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mercoledì 20 marzo 2013

A dieci anni dall'intervento degli americani per rovesciare il regime di Saddam Hussein


Il Patriarca caldeo, mons. Sako, a 10 anni da "Iraqi Freedom": la guerra fu un "male"

Le riforme non si fanno con le armi, ma con il dialogo ....


dal sito Radio Vaticana 


In Iraq non si celebra, non si ricorda quel 20 marzo del 2003 quando scattò l’operazione militare a guida statunitense. Perché le stragi in quel Paese non sono ancora un ricordo. Sebbene la violenza sia diminuita rispetto al periodo peggiore, tra il 2006 e il 2008, gli attentati continuano e l’insicurezza nel Paese è totale. 

L’intervento straniero fu stabilito per liberare gli iracheni dall’oppressione di Saddam Hussein, e per mettere in sicurezza il mondo minacciato dalle armi di distruzione di massa, mai trovate. Oggi, oltre 112 mila morti civili dopo, a quella guerra si dà un altro nome, quello dell’interesse economico legato al petrolio. Negli Stati Uniti, i sondaggi dimostrano che per oltre la metà degli statunitensi quella guerra fu “un’idiozia”, non fu una “guerra moralmente giustificata” e in molti pensano di essere stati ingannati dall’ex presidente del tempo, George W. Bush. 

D.- Cos’è l’Iraq di oggi? Mons. Louis Sako è il neo Patriarca di Babilonia dei Caldei, arrivato a Baghdad da Kirkuk dove era arcivescovo:
R. – C’è libertà ma non c’è sicurezza, dunque manca l’essenziale. Ci vuole tempo.

D. - Però, in attesa ci sono tante persone che continuano a morire. Come si fa a fermare questa violenza?

R. – Io penso che abbiamo bisogno di un dialogo coraggioso, sincero, fra gruppi politici. Nel governo ci deve essere armonia e buona intesa.

D. – Quindi, se lei dovesse pensare all’eredità lasciata dall’intervento degli americani di dieci anni fa, lei che cosa potrebbe dire? Doveva accadere?

R. – No, no. La guerra è sempre male e noi abbiamo un’esperienza molto brutta con le guerre: sempre ci sono state guerre in Iraq. Non sono venuti per realizzare la democrazia, per imporre la democrazia, perché è un qualcosa che non può essere imposta dall’alto, con un decreto. Bisogna formare la gente! Non sono venuti per salvare gli iracheni dalla dittatura. Come sta accadendo anche adesso nella primavera araba: loro predicano la democrazia, ma vendono armi o danno armi a tutti, anche l’America. Hanno cambiato l’Egitto e ora è la volta della Siria, dove c’è una guerra quasi civile. Le riforme non si fanno con le armi, ma con il dialogo. Se volevano cambiare le cose in Iraq, potevano farlo in altro modo, senza la guerra.

D. – Lei di che cosa ha paura? Che cosa teme in questo momento per il suo Paese?

R. – Ho paura di due cose: anzitutto che il Paese venga diviso, ma ho anche paura che non ci sia libertà, non ci sia sicurezza. La gente ha perso la fiducia nel futuro e nei responsabili. Se questo continuerà, i cristiani andranno via. La comunità internazionale ha una responsabilità molto grande nei confronti di tutti questi Paesi: prima c’è bisogno di capirne la mentalità, la cultura e anche la religione, e soprattutto cosa pensa la gente. 

D. – E’ vicina la Pasqua e quest’anno lei la trascorrerà a Baghdad: in che modo?

R. – Sarò a Baghdad e per me sarà una nuova esperienza. La gente a Baghdad ha più paura rispetto ai fedeli che vivono in Kirkuk o anche in Kurdistan. Sarò molto vicino a loro. Presenterò anche una iniziativa per la riconciliazione nel governo iracheno: bisogna che il governo sia riconciliato, che vi sia armonia. Questo avrà un impatto sulla gente, perché quando la gente ha fiducia in loro, quando loro servono la causa della gente, quindi della pace e della sicurezza, tutti possiamo guadagnarci. Dunque, incoraggerò i cristiani a rimanere e anche a contribuire allo sviluppo del Paese, partecipando alla vita politica, entrando nei partiti politici. Adesso l’ambiente è più adatto e aiuta di più.

L’Iraq è un Paese economicamente in gravi difficoltà, nonostante l’impennata del prezzo del petrolio e nonostante abbia scalzato l’Iran al numero due della classifica dell’Opec, l’Organizzazione dei Paesi produttori di Petrolio. Il tasso di disoccupazione è molto alto, soprattutto nel sud del Paese, i redditi delle famiglie sono depressi. La corruzione dilaga al pari della violenza e delle violazioni dei diritti umani. Il parere di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad:

R. – Noi non vogliamo ricordare, noi aspettavamo altre cose. Il popolo iracheno aspettava la liberazione vera dalla dittatura. Invece, abbiamo sperimentato tante altre cose e non buone. L’amarezza delle autobombe, ieri, erano più di dieci. L’amarezza dei kamikaze, l’amarezza nel vedere le mine disseminate in terra, che ammazzano innocenti. Noi volevamo avere la libertà, ma a questa libertà non si è stati educati, è stata imposta, ma è impossibile obbligare chiunque ad essere libero. Prima è necessario educarlo. Noi abbiamo pregato tanto e preghiamo ancora per avere la vera libertà, la vera democrazia. Perciò, vogliamo chiedere a tutto il mondo di non vendere le armi a nessuno, le armi producono orfani e vedove. Quindi noi preghiamo per avere la vera libertà, quella che ci ha dato Cristo morendo per noi. Perché la libertà che c’è ora uccide. E’ una libertà interessata, perché l’occupazione dell’Iraq è avvenuta per interessi grandi, interessi del petrolio. Noi vogliamo la vera democrazia, la vera libertà. Chiedo che questa Pasqua sia una Pasqua di pace, veramente una resurrezione della vera vita spirituale, affinché tutti si avvicinino a Dio per il bene dell’uomo.

http://it.radiovaticana.va/news/2013/03/20/il_patriarca_caldeo,_mons._sako,_a_10_anni_da_iraqi_freedom:_l/it1-675234

martedì 19 marzo 2013

UE a sostegno della fornitura diretta di armi all’opposizione siriana? : amare considerazioni dell'osservatore...

Granata dei ribelli rinvenuta nella campagna di Damasco. Sulle istruzioni per l'uso: "Gridate 3 volte Allah Akbar"

E' necessario pregare per la pace in Siria.
 Ma è necessario pregare perchè gli occidentali, gli esportatori di civiltà e democrazia abbiano il coraggio di guardare cosa è successo e succede oggi in Tunisia, in Egitto, in Libia, in Iraq. Tutti paesi che hanno liberato.... ma da cosa? Ed oggi come vivono? 
 I commercianti occidentali, coloro che pretendono di dirigere il mondo con le loro teorie pragmatico-ateo-massoniche, devono essere onesti con se stessi e dire al mondo: siamo rimasti accecati dalla nostra ingordigia; abbiamo distrutto questi paesi e la nostra fame non si sazierà mai finchè non avremo ridotto il mondo ad un mucchio di macerie, perchè questa è l'unica via che ci permetterà di schiavizzare i nostri simili, impoverendoli e riducendoli a stracci inutili di cui ci serviremo per fare di loro i nostri nuovi schiavi. 
La disgrazia più grossa è che neppure i grandi negozianti di petrolio si rendono conto che domani i mercanti occidentali con il loro pragmatismo-ateo-massonico ridurranno anche loro ad una nuova schiavitù. Cinquanta anni addietro si liberarono dalla schiavitù colonialista occidentale. Hanno raggiunto l'apice della ricchezza. Credono che con il loro oro nero possono comperare il mondo ... disgraziatamente non si rendono conto che gli occidentali stanno giocando le carte tutte a proprio favore per defenestrarli dal loro potere.
L'Occidente sta giocando la carta di far autodistruggere questi signori mettendoli uno contro l'altro: sunniti contro sciiti, perchè domani loro possano fare il loro sporchi interessi. 

Gli occidentali non hanno interesse a difendere questa o quella fazione di una religione. Loro sono interessati soltanto a far saltare tutto un sistema che consegnerà nelle loro mani quanto oggi le due fazioni posseggono, cioè: l'oro nero, il gas di cui anche la Siria e' piena.

l'osservatore siriano


morti per asfissia da bombe chimiche: sono questi gli "aiuti non letali"?

Siria: il Qatar ordina, Parigi e Londra eseguono



L emiro del Qatar
da La Bussola Quotidiana
di Gianandrea Gaiani-18-03-2013


C’è qualcosa di inquietante nelle pressioni che Londra e Parigi stanno esercitando sull’Unione Europea per consentire l’invio di armi ai ribelli siriani che già godono dell’appoggio militare di Qatar, Arabia Saudita e altri Paesi arabi. Il 14 marzo il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha annunciato che Parigi e Londra revocheranno l'embargo sulle armi per i ribelli siriani anche senza il via libera della Ue. ''La posizione presa con i britannici è che gli europei tolgano l'embargo perché i ribelli possano difendersi'' ha spiegato Fabius.
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Siria, l'Occidente affila le armi 

da  Altrenotizie
di Michele Paris - 19 marzo 2013

La settimana appena iniziata dovrebbe finalmente segnare la nascita di un governo parallelo in Siria guidato dai leader dell’opposizione ufficiale al regime di Bashar al-Assad e al servizio dell’Occidente. Gli ennesimi negoziati per raggiungere un punto d’incontro tra le varie fazioni “ribelli” si sono aperti lunedì a Istanbul, anche se le divisioni al loro interno sul modo migliore per ottenere una maggiore assistenza economica e militare dagli sponsor stranieri minacciano ancora una volta di far saltare un possibile cruciale accordo da presentare alla comunità internazionale.
A produrre la principale frattura all’interno della cosiddetta Coalizione Nazionale delle Forze della Rivoluzione Siriana e dell’Opposizione era stato l’attuale presidente, l’ex imam sunnita e già funzionario della Shell, Moaz al-Khatib. Quest’ultimo, infatti, da qualche tempo ha aperto uno spiraglio di dialogo con le forze del regime, riflettendo l’auspicio di svariati governi occidentali di raggiungere una qualche soluzione politica del conflitto con il consenso della Russia, uno dei pochi alleati rimasti al presidente siriano Assad.
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lunedì 18 marzo 2013

"Papa Francesco porti la pace nel nostro Paese".

Musulmani siriani in piazza S. Pietro: Papa Francesco porti la pace nel nostro Paese

Alì, giovane studente siriano e altri 30 connazionali musulmani sono in Piazza S. Pietro per salutare il nuovo pontefice. L'appello al papa per spingere alla riconciliazione le fazioni che stanno combattendo in Siria.

Asia News 18/03/2013 
di Simone Cantarini 

 "Spero che Francesco sosterrà la pace in tutto il mondo soprattutto in Siria, da oltre due anni devastata dalla guerra civile e dal conflitto fra alauiti e sunniti. Noi musulmani siriani siamo qui a Roma per dare il nostro saluto al nuovo papa e invitarlo a non dimenticarsi della Siria ". È quanto afferma ad AsiaNews Alì, giovane studente siriano di religione musulmana di Damasco. Il ragazzo è giunto in S. Pietro sventolando la bandiera siriana insieme a un gruppo di 30 connazionali a Roma da pochi mesi. 
Essi sottolineano che in questi anni di guerra il Papa Benedetto XVI è stata l'unica figura che ha sempre ricordato le sofferenze dei siriani a tutto il mondo, e sperano che anche Francesco abbia la stessa sensibilità e sia un esempio per i capi di Stato e i governi di tutto il mondo.
"In Siria - racconta Alì - l'odio sta dilagando fra sunniti e sciiti. La speranza è che il nuovo papa con le sue parole di pace riesca a toccare i cuori di tutte le fazioni che combattono, spingendole ad abbandonare le armi e a iniziare una fase di riconciliazione. Molti siriani non appoggiano un governo basato sulla religione, come invece vogliono gli estremisti che mirano alla costruzione di uno Stato islamico".
"Milioni di siriani come me - conclude- desiderano la pace e il rispetto fra le religioni e sono contrari all'atteggiamento di molti Paesi stranieri che stanno sfruttando la nostra situazione di instabilità, mettendo una fazione contro un'altra. Per questo oggi siamo qui in piazza S. Pietro: chiediamo al papa di aiutarci e sostenerci a diffondere nel nostro Paese un messaggio di pace e porre fine a questa guerra fratricida". 

http://www.asianews.it/notizie-it/Musulmani-siriani-in-piazza-S.-Pietro:-Papa-Francesco-porti-la-pace-nel-nostro-Paese-27418.html


OGGI, 18 MARZO, S.B. GREGORIOS III RIUNISCE A ROMA I PATRIARCHI CATTOLICI PER RINNOVARE L'APPELLO ALLA SOLUZIONE DELLE CRISI DEL MEDIO-ORIENTE


La réunion aura lieu à Rome à Santa-Maria in Cosmedin à 16h ce lundi 18 mars 2013

Diacre Rami Wakim, Secrétaire particulier de Sa Béatitude : wakim.rami@gmail.com

venerdì 15 marzo 2013

Aleppo: abbiamo bisogno di preghiere per non dire di un miracolo.



  Aleppo - 10 marzo 2013 

Avevamo sperato che la situazione ad Aleppo stesse migliorando, ma è ben lungi dall'essere così. Da quasi un mese, la restante popolazione della città sopravvive con due ore di elettricità al giorno, ma da 72 ore la città non riceve più energia. I neonati arrivano in ospedale, ma non sopravvivono a causa della mancanza di medicinali e di dispositivi alimentati non elettricamente. Per quanto riguarda l'acqua, è distribuita solo per tre ore al giorno.

Certo, gli abitanti muoiono di violenza e i cristiani non sono risparmiati, in quanto, nel corso del tempo, si sono uniti alle truppe che difendono i loro quartieri. Perdono una media di 5-6 giovani alla settimana per  mano dei ribelli e dei proiettili vaganti.

Nonostante la violenza, Aleppo continua a ricevere i cristiani in fuga dai villaggi catturati dai ribelli. Essi provengono da Tabqa e Raqqa; hanno lasciato tutto sul posto; sono partiti lasciandosi cadere le braccia. Qui ora sono alla ricerca di un riparo. I comitati locali di aiuto gestiti dai Gesuiti, dai Maristi e da San Dimitri non possono più far fronte alle richieste: mentre la distribuzione di razioni prima si svolgeva ogni mese, ora la frequenza si è dilazionata.

Le famiglie Aleppine che hanno perso le loro case, hanno ottenuto delle tende allestite nei giardini abbandonati e tendono la mano  ai passanti, sperando in un sacchetto di generi alimentari.

I due quartieri cristiani della città, " siriana al-Jadideh " e "Midan" sono stati più volte attaccati e bombardati dall’ ESL. I Cristiani in questi quartieri ferocemente temono di dover subire la stessa sorte di quelli di Raqqa, Tabqa, Rableh ...

Qualche settimana fa, abbiamo annunciato che due sacerdoti sono stati rapiti il 9 febbraio. Sono ancora prigionieri, con un terzo sacerdote che è stato aggiunto agli ostaggi.

I depositi di latte (in polvere ovviamente) per neonati e bambini piccoli sono stati rubati e saccheggiati. Le farmacie, per la mancanza di scorte, si sono riconvertite in rivendite di benzina e di gas, alcune sono addirittura ridotte a vendere carne alla griglia.

Un famoso musicista cristiano che faceva parte della precedentemente famosa orchestra di Sabah Fakhri è ridotto praticamente in rovina. Si è installato ai piedi del suo palazzo, nonostante il freddo, e suona, con le lacrime agli occhi, il suo violino. I passanti gli lasciano poche monetine.

Aleppo è sempre isolata. Ogni settimana, speriamo che avvenga l'apertura dello scalo aereo che viene annunciata, ma la minaccia dell'esercito siriano "Free" sull'edificio continua.

Sul fronte economico, il degrado è continuo. L'euro è al cambio di 134 lire siriane, mentre lo scorso novembre è stato scambiato a 83 LS. Le conseguenze sono un continuo drammatico aumento dei  prezzi.

La carne ci giunge di contrabbando o gli animali vengono macellati per le strade, perché i macelli ufficiali sono inattivi a causa delle distruzioni. In breve tempo, il prezzo di un chilo di carne ha raggiunto le 1000 LS, il che lo rende inaccessibile al popolo, mentre prima della guerra era a LS 280. Il pollo ora si vende a 450 LS al kg, mentre era scambiato a 90 prima degli eventi . Tra i beni necessari per le persone, l'unico il cui prezzo è sceso, è la benzina: da 275 a145 LS.

Lo scetticismo sul futuro comincia a prendere il sopravvento. Abbiamo bisogno di preghiere, se non di un miracolo.

pubblicato  da Jean-Pierre Fattal
 Copyright @ Sarthe Est Christian Fellowship, 2012





Cari amici, 
vi comunichiamo qualche storia delle persone a cui si cerca di dare un po' di aiuto in Aleppo, perchè le portiate ancora di più nella preghiera.
Uno dei nostri amici è stato tentato addirittura di togliersi la vita, un bravo cristiano che animava sempre l'ora di adorazione in parrocchia... Non sapeva più come fare, i figli sulla strada a vendere roba raccogliticcia con un carrettino, lui e la moglie che hanno venduto la loro fede nuziale per tirare avanti... 
Un'altra donna, giovane, due figlie, il marito armeno argentiere ovviamente non ha lavoro, stavano ancora pagandosi un mini-appartamentino in condominio ; tutto distrutto, e quel poco che era rimasto glielo hanno portato via ( persino gli armadietti pensili del bagno, ogni piccolo oggetto, tutto ). Manda con fatica le due figlie alla scuola, ci ha sempre tenuto, sono bambine sveglissime e brave. Per i giorni in cui c'è scuola, dormono dalla nonna, sul pavimento, ma almeno ... sono vicine alla scuola, perchè l'auto per andare costa troppo. Gli altri giorni, vivono a casa di un amico...
E...così via.. E questa era la gente che stava, diciamo "benino", comunque dignitosamente.. Che strazio !!
Il Signore non lascerà la Siria!
 
Pregate! Pregate!

le suorine 


ULTIMA ORA : Il Collegio dei Gesuiti di Aleppo attaccato e bruciato da bande armate 


Aleppo - 15 marzo 2013 -
Si apprende al momento che intorno alla mezzanotte di ieri più di 700 miliziani di al-Forsat Nosra hanno attaccato il convento dei Gesuiti, S. Vartan a Midan, nel quartiere cristiano della città. 


nel centro aiuti dei Gesuiti di Homs
Hanno occupato l'edificio, dato fuoco a una parte della costruzione, e seminato il terrore tutto intorno.

La Provvidenza aveva fatto il suo lavoro, in quanto i religiosi e il guardiano avevano lasciato l'edificio ieri. La Guardia presidenziale che era vicino alla scena ha risposto ed è stata in grado di riprendere il Convento che era prima di questo vile attentato, un "centro" di 
distribuzione degli aiuti ai rifugiati

giovedì 14 marzo 2013

"Puntare sulla vittoria militare dei ribelli appoggiati dagli jihadisti internazionalisti come soluzione alla crisi, come fanno gli “Amici della Siria”, è incoscienza o cinismo."



(ANSA) - PARIGI, 14 MAR - Francia e Gran Bretagna chiederanno di anticipare la prossima riunione del'Ue sull'embargo sulle armi alla Siria, e in caso di assenza di unanimita' forniranno da sole, a titolo nazionale, armamenti ai ribelli. Lo ha affermato il ministro francese degli Esteri, Laurent Fabius, alla radio France Info. ''Non possiamo accettare - ha detto - che ci sia questo squilibrio con da un lato l'Iran e la Russia che forniscono delle armi a Bachar e dall'altro lato dei ribelli che non possono difendersi''           


da TEMPI - 11 marzo 2013
di Rodolfo Casadei

ORECCHIE MOZZATE. Le atrocità nella guerra civile siriana non stanno tutte da una parte sola. Cercare di farlo credere da parte del nostro e di altri governi equivale a manipolare l’opinione pubblica e a offendere l’intelligenza dei cittadini. Fatti come il massacro di donne e bambini a Houla da parte di forze paramilitari, l’eccidio di persone in fila al forno di Hama, l’arresto e la detenzione in condizioni tremende di migliaia di oppositori veri o presunti, l’uso dell’artiglieria, dei cacciabombardieri e di missili terra-terra in condizioni nelle quali la sicurezza dei civili presenti nelle aree interessate dalle operazioni militari non viene presa minimamente in considerazione, sono atti e decisioni che pesano come macigni sulla coscienza e sulla credibilità delle forze governative. Ma immaginare che dall’altra parte della barricata viga un grande senso di umanità, è la fantasia di qualcuno che o ci è, o ci fa. In Occidente ha avuto molta eco il filmato in cui si vedono soldati dell’esercito siriano tagliare le orecchie ai cadaveri dei ribelli caduti in combattimento e mostrarle a una telecamera; meno nota è la storia di una battaglia nella regione dell’Idlib, terminata con la cattura di alcune decine di soldati da parte di ribelli salafiti; questi ultimi, prima di passare i loro prigionieri per le armi, hanno provveduto a mozzare loro le orecchie da vivi. In questo momento all’ospedale di Qamishli, nel nord-est della Siria, sono ricoverati soldati che hanno avuto la vita risparmiata dopo essere stati catturati dai ribelli, i quali però prima di liberarli hanno inflitto loro crudeli tormenti: hanno tagliato dita delle mani e orecchie, perché non siano più in grado di combattere.

MENTIRE SULLA FEDE PER VIVERE. Chi avesse letto il reportage che Le Monde dedicò qualche tempo fa alla presa dell’accademia militare di Aleppo da parte dei ribelli, troverà senz’altro la cronaca della disintegrazione confessionale e settaria dell’iniziale unità fra ufficiali e cadetti, provenienti da tutte le etnie e religioni della Siria, man mano che l’esito infausto dell’assedio si approssimava. Ma troverà anche la storia dei genitori e parenti di un ribelle caduto nell’assalto che si recano in auto al campo dei soldati fatti prigionieri, si fanno consegnare un cadetto alawita scelto a caso e lo trasportano legato dentro al bagagliaio della loro auto. Giunti a casa lo estraggono dal vano e, per compiere la loro vendetta, a turno sparano sul loro ostaggio inerme, finchè muore. Molte immagini di prigionieri delle forze armate siriane uccisi a sangue freddo dai ribelli, in particolare da quelli di Jasbat Nusra ma non solo, si trovano in video caricati su Youtube. Per esempio nel video intitolato “Syria: Jihadists torture, kill prisoners in Ras Al Ayn” si vede un guerrigliero che tiene sotto la minaccia della sua arma dieci uomini sdraiati ventre a terra, fra i quali dei feriti. Alcuni di essi implorano di aver salva la vita dichiarando di essere musulmani sunniti, come i loro aguzzini. Dopo tre minuti di suppliche il combattente scarica il suo kalashnikov sui prigionieri sdraiati, e non si sentono più voci. Naturalmente si possono trovare anche filmati di forze pro regime che compiono atti di brutalità simili. La verità essendo che la guerra in Siria diventa ogni giorno più spietata e gli uomini sempre più crudeli.

ATTENTATI E RAPIMENTI. La parzialità di fronte ai crimini di guerra e alle sofferenze dei civili non è l’unica cosa da rimproverare agli “Amici della Siria”. Una dichiarazione come quella rilasciata a Roma da Moaz al-Khatib, il presidente della Coalizione nazionale siriana, non può essere passata sotto un silenzio complice: «Guardate al sangue dei bambini siriani, che ora è mescolato al pane dei forni bombardati, invece che alla lunghezza della barba dei combattenti ribelli». Il problema che al-Khatib snobba eccessivamente sono le cattive abitudini dei «combattenti dalla barba lunga». I quali non si limitano a passare per le armi i prigionieri disarmati. Ma si ingegnano di far esplodere autobombe in zone densamente abitate, addirittura col rinforzo di una seconda autobomba destinata a rendere più raccapricciante la strage, che giunge sul luogo della prima esplosione quando si è raccolto un assembramento di soccorritori: è quello che è successo a Jaramana (novembre 2012, 50 morti) e che non è successo per un soffio a Damasco il 21 febbraio scorso (52 morti comunque). E si dedicano pure a rapimenti effettuati sulla base della fede religiosa, sequestrando sacerdoti cristiani e altro personale ecclesiastico per il cui rilascio pretendono poi esosi riscatti. Le parole di al-Khatib non sono quelle di un leader all’altezza della situazione: possono scivolare come acqua sui sassi alle orecchie degli occidentali, ma sono causa di sconforto e prostrazione per una quota importante della popolazione siriana, che conosce sulla propria pelle quotidianamente le controindicazioni del contatto con le milizie jihadiste e salafite, non compensate a sufficienza dalle distribuzioni gratuite di alimenti per accattivarsi la simpatia popolare. E nemmeno dal pagamento di veri e propri stipendi ai siriani che si arruolano a combattere con loro (non ce lo inventiamo noi, lo ammette persino al-Arabiya, tivù saudita che fa il tifo per i ribelli).

POPOLAZIONE ESAUSTA. Qui si introduce un altro tema delicato e poco compreso, quello delle lealtà politiche dei siriani. I risultati delle elezioni organizzate in passato dal regime sono evidentemente inattendibili: nessuno può credere che Bashar el-Assad goda del 97 per cento dei consensi, come attestarono le elezioni presidenziali del 2007. Ma che oggi la maggioranza dei siriani gli sia contraria, è tutto da dimostrare. La popolazione è innanzitutto esausta, dopo venti mesi di combattimenti che hanno prodotto lutti, distruzioni, 800 mila profughi all’estero e 2 milioni di sfollati interni. In un certo senso, accetterebbe qualunque soluzione pur di tornare a vivere normalmente. Se fosse chiamata alle urne domani mattina probabilmente si spaccherebbe a metà, ma concedendo ancora un leggero vantaggio al presidente uscente. L’opposizione può contare su tutti coloro che hanno patito ingiustizie a causa del sistema a partito unico che per cinquant’anni ha retto il paese e che ha alimentato l’immunità di pubblici ufficiali civili e militari che hanno abusato del loro potere incontrastato; può contare anche sul fatto che il 60 per cento dei siriani è costituito da musulmani sunniti arabi, mentre la presidenza della repubblica, gli alti gradi delle forze armate e i gangli chiave dei servizi di sicurezza sono appannaggio della minoranza alawita (l’11 per cento della popolazione).


SUNNITI E ALAWITI. Ma quest’ultimo argomento conta solo fino a un certo punto ed è a doppio taglio. Conta solo fino a un certo punto perché il regime ha sì collocato esponenti alawiti in posizione egemonica nelle forze armate e nei servizi di sicurezza, ma in tutti gli altri ruoli della funzione pubblica ha praticato una politica di unità nazionale che fa sì che insegnanti, impiegati statali, addetti alla sanità pubblica, eccetera, provengano da tutte le religioni ed etnie del paese senza discriminazione alcuna; delle riforme liberiste dell’economia attuate dopo il 2000 da Bashar el-Assad, subentrato al padre Hafez, hanno beneficiato soprattutto i ceti urbani commerciali e imprenditoriali, entro i quali i sunniti sono ampiamente rappresentati. Non è un caso che nei centri governativi per l’assistenza ai profughi che fuggono i combattimenti i sunniti siano particolarmente numerosi.

PERCHE’ ASSAD DURA. È a doppio taglio perché il revanscismo sunnita che molti percepiscono nella Coalizione nazionale siriana – che pure si presenta come un fronte di unità nazionale – e che appare in filigrana nei programmi di Fratelli Musulmani, salafiti e jihadisti avversari dell’attuale governo, è forse il più potente fattore di coesione del fronte filo-governativo. Alawiti e sciiti (insieme il 13 per cento della popolazione) combattono spalle al muro, nella certezza che in caso di sconfitta per loro non ci sarà alcuna pietà; cristiani e drusi (un altro 13 per cento della popolazione) meditano la fuga dal paese, temendo che un nuovo governo di tendenza più o meno islamista non garantirà loro la dignità e il rispetto di cui finora hanno goduto; i curdi (9 per cento della popolazione) sia in caso di sopravvivenza del regime sia della sua caduta non accetteranno un sistema in cui la loro autonomia non sia finalmente riconosciuta.

DOVE INIZIA LA SALVEZZA. In una situazione del genere, puntare sulla vittoria militare della Coalizione nazionale siriana che non può avvenire senza l’indispensabile supporto dei combattenti jihadisti internazionalisti come soluzione alla crisi, come stanno facendo gli “Amici della Siria”, è pura incoscienza, oppure è cinismo travestito di ideali democratici. La salvezza per la Siria sta soltanto in un vero negoziato fra le parti, e questo può avvenire solo riprendendo i tentativi di mediazione che in passato sono stati condotti da Kofi Annan e da Lakhdar Brahimi. Bisogna convincere la Coalizione nazionale siriana a rinunciare alla sua richiesta che il presidente Assad non si presenti alle elezioni previste per il 2014 e convincere il presidente Assad ad accettare che le elezioni siano organizzate e supervisionate dalla comunità internazionale. Ma prima di tutto questo, è necessaria e indispensabile una tregua che permetta ai siriani di ritornare a sperare e a vivere secondo un sembiante di normalità. Solo un po’ di pace adesso può permettere di sperare in una pace reale a medio termine.

http://www.tempi.it/scordatevi-buoni-e-cattivi-la-salvezza-della-siria-non-viene-dalle-armi-reportage-da-damasco

mercoledì 13 marzo 2013

Le Chiese orientali festeggiano l’elezione di Papa Francesco

Dalla Siria all’Egitto, fino all’India, le prime reazioni all’elezione del Papa. Il nunzio a Damasco: “Abbiamo un nuovo punto di riferimento”. 





Roma (AsiaNews) -
Le Chiese dell'Asia sono in festa per l'elezione del nuovo papa Francesco I. La notizia ha fatto il giro del continente asiatico, tanto che i maggior i quotidiani di tutti i Paesi aprono con la sua foto. D'altra parte il nuovo vescovo di Roma è stato, nel suo Paese d'origine, l'Argentina, anche ordinario per i riti orientali. AsiaNews ha raccolto alcune testimonianze.

P. Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana
Il nuovo Papa proviene da un Paese che ha vissuto la povertà e sono convinto che capirà i problemi e i bisogni dei poveri dei bisognosi del mondo, soprattutto in Africa e Asia.

Mons. Mario Zenari, Nunzio apostolico a Damasco (Siria)
In Siria ci siamo sentiti in queste settimane di sede vacante un po' sospesi, perché in questa situazione di guerra il Papa è sempre stato per noi un punto di riferimento. Lui è il Papa per un miliardo di cattolici, per tutti i cristiani e per tutto il mondo, quindi posso dire che qui in Siria la gente si sente parte di questa Chiesa cattolica universale. Penso sia stata però anche seguita da tutta la popolazione. Soprattutto in questi due anni di guerra civile il Papa è sempre stato ascoltato e seguito da tutti in questo Paese. Quando si tratta di ricostruire la riconciliazione e la pace gli occhi sono tutti puntati sul Papa, anche da parte di altre religioni. Adesso abbiamo un nuovo punto di riferimento e porteremo a lui le nostre attese, le preghiere e le sofferenze di tutta la popolazione siriana. Il card. Bergoglio è stato ordinario per i cattolici di rito orientale, quindi conosce bene la nostra realtà in Medio Oriente.


http://www.asianews.it/notizie-it/Le-Chiese-asiatiche-festeggiano-l%E2%80%99elezione-di-Francesco-I-27387.html


Gli auguri del Patriarca Gregorios Laham al Santo Padre Francesco  e l'invito a visitare presto la terra Santa per promuovere la riconciliazione del Medio Oriente

البطريرك لحام دعا البابا الجديد لزيارة المشرق:الكنيسة تحتاج إلى بساطته

أشار بطريرك أنطاكية وسائر المشرق للروم الملكيين الكاثوليك غريغوريوس الثالث لحام إلى أنه "تعرف على البابا الجديد فرنسيس الأول قبل سنتين خلال زيارته للأرجنتين، وهو يتحلى بالتواضع والقرب إلى الناس كما سمعنا في خطابه الأول البسيط وهو كلام الإيمان خاصة أنه طلب بركة الله عليه من خلال الشعب".
وعن إختيار أول بابا من خارج أوروبا، قال لحتم في حديث تلفزيوني: "الكنيسة الكاثوليكية الأكبر في العالم هي في أميركا اللاتينية"، آملا أن "يكون البابا الجديد يأتينا بإيمان قوي، إيمان الشعب الأميركي اللاتيني الجنوبي الذي هو شعب تقي جدا ونأمل أن يأتي بهذه التقوى كما رأينا"، مشددا على أن "الكنيسة تحتاج إلى هذه البساطة الروحية التي يتحلى بها البابا الجديد"، لافتا إلى أن "الإيمان هو ما يحتاج إليه العالم اليوم".
وتوجه إلى البابا بالقول: "أسلافك زاروا هذه البلاد المقدسة وأرض المشرق وندعوه ليزور بلادنا المشرقية، أي فلسطين والقدس ولبنان وسوريا ويأتي إلينا بهذه الإطلالة الجميلة حاملا السلام والمصالحة وداعيا إلى التواصل والتفاهم بين أبناء المشرق العربي ليعود السلام إلى أرضنا ومنها يذهب إلى العالم أجمع"، متمنيا أن "يكون بابا الإيمان في عام الإيمان وندعو كل العالم للإنضمام إلى إيمان الكنيسة ونحن مدعوون كي نسير في مسيرة الإيمان".

Il Patriarca Latino di Gerusalemme, Mons. Fouad Twal, con i suoi vicari, i sacerdoti, le comunità e i fedeli della Diocesi del Patriarcato Latino accolgono con tutto il cuore il nuovo Papa Francesco.



Come Chiesa Madre di Gerusalemme, gioiamo profondamente per l’elezione del nuovo Pastore della Chiesa cattolica, scelto dai cardinali in conclave, ma soprattutto dallo Spirito Santo. Benediciamo il Signore e lasciamo sgorgare dal nostro cuore un fervido “Deo gratias!”
Al nuovo Papa esprimiamo le nostre felicitazioni “Alf Mabrouk” con la nostra totale e completa adesione e al tempo stesso assicuriamo il nostro affetto e la nostra preghiera filiale.
La nostra comunione è profonda. Grazie in anticipo, Santo Padre, per tutto quello che farà per la Chiesa, per il mondo e per la sollecitudine pastorale che avrà per il nostro Patriarcato nel corso del Suo Pontificato. Ci auguriamo anche che possa continuare a lavorare per la pace e la giustizia in Medio Oriente, in particolare in Terra Santa. Fin d’ora Le assicuriamo che lavoreremo al Suo fianco, così come abbiamo fatto con i suoi predecessori, per favorire progressi concreti nel dialogo interreligioso nella nostra regione.
Carissimo Santo Padre, la Terra Santa attende con emozione e con impazienza di avere l’onore e la gioia di accoglierLa nella Terra in cui si è compiuta la salvezza. Sia il benvenuto: “Ahlan wa sahlan!”

http://it.lpj.org/2013/03/14/habemus-papam/


martedì 12 marzo 2013

Maaloula non si tocca!

Maaloula, dove si parla ancora la lingua di Gesù: il piccolo villaggio siriano di appena seimila abitanti è un patrimonio per tutta la Cristianità


I primi di marzo le notizie di agenzia hanno riferito di un attacco di bande armate contro un posto di blocco militare all'ingresso del villaggio di Maalula. Fortunatamente gli aggressori sono stati respinti e né le case né gli abitanti del villaggio hanno riportato danni. Una vera fortuna perchè se Maalula avesse subito la sorte che è stata riservata ad altri villaggi cristiani posti sulle montagne a cavallo tra Siria e Libano sarebbe stata una sciagura per l'intera Umanità, in quanto non sarebbe stato distrutto solo un paese, ma una testimonianza storica e religiosa di straordinaria importanza.

Le case di Maalula sono arroccate su una montagna chiamata Al Qalamoun ad un'altezza di circa 1500 metri a pochi chilometri dal confine libanese e sono abitate da una popolazione interamente e fieramente cristiana. Le abitazioni del villaggio hanno delicati colori pastello, ma alcune sono dipinte in azzurro, è il segno che chi vi abita è stato in pellegrinaggio a Gerusalemme.

Nel villaggio sorgono due antichissimi conventi fortificati (segno di quali prove debbano aver subito in passato gli abitanti di Maalula per poter difendere la propria Fede): il primo è il convento di Santa Tecla dove alcune suore greco-ortodosse si occupano dell'assistenza agli orfani e dove custodiscono una grotta reliquiario della santa, il secondo è quello di San Sergio, retto invece da monaci greco-cattolici (i Basiliani del Santissimo Salvatore) ed è un vero e proprio nido d'aquila posto sulla cima di un monte dove anticamente sorgeva un tempio pagano. I due conventi sono collegati tra di loro da una lunga e spettacolare fenditura nella roccia, chiamata Faij Takla, che la tradizione racconta sia stata aperta dal Signore per permettere la fuga dai suoi persecutori a Santa Tecla. Entrambi i conventi sono ricchissimi di icone antiche ed il Convento di san Sergio ha l'Altare principale con una strana forma semicircolare. La spiegazione sta nel fatto che i Cristiani che lo costruirono cercarono di utilizzare alcune strutture dell'antico tempio pagano ( i portali in legno, per esempio, hanno oltre duemila anni) e di conservare l'antica forma anche dell'altare solo eliminando il foro che serviva a far defluire il sangue degli animali sacrificati e levandone le immagini dai bordi.

Tutto intorno ai due conventi le apre rocce della montagna sono traforate da centinaia di grotte di ogni dimensione che per secoli sono servite da abitazione e rifugio ai monaci ed agli abitanti.




Nella notte tra il 13 e il 14 settembre di ogni anno le cime che attorniano Maalula sembrano prendere fuoco. E' l'effetto prodotto da centinaia di falò accesi per celebrare la festa dell'Esaltazione della Croce, considerata la festa del paese. Si tratta di una tradizione antichissima, la cui origine merita di essere ricordata: quando Sant'Elena (la madre dell'Imperatore Costantino) trovò a Gerusalemme una reliquia della Croce di Gesù fece pervenire la notizia a Costantinopoli attraverso una ininterrotta catena di fuochi accesi sulle cime dei monti, dalla Palestina fino al Bosforo. La catena passava anche dai monti del Qalamoun, posti ai piedi dell'Antilibano, e questo ha spinto, nel corso dei secoli, gli abitanti di Maalula a mantenere viva la tradizione ed il ricordo di quel fatto straordinario incoronando di luci i monti che la circondano in occasione della festa dell'Esaltazione della Croce.

Questo ammirevole attaccamento alle tradizioni è peraltro comune a molte altre comunità cristiane della regione mediorentale. Quello che fa di Maalula ( e dei vicini villaggi di Jabadin e Bakhah) un “unicum” è la lingua parlata dalla maggior parte dei suoi abitanti. Maalula infatti è l'unico posto al mondo dove, ancora oggi, è usato l'aramaico occidentale, vale a dire la stessa lingua parlata da Gesù. Nelle Chiese di Maalula quindi si può vivere l'emozionante esperienza di ascoltare il Padre Nostro recitato con le stesse parole con cui Nostro Signore lo ha insegnato agli Apostoli.

Dobbiamo pregare e sperare perchè la guerra che oggi sta sconvolgendo la Siria non tocchi Maalula. La fierezza dei suoi abitanti è leggendaria e possiamo essere certi che preferirebbero farsi uccidere piuttosto che lasciare le loro case e soprattutto le loro Chiese nelle mani di chi, spinto da ideologie fanatiche ed estremiste, sta dimostrando di non aver alcuno scrupolo a distruggere le stesse radici storiche e religiose della Siria. I Cristiani di tutto il mondo dovrebbero, una volta tanto, far sentire la loro voce in modo chiaro e deciso pronunciando una parola d'ordine: “Maalula non si tocca!”

Mario Villani


lunedì 11 marzo 2013

Quale destino per i cristiani siriani?




da TEMPI - 3 marzo 2013
di Rodolfo Casadei

Dentro la grande tragedia siriana, la condizione dei cristiani si va rapidamente degradando. Questo era forse il paese mediorientale dove godevano del maggiore grado di uguaglianza civile coi connazionali musulmani. Anche ora, 5 dei 27 ministri con portafoglio del governo sono cristiani, come pure molti alti gradi dell’esercito. La sicurezza era accettabile. Non più. Dimah è un giovane studente universitario cristiano assiro, ed è appena arrivato all’aeroporto di Damasco da Kamishli, nell’estremo nord-est. Sta cercando di trasferirsi a studiare in Germania, e spiega subito il perché: «Due mesi fa stavo andando in corriera ad Aleppo, dove frequentavo l’università, quando siamo stati fermati dai combattenti di Jasbat Nusra. Sono saliti sull’autobus armati e hanno intimato: “Tutti i cristiani devono scendere, sono nostri prigionieri”. Eravamo un bel gruppetto e ci siamo messi a discutere con loro, nonostante ci puntassero contro i kalashnikov. Ci chiamavano “kaffir” e ci dicevano che saremmo andati tutti all’inferno. Hanno detto di essere libici. Alla fine hanno preso in ostaggio un solo studente, un ragazzo di Aleppo, e a noi delle altre città hanno detto: “Tornate da dove venite e non fatevi più vedere qui”. Per liberare il prigioniero ci sono voluti 20 mila dollari, mentre molti degli altri studenti hanno deciso come me di trasferirsi all’estero».

SIRIA COME L’IRAQ. Il destino dei cristiani siriani sembra ripetere la stessa parabola di quello dei cristiani iracheni dopo la caduta di Saddam Hussein. Nonostante il regime sia ancora pienamente in grado di combattere i ribelli, in moltissime località c’è stato un tracollo dell’ordine pubblico, e le prime vittime della criminalità dilagante sono stati i cristiani perché rappresentano un’élite sociale: ricchi commercianti e professionisti appartengono a questa minoranza. Per esempio ad Hasakeh, nel nord-est del paese, dopo un’ondata di rapimenti con richieste di riscatto superiori ai 100 mila dollari caratterizzata dall’evidenza che 9 rapiti su 10 erano cristiani, nel giro di poche settimane 50 famiglie di medici cristiani hanno abbandonato la città. Da pochi mesi i rapimenti e le aggressioni hanno assunto un esplicito connotato confessionale, del quale la storia di Dimah e dei suoi compagni è soltanto un esempio. Michel Kayyal e Maher Mahfouz, i due sacerdoti rispettivamente cattolico armeno e greco ortodosso rapiti il 9 febbraio mentre viaggiavano su un autobus fra Damasco e Aleppo, sono stati sequestrati da una milizia salafita di combattenti non arabi (in Siria sono presenti anche afghani, pakistani e ceceni) che li ha riconosciuti come religiosi cristiani. Un salesiano che viaggiava con loro è sfuggito al rapimento per non essere stato identificato come prete e ha svelato l’identità non araba dei sequestratori. Pochi giorni dopo lo stesso destino è toccato all’ex segretario del vescovo armeno di Aleppo, unico viaggiatore preso prigioniero dai salafiti che hanno controllato accuratamente i documenti dei passeggeri dell’autobus e intuito l’identità armena dell’uomo dal suo cognome. Per lui come per i due sacerdoti catturati in precedenza, sono stati richiesti riscatti equivalenti a 160 mila dollari statunitensi.

ASSALTO ALLE CHIESE. È rimasta su una pagina di Facebook solo per un paio di giorni un’orribile immagine proveniente da una località rurale della provincia di Latakia: una giovane donna spogliata col petto squarciato e una croce da parete infilata nella bocca, con la didascalia “se voi cristiani continuate a sostenere il regime, le vostre donne faranno questa fine”. Alla Coalizione nazionale siriana che coordina precariamente le componenti non salafite della guerriglia aderiscono pochi cristiani isolati; la quasi totalità diffida di una ribellione le cui iniziali richieste di democrazia appaiono ogni giorno di più soppiantate dai progetti di stato islamico delle componenti salafite e jihadiste in piena espansione.

GRUPPI JIHADISTI. Nelle località investite dai combattimenti le chiese sono state inizialmente razziate a scopo di bottino, come mostrano per esempio le foto delle chiese di Deir Ez Zor private dei loro arredi sacri trafugati. Cominciano ora a registrarsi episodi di profanazione gratuita. Per esempio la cappella dei martiri armeni a Margadà, non lontano da Hassakeh, che raccoglie ossa delle vittime del genocidio del 1915, lasciata fino alla settimana scorsa in pace sia dai ribelli del Libero esercito siriano sia da quelli di Jasbat Nusra, è stata vandalizzata da un nuovo gruppo straniero arrivato da poco nella regione.

BASTA ARMI. Il numero complessivo dei cristiani, che prima dell’inizio della crisi era di circa 1,8 milioni (in costante diminuzione da 40 anni a causa dell’emigrazione), è sceso ora a 1,4 milioni principalmente per l’esodo dei benestanti e di chi ha parenti all’estero. «Per favore, dite all’Europa di non procurare altre armi ai terroristi!», implora un sacerdote siro ortodosso del nord-est di passaggio nella capitale. Impossibile dargli torto.

http://www.tempi.it/le-bombe-i-rapimenti-dei-cristiani-le-chiese-attaccate-reportage-dalla-siria

sabato 9 marzo 2013

Appello di Sua Beatitudine il Patriarca Gregorios III per la protezione dei civili in Siria


Facciamo appello a tutti i leader locali e internazionali perché compiano ogni sforzo per proteggere i civili in Siria.



Le Comunità in varie parti della Siria da tempo sono diventate il bersaglio di bombardamenti indiscriminati e di abusi diretti a persone anziane, donne, bambini e disabili. Arbitrari rapimenti a scopo di un riscatto esorbitante,  l'intimidazione e la coercizione si sono sviluppate in una piaga crescente . Il numero delle vittime innocenti di popolazioni remote e indigenti è inesorabilmente in aumento. Recentemente, il villaggio di Rableh, vicino al confine con il Libano, è stata teatro di gravi incidenti di questo genere.

Noi imploriamo vivamente che questi ingiustificati attacchi gratuiti verso una pacifica popolazione innocua siano fermati. La comunità internazionale non dovrebbe sottovalutare questi crimini che violano la dignità umana in contrasto con le convenzioni internazionali.

Questo appello nasce dalla nostra preoccupazione per il futuro delle tante città siriane i cui abitanti,  benchè sottoposti a ogni genere di privazioni, abusi e minacce da mesi, restano attaccati alla loro terra d'origine. Vorrei loro esprimere la mia solidarietà paterna e condivisione nelle loro sofferenze.

I miei ringraziamenti vanno agli operatori di pace, in particolare ai rappresentanti di Musalaha, che si dedicano a salvare vite umane innocenti in tutta la Siria, a calmare gli animi in modo da disinnescare le controversie e alla diffusione dell’armonia, al fine di risparmiare ulteriori spargimenti di sangue in Siria. Ciò è inestricabilmente connesso con la principale preoccupazione del nostro ministero pastorale e patriarcale: chiediamo a tutti di rispettare e proteggere la popolazione civile e salvarla dall’ essere il bersaglio di tali orrori.

Io supplico la Misericordia del Cielo sulle vittime, la pazienza e il conforto per i loro parenti e saggezza e compassione verso gli aggressori.

Che il rispetto dei sacri diritti degli esseri umani, creati a immagine del Dio Misericordioso e amante degli uomini, risplenda in Siria!



venerdì 8 marzo 2013

Profughi siriani in Libano: appello dai più poveri


Notiziario di un gruppo di volontari libanesi membri di "Oui pour la vie", associazione di volontariato con sede a Damour in Libano, legalmente riconosciuta e operante in favore dei più poveri. 


La grande emergenza di questo momento riguarda i profughi della Siria che portano con loro le sofferenze per la distruzione delle loro case, l'incertezza sull'esistenza in vita dei parenti e il doversi nascondere in Libano per evitare ripercussioni e violenze su chi e' rimasto la'. Hanno subito torture, proposte indecenti di ogni tipo e soprattutto non hanno cibo (le mamme vedono i bambini dimagrire mangiando appena solo il pane) e fanno grande fatica a curarsi.
Il cuore della nostra missione consiste nella gioia, che Dio dona nonostante la povertà di condividere dando volentieri qualcosa per i poveri. Aiutare queste famiglie significa coinvolgerle con noi nelle visite a tutti quelli che hanno bisogno, per testimoniare la gioia del perdono che si rende visibile nella carità materiale. L'aiuto per un povero è un prestito a Dio, che guarisce il cuore e lo rigenera in mezzo a tante ingiuste ferite.
I profughi in Libano sono più di 200 mila. Alcuni esempi.

  a)   Famiglia di Ibrahima. E' venuta in Libano all'inizio del 2012 con i 2 figli. La guerra ha distrutto la sua casa; la sorella e i suoi 2 fratelli sono morti. La signora ha bisogno di un'operazione chirurgica (ulcera) ma non hanno soldi e i denti sono in condizioni miserabili e dal dolore non dorme la notte. Durante il giorno perde l'equilibrio e a causa di questo non trova lavoro. Mangiano solo pane da 2 settimane; non hanno nè frigo, nè forno, nè materassi per dormire. Ibrahima e' venuta con noi a visitare altri poveri appartenenti ai gruppi che hanno decimato la sua famiglia e depredato i loro beni.
  b)  Famiglia di Animar. E' in Libano da un anno e hanno ucciso sua moglie. Ha 4 bambini e vive con suo padre di 73 anni e sua madre di 69 in una capanna di  9 mq. Non ha toilette, non hanno acqua e spesso si addormentano saltando i pasti. Ammar ci ha dato qualcosa degli aiuti ricevuti per ricevere la forza del perdono.

  c)   Famiglia di Ibtihaj e' in Libano da 6 mesi. Hanno catturato suo marito e lei non sa se sia vivo. Ha 9 bambini: non hanno frigo, forno, niente materassi. Lei vuole morire, ma è solo per i bambini che va avanti. Tra i piccoli c'è chi soffre di polmonite a causa del dormire all'aperto. Uno dei bambini è paralizzato alle gambe e non ha aiuti. Due dei loro figli sono venuti con noi in questa Quaresima a offrire un po' delle cioccolate che avevamo loro donato, ai bambini di un'altra capanna.
  d)  Famiglia di Nadia. Ha 40 anni con 10 bambini. Vive in una tenda vicino al mare di lOmq. Lavora l'agricoltura ma le danno poco (oltre che a proposte scandalose); con la pioggia e l'umido non può comprare per scaldarsi. 2 bambini soffrono di asma a causa del freddo, ma non ha i mezzi per le medicine. Spesso non riescono a comprare nemmeno il pane. Vivono in 2 materassi per 11 persone senza lenzuoli nè cuscini, frigo e forno. Lei è depressa e senza speranza perché vive in una stanza senza porte e finestre. Le nostre volontarie con il loro sorriso la incoraggiano.


Chi è interessato a maggiori informazioni o a conoscere le modalità per una testimonianza in Italia o un contributo in favore della nostra opera può inviare un sms al 333/5473721 o un email a:    info@ouipourlavielb.com
http://www.ouinourlavielb.com/en/mission

mercoledì 6 marzo 2013

Il Patriarca maronita Raï : il Conclave visto dal Medio Oriente

Il Collegio cardinalizio non può ignorare le sofferenze delle comunità cristiane mediorientali. 



È stato uno degli ultimi a sbarcare a Roma. Ma è subito entrato in partita. Il cardinale Bechara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, ha già distribuito ai porporati in pre-Conclave un dossier informativo sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente: «La Chiesa universale, e anche il prossimo Papa, non dovranno mai dimenticare che il cristianesimo ha la sua origine in Medio Oriente. E dovranno tener ben presente quello che sta succedendo alle comunità cristiane mediorientali. È una priorità che non può essere trascurata» 





da Vatican Insider . 6 marzo 2013
di Gianni Valente

Beatitudine, come capo di una Chiesa radicata in Medio Oriente, quali attese particolari registra tra i cristiani di quella regione rispetto al Conclave?
Forse non tutti hanno in mente quello che è accaduto negli ultimi anni. Dall’Irak del dopo-Saddam sono fuggiti un milione e mezzo di cristiani. Da Aleppo ne sono andati via almeno il 60 per cento. Non c’è più un cristiano a Homs. In Egitto la Chiesa copta è ancora forte. Ma con le nuove leggi ispirate alla Sharia tutto si farà più difficile. E poi ci sono i problemi in Terra Santa…
I cardinali, in Conclave, devono tener conto anche di questo. Se si parla solo dei problemi interni della Chiesa c’è il rischio di “avvitarsi”. Per questo ho distribuito a tutti un dossier sulla condizione attuale dei cristiani in Medio Oriente. I cristiani sono lì da duemila anni. Hanno contribuito a dar forma alla civiltà e alla cultura locale. Hanno trasmesso anche all’Islam il senso della moderazione. L’Islam autentico è quello moderato. Non quello dei radicalisti fondamentalisti foraggiati con armi e soldi da Paesi orientali e occidentali, per interessi politici ed economici.

Come è stata presa in Libano la rinuncia di Benedetto XVI?
Tutti l’hanno accolta come un atto di fede, forte, umile e di abnegazione. Una “Kenosis”. I musulmani sono rimasti pieni di ammirazione. Alcuni di loro si sono chiesti: ma cosa è mai il cristianesimo? Colui che nella Chiesa sedeva sul trono più alto, lascia volontariamente quella posizione! È stato visto come un esempio anche per tutti quelli che hanno incarichi rilevanti in ambito secolare: ha testimoniato con quale coscienza retta va assunto ogni genere di responsabilità.

Lei, prima di venire a Roma per il Conclave, è stato a Mosca. Quali attese vi ha trovato?
Sono andato su invito di Kirill, il Patriarca di Mosca. Abbiamo parlato per ore dei cristiani in Medio Oriente e degli spazi di collaborazione a livello culturale, religioso e sociale; come della promozione dell’unità tra le Chiese cattoliche e ortodosse in Medio Oriente, per il bene della regione e la testimonianza cristiana tra i musulmani. Ho ammirato la rifioritura della Chiesa ortodossa russa: hanno eretto nel mondo 184 diocesi, il Patriarca in pochi anni ha ordinato 60 vescovi. Poi ho incontrato anche il presidente della Duma Sergej Naryshkin e i suoi consiglieri: sul conflitto siriano ho elogiato la linea politica russa, che è contro la guerra e preme per far aprire negoziati tra il regime e l’opposizione.
 È bene che tutti lo sappiano, anche i cardinali: quello che oggi sta succedendo in Medio Oriente non ha niente a che vedere con l’avvento della democrazia. Gli interessi politici di forze esterne puntano a destabilizzare l’intera area fomentando i conflitti inter-confessionali tra musulmani. E i cristiani, quando c’è il caos, sono spesso vittime innocenti.

Lei è uno dei quattro capi di Chiese cattoliche d’Oriente che entreranno in Conclave. Quale contributo porterete? E uno di voi potrebbe essere eletto Papa, o ci sono ostacoli di carattere ecclesiologico?
Noi con la nostra presenza testimoniamo che la diversità è una ricchezza nella Chiesa. Uno di noi può diventare Papa? Il Papato è una vocazione divina. Il Signore sceglie la persona che Lui vuole. In quanto ai cardinali essi debbono unirsi nella preghiera e nella concertazione per identificare col suffragio la persona voluta da Dio.

Nell’elezione del Papa c’è un modo legittimo e pastoralmente opportuno di tener conto dei fattori geo-politici?
Di solito ci si augura che il Papa sia uno delle proprie parti, che conosca e sappia affrontare i problemi e le urgenze pastorali che si vivono nella propria area. Ma non possiamo avere un Papa per ogni Paese. L’importante è che il lavoro nelle congregazioni generali fornisca un quadro veritiero della condizione della Chiesa in tutte le aree del mondo. In modo che il nuovo Papa abbia conoscenza delle nuove sfide e attese e sia aiutato a esercitare un ministero che per sua natura è universale.

Ma i cristiani del Medio Oriente come vedrebbero un Papa statunitense?
Lo vedrebbero come il Papa, e basta. In Medio Oriente i cristiani e anche i musulmani hanno una venerazione verso la figura del Papa, chiunque egli sia. Critiche alla sua persona semplicemente non esistono. Il Papa è il Papa e non importa per loro che sia americano, spagnolo, italiano o altro.

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/conclave-22923/



Il Patriarca maronita di Antiochia e di tutto l'Oriente, Béchara Boutros Raї:  i diritti dei cristiani in Medio Oriente e la pace in Siria 


R.- Con Kirill abbiamo parlato del significato della presenza dei cristiani in Medio Oriente, che si trovano in questi Paesi dal tempo di Gesù, 600 anni prima dell’islam! I cristiani non sono stranieri, hanno dato l’impronta del Vangelo, l’impronta della cultura cristiana, alle culture locali e, infatti, chi viene in Medio Oriente trova gli ambienti musulmani differenti da altri ambienti perché la cultura cristiana ha permeato la vita sociale, culturale, politica ed economica di queste regioni e poi anche la rinascita culturale e sociale in Medio Oriente è avvenuta grazie ai cristiani.

D. – Quindi, cosa avete detto durante questi incontri?

R. - La prima cosa da dire è che i cristiani sono cittadini che hanno tutti i loro diritti e quindi rappresentano una grande missione per il mondo, perché i cristiani fanno conoscere all’islam la realtà del cristianesimo, un cristianesimo aperto, che rispetta la persona umana, i diritti dell’uomo, le libertà. Vivendo con i musulmani, inviamo questo messaggio del cristianesimo. Dall’esperienza di convivialità noi faremo conoscere l’Occidente alla realtà dell’islam e i musulmani faranno conoscere ai musulmani la realtà del cristianesimo. Quindi la presenza cristiano-musulmana è necessaria per il mondo. 

D. - Alcuni parlano di conflitto di religione, conflitto di culture e di civiltà …
R. – Non viviamo un conflitto di questo tipo. Sì, ci sono problemi politici, problemi economici, però non esiste un conflitto tra le culture, anzi viviamo come componenti complementari. Purtroppo c’è una certa politica che fomenta il radicalismo, il fondamentalismo. Stati dell’Oriente e dell’Occidente sostengono gruppi integralisti e radicali con armi, soldi e sostegno politico. E’ questo che crea problemi in Medio Oriente. Quindi noi vogliamo insistere per dire al mondo che l’islam è moderato nella sua maggioranza, non è fondamentalista, non è integralista.

 
D. Cosa auspica?
R. – Bisogna che la pace nel Medio Oriente possa regnare perché musulmani e cristiani possano dare testimonianza questa al mondo. Noi non vogliamo chiedere protezione ma pace e stabilità, perché possiamo continuare a dire questo messaggio all’umanità: cristiani e musulmani vivono in pace nella terra dove Gesù si è incarnato, dove il Vangelo è partito.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/articolo.asp?c=669786
del sito Radio Vaticana

martedì 5 marzo 2013

Cristiani d'Oriente sacrificati

"MENTRE I MOVIMENTI ISLAMICI RADICALI SONO INDAFFARATI CON LA LORO PRIMAVERA POLITICA, I CRISTIANI DEL MONDO ARABO SONO ALLE PRESE CON UN INVERNO BURRASCOSO CHE RISCHIA DI DECIMARLI. CIO’ A CAUSA DI UN PROGETTO NEO-COLONIALE CHE PUNTA A ISOLARE L'IRAN"



da Nigrizia - febbraio 2013
di MOSTAFA EL AYOUBI

In passato non sono mancati conflitti e tensioni tra musulmani e cristiani d'Oriente, spesso a causa di strumentalizzazioni politiche interne (Egitto) e ingerenze esterne per scopi geopolitici (Libano). Tuttavia la situazione delle minoranze cristiane arabe non è mai stata cosi preoccupante come lo è oggi, in seguito all'affermazione degli islamisti come la più grande forza politica in quasi tutti i paesi arabi. Gli islamisti hanno "vinto l'appalto" per un ri-modellamento geopolitico del mondo arabo, nato dall'urgente necessità di arginare la crescente influenza dell'Iran nel Medio Oriente e in altre parti del mondo islamico, a scapito degli Usa e dei loro alleati. Diversi sono stati i tentativi per destabilizzare il regime sciita iraniano: dalle sanzioni e dagli embarghi che durano dal 1979 alla guerra affidata a Saddam (1980-1988), alla rivoluzione verde del 2009 per far cadere il regime. Tentativi non riusciti.
Si è passati quindi al piano B, ossia innescare un conflitto interconfessionale tra la maggioranza sunnita e la minoranza sciita: la logica di tale piano è la creazione di una regione con una forte connotazione confessionale sunnita in tutto il mondo arabo per isolare il regime sciita di Teheran. Il piano si basa su un fattore determinante, ovvero l'odio che i sunniti nutrono nei confronti degli sciiti considerati eretici. Il baricentro di questo conflitto oggi è la Siria.
Questo scontro intra-musulmano, studiato ad arte, ha gravi conseguenze sul presente e sul futuro delle storiche minoranze cristiane - ciò vale anche per altri gruppi di minoranza - sia in termini di sicurezza che di diritti. Si pensi agli attentati contro le chiese copte prima e dopo la "Rivoluzione del 25 gennaio" in Egitto o alla distruzione dei luoghi di culto cristiani in Siria negli ultimi due anni.
I jihadisti sunniti in Siria, oltre a voler gettare gli alawiti (sciiti) nelle bare, vogliono cacciare i cristiani verso Beirut. Interi quartieri cristiani a Homs e in altre città siriane sono stati occupati e devastati dai jihadisti. Tantissimi cristiani hanno dovuto lasciare le loro città per rifugiarsi all'interno o fuori dal paese. La violenza contro i cristiani in questa fase di trasformazione geopolitica araba ha raggiunto livelli inauditi: persino nella Libia "liberata" una chiesa copta egiziana vicino a Misurata è stata distrutta dai jihadisti il 29 dicembre scorso; l'attentato in cui sono morte due persone è passato sotto il silenzio assordante dei media mainstream.
Morsi, che si è dichiarato il presidente di tutti gli egiziani, non ha partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo patriarca copto ortodosso, Tawadros II, il quale, prima della sua nomina, aveva criticato la nuova costituzione egiziana, scritta in sostanza dai Fratelli musulmani e dai salatiti.
Di fronte a questo nuovo clima di insicurezza e di esclusione di cui sono oggetto i cristiani d'Oriente, qual è la posizione delle istituzioni cristiane d'Occidente? Diverse autorità religiose cristiane, come il patriarca di Mosca Kirill I, il patriarca maronita libanese Bechara Rai, il cardinale Filoni, ex nunzio a Baghdad, hanno spesso messo in guardia contro il rischio di un Medio Oriente che si sta svuotando della sua componente cristiana a causa della politica neo-coloniale dell'Occidente nella regione. A questo grido d'allarme il governo francese, sin dall'inizio della crisi in Siria, aveva risposto che «bisogna incoraggiare i cristiani d'Oriente a venire a insediarsi in Europa».
Dopo l'invasione dell'Iraq nel 2003, dei due milioni di cristiani arabi ne sono rimasti solo 800.000. Negli ultimi anni più di 100.000 copti hanno lasciato l'Egitto e oggi numerosi cristiani di altri paesi arabi stanno abbandonando la loro terra.
Le autorità religiose di cui sopra, insieme ad altre, come il patriarca di Antiochia, Gregorio III Laham, e il patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal, chiedono con insistenza di fermare la guerra alla Siria per risparmiare la vita di cristiani, musulmani, drusi e altri ….

Una nuova Jalta, per superare la crisi siriana e poi le riforme




da Assadakah - 04-03-2013
di Raimondo Schiavone

Se non fosse per il rispetto che si deve agli Stati e, soprattutto alle vittime della tremenda guerra in corso in Siria, potremmo affermare che l’accordo di Roma promosso da John Kerry con alcuni paesi europei – fra i quali l’Italia – appare come un accordo fra clown. Per vari motivi. Primo perché 60 milioni di dollari sono davvero un ruscello in quel mare di desolazione e se ne perderà una buona parte per strada prima di arrivare alla gente. Gli stessi ribelli siriani hanno deriso questo impegno: si aspettavano un contributo fattivo con armi e addestratori, invece verranno accontentati solo i mediatori che si incaricheranno di portare le provviste. Secondo aspetto: John Kerry aveva un mandato limitato. Gli USA infatti non vogliono innervosire la Russia e hanno proposto solo di dare un contentino ai ribelli al fine di far emergere la fazione meno integralista dell’opposizione. Inoltre, in vista della chiusura di un accordo fra il governo di Assad e i ribelli, era necessario far aumentare il peso dell’opposizione nella prossima e imminente trattativa. Terzo aspetto: gli Stati europei sulla vicenda siriana hanno grande interesse: il pericolo è vicino geograficamente e l’integralismo alle porte del vecchio continente fa molta paura. Sotto il profilo economico, c’è da segnalare la chiusura dei mercati arabi, un danno enorme per le aziende europee.

Di diverso segno è la posizione degli Stati Uniti per i quali il caos in Siria è tutt’altro che un problema. La crisi siriana, secondo Washington, è un’occasione irripetibile per indebolire il “nemico” Iran e consentire ad Israele di controllare militarmente l’area mediorientale, anche in virtù dell’attuale pochezza del regime egiziano di Morsi. La parola che in questi giorni si pronuncia di più qui a Beirut – e anche a Damasco – è “accordo”. Oramai non è più solo un auspicio ma una certezza. Bisogna solo definire i termini e gli attori di questa nuova fase. Quasi certamente ci sarà una Yalta siriana.

   
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