Traduci

mercoledì 8 agosto 2012

PREGHIERA PER LA SIRIA

In questo tempo dell'anno liturgico così fortemente impregnato della memoria della Vergine Maria e di San Bernardo Abate, invitiamo tutti i nostri amici, conoscenti, lettori a rivolgere alla Vergine Maria una preghiera insistente di pace per la popolazione siriana dilaniata dalla sempre più violenta guerra civile, e in particolare per le presenze cristiane ancora numerose nel paese.

Alla preghiera di ciascuno ricordiamo in particolare le sorelle del monastero cistercense trappista di N.S. Fonte della Pace (Deir al Adrha Yanbu'a-s-Salam) di Azeir.




Le Monache Carmelitane di Aleppo testimoniano il terrore di tutta la popolazione cristiana e musulmana
"Seule une intervention divine peut changer le cours des choses"


Vous êtes encore si nombreux à demander des nouvelles et à prier pour nous ! Un immense MERCI ! C'est une grande grâce pour nous que de nous savoir et nous sentir soutenues un peu partout ! Je vous envoie quelques nouvelles (les mêmes pour tous, cela facilite la correspondance qui est plus qu'abondante en ce moment !)
Nous portons comme nous pouvons le poids des canons et de la chaleur ….
les bombardements aériens d'avion de guerre, commencés le 3 août ont été virulents. Ils ont cessé pour le moment, mais les bombardements terrestres se poursuivent, ainsi que les attaques par hélicoptère....
Que Dieu ait pitié de tous ! Je sais que vous priez pour nous. Mille mercis ! Les nuits et les journées sont dans l'ensemble très bruyantes, malgré des accalmies. Coups de canon, tirs de mitraillettes, roquettes et autres armes du même genre se multiplient, hélas ! Nous ne sommes pas menacées ni visées directement mais nous sommes épouvantés lorsqu'il y a des poursuites tout autour de notre monastère, et c'est souvent …. Nous avons trouvé dans le jardin et sur la terrasse des balles perdues !
(...) Nous ne savons vraiment pas comment tout cela va finir, et le nombre des victimes augmente tous les jours de part et d'autre ; pour la plupart ce sont de malheureux jeunes qui s'en vont, fanatisés par la violence des hommes…. Que Dieu ait pitié de leurs familles, du pays et de nous tous ! Les vols enlèvements, attentats se multiplient et nul n'est à l'abri. Du coup, les gens restent le plus possible terrés chez eux ou fuient les quartiers des belligérants, se réfugiant dans les jardins publics ou les écoles….
Certains annoncent un renfort de 50 000 rebelles, envoyés par la Turquie (jeunes de Lybie, Pakistan, Irak, Jordanie et autres pays du même genre….) et un renforcement de l'armée syrienne.
....
http://www.oeuvre-orient.fr/page-syrie-seule-une-intervvention-divine-peut-changer-le-cours-des-choses-1072.html

lunedì 6 agosto 2012

Messaggio di Gregorios III: "Beati gli operatori di pace"

 
Il nostro ruolo di cristiani è quello di mediazione e di riconciliazione: di essere costruttori di ponti tra i figli della stessa patria. Questa è la missione più bella che abbiamo potuto svolgere per il nostro paese, la Siria, per ogni nostro fratello e sorella, concittadini di tutte le denominazioni, a prescindere dal partito politico, tribù, regione o convinzione.
Noi preghiamo Dio affinchè si degni di riportare l'amore nei cuori di tutti i siriani, in modo che essi non abbiano bisogno di armi o  paura di massacri, perché possano vivere insieme, come figli della stessa famiglia e della stessa patria.
Noi lo imploriamo: Dio della pace, dona la pace al nostro paese!
Damascus, 3 August 2012


“Blessed are the peacemakers”
With these words Our Lord exalts peace-makers, saying that “they shall be called children of God.” (Matthew 5: 9)
Through these same Gospel words, I should like to explain the Church’s attitude to the widespread talk of arming Christians, especially in Damascus:
1. No official has spoken to us about arming Christians.
2. We have never contacted any official and we have never asked for our Christian children to be armed, in Damascus or elsewhere.
3. We have never considered – and never will – arming ourselves.
4. Furthermore, we believe that the attempt to arm Christians, from whatever quarter, involves a danger of sectarian conflict and exposes predominantly Christian districts to attacks of unknown origin.
5. We call upon all our faithful, in all parishes, to refuse offers of arms. We remind them of the teachings of Our Lord, Jesus Christ, “All they that take the sword shall perish with the sword.” (Matthew 26: 52) And also, “Blessed are the meek, for they shall inherit the earth... Blessed are the peacemakers, for they shall be called the children of God." (Matthew 5: 5 and 9)
6. We remind them likewise of Saint Paul’s teaching, "If it be possible, as much as lieth in you, live peaceably with all men." (Romans 12: 18)
Our role as Christians is one of mediation and reconciliation: of being bridge-builders between the children of the same homeland. That is the finest mission that we could carry out for our country, Syria, for our brother and sister fellow-citizens of all denominations, regardless of political party, tribe, region or persuasion.
7. We have not stopped calling for this, ever since the outbreak of the crisis in March, 2011. That is the role of the Church and its pastors – Patriarchs, bishops, priests – monks, nuns and lay-persons involved in various sectors of activities and services of the Church. Our churches, schools, institutions and confraternities are all schools of peace, faith, virtue, love and frank, sincere fellow-citizenship and respect for all.
8. I recall a saying of the late Ecumenical Patriarch Athenagoras of Constantinople, "I am no longer afraid, because I have laid my weapons down!"
Our Lord calls us to this in the Holy Gospel, "It is I, be not afraid!" (Matthew 14: 27; Mark 6: 50; John 6: 20) And also, "Be of good cheer! I have overcome the world." (John 16: 33) And John the Evangelist tells us, "This is the victory that overcometh the world, even our faith." (1 John 5: 4) Let us add: faith in our brethren, our homeland and our sincere, humane national values.
We pray God to deign to bring back love to the hearts of all Syrians, so that they will have no need of weapons or fear of massacres, for they will be living together, as children of the same family and the same homeland.
We implore him: God of peace, grant peace to our country.
+ Gregorios III
Patriarch of Antioch and All the East,
Of Alexandria and of Jerusalem
http://www.pgc-lb.org/eng/gregorios/view/Blessed-are-the-peacemakers



SIRIA : Chi l'ha a cuore?
Testimonianza da Aleppo dove si prepara lo scontro, forse, decisivo
S.I.R. Prima pagina Martedì 07 Agosto 2012
"Ci sono scontri in atto in diverse zone e quartieri della città. Si odono continui colpi di arma da fuoco, tanti scoppi, alcuni molto forti, forse di mortaio. Siamo molto preoccupati perché non sappiamo cosa accadrà e a cosa andremo incontro. Si dice che si stia preparando una battaglia, che genere di conflitto sarà, quando comincerà e quanto durerà non lo possiamo sapere. Non possiamo fare altro che sperare in un compromesso che eviti uno spargimento di sangue, vittime innocenti. Altro sangue non farà che aumentare l’odio, le divisioni, e la distanza tra le parti". È una voce affranta quella di mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo, la seconda città siriana, snodo economico della nazione, dove da giorni si stanno ammassando le truppe regolari del presidente Assad per cacciare le forze dell’opposizione armata barricate in alcuni quartieri della città. Si parla di 20 mila soldati pronti a sferrare un attacco che potrebbe rivelarsi decisivo per le sorti del conflitto. Alla capacità militare di Assad non corrisponde, però, un’altrettanta potenza politica soprattutto dopo la fuga in Giordania del premier, nominato solo un mese fa, Riad Hijab. Una defezione che, per gli analisti, è un segnale che il regime sarebbe avviato alla disgregazione. "L’abbandono dell’ex premier - dichiara il presule - mostrerebbe una certa debolezza del regime e getta sul popolo un ulteriore motivo di preoccupazione. Politica e diplomazia cerchino vie di dialogo che è quello che il popolo vuole ed auspica, non il suono cupo delle armi". Invece, "siamo costretti ad assistere a scelte totalmente opposte, basti pensare alla decisione del presidente Usa, Barack Obama, di autorizzare missioni segrete in sostegno dei ribelli. Non è da oggi che gli Usa spingono in questa direzione".
Un Paese in ginocchio. Chi è già in ginocchio è il Paese: dal marzo 2011, inizio del conflitto, i morti - secondo stime dell’Osservatorio siriano per i diritti umani - sarebbero oltre 21 mila, gli sfollati ancora in Siria un milione e mezzo. Centinaia di migliaia quelli fuggiti in Turchia, Libano e Giordania. L’economia è ferma, manca il lavoro e l’emergenza umanitaria è sempre più vicina, complici anche le sanzioni adottate dalla comunità internazionale.

domenica 5 agosto 2012

Nei quartieri cristiani di Damasco

Ore d'inferno sotto il fuoco incrociato
di ALIX VAN BUREN - LaRepubblica

L'assalto alle porte dei quartieri cristiani, a Bab Sharqi e Bab Touma nella Città vecchia di Damasco, è iniziato col canto rituale dei muezzin che precede l'alba. «Al primo "Allahu Akbar" intonato dai minareti s'è scatenata una sarabanda di fuoco»: Samir, patriarca di un'antica famiglia di commercianti, ha il palazzetto proprio di fianco a Bab Sharqi, la Porta d'Oriente dalla quale si accede all'area dei Masihiyya, i "seguaci del Messia".
«Era notte fonda, le scintille dei proiettili esplosi schizzavano in ogni direzione fuori delle finestre», Samir è ancora pallido e scosso. «La gente, giù per i vicoli, gridava "Eccoli, sono arrivati!", e intendevano i gruppi armati. Lo aspettavamo come il peggiore degli incubi: l'invasione dei quartieri cristiani. Dopo quelli di Homs e Aleppo, sarebbe toccato anche a noi».
I primi scontri sono iniziati verso l'una a Bab Touma, poco distante da Bab Sharqi. Un commando di insorti si è appostato in un edificio ai margini di un gruppo di misere casette, vicino al corso d'acqua che scorre all'esterno della porta. Presa la stazione della polizia,è intervenuto l'esercito.
Una ventina di uomini è riuscita a sgusciare verso Bab Sharqi. «Erano mercenari», sostengono gli abitanti, «parlavano con accenti stranieri». "Libici" dicono e intendono genericamente afgani, pakistani, ceceni, che popolano i loro timori dopo le notizie dei jihadisti entrati dall'estero. Sul cellulare mostrano le fotografie dei quattro uccisi nelle sparatorie, le barbe fino al petto.
«Tre quarti d'ora d'inferno», raccontano fra le case dove negli ultimi anni sono fioriti alberghi boutique, ristoranti citati anche all'estero, gallerie d'arte, piano bar, discoteche. Le loro parole suonano tanto più incongrue: «I nostri giovani sono scesi per strada, armati di kalashnikov. Sanno a malapena sparare». Da qualche giorno, infatti, da che è iniziata la battaglia di Aleppo, una parte della comunità cristiana siè dotata di armi e di una guardia. «Assieme ai soldati, hanno fermato l'attacco sulla porta. Se fossero entrati, Damasco sarebbe crollata». Il pomeriggio s'era annunciato coi combattimenti alle spalle di Jaramane, a breve distanza da Bab Sharqi, nei frutteti colpiti dall'artiglieria, un elicotteroa individuare dal cielo le posizioni dei ribelli.
A casa del mercante Samir, è una processione di gente. «Mi chiedono cosa fare», dice. «La sensazione è che questo sia soltanto l'inizio: una prova per saggiare la nostra reazione, capire quanto e come siamo armati. Vedrà, stanotte ritenteranno con armi più pesanti. Questo è un luogo strategico: chi prende il nostro quartiere, ha in pugno il cuore di Damasco». Il boss cristiano non ha torto: la Città vecchia, il centro della più antica capitale al mondo, cresce su se stessa da cinque millenni. La via Recta dei tempi romani riordina attorno a sé il groviglio dei suq. Le case addossate l'una all'altra, chiuse da muri ciechi all'esterno, offrono un appostamento ideale.
Una rete di cunicoli sotterranei permette di muoversi, non visti, attraverso l'intero quartiere; i tetti, contigui, sono una rete di passaggio ininterrotta, dominante dall'alto. Né carri armati, né artiglieria hanno spazio di manovra. Stanare chi si annidasse qui, sarebbe un'impresa proibitiva. Perciò i ribelli armati resistono da mesi nel centro di Homs, e ora in parte di Aleppo. Agli occhi dei cristiani, però, la posta è «immensamente più alta: sta prendendo corpo il più cupo dei nostri presagi» dice Tony, un avvocato, e per spiegarsi ripete a bassa voce lo slogan ascoltato in certe piazze siriane dall'inizio della rivolta: «"Alawiyya 'a tabut, Masihiyya 'a Beirut. Sta per "gli Alawiti alla tomba, i Cristiani a Beirut". Homs si è svuotata dei Masihiyya come in Iraq, e da Aleppo fuggono in decine di migliaia». Il siriano s'inasprisce: «Già una parte dei ribelli fondamentalisti ci vuole fuori di qui. In più, Francia e America per assurdo ci spingono a emigrare. Questo vorrebbe dire lasciar tutto: le antiche case, i nostri averi, quel che abbiamo costruito nella storia. Equivarrebbe a rinunciare alle nostre radici».
George, un antiquario, interviene: «Ascolti, noi eravamo qui ancor prima di San Paolo», s'inorgoglisce: «Quando Saul arrivò, già l'aspettava un vescovo». Ricorda un convegno in America, lui cristiano arabo invitato a parlare a una platea di protestanti. «Un americano m'ha chiesto: "Com'è cambiata la sua vita dopo la conversione alla Chiesa di Gesù?". Gli ho risposto: "Caro signore, spetterebbe a me rivolgere questa domanda a lei, dal momento che i miei avi erano cristiani molti secoli prima dei vostri?"».
S'è fatta l'ora dei vespri; lo scampanellio delle chiese torna a riempire il cielo, vivace e impertinente. Il Patriarcato riapre, i fedeli si avviano ai santuari ortodossi, cattolici e delle tante denominazioni cristiane. Il ristorante Narenj, a 100 metri dall'arco di Bab Sharqi, imbandisce i celebri tavoli di fronte a una chiesa e a una moschea, come se nulla fosse stato. Munir, il maître, sfoglia il libro delle prenotazioni: «Stasera tutto pieno», dice. E sembra crederlo.
Più in là, a Bab Touma, i segni della sparatoria sono scomparsi.
Tutto ripulito, anche i bossoli da terra. Non c'è traccia di soldati, né carri armati. Una quinta di normalità avvolge la lotta mortale per il futuro di questa terra.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/08/02/nei-quartieri-cristiani-di-damasco-ore-dinferno.html?ref=search

venerdì 3 agosto 2012

La Siria in un vicolo cieco: ascoltiamo il Papa (e Kofi Annan)

Asia News 03/08/2012 - Bernardo Cervellera
Le dimissioni di Kofi Annan dalla carica di inviato dell'Onu per la pace in Siria accresce l'oscurità nel presente e nel futuro del Paese medio-orientale. Le notizie quotidiane di massacri dall'una e dall'altra parte; gli spietati bombardamenti dell'esercito siriano sulle città, come gli attacchi con armi sempre più pesanti da parte dell'opposizione mostrano che quella che è divenuta una guerra civile difficilmente avrà vincitori o vinti: avendo ognuno deciso di eliminare l'avversario e di progettare un futuro senza di esso, le due parti si sono scatenate in una guerra senza esclusione di colpi.
Anche se Assad pensasse di vincere, la Siria non potrà essere come quella di prima delle rivolte: non vi è soltanto al Qaeda a lottare, né il Free Syrian Army, o "i terroristi", ma anche buona parte della popolazione che esigono avere parte nella gestione del Paese.

E se l'opposizione vincesse, è quasi sicuro che vi sarebbe un'altra guerra interna: fino ad ora, infatti, la sfrangiata opposizione mostra che ognuno va avanti per la sua strada e non sa cucire insieme con gli altri ribelli un futuro unitario.

La lucida analisi di Kofi Annan accusa - per la prima volta in modo esplicito - entrambe le parti per l'escalation del conflitto, togliendo quell'aura di "eroi partigiani" di cui i rivoltosi hanno goduto finora.

Ma Kofi Annan accusa soprattutto il Consiglio di sicurezza Onu e la comunità internazionale di essersi divisa e di "puntare il dito" e di "offendersi" l'un con l'altro.

Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno continuato a criticare Russia e Cina perché frenano mozioni risolutive all'Onu contro il regime siriano. Ma essi - e gli Usa soprattutto - hanno fatto della cacciata di Assad e del suo governo il passo risolutivo. Demonizzando Assad si rischia il fallimento dell'Iraq, quando alla caduta di Saddam Hussein gli Stati Uniti hanno azzerato la burocrazia e l'amministrazione del partito Baath, condannando per anni il Paese all'anarchia e alla violenza.

Russia e Cina (e Iran) da parte loro sfoggiano il loro patronato sulla Siria, ma non hanno mai proposto alcuna pista ragionevole per la pace, preferendo soltanto difendere il loro legame (anche commerciale) con Damasco.

La Lega araba, e in particolare l'Arabia saudita e il Qatar, da un pulpito improbabile, continuano a condannare la dittatura di Assad, difendendo la rivoluzione araba purché avvenga fuori dei loro confini. E per combattere una paventata egemonia iraniana, consegnano la Siria ai fondamentalisti di al Qaeda e ad altri integralisti islamici, che avrebbero vita difficile a Riyadh e a Doha.

Un capitolo a parte meriterebbe il bazar delle armi. Ogni sostenitore provvede per il suo gruppo: elicotteri da guerra (Russia); strumenti di comunicazione e intelligence (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti); armi pesanti e soldi (Arabia saudita e Qatar). Nel commercio di armi sono implicate le stesse nazioni che avevano dato il mandato a Kofi Annan di cercare una pace possibile!

In un editoriale pubblicato sul sito del Financial Times, Kofi Annan chiede un po' di serietà alle grandi e piccole potenze. Per l'ex segretario dell'Onu, Russia, Cina e Iran "devono assumere sforzi comuni per persuadere la leadership siriana di cambiare corso e abbracciare la transizione politica", anche con la partenza di Assad. Le potenze occidentali, i sauditi e il Qatar "devono far pressione sull'opposizione perché percorrano un processo politico onnicomprensivo - che deve includere comunità e istituzioni che attualmente sono associate con il governo".

Impressiona la profonda sintonia fra le richieste di Annan e quanto Benedetto XVI ha richiesto all'Angelus di domenica 29 luglio. Il papa, che segue gli avvenimenti in Siria "con apprensione", ha detto che chiede "a Dio la sapienza del cuore, in particolare per quanti hanno maggiori responsabilità, perché non venga risparmiato alcuno sforzo nella ricerca della pace, anche da parte della comunità internazionale, attraverso il dialogo e la riconciliazione, in vista di un'adeguata soluzione politica del conflitto".

Il punto è che il pontefice ha a cuore "i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi". Non sappiamo invece cosa abbiano a cuore i membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu o la Lega araba. Forse degli interessi piccoli piccoli.
http://www.asianews.it/notizie-it/La-Siria-in-un-vicolo-cieco:-ascoltiamo-il-Papa-%28e-Kofi-Annan%29-25465.html

Nessuno può reggere a un assedio mediatico

Assad prima o poi finirà come Gheddafi, e un proconsole del Qatar o degli Emirati si installerà al suo posto. Come in Libia, dove adesso comanda Al-Kib “l’americano”, l’uomo del Petroleum Institute degli Emirati Arabi Uniti.
Noi occidentali siamo fatti così. I dittatori laici che tengono a bada il fondamentalismo non ci piacciono. Ci piace la finta democrazia esportata dalle monarchie assolute islamiche della penisola arabica.
“Ma perché gli occidentali devono credere a ogni balla che gli viene raccontata?”
Speriamo che i giornalisti onesti si sveglino.
Se tutto ciò che filtra dalla Siria sono le chiacchiere dei ribelli e le foto della Reuters, un giornalista onesto dovrebbe limitarsi a dire “Siria: disponiamo solo di voci non controllabili”. E meglio dire così, visto che un “ribelle siriano” e un “contractor” assoldato dall’occidente non sono facilmente distinguibili.
Giovanni Lazzaretti


SUAD  SBAI- STRAGE DI CIVILI SIRIANI AD ALEPPO:
Se nessuno ha il coraggio di dire che cosa ha infettato la Siria da mesi lo facciamo noi.
(AGENPARL) – Roma, 01 ago – “Amnesty fa bene a denunciare a gran voce i massacri ad Aleppo e in tutta la Siria, ma dovrebbe anche chiamare i soggetti autori con il loro nome e cognome. Sul sito almaghrebiya.it circolano le immagini relative alla mattanza di civili ad Aleppo, fatti a pezzi dai mitra e dai kalashnikov dei mercenari assoldati dal terrorismo estremista e radicalista che impazza in Siria. Ancora bugie senza pudore, sulla pelle del popolo siriano: l’Onu perché non vede e non denuncia anche questo massacro? Questa è disinformazione pura”. Così l’On. Souad Sbai commenta “le immagini di un video sul web che mostra civili siriani ammassati dopo un pestaggio in un angolo di strada e crivellati di colpi dai mercenari in Siria”. “ Se nessuno ha il coraggio di dire che cosa ha infettato la Siria da mesi lo facciamo noi. Bande di assassini che trucidano la popolazione e si macchiano di tanti crimini quanti i miliziani, solo che vengono omessi nella loro responsabilità, perché qualcuno ha interesse a mistificare un massacro che ha autori ben noti. Gli opinionisti della geopolitica corrotta dal denaro di qualche sceicco anch’esso ben noto – dice Sbai – dovrebbero vergognarsi delle bugie con le quali hanno falsificato la vicenda siriana e prima quella libica. Sulla Siria va fatta informazione, sui diritti umani: e non rispolverare ad ogni ora filmati triti e ritriti, che altro non fanno se non continuare una certa propaganda. Vedendo queste immagini qualcuno dovrebbe farsi un grosso esame di coscienza e poi spiegare all’opinione pubblica mondiale perché vuole consegnare la Siria e con essa tutto il quadrante mediorientale e caucasico all’integralismo, infiltratosi nelle fila della protesta da alcuni paesi arabi. Siamo di fronte al più grande inganno internazionale di sempre – conclude – in cui hanno parte attiva l’Occidente intero e gli Stati Uniti, corresponsabili del massacro del popolo siriano innocente e ormai allo stremo delle forze”.


I LETTORI DELLA STAMPA CATTOLICA SI ASPETTANO DI PIU' DI UN "SI DICE"
I media italiani avevano già dall’inizio la certezza da che parte stare: subito hanno dato per buono tutto ciò che veniva messo a disposizione dall’opposizione siriana su you tube e dal famigerato ‘osservatorio siriano per i diritti umani’ con sede a Londra.
Sin da subito avevano adottato il solito gergo con cui ci siamo abituati con la guerra di Libia, “il rais”, il regime, i lealisti, gli ‘assadiani’, i ‘pro Assad’ e dall’altra parte l’esercito libero siriano, i partigiani, i ribelli, gli amici della Siria.. termini certo più “tonici”… cosicché qualsiasi cosa dicesse l’opposizione è stata sempre considerata vera mentre quando i fatti maldestramente lasciati non manipolati hanno scagionato Assad, gli è però stato fatto ugualmente dono del tono sprezzante, degli appellativi più infamanti e l’onta del governo siriano però rimane.
Quando ha tentato di fare qualcosa di buono subito è arrivata la replica del Segretario di Stato USA: “non credibile”. E’ accaduto tutto in un dato momento, l’ambasciatore americano sceso tra la folla a protestare. Cosa fosse cambiato da ieri, quando Assad veniva ricevuto e riverito ovunque non ci è dato di sapere, eppure le riforme che aspettava la popolazione aveva cominciato a farle, ma tutto era già deciso prima ancora che iniziasse.
Tuttavia ciò che più mi sgomenta è l’allineamento delle maggiori testate cattoliche con i criteri adottati dai media mainstream.
Sulla maggior parte delle testate cattoliche si sono susseguiti, alternandosi, articoli che riportano il giudizio sugli avvenimenti dati dalle autorità della Chiesa siriana ( in conformità a quello espresso dal documento CCEE il Consiglio della Conferenza Episcopale Europea) e nello stesso tempo articoli che vanno in tutt’altra direzione. parafrasando esse dicono: “Quella in corso in Siria è una guerra dolorosa ma necessaria per il cambiamento, la democrazia l’emancipazione degli oppressi”.
Leggi tutto l'articolo su:
http://www.vietatoparlare.it/2012/08/02/i-lettori-dalla-stampa-cattolica-si-aspettano-di-piu-di-un-si-dice/

mercoledì 1 agosto 2012

In Siria «rinforzi» sunniti dall'estero


In Siria, tra gli oppositori del regime di Bashar Al Assad, sta combattendo un numero crescente di militanti stranieri del Jihad islamico.

Terrasanta.net | 1 agosto 2012

Guerriglieri fondamentalisti che provengono dalla Libia, dal Kuwait, dall’Arabia Saudita; ma anche dalla Gran Bretagna, dal Belgio e dagli Stati Uniti. Alcuni di loro possono vantare un curriculum da «professionisti» delle rivolte islamiche, essendo giunti in Siria dopo aver combattuto in Libia. Per tutti la motivazione religiosa è fondamentale; e la loro presenza sul campo, carica il conflitto siriano dei toni cupi della «guerra di religione», essendo i jihadisti sunniti ferocemente opposti agli alawiti di Assad.
L’allarme era stato lanciato nelle scorse settimane dall’Onu e dal governo iracheno che spiegava di come cellule di al Qaeda fossero penetrate in Siria dal confine con l’Iraq. Oggi documenta una storia simile un reportage ripreso a diversi quotidiani mediorientali, tra cui il Jordan Times di Amman.
L’autore del reportage, Suleiman Al Khalidi dell’agenzia Reuters, racconta di aver incontrato al confine con la Turchia, due giovani, Abdullah Ben Shamar, studente saudita di 22 anni, e il suo amico libico Salloum, in procinto di entrare illegalmente in Siria per combattere. «È nostro dovere andare in Siria e difenderla dai tiranni alawiti che stanno massacrando il suo popolo», spiega Abdullah. Secondo lo studente, lui e il suo amico starebbero seguendo le orme dei loro antenati, che combatterono in schiere inviate dal profeta Maometto, all’alba dell’era musulmana, per liberare la grande Siria da quelli che consideravano come barbari bizantini. I barbari del Ventunesimo secolo, sostengono Abdullah e il suo amico, sono Assad e le sue coorti, espressione del governo della setta minoritaria degli alawiti. Gli estremisti sunniti, come i combattenti stranieri che in questo periodo si stanno recando in Siria, provano un odio viscerale per gli alawiti di Assad, che considerano alla stregua di infedeli, esattamente come gli sciiti dell’Iran che sostengono Assad.

«Finalmente la popolazione musulmana della Siria si è levata in piedi – dice Shamar – dopo che Assad e gli alawiti hanno saccheggiato il Paese con l’aiuto di hezbollah. I musulmani di tutto il mondo non possono rimanere senza far nulla per aiutare la rivolta». Abdullah e Salloum si sarebbero conosciuti in Gran Bretagna, ormai diversi anni fa, nella città di Brighton, dove si erano recati per frequentare un corso di lingua inglese.
Salloum, 24 anni, è uno studente dell’università di Tripoli, facoltà di Chimica, e ha combattuto in Libia, nella battaglia di Zawiya, vicino alla capitale, prima la caduta di Muammar Gheddafi. Essere in Siria rappresenta per lui un dovere religioso. «I nostri fratelli siriani hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile – ha spiegato –, poiché a differenza della Libia, la comunità internazionale li ha abbandonati». Salloum, che desidererebbe unirsi alla Brigata Ahar Al Sham (la brigata «per la liberazione di Damasco», composta in gran parte da stranieri) sostiene che è una delle massime aspirazioni di un musulmano quella di partecipare al jihad.
Suleiman Al Khalidi, il giornalista autore del reportage, che è cittadino giordano, fu stato arrestato dalle forze di sicurezza siriane nel maggio 2011, mentre seguiva gli eventi della rivolta in atto nel Paese. Una volta liberato ha pubblicato la sua esperienza di prigioniero e le torture di cui è stato testimone.
Diversi comandanti del Libero esercito siriano in attività del Nord Ovest della Siria confermano che negli ultimi mesi molti militanti stranieri si sono uniti alle loro forze: vengono da Libia, Kuwait, Arabia Saudita; ma anche dalla Gran Bretagna, dal Belgio e dagli Stati Uniti. Diversi di loro sarebbero figli di siriani emigrati in Occidente perché oppositori della famiglia Assad. La maggioranza di questi combattenti stranieri si sarebbero concentrati nella provincia di Hama, nella Siria centrale, dove alcuni jihadisti più esperti, ex combattenti in Afghanistan, li starebbero formando alla guerriglia e all’uso delle armi. Se ad Hama - il maggior centro della rivolta contro Assad - i jihadisti sono centinaia, se ne trovano alcuni anche a Damasco, ma in numero troppo limitato per mettere in scacco l’esercito regolare.
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4132&wi_codseq=SI001 &language=it


PERCHE' PREGO PER LA SALVEZZA DI ASSAD 

di Giovanni Lazzaretti

Caro Direttore,
è possibile la democrazia in un paese islamico? La risposta sarebbe stata banale, fino a qualche decennio fa; oggi non più. Bisogna infatti fare un passo indietro e chiedersi: cos’è la democrazia?
La democrazia secondo i nostri Padri Costituenti era più o meno: legge naturale universale + Costituzione che cerca di tradurre la legge naturale universale + rappresentanza parlamentare che cerca di legiferare secondo Costituzione e secondo legge naturale universale. Questo schema, pur con molte sbavature, definiva il “mondo occidentale”.
Da qualche decennio però sono apparsi gli “occidentalisti”. Gente che crede nella “democrazia procedurale”, dove la rappresentanza parlamentare genera le maggioranze, e le maggioranze decidono ciò che vogliono, anche contro la Costituzione e contro la legge naturale.
Torniamo quindi all’inizio. E’ possibile la democrazia in un paese islamico? Poiché l’islam non conosce la legge naturale universale, è ovvio che la democrazia del primo tipo non può esistere. Può esistere solo la democrazia procedurale. Quindi: elezioni, affermazione di una maggioranza islamica, introduzione della Shari’a più o meno mascherata. Democrazia procedurale che si trasforma in democrazia totalitaria, come direbbe Giovanni Paolo II.
ismSmettiamola quindi di parlare di “occidentali”: parliamo invece di “occidentali” (ossia “quelli della legge naturale”) e di “occidentalisti” (ossia “quelli della democrazia procedurale”). Questi ultimi si trovano benissimo con gli stati di matrice islamica, e meglio ancora con le monarchie assolute islamiche: condividono infatti con loro la negazione della legge naturale.
E così perché stupirsi se Arabia Saudita, Qatar e occidentalisti di varia matrice hanno lavorato assieme per distruggere le dittature laiche dell’Iraq e della Libia, e adesso lavorano per la distruzione della Siria?
Saddam e Gheddafi erano dittatori? Certamente. Assad è un dittatore? Certamente. Ma chi altri, se non un dittatore laico, può convincere un paese a maggioranza islamica a rinunciare alla Shari’a e a trattare con un certo rispetto la minoranza cristiana?
“Abbattere un dittatore” è una frase che ci riempie la bocca. Ma abbattere un dittatore attraverso ribelli infiltrati da ogni dove, estranei al paese “da liberare”, e posti sotto l’egida delle monarchie assolute della penisola arabica è una cosa che a un occidentale dovrebbe far venire il voltastomaco. Non agli “occidentalisti”, però.
Abbiamo già la Libia sulla coscienza, Libia dove alle recenti elezioni si poteva scegliere tra le tre correnti dei Fratelli Mussulmani, dei salafiti che vogliono un islam più puro, e degli islamo-affaristi, aperti alla Shari’a e ai buoni traffici. La liberazione delle donne attuata da Gheddafi, a breve diventerà un sogno: la Shari’a regnerà sovrana.
In Siria non sarà diverso. Salvo che in Siria i cristiani sono il 10% e le loro sofferenze sono e saranno immani con l’avanzata del “libero esercito” di matrice arabo-qatariota.
Per quali motivi una democrazia occidentale dovrebbe essere alleata delle monarchie assolute dell’Arabia Saudita, del Qatar e degli Emirati nel loro intento di ridisegnare la carta del Nord Africa e del Medio Oriente? Non c’è alcun motivo valido.
Da occidentale mi permetto quindi di avversare le monarchie assolute arabiche, di avversare gli occidentalisti che le appoggiano, e di pregare per la salvezza di Assad. Dittatore. Mussulmano. Ma non islamista.
Cordiali saluti
Giovanni Lazzaretti
http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1728:perche-prego-per-la-salvezza-di-assad-di-giovanni-lazzaretti&catid=54:societa-civile-e-politica&Itemid=123

martedì 31 luglio 2012

Primi passi di pace in alcuni villaggi: l'opposizione rinuncia all’opzione militare. La TELETHON SAUDITA.

Accordo di pace a Qalamoun sulla linea tracciata a Roma dagli oppositori
Damasco (Agenzia Fides)- Nuovo successo dell’iniziativa “Mussalaha” (Riconciliazione) che si sta adoperando per dimostrare che esiste una “terza via” possibile, alternativa alla guerra e alle armi, quella della società civile.
Secondo quanto riferiscono fonti locali all’Agenzia Fides, il 30 luglio è stato firmato un “accordo storico tra le forze dell’opposizione di Qalamoun e i rappresentanti di Mussalaha di Yabroud, Qâra, Nebek e Deir Atieh e dintorni”.
La regione di Qalamoun è un’area di altopiani situata tra Damasco ed Homs che comprende i villaggi cristiani di Maaloula (dove si continua a parlare l’aramaico, la lingua vernacolare di Gesù) e di Saydnaya (dove è collocato il Santuario della Madre di Dio) oltre agli antichi monasteri di Santa Tecla, Mar Touma, Mar Moussa e Mar Yakoub. La popolazione è in maggioranza sunnita ma vi è pure una forte presenza cristiana che è rispettata grazie ad un patto che risale di tempi di Saladino.
Da mesi diversi villaggi della regione, si erano proclamati "indipendenti" e avevano paralizzato le istituzioni statali (comuni, stazioni di polizia, tribunali) e della vita civile (con scioperi diffusi e permanenti). Questa fase di disobbedienza civile è stata accompagnata da una insurrezione armata con miliziani che attaccavano postazioni dell'esercito, ma anche alcuni civili ritenuti vicini al governo o troppo concilianti con il regime. Ai miliziani si sono aggiunte le bande criminali che hanno approfittato del disordine e della mancanza di sicurezza per rapire persone a scopo di estorsione ed effettuare rapine contro fabbriche, depositi, negozi.
L’accordo di ieri si unisce alla dichiarazione di Roma dei gruppi dell'opposizione riuniti dalla Comunità di Sant'Egidio. In base a tale accordo l'opposizione rinuncia all’opzione militare, e, quindi, vieta ai suoi membri di attaccare le forze governative, militari o di sicurezza e i civili. Essa depone le armi e rimette la sicurezza nelle mani dello Stato. Da parte sua il governo continua a dare alla popolazione civile la libertà di esprimersi democraticamente attraverso manifestazioni e sit-in .
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39627&lan=ita


In Arabia Saudita una raccolta fondi televisiva per i ribelli siriani
Per sostenere la rivolta contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad, in Arabia Saudita hanno pensato di utilizzare un telethon, ovvero la modalità di raccolta fondi più televisiva e coinvolgente, inaugurata in Occidente diversi anni fa a scopo benefico e oggi piegata, in Medio Oriente, alla causa politica. Come riporta l’Agenzia di stampa saudita (Spa), si è concluso con una raccolta di 108 milioni di dollari (equivalenti a circa 88 milioni di euro) l’inedito telethon finalizzato al «soccorso al popolo siriano», promosso dal sovrano saudita Abdallah bin Abdul Aziz in persona.
 Inoltre ha espresso il proprio supporto ai ribelli siriani contro il regime di Assad. I sauditi recentemente avrebbero anche proposto di versare dei salari ai ribelli, in modo da incentivare la diserzione di soldati dell’esercito di Assad.
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4128&wi_codseq=SI001 &language=it


lunedì 30 luglio 2012

""Non mandate armi..." Gli appelli del patriarca di Antiochia e dell'arcivescovo di Aleppo

“Preghiera, preghiera, preghiera”: al telefono da Damasco Gregorios III Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, riferisce al Sir di “una situazione tranquilla nella capitale, dove solo in lontananza si odono dei colpi. Aleppo, invece, è un campo di battaglia. Quanto sta avvenendo lì è terribile”. Con voce rotta dall’emozione il patriarca racconta che “le comunità cristiane stanno abbastanza bene, i combattimenti avvengono lontano dal centro, dove vive la maggior parte dei fedeli, in località periferiche e di campagna. Sono in contatto con altri confratelli vescovi, oggi ad Aleppo c’è una riunione con vescovi e laici che ha lo scopo di organizzare aiuti per non farsi trovare impreparati se le cose dovessero volgere al peggio”. Sono tre giorni che l’esercito siriano e i ribelli del Free Syrian Army (Fsa) si danno battaglia nella più popolosa città della Siria e centro economico più rilevante. Secondo la responsabile degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, Valerie Amos, nel weekend sono scappate da Aleppo circa 200 mila persone dirette nei villaggi vicini e in Turchia. Non si conosce, invece, il numero di coloro che sono bloccati nei luoghi dove si combatte.
Le parole del Papa. A mitigare la pena del patriarca sono giunte le parole di Benedetto XVI ieri all’Angelus, da Castel Gandolfo: “Riceviamo molta forza dal Pontefice che ha detto di seguire con apprensione ‘i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi’. La sua vicinanza ci conforta e c’incoraggia ad andare avanti a ricercare il dialogo tra le parti, per fermare le violenze e permettere il rientro e l’assistenza di sfollati e rifugiati. Il suo pressante appello, ‘perché si ponga fine ad ogni violenza e spargimento di sangue’ ha avuto una vasta eco nel Paese, tutti i media lo hanno ritrasmesso. Chi ha responsabilità, ricordava il Papa ieri, non deve lesinare sforzi per aprire un negoziato e lo stesso deve fare la comunità internazionale”. “Molto apprezzata” per Gregorios III, è stata anche la recente dichiarazione del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), in cui il presidente, card. Péter Erdő, e i due vicepresidenti, il card. Angelo Bagnasco e mons. Jozef Michalik, ribadivano la necessità di far “cessare tutte le ostilità, deporre le armi e intraprendere la via del dialogo, della riconciliazione e della pace”. “Siamo in pena per le sorti del nostro Paese – ammette Gregorios III – quando in alcuni Paesi occidentali si sente dire che il regime è alla fine, sta per crollare, questo non fa altro che accendere ulteriormente gli animi e rinfocolare il conflitto. Gli Usa, l’Europa, e gli altri Paesi devono fare più pressione non per favorire il regime o l’opposizione, ma per metterli entrambi seduti a un tavolo a cercare il dialogo e soluzioni pacifiche. Devono calmare gli animi e non scatenare vendette. Il regime è molto forte, come l’opposizione. Ciò che fa paura al popolo sono le bande di criminali che con rapimenti, omicidi, abusi e violenze seminano il panico. Un nostro sacerdote ha visto due suoi fratelli rapiti e da venti giorni non ha più notizie. Abbiamo paura di questa criminalità. La via negoziale è quella da intraprendere senza riserve. Musulmani e cristiani, insieme, devono impegnarsi in questa direzione. Il 1° agosto, i cristiani si uniranno nel digiuno ai musulmani, impegnati nel mese di Ramadan. Sarà per noi un digiuno in preparazione alla festa dell’Assunzione della beata Vergine Maria del 15 agosto e un momento di condivisione e preghiera per la Siria”.

domenica 29 luglio 2012

Papa: Appello alla comunità internazionale per la pace in Siria

" Cari fratelli e sorelle, continuo a seguire con apprensione i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi. Per questi chiedo che sia garantita la necessaria assistenza umanitaria e l’aiuto solidale. Nel rinnovare la mia vicinanza alla popolazione sofferente ed il ricordo nella preghiera, rinnovo un pressante appello, perché si ponga fine ad ogni violenza e spargimento di sangue. Chiedo a Dio la sapienza del cuore, in particolare per quanti hanno maggiori responsabilità, perché non venga risparmiato alcuno sforzo nella ricerca della pace, anche da parte della comunità internazionale, attraverso il dialogo e la riconciliazione, in vista di un’adeguata soluzione politica del conflitto. "
Castel Gandolfo (AsiaNews) - Nuovo accorato appello di Benedetto XVI per "i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi". Alla fine dell'Angelus di oggi dal Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, il papa ha detto che segue gli avvenimenti in Siria "con apprensione". "Chiedo a Dio - ha continuato il pontefice - la sapienza del cuore, in particolare per quanti hanno maggiori responsabilità, perché non venga risparmiato alcuno sforzo nella ricerca della pace, anche da parte della comunità internazionale, attraverso il dialogo e la riconciliazione, in vista di un'adeguata soluzione politica del conflitto".

Benedetto XVI ha anche ricordato la "cara Nazione irachena, colpita in questi ultimi giorni da numerosi e gravi attentati che hanno provocato molti morti e feriti. Possa questo grande Paese trovare la via della stabilità, della riconciliazione e della pace".
http://www.asianews.it/notizie-it/Papa:-Appello-alla-comunità-internazionale-per-la-pace-in-Siria-25413.html

“L’appello per la pace del Papa ha avuto ampia eco in Siria” dice l’Arcivescovo Metropolita di Aleppo per i Greco-cattolici
Damasco (Agenzia Fides)- “Siamo felici e ringraziamo il Santo Padre per l’appello alla pace in Siria lanciato all’Angelus di ieri” dice all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Jean-Clément Jeanbart, Arcivescovo Metropolita di Aleppo per i Greco-cattolici.
“L’appello del Papa ha avuto ampia eco sui media siriani che lo hanno qualificato come un fattore positivo. Le parole di Benedetto XVI erano tra le due più importanti notizie riferite dai media locali” aggiunge Mons. Jeanbart.
“Anche la riunione dell’opposizione a Roma che ha lanciato appello alla pacificazione e al rifiuto della violenza è stata giudicata positivamente qui” afferma Mons. Jeanbart. 
Per quanto riguarda la situazione di Aleppo, Mons. Jeanbart dice: “siamo molto preoccupati per quello che sta accedendo. Chiediamo a tutti di pregare per una soluzione di dialogo. Le diverse comunità cristiane di Aleppo (ortodossi, cattolici e protestanti) hanno deciso di unire le loro forze per venire incontro alle necessità dei profughi e di tutti coloro che si trovano in difficoltà”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39622&lan=ita


Arcivescovo armeno di Aleppo: le parole del Papa, segno di speranza per tutti i siriani
Mons. Marayati, commenta il messaggio del pontefice al popolo siriano pronunciato ieri all'Angelus. I cattolici di Aleppo affrontano la guerra pregando e digiunando per il dialogo e la riconciliazione. Fonti di AsiaNews sottolineano le gravi condizioni della popolazione. Alto il rischio di una catastrofe umanitaria.
Aleppo (AsiaNews) - "La vicinanza del Santo Padre al popolo siriano ci conforta e infonde speranza nei nostri cuori. Le sue parole richiamano tutti i cattolici di Siria a pregare per la pace e per la riconciliazione fra sunniti e alawiti". È quanto afferma ad AsiaNews mons. Boutros Marayati, arcivescovo cattolico-armeno di Aleppo. Il prelato racconta che il messaggio del Papa pronunciato ieri all'Angelus è già stato tradotto in arabo e nei prossimi giorni sarà diffuso nelle varie parrocchie e diocesi del Paese.
L'arcivescovo sottolinea che in questi giorni di guerra la popolazione ha paura e si sente impotente di fronte alle violenze in corso fra ribelli del Free Syrian Army ed esercito. Per i cristiani l'unico gesto che infonde ancora speranza è la preghiera. "Abbiamo chiesto ai nostri fedeli di fare digiuno - racconta - e di offrire le loro sofferenze per la pace e il dialogo".
http://www.asianews.it/notizie-it/Arcivescovo-armeno-di-Aleppo:-le-parole-del-Papa,-segno-di-speranza-per-tutti-i-siriani-25422.html

sabato 28 luglio 2012

La battaglia di Damasco

La capitale siriana è stata il teatro di scontri violenti, parte di un piano che avrebbe dovuto portare alla caduta del governo Assad

di Mario Villani

Ore drammatiche quelle vissute a Damasco e in altre città siriane nelle ultime due settimane. Qualcuno (l'opposizione armata?, l'Arabia saudita?, la Turchia ed i paesi occidentali?) ha ritenuto che il regime baathista al potere da oltre cinquant'anni fosse ormai sufficentemente indebolito, molti reparti dell'esercito pronti alla defezione e lo stesso Presidente Bashar Assad sul procinto di cercarsi un esilio dorato in un paese estero ospitale. Questo “qualcuno” ha quindi ha dato il via libera ad una operazione che avrebbe dovuto far precipitare gli avvenimenti e che è stata denominata: “Vulcano a Damasco e terremoto sulla Siria”.
L'operazione si è articolata in tre momenti principali.
In primo luogo gli organizzatori si sono assicurati l'appoggio mediatico. Non solo tutti i media occidentali e delle petro-monarchie hanno cominciato a ripetere il mantra secondo cui Assad aveva i giorni contati ed il regime stava per crollare, ma si è anche cercato di impedire che si levassero voci contrarie. Sono stati infatti bloccati i server dell'agenzia ufficiale SANA e spento il segnale satellitare della televisione di Damasco. Sono addirittura stati lanciati falsi programmi sulle frequenze utilizzate da quest'ultima. E' un aspetto della guerra in Siria che diventerà sempre più importante nel futuro. Qualcosa del genere è già avvenuto durante la guerra in Libia ed ha contribuito non poco a demoralizzare i simpatizzanti di Gheddafi. Una psico-guerra che sarà una componente essenziale di tutti i conflitti del futuro anche al di fuori dello scenario mediorientale.
Sul terreno poi l'operazione è stata preparata con cura. Appoggiandosi a simpatizzanti locali e facendo filtrare in Damasco centinaia di combattenti i capi dell'ELS (la principale formazione armata anti-regime)) hanno creato una fitta rete di rifugi e basi nei principali quartieri della capitale sirana. Damasco, lo dico per coloro che non l'hanno mai vista, ha un'estensione enorme in quanto le abitazioni sono prevalentemente a due o massimo tre piani e vi sono pochissimi grossi edifici. Non è quindi impossibile sfuggire al controllo delle Forze dell'Ordine e creare numerose piccole aree di fatto controllate da gruppi armati. L'operazione ha sicuramente richiesto alcuni mesi e forse per questo la città aveva goduto, nelle settimane precedenti, di una relativa calma. Il 18 luglio colonne di guerriglieri – molti dei quali non siriani – hanno attraversato i confini provenienti da Libano, Giordania e Iraq e si sono diretti verso Damasco dove le formazioni già presenti avevano in quelle ore scatenato una violenta offensiva che coinvolgeva praticamente tutti i quartieri della città con attacchi a posti di polizia, edifici governativi e caserme. Nelle stesse ore i movimenti di opposizione armata lanciavano un appello alla popolazione perchè scendesse in strada ovunque ad appoggiare l'insurrezione, circondando le caserme e impedendo i movimenti delle truppe con sit in e blocchi stradali.
Durante le ore convulse dei combattimenti strada per strada nella capitale siriana avveniva poi l'episodio che, secondo le previsioni di qualcuno, avrebbe dovuto avviare il definitivo disfacimento del regime di Assad. Una bomba è stata fatta esplodere nella sede nel Quartier Generale delle Forze di Sicurezza uccidendo il Ministro della Difesa il cristiano Generale Dawjiah ed il suo vice Affez Shawkat cognato dello stesso Presidente Assad. Nell'attentato trovavano la morte anche altri esponenti del regime e secondo alcune voci, poi smentite, veniva ferito lo stesso Assad. La perfezione tecnica dell'operazione ha subito indotto molti osservatori - soprattutto russi - a ritenere che l'attentato non fosse stato opera dei rivoltosi, da sempre piuttosto approssimativi dal punto di vista tecnico, ma di servizi segreti stranieri, probabilmente sauditi e qatarioti, forse con l'appoggio della CIA.

venerdì 27 luglio 2012

DALLA SIRIA APPELLO A TUTTA LA STAMPA CRISTIANA: NON SOSTENETE LA RIBELLIONE VIOLENTA!

Quello che noi chiediamo, se l’Occidente, i cristiani d’Occidente, se i Paesi di buona volontà vogliono aiutarci, che spingano per il dialogo e per l’intesa, ad un compromesso; in altri termini, che sostengano la missione Annan con tutte le loro forze, che tentino di fare in modo che gli scontri e i conflitti finiscano e al contempo non incoraggino e non stimolino la violenza e l’odio, quanto piuttosto tentino di richiamare alla calma e alla ragione. (mons. Jean-Clément Jeanbart)
http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=608327

“Urge fermare tutte le azioni ostili, provenienti da ogni parte”: è l’appello lanciato a tutte le parti coinvolte nel conflitto siriano, in Siria e all’estero, da Sua Beatitudine il Patriarca Ignazio IV di Antiochia, Primate della Chiesa greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, che risiede a Damasco.
Nel testo del messaggio, inviato all’Agenzia Fides, il Patriarca Ignazio afferma: “Un incalcolabile numero di arabi musulmani e cristiani, uomini, donne e bambini, cadono vittime delle bombe ogni giorno. Gli ospedali sono pieni di feriti il gemito umano è divenuto continuo e ininterrotto”. Come arabi della Siria, “a prescindere dalla nostra religione, noi abbiamo il diritto di vivere in pace nel nostro paese”, prosegue, notando che “in quindici mesi, abbiamo perso innumerevoli persone, molti emigrati e profughi hanno lasciato le loro patria per altri paesi. I nostri cristiani hanno perso i loro villaggi, le città, le loro proprietà, le loro chiese e le loro famiglie sotto le macerie della lotta”. Il Primate ortodosso conclude: “Invitiamo tutti i siriani, in nome dell'unico vero Dio, a decidere di vivere insieme nella nostra patria benedetta Auspichiamo che tutte le organizzazioni internazionali ci aiutino a garantire la pace, la stabilità e la riconciliazione”. (PA) (Agenzia Fides 27/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39611&lan=ita

L’opposizione siriana apre al dialogo:  “Non è troppo tardi per salvare il nostro paese. Pur riconoscendo il diritto dei cittadini alla legittima difesa, ribadiamo che le armi non sono la soluzione. Occorre rifiutare la violenza e lo scivolamento ver­so la guerra civile perché met­tono a rischio lo stato, l’identità e la sovranità nazionale”: così recita il messaggio diffuso da un gruppo di esponenti dell’opposizione siriana, riuniti a Roma in un incontro organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Il gruppo, guidato da Abdulaziz Alkhayer del “National Coordination Body” e formato da sedici rappresentanti dei partiti dell’opposizione siriana, ha diffuso un appello che invita tutte le parti coinvolte a trovare “una soluzione pacifica al conflitto siriano” tramite un “patto nazionale comune”.
“Sappiamo che la Siria, luogo di convivenza di religioni e di popoli diversi, corre oggi un rischio mortale che incrina l’unità del popolo, i suoi diritti e la sovranità dello stato”, recita il Documento finale, inviato all’Agenzia Fides. Le potenze straniere, si afferma, non devono “incitare alla militarizzazione” mentre si invita l’Esercito Siriano Libero a “partecipare a un processo politico per giungere a una Siria pacifica, sicura e democratica”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39612&lan=ita


Siria. L’opposizione a Roma da S. Egidio “Tacciano le armi, trattiamo con Assad" in La Repubblica del 27 luglio 12
No alla violenza del regime e dei ribelli, sì a una immediata soluzione politica che faccia uscire la Siria dalla sua drammatica spirale di violenza. È l’appello di 17 importanti esponenti dell’opposizione siriana scaturito ieri da un’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio a Roma. L’appello è stato firmato da ben 11 sigle di opposizione e della società civile che operano in Siria (tra cui il Consiglio di Coordinamento Nazionale, il Forum Democratico e la Coalizione Watan) e che, raggruppando diversità religiose ed etniche, hanno un dogma in comune: «Le armi non sono la soluzione».
L'appello di Roma
Il dialogo al centro della richiesta degli esponenti siriani riuniti oggi dalla Comunità di Sant'Egidio
leggi l'appello su SIR
http://www.agensir.it/pls/sir/v4_s2doc_b.servizi?tema=Anticipazioni&argomento=dettaglio&id_oggetto=244444

giovedì 26 luglio 2012

Un articolo illuminante sulle forze in gioco e i consigli degli esperti di politica internazionale...

Al-Qaeda alleato dei ribelli islamici nella lotta contro Assad
Foto, video e rivendicazioni di attentati confermano la presenza di centinaia di miliziani sul territorio siriano. La maggior parte proviene da Paesi esteri, fra cui Russia, Somalia e Mali. Organizzazione britannica per la difesa lancia l'ipotesi di un colpo di Stato militare guidato dai Paesi occidentali.


Damasco (AsiaNews/ Agenzie) - Nel nord ovest della Siria i ribelli che lottano contro il regime di Assad hanno trovato un alleato di eccezione: al-Qaeda e centinaia di islamisti provenienti da Paesi stranieri. Gli Stati più rappresentativi sono Iraq, Libia, Egitto, Afghanistan. Ma vi sono anche militanti da Russia (Cecenia), Ucraina, Mali e Somalia. La presenza degli estremisti è confermata da diversi video apparsi su siti jihadisti, che mostrano uomini con il volto coperto che inneggiano alla guerra santa mostrando fucili mitragliatori, bombe e sventolando la bandiera nera di al-Qaeda. In un filmato apparso nei giorni scorsi e postato su Youtube una voce fuori campo grida "stiamo formando cellule di kamikaze per continuare la guerra santa in nome di Dio".

A tutt'oggi l'opposizione nega la presenza di gruppi estremisti islamici fra le sue fila, ma secondo gli esperti i confini con Turchia e Iraq sono diventati dei veri e propri centri di raccolta per miliziani di tutto il mondo islamico sunnita. Alcuni hanno definito lo scenario siriano "un magnete" per al-Qaeda e i suoi affiliati. Testimoni raccontano che a Bab al-Hawa, posto di blocco sul confine turco, centinaia di stranieri sono entrati in questi giorni per sostenere l'esercito libero siriano nella battaglia di Aleppo. Ciò che spinge queste persone ad attraversare l'Asia o il Nord Africa, non è il desiderio di democrazia, ma la punizione esemplare dei "nusayrs" (eretici) nome dispregiativo per definire gli alawiti, la setta sciita di Bashar al-Assad.

L'aumento dei combattimenti nella provincia settentrionale di Aleppo ha attirato in questi giorni centinaia di jihadisti provenienti dall'Iraq. La conferma giunge anche da una recente indagine del governo iracheno, secondo cui i militanti operativi sul territorio siriano fanno parte dello stesso gruppo che ha rivendicato gli attentati che hanno sconvolto l'Iraq in questi ultimi mesi. "Le nostre liste di sospetti - afferma Izzar al-Shahbandar, consulente del primo ministro - combaciano con quelle delle autorità siriane". Le foto comparse su alcuni forum legati ad al-Qaeda mostrano anche gruppi di veterani della guerra in Libia. Secondo Naharnet, agenzia libanese, in alcune appaiono uomini vestiti di nero che brandiscono uno striscione con scritto: "I rivoluzionari della brigata di Tripoli". La conferma di una frenetica attività degli estremisti islamici sul suolo siriano giunge dal numero di attentati rivendicati dalla stessa al-Qaeda. Da dicembre il sono almeno 35 gli attentati con autobombe e 10 gli attentati suicidi avvenuti sul suolo siriano. Di questi 4 sono stati rivendicati dal "Fronte Nusra" di Al Qaeda.

La presenza di gruppi jihadisti fra l'esercito libero siriano ha sollevato molte polemiche anche sul piano diplomatico. Ieri Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha accusato gli Stati Uniti di sostenere con la sua politica anti Asssasd i ribelli islamici. Egli ha criticato la posizione di Susan Rice, ambasciatore Usa all'Onu, che non ha condannato l'attentato di Damasco dello scorso 18 luglio costato la vita a diversi membri di spicco del regime, chiedendo invece l'imposizione di nuove sanzioni.

Intanto, si fa sempre più strada l'ipotesi di un intervento armato per deporre il presidente Assad. Uno studio del Royal United Services Institute (RUSI), organizzazione britannica specializzata in questioni di politica internazionale e difesa, avverte su un probabile scontro fra gruppi sunniti sostenuti da Arabia Saudita e altri Stati arabi e milizie sciite, fra cui Hezbollah ed esercito regolare siriano, appoggiati dall'Iran. A ciò si aggiunge la minaccia delle armi chimiche in mano al regime siriano. La presenza di armi chimiche preoccupa Israele che ha già iniziato a distribuire maschere anti-gas nelle città al confine con la Siria. Nei giorni scorsi Shimon Peres, presidente israeliano, ha dichiarato che il probabile utilizzo di armi non convenzionali da parte del regime di Damasco mette a serio rischio la sicurezza di Israele. In caso di una caduta del regime, Peres teme il potenziale trasferimento di armi pesanti o chimiche dell'arsenale siriano agli integralisti sciiti libanesi di Hezbollah o all'Iran, ma anche il furto da parte di gruppi islamici legati ad al-Qaeda.

Secondo Michael Clarke, responsabile del Rusi, un intervento militare dell'occidente è necessario prima che la guerra degeneri. "Non siamo noi che ci stiamo muovendo verso l'intervento - afferma - ma è l'intervento stesso che si muove verso di noi". Clarke sostiene che gli eventi degli ultimi giorni hanno creato un cambiamento radicale nella situazione che allontana la possibilità di una soluzione diplomatica del conflitto". Il responsabile del Rusi consiglia l'intervento di forze speciali sul territorio a sostegno dei gruppi ribelli, già utilizzate in Afghanistan nel 2001 e in Libia nel 2011. Tali operazioni potrebbero anche includere un colpo di stato contro il regime.
http://www.asianews.it/notizie-it/Al-Qaeda-alleato-dei-ribelli-islamici-nella-lotta-contro-Assad-25392.html

Dove è la verità? media e la violenza: la televisione di Agnès-Mariam de la Croix

“Con questa violenza non avremo neanche un grammo di libertà”. A dirlo, nel corso dell’incontro che si è tenuto ieri pomeriggio nella sala Metodista di Roma, è stata madre Agnès-Mariam de la Croix, religiosa palestinese che vive in Siria, superiora del monastero Deir Mar Yacoub a Qara, nel governatorato di Homs.

La convivenza, “successo sociale che viene dal cuore”. “Vivo in Siria dal 1994, e la Siria, sotto il regime di Assad, aveva una sicurezza invidiabile, certamente per la repressione, ma anche per il tessuto sociale che viveva secondo un’alleanza, rispettando un patto. Che non è frutto di nessun regime, ma è esso stesso fondamento e sostegno del governo”, racconta la religiosa carmelitana, che da mesi aiuta le vittime civili del conflitto e sostiene la causa del negoziato e della pace. “Damasco è la capitale più antica del mondo abitato, e la Siria è fatta da molte entità etniche, confessionali e razziali. Il problema della convivenza - spiega - non è politico, ma sociale: se una persona accetta l’altro non viene siglato un accordo politico, ma un successo sociale che viene dal cuore. Non è stabilito da nessun regime, ma dalle persone”. Oggi le grandi potenze hanno deciso di “fermare questo regime dimenticando il patto sociale che è origine e forza della convivenza nella società. Come se la Siria - prosegue - fosse un minorenne incapace di decidere per sé, e avesse bisogno di una nutrice. Intromettersi così nella vita di una popolazione è contro la legge delle Nazioni Unite: una nazione autonoma e indipendente ha diritto di scegliere per sé stessa la realtà e il futuro. È a causa dell’ingerenza degli altri - sottolinea - che la Siria vive una fase di drammatica fatica”.

Se “il mondo racconta tutta un’altra storia”. E i mass media, secondo madre Agnès-Mariam, hanno grosse responsabilità: “Pensano a fare titoli altisonanti: indipendenza, libertà, democrazia. Tutti i mezzi di comunicazione del pianeta formano una sola voce per convincere che la realtà è quella che dicono loro. Ma è tutta una bugia, una manipolazione mediatica”, afferma. La verità “non è quella degli schermi tv o delle pagine dei giornali. Ci sono giornalisti che ammettono di non poter raccontare quello che vedono. C’è in atto un’influenza totalitaria per fare di tutti noi un solo pensiero. Certo, noi tutti vogliamo che i siriani vivano in democrazia, ma secondo una loro scelta. E comunque questa guerra non è per la democrazia, ma per il gas. La Siria è più ricca di quanto si pensi, vicino al nostro monastero hanno scoperto uno dei giacimenti più grandi. Come religiosa – aggiunge - credo nella liberazione spirituale, nella possibilità di lottare per la libertà. Credo sia un dovere aiutare un povero che vuole la sua autonomia e non la avrà perché il mondo racconta tutta un’altra storia. Credo che bisogna essere testimoni veri della sfida del popolo vittima degli attentati”.

“Viviamo in una menzogna grandissima”. Madre Agnès-Mariam riferisce di aver visto con i suoi occhi “centinaia di civili uccisi da forze armate dell’opposizione. I banditi li prendono in ostaggio, e i mercenari provenienti da Libano e Giordania invadono le zone residenziali di Damasco: questo è contrario alla Convenzione di Ginevra, ma in migliaia entrano senza permesso, per fare la guerra. In quarantotto ore un milione di persone sono state costrette a fuggire da un quartiere ad un altro. Non sono i ribelli che posizionano cariche da un chilo e mezzo di dinamite, sono forze ben più potenti a farlo”. In grande pericolo, oggi, è la città di Aleppo: “non ha voluto partecipare a tutti questi mesi di sollevazione. Ma dal nord, vicino al confine con la Turchia, arrivano mercenari tunisini, libici, arabi, pakistani, libanesi, sudanesi e afghani: i mercenari vengono per distruggere, non sono certo un esercito di liberazione. Viviamo in una menzogna grandissima - aggiunge - dove si pagano migliaia di dollari perché ciascuno di noi ci creda. Ringrazio Dio che ogni giorno persone libere si alzano per dire quello che non è vero”. Il 90% del Consiglio nazionale siriano, che riunisce gran parte dei gruppi di opposizione, “non viene in Siria da trenta o più anni”. Quanto a Paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, che appoggiano i ribelli, la superiora riflette: “La libertà non esiste in Arabia Saudita: io sono forse libera di andare in giro col mio abito, e con questa mia croce? Come è possibile che questo Paese, allora, dia orientamenti sul cambiamento della Siria? Come è possibile che lo faccia il Qatar, che ha solo pochi anni?”.

Un cammino verso la verità. “Mussalaha”, che vuol dire “riconciliazione”, è un movimento siriano nato dall’impegno della società civile e raccoglie aderenti di ogni etnia, fede e credo politico. Madre Agnès-Mariam, che sostiene il progetto, è fiduciosa: “spero nell’inizio della riconciliazione nazionale, nel rifiuto dell’uso delle armi. La speranza, oggi, per la Siria, è tutta riposta nel popolo siriano stesso, abituato a vivere nella diversità. Non è necessario insegnare ai cristiani d’Oriente come dialogare con l’Islam, perché questo accade da secoli”. Oggi i cristiani hanno paura che la tragedia di Homs si ripeta, ma “dire che sono stati appoggiati e privilegiati dal governo è una calunnia”, sostiene la religiosa, “perché, ad esempio, ogni imam veniva pagato dallo Stato, mentre i ministri di culto cristiani no. E poi nella Siria secolare i cristiani non hanno gli stessi diritti dei musulmani: un cristiano può convertirsi all’Islam, ma un musulmano non può essere registrato come cristiano”. Ad ogni modo la violenza, conclude la madre superiora, “non è un mezzo per fare niente, nemmeno in Siria. C’è un cammino da fare, certo. Ma poco alla volta la verità sarà più forte”.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=244407&rifi=guest&rifp=guest


Radio Vaticana: Testimonianze di pace dalla Siria: l'esperienza della suora carmelitana Agnes- Mariam de la Croix
Mentre in Siria divampa la guerra c'è chi non si scoraggia e continua ad operare per la pace, come suor Agnes-Mariam de la Croix, carmelitana e superiora del monastero di Deir Mar Yocoub di Qara, nel governatorato di Homs. La religiosa è sostenitrice dell’iniziativa "Mussalaha" per la "Riconciliazione" che opera partendo dal basso della società siriana. Al microfono di Salvatore Sabatino suor Agnes-Mariam racconta un’altra iniziativa interreligiosa, di sostegno ai musulmani, promossa proprio nel suo monastero in occasione del Ramadan: RealAudioMP3
...

D. – Dunque, il potere del dialogo può far terminare le violenze. Come si immagina il futuro della Siria?
R. – Nous croyons en la Résurrection, nous croyons dans le Christ Sauveur…

http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=607976

mercoledì 25 luglio 2012

Aleppo paralizzata dai combattimenti, i cristiani nel terrore

“Da due giorni Aleppo è paralizzata dai combattimenti. La situazione è molto grave. Sentiamo di continuo spari. La gente è chiusa in casa, gli uffici sono chiusi, le attività commerciali ferme. Gli scontri si stanno avvicinando ai quartieri cristiani e sarebbe un grave pericolo per i fedeli. La gente non vuole la guerra e la violenza: il mondo ci aiuti a ritrovare la pace!”: è l’accorata testimonianza rilasciata all’Agenzia Fides da p. Jules Baghdassarian, sacerdote greco-cattolico di Aleppo e Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (POM) in Siria.
Il Direttore dice a Fides: “I combattenti dell’Esercito Libero Siriano vogliono prendere il cuore di Aleppo e nel cuore ci sono le chiese e le case dei cristiani. Le bande armate rivoluzionarie sono in prevalenza islamiste, abbiamo testimoni oculari di ciò, e i cristiani hanno paura di subire violenze. La gente di Aleppo non vuole la rivoluzione, ama la pace. Famiglie cristiane e musulmane sono stanche della violenza, perché la vita è diventata molto dura nell’ultimo anno”.
Anche dal punto di vista umanitario la situazione è critica: “Abbiamo già molti rifugiati giunti da Homs” prosegue. “Come Pontificie Opere Missionarie abbiamo accolto e stiamo provvedendo all’assistenza di 30 famiglie di Homs. Le chiese sono molto impegnate per l’aiuto umanitario ai rifugiati, che continuano ad aumentare. Abbiamo grande bisogno di aiuti”.
“I Vescovi cattolici – riferisce p. Jules – si incontreranno domani nell’Arcivescovado greco-cattolico e credo che lanceranno un appello per il cessate-il-fuoco e la pace. Pensiamo che la politica debba fare qualcosa per la pace e la riconciliazione. Come cristiani, la nostra speranza è la riconciliazione. Chiediamo alla comunità internazionale e all’Unione Europea di aiutarci a ritrovare la pace, non di fomentare la guerra!”. (PA) (Agenzia Fides 25/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39594&lan=ita