiti aveva raccontato un’altra verità: “Ci sono concreti sospetti, se non ancora prove inconfutabili, che è stato usato del gas sarin, per come le vittime sono state curate”, ed ha aveva aggiunto: “Abbiamo potuto avere delle testimonianze sull’utilizzo di armi chimiche ed in particolare il gas nervino, ma non da parte delle autorità governative, bensì da parte degli opponenti, dei resistenti”. La precisazione dell’ONU non ha cambiato la sostanza, anzi ha aumentato l’impressione di un conflitto globale: “Le prove non sono definitive né dall’una né dall’altra parte”, peccato che avesse taciuto prima, quando l’indice era diretto verso i cattivi.

Comunque mentre teneva banco il solito balletto delle interpretazioni e dei distinguo, i jet israeliani bombardavano il monte Qassiyoun a est di Damasco. Obiettivo: i missili iraniani destinati a Hezbollah. Quindi si colpiva la Siria ma si mirava all’Iran. Anche per questo il commento USA al raid è stato assolutorio: “Israele ha agito nel proprio interesse sovrano”. L’ambiguità di questa dichiarazione è estrema: è proprio il diritto di usare le armi per salvaguardare il ’proprio interesse sovrano' che è causa del perdurare del conflitto. Ognuno ha armato i suoi nel proprio interesse. Se quest’idea fosse adottata su larga scala, non è difficile immaginare cosa succederebbe nel mondo.

E’ evidente che con tali prospettive c’erano ormai tutti i segnali visibili di un imminente allargamento del conflitto che avrebbe incendiato tutto il Medioriente. E’ con questa consapevolezza che a Mosca si è svolto il summit Usa-Russia fra il Presidente russo Vladimir Putin e il Segretario di Stato americano John Kerry. Al termine dell’incontro, le parole del ministro degli esteri russo Lavrov lasciano ben sperare: “Russia e Stati Uniti incoraggeranno il governo siriano e i gruppi d’opposizione a cercare una soluzione politica”. L’accordo è di organizzare al più presto una conferenza di pace, probabilmente a fine mese, “come seguito della Conferenza che si tenne a giugno dello scorso anno a Ginevra”.

Anche l’Europa plaude all’iniziativa, e il portavoce di Catherine Ashton ha così commentato: "L'Unione europea è molto soddisfatta. Abbiamo ripetuto all'infinito che la soluzione del conflitto viene solo con un accordo politico globale. Siamo pronti a dare il nostro contributo in qualsiasi forma e speriamo che la conferenza sia l'inizio di un processo di pace".

Sono quindi giorni decisivi per una cessazione della guerra in Siria. Per questo, rilanciamo con ancora più convinzione l'invito rivolto dalle Chiese Siriane (di tutte le confessioni) alle Chiese cristiane sorelle di tutto il mondo perché si uniscano al loro grido nella giornata di preghiera per la pace in Siria, sabato 11 maggio, che hanno chiamato "La preghiera di un cuore spezzato". Quattro le intenzioni suggerite: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, l’aiuto e il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi siriani.

http://www.laperfettaletizia.com/2013/05/le-bombe-di-israele-la-bomba-della-del.html

"Noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da Papa Francesco, dal Vaticano"


Proprio ieri si celebrava la Giornata mondiale di preghiera delle Chiese cristiane per la pace in Siria.

Un momento di forte unità di tutte le comunità cristiane presenti in questa terra, che si sono mobilitate insieme pregando secondo quattro intenzioni: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi.
La Giornata è stata battezzata “la preghiera del cuore spezzato”.
Salvatore Sabatino ne ha parlato con padre Ghassan Sahoui, gesuita libanese che vive a Homs, una delle città più colpite dalla guerra:RealAudioMP3

R. – In tutte le chiese si sono organizzate preghiere per far crescere la nostra consapevolezza di essere cristiani e per capire meglio la nostra vocazione in questa crisi, in questo dramma davvero brutale; sentiamo la nostra incapacità di risolvere i problemi e quindi non ci rimane altro che chiedere a Dio, che è nostro Creatore e che ci ha dato la pace, di darci questo dono: di cambiare i cuori.

D. – E’ la prima volta che tutte le comunità cristiane insieme prendono una tale iniziativa comune nel Paese: un segnale, questo, importantissimo di unità …
R. – Un passo che dà la gioia di vedere finalmente che noi cristiani siamo uniti nella preghiera, che è un dovere e una grazia allo stesso tempo, chiedere a nome nostro e a nome di tutti i siriani, certamente uniti con tutti i cristiani del mondo e tutti quelli che davvero amano la Siria, per pregare e chiedere a Dio la misericordia e la pace per questo Paese martoriato.

D. – Il Patriarca Gregorios III Laham ieri ha detto: “I cristiani in Siria non sono una Chiesa o una minoranza da difendere, ma un elemento costitutivo del popolo siriano”. Quindi, proprio all’interno del tessuto di questo Paese …
R. – La Chiesa è davvero nata a Gerusalemme, ma poco a poco e subito si è diffusa in tutta la regione, e i cristiani sono stati chiamati come tali ad Antiochia e Antiochia faceva parte della Siria, ora fa parte della Turchia … Siamo qui, quindi, fin dall’inizio della cristianità e questa è la nostra terra. Siamo radicati in questa terra, e sentiamo anche che è la nostra missione fare da ponte tra le fazioni in guerra che purtroppo non riescono a mettersi d’accordo o dialogare. E solo Dio può dare questa grazia: cambiare i cuori e le menti, per trovare finalmente una soluzione pacifica in dialogo, senza armi, senza questa logica della violenza che distrugge non solo il Paese, ma l’uomo come tale.

D. – Una sua personale speranza, per il futuro della Siria...
R. – Malgrado tutto, noi speriamo – io spero, in modo davvero personale – che questa crisi finisca, che la pace ritorni nei cuori di tutti i cittadini siriani, ma che si instauri un dialogo davvero fruttuoso e sincero tra le parti, e che la Siria torni a trovare la sua vocazione di un ponte di pace, di elemento di stabilità nella regione e nel mondo.

D. – In questa speranza siete supportati da Papa Francesco che molte volte ha lanciato appelli per la pace in Siria …
R. – Sì, grazie a Dio, sentiamo la sua vicinanza a noi, davvero. E rendiamo grazie a Dio per lui e per la sua preghiera; sappiamo che è un uomo delle sorprese, ci fa sempre belle sorprese. E quindi, noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da lui, dal Vaticano.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/05/12/la_turchia_accusa_il_regime_siriano_per_gli_attentati_a_reyhanli/it1-691326
del sito Radio Vaticana, 12/05/2013

sabato 11 maggio 2013

Preghiamo per il rilascio dei prelati rapiti e per la riconciliazione della Siria!

Padre Mtanious Hadad, delegato patriarcale della comunità greco-melchita di Roma: senza cristiani non ci sarà pace né in Siria né in Medio Oriente. Nella basilica di Santa Maria in Cosmedin, la messa per pregare per il rilascio di mons. Yohanna Ibraim e mons. Paul Yazigi e per tutte le persone sequestrate in Siria in questi mesi. 



da Asianews 09/05/2013
 di Simone Cantarini 
 "Seguendo l'esempio di mons. Yohanna Ibrahim e mons. Paul Yazigi e degli altri sacerdoti sequestrati i cristiani di Siria desiderano continuare il dialogo quotidiano con i musulmani, vivere con loro, non emigrare per colpa della guerra e del dilagare dell'estremismo islamico". È quanto afferma  ad AsiaNews p. Mtanious Hadad B.S., apocrisario patriarcale di Gregorio III Laham, patriarca della Chiesa greco cattolico melchita. Secondo il sacerdote "i cristiani di Siria non sono una Chiesa, o una minoranza da difendere, essi sono un elemento costitutivo del popolo siriano, non hanno bisogno della protezione degli Stati Uniti o dell'Europa".

Per domani sera la comunità greco-melchita di Roma ha organizzato una messa solenne per il rilascio di mons. Yohanna Ibrahim e mons. Paul Yazigi, i due vescovi ortodossi rapiti lo scorso 22 aprile. Le celebrazioni si terranno alle 19,00 nella basilica di Santa Maria in Cosmedin. Insieme a p. Hadad saranno presenti anche mons. Ilarion Capucci, vescovo emerito di Gerusalemme per i melchiti e mons. Matteo Maria Zuppi, vescovo ausiliare di Roma per il centro storico. Durante la messa saranno letti alcuni passi delle prediche dei due vescovi ortodossi e un messaggio per la pace del patriarca Gregorio III.
Il sacerdote spiega che la celebrazione eucaristica serve non solo per pregare "per i vescovi ancora nelle mani dei rapitori, come altre centinaia di persone, ma anche per porre l'attenzione sulla tragedia del conflitto siriano ormai del tutto fuori controllo".
"Noi - afferma - abbiamo organizzato questa iniziativa per richiamare la comunità internazionale e riflettere sugli effetti del conflitto siriano iniziato con la teoria della Primavera araba, ma che ora ha condotto migliaia di combattenti stranieri ad entrare nel nostro Paese e compiere atti indiscriminati che nulla hanno a che fare con la nostra cultura. Quello che i siriani si chiedono è 'dove stiamo andando?'".

Secondo il sacerdote, mons. Yohanna Ibrahim, della Chiesa siro-ortodossa, e mons. Paul Yazigi, vescovo greco-ortodosso, così come gli altri prelati rimasti in Siria nonostante il rischio di violenze e sequestri sono una testimonianza del valore della presenza cristiana nel Paese.
Per p. Hadad, il presunto coinvolgimento di jihadisti ceceni nel rapimento dei prelati è l'ennesima conferma dell'assurdità di questo conflitto: "Mons. Johanna e mons. Yazigi erano impegnati nel dialogo interreligioso ed avevano rapporti quotidiani con le autorità musulmane. Il loro sequestro è un colpo per far paura ai cristiani, e a coloro che si rifiutano di coinvolgersi in questa guerra. Sunniti, sciiti, cristiani e drusi hanno sempre vissuto insieme. Questa convivenza dura da 13 secoli. Nel nostro Paese sono sorte le prime comunità cristiane ed è proprio questa comune appartenenza che vogliamo difendere". 
L'archimandrita pone l'accento sul grande interesse di papa Francesco per le Chiese orientali: "I cristiani di Siria, sentono la sua vicinanza, in diverse occasioni  egli ha ricordato che prega per il nostro Paese e la sua popolazione. Ciò aiuta tutta la nostra comunità e i nostri vescovi a restare e spinge molti sacerdoti emigrati in passato all'estero a tornare nelle loro diocesi di origine". 

"Senza cristiani - conclude - il Medio Oriente verrà distrutto. Noi siamo il ponte che unisce l'Occidente con la cultura araba e la religione musulmana".

 http://www.asianews.it/notizie-it/Sacerdote-siriano:-Preghiamo-per-il-rilascio-dei-prelati-rapiti-e-per-la-riconciliazione-della-Siria-27876.html



Oh amata, bellissima Patria Siria, che abbia fine questo strazio!

giovedì 9 maggio 2013

GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LA PACE IN SIRIA : SABATO 11 MAGGIO 2013

Mobilitazione delle Chiese del mondo intero per la giornata di implorazione del dono della Pace : 
che Dio abbia misericordia della Siria e la violenza abbia fine!



Su domanda delle Chiese siriane, più di una dozzina di chiese di differenti denominazioni in Siria chiamano le Chiese del mondo intero  a mobilitarsi nella preghiera sabato 11 maggio 2013. 
Questa giornata di preghiera è stata battezzata “la preghiera di un cuore spezzato”

I cristiani siriani ci scrivono: “Sabato 11 maggio 2013 i cristiani di tutte le denominazioni si troveranno nella preghiera per supplicare Dio di accordare la sua misericordia alla  Siria e di metter fine alla violenza. E’ troppo rischioso spostarsi nelle zone di combattimento. Dovremo limitarci a delle riunioni locali attraverso tutto il Paese, nelle case, nei luoghi di incontro e nelle chiese. Tutte le confessioni  saranno rappresentate."
E' la prima volta che tutte le comunità cristiane insieme prendono una tale iniziativa comune nel Paese . 

 In questo giorno le comunità ecclesiali  pregano con quattro intenzioni: .
il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi ,  aiuto e sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra,  aiuti umanitari per i profughi siriani.

Il Patriarca Gregorios III Laham ha fatto appello per "la partecipazione alla preghiera di Sabato, 11 maggio, per pregare per la pace in Siria. Perché la pace in Libano, nella Siria e nella Terra Santa è un requisito per la pace regionale e mondiale, che realizza la convivenza e la possibilità di vivere insieme, e di tutte le libertà che si propongono per l'umanità."


A la demande des églises syriennes, plus d’une dizaine d’églises de différentes dénominations en Syrie appellent les églises du monde entier à se mobiliser dans la prière le samedi 11 mai 2013. Cette journée de prière a été baptisée « La prière d’un cœur brisé ».
Les chrétiens syriens nous écrivent : « Samedi 11 mai 2013, les chrétiens de toutes les dénominations se retrouveront dans la prière, pour supplier Dieu d’accorder sa miséricorde à la Syrie et de mettre fin à la violence. Il est trop risqué de se déplacer dans les zones de combat. Nous devrons nous limiter à des réunions locales à travers tout le pays, dans les maisons, dans des lieux de rencontre et dans les églises. Toutes les dénominations seront représentées. »

MAI PIU' LA GUERRA!


PREGHIERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AL MURO OCCIDENTALE DI GERUSALEMME
(Martedì, 12 maggio 2009)


 Dio di tutti i tempi,
in occasione della mia visita a Gerusalemme,
la “Città della Pace”,
patria spirituale di Ebrei, Cristiani e Musulmani,
porto al tuo cospetto le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le prove, la sofferenza e il dolore
di tutto il tuo popolo in ogni parte del mondo.

Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, di chi ha paura,
di chi è privo di speranza;
manda la tua pace in questa Terra Santa,
nel Medio Oriente,
in tutta la famiglia umana;
muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome,
perché percorrano umilmente
il cammino della giustizia e della compassione.
“Buono è il Signore con chi spera in Lui,
con colui che lo cerca!”  (Lam , 3,25).


 PREGHIERA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II  PER LA PACE  
 (Aula della Benedizione - Sabato, 2 febbraio 1991)

 Preghiera per la pace

Dio dei nostri Padri,
grande e misericordioso,
Signore della pace e della vita,
Padre di tutti.
Tu hai progetti di pace e non di afflizione,
condanni le guerre
e abbatti l’orgoglio dei violenti.
Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù
ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani,
a riunire gli uomini di ogni razza e di ogni stirpe
in una sola famiglia.
Ascolta il grido unanime dei tuoi figli,
supplica accorata di tutta l’umanità:
mai più la guerra, avventura senza ritorno,
mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza;
fai cessare questa guerra in Siria
minaccia per le tue creature, in cielo, in terra ed in mare.

In comunione con Maria, la Madre di Gesù,
ancora ti supplichiamo:
parla ai cuori dei responsabili delle sorti dei popoli,
ferma la logica della ritorsione e della vendetta,
suggerisci con il tuo Spirito soluzioni nuove,
gesti generosi ed onorevoli, spazi di dialogo e di paziente attesa
più fecondi delle affrettate scadenze della guerra.
Concedi al nostro tempo giorni di pace.
Mai più la guerra.
Amen.

“Apri il cuore degli uomini al dialogo”
Signore,
sorgente della giustizia
e principio della concordia,
tu, nell’annuncio dell’Angelo a Maria
hai recato agli uomini
la buona notizia
della riconciliazione
tra il Cielo e la terra:
apri il cuore degli uomini al dialogo
e sostieni l’impegno
degli operatori di pace,
perché sul ricorso alle armi
prevalga il negoziato,
sull’incomprensione l’intesa,
sull’offesa il perdono, sull’odio l’amore.

“Ascolta la supplica che la Chiesa ti rivolge”
Dio dei nostri Padri,
Padre di tutti,
che nel tuo Figlio Gesù, principe della pace,
doni la vera pace ai vicini e ai lontani,
ascolta la supplica che la Chiesa ti rivolge
in comunione con la Madre del tuo Figlio:
assisti i soldati di ogni fronte
che, costretti da dolorose decisioni,
si combattono a vicenda nella guerra in Siria;
liberali da sentimenti di odio e di vendetta,
fa’ che serbino sempre nel cuore
il desiderio della pace,
perché di fronte agli orrori della guerra
il turbamento non diventi per loro
depressione e disperazione.

“Accogli gli uomini che la violenza delle armi ha consegnato alla tua misericordia”.
Padre,
il tuo Figlio, il Santo, l’Innocente,
è morto sulla croce,
vittima del peccato dell’uomo.
È morto
irrorando di sangue la terra
e seminando nel cuore dell’uomo
parole di perdono e di pace.
Ascolta, Padre,
il grido del sangue innocente
versato sui campi di battaglia,
e accogli nella tua dimora di luce,
per la materna intercessione
della Madre del dolore,
gli uomini che la violenza delle armi,
strappandoli dalla vita,
ha consegnato
nelle mani della tua misericordia.

“Conserva le creature del cielo, della terra e del mare minacciate da distruzioni tra inaudite sofferenze”.
Padre che ami la vita,
nella risurrezione del tuo Figlio Gesù
hai rinnovato l’uomo
e l’intera creazione
e hai voluto arrecare loro
come primo dono la tua pace:
guarda con compassione
l’umanità lacerata dalla guerra;
conserva le creature
del cielo, della terra e del mare,
opera delle tue mani,
minacciate da distruzioni
tra inaudite sofferenze,
e fa’ che,
per intercessione di Santa Maria,
solo la pace guidi le sorti
dei popoli e delle nazioni.

“Giunga presto a tutti i confini l’atteso annuncio: è finita la guerra!”.
In quest’ora
di inaudita violenza
e di inutili stragi,
accogli, Padre,
l’implorazione che sale a te
da tutta la Chiesa,
orante con Maria, Regina della pace:
effondi sui governanti
di tutte le nazioni
lo Spirito dell’unità e della concordia,
dell’amore e della pace,
perché giunga presto
a tutti i confini
l’atteso annuncio:
è finita la guerra!
E, ridotto al silenzio il fragore delle armi,
risuonino in tutta la terra
canti di fraternità e di pace.

mercoledì 8 maggio 2013

Dall'Europa, e anche dall'Italia, giovani combattenti tra gli insorti siriani


da Terrasanta.net

di Carlo Giorgi | 1 maggio 2013


 Tra gli stranieri che combattono in Siria al fianco dei ribelli, cresce il numero dei giovani europei convertiti all’Islam o degli immigrati residenti da anni nei Paesi europei.
 Un fenomeno che riguarda, pur marginalmente, anche l’Italia.

Secondo uno studio pubblicato dal Centro internazionale di studi sul fondamentalismo, istituzione costituita da università di molti Paesi (Israele, Pakistan e Giordania compresi), i giovani europei partiti dal 2011 per combattere in Siria potrebbero essere tra i 140 e i 600, ovvero tra il 7 e l’11 per cento del totale dei combattenti stranieri. Olanda, Belgio, Inghilterra e Francia i Paesi da cui parte il maggior numero di ragazzi.
Gilles de Kerchove, responsabile dell’antiterrorismo per l’Unione Europea, ha recentemente confermato alla Bbc che il numero potrebbe aggirarsi intorno ai 500. «Chi parte non sempre è un fondamentalista – spiega de Kerchove -. Molti lo diventano a causa della formazione che ricevono in loco. E questa loro trasformazione potrebbe crearci seri problemi quando torneranno in Europa».
Un reportage dell’Associated Press, ripreso ieri anche dal giornale degli Emirati Al Arabiya, racconta delle preoccupazioni di alcuni sindaci del Belgio testimoni della partenza di giovani concittadini per la guerra in Siria. Secondo Ap, alcuni giorni fa diverse abitazioni di Mechelen (o Malines), città di 80 mila abitanti e un’alta percentuale di immigrati musulmani, sono state perquisite dalla polizia, assieme a dozzine di altre case in tutto il Belgio, nel tentativo di «prevenire» l’arruolamento dei giovani tra i ribelli siriani. L’operazione è terminata con sei arresti.
Nel quartiere di Schaarbeek, a Bruxelles, il sindaco ha impedito una distribuzione di cibo per i poveri da parte di un ente benefico musulmano, per timore che potesse trattarsi di un’occasione di «reclutamento» dei giovani. Il divieto è stato imposto dal sindaco come conseguenza della sparizione di due studenti musulmani, probabilmente partiti per la Siria, studenti che avevano contatti con l’ente benefico in questione. Mohammed El Tamamy, sceicco della moschea di Bruxelles, nella preghiera del venerdì cerca di scoraggiare i giovani a partire: «Alcuni di loro pensano che partire dal Belgio e dell’Olanda per la Siria sia un modo per realizzare il jihad – ha spiegato el Tamamy -. Ma non è così: il jihad (inteso come guerra santa), nell’Islam, ha regole e condizioni. Per farlo devi venire autorizzato dalle autorità».

Il fenomeno delle partenze per la Siria riguarda marginalmente anche l’Italia. Fonti della comunità musulmana presente nella Penisola affermano che diversi giovani immigrati, di origine siriana o provenienti da altri Paesi arabi, hanno abbandonato gli studi o il lavoro per andare a combattere. «Conosco personalmente un siriano che dall’Italia è tornato in patria – racconta una nostra fonte –. Ne seguo le vicende perché posta le sue foto da combattente sulla sua pagina Facebook. Lui è potuto rimanere a combattere là perché è siriano; ma, da quel che ne so, diversi altri giovani non siriani, partiti dall’Italia con il desiderio di combattere, vengono rimandati a casa: o sei un soldato, o laggiù sei inutile. Anzi sei d’impaccio agli altri…».
«Non ho mai sentito di musulmani che dall’Italia siano tornati in Siria a combattere – racconta Asfa Mahmoud, direttore del centro islamico di via Padova, a Milano -. La comunità siriana di Milano è molto prudente. Si rende conto che anche l’opposizione, divisa com’è oggi, se prendesse il potere difficilmente riuscirebbe a governare. Per questo, credo, i siriani di Milano tendono a non farsi coinvolgere; al punto che, pur essendoci diversi medici tra loro, nessuno ha pensato di andare ad aiutare nei campi profughi in Turchia o Giordania».
Tra i musulmani d’Italia che partono per la Siria, ma in un modo pacifico ci sono, invece, i volontari dell’Islamic Relief, ong musulmana che porta aiuto nei campi profughi sul confine e all’interno del Paese.

martedì 7 maggio 2013

La Pasqua nel pianto dei nostri fratelli ortodossi e gli sforzi per liberare i due Vescovi di Aleppo rapiti

"Hanno cantato 'Cristo è risorto', e mentre ripetevano quelle parole di giubilo e vittoria, avevano tutti le lacrime agli occhi. Tutte le loro preghiere si confondevano con il loro pianto”. 


 Agenzia Fides - 6/5/2013

Con quest'immagine il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo sintetizza all'Agenzia Fides la Pasqua appena celebrata anche in Siria dalle comunità cristiane orientali che seguono il calendario giuliano. Alle sofferenze che la guerra civile infligge a tutto il popolo, per le comunità cristiane aleppine si aggiunge anche l'apprensione per i pastori finiti nelle mani di sequestratori non identificati. Due sacerdoti sono stati rapiti ormai da tre mesi, e sono trascorse due settimane del sequestro di Mar Gregorios Yohannna Ibrahim e di Boulos al-Yazigi, i vescovi siro-ortodosso e greco ortodosso di Aleppo. “Tutta la gente” riferisce a Fides mons. Audo “continua a parlare di loro. Tutti si domandano cosa ne sarà dei vescovi, dei sacerdoti e di se stessi. Il tempo che passa non è buon segno”.

La lotta quotidiana per la sopravvivenza impedisce anche di avere una chiara percezione d'insieme riguardo all'andamento del conflitto, alle conseguenze dei raid aerei israeliani e ai pericoli di contagio su scala regionale. “Siamo spesso senza elettricità, manca l'acqua, è difficile vedere la televisione o trovare il tempo per informarsi. Come presidente della Caritas passo tutto il tempo a ricevere persone in cerca di aiuto. E ho dovuto cancellare anche ogni spostamento fuori da Aleppo, perchè ogni movimento è diventato pericoloso”.
http://www.fides.org/it/news/41461-ASIA_SIRIA_Il_vescovo_Audo_la_Pasqua_nel_pianto_dei_nostri_fratelli_ortodossi#.UYi1X21H45s


 Sforzo internazionale per il rilascio dei Vescovi rapiti, ma attenzione ai falsi mediatori

Agenzia Fides 7/5/2013  

E’ in corso un grande sforzo internazionale ed ecumenico per cercare di salvare la vita e liberare i due Vescovi di Aleppo rapiti in Siria due settimane fa, il siro-ortodosso Gregorios Yohannna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi. 
Lo conferma all’Agenzia Fides il Vescovo metropolita Timoteo Matta Fadil Alkhouri, Assistente Patriarcale nel Patriarcato Siro-Ortodosso di Antiochia, confratello del Vescovo Gregorio Yohanna Ibrahim. “Siamo in trepida attesa – racconta il Vescovo a Fides – non sappiamo dove siano i Vescovi e con chi. Aspettiamo e preghiamo. Speriamo siano ancora vivi. Abbiamo appena celebrato la Pasqua, la Resurrezione di Cristo. Abbiamo affidato la vita dei Vescovi al Cristo Risorto”. 

Intanto si percorrono tutti i sentieri possibili per cercare un canale con i rapitori: “Continuiamo a connetterci con altre persone, leader religiosi e politici, a tutti i livelli. I nostri vescovi in Turchia, in Siria, in Libano hanno attivato i loro canali. Alcuni hanno contatti con l’Esercito Libero Siriano. Chiediamo a ogni uomo e a ogni gruppo, bussiamo alla porta di ogni governo. Abbiamo interpellato Vescovi di altre Chiese, nazioni e confessioni. Il Patriarcato greco-ortodosso in Libano, ad esempio, ha buoni contatti in Russia. Abbiamo inviato messaggi al Papa ma anche alla Chiesa Anglicana. I nostri Vescovi negli Stati Uniti sono in contatto con le autorità civili americane. C’è uno sforzo internazionale. Chiunque può cerca di dare il suo contributo”.

In questi tentativi a tutto tondo, “vi sono alcuni leader musulmani che sono sinceri e stanno cercando di aiutarci, che amano la pace e amano i cristiani”. Vi sono però “anche loschi personaggi che cercano di sfruttare il momento per ottenere denaro, presentandosi come mediatori”, nota il Vescovo. La galassia dei falsi intermediari, di chi cerca di speculare sulla tragica sorte dei Vescovi, è, dunque, un'altra delle insidie che si presentano in queste ore.
In particolare il Vescovo dice: “Siamo molto felici di aver ricevuto il sostegno e la preghiera del Santo Padre, Francesco. Sappiamo che il Papa prega per i nostri Vescovi e per la Siria, ha la Siria nel suo cuore. Gli chiediamo di continuare a pregare per noi”. Restano ancora sotto sequestro anche i due sacerdoti Michel Kayyal (armeno cattolico) e Maher Mahfouz (greco ortodosso) rapiti da un gruppo di ribelli armati il 9 febbraio: “Non ne abbiamo notizie e siamo preoccupati anche per loro”, conclude il Vescovo.

Durante la Santa Messa di Pasqua ortodossa, celebrata due giorni fa, anche il Patriarca Greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, Yuhanna X Yazigi, ha nuovamente espresso il desiderio che i due arcivescovi rapiti in Siria siano liberati, rilanciando un accorato appello alla comunità internazionale: “Mi auguro che i due tornino fra noi sani e salvi: aiutateci”.

lunedì 6 maggio 2013

La crisi siriana e le prossime scelte del Governo italiano

Lettera aperta a Mario Mauro , ministro della Difesa


di Rodolfo Casadei
da Tempi , 29 aprile 2013



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La seconda metà dell’anno che ci aspetta non sarà segnata soltanto dalle difficoltà legate al debito sovrano dei paesi dell’Europa meridionale, non ci sarà solo il problema del rinnovo delle sottoscrizioni dei titoli di Stato e dello spread rispetto ai titoli tedeschi. Rischiamo di trovarci, da qui a non molto, coinvolti in un’altra guerra sulla sponda sud del Mediterraneo, più sanguinosa di quella in cui fummo coinvolti due anni fa in Libia e dai prevedibili esiti più infausti e destabilizzanti di quelli che l’intervento Nato contro Gheddafi ha determinato.

Alla fine di maggio scade l’embargo della Ue sulle vendite di armi alla Siria e sugli acquisti di idrocarburi dal medesimo paese, ed è certo che non verranno rinnovati perché alcuni paesi – primo fra tutti il Regno Unito – hanno già fatto sapere che intendono schierarsi decisamente dalla parte della ribellione al governo di Bashir el Assad anche con forniture di armi.
I report sull’utilizzo di armi chimiche da parte dei governativi si moltiplicano, e anche se le evidenze non sono conclusive, ovvero si tratta di utilizzi sporadici e alcuni dei quali riferibili ai ribelli che si sono impadroniti di depositi delle forze armate, il fatto vero o presunto potrebbe diventare il casus belli per un intervento almeno pari a quello in Libia: cioè la creazione di una no-fly zone e attacchi aerei alle infrastrutture militari dell’esercito siriano. ( NdR: qui le ultime info sull'inchiesta di Carla Del Ponte "Gas sarin in mano ai ribelli")
Dove condurrebbe un’opzione del genere, abbiamo negli ultimi due mesi cercato a più riprese di illustrarlo: è impossibile risolvere la crisi siriana per via militare, perché chiunque riuscisse a prevalere sul campo di battaglia si troverebbe poi ad avere a che fare con un paese distrutto e diviso, che non potrebbe veramente controllare o che controllerebbe solo dopo avere sterminato o messo in fuga interi gruppi di popolazione. All’eventuale caduta di Assad e del regime instaurato quarant’anni fa da suo padre in Siria non seguirebbe l’avvento della democrazia, ma una via di mezzo fra l’anarchia degli “Stati falliti” e la teocrazia dei talebani.
Nelle file dell’opposizione i democratici sono una minoranza, e nelle file dei combattenti i jihadisti e gli islamici radicali sono la maggioranza assoluta, come si poteva leggere anche sul New York Times del 27 aprile.
Del resto, gli sponsor regionali della ribellione siriana si chiamano Arabia Saudita, Qatar e Turchia: le prime due sono rette da regimi dinastici lontanissimi da qualunque sistema democratico, mentre la Turchia è una democrazia che rispetta molto scarsamente i diritti delle minoranze etniche e religiose. Chiedere informazioni a curdi, aleviti e cristiani sparsi fra Istanbul, Antiochia e Diyarbakir per ulteriori dettagli. Che i protetti siriani di questi paesi siano in grado di garantire democrazia e rispetto delle minoranze in un paese mosaico come la Siria una volta andati al potere, non è meno incredibile di quello che raccontavano i neo-conservatori Usa a proposito della democratizzazione del Medio Oriente perseguita manu militari. In paesi privi di tradizione politica democratica (per le ragioni strutturali che un Tocqueville o un Marx o un Weber saprebbero spiegare agilmente) e compositi dal punto di vista etnico e religioso, la democrazia politica diventa un puro esercizio aritmetico, come si vede nell’insanguinato Iraq: un anno e mezzo dopo il ritiro delle ultime truppe americane, il paese è tormentato dalle lotte fra sunniti, sciiti e curdi, che riversano i loro voti su partiti settari. Nella migliore delle ipotesi possibili, la Siria liberata del regime degli Assad si trasformerebbe in una sorella gemella dell’Iraq, con la principale differenza di avere come primo ministro un sunnita anziché uno sciita, come accade a Baghdad con Nuri al- Maliki.

Di fronte al rischio di coinvolgimento del nostro paese in un’avventura più fatale di quella libica, non mi sento rassicurato dal nuovo allineamento ministeriale. Temo che Roma torni ad ospitare conferenze degli “amici della Siria” tanto equivoche nella composizione quanto ipocrite nella valutazione della situazione dei diritti umani e delle violazioni degli stessi compiute dalla parti in lotta.
Non voglio pronunciare giudizi a priori su nessuno, ma non vedo nel governo attuale la volontà di differenziare sensibilmente la linea politica dell’Italia di fronte alle convulsioni del mondo arabo rispetto all’appiattimento del governo Monti sulle posizioni di Regno Unito e Francia (appena un po’ ammorbidite recentemente nel caso di Parigi). Mentre gli americani esitano di fronte alla prospettiva di intervenire militarmente a fianco dei ribelli di Damasco, consapevoli dei rischi di un’escalation, Londra, Parigi e Roma continuano a credere che si debba puntare sulla Coalizione nazionale siriana benché si tratti di un paravento che occulta l’ascesa di jihadisti e islamici radicali.


  A Mario Mauro ministro della Difesa ed ex vicepresidente del Parlamento europeo che ben conosce l’altra sponda del Mediterraneo, i problemi delle sue minoranze etniche e religiose per averle toccate con mano rischiando anche di persona, la realtà complessa di situazioni che non possono essere lette con lenti eurocentriche, chiedo di far valere le ragioni del realismo e del buonsenso quando il governo si troverà a dover rispondere alle richieste degli altri partner europei in relazione al dossier siriano e alle altre delicate situazioni che si sono create all’indomani delle cosiddette “primavere arabe”.

I cristiani stanno in politica esattamente per questo: per servire il bene comune sulla base della retta ragione e del senso di realtà. E per convincere, attraverso la loro decisa testimonianza, anche chi cristiano non è, a seguirli.

http://www.tempi.it/blog/lettera-aperta-a-mario-mauro-ministro-della-difesa-dovra-darsi-da-fare-in-siria-e-nel-mediterraneo#.UYJvQG1H45s