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mercoledì 12 settembre 2012

Le attese e gli scenari che accoglieranno Benedetto XVI

Il Nunzio apostolico, Mons. Caccia
(Agenzia Fides 12/9/2012)
“Aspettando il Papa, il Libano torna a avvertire la grandezza e la bellezza della sua vocazione nazionale: quella di un Paese dove le diverse identità vogliono convivere nel rispetto reciproco”.
L’Arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, Nunzio apostolico a Beirut, inquadra in questa cornice il crescendo di segni positivi innescato in tutto il Paese dalla imminente visita di Benedetto XVI (14-16 settembre), ancor prima del suo inizio. Il rappresentante pontificio nel Paese dei cedri tratteggia per Fides la “grande attesa” vissuta dai cristiani, ma anche quella di tutte le altre componenti della variegata società libanese, documentata in particolare dai tanti “segni di apprezzamento arrivati da sunniti, sciiti, drusi, alawiti”. Mentre spuntano dovunque le immagini del Papa insieme a bandiere libanesi e vaticane, sulle prime pagine dei giornali campeggia lo slogan della visita: “Vi do la mia pace”. Una frase evangelica che – sottolinea monsignor Caccia – “corrisponde pienamente alle attese delle genti di queste parti”.
Accanto a questi segni esteriori, l’Arcivescovo dà conto della realtà di preghiera e invocazione a Dio che sale capillarmente da tutto il Libano: “È in corso nelle chiese del Paese una novena speciale per preparare la visita del Papa. Si sono svolte cinque grandi veglie comunitarie in cinque zone diverse del territorio nazionale, insieme a molteplici iniziative di incontro e riflessione comune tra cristiani e musulmani. Ad esse si unirà la veglia in programma la sera di mercoledì a Beirut, quando due processioni partiranno dai quartieri cristiani e altre due dai quartieri musulmani per convergere nel parco dedicato alla Vergine Maria”.
La visita del Papa cade in un momento delicato, in cui il fragile equilibrio politico del Paese è messo alla prova da ciò che accade in Siria e dal disagio sociale esasperato dalla crisi economica. Monsignor Caccia indica gli antidoti a ogni interpretazione riduttiva in chiave politica dei gesti e delle parole che verranno da Benedetto XVI: “Potrà forse esserci qualcuno che cercherà di accaparrare un aspetto o un altro della visita papale. Ma sarà vantaggioso per tutti tenere presente l’orizzonte ampio della visita del Papa, che guarda a tutte le problematiche di tutto il Medio Oriente e non solo alla situazione politica libanese. L’Esortazione apostolica post-sinodale che il Papa consegnerà ai Vescovi del Medio Oriente conterrà suggerimenti e indicazioni che poi andranno tradotti dalle Chiese locali nei contesti particolari in campo educativo, economico, sociale, del soccorso umanitario, e anche politico. Tra l’altro, dal tempo del Sinodo sul Medio Oriente fino a oggi, il paesaggio globale di quest’area ha visto e continua a vedere grandi mutamenti, spesso convulsi”.
Davanti al pressing di chi chiede che la Chiesa “prenda posizione” riguardo al conflitto siriano e alle rivolte mediorientali, mons. Caccia ripete i criteri di discernimento che ispirano lo sguardo della Santa Sede davanti all’evolversi degli eventi. Secondo il Nunzio in Libano occorre “riguardare agli interventi che Benedetto XVI ha dedicato negli ultimi tempi a ciò che avviene in Medio Oriente, fino alle parole pronunciate dopo l’Angelus di domenica scorsa. Il primo dato da considerare sono le sofferenze patite dalle popolazioni. Occorre che tutte le forze coinvolte fermino la spirale di violenza per far evolvere la situazione in altre direzioni, coinvolgendo tutti gli attori in gioco attraverso una iniziativa chiara della comunità internazionale. La prima iniziativa di mediazione affidata a Kofi Annan purtroppo è fallita, ma le sue ragioni sono ancora tutte sul tavolo. Inoltre occorre tener conto che nella vicenda siriana, oltre ai fattori sul campo, è in atto anche un complessivo riposizionamento degli assi di forza regionali”. Anche guardando a tale scenario globale, risultano evidentemente fuori bersaglio le accuse di fiancheggiare i regimi autoritari rivolte da più parti alle minoranze cristiane mediorientali. Dichiara a Fides Mons. Caccia: “Occorre essere sempre a fianco di chi chiede il rispetto e l’applicazione dei principi di libertà e di dignità umana. Ma tale sostegno deve sempre tener conto della realtà effettiva. Come ha detto il Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, i cristiani non sostengono i regimi autoritari, ma temono la dissoluzione degli Stati. C’è la paura che tutto precipiti verso scenari iracheni, col totale venir meno di ogni minima sicurezza nella vita quotidiana. Tutti temono che venga meno quell’ordine civile che garantisce i criteri minimi si sopravvivenza. Per questo, per quanto difficile, occorre che la comunità internazionale cerchi tutte le strade possibili perché le forze in campo pongano fine all’arbitrio della violenza. L’alternativa è quella della sofferenza e del dolore per tutti. La violenza non guarda in faccia nessuno. Lo si vede anche dalla triste vicenda dei profughi, che appartengono in maniera indiscriminata a tutti i gruppi religiosi”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39818&lan=ita


Intervista al Patriarca maronita Mons. Bechara Boutros Rai
“una primavera cristiana che aiuti la primavera araba”

http://www.fmc-terrasanta.org/it/interviste.html?vid=2407


Papal visit to Lebanon: Patriarch Gregorius III's hopes


(Vatican Radio) Patriarch Gregorius III Latham, head of the Greek Melkite Catholic Church, says Pope Benedict's visit to Lebanon this month is a very important and eagerly-awaited event. The Patriarch also says he prays that this papal visit will help bring peace and reconciliation to neighbouring Syria. Pope Benedict arrives in Beirut on September 14th for a 3-day visit during which he will present the Apostolic Exhortation, the document in which he summarises and reflects on the discussions of the Synod of Bishops for the Middle East held in 2010.

Listen to the extended interview with Patriarch Gregorius III by Vatican Radio's Susy Hodges: RealAudioMP3

Dio doni al Medio Oriente "la pace tanto desiderata": il Papa all'udienza generale

Asia News 12/09/2012
Alla vigilia del suo viaggio in Libano, all'udienza generale Benedetto XVI chiede di pregare per la visita. Nella catechesi ha continuato a illustrare la preghiera nell'Apocalisse. Come cristiani "non possiamo mai perdere la speranza, sappiamo bene che nel cammino della nostra vita incontriamo spesso violenza, menzogna, odio, persecuzione, ma questo non ci scoraggia", perché "sappiamo che la vittoria è di Dio".  Dio doni al Medio Oriente "la pace tanto desiderata" e il viaggio di Benedetto XVI in Libano possa "incoraggiare i cristiani e favorire la pace e la fraternità in tutta quella Regione". A due giorni dalla sua partenza per Beirut, Benedetto XVI chiede di "accompagnare con la preghiera" la visita durante la quale consegnerà l'Esortazione postsinodale sul Medio Oriente e incontrerà "le numerose componenti della società libanese: i responsabili civili ed ecclesiastici, i fedeli cattolici dei diversi riti, gli altri cristiani, i musulmani e i drusi di questa regione". Ringrazio il Signore per questa ricchezza che potrà continuare solo se vivono nella pace e nella riconciliazione duratura".

Alla vigilia della partenza, il Papa ha parlato del viaggio sia in italiano che in francese, lingua che userà nei suoi discorsi nel Paese dei cedri, al termine dell'udienza generale. In particolare, Benedetto XVI ha esortato "tutti i cristiani del Medio Oriente ad essere costruttori di pace e attori di riconciliazione. Domandiamo a Dio di fortificare la fede dei cristiani del Libano e del Medio Oriente e riempirli di speranza. Incoraggio l'insieme della Chiesa alla solidarietà affinché possano continuare e testimoniare Dio in questa terra". Il Papa ha sottolineato che "la storia del Medio Oriente ci insegna il ruolo importante e spesso fondamentale svolto dalle diverse comunità cristiane nel dialogo interreligioso e interculturale. Chiediamo a Dio di donare a questa regione del mondo la pace tanto desiderata, nel rispetto delle legittime differenze. Dio benedica il Libano e il Medio Oriente".

In precedenza, nella catechesi per l'incontro settimanale, il Papa aveva detto che come cristiani "non possiamo mai perdere la speranza, sappiamo bene che nel cammino della nostra vita incontriamo spesso violenza, menzogna, odio, persecuzione, ma questo non ci scoraggia", perché "sappiamo che la vittoria è di Dio". Per questo la Chiesa, che "vive nella storia, non si chiude in se stessa, ma affronta con coraggio il suo cammino in mezzo a difficoltà e sofferenze, affermando con forza che il male in definitiva non vince il bene, che il buio non offusca lo splendore di Dio".

Questa prospettiva che porta a elevare a Dio e a Gesù, nella preghiera, "la lode e il ringraziamento" è l'insegnamento che Benedetto ha proposto oggi alle ottomila persone presenti per l'udienza generale, illustrando "la preghiera nella seconda parte dell'Apocalisse". Essa ci dice che "Dio non è insensibile alle nostre suppliche, interviene, fa tremare e sconvolge il sistema del Maligno": "davanti al male si ha l'impressione di non poter fare nulla, ma proprio con la preghiera, la potenza di Dio rende feconda la nostra debolezza".

"Tutte le nostre preghiere, malgrado tutti i nostri limiti raggiungono il cuore di Dio, nessuna va perduta ed esse trovano risposta, anche se a volte misteriosa, perché Dio è amore e misericordia infinita".
http://www.asianews.it/notizie-it/Papa:-Dio-doni-al-Medio-Oriente-la-pace-tanto-desiderata-25795.html


Libano. I luoghi che attendono Benedetto XVI
I video di FRANCISCAN MEDIA CENTER : Terra Santa news
 
 

martedì 11 settembre 2012

Il coraggio di Benedetto XVI sostiene le Chiese del Medio oriente e la Primavera araba

di Samir Khalil Samir
da Asia News -11/09/2012
Pur con le tensioni nella vicina Siria e i venti di guerra fra Israele e Iran, il viaggio in Libano non è stato rimandato. Cristiani e musulmani lo aspettano. L'Esortazione apostolica deve favorire il rapporto fra clero e laici, l'ecumenismo, l'amicizia fra cristiani e musulmani, l'impegno per i poveri, l'educazione. Il Libano possibile modello per la Primavera araba: cittadinanza comune fra cristiani e musulmani, libertà di coscienza (e di convertirsi da una religione all'altra), oltre gli eccessi del permissivismo occidentale e del fondamentalismo islamico.
Beirut (AsiaNews) Tutto il Libano si prepara ad accogliere la visita di Benedetto XVI (14-16 settembre). Si preparano anzitutto i cristiani con incontri diocesani e nazionali fra giovani, coppie, famiglie, ecc. Il Paese brulica di bandiere libanesi e vaticane; lungo tutta l'autostrada che percorre la costa vi sono immagini del pontefice con frasi significative; cartelloni luminosi. Anche nella stampa, tutti i giorni, vi sono articoli di preparazione.

Tutti aspettano la sua parola di pace e di riconciliazione, anche se la situazione in Siria, a pochi passi da qui, è molto tesa. Nonostante ciò il governo sta facendo di tutto per garantire la sicurezza. Il fatto che il viaggio avvenga, che non sia stato rimandato o cancellato, è un elemento importante. Tanti ancora non ci credono, ma io lo confermo e dico: Questo venire di Benedetto XVI è già la prova che il papa sa del pericolo, ma non lo teme. E se dovesse succedere qualcosa - Dio non voglia - significa: Io condivido le vostre preoccupazioni e inquietudini.

In effetti, il pontefice e la Chiesa al Sinodo sul Medio oriente hanno sottolineato che i cristiani di questa regione non devono abbandonare questi luoghi perché "abbiamo una missione qui". Ma se al primo rischio, il papa avesse cancellato il viaggio, sarebbe stata una contro-testimonianza. Invece il papa sembra affermare: La vostra situazione è difficile e lo sappiamo. Ma vogliamo aiutarvi e confermarvi che la vostra presenza è importante. Questo viaggio è un messaggio già per il fatto stesso che avviene.

Anche i musulmani attendono il papa

Vi sono parole di benvenuto al papa anche dalle personalità musulmane. I musulmani non sono indifferenti. La figura del papa e di questo in particolare, è sempre stata una figura pacifica, costruttiva, che predica la comprensione e la riconciliazione, la pace fra musulmani e cristiani. Il Libano poi, è un Paese piccolo e debole ed è contento di essere messo per alcuni giorni sotto i riflettori del mondo.

D'altra parte il Libano è anche il Paese arabo dove c'è più intesa fra cristiani e musulmani. Il fatto che il papa per dire qualcosa al Medio oriente scelga il Libano, significa che questo Paese ha anche una missione. E i musulmani libanesi sono consci di questo. Di fronte a problemi quali la libertà religiosa, la libertà di coscienza, il rapporto con la modernità e l'occidente, essi hanno una posizione molto più moderata e aperta di tutti gli altri musulmani della regione.

In questo settore essi hanno una funzione trainante perchè sostenitori della convivenza. Tale posizione non è neppure facile perché anche in Libano i conflitti possono sorgere per un nonnulla. Vi sono provocazioni che vengono dall'estero: i problemi della Siria, la tensione con l'Iran, i fondamentalisti dalla Giordania o dall'Arabia saudita o del Qatar; i profughi dall'Iraq...

Eppure la comunità libanese mantiene la sua posizione. In questi ultimi anni, poi, i conflitti sono più fra musulmani, fra moderati - la stragrande maggioranza - e le tendenze salafite pur presenti in Libano. E la risposta è sempre per una moderazione, non a favore dell'estremismo. Ieri, durante una gita speleologica a Jaita, nel Metn, abbiamo visto centinaia di famiglie musulmane in visita. Anche loro simpatizzano per la venuta del papa.
continua la lettura su :
http://www.asianews.it/notizie-it/P.-Samir:-Il-coraggio-di-Benedetto-XVI-sostiene-le-Chiese-del-Medio-oriente-e-la-Primavera-araba-25780.html

domenica 9 settembre 2012

Angelus 9 settembre 2102 - Messaggio del Papa alla vigilia della sua partenza per il viaggio in Libano: IL CUORE DI UN PADRE

Dopo la recita dell'Angelus, rivolto alle quattromila persone presenti nel cortile del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, parlando in francese - e il Vaticano ha diffuso anche la traduzione in arabo - il Papa si è così rivolto ai presenti:

"Cari pellegrini qui presenti, o che partecipate all'Angelus attraverso la radio o la televisione, nei prossimi giorni, mi recherò in viaggio apostolico in Libano per firmare l'Esortazione apostolica post-sinodale, frutto dell'Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, svoltosi nell'ottobre del 2010. Avrò la felice occasione di incontrare il popolo libanese e le sue autorità, oltre ai cristiani di questo caro paese e quelli provenienti dai paesi vicini".

"Non ignoro la situazione spesso drammatica vissuta dalle popolazioni di questa regione da troppo tempo straziata da incessanti conflitti. Comprendo l'angoscia dei molti medio-orientali quotidianamente immersi in sofferenze di ogni tipo, che affliggono tristemente, e talvolta mortalmente, la loro vita personale e familiare. Il mio preoccupato pensiero va a coloro che, alla ricerca di uno spazio di pace, abbandonano la loro vita familiare e professionale e sperimentano la precarietà degli esuli. Anche se sembra difficile trovare delle soluzioni ai diversi problemi che toccano la regione, non ci si può rassegnare alla violenza ed all'esasperazione delle tensioni. L'impegno per un dialogo e per la riconciliazione deve essere prioritario per tutte le parti coinvolte, e deve essere sostenuto dalla comunità internazionale, sempre più cosciente dell'importanza per tutto il mondo di una pace stabile e durevole nell'intera regione. Il mio viaggio apostolico in Libano, e per estensione nel Medio Oriente nel suo insieme, si colloca sotto il segno della pace, facendo riferimento alle parole del Cristo: "Vi dò la mia pace" (Giov. 14,27). Che Dio benedica il Libano ed il Medio Oriente!".
http://www.asianews.it/notizie-it/Papa:-in-Medio-Oriente-pace-e-riconcliazione-siano-impegno-delle-parti-in-causa-e-del-mondo-25766.html
 
8/09/12: Bombardati due luoghi religiosi ad Aleppo. Secondo Arabs Press, due obus si sono abbattuti sulla chiesa di Saint Mikhaïl e sul convento delle suorine nel quartiere aleppino de ‘Aziziyyé. Secondo il sito Shukumaku, i miliziani hanno colpito un altro convento, San Vartan nella regione Maydane. Gli abitanti del villaggio cristiano di Qassab, vicino a Lattakia, hanno dovuto lasciare il paese preso in ostaggio dall'ESL. 

 

sabato 8 settembre 2012

Grande attesa della visita del Papa in Libano. UNA SCHEDA PER COMPRENDERE LA SITUAZIONE DI QUESTO FRAGILE PAESE

di Mario Villani
Il Libano è un Paese letteralmente “schiacciato” tra Siria, Israele e Mar Mediterraneo. Ha una caratteristica che lo rende unico, ma anche particolarmente fragile.

Nei poco più di diecimila chilometri quadrati che compongono il suo territorio convivono in un equilibro, maturato nei secoli eppure ancora non di rado precario, ben diciassette diverse comunità religiose. Musulmani sciiti e sunniti, drusi, cattolici di rito orientale (principalmente maroniti) e latino, cristiani ortodossi di varie liturgie, armeni, ebrei e piccole realtà protestanti. A differenza degli altri paesi arabi i cristiani non sono una piccola minoranza, ma rappresentano circa il 50% della popolazione (e oltre se si considera la diaspora libanese all'estero). Le due città principali sono Beirut, la capitale, e Tripoli del Libano che fu un importante porto nel nord del Paese, ma che oggi vive un periodo di seria decadenza.

Il Libano è stato travagliato dal 1975 al 1990 da una guerra che ha fatto quasi duecentomila morti (su meno di quattro milioni di abitanti), ha messo le comunità religiose l'una contro l'altra, ha diviso i Maroniti in due fronti che hanno finito, nel 1990, addirittura per combattersi tra di loro ed ha provocato una duplice invasione straniera: quella israeliana e quella siriana. Da alcuni anni, e malgrado gravissimi ed irrisolti problemi, il “Paese dei Cedri” ha cercato di ritrovare una sua normalità, sanando le ferite della guerra e ritrovando, dopo il duplice ritiro degli eserciti di Israele e Siria, un certo grado di reale indipendenza. Attualmente nel Paese si fronteggiano due schieramenti politici: l'alleanza definita del “14 marzo” composta dai sunniti di Hariri (un miliardario legato all'Arabia saudita, di cui ha persino la cittadinanza) e dai Cristiani delle Forze Libanesi e di altri piccoli partiti. Contro, ed attualmente al governo, vi è l'alleanza del “23 marzo” composta invece dagli sciiti di Hezbollah, dai Cristiani che fanno capo al Movimento Patriottico Libero del generale Michel Aoun, dagli Armeni e da altre formazioni minori tra le quali il Partito Nazionale Socialista pro-siriano. In mezzo tra i due schieramenti ondeggiano i Drusi di Walid Joumblatt.

Nel nord del Paese la comunità religiosa prevalente è quella sunnita, con una presenza cristiana che si è notevolmente ridotta nel corso della guerra 1975-1990. Solo per fare un esempio, a Tripoli del Libano prima del 1975 le comunità cristiane erano complessivamente circa il 30% della popolazione, mentre oggi non arrivano neppure al 5%. Rimane invece, sempre al nord, una consistente presenza cristiana -quasi integralmente maronita- nella regione dell'Akkar e nelle valli più impervie del Monte Libano.

Tripoli è oggi considerata in assoluto la città più povera del Libano, con percentuali di disoccupati superiori al 50% della forza lavoro e la stragrande maggioranza della popolazione che vive con un reddito di meno di seicento dollari all'anno. Questa drammatica situazione sociale, unitamente alla massiccia presenza sunnita, rendono questa città del nord Libano il terreno ideale per la diffusione di quell'ideologia islamista conosciuta come salafismo (che letteralmente significa i pii antetati) che trova appoggio e comprensione nei regimi della penisola arabica ed in particolare nell'Arabia Saudita wahabita. Ricordiamo che i salafiti sono la componente principale e più sanguinaria del movimento di rivolta in corso in Siria ed è quindi facilmente comprensibile la ragione per cui la tensione nel nord Libano stia rapidamente crescendo.

Le avvisaglie si erano, per la verità, percepite ben prima che si aprisse la crisi siriana.

venerdì 7 settembre 2012

«Non temere, piccolo gregge»: colloquio con il patriarca di Antiochia dei siri sulla visita del Papa in Libano

Verità e giustizia in arabo
da L'Osservatore Romano - 7 settembre 2012
La parola araba haqq ha due significati: verità e diritto, nel senso di giustizia. Nessun’altra lingua, che io sappia, ha questa particolare ricchezza espressa da una sola parola. Per i popoli arabi non è forse una coincidenza significativa, e anche un impegno, che ci sia un legame così stretto tra verità e giustizia?». Per Ignace Youssif III Younan, dal 2009 patriarca di Antiochia dei Siri la cui sede è proprio nel quartiere siriano di Beirut, la capitale del Libano, «se la violenza è sempre un orrore in Medio Oriente lo è forse ancora di più». Parole che il patriarca pronuncia «con dolore», costatando quanto invece «la pace sia purtroppo al momento così tanto lontana dalla vita della nostra gente». Siriano di origine, il patriarca rilancia — nell’intervista al nostro giornale — la proposta di un tavolo per la pace per fermare le violenze e trovare una soluzione pacifica e condivisa che garantisca più democrazia e il rispetto dei diritti umani. E in questa prospettiva si aspetta molto dall’ormai imminente visita di Benedetto XVI, atteso a Beirut venerdì 14 settembre.


E proprio l’indissolubilità tra verità e giustizia, su cui lei sta puntando tutto, sarà probabilmente anche il cuore del messaggio del Papa.
Verità e giustizia non si possono separare: è un fatto che nel mondo arabo dovrebbe essere sempre tenuto in considerazione assoluta ogni volta che si pronuncia, consapevolmente, la parola haqq. È un’idea che ho rilanciato intervenendo al Sinodo dei vescovi del 2008 dedicato alla Parola di Dio e ripreso poi al momento di iniziare il mio servizio come patriarca. È sotto gli occhi di tutti che non ci possa essere verità senza giustizia né giustizia senza verità. Soprattutto è un linguaggio comprensibile a tutti in Medio Oriente.

Di diritti umani e giustizia, tracciando quasi un profilo della primavera araba, ha trattato anche il Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente, nel 2010, di cui lei è stato presidente delegato.
Il Sinodo per il Medio Oriente ha suscitato nuove speranze e non nascondo che abbiamo forti aspettative per l’esortazione apostolica post-sinodale che il Papa verrà a consegnarci personalmente. L’idea di fondo è semplice: riaffermare a chiare lettere la volontà dei cristiani e dei musulmani di vivere insieme, in pace, collaborando per costruire un sistema più democratico di convivenza pluralista. Le religioni sono motivo d’incontro e non di scontro.

Quindi, secondo lei, in Medio Oriente dovrebbe essere impossibile, ancor più che altrove, commettere violenze usando il nome di Dio.
Il Medio Oriente resta la culla delle civiltà e delle religioni dove tutti abbiamo davanti un’unica strada: convivere pacificamente e lavorare insieme per il bene della nostra gente. La religione non può mai essere violenza.

Eppure ciò che sta avvenendo nella regione è ben lontano da prospettive di convivenza pacifica. Lei è di origine siriana, come vede la situazione nella Siria di oggi?
Con grande timore. Un timore purtroppo realistico, guardando anche all’esperienza irachena. La necessità di trovare presto soluzioni che aprano la strada al dialogo e a riforme di libertà e giustizia non è un’idea solo della minoranza cristiana, ma di tutti i credenti e degli uomini di buona volontà. Le violenze devono cessare e le parti in causa devono trovare il coraggio di sedersi intorno a un tavolo di pace per ricercare insieme le soluzioni giuste per tutti, nell’interesse della popolazione che chiede un futuro di pace. Si aggiunga anche la questione terribile dei profughi. In Libano ne arrivano tanti di cristiani in fuga: è sempre più complicato accoglierli e garantire loro una vita dignitosa.

Ma cosa sta accadendo in Siria?
Duole confessarlo, in Siria lo scontro non è soltanto una questione politica ma tocca anche le diverse confessioni religiose. Una constatazione che fa male perché quella è una terra che ha visto fiorire una cultura importante, antica, improntata all’accoglienza e alla tolleranza. I cristiani oggi sono una minoranza esigua e più che mai vulnerabile. Il messaggio che portano alla società, anche solo con la loro presenza, va infatti in senso contrario ai progetti radicali che invece non tengono per niente conto del valore della persona. Ancora una volta la questione di fondo è il riconoscimento e il rispetto dei diritti umani. Ai cristiani, invece, vengono sistematicamente negati i diritti più comuni.

mercoledì 5 settembre 2012

LA RESPONSABILITA' DI CHI FA INFORMAZIONE

L' orrore di una guerra troppo fotogenica

di TZVETAN TODOROV
LaRepubblica 2 settembre 2012


L' ESTATE del 2012, come quella del 2011, è stata scandita dagli echi della guerra: questa volta però non in Libia, ma in un altro Paese arabo, la Siria. E non sono le forze occidentali (le nostre) che schiacciano il turpe nemico, si tratta di una guerra civile di cui noi, almeno ufficialmente, siamo soltanto spettatori. L' impressione globale che traggo dalle mie frequentazioni mediatiche estive è quella di una fascinazione di fronte allo spettacolo della guerra.
C'è una frase che coglie e al tempo stesso incarna lo stato d' animo che sovrintende a questi reportage militari ed è di Florence Aubenas. Giornalista stimata, la Aubenas descrive un convoglio pronto a partire per il fronte, poi aggiunge: «Intorno, i bambini fanno ala, sbalorditi, irretiti dall' ammirazione a tal punto che non osano più avvicinarsi a quegli uomini». Visto che nemmeno la Aubenas stessa osa commentare lo sbalordimento di quei bambini, conseguenza tragica del conflitto, siamo noi - giornalisti e lettori - che siamo invitati a condividere questa esperienza di folgorazione. La fascinazione si traduce, nella stampa, in una sovrabbondanza di immagini: la guerra è fotogenica.
Pagina dopo pagina, contempliamo le rovine fumanti degli edifici, i cadaveri stesi sul selciato, i cattivi condotti all' interrogatorio, probabilmente energico; o ancora le immagini di uomini giovani e belli con un kalashnikov in mano o a tracolla. Le foto, lo sappiamo, provocano un' emozione forte, ma prese isolatamente non emettono alcun giudizio ed è impossibile dare loro un senso. La stessa compiacenza caratterizza i testi che accompagnano le foto: ci si rallegra di vedere gli effetti di un attentato audace, di scoprire un esercito che si appresta a prendere il potere. «La battaglia galvanizza i ribelli», ma galvanizza palesemente anche i giornalisti. Le foto mostrano i visi inquieti dei prigionieri, le didascalie li identificano stringatamente: «Un uomo sospettato di essere un informatore», «Un poliziotto accusato di spionaggio»; sono ancora vivi al momento della pubblicazione? Si traccia con disinvoltura il ritratto di un ragazzo «modesto» la cui specialità è «sopprimere i dignitari e i capi dei miliziani». Ma non è da biasimare: «È un assassino di assassini, un uccisore di uccisori». I combattimenti, la violenza non sono solamente fotogenici, sono anche mitogenici, generano i racconti più palpitanti, quelli che ci fanno fremere e comunicare. Nella grande maggioranza dei casi, i media non si accontentano di rappresentare la guerra, la glorificano: hanno scelto da che parte stare e partecipano allo sforzo bellico. A dire il vero, la guerra suscita quasi sempre una fascinazione, perché rappresenta la situazione per eccellenza in cui, in nome di un ideale superiore, si è pronti a rischiare la cosa più preziosa che si possiede, la vita. A ciò si aggiunge l' ammirazione che nutrono gli spiriti contemplativi per gli uomini d' azione, rapidamente trasformati in simboli, e anche l' attrattiva che esercita la violenza: proviamo piacere a guardare distruzioni, massacri, torture.
Il fascino della guerra nasce anche dal fatto che rappresenta una situazione semplice, dove la scelta viene da sé: il bene si contrappone al male, i nostri agli altri, le vittime ai carnefici. Mentre prima l' individuo poteva trovare la propria vita futile o caotica, ora essa assume un senso pregnante. Di colpo non ci si preoccupa più di interrogare la realtà che sta dietro alle parole. La rivoluzione è necessariamente un bene, qualunque sia l' esito? E la lotta per la libertà non rischia di dissimulare un semplice desiderio di potere? Basta rivendicare i diritti umani, denominazione d' origine non controllata, per essere consacrati come loro difensori?

Eppure, negli stessi resoconti, compare un' altra immagine della guerra, se solo si va al di là dei titoli a effetto e delle didascalie delle foto e ci si interessa nel dettaglio alle descrizioni. Le giustificazioni ideologiche, essenziali in un primo momento per mettere in moto una guerra civile, in un secondo momento servono soltanto a rivestire una logica più potente, inerente alla guerra stessa, una catena di rappresaglie e controrappresaglie, con la violenza che ogni volta sale di una tacca più su. «Nessun perdono è possibile, sarà occhio per occhio e dente per dente». «Quelli che hanno ucciso li uccideremo». L' intransigenza diviene un dovere, la negoziazione e il compromesso sono percepiti come dei tradimenti.
Le vittime principali non sono i combattenti dell' uno e dell' altro esercito, ma le popolazioni civili, sospettate di complicità con il nemico, che vivono nell' insicurezza permanente, che muoiono in esplosioni indiscriminate, che fuggono abbandonando le loro case e i loro villaggi, che si ammassano nei campi profughi installati nei Paesi vicini. Le guerre civili non sono mai un semplice scontro fra due parti della popolazione, consacrano la scomparsa di qualsiasi ordine legale comune, incarnato ai giorni nostri dallo Stato, e rendono dunque lecite le manifestazioni della forza bruta: saccheggi, stupri, torture, vendette personali, uccisioni gratuite. Questo probabilmente è il futuro che attende quei bambini irretiti di ammirazione.
(TZVETAN TODOROV Traduzione Fabio Galimberti) © RIPRODUZIONE RISERVATA


Per i mass media tutte le opinioni sono buone e interscambiabili
Autore: Ricci, Patrizio 
Fonte: CulturaCattolica.it
domenica 2 settembre 2012
I miliziani dell'ELS scacciano i civili dalle abitazioni per farne postazioni di attacco contro l'esercito
regolare. Da qui le distruzioni dei quartieri residenziali, le fughe di masse di profughi...

Laresponsabilità di chi fa informazione  è immensa: si dovrebbe scrivere della pace e della possibilità degli uomini di non vivere più con l’odio. Scrivere che l’odio non deve essere più il filo conduttore della storia degli uomini, ma che solo l’amicizia tra i popoli, il desiderio di infinito, la bellezza possono costruire e fondare le società e gli Stati!
I “nostri” giornali invece si sono rivelati sulla vicenda siriana incapaci di osservare i fatti e di un giudizio semplice. Evidentemente, di questo l’uomo ha bisogno. Più delle analisi e dei sofismi.
Certi articoli ospitati si spingono più in là: contraddicono addirittura il magistero della Chiesa. Se glielo si fa notare, scrivendo in redazione, non rispondono o si mostrano infastiditi. Alla mia obiezione che è contraddittorio dare spazio ai documenti dei Vescovi e, contestualmente, alle interviste ai terroristi, fatti passare come liberatori, mi rispondono che dovrei essere contento, perché è segno che l’informazione è pluralista!
E' pluralismo ospitare personaggi celebri della cultura e del giornalismo che pontificano sulla risoluzione dei problemi con le armi, e si appellano ad improbabili organismi sovranazionali la cui indipendenza è pari a zero?
Ci affidiamo all’emergente “responsability to protect” dell’ONU? La Chiesa giustifica il ricorso alle armi solo per legittima difesa e così la nostra Costituzione! Qui invece si distruggono le case, si uccide settariamente la gente per strada, ci si fa scudo della popolazione civile… E’ un assaggio della libertà. Il giudizio cristiano su queste evidenze non può che essere unico. Penso che la mentalità dominante si stia insinuando davvero dappertutto, perché mi sembra evidente che se c’è unità tra la ragione e l’esperienza non possono verificarsi errori così grossolani!
Si aspetta “il nemico” davanti alla finestra, che arrivi come un ladro, entrando di soppiatto; invece il ladro entra dalla porta principale: dalla nostra stampa, che legittima un pensiero anticristiano e perverso che pretende di imporre le regole di una nuova convivenza dove contano solo le armi, il potere economico e una concezione anticristiana di giustizia e di liberazione dell’uomo. Dov’è il nostro cuore?
E’ in atto un gioco che non tiene conto della sacralità della vita e la “nostra” stampa evidentemente è incapace di disallinearsi. Decine di tentativi di destabilizzazione delle grandi potenze mondiali effettuati nelle varie epoche per contribuire all’ascesa di governanti amici, spesso hanno portato risultati disastrosi per i popoli. Ebbene, quante volte dovrà accadere di nuovo, prima che ne prendiamo consapevolezza? Prima che per analogia lo si sappia riconoscere quando riaccade?
Come dicevo, la giustificazione comune delle testate cattoliche - tranne alcune lodevoli eccezioni - è: «Diamo solo spazio al confronto delle varie opinioni perché siamo contro al pensiero unico pro-Assad o pro-ribelli».
Questo tipo di risposta mi lascia perplesso: le opinioni non si incontreranno mai veramente in un confronto di semplici “punti di vista”: nella vita occorre sempre prendere posizione, esprimere un giudizio di valore davanti a ciò che accade. L’opinione è debole perché non nasce da un’esperienza, mentre il giudizio sì! Il giudizio tiene conto dell’esigenza elementare del cuore dell’uomo!
L’incontro tanto richiamato dal Papa Benedetto tra ragione e fede genera uno sguardo originale sulla realtà, uno sguardo cambiato da un incontro: il Mistero che si è fatto carne. Questo fatto ci pone davanti alla realtà non con un’opinione ma con un giudizio che nasce dall’avvenimento storico di Cristo. E’ il rapporto con cui paragoniamo tutto, perché più congeniale alla nostra umanità. Alla luce di questa Presenza noi giudichiamo la realtà e non diciamo semplicemente la nostra più o meno “colta” opinione. Scegliamo questo sguardo e non una confusione di opinioni.
Perciò “tenere conto di tutti i fattori della realtà” – come dice don Giussani - lungi dal generare un giudizio dissociato a seconda dei vari avvenimenti che passano davanti ai nostri occhi, vuol dire guardarli in unità alla luce dell’origine che la realtà stessa indica. Se tale approccio, se tale giudizio tiene conto delle esigenze fondamentali dell’uomo non può essere che unico.
E’ evidente che informare secondo verità non vuol dire riportare tutte le opinioni come buone ed interscambiabili. La scelta stessa delle notizie indirettamente privilegia un particolare giudizio, e non si tratta qui del colore di un pavimento, ma del significato dell’uomo e di che convivenza umana vogliamo costruire. Dobbiamo dire cosa cospira contro il realizzarsi del “bel giorno” per cui l’uomo è fatto.
Ora, come possono le “opinioni” muovere e rispondere alle esigenze del cuore? L’uomo ha bisogno dello sguardo di Cristo; senza questo sguardo è perso. La pretesa tipica del nostro tempo di essere giusti, equi, liberi e democratici “tenendo le distanze” dagli aspetti più importanti della vita si sta rivelando la nostra agonia.
Solo l’Avvenimento di Cristo ha cambiato la storia ed il nostro guardare. Perciò, cari giornali cattolici, possiamo fare di più. Potete fare molto di più.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=31024&Pagina=1&fo=

lunedì 3 settembre 2012

APPELLI A FERMARE LA VIOLENZA CIECA!

 
Gregorios III
Appello in occasione dei recenti eventi in Daraya – Siria . 27 8 2012

Come Patriarca e figlio della città di Daraya, il mio cuore sanguina per le tante vittime che sono stati uccise proprio lì dove sono nato, cresciuto ed educato in un'atmosfera molto buona di musulmani e cristiani.
Ecco perché sto innalzando il mio forte appello per la realizzazione di condizioni favorevoli a porre fine alla sanguinosa lotta in Daraya e in ogni altra regione della Siria.
Noi affermiamo ancora una volta che il dialogo, l’incontro, il rispetto per la libertà di opinione e la dignità di ogni persona, sono i valori su cui si potrà costruire una Siria rinnovata e grazie ai quali si può ricomporre l'atmosfera di amore e di armonia che abbiamo sperimentato e in cui siamo stati cresciuti, in Siria.
Ho grande speranza che noi siriani, che siamo tutti sotto il peso di questa situazione tragica e sanguinosa che ormai dura da diciotto mesi e più, troveremo e dovremo trovare tutti insieme un altro modo rispetto a quello della violenza, armi, omicidi e distruzione, perché questa è una via dove non ci sono vincitori, ma piuttosto, ognuno è un perdente. E la distruzione continua, l’essere umano è ucciso e aumenta l'entità del disastro, che colpisce tutti i cittadini.
Quindi ripeto il mio appello, con il versetto del Corano Venerabile, "Venite a una parola comune tra noi e voi" (Aal ' Imran 3:64) e il versetto del Santo Vangelo, "Beati i costruttori di pace" (Matteo 5:9). Che Dio Onnipotente voglia proteggere la Siria e far cessare questi disastri!
Ho piena fiducia che tutti i miei fratelli e sorelle, i figli e le figlie di Daraya, così cari al mio cuore, vorranno prestare ascolto a questo appello! È l'appello di un fratello, amico e figlio della nostra cara città! Che questo appello sia ascoltato da tutti i responsabili localmente e ovunque!
Con il mio affetto e la mia preghiera,

Gregorios III, Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente e di  Alessandria e Gerusalemme
http://www.pgc-lb.org/eng/gregorios/view/Appeal-on-the-occasion-of-recent-events-in-Daraya-Syria


Il Patriarca Gregorio III Laham chiede “una campagna internazionale per la riconciliazione in Siria”
Fides 4/9/2012  “Per la Siria la riconciliazione è l'unica ancora di salvezza”. Per questo urge “una campagna internazionale per la riconciliazione in Siria” condivisa da tutte le Chiese del mondo: è l'accorato appello del Patriarca greco-cattolico melkita di Damasco, Gregorio III Laham, lanciato in una lettera aperta, mentre la situazione in Siria degenera e “il linguaggio della violenza ha travolto tutti gli altri tipi di linguaggi”.
leggi su :
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39762&lan=ita
https://melkite.org/patriarchate/for-syria-reconciliation-is-the-only-lifeline

Mussalaha, la Siria vista dal basso

Radio3Mondo 3 settembre 2012
Dibattito in studio con Madre Agnès-Mariam de la Croix e Faisal al Mohamad
 

Mentre continua la guerra civile in Siria e il bilancio dei morti viene drammaticamente aggiornato giorno dopo giorno, la comunità internazionale studia come uscire dall’impasse e l’Onu programma per il 4 settembre un nuovo summit con Lakdhar Brahimi, che ha preso il posto di Kofi Annan come inviato speciale delle Nazioni Unite per risolvere la crisi. Ma in Siria oltre a morire si resiste e lo si fa “dal basso”. Una rete civile di siriani e non che lavorano per arrivare alla pace, prestando solidarietà alla popolazione civile che vive nel terrore, sotto il fuoco incrociato dei ribelli e delle truppe di Assad. Sono religiosi, laici, premi Nobel, che si organizzano per creare le condizioni del dialogo e, in silenzio, si affiancano all’azione della “grande diplomazia”. Si chiama Mussalaha e significa “riconciliazione dal basso”. Marina Lalovic ne parla in studio con Madre Agnès-Mariam de la Croix, Superiora greco cattolica di Qara, nel governatorato di Homs, che è in Italia per promuovere l’iniziativa della riconciliazione dal basso in Siria e con Faisal al Mohamad, responsabile dell’Unione dei Coordinamenti per il sostegno della rivoluzione siriana in Italia.
Il brano di oggi è la Sinfonia dell’Oratorio per la Santissima Trinità, esecuzione dell’Orchestra Europa Galante diretta da Fabio Biondi

 
 
Bombardamento sul Monastero di St Jacques (Mar Yakub): testimonianza


Noi non sappiamo perché l'armata dell'esercito siriano ci ha bombardati.

Madre Marie Agnes, la nostra Madre Superiora, ha recentemente detto alla televisione irlandese: “La Siria si trovava sotto un regime totalitario repressivo... E questo totalitarismo non è buono. Ma se l'insurrezione armata instaura un altro totalitarismo, è forse ancora peggio”. ( RTE television, 10 agosto 2012).
Noi soffriamo insieme a tutti i siriani, specialmente con quei 2 milioni e mezzo di cristiani che sono in pericolo, e nessuno è dalla loro parte nella “comunità internazionale”. Come la maggior parte dei siriani, i cristiani tentano di restare neutrali - e di sopravvivere- in una guerra tra il governo di Assad e “ l'Armata Libera Siriana”.

L’ASL sono dei “rivoluzionari democratici” come li dichiarano i media? Se essi vogliono una democrazia, perché sono sostenuti dagli jihadisti islamici e dal regno dell'Arabia Saudita? Se essi rispettano le minoranze, perché si inoltrano nei quartieri cristiani per combattere? Se essi hanno cuore la libera espressione della religione, perché più di 100.000 cristiani sono stati espulsi dalle loro case in Homs e in Al Qusayr? E quelli tra di loro che sono troppo poveri per poter fuggire lontano, perché sono rapiti, assassinati, o utilizzati come scudi umani dall'Asl?. Se essi vogliono la libertà, perché hanno minacciato di occupare il nostro monastero, di metterci alla porta, e di rapire Madre Agnese?
Come i rivoluzionari, noi abbiamo gli occhi rivolti fissamente sulla libertà e la giustizia -ma noi sappiamo che la libertà e la giustizia vengono dall'amore divino e dal Vangelo di Gesù, e non sul filo di spada. Gesù era un vero rivoluzionario. In quanto uomo Gesù ha rifiutato il potere e la violenza; Egli non ha combattuto l'occupazione violenta e corrotta dei Romani nella sua patria. Gesù ci ha rivelato che cosa vuol dire “essere Dio”. Noi vediamo in Lui un Dio che si svuota per diventare uomo, per essere un servitore, per essere “ obbediente fino alla morte, e alla morte di croce”. È questo il potere e la sapienza di Gesù. Gesù non ha soltanto detto le dolci parole “ amate i vostri nemici”: Egli è morto per loro.

I cristiani della Siria chiamano Dio “ l'amico degli uomini”. Noi crediamo che Gesù è “ il Salvatore”, non soltanto il Salvatore dei cristiani ma di tutta l'umanità -non perché noi siamo speciali ma perché Dio è buono.
Noi non ci batteremo con le armi, né possiamo dare supporto alla violenza. Ma noi combatteremo i nostri stessi pregiudizi, le nostre paure e il nostro egoismo. Se Dio ci ha scelti, poveri uomini, come possiamo noi rifiutare chicchessia? Noi ringraziamo il Signore che delle famiglie musulmane si sono rifugiate nel nostro monastero. Esse hanno desiderato pregare con noi -proprio come Dio è uno, così noi possiamo essere uno! Noi siamo stupiti che i musulmani credono che Gesù è un profeta che ha detto la verità, che Egli è vivente, che Egli è salito ai cieli, che Egli ritornerà. Una fede simile, la possiamo ritrovare nell'Occidente “cristiano”? Sì, noi amiamo i musulmani: li sentiamo nostri fratelli, i nostri "cugini", figli di Abramo, come noi, e che hanno mantenuto a volte più di noi la fede.
1 Giovanni 4,7-11: “ Carissimi, amiamoci gli uni gli altri; perché l'amore è da Dio, e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Colui che non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. L'amore di Dio è stato manifestato verso di noi in questo: che Dio ha mandato il suo unico Figlio nel mondo, affinché noi viviamo per mezzo di Lui. E questo amore consiste non nel fatto che noi abbiamo amato Dio, ma nel fatto che Egli ci ha amati e ha dato suo Figlio come vittima per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.”

Il popolo siriano soffre attacchi omicidi da parte di islamisti estremisti che non rappresentano in alcun caso la maggioranza della popolazione musulmana siriana.
Ogni giorno vi sono bambini, mamme, papà e nonni di ogni appartenenza religiosa che si fanno uccidere perché non vogliono partecipare alla “ rivoluzione per la democrazia”. Questi terroristi scacciano le persone dalle loro case per fare la guerra all'armata siriana nascondendosi in mezzo ai quartieri residenziali. Questo grida al cielo.
 Non è questa la democrazia che vogliono i siriani.
Noi preghiamo il Signore di illuminare la coscienza umana, così che ognuno di noi possa prendere la posizione giusta che gli consentirà di entrare nel piano di Dio per le Nazioni: perché il Signore ha detto: "I miei pensieri sono pensieri di pace e non di sventura".


venerdì 31 agosto 2012

Cristiani al lavoro per la costruzione tenace e paziente di una nuova Siria

COSTRUIRE OPERE CHE SIANO "FORME DI CIVILTA' NUOVA" (GIOV.PAOLO II): ECCO L'IMPEGNO DELLA CHIESA PER LA SALVEZZA ED IL FUTURO DELLA SIRIA
I SALESIANI AD ALEPPO
Una scuola per salvare Homs

Gli Scouts de Cluses in France in Haute-Savoie  consegnano aiuti umanitari  a Mère Agnès Mariam de la Croix


 


Contributo socio-educativo dell'Ispettoria Salesiana nelle città siriane di Aleppo, Kafroun e Damasco
di Eugenio Fizzotti
ROMA, venerdì, 31 agosto 2012 (ZENIT.org).- L’Ispettoria Salesiana del Medio Oriente, con sede ispettoriale a Betlemme, ha due comunità in Libano, tre in Egitto, cinque in Israele, una in Turchia, una in Iran e tre (di cui una però con attività religiosa sospesa) in Siria. Volendo informare i confratelli salesiani di tutto il mondo sulla situazione della Siria, sulla tragica situazione degli sfollati e dei profughi, e in modo particolare sulla presenza salesiana a Damasco, Aleppo e Kafroun, l’Ispettore Don Munir El Rai ha inviato un comunicato particolarmente apprezzato e fonte di preghiera oltre che di solidarietà.
Partendo dalla considerazione, nota a livello mondiale, che «la situazione del paese sta peggiorando e le ultime notizie riferiscono cheAleppo e Damasco e dintorni sono attaccate e bombardate», Don Munir informa che «la carenza di carburante, elettricità, acqua, pane, gas, benzina e auto, oltre alle paralisi dei mercati e alla disoccupazione, si aggiunge alla mancanza di sicurezza e al caos», con la conseguenza che, essendo diventate difficili le comunicazioni elettroniche, «la situazione economica generale peggiora a vista d’occhio, a causa della chiusura di fabbriche e attività e della conseguente dilagante disoccupazione».

lunedì 27 agosto 2012

Siria, la voce della maggioranza silenziosa

http://www.voxclamantis.info/Photos.html

'Mussalaha' o riconciliazione
"La maggioranza silenziosa del popolo siriano desidera LA PACE, la pace e la riconciliazione. Tutto il resto è manipolazione e menzogna. In questo desiderio di vivere attraverso tutto nella tolleranza reciproca con l'altro si esprime la vera grandezza del popolo siriano."
Testimonianza del sacerdote Daniel Maes, che  vive in Siria


I nostri media solitamente raccontano di una rivolta pacifica della popolazione siriana, che sta diventando sempre più sanguinosa perché viene soppressa dal regime, inoltre proclamano che la comunità internazionale dovrebbe esercitare maggiore pressione sul regime, rendere più incisivo l'aiuto all'opposizione per fermare lo spargimento di sangue, e premere perché la Russia e la Cina  rinuncino al loro sostegno a questo regime sanguinario.

Questa opinione generale, confezionata in mezze verità e bugie intere, non solo mette in pericolo di vita, chi, sulla base di ciò che realmente accade in Siria, lotta per la preservazione di questo paese, ma suscita anche lo spargimento di sangue. Interventi stranieri non sono la soluzione, ma la causa della violenza.

Lasciate che la Siria si interroghi. La gente vuole la pace. Lasciatele cercare il suo modo di riconciliazione o ‘mussalaha'

Una pacifica sollevazione popolare?
All’ inizio della ribellione io ho potuto rilevare nel nostro villaggio di Qâra, con i suoi quasi 500 cristiani e 25.000 sunniti . Siamo stati  ospiti regolari presso il nostro collega Abouna Georges, il sacerdote bizantino e siamo stati accolti calorosamente da famiglie cristiane, ma altrettanto calorosamente da famiglie musulmane. Ci siamo goduti la forte tradizione di libertà, uguaglianza e coesistenza pacifica di cui il popolo siriano era un modello. Non vi era la violenza e il furto, ben pochi erano poveri e c'era abbastanza prosperità per chiunque. Ogni donna e ogni ragazza poteva vestire come voleva. Uomini e donne di ogni etnia o gruppo religioso potevano occupare tutti i posti. Inoltre, la Siria ha offerto a quasi 2 milioni di profughi una casa ospitale e un'uguaglianza, come non hanno ottenuto in nessuna altra parte nel mondo arabo. Abbiamo accolto I rifugiati specialmente nella zona di  Damasco, ma anche in Qâra e nel nostro monastero. E l'aspettativa di vita della popolazione siriana è salita da 56 (nel 1970) a 72 anni (nel 2006). Chi ha interesse per l'attuale distruzione del paese?

 Improvvisamente la società è cambiata in modo radicale. Il grande inquisitore dei Fratelli Musulmani Muhammad Al Ryad Shaqfa ha chiamato dagli Emirati Arabi Uniti e Yemen tutti i musulmani al 14/02/2011, per combattere contro la Siria. Ha gridato per un intervento militare dall'esterno. Dalla canonica al Qâra, da aprile 2011, si vedeva partire un gruppo di giovani ogni venerdì sera diretti dalla Moschea (era un tempio pagano, successivamente la St. Nicholas' Church) a manifestare contro il governo e il Presidente, su un richiamo condotto da sconosciuti. Ci sono alcuni video nei quali essi erano pagati da Al Jazeera, dice il sacerdote che li conosceva. E come facinorosi nei nostri villaggi in realtà nessuno voleva davvero sostenerli, così questo gruppo non è stato supportato da nessuno nel villaggio. Tuttavia questo gruppo è cresciuto. Esso è cresciuto con incendio criminale e armato di violenza. Il Sacerdote è stato perquisito e derubato da uomini mascherati con un accento strano da cui con difficoltà è riuscito a sfuggire a uno strangolamento. E per noi era non più piacevole la visita a Qâra. Abbiamo sentito da amici che è andato nello stesso modo in altri luoghi. L "opposizione" ha imposto che quando si manifesta i negozi si chiudano. A  Quosseir e Homs figli di famiglie cristiane o musulmani moderati erano minacciati e perfino uccisi perché hanno rifiutato di aderire a una dimostrazione anti-governo. Se la popolazione di Aleppo, ha detto il locale arcivescovo Jeanbart, nell'agosto 2012 non avesse opposto energica resistenza contro queste bande armate e non avesse aiutato l'esercito, la città sarebbe stata occupata già dopo un giorno. Tutto questo non ha nulla a che fare con una "rivolta popolare pacifica".

Chi è l’ "opposizione"?
Fin dall'inizio ci sono stati molti gruppi di opposizione con i loro leader. CNCCD (Comité National de Coordination pour le Changement Démocratique) è il più antico e molto diviso. Vuole la caduta del governo ma nessun intervento straniero. Il gruppo di opposizione più moderato contiene il Partito Nazionale Siriano, l’ iniziativa curda, il Partito Comunista siriano e vari altri. Vogliono un dialogo con il governo e declinano qualsiasi intervento straniero radicalmente. Il terzo è il gruppo di opposizione estera di CNS (Conseil National Syrien), dominata dai Fratelli Musulmani (da Washington, Londra, Bruxelles). Questi estremisti religiosi rifiutano dialogo e riforme democratiche e chiedono un jihad armata in Siria per riportare l'islamismo rigoroso. Il CNS si atteggia a rappresentante ufficiale della Siria ma in realtà è una vergogna per la popolazione. Esso gode del sostegno di America, Inghilterra, Francia, Turchia, le milizie libanesi, Giordania e, naturalmente, Arabia Saudita e Qatar. All'interno e al di fuori di questi gruppi operano bande sempre più criminali che sfruttano la crescente insicurezza della loro battaglia. Gli aerei della NATO il 26/11/11 hanno trasferito al confine settentrionale con la Siria (in Eskandarun, Turchia) a Damasco Abdel Hakim Belhadj, il ‘macellaio’ di Baghdad e Tripoli, insieme ad un battaglione di 700 combattenti libici (Al-Qaeda) per aggiungere alla sua squadra attuale. Come regalo di Natale, ha ottenuto una massa di armi, rubate da depositi di Gheddafi. Due giorni prima di Natale è già iniziato un attacco a Damasco: più di 50 morti e più di 200 feriti. Nel frattempo, fa anche i nostri servizi di sicurezza di Stato belga sono preoccupati perché ora si scopre che i fondamentalisti musulmani dal nostro paese sono al lato di Al-Qaeda nella lotta contro la Siria!

In breve, il pacifico tubare di colombe di pace "all'opposizione", è  soffocato dagli orrori inenarrabili delle bande criminali che seminano il terrore ovunque. I giovani sono delusi perché potenze straniere dettano il loro ordine del giorno. I nazionalisti hanno stati truffati perché i gruppi armati li soverchiano con la loro pretesa di un intervento militare straniero. I musulmani moderati sono stati truffati perché i salafiti e i fondamentalisti vogliono stabilire una dittatura totalitaria che è molto peggio di quanto il governo siriano sia mai stato. E i cittadini comuni sono delusi perché sono vittime di bande armate ovunque, contro le quali non sono protetti.

"Il regime siriano" è da tempo caduto


Saccheggiato l’Arcivescovado greco cattolico di Aleppo. Libano, in attesa del Papa, angoscia per la Siria.

Aleppo (Agenzia Fides) – L’episcopio dell’Arcivescovo Metropolita greco-cattolico di Aleppo, Sua Ecc. Mons. Jean-Clément Jeanbart, è stato violato e saccheggiato durante scontri fra miliziani e truppe lealiste.
L’Arcivescovo, il suo Vicario e alcuni preti sono fuggiti poche ore prima dell’episodio, avvenuto giovedì scorso, e si sono rifugiati nella casa dei Francescani ad Aleppo. Secondo fonti di Fides nella comunità cattolica locale, i responsabili “sono gruppi non identificati, che intendono alimentare una guerra confessionale e coinvolgere la popolazione siriana in conflitti settari”. Come conferma a Fides il francescano p. George Abu Khazen, OFM, Pro-vicario Apostolico della comunità cattolica latina, che ha ospitato i confratelli greco-cattolici, “l’Arcivescovo Jeanbart ha espresso grande preoccupazione e costernazione per l’episodio, e ha ripetuto, scosso, un’unica parola: Perchè?”. Poi è partito per il Libano, dove si trova tuttora. Nei giorni successivi, quando i militari hanno ripreso il controllo della situazione, il Vicario di Mons. Jeanbat è potuto tornare in sede, constatando che le porte erano state forzate e che dall’episcopio mancavano diversi oggetti (tra cui computer e proiettore).
P. George spiega che nei giorni scorsi c’è stata battaglia nella città vecchia di Aleppo, e che i combattimenti sono giunti fino alla Fahrat Square, dove vi sono tutti gli arcivescovadi. Oltre a quello greco cattolico (melkita), anche quello cattolico maronita è stato danneggiato. Alcuni miliziani hanno fatto irruzione anche nel museo cristiano bizantino “Maarrat Nahman”, danneggiando reperti e alcune icone. Secondo p. George, una soluzione al conflitto “ancora non si vede, perché nessuno degli attori in campo, nazionali e internazionali, fa pressioni per avviare un reale dialogo”.
Parlando a Fides, un altro esponente della gerarchia locale, che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza, lancia l’allarme: “Con l’intervento, ormai assodato, di gruppi di jihadisti, c’è il tentativo di fomentare odio e conflitti settari. Si registra un crescente numero di milizie islamiste wahabite e salafite, provenienti da Cecenia, Pakistan, Libano, Afghanistan, Tunisia, Arabia, Libia: tali gruppi hanno l’unico scopo di portare caos, distruzione, atrocità, e di paralizzare la vita sociale. La popolazione civile siriana ne è vittima. Ma non cadrà in questa trappola”. (PA) (Agenzia Fides 27/8/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39706&lan=ita


Patriarca Younan: «In attesa del Papa, la nostra angoscia per la Siria»
(Beirut) - La prossima visita del Papa al Paese dei cedri resta confermata, pur nelle convulsioni che dalla Siria stanno tracimando in Libano e sulle quali pesa «l’opportunismo economico» con cui l’Occidente guarda al travaglio che scuote il mondo arabo. Così il patriarca dei siro-cattolici Youssif III Younan parla dell’imminente viaggio papale a Beirut dalla sede del patriarcato a Charfat, dove si terrà l’incontro ecumenico con Benedetto XVI il 16 settembre.

intervista di  Manuela Borraccino | 27 agosto 2012
Beatitudine, a che punto è la guerra in Siria?
Siamo molto preoccupati per il Paese e in particolare per Aleppo, dove continuano i combattimenti tra l'esercito regolare e i ribelli, anche in centro città, con i cittadini che restano rintanati in casa, senza poter sfollare. L’unica via di fuga sarebbe l’aeroporto di Aleppo, ma anche la strada per raggiungerlo è divenuta pericolosissima per via dei check-point del cosiddetto Libero esercito siriano. Le ultime settimane sono state drammatiche per la sicurezza, i rifornimenti alimentari ed energetici.
Che cosa pensate di fare?
Gli sviluppi sono imprevedibili, ed è difficile anche pensare a cosa fare. Il regime dice di essere pronto al dialogo, i ribelli e l’opposizione hanno messo come condizione, per sedersi al tavolo del negoziato, la rinuncia di Bashar al-Assad al potere, una richiesta inaccettabile per il presidente. Perciò siamo ad un punto morto.
Come giudica l’atteggiamento della comunità internazionale?Uno dei paradossi della crisi siriana è che le monarchie del Golfo, che sono a maggioranza sunnita, intendono rovesciare anche per ragioni confessionali il regime siriano, e i Paesi occidentali anziché rifiutare il confessionalismo e tentare una mediazione appoggiano, per via del petrolio, i Paesi del Golfo. Abbiamo il dovere di chiederci come mai l’Occidente - una comunità di Paesi che si definiscono laici e con società civili basate sui diritti umani, che prescindono dalla fede dei singoli cittadini - accetti senza riserve che nel Ventunesimo secolo l’Organizzazione della Conferenza islamica, che riunisce 57 Paesi musulmani, tenga un vertice in Arabia Saudita sotto l’egida della comune appartenenza a una religione per prendere decisioni politiche!
Lei ha parlato di «opportunismo economico»...Certamente: perché il linguaggio dell’Occidente è politicamente corretto mentre le grandi potenze non vogliono affrontare le contraddizioni di quei Paesi che siedono alle Nazioni Unite e che rifiutano di dare gli stessi diritti a tutti i cittadini, indipendentemente dalla religione a cui appartengono. Si critica la Cina ad esempio per il trattamento riservato ai dissidenti politici, ma non una parola viene spesa sull’Arabia saudita, per via del petrolio. Questo è un atteggiamento che non esito a definire economicamente opportunista.
I leader religiosi dei cristiani di Siria non hanno appoggiato immediatamente la rivolta. Cosa replica a chi vi accusa di appoggiare una dittatura?
Come capi religiosi dobbiamo ribadire ancora una volta: noi non siamo né con una persona, né con una famiglia, né con una setta, né con un sistema politico contro altri. Al contrario, siamo angosciati per le sorti della popolazione siriana, viviamo con molta prudenza gli sviluppi di questa crisi, e in tutti questi mesi non abbiamo fatto altro che chiedere a tutti quelli che sono coinvolti in questo conflitto di rinunciare alle armi e sedersi a un tavolo con un mediatore internazionale, innanzitutto le Nazioni Unite con la collaborazione dell’Unione Europea e di altri paesi come la Russia. Abbiamo chiesto a tutte le parti coinvolte nel conflitto, tanto all’esercito quanto ai rivoltosi, di difendere le libertà vere di tutti i cittadini, siano essi sunniti, cristiani o di altre confessioni. Perciò è un’assurdità venirci a dire che come capi cristiani dobbiamo stare con una delle due parti, per esempio che dobbiamo allearci coi rivoltosi perché essi rappresentano una maggioranza confessionale che prima o poi conquisterà il potere, visto che è assistita dalle potenze che sono avverse al regime siriano. Noi cristiani del Medio Oriente, in modo particolare in Siria, in Iraq, e anche in Libano, ci sentiamo abbandonati dall’Occidente conosciuto per essere un mondo civile, perché i politici fanno solo promesse e perseguono solo i propri interessi economici.
Lei è appena rientrato da un viaggio ad Irbil, nel Kurdistan iracheno. Che situazione ha trovato?
Dal 2003 ad oggi, almeno la metà degli 800 mila cristiani che vivevano in Iraq prima della guerra se ne sono andati. Questa emorragia si vede soprattutto nelle grandi città: a Baghdad, Mosul, Bassora. Con il Sinodo per il Medio Oriente del 2010 i patriarchi e i vescovi hanno cercato di analizzare le cause di questo esodo: abbiamo visto molto chiaramente che i cristiani non emigrano perché non hanno lavoro, o perché soffrono la fame, ma prima di tutto per l’insicurezza, per i conflitti interni all’Islam, dei quali sono vittime indifese. È normale che cerchino di un avvenire là dove possono costruire un futuro migliore. Eccetto in Libano, dove vivono una sostanziale uguaglianza con i fedeli di altre religioni, in tutte le altre nazioni l’impossibilità di separare religione e politica si traduce in un generalizzato assottigliamento delle comunità cristiane.
Circolano voci che il Papa potrebbe cancellare il viaggio di metà settembre a Beirut. Pensa che alla fine verrà?La situazione è fluida, nessuno oggi può dire come si evolveranno le cose. Certamente ci sono tensioni da non sottovalutare, ma neanche da esacerbare. Il nostro auspicio è sempre stato che questa visita potesse essere un richiamo alla speranza per un futuro migliore per tutti i popoli di questa regione, non solamente per i cristiani, un richiamo verso una convivenza di tutti i cittadini delle differenti comunità. Le voci che circolano su una certa stampa sono solo delle ipotesi: per il momento la situazione non è così grave da impedire al Papa di compiere il suo viaggio. In Libano c’è tensione, è vero, ma non al punto da rendere necessario posporre una visita fortemente attesa da tutta la popolazione.
Quali saranno a suo avviso i temi principali del viaggio del Papa?Benedetto XVI viene a infonderci una parola di incoraggiamento e di fiducia su quella che oggi è la sfida più grande che le Chiese del Medio Oriente affrontano: come convincere la nostra gioventù a non emigrare. In Libano abbiamo accolto migliaia di profughi, prima dall’Iraq e ora dalla Siria: non possiamo chiedere loro di tornare in patria o di non emigrare in Occidente. Essi lamentano che, anche quando riescono a trovare un lavoro nei loro Paesi tribolati, resta l’assillo circa il futuro da assicurare ai propri figli o su come costruire una vita degna di persone umane con pieni diritti civili. Perciò continuiamo ad annunciare il Vangelo e ad alimentare la nostra fiducia nella volontà di Dio, con esortazioni e incoraggiamenti: ma lo facciamo in un contesto socio-politico nel quale la religione della maggioranza musulmana influenza sempre di più la vita pubblica e privata dei cittadini. Che ne sarà del cristianesimo in questa regione fra 20 o 30 anni? Questa è la maggiore sfida che noi sperimentiamo oggi, nel ricordo delle stragi di un secolo fa in Turchia, del conflitto in Terra Santa, della crisi sanguinosa in Iraq dopo l’invasione del 2003 e delle orribili scosse che devastano la Siria.
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4150&wi_codseq=SI001 &language=it