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giovedì 19 luglio 2012

ATTENTATO TERRORISTICO A DAMASCO: rivendicazioni e considerazioni

Attentato a Damasco, uccisi i vertici della Difesa
L’attentato è stato rivendicato su Facebook da un gruppo islamico ribelle, Liwa al-Islam (La brigata dell’Islam). Un portavoce ha confermato la rivendicazione anche per telefono. Ma contemporaneamente anche il Libero esercito siriano si è assunto la responsabilità dell’azione, attraverso un portavoce. Secondo una fonte della sicurezza siriana, l’attentatore era una guardia del corpo del gruppo dirigente vicino ad Assad.

In Siria sta vincendo il più spregiudicato
da "Vietato Parlare"
E’ digustoso sentire ancora dire che in Siria c’è la guerra civile! Non c’è un popolo che è insorto, ci sono uomini sanguinari che altrove sono chiamati terroristi ma in quella terra no, sono combattenti della libertà. Altrove rapiscono persone come la Urru e giustamente oggi esultiamo che sia stata liberata. Tuttavia il rapimento ed il terrore è stato per mesi il metodo dell’esercito libero siriano che oggi ha rivendicato l’attentato, e nessuno ha parlato, no, si è sanzionato un intero popolo, si è affamato un intero popolo, centinaia di persone innocenti sono state uccise e terrorizzate, ciononostante la comunità internazionale appoggia e legittima chi ha fatto tutto questo, chi ha sprofondato un paese nell’anarchia e nel contrario della democrazia. I metodi e le azioni sono le stesse di chi ha fatto crollare le torri gemelle l’11 settembre. Come si può dire che dopo tutto questo le mani saranno pulite per realizzare la democrazia? Come si può dire che il cuore pieno di odio potrà essere guidato da pensieri nobili per il bene comune?
http://www.vietatoparlare.it/2012/07/18/in-siria-sta-vincendo-il-piu-spregiudicato/

da Avvenire 19 luglio
La minoranza alawita e i cristiani a rischio.  La svolta violenta a Damasco Scenari inquietanti per il dopo Assad di Riccardo Redaelli
Le volute di fumo nero che si sono alzate ieri dal centro di Damasco raccontano meglio di tante parole la trasformazione dello scenario siriano e l’inizio di una nuova fase della guerra civile nel Paese. Colpito al cuore il regime con l’uccisione di ministri e parenti dello stesso presidente Assad, portata la rivolta nelle strade della capitale, indebolita la rete di sostegno del sistema di potere alawita con la fuga di altri generali, da ieri Assad è più fragile. Aumenta concretamente il rischio di una implosione totale del suo sistema di potere. La natura del sanguinoso attentato dimostra come i sedici mesi di rivolte abbiano fiaccato il regime, assottigliando le forze di cui può effettivamente disporre, creato varchi negli asfissianti sistemi di controllo e repressione, generato dubbi e distinguo fra le fazioni al potere. I margini di manovra per il presidente si riducono, tanto più se si considera la natura particolare del suo regime, che non è tanto legato al partito ba’th, quanto alla piccola minoranza alawita, che in questi decenni ha occupato tutti i gangli e gli interstizi del potere. In molti, all’interno del regime, stanno probabilmente rimpiangendo di non aver mai aperto dei canali con l’opposizione, quando ciò ancora era possibile. Ma l’aumento delle violenze, il degenerare degli scontri in vera guerra civile, il tipo di attacchi che ricorda sempre più le violenze jihadiste che per anni hanno insanguinato l’Iraq, testimoniano anche la trasformazione del fronte di opposizione ad Assad, la sua militarizzazione e radicalizzazione. In uno scenario di questo tipo, appare pericolosamente illusorio pensare che la caduta dell’attuale crudele regime possa portare a una transizione tutto sommato indolore, in cui i partiti liberali siano in grado di traghettare il Paese verso un modello democratico. A giocare un ruolo sempre maggiore sembrano i movimenti sunniti radicali sostenuti – e armati – dai Paesi arabi del Golfo, attivissimi in tutto il Medio Oriente post primavera araba nel dare appoggio ai salafiti, cioè ai peggiori rappresentanti dell’islam. Molte delle forze che combattono Assad dimostrano una violenza e una ferocia che spinge i gruppi lealisti a resistere a ogni costo, dato che l’alternativa sembra quella di rassegnarsi a subire una ritorsione brutale. E non si tratta solo degli alawiti. La Siria è una nazione plurale e composita, in cui le diverse confessioni cristiane hanno giocato un ruolo importante a ogni livello: basti pensare a Michel Aflaq, il fondatore del nazionalismo pan-arabo. Ebbene, le incertezze e i timori per il futuro stanno spingendo molti cristiani a cercare di lasciare il Paese. Ancora una volta, come già in Iraq e come forse in Egitto, essi rischiano di vestire gli scomodi panni dei vasi di coccio stritolati fra opposti estremismi. Il rinvio della votazione all’Onu sul caso siriano, richiesta dallo stesso inviato Kofi Annan, è stata una conseguenza ovvia, dato che la Russia, tanto più dopo questo attentato, avrebbe osteggiato ogni risoluzione. Ma posporre semplicemente la discussione non cambierebbe granché. E tempo invece di guardare a quanto avviene in Siria con prospettiva meno dicotomica (buoni da una parte, cattivi dall’altra) di quanto fatto finora, in particolar modo a Washington. Non si tratta certo di difendere un governo criminale o immaginare un futuro politico per un dittatore come Assad, ma tentare di rileggere la realtà siriana alla luce dei mille disastri che abbiamo dovuto affrontare in Medio Oriente, dalla tragedia irachena, al fallimento afghano, al pasticcio libico, all’anarchia perdurante da vent’anni in Somalia. Abbattere con la violenza un dittatore, sostenere una parte contro l’altra in una guerra civile, tanto più in società plurali o frammentate, espone al rischio concreto di una violenza settaria che trascina quel paese – e la sua regione – nel caos. Una Siria in cui gli alawiti, i cristiani e le altre forze minoritarie siano ridotti al silenzio sarebbe una Siria più debole, certo non più giusta o meno insanguinata.
 
 
da Il Sussidiario:  Wazne (Al Jazeera): Al Qaeda pronta a impadronirsi delle armi chimiche di Assad intervista di Pietro Vernizzi
I ribelli sono arrivati a Damasco. Quanto è vicina la capitolazione di Assad?
 L’escalation in Siria ha raggiunto un punto molto critico. Quella che sta avendo luogo è una vera guerra, ed è evidente che ci aspettano giorni estremamente duri. Prima che cambi realmente qualcosa, in Siria scorrerà ancora del sangue copioso. Il presidente Assad, nonostante le pesanti perdite riportate ieri, continua ad avere un esercito numeroso in grado di combattere per lui. Può fare affidamento su un numero di soldati tra le 100mila e le 200mila unità, il cui nocciolo duro è composto da alawiti che combatteranno fino all’ultimo.
 Che cosa si aspetta dal voto alle Nazioni Unite di questa settimana?
 L’Onu, l’Occidente e i Paesi del Golfo non sono stati in grado di gestire la situazione come avrebbero dovuto. Ciò di cui c’era bisogno era una piattaforma politica in grado di far sì che il governo e l’opposizione di riunissero attorno a un tavolo per discutere una soluzione che fosse accettabile per tutti. Purtroppo ormai è troppo tardi per un compromesso, e l’escalation di violenza è destinata a raggiungere il suo apice. Alla fine avremo un vincitore, ma nel frattempo quante altre migliaia di morti dovremo contare?
 Quali saranno le conseguenze per i Paesi confinanti?
Quanto sta avvenendo in Siria è estremamente pericoloso per tutto il Medio Oriente e può portare a una guerra regionale. Sono diverse le nazioni che possono essere colpite, incluse Libano, Iraq, Israele e ovviamente l’Iran, per non parlare dei Paesi del Golfo. In una parola, l’intera regione sarebbe coinvolta se le cose dovessero sfuggire di mano, specialmente per il fatto che sappiamo che in Siria ci sono delle armi chimiche e batteriologiche.
 E’ soltanto di propaganda, come nel caso dell’arsenale segreto di Saddam Hussein?
 Sul fatto che Assad disponga di armi chimiche e biologiche non ci sono dubbi. Ritengo che il presidente non abbia intenzione di usarle, ma nessuno può dire in quali mani potranno finire nei prossimi giorni. Finché sono sotto il controllo dell’esercito siriano non rappresentano una minaccia, ma se dovessero impadronirsene alcune componenti dell’opposizione ci troveremmo di fronte a gravi rischi. Sappiamo che in Siria Al Qaeda non solo è presente, ma è coinvolta massicciamente nella lotta contro Assad.
 Ieri è stato ucciso il ministro Rajha. Ritiene un caso che si sia trattato di una vittima cristiana?
 Nelle ultime ore i ribelli hanno ucciso numerose persone, musulmane e cristiane. L’assassinio del ministro della Difesa, Dawood Rajha, non mirava quindi a colpire nello specifico una personalità cristiana, ma tutti coloro che sono sinceramente leali al presidente. L’operazione militare è stata condotta senza badare alle appartenenze religiose. La situazione delle minoranze, e in particolare dei cristiani, diventerà problematica in seguito, soprattutto nell’ipotesi di un collasso del regime.
 In che senso?
 In questa fase l’uccisione di Rajha rientra nel tentativo di scalzare Assad. Ma se il presidente dovesse perdere il potere, i cristiani si troverebbero in una posizione molto difficile. Il loro futuro sarebbe simile alla situazione della Chiesa in Iraq, e anche restare in Siria diventerebbe molto pericoloso per i non musulmani. Ciò che si verificherebbe sarebbe quindi un enorme esodo verso il Libano e probabilmente verso i Paesi occidentali. Le minoranze sarebbero marginalizzate e discriminate dall’attuale opposizione, se quest’ultima dovesse arrivare a controllare il Paese. Un’ipotesi però ancora lontana dal realizzarsi.


DICHIARAZIONE DELLA PRESIDENZA CCEE
SULLA SITUAZIONE IN SIRIA
Speriamo che le autorità del Paese, la popolazione e tutti i credenti, di qualunque religione essi siano, guardino a Dio e trovino il cammino che faccia cessare tutte le ostilità, deporre le armi e intraprendere la via del dialogo, della riconciliazione e della pace. Questo conflitto non può che portare con sé inevitabilmente lutti, distruzioni e gravi conseguenze per il nobile popolo siriano. La guerra è una via senza uscita. La felicità non può che essere raggiunta insieme, mai nella prevaricazione degli uni contro gli altri.



Riforme, non armi

La Chiesa cattolica continua a denunciare l'interferenza di elementi stranieri
Da SIR Mercoledì 18 Luglio 2012
L’urgenza del dialogo.  Come conferma al Sir una fonte della Chiesa locale, che ha chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza: “Ci sono focolai di scontri tra esercito siriano e terroristi in atto in alcune zone periferiche della capitale. Si tratta di centinaia di militanti islamici, alcuni di Al Qaeda, entrati in Siria per fomentare disordini da Paesi come Kuwait, Iraq, Libano, Arabia Saudita e Qatar. I loro corpi vengono bruciati dai loro compagni una volta colpiti dalle forze fedeli ad Assad, per non fornire prove al regime siriano. La gran parte della popolazione è con il regime e non ne vuole sapere di questi combattenti integralisti, i musulmani siriani non conoscono fanatismi. Se il popolo fosse stato tutto contro Assad lo avrebbe spazzato via in pochi giorni, come accaduto in altre nazioni. Questo non vuol dire, però, che tutto vada bene. La Siria non è una democrazia perfetta. La Siria ha bisogno di riforme e non di armi, ha bisogno di dialogo e non di scontri a fuoco”. Si punta l’indice contro la comunità internazionale e i media che “distorcono la realtà”. “Vogliono togliere la Siria ai siriani per consegnarla ai Fratelli musulmani come accaduto in altri Paesi mediorientali. Il nostro resta l’unico baluardo all’Islam integralista e questo non piace ad altri Paesi della regione. I cristiani non soffrono persecuzioni ma in quanto minoranza sono tra i più vulnerabili specie davanti a questi terroristi stranieri che s’infiltrano nei quartieri anche cristiani, seminando violenze e morte”. Ne è una prova il movimento “Mussalaha” (Riconciliazione), nato dalla società civile, interreligioso, che punta al dialogo fra le diverse componenti della società siriana e che tante vite umane sta salvando in queste settimane. Ad Homs un Comitato della “Mussalaha” ha mediato un accordo fra le forze governative e i rivoluzionari armati consentendo l’evacuazione di oltre 60 civili, in maggioranza cristiani.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=244000&rifi=guest&rifp=guest

martedì 17 luglio 2012

“I pericoli sono anarchia, armi, interferenze; le urgenze sono dialogo e riconciliazione”: nuovo appello del Patriarca Gregorio III Laham

Mentre la crisi siriana si aggrava, di fronte a quella che è stata ormai definita una “guerra civile”; mentre “prevale il linguaggio della violenza e la voce della moderazione si indebolisce” “urge uno sforzo di dialogo e di riconciliazione”: è quanto afferma S.B. Gregorio III Laham, Patriarca dei greco-melkiti di Damasco, in una nota inviata in esclusiva all’Agenzia Fides.
Il Patriarca, confidando nello spirito del popolo siriano, afferma: “I siriani, grazie alla loro lunga storia, possono risolvere questa crisi pericolosa aiutandosi a vicenda, attraverso l’amore e il perdono. Lanciamo un appello urgente per il dialogo, la riconciliazione, la pace: questa è una delle lingue più rare, che molti non vogliono ascoltare. Noi cristiani, ai quali è stato affidato il Vangelo della pace, ci sentiamo chiamati a promuoverla”.
Analizzando la crisi siriana, il Patriarca nota: “I pericoli maggiori in Siria oggi sono l'anarchia, la mancanza di sicurezza e l'afflusso massiccio di armi da molte parti. La violenza genera violenza, che raggiunge tutti i cittadini, senza distinzione di razza, religione o colore politico”. In tale contesto “i cristiani vivono gli stessi pericoli, ma sono l'anello più debole. Indifesi, sono i più vulnerabili allo sfruttamento, all’estorsione, al sequestro di persona, agli abusi. Nonostante questo, non vi è alcun conflitto tra cristiani e musulmani. Non ci sono persecuzioni e i cristiani non sono presi di mira in quanto tali, ma sono tra le vittime del caos e della mancanza di sicurezza”.
Fra gli elementi negativi, a detta del Patriarca, vi è “l'interferenza di elementi stranieri, arabi e occidentali, che portano armi, denaro e informazioni a senso unico. Questa interferenza è dannosa anche alla cosiddetta opposizione, e danneggia l'unità nazionale, in quanto indebolisce anche la voce della moderazione”.
Sull’atteggiamento delle Chiese, il Patriarca Gregorio III Laham afferma: “Le Chiese cattoliche in Siria, di tutte le confessioni, hanno alzato la loro voce, chiedendo riforme, libertà, democrazia, lotta contro la corruzione, sostegno allo sviluppo, libertà di parola. Oggi chiediamo di fermare il ciclo di uccisioni e distruzione, soprattutto contro i civili in difficoltà, di tutte le fedi, che in realtà sono le vere vittime. La Chiesa ha sempre rifuggito il settarismo, evitando di schierarsi, e puntando ai valori etici ed evangelici”. Per questo, nota, va respinta una certa “campagna condotta contro i Pastori delle Chiese in Siria”, accusati di collusione con il regime, ribadendo “la credibilità, la trasparenza, la fedeltà e la oggettività dei Pastori che sono in costante contatto con sacerdoti, monaci, suore, laici”. Essi, aggiunge la nota, “promuovono l'invito al dialogo e alla riconciliazione, il rifiuto della violenza. Lavorano per salvaguardare la sicurezza dei civili inermi nel conflitto in corso, in modo da non esporli al pericolo, per non diventare bersagli di attacchi di una fazione o dell'altra”.
Il Patriarca esprime, infine, “molte speranze nelle iniziative della società civile per rafforzare la cordialità e i legami fra i siriani, che il conflitto ha distrutto. Preghiamo per il successo del movimento Mussalaha , in cui sono attivi delegati di tutte le Chiese, per portare l'unità e l'amore nei cuori di tutti. Questo è ciò che pone le basi per soluzioni efficaci al tragico conflitto”.
In quest’opera, conclude, “abbiamo bisogno del sostegno del Papa e ci auguriamo che la prossima visita del Papa in Libano sarà un aiuto particolare per la Siria, perché il conflitto possa cessare e il paese rifiorire. Per questo chiediamo l’aiuto di tutti i nostri fratelli cristiani, in Medio Oriente e in tutto il mondo”. (Agenzia Fides 17/7/2012)
 http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39542&lan=ita

L'appello e i chiarimenti di Gregorios III in versione completa:
http://centroculturalelugano.blogspot.it/2012/07/appello-del-patriarca-cattolico-greco.html

Siria, Damasco brucia. L'Unicef: muore un bambino al giorno. Le parole di una suora
Testimonianza di suor Marcella delle Salesiane di Maria Ausiliatrice, che gestiscono l’unico ospedale privato della città e che continuano, nonostante tutto, l’apostolato e il servizio. L’intervista è di Gabriella Ceraso:RealAudioMP3
http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=605324


lunedì 16 luglio 2012

In Siria , nel silenzio, una presenza accanto alla gente

Servizio del TG2 del 16 luglio '12
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-09e004c2-6bde-4e1e-bc43-867d4a1c08b4.html


Guerra civile a Damasco. Nunzio apostolico: si prevedono giorni bui
Mons. Mario Zenari racconta la tensione vissuta dalla popolazione. Da due giorni la capitale è teatro di scontri fra ribelli e guardia repubblicana, costati 64 morti. La testimonianza delle suore del monastero di Azeir (Homs) segno di speranza per cristiani, alawiti e sunniti.
"In alcune aree di Damasco, come in molti villaggi della Siria - spiega - la presenza di maroniti, cattolici e ortodossi favorisce la riconciliazione fra la fazione alawita e i musulmani sunniti. A ciò si aggiungono le testimonianze di diversi religiosi che hanno scelto di restare a fianco della gente e condividere con loro i dolori e il dramma della guerra, nonostante i rischi". Il prelato cita la testimonianza di cinque suore cistercensi (trappiste) italiane di Azeir (Homs), piccolo villaggio vicino al confine con il Libano. "La presenza delle religiose - afferma - è un segno di speranza per gli abitanti dei villaggi limitrofi che considerano il monastero un luogo di pace che aiuta ad affrontare gli orrori della guerra".
http://www.asianews.it/notizie-it/Guerra-civile-a-Damasco.-Nunzio-apostolico:-si-prevedono-giorni-bui-25312.html

venerdì 13 luglio 2012

Centre Catholique d’information Vox Clamantis: REPLICA ALLE DICHIARAZIONI DI DISCREDITO VERSO LA CHIESA LOCALE SIRIANA

Risposte agli articoli volti a screditare la testimonianza del vescovo Jeanbart di Aleppo (vescovo cattolico), del patriarca greco melkita Gregorios III- e Madre Agnese Mariam del la Croix( superiora del monastero di St Jacques in Siria) circa la persecuzione dei cristiani in Siria da parte degli insorti
I documenti:

- CIRCULAIRE DU PROF. CHRISTIAN CANNUYER  TEXTE ORIGINAL TEL QUE PRIS DU SITE

- DROIT DE REPONSE :  MERE AGNES REPOND A 2 SITES FRANCAIS QUI PAR 'MALADRESSE' METTENT SA VIE EN DANGER
( "Certaines personnalités ecclésiales sont manifestement stipendiées ou manipulées par le régime pour attiser les rumeurs le présentant comme le seul défenseur de la minorité chrétienne et soulever le spectre d'un scénario à l'irakienne. Leur attitude confine à la collaboration, qu'ils pourraient payer très cher." Réponse: Cette accusation est indigne de la personne qui la profère. Tout lecteur censé devrait se soulever contre elle. Elle ne mène nulle part sauf à discréditer les chrétiens de Syrie et leurs pasteurs. Aujourd’hui en Syrie, le pire à l’irakienne n’est pas à craindre car il est en train d’advenir : plus de 100000 chrétiens ont déserté leurs maisons et ont perdu leurs biens....Mais les responsables chrétiens en Syrie ont le droit d’informer l’opinion publique sur les souffrances de leur communautè...)

- Communiqué du monastère St Jacques l’Intercis

- COMMUNIQUÉ RECTIFICATIF À PROPOS DE MON MESSAGE DU 23/06 RELATIF À LA SITUATION DES CHRÉTIENS DE SYRIE
Professeur Christian Cannuyer - 06 juillet 2012

- REPONSE OFFICIELLE AU COMMUNIQUÉ RECTIFICATIF DE CHRISTIAN CANNUYER
Groupe de Chrétiens en Syrie- 07 juillet 2012

http://www.maryakub.org/Article_Cannuyer_page_introduction_dossier_06_juillet_2012.html

mercoledì 11 luglio 2012

“Dialogo, non armi per la Siria!” .Una grande speranza da sostenere

Il Forum siriano delle famiglie aderisce alla “Mussalaha”
Damasco (Agenzia Fides), 11 luglio 2012
Il “Forum siriano delle famiglie” ha aderito al movimento interreligioso “Mussalaha” (Riconciliazione) che si sta adoperando per cercare una via di dialogo intersiriano fra le parti nell’attuale conflitto civile. La “Mussalaha” intende dimostrare che esiste una “terza via” possibile, alternativa alla guerra e alle armi, quella della società civile.
Come riferito a Fides, Salman Al Assaf Binari, fondatore del Forum, che riunisce figure influenti nella società siriana, dei clan e delle diverse comunità, attorno ai principi fondanti e al valore della famiglia, ha rimarcato l’urgenza di “riconciliazione, fratellanza, lealtà e appartenenza”, esprimendo sostegno all’opera di riconciliazione, di dialogo e a un’era di riforme. Khalil Noè, presidente del comitato esecutivo del Forum, ha detto che la Mussalaha “mostra una serie di indizi importanti sulla salute della società siriana: in primo luogo l'unità del popolo siriano, che costituisce una sola famiglia; poi il comune impegno contro settarismo e violenza; quindi la consapevolezza e la volontà di sedersi attorno al tavolo del dialogo. Questi – ha detto – sono i fattori per ottenere l’uscita dalla crisi”.
Del Forum fanno parte anche personalità religiose: p. Gabriel Khajo ha sottolineato il bisogno di perdono e di amore, ricordando che l'essere umano è la pietra angolare della società e la famiglia è la principale fonte di educazione. P. Hermes Shiba, Vicario Patriarcale della antica Chiesa Assira ha sollevato una accorata preghiera “perché Dio circondi questo Forum con lo Spirito di amore, riconciliazione e di pace”, dicendo che “Dio ci ha creati per vivere in pace e in sicurezza: la pace genera l'amore: amiamoci gli uni gli altri e ad amiamo il nostro paese” .
Comitati locali della Mussalaha sono presenti nelle province di Daraa, Deir Ezzor, Idleb, Hama, Homs e hanno iniziato a ottenere i primi risultati positivi, attirando le simpatie di governo e opposizione. Di recente oltre 800 personalità siriane si sono trovate a Deir Zor, in provincia di Hassaké, per affermare che l'unica via d'uscita dalla crisi è il dialogo interno e una azione non violenta.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39503&lan=ita

Precisazione da Fides, 12 luglio:
Esponenti del Comitato “Mussalaha”, lavorano instancabilmente e freneticamente, notano fonti di Fides, con il solo scopo fondamentale di “salvare delle vite umane”.
L'iniziativa “Mussalaha”, che sta prendendo piede, nonostante la guerra civile, in diverse aree della Siria, è accusata da alcuni di essere “espressione del regime” o di essere uno “strumento di propaganda”. I membri del Comitato respingono tali accuse, notando che l’iniziativa è nata “dal basso”, dalla società civile, è interreligiosa, trasparente e indipendente. Intende dialogare con le parti, dunque anche con il governo, ma l’interesse che persegue è solo la salvezza di vite umane, la riconciliazione, l’unità e la fratellanza del popolo siriano. (PA) (Agenzia Fides 12/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39508&lan=ita

Annan prosegue nel tentativo di coinvolgere Iran e Iraq nel piano di pace per la Siria
L'inviato dell'Onu e della Lega araba appare possibilista e dice che Teheran può avere "un ruolo positivo" nella soluzione della crisi. Affermazione contestata dagli Usa. L'esercito libanese rafforza il controllo sul confine siriano. Una squadra navale russa verso Tartus.
Beirut (AsiaNews) - Dopo Teheran, Baghdad: Kofi Annan, inviato dell'Onu e della Lega araba, porta avanti il suo progetto di coinvolgere nel tentativo di fermare la crisi siriana i Paesi vicini, politicamente o territorialmente.

"Il mio viaggio - ha detto ieri in una conferenza stampa congiunta con il premier iracheno Nouri al-Maliki - ha toccata Damasco, Teheran e Baghdad. Ho avuto la possibilità di discutere con i leader per fermare le uccisioni, nell'interesse del popolo siriano e per evitare l'estendersi del conflitto ai Paesi vicini".
Annan ha infatti messo in guardia entrambi i Paesi sul pericolo che quella che ormai è una guerra civile possa allargarsi oltre i confini siriani. In proposito, il premier iracheno ha garantito il so sostegno alla mediazione di Annan che poco prima, dopo l'incontro con il ministro iraniano degli Esteri, Ali Akbar Salehi, aveva sostenuto che Teheran può giocare "un ruolo positivo" e di aver trovato in Iran "sostegno e cooperazione". Affermazione che ha trovato eco in quanto detto dall'esponente iraniano, che il suo Paese è "parte della soluzione".
Frase subito contestata da Washington. Per Jay Carney, portavoce della Casa Bianca, "nessuno può essere convinto che l'Iran possa avere un impatto positivo sugli sviluppi" della crisi siriana.
Accanto al fronte della diplomazia, vanno registrati due ulteriori elementi. Il primo viene dal Libano: il comandante dell'esercito libanese, generale Jean Kahwagi, ha detto oggi di aver bisogno di duemila uomini per quel maggiore controllo nella zona settentrionale del Paese. Kahwagi fa riferimento alla decisione presa lunedì dal governo libanese, dopo che due persone sono state uccise da un bombardamento siriano.
Il secondo viene dalla Russia. L'agenzia Interfax ha dato notizia dell'invio di una squadra navale russa verso la base di Tartus, nel nord della Siria. (PD)
http://www.asianews.it/notizie-it/Annan-prosegue-nel-tentativo-di-coinvolgere-Iran-e-Iraq-nel-piano-di-pace-per-la-Siria-25252.html


 Appello dei francescani: “Dialogo, non armi per la Siria!”13 luglio '12
“La Siria ha bisogno di dialogo, non di armi”: è l’appello lanciato dai francescani in Siria, tramite p. Romualdo Fernandez OFM, direttore del Centro ecumenico di Tabbaleh (Damasco) e Rettore del Santuario dedicato alla Conversione di San Paolo, nella capitale siriana. In un colloquio con l’Agenzia Fides, p. Fernandez rimarca che “la strada maestra per uscire dalla crisi è quella del dialogo fra le parti. Chiediamo a tutti di accettare di sedersi attorno a un tavolo e di avviare un confronto, che possa evitare violenze, morti, stragi e massacri, che da troppo tempo insanguinano il paese”. Sull’ultimo massacro nell’area di Hama, afferma che “è una tragedia, le notizie sono confuse, la verità è la prima vittima”. Secondo il frate, “se le potenze straniere continuano a fornire armi e a finanziare le parti in lotta, la guerra continuerà e le vittime aumenteranno. Questa non è la via della pace: la via della pace passa attraverso il dialogo”. Come cristiani, nota p. Ferenandez, “siamo aperti a tutti i nostri fratelli, di ogni religione”; come francescani, ripete, “siamo a fianco della popolazione che soffre, dei cristiani e dei musulmani, e non lasceremo mai questo paese. Resteremo in Siria, a servizio del Vangelo. C’eravamo ieri, ci siamo oggi e ci saremo domani, in tempi di pace e in tempo di guerra, in tempi bui e in tempi luminosi. Nella certezza che il Signore ci vuole qui e che provvederà a noi”. (PA) (Agenzia Fides 13/7/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39517&lan=ita

martedì 10 luglio 2012

Verso la riconciliazione: oltre 300 combattenti pronti a cedere le armi a Homs

Homs (Agenzia Fides) – Oltre 300 combattenti nelle diverse fazioni armate dell’opposizione siriana a Homs hanno accettato di cedere le armi, di entrare sotto la tutela del Comitato popolare interreligioso “Mussalaha” e di continuare una “opposizione politica non armata”.
E’ il risultato di uno storico accordo promosso dal movimento “Mussalaha” (“Riconciliazione”), nato spontaneamente dalla società civile siriana, che sta riscuotendo la fiducia di tutte le parti in lotta, di famiglie, clan, comunità diverse, di settori del governo e dell’opposizione armata. Gli oltre 300 armati sono perlopiù giovani che si trovano asserragliati nelle diverse stradine del centro storico di Homs come Khalidiye, Jouret al shiyah, Qarabis, Hamidiyah, Bustan Diwan e dintorni, tuttora assediate dalle forze dell’esercito siriano. Nel complesso, si stima che i resistenti armati all’interno di quell’area della città vecchia siano oltre 1.000.
Il Comitato della “Mussalaha” di Homs, che include il sacerdote siro-cattolico p. Michel Naaman, altri leader religiosi musulmani e diversi leader della società civile e rappresentanti di comunità, dopo un lungo sforzo di mediazione, è riuscito a raggiungere un risultato fino a ieri impensabile. “I 300 giovani pronti a deporre la armi sono giovani e adolescenti che avevano deciso di combattere, presi dallo spirito e dagli ideali della rivoluzione. Fra loro vi sono parenti, figli, amici, di persone che fanno parte della Mussalaha e questo ha notevolmente facilitato il dialogo e l’accordo. Sono i figli del popolo siriano”, nota a Fides il sacerdote di Homs.
I giovani hanno avuto dall’esercito siriano garanzie che, deponendo le armi, saranno liberi e potranno continuare una “opposizione politica non violenta”. Il comitato della “Mussalaha” si farà garante della loro salvezza e libertà, in una atmosfera che vuole incoraggiare il confronto, il dialogo e la riconciliazione. Non è escluso, notano i leader della “Mussalaha”, che molti altri combattenti possano seguire questo esempio ed entrare sotto la tutela del Comitato di riconciliazione.
Il problema principale, notano fonti di Fides, è rappresentato ora da oltre 100 uomini armati non siriani che sono presenti nell’area e che non hanno intenzione né possibilità di rientrare in questa delicata operazione di “dialogo interno siriano”. Costoro chiedono il coinvolgimento della Croce Rossa, per questo i rappresentanti della CRI saranno allertati per un possibile intervento nella mediazione. (PA) (Agenzia Fides 10/7/2012)

UNA DOMANDA INTERESSANTE

Siria: una rivolta spontanea o eterodiretta?
Così posta, la domanda è fuorviante: la realtà è più complessa e sfaccettata, come spiega a Confronti Patrick Boylan, che fa parte della Rete NoWar e dell’organizzazione Statunitensi per la pace e la giustizia. Di seguito, all’interno del servizio, altri interventi di testimoni diretti di ciò che sta avvenendo in Siria.
leggi su:
http://www.confronti.net/SERVIZI/siria-una-rivolta-spontanea-o-eterodiretta

lunedì 9 luglio 2012

"Sulla Siria troppa superficialità da parte dei media"

Secondo Aiuto alla Chiesa che Soffre la situazione reale è molto più complessa
«I siriani sono indignati. Quando leggono le notizie riportate nei nostri Paesi si sentono ingannati e usati, e credono che l’Occidente insegua unicamente i propri interessi». Padre Andrzej Halemba, responsabile internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre per la sezione Asia-Africa, ha denunciato la superficialità dei mezzi di comunicazione occidentali nel raccontare gli attuali avvenimenti in Siria.
«Come opera caritativa ACS non interviene in ambito politico – ha aggiunto il sacerdote - ma non si può tacere una situazione che è molto più complessa di quella descritta dai media. L’informazione non può continuare a scegliere la strada più facile».
Le dichiarazioni di vari esponenti della Chiesa siriana, con cui padre Halemba è costantemente in contatto, compongono un quadro assai più articolato: rivendicazioni egemoniche, tensioni tra le diverse correnti musulmane, faide tribali, vendette, rappresaglie. Fatti all’ordine del giorno che insieme all’aumento della criminalità alimentano l’instabilità nel Paese.
Nei giorni scorsi un membro del clero locale – che per motivi di sicurezza ha preferito mantenere l’anonimato – ha segnalato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la scarsa attendibilità dei mezzi di comunicazione, autori di «sfacciate manipolazioni».
«Assistiamo a volgari falsificazioni che, senza vergogna, trasformano piccole proteste in immense manifestazioni con centinaia, se non migliaia di dimostranti». Stando a quanto riferito ad ACS, i giornalisti ignorerebbero volontariamente le testimonianze oculari e in molti casi le immagini fornite sarebbero fotomontaggi creati utilizzando fotografie della guerra in Iraq e di altri conflitti recenti.
Profondamente preoccupati per quanto sta accadendo in Siria, i vertici di Aiuto alla Chiesa che Soffre hanno deciso di stanziare un contributo straordinario di 130mila euro. 50mila euro saranno destinati ai siriani intrappolati nella città vecchia di Homs, che rischiano di morire di fame perché tutte le vie di rifornimento sono state interrotte. «Queste persone sono utilizzate come scudi umani – riferisce la fonte anonima ad ACS – ma le loro condizioni potrebbero migliorare se solo fosse aperta la strada agli aiuti umanitari».
Non è molto diversa la sorte delle circa 230mila persone che sono riuscite a fuggire da Homs. Aiuto alla Chiesa che Soffre sta raccogliendo fondi anche per sostenere le 500 famiglie cristiane che hanno trovato rifugio a Marmarita, villaggio del nord-ovest vicino alla frontiera libanese. La Fondazione ha promesso a monsignor Nicolas Sawaf, arcivescovo di Lattaquie dei greco-melkiti, 80mila euro che garantiranno alle famiglie viveri per almeno sei mesi.
http://www.zenit.org/rssitalian-31629

Incontro Annan-Assad: nuovo piano di pace per la Siria
da Radio Vaticana
Il piano di pace di Kofi Annan "non deve fallire". Così si è espresso il presidente siriano, Bashar al Assad, dopo l'incontro con l'inviato speciale dell'Onu e della Lega Araba, definito “costruttivo e trasparente” da ambo le parti.
Le parti hanno deciso di sottoporre all’opposizione un nuovo piano di pace. Intanto da Mosca, dove gli insorti hanno avuto colloqui con le autorità russe, arriva l’attacco del presidente Putin all’Occidente, colpevole di esportare solo la “democrazia delle bombe”. Benedetta Capelli:RealAudioMP3
Forse uno spiraglio di pace nel conflitto in Siria. Al termine dei colloqui, Annan ha spiegato che è stato deciso un “nuovo approccio” per mettere fine alle violenze in Siria e che sarà sottoposto ai ribelli armati. A far capire che il vento stia cambiano anche la prossima tappa di Annan, atteso in serata a Teheran. Il mediatore si è sempre detto convinto che il solido alleato di Damasco debba essere coinvolto nella crisi siriana. In Iran si discuterà degli esiti del vertice di Ginevra del 30 giugno scorso; riunione nella quale molti Paesi avevano chiesto l’uscita di scena di Assad. A Mosca, altro alleato della Siria, si è svolto un incontro tra l’opposizione siriana e il ministro degli Esteri russo Lavrov. I ribelli hanno affermato che il Paese è ormai diventato “l’arena di un conflitto internazionale” e che è la violenza ad impedire il confronto tra governo e opposizione. Di quest’ultimo punto ha parlato anche il presidente russo Putin che ha invocato per la Siria una soluzione pacifica a lungo termine senza interventi esterni. Il capo del Cremlino ha poi avuto parole forti per l’Occidente che tenta di conservare la sua influenza attraverso le operazioni umanitarie e l'esportazione della "democrazia dei missili e delle bombe". Intanto in Siria non cessa la violenza, secondo l’opposizione sia ad Homs che a Damasco proseguono i bombardamenti ed i combattimenti. Sarebbero una ventina le vittime di oggi.
Intanto, cresce la tensione tra Stati Uniti e Siria. Ieri, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha affermato che il Paese rischia un attacco catastrofico molto pericoloso anche per l’intera regione. Inoltre, il presidente Assad, in un’intervista di alcuni giorni fa ad una tv tedesca, ha avuto parole di fuoco per gli Stati Uniti. Starebbero sostenendo e proteggendo i ribelli per destabilizzare la Siria.

http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=603227


I SANTI DEL GIORNO:

† Damasco (Siria), 10 luglio 1860

A Damasco in Siria, passione dei beati martiri Emanuele Ruíz, sacerdote, e compagni, sette dell’Ordine dei Frati Minori e tre fratelli fedeli della Chiesa Maronita, che, con l’inganno consegnati ai nemici da un traditore, furono sottoposti per la fede a varie torture e conclusero il loro martirio con una morte gloriosa.
 http://www.santiebeati.it/dettaglio/91994


venerdì 6 luglio 2012

Villaggio globale, anche per la Siria e il suo dramma

Una madre siriana con il figlio abbandona il suo
villaggio -TGCOM24
Navigando un po' su internet, per vedere le ultime notizie sulla Siria, spesso abbiamo trovato in vari siti e blog che trattano della vicenda siriana un uso delle notizie quanto meno immorale, in quanto le notizie provenienti da questo paese nel caos e nella guerra civile con tutto ciò che questo comporta nelle comunicazioni con altri paesi sono spesso, troppo spesso, utilizzate da chi le propone o ripropone solo al fine di sostenere le proprie ideologie e i propri giudizi sulla situazione, a discapito dell'informazione onesta seppure oggettivamente parziale che corrispondenti in loco possono elaborare e far conoscere a chi come noi è ben lontano, almeno fisicamente, dal conflitto.
Che non sia sempre e solo oro colato quello che si legge sui giornali e su internet tutti lo sanno, o almeno dovrebbero saperlo, se hanno un po' di esperienza della vita. E la situazione siriana è quanto mai ingarbugliata, con forze in gioco note e non note, dove l'unico dato certo è l'uccisione e l'annichilimento di uomini, donne e bambini inermi che nulla hanno a che fare con i giochi di potere in atto nel e sul paese siriano.

TRA I CRISTIANI IN FUGA DA HAMA

«Il regime siriano ci proteggeva ora non possiamo uscire da casa


03 luglio 2012 – La Repubblica, pag. 19

DAMASCO - «Per anni abbiamo vissuto nel Paese più sicuro del mondo. Ci siamo sentiti protetti, rispettati. Ma quando abbiamo visto che non potevamo più neanche affacciarci alla finestra senza rischiare di esser uccisi, abbiamo deciso che non era più il caso di restare e abbiamo lasciato le nostre case».
Ai piedi del convento della Vergine Maria, a Saidnaya, una delle culle dei cristiani d' Oriente, dove si parla ancora l' aramaico, la lingua dei Vangeli, Abdu e George ricordano la loro fuga, pochi giorni fa, da Hama. George è definitivo: «Io avevo dieci anni, nell' 82, quando l' esercito siriano schiacciò la rivolta dei Fratelli musulmani, ma quello che sta succedendo oggi è peggio». Il luogo è lo stesso, Hama, l' antica città sull' Oronte, ma le circostanze sono diverse. La città martire della repressione ordinata da Hafez al-Assad nel febbraio 1982 contro i Fratelli musulmani, è ora uno dei fronti caldi della rivolta che da un anno e mezzo infiamma la Siria.
Ma per Abdu le parole del suo amico riflettono una realtà del tutto nuova: «Quello che vogliamo dire è che oggi, a differenza di 30 anni fa, l' esistenza dei cristiani è minacciata a Hama, dove eravamo una comunità di ventimila persone e adesso sono rimasti soltanto quelli che non hanno nulla da mangiare». Lo stesso succede a Homs e nelle altre città in cui i cristiani, dopo essere rimasti per mesi estranei al conflitto, si sono visti mettere sempre di più nel mirino di gruppi armati, spesso d' incerta provenienza, genericamente definiti "salafiti", integralisti islamici di fede sunnita, che, anche solo per infiammare lo scontro con l' esercito, o per diffondere il panico, hanno imposto la loro presenza nei quartieri cristiani. «Gente venuta da fuori - dice George -. Violenti, arroganti. Entrano in casa, controllano i documenti, interrogano. E se non sono convinti, magari ritornano la notte. Vicino a casa mia si sono portati via una ragazza di 20 anni ritrovata morta qualche ora dopo».
Se non fosse per le parole di questi profughi, seppure di categoria benestante, artigiani, tecnici, commercianti, sarebbe difficile cogliere, a Saidnaya, i segni della tragedia siriana. Il convento risalente all' XI secolo, costruito su una rocca scoscesa, domina come una fortezza inespugnabile una vallata immobile e silenziosa sotto il sole cocente. Qui nulla sembra turbare la calma di questo paesaggio da sempre uguale a se stesso.

Eppure sono giorni di grande tensione per la Siria, che sembra scivolare verso la sua dissoluzione. Una deriva che niente e nessuno sembra in grado di fermare. Non certo le divisioni in seno alla comunità internazionale, con Stati Uniti e Russia su posizioni sempre inconciliabili, né quelle esplose nei ranghi dell' opposizione. L' ultima riprova viene dal Cairo, dove, in base al piano approvato a Ginevra dalle cinque potenze del Consiglio di sicurezza, s' è riunita ieri l' opposizione per elaborare una strategia condivisa sulla proposta di dar vita ad un governo di unità nazionale, per guidare la transizione, con la partecipazione tanto di esponenti del regime che della rivolta.
Ma i ribelli armati, fra i quali i disertori del Libero esercito siriano e alcuni gruppi "indipendenti", hanno subito fatto appello al boicottaggio del vertice, cui invece hanno preso parte rappresentanti del Consiglio nazionale siriano, che raggruppa i dissidenti all' estero. Ma per i cristiani di questo Paese, circa 2 milioni di persone, intorno al 10 per cento della popolazione, l' opposizione è soltanto una pedina della "grande trama" imbastita alle spalle della Siria.
Determinati a difendere la loro identità di "siriani di religione cristiana", prima ancora che di "cristiani di nazionalità siriana", quelli che incontriamo a Maalula, altra meta di pellegrinaggi, dove riposano i resti di Santa Tecla, ad una quarantina di chilometri da Damasco, vedono proprio nelle manovre della comunità internazionale la causa della rivolta che sta scardinando il regime. I guai della Siria, dice in sostanza Gabriel, un comandante della marina commerciale che lavora sulle rotte mediterranee delle compagnie greche, «derivano dalle interferenze americane, per far saltare un equilibrio che non soddisfa i loro interessi, né quelli israeliani, né quelli dell' Arabia Saudita. E l' Europa, vergogna, li segue ciecamente».

In questo contesto, le prospettive di un cambiamento di regime fanno paura. «Non posso dire - afferma nel suo elegante studio di Damasco l' architetto Maria Sadeeh, recentemente eletta come indipendente in Parlamento - che Assad sia il protettore dei cristiani ma dico che noi viviamo in un regime laico che protegge i cristiani. L' Occidente deve stare molto attento a combattere i regimi laici del Medio Oriente perché non si sa quello che potrebbe arrivare dopo. Qui in Siria c' è un tessuto multi religioso che fa parte della storia del Paese. Un regime diverso finirebbe per annullare questo elemento imprescindibile dell' identità siriana. Un sistema salafita lo rifiuteremmo».

ALBERTO STABILE



Busso e ti bombardo

Origine e paradossi delle «guerre umanitarie»


Le guerre del XX e XXI secolo offrono una prevalenza di guerre civili, in cui le popolazioni non sono più solo elementi passivi dei conflitti. Con il tempo, queste guerre hanno innescato l’inedito fenomeno delle guerre umanitarie, la cui origine risale alla vecchia pratica del ricorso al male minore. Oggi lo spazio occupato dagli interventi umanitari e dalla militarizzazione dei diritti umani ha dato vita alla nozione di violenza legalizzata. «Bussare prima di bombardare» è la formula adottata nella guerra di Gaza, conflitto in cui la natura elastica del diritto umanitario («un atto proibito diventa lecito se compiuto da un numero consistente di paesi»), è stato messo alla prova. Questi e altri sono alcuni dei concetti che emergono dal libro di Carlo Jean, con Germano Dottori, Guerre umanitarie. La militarizzazione dei diritti umani (Milano, Dalai editore, 2012, pagine 304, euro 17,50) in cui, a integrazione di quelle studiate da Eyal Weizman, le guerre prese in esame sono descritte come una fisiologia. Nate come guerre civili, si trasformano in guerre umanitarie quando le parti più deboli riescono ad assicurarsi il sostegno dell’opinione pubblica internazionale e di conseguenza l’intervento di Stati soccorritori. Così i musulmani di Bosnia e gli albanesi del Kosovo hanno trovato salvezza dall’oppressione serba. Non senza far ricorso tuttavia a trappole, provocazioni, inganni e pretesti congegnati in modo tale da fare apparire vittime innocenti i loro ideatori e criminali coloro che nelle provocazioni sono cascati determinando reazioni sproporzionate.

Paradossi e ossimori: è nell’ambito dei conflitti umanitari, dove nessun belligerante ammette di combattere una guerra non giusta, che hanno trovato spazio fenomeni come quello degli scudi umani. Bimbi messi a protezione di autobus lanciati in operazioni belliche. Il fatto nuovo è che oggi per prendere parte a una guerra umanitaria si va accompagnati dall’avvocato (che sorveglia la legalità delle azioni in cui ci si impegna), dal responsabile delle risorse umane (vigila che le regole di ingaggio siano rispettate) e dall’addetto alle pubbliche relazioni (sceglie il tipo di intervento in base all’opinione pubblica). Secondo Joseph S Nye, docente a Harvard, il tempo degli interventi umanitari è scaduto («La Stampa» 12 giugno): il detto «le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni» appare sempre più vero.
Oddone Camerana
6 luglio 2012

giovedì 5 luglio 2012


Convivialità e solidarietà: la Siria che rifiuta la guerra

Da: Agenzia Fides

Foto tratta da Ilsole-24ore
Damasco (Agenzia Fides) – Una larga parte della società siriana rifiuta la guerra civile che sta devastando e paralizzando il paese. Uomini e donne di buona volontà, di ogni etnia e religione, rifiutano il settarismo e la logica perversa di un conflitto che ha costretto oltre due milioni di siriani ad abbandonare le loro città e villaggi e a cercare rifugio in zone più tranquille.

Fonti locali di Fides rimarcano, in questa fase di violenza, lo straordinario spirito di aiuto reciproco tra le differenti comunità che compongono il mosaico della società siriana. Famiglie cristiane, sfrattate dalle loro case a causa della violenza, sono accolte da famiglie musulmane; famiglie musulmane sunnite sono rifugiate in casa di alawiti; famiglie alawite e musulmane sono ospitate da cristiani. Valori come solidarietà e ospitalità prendono il sopravvento su violenza e odio. All'interno della società siriana sono nate iniziative spontanee di solidarietà verso le vittime del conflitto. Nella provincia di Damasco abitazioni private appartenenti a famiglie benestanti sono state immediatamente rese disponibili per gli sfollati. Moschee, chiese, sale di comunità, hanno aperto le loro porte. Comitati popolari composti da volontari stanno lavorando duramente al servizio degli sfollati. Le barriere, anche quelle fra “governo e opposizione”, spesso enfatizzate dai mass media stranieri, sono saltate. In alcune aree i comitati popolari della Mezzaluna Rossa siriana, fedeli allo stato, lavorano con i volontari dei comitati di coordinamento della rivoluzione, senza alcuna distinzione di religione, comunità o appartenenza politica. Gli aiuti raccolti da associazioni musulmane sono distribuiti ai cristiani e gli aiuti raccolti da associazioni cristiane sono distribuiti ai musulmani. Il dolore e la sofferenza unisce la Siria e la riporta alla sua struttura sociale originaria: quella basata su un patto sociale che trascende la configurazione politica.

Vi sono, naturalmente, alcune eccezioni: ad esempio nella città di Nebek, dove imperversano bande armate fuori controllo, gli sfollati di Homs sono stati dichiarati “sgraditi” ed allontanati. Come notano fonti di Fides, alcune fazioni armate e organizzazioni criminali stanno approfittando per trarre vantaggio dal caos: beni e proprietà private vengono così saccheggiate. Tutte le comunità, cristiani, musulmani, drusi, alawiti, lamentano violenza, distruzione, insicurezza e instabilità, e chiedono uno sforzo comune per la pace. (PA) (Agenzia Fides 5/7/2012)

giovedì 28 giugno 2012

La via di Damasco non è una strada qualunque

Accorato appello del Papa per la riconciliazione in Siria, ormai da molti mesi entrata nel gorgo di una lotta intestina probabilmente alimentata da precisi interessi stranieri. Il Papa si recherà anche in Libano dopo l'estate per consegnare ufficialmente gli esiti del Sinodo dei Vescovi dedicato al Medio Oriente.
Medio Oriente e Mediterraneo sono il test più drammatico della fatica che il mondo contemporaneo fa nel ricercare forme e modi di convivenza pacifica.
L'apparente calma garantita dalle dittature del mediterraneo è stata travolta dalle rivolte della cosiddetta primavera araba che hanno destato l'entusiasmo un po' ingenuo di tanti intellettuali occidentali e anche solleticato gli interessi economici di tante potenze europee.

Il dramma della Libia, tutt'altro che pacificata dopo un conflitto di cui non si capisce ancora a chi abbia giovato se non a quei paesi che hanno rapidamente sostituito l'Italia nei rapporti economici soprattutto petroliferi; la situazione in bilico dell'Egitto; il terrorismo salafita in Tunisia che pure sembra essersi incamminata positivamente verso forme democratiche; tutto questo testimonia della complessità di una situazione che non può essere compresa né aiutata applicando rigidamente schemi buoni per le democrazie occidentali.

L'Europa che ha sdegnosamente messo ai margini della politica il riferimento alla propria identità storica (le famose radici cristiane per cui tanto si spese Giovanni Paolo II) si trova incapace di un vero dialogo con paesi in cui la religione gioca un ruolo fondamentale nel progettare il proprio futuro.

Analoga incapacità troviamo nei confronti della Siria dove la dittatura di una minoranza (quella che esprime la famiglia degli Assad, peraltro insediati in quel ruolo dalla Francia che ebbe il protettorato su quel territorio dopo la seconda guerra mondiale) aveva consentito la presenza di una forte comunità cristiana (circa il dieci per cento della popolazione, forte rispetto ad altri paesi arabi).

La parola di Benedetto suona così anche come la proposta politica più forte perché invita a ricercare le condizioni di una riconciliazione nazionale unico modo per impedire la dissoluzione dello Stato. Tutelare e difendere i cristiani della Siria dovrebbe essere un compito assai più presente alle cancellerie europee di quanto non succeda normalmente. La via di Damasco non è una strada qualunque ma - luogo della conversione di san Paolo, l'apostolo delle genti- sta proprio all'origine della civiltà europea e della cultura occidentale. Perderne la memoria sarebbe in qualche modo perdere il senso stesso della nostra civiltà.
http://www.dipopolo.it/sulla_via_di_damasco.html

mercoledì 27 giugno 2012

“Pace in Siria”: cresce il movimento popolare di riconciliazione “Mussalaha”

Nuovi incontri e nuove iniziative per il movimento popolare interreligioso “Mussalaha” (“Riconciliazione”), che propone una “riconciliazione dal basso” a partire dalle famiglie, dai clan, dalle diverse comunità della società civile siriana, stanca del conflitto
Mentre il paese è dilaniato dal conflitto, iniziative e incontri di pace si stanno moltiplicando, nascendo in modo del tutto spontaneo e indipendente: nei giorni scorsi un nuovo incontro che ha visto coinvolti leader civili, leader religiosi moderati, cristiani e musulmani, leader tribali, cittadini sunniti e alawiti del mosaico che compone la società siriana, si è tenuto a Deir Ezzor, nella provincia di Djazirah (Siria orientale), nei pressi dell’Eufrate. Il movimento, notano fonti di Fides, intende dire “No” alla guerra civile e rimarca che “non si può continuare con un bilancio che si attesta fra 40 e 100 vittime al giorno. La nazione viene dissanguata, perde i giovani e le sue forze migliori”. Per questo urge una iniziativa nuova che viene dal “genio popolare”, da persone “che desiderano una vita dignitosa, che rifiutano la violenza settaria e il conflitto confessionale, come le contrapposizioni ideologiche e politiche precostituite”. In molte città siriane, dove da un lato vi sono scontri e vittime – riferiscono fonti di Fides – “crescono gesti di amicizia e di riconciliazione, offerti da leader civili moderati verso rappresentanti di comunità considerate ostili (accade fra alawiti e sunniti), nello spirito di garantire sicurezza e pace grazie alla società civile”. Il movimento spera di trovare un riferimento istituzionale nel Ministro per la Riconciliazione, il socialista Ali Haider, nominato nel nuovo esecutivo siriano e proveniente dal partito di opposizione “People's Will Party”.
Ma intanto sta trovando sostegno anche all’estero: l’irlandese Mairead Maguire, Premio Nobel per la pace nel 1976 con Betty Williams e leader del movimento “The Peace People”, in un comunicato inviato a Fides dice “No alla guerra in Siria”, e afferma: “Dobbiamo metterci nei panni del popolo siriano e trovare vie pacifiche per fermare questa folle corsa verso una guerra che le madri, i padri e figli della Siria non vogliono e non meritano”. Il testo aggiunge: “Urge sostenere quanti lavorano per la pace in Siria e che cercano un modo di aiutare i 22 milioni di siriani a risolvere il loro conflitto, senza promuovere il caos o la violenza”. La Premio Nobel invita le Nazioni Unite ad “essere un forum dove tali voci siriane siano ascoltate”, le voci di “persone che hanno lavorato duro per la Siria, per l'idea della Siria come paese laico, pacifico e moderno”. (Agenzia Fides 27/6/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39402&lan=ita

Situazione disperata per le famiglie cristiane a Homs, dove ormai è guerriglia urbana

Si fa terribile la situazione dei civili nel centro storico di Homs. I circa 400 civili cristiani, intrappolati nel quartieri di Hamidiyeh e Bustan Diwan insieme con altri 400 civili musulmani sunniti, lanciano un grido disperato tramite i sacerdoti siriani, delle diverse Chiese cristiane presenti a Homs, che i civili riescono a contattare.
Come confermato a Fides dai sacerdoti siriani di Homs p. Abdallah Amaz, p. Michel Naaman e p. Maxime El Jamale, si tratta di famiglie siro-cattoliche, greco-cattoliche e greco-ortodosse, che vivono nascoste e sperano di poter uscire vive da una situazione che si fa sempre più dura e pericolosa. Nei giorni scorsi la Croce Rossa Internazionale e la Mezzaluna Rossa, dopo lunghi negoziati fra le parti in lotta, erano riuscite a ottenere un cessate-il-fuoco, con la speranza di poter entrare nell’area ed evacuare i civili dai quartieri di Khalidiyah, Hamidiyeh e Bustan Diwan. Ma la tregua non è stata rispettata ed è stato impossibile portare avanti le operazioni umanitarie.
“I civili non possono uscire dai loro nascondigli e sono terrorizzati. C’è un solo panificio funzionante e solo alcuni, sfidando la sorte, escono una volta al giorno per procurare cibo. Alcuni dei civili si trovano in luoghi vicini a dove sono arroccati i miliziani armati” spiegano le fonti di Fides a Homs. I gruppi armati dell’opposizione hanno scelto di arroccarsi nei quartieri cristiani perché sono formati da un dedalo di viuzze, dove non possono entrare mezzi militari pesanti. Intanto la truppe dell’esercito siriano, da circa tre giorni, sembrano aver cambiato strategia: invece di bombardamenti indiscriminati, penetrano nella “zona calda” con piccole unità militari, tramite un varco nelle vicinanze del quartiere di Khalidiyah, area dove risiedono altre 1.000 famiglie di civili musulmani sunniti. I soldati cercano di stanare i gruppi ribelli in quella che si prospetta, d’ora in poi, come una vera e propria guerriglia urbana. Un civile di Khalidiyah è stato ferito ieri dal fuoco incrociato. Molti altri, avvertono le fonti di Fides, potrebbero restarne vittime. (PA) (Agenzia Fides 27/6/2012

lunedì 25 giugno 2012

Siria accanto a chi soffre

Pubblicato in data 25/giu/2012 da



Una popolazione immobilizzata, che vive nella paura per gli attacchi che si moltiplicano nel paese, quella della Siria, dove la comunità cristiana soffre accanto ai musulmani -per una situazione sempre più complessa. Anche oggi a Homs ed in altre città sono in corso bombardamenti delle forze governative. Solo ieri i morti sono stati 80, mentre da Qusayr, cittadina nei pressi di Homs, giunge la notizia che la chiesa greco-cattolica di Sant'Elia è stata occupata da un gruppo di miliziani dell'opposizione siriana. Abbiamo raggiunto telefonicamente mons Mario Zenari, veronese, da oltre 3 anni nunzio a Damasco, in Siria.

Intervista a:

Mons. MARIO ZENARI
Nunzio Apostolico a Damasco - Siria

Intervista di Sara Fornari

Turchia e Siria sull'orlo del conflitto. Ankara chiede consultazioni Nato. Ruolo dell'Onu?

Da : Il Sole 24ORE
La Nato, su richiesta di Ankara, ha convocato per martedi un incontro a Bruxelles per discutere dell'abbattimento di un caccia turco da parte della contraerea siriana e delle possibili reazioni del Patto Atlantico. La richiesta turca e' stata inoltrata invocando l'articolo 4 del Patto Atlantico, secondo cui un attacco contro un paese membro dell'alleanza e' un attacco contro tutti. Polveriera mediorentale a rischio di esplodere, dunque?
di Mario Platero - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/mTJor

Quando si dice che la Siria non è la Libia - proprio questa mattina il ministro degli esteri Giulio Terzi ha escluso «che ci siano le condizioni per un'azione di tipo libico» a una domanda su cosa la Turchia chiederà domani al consiglio atlantico Nato - la differenza si coglie proprio in questo "incidente" che ha portato all'abbattimento del caccia turco da parte della contraerea siriana.
La Guerra Fredda tra Est e Ovest può diventare calda per la crisi siriana come abbiamo avuto modo di scrivere più volte in questi mesi: la Siria è una "linea rossa" per l'Iran, storico alleato di Damasco, ma anche della Russia di Putin che non soltanto mantiene il controllo del porto di Tartous, l'ultimo mel Mediterraneo, ma anche un sistema radar sofisticato. Una sorta di risposta allo scudo anti-missile piazzato dalla Nato nella base turca di Malatya, la stessa dove venerdì scorso è decollato il Phantom F 4 turco. Questo sistema dell'Alleanza tiene di mira sia l'Iran che le basi russe nel Mar Nero.
 La Turchia queste cose le sa benissimo: in un eventuale conflitto con la Siria sarà in prima linea e naturalmente vuole evitare di andare in guerra da sola e senza un adeguato sostegno militare della Nato e politico delle Nazioni Unite dove ha già inviato una lettera al Consiglio di Sicurezza in attesa della riunione dell'Alleanza atlantica di domani.
di Alberto Negri - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/nyZrj

Molti dettagli circa l'abbattimento del caccia turco F-4 nello spazio aereo siriano non sono ancora stati chiariti. Incerta la sorte dei due uomini d'equipaggio, probabilmente paracadutatisi in mare, e silenzio totale sulla natura della missione effettuata da almeno due cacciabombardieri turchi poiché i velivoli militari si muovono sempre in coppia. Certo l'equipaggio del secondo Phantom potrebbe rivelare molte informazioni utili e di certo ben diverse dalle improbabili dichiarazioni rilasciate dal presidente turco, Abdullah Gul, secondo il quale il jet potrebbe aver violato lo spazio aereo siriano a causa dell'alta velocità.
"E' routine per i caccia alcune volte passare avanti e indietro i confini nazionali" ha affermato Gul, citato dall'agenzia d'informazione Anadolu. "Non si tratta di azioni malintenzionate ma sono incontrollabili a causa dell'alta velocità dei jet". In realtà da quanto si è appreso i jet volavano ad elevata velocità e a quota molto bassa, quella necessaria a spingersi in territorio "nemico" cercando di non farsi individuare dai radar. Foprse una missione per "testare" le difese aeree siriane anche se ambienti vicini all'aeronautica militare turca hanno rivelato che il jet abbattuto era un RF-4E, versione da ricognizione del Phantom decollato dalla base di Ehrac. Non si può quindi escludere che la sua missione fosse proprio quella di scoprire la dislocazione delle truppe siriane nel nord del Paese per girare le informazioni agli insorti siriani che in Turchia non hanno solo le basi ma anche i centri di arrivo delle armi fornite da Stati Uniti (tramite gli uomini della CIA segnalati recentemente dal New York Times) e Paesi arabi. Armi per i ribelli arriverebbero anche da Israele, probabilmente attraverso il confine libanese, poiché fonti siriane hanno riferito all'Ansa che i miliziani a Homs hanno ricevuto missili israeliani di ultima generazione utili ''contro i carri armati T-72'' in dotazione all'esercito siriano.
di Gianandrea Gaiani - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/WMs08